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{{Azienda
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|logo dimensione = 100
|immagine = Sede Fintecna ex IRI Roma Via Veneto.jpg
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|nazione = ITA
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|controllate = * [[
* [[Alitalia]]▼
* [[Atlantia]]
* [[Autostrade per l'Italia|Autostrade]]
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|prodotti =
}}
L{{'}}'''Istituto per la Ricostruzione Industriale''' (in [[acronimo]] '''IRI''') è stato un [[ente pubblico economico]] [[italia]]no, poi trasformato in [[società per azioni]], con funzioni di [[politica industriale]].
Istituito nel [[1933]], durante il [[fascismo]], nel [[Secondo dopoguerra italiano|dopoguerra]] allargò progressivamente i suoi settori di intervento e divenne il fulcro dell'[[intervento pubblico]] nell'[[economia italiana]]. Nel 1980 l'IRI era un gruppo di circa {{formatnum:1000}} società con più di {{formatnum:500000}} dipendenti. È stata a suo tempo una delle più grandi aziende non petrolifere al di fuori degli [[Stati Uniti d'America]];<ref>{{en}} [http://www.referenceforbusiness.com/history2/98/Istituto-per-la-Ricostruzione-Industriale-S-p-A.html Reference for Business ]</ref> nel 1992 chiudeva l'anno con {{formatnum:75912}} miliardi di [[lira italiana|lire]] di [[fatturato]] e {{formatnum:5182}} miliardi di [[perdita (economia)|perdite]].<ref>[http://archiviostorico.corriere.it/1993/novembre/28/all_IRI_palma_del_fatturato_co_0_93112812062.shtml Archivio storico www.corriere.it]</ref> Ancora nel [[1993]] l'IRI era il settimo [[Conglomerato (finanza)|conglomerato]] al mondo per dimensioni, con un fatturato di circa 67 miliardi di [[Dollaro statunitense|dollari]].<ref>''Istituto per la Ricostruzione Industriale'', dal sito [http://www.referenceforbusiness.com/history2/98/Istituto-per-la-Ricostruzione-Industriale-S-p-A.html in inglese.]</ref>
Trasformato in [[società per azioni]] nel [[1992]]
== Storia ==
=== Il "Consorzio Sovvenzioni" ===
{{Vedi anche|Consorzio per sovvenzioni su valori industriali}}
Dopo la [[prima guerra mondiale]] ci fu una grave crisi dovuta alle difficoltà della riconversione dell'[[industria bellica]], sovradimensionata rispetto alla domanda in periodo di pace, che travolse anche le banche che avevano grossi interessi nelle stesse industrie. Nel [[1922]], in seguito al crollo della [[Banca Italiana di Sconto]], fu trasferita al ''Consorzio'' la partecipazione di controllo nell'[[Ansaldo]] detenuta dall'istituto fallito.<ref name=Colajanni/>.
Un anno dopo, il [[Banco di Roma]], che era in crisi dal 1921, fu rilevato dalla ''Società Nazionale Mobiliare'', controllata per il 26% dal ''Consorzio Sovvenzioni'' e per un altro 26% dalla [[Banca Commerciale Italiana]] e dal [[Credito Italiano]].<ref name=Colajanni/>
=== L'"Istituto di Liquidazioni" ===
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Nel pieno della crisi degli anni trenta la [[Banca d'Italia]] si trovava esposta verso l'Istituto di liquidazioni e verso le banche per oltre 7 miliardi, ovvero oltre il 50% del capitale circolante.
=== La costituzione durante il
{{Vedi anche|Alberto Beneduce}}
La costituzione dell'IRI, avvenuta
[[File:Alberto Beneduce1.gif|thumb|right|[[Alberto Beneduce]], il primo presidente dell'IRI.]]▼
Il nuovo ente era formato da una "Sezione finanziamenti" e una "Sezione smobilizzi".
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In questo modo l'IRI, e quindi lo [[Stato]], smobilizzò le banche miste, diventando contemporaneamente proprietario di oltre il 20% dell'intero capitale azionario nazionale e di fatto il maggiore [[imprenditore]] italiano con aziende come [[Ansaldo]], [[Acciaierie di Terni|Terni]], [[Ilva]], [[SIP - Società Idroelettrica Piemontese|SIP]], [[SME (azienda)|SME]], [[Alfa Romeo]], [[Navigazione Generale Italiana]], [[Lloyd Triestino|Lloyd Triestino di Navigazione]], [[Cantieri Riuniti dell'Adriatico]]. Si trattava in effetti di grandi aziende che già da molti anni erano vicine al settore pubblico, sostenute da politiche tariffarie favorevoli e da commesse pubbliche. Inoltre, l'IRI possedeva le tre maggiori banche italiane.
▲[[File:Alberto Beneduce1.gif|thumb|[[Alberto Beneduce]], il primo presidente dell'IRI.]]
Nel [[1934]], il valore nominale del patrimonio industriale italiano era di 16,7 miliardi di lire, pari al 14,3% del [[Pil]]. Tra i principali trasferimenti all'ente figuravano<ref>Mimmo Franzinelli, Marco Magnani, ''Beneduce, il finanziere di Mussolini'', Mondadori 2009, pagg. 229-230</ref>:
* la quasi totalità dell'industria degli armamenti
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Nel complesso, con la costituzione dell'Iri il 21,49% del capitale delle società italiane esistenti al 31 dicembre 1934 era, direttamente o indirettamente, controllato dall'Istituto.<ref>Archivio Storico Iri, Sezione Finanziamenti, Relazione del consiglio di amministrazione sul bilancio al 31 dicembre 1934, citato in AA VV, ''Storia dell'Iri'' (a cura di Valerio Castronovo), Editori Laterza, Roma-Bari, 2012, vol. 1, pag. 186</ref>
=== La
[[File:Francesco Giordani.jpg|
Inizialmente era previsto che l'IRI fosse un ente provvisorio il cui scopo era limitato alla dismissione delle attività così acquisite. Ciò in effetti avvenne con alcune imprese del settore elettrico ([[Edison (azienda)|Edison]] e [[Bastogi (azienda)|Bastogi]]) e tessile<ref name=Colajanni/>, che furono cedute ai privati, ma nel 1937 il governo trasformò l'IRI in un ente pubblico permanente; in questo probabilmente influirono lo scopo di
Per finanziare le sue aziende l'IRI emise negli anni trenta dei prestiti obbligazionari garantiti dallo Stato, risolvendo in questo modo il problema della scarsità di capitali privati. L'IRI si diede una struttura che raggruppava le sue partecipazioni per aree merceologiche: l'Istituto sottoscriveva il capitale di società finanziarie (le "caposettore") che a loro volta possedevano il capitale delle società operative; così nel 1934 nacque la [[STET]], nel 1936 la [[Finmare]], e nel 1937 la [[Finsider]], poi nel dopoguerra [[Finmeccanica]], [[Fincantieri]] e [[Finelettrica]].
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Alberto Beneduce nel 1939 a causa di problemi di salute, dovuti a un [[ictus]] che lo aveva colpito al ritorno da una riunione della [[Banca dei regolamenti internazionali|Banca dei Regolamenti Internazionali]] a [[Basilea]] il 13 luglio 1936, lasciò la presidenza dell'ente a [[Francesco Giordani (chimico)|Francesco Giordani]].
=== Il ruolo nel secondo dopoguerra e nel miracolo economico italiano ===
Nel [[secondo dopoguerra italiano]] la sopravvivenza dell'Istituto non era data per certa, essendo nato più come una soluzione provvisoria che con un orizzonte di lungo termine; di fatto però risultava difficile per lo Stato cedere ai privati aziende che richiedevano grandi investimenti e davano ritorni sul lunghissimo periodo
Solo dopo il 1950 la funzione dell'
Negli anni sessanta, mentre l'economia italiana cresceva ad alti ritmi, l'IRI era tra i protagonisti del "[[miracolo economico italiano]]". Altri paesi europei, in particolare i governi laburisti inglesi, guardavano alla "formula IRI" come ad un esempio positivo di intervento dello Stato dell'economia, migliore della semplice "nazionalizzazione" perché permetteva una cooperazione tra capitale pubblico e capitale privato.
In molte società del gruppo il capitale era misto, in parte pubblico, in parte privato. Molte
Ai vertici dell'IRI si insediarono esponenti della [[Democrazia Cristiana|DC]] come [[Giuseppe Petrilli]], presidente dell'Istituto per quasi vent'anni (dal 1960 al 1979). Petrilli nei suoi scritti elaborò una teoria che sottolineava gli effetti positivi della "formula IRI"<ref>Petrilli pubblicò un libro intitolato ''Lo stato imprenditore'', Cappelli, Bologna 1967; citato da M. Pini, ''I giorni dell'IRI'', Arnoldo Mondadori, 2004, pag. 26 e bibliografia a pag. 298</ref>. Attraverso l'IRI le imprese erano utilizzabili per finalità sociali e lo Stato doveva farsi carico dei costi e delle diseconomie generati dagli investimenti; significava che l'IRI non doveva necessariamente seguire criteri imprenditoriali nella sua attività, ma investire secondo quelli che erano gli interessi della collettività anche quando ciò avesse generato "oneri impropri", cioè anche in investimenti antieconomici<ref>M. Pini, ''I giorni dell'IRI'', pag. 26</ref>.
Questa prassi, generalmente ritenuta connaturata all'esistenza stessa dell'IRI per il suo essere ''[[azienda pubblica]]'', non era in realtà data per scontata al momento della sua creazione. La pratica amministrativa del suo fondatore, [[Alberto Beneduce]], si fondava al contrario sull'assoluto rigore di bilancio e sulla limitazione delle assunzioni all'essenziale per garantire un funzionamento snello ed efficiente dell'organizzazione<ref>M. Franzinelli, M. Magnani, ''Beneduce, il finanziere di Mussolini'', Mondadori 2009, pag. 239</ref>. Allo stesso modo, durante i primi anni di vita si scelse a livello gestionale di non procedere con operazioni di salvataggio, reali o camuffate<ref>ibidem, pagg. 230-31</ref>.
Critico verso la prassi assistenzialista, in linea quindi con la falsariga del modello beneduciano, fu il secondo Presidente della Repubblica Italiana, il liberista [[Luigi Einaudi]], che ebbe a dire: «''L'impresa pubblica, se non sia informata a criteri economici, tende al tipo dell'ospizio di carità''».
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Poiché gli obiettivi dello Stato erano sviluppare l'economia del Mezzogiorno e mantenere la piena occupazione, l'IRI doveva concentrare i propri investimenti nel [[Sud Italia|Sud]] ed incrementare l'occupazione nelle proprie imprese. La posizione di Petrilli rifletteva quelle già diffuse in alcune correnti della DC, che cercavano una "[[terza via]]" tra il [[liberismo]] ed il [[comunismo]]; il sistema misto delle imprese a partecipazione statale dell'IRI sembrava realizzare questo ibrido tra due sistemi agli antipodi.
=== Gli investimenti nel meridione d'Italia e
L'IRI effettivamente poneva in essere grandissimi investimenti nel Sud Italia, come la costruzione dell'[[Italsider]] di [[Taranto]] e quella dell'[[Alfasud (azienda)|AlfaSud]] di [[Pomigliano d'Arco]] e di [[Pratola Serra]]; altri furono programmati senza mai essere realizzati, come il centro siderurgico di [[Gioia Tauro]]. Per evitare gravi crisi occupazionali, l'IRI venne spesso chiamato in soccorso di
'''Gruppo IRI – andamento numero dipendenti'''<ref>da P. Bianchi, ''La rincorsa frenata-L'industria italiana dall'unità nazionale all'unificazione europea'', Il Mulino, 2002</ref>▼
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=== I debiti e la crisi degli anni 1970 ===
All'IRI vennero richiesti ingentissimi investimenti anche in periodi di crisi, quando i privati riducevano i loro investimenti. Lo Stato erogava i cosiddetti "fondi di dotazione" all'IRI, che poi li allocava alle sue caposettore sotto forma di capitale; tali fondi però non erano mai sufficienti per finanziare gli enormi investimenti e spesso venivano erogati con ritardo. L'Istituto e le sue aziende dovevano quindi finanziarsi con l'indebitamento bancario, che negli anni settanta crebbe a livelli vertiginosi: gli investimenti del gruppo IRI erano coperti da mezzi propri solo per il 14%; il caso più estremo era la [[Finsider]] dove nel [[1981]] questo rapporto scendeva al 5%<ref>M. Pini, ''I giorni dell'IRI'', Mondadori, 2004, pag. 67</ref>.
Gli oneri finanziari portarono in rosso i conti dell'IRI e delle sue controllate: nel 1976 si verificò che tutte le aziende del settore pubblico chiusero in perdita<ref>V. Castronovo, ''Storia dell'Industria italiana'', Mondadori, 2003</ref>. In particolare, la siderurgia e la cantieristica riportarono perdite fino agli anni ottanta, così come erano pessimi i risultati economici dell'[[Alfa Romeo]]. La gestione anti-economica delle aziende IRI portò gli azionisti privati ad uscire progressivamente dal loro capitale. All'inizio degli anni ottanta i governi iniziarono un ripensamento sulla funzione e sulla gestione delle aziende pubbliche.
=== La presidenza di Romano Prodi e la ristrutturazione degli anni 1980 ===
[[File:Romano Prodi in 1996.jpg|thumb|[[Romano Prodi]]]]
Nel 1982 il governo affidò la presidenza dell'IRI a [[Romano Prodi]]. La nomina di un [[economista]] (seppur sempre politicamente di area democristiana, come il predecessore [[Pietro Sette]]) alla guida dell'IRI costituiva in effetti un segno di discontinuità rispetto al passato. La ristrutturazione dell'IRI durante la presidenza Prodi, per far fronte alla situazione debitoria, portò a:
* la cessione di 29 aziende del gruppo, tra le quali la più grande fu l'[[Alfa Romeo]], privatizzata nel [[1986]];
* la diminuzione dei dipendenti, grazie alle cessioni e a numerosi prepensionamenti, soprattutto nella siderurgia e nei cantieri navali;
* la liquidazione di [[Finsider]], [[Italsider]] e [[Italstat]];
* lo scambio di alcune aziende tra [[STET]] e [[Finmeccanica]];
* la tentata vendita della [[SME (azienda)|SME]] al gruppo [[CIR (azienda)|CIR]] di [[Carlo De Benedetti]], operazione che venne fortemente ostacolata dal governo di [[Bettino Craxi]]. Fu organizzata una cordata di imprese, comprendente anche [[Silvio Berlusconi]], che avanzarono un'offerta alternativa per bloccare la vendita. L'offerta non venne poi onorata per carenze finanziarie, ma intanto la vendita della SME sfumò. Prodi fu accusato di aver stabilito un prezzo troppo basso (
Il risultato fu che nel 1987, per la prima volta da più di un decennio, l'IRI riportò il bilancio in utile, e di questo Prodi fece sempre un vanto, anche se a proposito di ciò [[Enrico Cuccia]] affermò:
{{Citazione| (Prodi) nel 1988 ha solo imputato a riserve le perdite sulla siderurgia, perdendo come negli anni precedenti.| S.Bocconi, ''I ricordi di Cuccia. E quella sfiducia sugli italiani'', [[Corriere della Sera]], 12 novembre 2007}}
È comunque indubbio che in quegli anni l'IRI aveva cessato di crescere e di allargare il proprio campo di attività, come invece aveva fatto nel decennio precedente; intanto però la [[Commissione Europea]], per garantire il principio della [[libera concorrenza]], negli anni ottanta aveva incominciato a contestare alcune pratiche messe in atto dai governi italiani, come la garanzia dello Stato sui debiti delle aziende siderurgiche e la pratica di affidare i lavori pubblici all'interno del gruppo IRI senza indire gara d'appalto europea. La [[ricapitalizzazione]] delle aziende pubbliche e la garanzia dello Stato sui loro debiti furono da allora considerati [[aiuti di Stato]], in contrasto con i principi su cui si basava la [[Comunità Europea]]; l'Italia si trovò quindi nella necessità di riformare, secondo criteri di gestione più vicini a quelli delle imprese private, il suo settore pubblico, incentrato su IRI, [[Eni]] ed [[EFIM]].
=== Il trattato di Maastricht,
{{Vedi anche|Privatizzazioni in Italia}}
Per evitare una grave crisi d'insolvenza, Van Miert concluse, alla fine del 1993, con l'allora ministro degli Esteri [[Beniamino Andreatta]] un accordo<ref>[http://europa.eu/rapid/press-release_IP-96-1197_it.htm europa.eu: press release IP-96-1197]</ref>, che consentiva allo Stato italiano di pagare i debiti dell'EFIM, ma a condizione dell'impegno incondizionato a stabilizzare i debiti di IRI, ENI ed [[Enel]] e poi a ridurli progressivamente ad un livello comparabile con quello delle aziende private entro il [[1996]]. Per ridurre in modo così sostanzioso i debiti degli ex-enti pubblici, l'Italia non poteva che privatizzare gran parte delle aziende partecipate dall'IRI.
L'accordo Andreatta-Van Miert impresse una forte accelerazione alle [[privatizzazioni in Italia]]
Tra il 1992 ed il 2000 l'IRI vendette partecipazioni e [[azienda (ordinamento italiano) |rami d'azienda]], che determinarono un incasso per il Ministero del tesoro, suo unico azionista, di {{formatnum:56051}} miliardi di lire, cui vanno aggiunti i debiti trasferiti.<ref>[[Mediobanca]] Ricerche e Studi,''Le privatizzazioni in Italia dal 1992'', 2000</ref> Hanno suscitato critiche le cessioni ai privati, tra le altre, di aziende in posizione pressoché monopolistica, come [[TIM (azienda)|Telecom Italia]] ed [[Autostrade per l'Italia]]; cessioni che hanno garantito agli acquirenti posizioni di rendita.
Particolarmente critica fu la privatizzazione di [[Autostrade per l'Italia#La privatizzazione del 1999|Autostrade per l'Italia]], decisa nel 1997 e completata due anni più tardi. Per liquidare il Ministero del tesoro, si rese necessario reperire sul mercato una somma compresa fra i 4.500 e i 5.000 miliardi lire, dei quali il 40% avrebbe dovuto provenire da un "nucleo stabile" di azionisti, formato da una ventina di realtà imprenditoriali e finanziarie. A capo del progetto iniziale di cordata erano [[Lazard]], [[Banca Generali|Generali]], insieme alla banca [[Rothschild]].<ref>{{cita web | autore = Enzo Cirillo | url = https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/09/23/agip-rothschild-entrano-in-autostrade.html | titolo = Agip e rothschild entrano in autostrade | città = Roma | data = 23 gennaio 1997 | urlarchivio = https://archive.is/20190907115521/https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/09/23/agip-rothschild-entrano-in-autostrade.html | dataarchivio = 7 settembre 2019 | urlmorto = no | accesso = 7 settembre 2019}}</ref>
Le poche aziende ([[Finmeccanica]], [[Fincantieri]], [[Fintecna]], [[Alitalia]] e [[RAI]]) rimaste in mano all'IRI furono trasferite sotto il diretto controllo del [[Ministero del tesoro]]. Nonostante alcune proposte di mantenerlo in vita, trasformandolo in una non meglio precisata "agenzia per lo sviluppo", il 27 giugno [[2000]] l'IRI fu messo in liquidazione e nel [[2002]] fu incorporato in [[Fintecna]], scomparendo definitivamente. Prima di essere incorporato dalla sua ex controllata ha però versato al Tesoro un assegno di oltre 5000 miliardi di lire,
== Natura giuridica ed organizzazione ==
▲=== La liquidazione e l'incorporazione in Fintecna ===
▲Le poche aziende ([[Finmeccanica]], [[Fincantieri]], [[Fintecna]], [[Alitalia]] e [[RAI]]) rimaste in mano all'IRI furono trasferite sotto il diretto controllo del [[Ministero del tesoro]]. Nonostante alcune proposte di mantenerlo in vita, trasformandolo in una non meglio precisata "agenzia per lo sviluppo", il 27 giugno [[2000]] l'IRI fu messo in liquidazione e nel [[2002]] fu incorporato in [[Fintecna]], scomparendo definitivamente. Prima di essere incorporato dalla sua ex controllata ha però versato al Tesoro un assegno di oltre 5000 miliardi di lire, naturalmente dopo aver saldato ogni suo debito.
Per la maggior parte della sua storia l'IRI è stato un [[ente pubblico economico]] dipendente funzionalmente dal [[Ministero delle partecipazioni statali]], che fino agli anni ottanta fu quasi ininterrottamente ricoperto da esponenti della [[Democrazia Cristiana|DC]].
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**[[Banco di Santo Spirito]]
== Le "
== Dati statistici ==
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== Presidenti ==
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* Massimo Pini, ''I giorni dell'IRI – Storie e misfatti da Beneduce a Prodi'', Arnoldo Mondadori Editore, 2004. ISBN 88-04-52950-4
* [[Mimmo Franzinelli]], Marco Magnani. ''Beneduce: il finanziere di Mussolini'', Milano, Mondadori, 2009. ISBN 9788804585930.
* [[Piercarlo Ravazzi]], "Le privatizzazioni del gruppo e la liquidazione
== Voci correlate ==
* [[Alberto Beneduce]]
* [[Governo Amato I]]
* [[Intersind]]▼
* [[Fintecna]]
* [[Politica economica fascista]]
* [[Politica industriale]]
* [[Partecipazioni statali in Italia]]
▲* [[Intersind]]
* [[Privatizzazioni in Italia]]
* [[Processo SME]]
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