Utente:L'inesprimibile nulla/Sandbox 2: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Prime sedi: riassumo
Dexbot (discussione | contributi)
m Bot: Removing Link GA
 
(260 versioni intermedie di 2 utenti non mostrate)
Riga 1:
{{nota disambigua}}
[[File:Ponti, Carlo (ca. 1823-1893) - Venezia - Palazzo Ducale.jpg|thumb|upright=1.4|Palazzo Ducale a metà dell'Ottocento in una foto storica realizzata dal fotografo [[Carlo Ponti (fotografo)|Carlo Ponti]].]]
{{Bio
|Immagine=File:Aristides med himation över chiton, Nordisk familjebok.png
|Didascalia=
|Nome = Aristide
|PostCognomeVirgola = figlio di Lisimaco, detto "il Giusto"
|PreData = {{lang-grc|Ἀριστείδης|Aristéides}}, {{latino|Aristides}}
|Sesso = M
|LuogoNascita = Atene
|AnnoNascita = [[540 a.C.]] circa
|LuogoMorte = Atene
|AnnoMorte = prima del [[462 a.C.]]
|Attività = politico
|Attività2 = militare
|Nazionalità = ateniese
|PostNazionalità = , celebre avversario di [[Temistocle]]
|Immagine = Aristides12.jpg
}} Esistono due biografie antiche della sua persona, l'una redatta in [[Lingua latina|latino]] da [[Cornelio Nepote]], l'altra, ben più estesa ed affidabile,<ref>{{cita|Fink|pp. 11-13, 192-193 (fonti)}}.</ref> composta in [[greco antico|greco]] da [[Plutarco]], che attinsero a fonti più o meno affidabili per tracciarne un accurato ritratto.<ref>{{cita|Smith}}.</ref>
 
== Prime sedi Biografia==
=== Origini e personalità (Plutarco, I) ===
[[Paolo Lucio Anafesto]] fu il primo doge della repubblica: la sua sede, della quale non rimangono resti, fu posta ad [[Eraclea]]: era ben diversa da quella attuale.<ref name=Z4>{{cita|Zanotto|p. 4}}.</ref><ref name=Z5>{{cita|Zanotto|p. 5}}.</ref> Causa continue lotte intestine e l'uccisione di [[Orso Ipato]], le funzioni dogali furono delegate per breve tempo a un magistrato eletto annualmente.<ref name=Z5/> Poiché [[Teodato Ipato]] accusava gli abitanti di Eraclea di aver ucciso suo padre, trasferì la propria sede nella fiorente cittadina di [[Malamocco]].<ref name=Z5/> La nuova casa dogale fu abbandonata nel [[812]] per ordine di [[Angelo Partecipazio]], che decise di trasferire la sede ducale a Rivoalto, luogo più sicuro,<ref name=Z8>{{cita|Zanotto|p. 8}}.</ref> edificandola su un terreno di sua proprietà.<ref name=brusegan123>{{cita|Brusegan|p. 123}}.</ref> L'edificio, completato sotto [[Pietro IV Candiano]], aveva l'aspetto di un castello:<ref>{{cita|Zanotto|p. 10}}.</ref><ref name=brusegan123/> si può affermare ciò con certezza perché riuscì a resistere a una rivolta popolare del [[976]]<ref>{{cita|Zanotto|p. 12}}.</ref> e dovevasi trattare di una struttura molto resistente.<ref>{{cita|Zanotto|p. 13}}.</ref>
[[Immagine:Alexandria18.jpg|miniatura|Statua di Demetrio, che tentò di incrinare il mito di Aristide, posta all'ingresso della [[Bibliotheca Alexandrina]]]]
Figlio dell'ateniese Lisimaco,<ref>{{cita|Erodoto|VIII, 79}}.</ref><ref>{{cita|Tucidide|I, 91}}.</ref> la sua famiglia, di cui faceva parte a titolo di cugino anche [[Callia I|Callia]], politico ed atleta olimpionico, era antica e nobile: nacque membro della tribù [[Antiochide]], nel demo di [[Alopece]]. Per quanto riguarda la sua nomea, [[Plutarco]] stesso afferma che, pur essendo le sue fonti in disaccordo, sia probabile che essa sia connessa al fatto che abbia vissuto in estrema povertà, opponendosi al malcostume e alla corruzione, tanto in povertà che le sue due figlie non riuscirono per molto tempo a sposarsi non riuscendo a procurare una dote sufficiente.<ref>{{cita|Plutarco|I, 1}}.</ref> Nonostante questa versione sia quella riportata dalla maggior parte degli autori, lo stesso Plutarco ammette che altri, tra i quali [[Demetrio di Falero|Demetrio]], autore che nella sua opera ''Socrate'' accusò anche Socrate di fingersi povero, affermino che egli fosse proprietario di un possedimento nel [[demo]] del [[Falero (demo)|Falero]], nel quale fu seppellito, adducendo varie prove della sua ricchezza.
* Sarebbe divenuto [[arconte eponimo]], carica che si poteva ottenere solo facendo parte di quelle famiglie che possedevano le proprietà terriere più vaste, famiglie che erano note col nome di [[pentacosiomedimni]].<ref>{{cita|Plutarco|I, 2}}.</ref> Tuttavia, Idomeneo riporta che Aristide ottenne la carica di arconte non per il rango sociale, ma per l'elezione da parte dell'assemblea popolare, come fu uso ad Atene dal [[508 a.C.|508]] al [[487 a.C.]], periodo nel quale, come deve ammettere l'accusatore stesso, il condottiero ottenne vari successi militari e conseguentemente l'apprezzamento del popolo.<ref>{{cita|Plutarco|I, 8}}.</ref>
* Sarebbe stato vittima dell'ostracismo, che, se non era una pratica consueta per gli uomini poveri, lo era per quanti appartenessero a famiglie prestigiose, poiché questi erano più facilmente invidiati dal volgo per il benessere economico.<ref name=PLI3/> Tuttavia, Plutarco afferma che spesso altri soggetti meno abbienti potessero subire la stessa pena semplicemente per la reputazione, per l'incorruttibilità o per l'eloquenza.<ref>{{cita|Plutarco|I, 7}}.</ref>
* Aristide inoltre pose in prossimità del tempio di Dioniso come ringraziamento per la vittoria alcuni tripodi da corego, conservatisi almeno sino al [[II secolo|II secolo d.C.]], sui quali era scritto: "La tribù Antiochide vinse; Aristide fu il corego; Archestrato fu il poeta". Logicamente, per poter essere corego e conseguentemente finanziare un'attività dispendiosa come una rappresentazione teatrale, erano necessario un grande patrimonio.<ref name=PLI3>{{cita|Plutarco|I, 3}}.</ref> Nonostante quest'ultimo argomento possa apparire decisivo, esso è confutato da vari argomenti.
** Sia [[Epaminonda]] sia [[Platone]], che è noto vissero in estrema povertà, si presero carico di questa attività, offrendo alla cittadinanza rispettivamente spettacoli di [[flauto]] e di [[danza]] che però finanziarono col denaro di amici, quali i ricchi [[Pelopida]] e [[Dione di Siracusa]]: non si può quindi escludere che Aristide non abbia fatto altrettanto,<ref>{{cita|Plutarco|I, 4}}.</ref> destinando alla comunità un patrimonio di cui invece avrebbe potuto disporre liberamente.<ref name=PLI5>{{cita|Plutarco|I, 5}}.</ref>
** L'autore che avanzava questa critica si sarebbe potuto ingannare sul nome, secondo [[Panezio]] confondendo Aristide con un omonimo,<ref name=PLI5/> dato che nel periodo di massima fortuna del mondo greco, quello compreso tra le [[Guerre persiane]] e la [[Guerra del Peloponneso]], è attestata l'esistenza di soli due coreghi vittoriosi chiamati Aristide: il primo fu figlio di Xenofilo e non di Lisimaco, il secondo visse molto tempo dopo. Dato che l'iscrizione adotta, come tutte quelle realizzate dopo l'arcontato eponimo di Euclide ([[403 a.C.]]), l'[[alfabeto ionico]], si sarebbe quindi propensi a credere che l'Aristide citato nell'iscrizione sia proprio il secondo: ciò è confermato anche dal secondo nome, quello di un poeta che, se non fu mai citato al tempo delle Guerre Persiane, fu abbastanza popolare durante la Guerra del Peloponneso, quando era quindi in vita quello che sarebbe quindi stato il suo committente, dedicandosi alla poesia corale.<ref>{{cita|Plutarco|I, 6}}.</ref>
 
=== Cause dello scontro con Temistocle (Plutarco, II-III) ===
[[File:Meister_der_Reichenauer_Schule_002.jpg|thumb|Ottone III.]]
{{Vedi anche|Temistocle}}
=== Ottone III, Enrico IV e Enrico V a Venezia ===
Ventidue anni dopo il sopraccitato incendio, [[Ottone III]] decise di venire a Venezia per incontrare [[Pietro II Orseolo]], figlio del precedente.<ref>{{cita|Zanotto|p. 15}}.</ref> Il doge gli preparò un appartamento nella torre orientale.<ref name=Z16>{{cita|Zanotto|p. 16}}.</ref> Considerato il soffermarsi degli autori dell'epoca su quest'ultimo dettaglio, possiamo dedurre che il palazzo fosse dotato di almeno due torri, una occidentale e una orientale, poste alle due estremità della facciata rivolta verso la laguna.<ref name=Z16/> Le cronache dell'epoca si soffermano anche sul descrivere l'apprezzamento dell'imperatore per i decori interni del palazzo, pari forse solo a quelli delle dimore imperiali, che erano stati perfezionati dall'allora doge Pietro II Orseolo.<ref name=Z16/><ref>{{cita|Sagornino|p. 116}}.</ref>
 
[[File:Beeld, Themistocles - Unknown - 20408396 - RCE.jpg|miniatura|Busto di Temistocle]]
Dal [[998]], anno in cui Ottone III fu ospite a Palazzo Ducale, al [[1105]] non sono presenti fonti che diano informazioni precise sulle ristrutturazioni subite dalla fabbrica dell'edificio.<ref>{{cita|Zanotto|p. 17}}.</ref> È tuttavia probabile che [[Domenico Selvo]], doge tra il [[1071]] e il [[1084]], abbia curato la decorazione del palazzo in quanto egli stesso diede un forte impulso a quella della chiesa attigua.<ref name=Z18>{{cita|Zanotto|p. 18}}.</ref> Tuttavia tutti questi decori vennero distrutti nei successivi restauri e in particolare dall'incendio del [[1574]]: come ricorda [[Francesco Sansovino]], furono distrutte "le porte di marmo pario colonnate e figurate con gran maestria" che erano presenti nella sala delle Quattro Porte.<ref name=Z18/> Il successivo doge [[Vitale Falier]] ebbe modo di ospitare a palazzo l'imperatore [[Enrico IV di Franconia]] che, essendo devotissimo, ebbe modo di venire in città in quanto ivi si trovava il corpo dell'evangelista Marco.<ref name=Z19>{{cita|Zanotto|p. 19}}.</ref> Sotto il dogato di [[Ordelaffo Falier]] avvennero, alla distanza di due mesi, approssimativamente attorno all'anno [[1105]], due incendi, che distrussero vari edifici cittadini.<ref name=Z19/> Il più tragico dei due fu probabilmente il secondo, scoppiato a causa di un fulmine e diffusosi a causa del forte vento.<ref name=Z19/> I danni che tale incendio provocò alla basilica e al palazzo sono solo accennati dagli storici dell'epoca,<ref name=Z20>{{cita|Zanotto|p. 20}}.</ref> che non descrivono neppure la ristrutturazione curata dal doge, conclusasi prima del [[1116]], anno in cui ospitò [[Enrico V di Franconia]].<ref name=Z20/>
Aristide era un amico intimo di [[Clistene]], lo statista che aveva riorganizzato la [[democrazia ateniese]] dopo l'espulsione di [[Ippia (tiranno)|Ippia]], e un ammiratore di [[Licurgo]], dal momento che propendeva per l'attuazione di un governo di carattere [[aristocrazia|aristocratico]], in opposizione con [[Temistocle]], rappresentante delle forze popolari. La tradizione afferma che essi, fino dalla più tenera età, quando ebbero modo di trovarsi a discutere di questioni serie o meno, non riuscirono mai a trovare un accordo su alcuna cosa.<ref>{{cita|Plutarco|II, 1}}.</ref> Tuttavia, in queste scontri ebbe modo di emergere quale sarebbe stata la natura dei due personaggi: se Temistocle era abile, incauto, senza scrupoli, Aristide era caratterizzato da un carattere forte, da un animo improntato alla giustizia, dal ribrezzo per la falsità e per la volgarità.<ref>{{cita|Plutarco|II, 2}}.</ref> Se secondo Plutarco Temistocle pose alle basi del suo successo una profonda rete di conoscenze e di amicizie, che comprendevano persone nei confronti delle quali egli non sarebbe mai potuto essere imparziale,<ref>{{cita|Plutarco|II, 4}}.</ref> Aristide non ebbe mai modo di tessere rapporti influenti per avvantaggiare la propria ascesa politica, che condusse sostanzialmente senza compagni per due ragioni.<ref>{{cita|Plutarco|II, 5}}.</ref>
* Non voleva vedersi indotto né a unirsi a loro nell'errore né a minacciarli adducendo il rifiuto dei favori che gli avessero chiesto.
* Considerato che aveva avuto modo di osservare come il potere derivato dalle conoscenze avesse indotto molte persone a fare il male, si era sempre tenuto in guardia da queste relazioni, ritenendo giusto che dei cittadini onesti dovessero basare il loro successo solo sul mantenere una condotta servizievole e proba.
 
Se l'opposizione tra i due pare avere origini politiche, [[Aristone di Ceo]] afferma che la loro così intensa avversità fosse nata in conseguenza di una contesa amorosa e [[omosessualità|omosessuale]] per il giovane e bellissimo [[Stesilao]]: Plutarco commenta che, se una volta che la bellezza del giovane era venuto meno per l'età i due avevano proseguito a contrastarsi, era solo perché questa attività era ormai divenuta quasi una parte integrante della loro quotidianità.<ref>{{cita|Plutarco|II, 3}}.</ref>
== Ampliamenti ==
[[File:Le_Porte_di_Venezia.JPG|thumb|left|Le Colonne di San Marco e San Todaro.]]
=== Le colonne di Piazza San Marco ===
{{Vedi anche|Colonne di San Marco e San Todaro}}
I dogi che governarono tra il [[1117]] e il [[1172]] secondo le cronache d'epoca non effettuarono ristrutturazioni.<ref name=Z22>{{cita|Zanotto|p. 22}}.</ref> Secondo le cronache, risale a quell'epoca la posa delle due colonne che caratterizzano la piazzetta antistante il palazzo. Secondo molte fonti, esse giunsero da [[Costantinopoli]] nel [[1172]], cioè appena dopo la morte di [[Vitale II Michiel]]. Tuttavia, la data dell'arrivo delle colonne va fatta risalire al dogato di [[Domenico Michiel]]: sarebbe stato l'appartenere alla stessa famiglia dei due dogi a trarre in inganno gli scrittori dell'epoca.<ref name=Z22/> Questa seconda teoria è supportata dai seguenti elementi: in primo luogo il dogato di Vitale II Michiel fu caratterizzato dallo scoppiare di forti contrasti tra veneziani e turchi, e questi ultimi non avrebbero mai concesso l'asportazione delle colonne;<ref name=Z23>{{cita|Zanotto|p. 23}}.</ref> in secondo luogo, Francesco Foscari, affermando che "quelle colonne stettero per molti anni in terra, non si trovando persona cui bastasse l'animo di levarle in piedi", ci suggerisce che doveva essere passato un discreto lasso di tempo tra l'arrivo delle colonne e il loro innalzamento. Ciò significa che, se il loro arrivo risalisse alla fine del dogato di Vitale II Michiel o all'inizio di quello di Sebastiano Ziani, non si comprenderebbe come avessero potuto giacere in terra per molti anni.<ref name=Z23/> L'innalzamento delle colonne deve essere quindi avvenuto attorno all'anno [[1130]].<ref name=Z23/>
 
Da quando Temistocle, aizzatore delle folle, cominciò a opporsi apertamente al suo avversario, Aristide stesso cominciò a ricambiare le mosse del concorrente, per difendersi e per fargli concorrenza tentando di contenere la sua rete di conoscenze.<ref>{{cita|Plutarco|III, 1}}.</ref> In alcuni frangenti, la sua opposizione vittoriosa nei confronti dell'avversario fu dettata dalla necessità di prendere alcuni provvedimenti fondamentali: la tradizione, tramite la penna di Plutarco, ci offre vari aneddoti tratti da questi scontri.
=== Sebastiano Ziani ===
* Si dice che anche in questi contesti, uscendo dall'assemblea e rendendosi conto che anche quando avesse preso il controllo dello stato non avrebbe mantenuto per i cittadini la pace, abbia affermato che non ci sarebbe stata stabilità nella politica fino alla cessazione del suo personale conflitto, che si sarebbe concluso solo con la morte di entrambi i contendenti.<ref name=PLIII2>{{cita|Plutarco|III, 2}}.</ref>
Il complesso subì una prima grande ristrutturazione, che trasformò la fortezza originaria in un elegante palazzo privo di fortificazioni, nel [[XII secolo]], durante il [[dogado]] di [[Sebastiano Ziani]], eletto doge nel [[1172]]. Infatti questa volta l'edificio venne realizzato secondo gli stilemi dell'arte veneto-bizantina, in conformità con le principali architetture ad esso contemporanee.<ref name=brusegan123/> È probabile che nella realizzazione abbia avuto un ruolo primario [[Nicolò Barattiero]], colui che eresse le due colonne e realizzò in una primaria forma il [[Ponte di Rialto]].<ref name=Z26>{{cita|Zanotto|p. 26}}.</ref> In particolare, è probabile che lo stile presentasse anche elementi riconducibili alla tradizione lombarda, essendo Barattiero nato in lombardia.<ref name=Z26/> Tuttavia questo doge fu responsabile anche di altre grandi operazioni urbanistiche ed edilizie: fece ingrandire Piazza e Piazzetta San Marco, le fece circondare da edifici lussuosi, fece demolire la muraglia merlata che le circondava e fece ristrutturare Palazzo Ducale e la chiesa attigua.<ref name=Z23/> Il fatto che mura merlate, edificate nel [[IX secolo]] per proteggere la città dalle invasioni, circondassero la piazza non è ricordato dagli storici delle epoche successive, ma è attestato da una piantina di Venezia risalente al [[XII secolo]].<ref name=Z24>{{cita|Zanotto|p. 24}}.</ref> Il fatto che le colonne furono erette durante questo dogato è quindi attestato anche dal fatto che prima le mura stesse fossero d'impedimento per la realizzazione della suddetta opera.<ref name=Z24/>
* Si dice che, dopo aver proposto tra mille critiche e opposizioni una misura veramente utile per la popolazione, raggiungendo una sostanziale approvazione, si sia ritirato senza votare quando il presidente era sul punto di metterla ai voti finali, comprendendo che essa si sarebbe rivelata inefficace e non sarebbe stata rispettata, come reso palese dai discorsi degli oppositori.<ref name=PLIII2/>
* Molte volte egli avrebbe voluto introdurre provvedimenti per altri uomini, ma avrebbe preferito rivolgersi ad altri uomini affinché lo sostituissero, cosicché Temistocle non reprimesse queste queste iniziative.<ref name=PLIII3>{{cita|Plutarco|III, 3}}.</ref>
 
Altresì fu ammirabile la sua salda costanza durante le variazioni di governo. Egli non si esaltò mai per gli onori, e affrontò le avversità con moderazione, mentre in tutti i casi egli considerò suo dovere dare i propri servigi alla patria gratuitamente e senza alcun guadagno, né economico, né in onore.<ref name=PLIII3/> La storiografia trasmette che gli venne rivolto lo sguardo di tutti gli spettatori nel momento in cui durante la prima rappresentazione de ''[[I sette contro Tebe]]'' di [[Eschilo]] vennero pronunciati alcuni versi descriventi [[Anfiarao]] come modello di eccellenza.<ref name=PLIII4>{{cita|Plutarco|III, 4}}.</ref><ref>{{cita libro|titolo=[[I sette contro Tebe]]|autore=[[Eschilo]]|capitolo=592
L'ampliamento degli spazi era legato alla necessità di dare una sede ai molti organi ed uffici che stavano sorgendo in quel periodo.<ref name=brusegan123/> In merito a tale operazione, Francesco Sansovino ricorda che "non solamente averlo esso Ziani rinovato, eziandio ingrandito per ogni verso".<ref name=Z24/> Tuttavia il resoconto che viene fatto dagli storici in relazione a quest'opera di ristrutturazione non è affatto preciso. È probabile che, considerato che le mura suddette costeggiavano pure il canale posto oggi lungo la facciata orientale del palazzo, vi fosse tra l'antico muro del palazzo e il muro di difesa affacciato sul canale uno spazio atto a far entrare la luce all'interno delle finestre del palazzo: con l'abbattimento del muro, fu possibile quindi occupare quello spazio.<ref name=Z25>{{cita|Zanotto|p. 25}}.</ref> I lavori si protrassero dal [[1173]] al [[1177]].<ref name=Z28>{{cita|Zanotto|p. 28}}.</ref> Per realizzare ulteriori ampliamenti furono acquistati terreni facenti capo alle monache della [[chiesa di San Zaccaria (Venezia)|chiesa di San Zaccaria]], che si estendevano fino alla [[chiesa di Santa Maria in Broglio]].<ref name=Z25/> Per realizzare l'espansione, furono abbattute varie ali della prima fabbrica, quelle rivolte verso il canale, la laguna e la piazzetta. Non fu invece abbattuta l'ala prospiciente la chiesa, in quanto lì si trovavano le stanze dogali e nello stesso tempo non sarebbe stato possibile realizzare nuove stanze in quella zona.<ref name=Z25/> È probabile che l'ampliamento fu così sostanzioso che la piazzetta rivolta alla laguna, in precedenza più ampia, venne ridotta a una semplice fondamenta collegata alla seguente da un ponte. Un cronachista appuntò nel [[1285]] che era stata "fatta aggrandare dal doge Dandolo la piazza verso la laguna, che prima non vi era se non un poco di fondamenta, ov<nowiki>'</nowiki>era un ponte". Appena dopo la conclusione del cantiere albergarono a Venezia [[papa Alessandro III]] e l'imperatore [[Federico Barbarossa]], che avevano raggiunto una pacificazione grazie all'intermediazione dogale. In particolare, sappiamo che l'imperatore restò a Venezia due mesi, soggiornando a Palazzo.<ref name=Z28/>
|citazione=Egli vuole, e non parere, savio, / avendo nella mente un profondo solco, / donde nobile semenza di consigli / tutt'ora germoglia in abbondanza.}}</ref>
 
=== Battaglia di Maratona ===
=== Enrico Dandolo, Pietro Ziani, Jacopo Tiepolo ===
{{Vedi anche|Prima guerra persiana|Battaglia di Maratona}}
[[File:Venezia,_grosso_da_26_denari_(matapan)_di_enrico_dandolo,_1192-1205.JPG|thumb|Enrico Dandolo.]]
Dopo [[Orio Mastropiero]] salì al trono [[Enrico Dandolo]], il quale, audace condottiero, aveva promesso come voto l'erezione di una cappella in onore di [[San Nicola di Bari|San Nicolò]], affinché questo lo proteggesse nella sua guerra contro i turchi.<ref name=Z29>{{cita|Zanotto|p. 29}}.</ref> La cappella venne edificata sotto il dogato di [[Pietro Ziani]]: si pensò a lungo che la cappella fosse stata eretta per volontà di quest'ultimo, ma, considerato che le pareti raffigurano la conquista di Costantinopoli, è più probabile si tratti del tardivo adempimento del voto del precedente doge.<ref name=Z29/> Erede politico di Ziani fu [[Jacopo Tiepolo]], autore secondo [[Gerolamo de Bardi]] di una decorazione della Sala del Maggior Consiglio che prevedeva la descrizione della vita di Alessandro III.<ref name=Z30>{{cita|Zanotto|p. 30}}.</ref> A proposito dell'esistenza o meno di questa decorazione esistono alcuni elementi: in primo luogo, non conosciamo dove si riunisse il Maggior Consiglio prima del [[1309]] (anche se si può ipotizzare con una buona approssimazione che fosse dove si sarebbe riunito dopo il 1423)<ref>{{cita|Zanotto|p. 49}}.</ref>, anno in cui si stabilì nella Sala dei Pregadi per rimanere in quella sede sino al [[1423]]; in secondo luogo, è impossibile che le decorazioni dell'epoca si fossero conservate fino agli anni del Bardi in quanto quella sala venne ridecorata per un decreto del [[1340]].<ref name=Z30/> È quindi probabile che i dipinti osservati dal Bardi siano stati realizzati nel [[1365]].<ref name=Z31>{{cita|Zanotto|p. 31}}.</ref> Durante il dogato del Tiepolo si ebbe un incendio (o nel [[1230]] o nel [[1231]]) ma, al contrario di ciò che è attestato da molte fonti d'epoca, è possibile affermare con certezza che Palazzo Ducale non subì danni.<ref name=Z31/>
 
[[File:Hill where the Athenians were buried after the Battle of Marathon.jpg|miniatura|Il [[Soros (Maratona)|Soros]] di Maratona nel 2005]]
[[File:SilverGrossoDogeRanieroZeno1253-1268Venice.jpg|thumb|left|Renier Zen.]]
=== Renier Zen, Lorenzo Tiepolo, Giovanni Dandolo ===
Fino al [[1301]] non è riportato in alcuna cronaca se il palazzo fu oggetto di altri lavori, ma ciò non significa che in quel lasso di tempo non vi fu cantiere alcuno in Palazzo Ducale;<ref>{{cita|Zanotto|p. 34}}.</ref> nel [[1232]] [[Federico II di Svevia]] venne ospitato nel palazzo.<ref>{{cita|Zanotto|p. 35}}.</ref>
 
La prima fonte storica che affianca Aristide e Temistocle è [[Erodoto]], che afferma che combatterono assieme durante la [[battaglia di Maratona]], [[Aristide]] come condottiero della [[Tribù#Trib.C3.B9_di_Atene|tribù]] [[Antiochide]] e l'avversario a capo della [[Leontide]], che vennero schierate su quattro ranghi invece che su otto.<ref>{{cita|Erodoto|VI, 111}}.</ref><ref>{{cita|Plutarco|V, 3}}.</ref> Alla fine dello scontro, il solo Aristide, cui erano stati affidati il bottino e i prigionieri,<ref>{{cita|Plutarco|V, 4-5}}.</ref> rimase sul [[campo di battaglia di Maratona|campo dello scontro]]: secondo la tradizione storiografica, che a livello di questo passo viene contestata,<ref>{{cita|Fink|pp. 175, 178-181, 215-216 (fonti)}}.</ref> [[Milziade]] si era invece precipitato ad [[Atene]] per proteggere la propria città da una manovra d'aggiramento da parte dei [[Impero achemenide|nemici]].
Sotto il dogato di [[Renier Zen]] la piazza venne selciata.<ref>{{cita|Zanotto|p. 36}}.</ref> Si racconta inoltre che appena dopo la nomina a doge di [[Lorenzo Tiepolo (doge)|Lorenzo Tiepolo]] rimase su pianerottolo della scala principale del palazzo, sita ove oggi si trova la Scala dei Giganti e di fronte a quello che era l'ingresso principale del palazzo, per ascoltare le lodi che gli erano rivolte: tale uso, forse anteriore al Tiepolo, venne mantenuto anche in seguito, solo che con qualche variazione.<ref name=Z37>{{cita|Zanotto|p. 37}}.</ref>
 
Secondo Peter Krentz Aristide, rimasto sul campo di battaglia con le proprie truppe, ordinò di cominciare i preparativi per la cremazione delle salme degli Ateniesi dopo la partenza del resto dell'esercito: il luogo prescelto venne contrassegnato con uno strato di sabbia e di terra verdastra, sopra vi fu costruito un basamento in mattoni per la cremazione, largo circa 1 metro e lungo 5, che sostenne la pira. In quel luogo fu poi costruito il tumulo che divenne noto come "Soros", sulla cui cima furono apposte delle lapidi che riportavano i nomi dei 192 caduti divisi per tribù di appartenenza.<ref>{{cita|Pausania|I, 32, 3}}.</ref>
Tale evento ha però anche un'importanza storica ulteriore: sotto [[Giovanni Dandolo]] venne infatti eretta una loggia che, nonostante alcune testimonianze che la collocherebbero presso la [[Chiesa di San Basso (Venezia)|chiesa di San Basso]], si trovava probabilmente ove oggi ve ne è una ai piedi del campanile.<ref name=Z37/> Dato che probabilmente essa si trovava in linea con la porta principale del palazzo e quindi con la suddetta scala, possiamo affermare che la prima porta si trovava ove poscia fu eretta la Porta della Carta.<ref>{{cita|Zanotto|p. 38}}.</ref> Il doge che eresse questa loggetta fu pure colui che ordinò l'ampliamento della piazza rivolta verso la laguna.
 
L'anno successivo alla battaglia di Maratona, forse in conseguenza del suo ruolo non secondario durante lo scontro, venne fatto [[arconte eponimo]], come attestato dal [[Marmor Parium]], stele che permette la ricostruzione dei più importanti eventi dell'antichità, in quanto riporta il ciclo delle [[Olimpiadi]] e il nome degli arconti ad Atene.<ref>{{cita libro|titolo=Marmor Parium|capitolo=50}}</ref>
=== Il Maggior Consiglio nella Sala del Senato ===
[[File:Venezia,_ducato_(zecchino)_di_pietro_gradenigo,_1289-1310.JPG|thumb|Pietro Gradenigo.]]
Dopo [[Francesco Dandolo]] salì al trono [[Pietro Gradenigo]], autore di una serie di leggi meglio note col nome di ''Serrata del Maggior Consiglio'', operazione volta a consentire l'accesso al Maggior Consiglio solo a coloro che fossero stati in grado di dimostrare che i loro antenati avevano già avuto modo di partecipare al detto consiglio.<ref name=Z41>{{cita|Zanotto|p. 41}}.</ref> Data questa definizione, e analizzato quale fosse il fine di tale legge, il nome di serrata non corrisponde a una riduzione del numero di coloro che erano ammessi al consiglio stesso. Si ebbe dunque un accrescimento del numero dei consiglieri,<ref>{{cita|Cappelletti|III, p. 140 e segg.}}</ref> che rese necessario un ampliamento dei locali volti ad ospitare il consiglio stesso, i cui membri erano passati da 317 nel [[1264]] a 900 nel [[1310]] e a 1017 l'anno successivo. Alcune cronache<ref>{{cita libro|autore=G. C. Sivos|titolo=Vite di tutti li Dogi di Venezia, fino V anno 1631, divisa in quattro parti|volume=II|p=107}}</ref> riportano che nel [[1301]] "fu preso parte di fare una Sala grande per la riduzione del gran Consiglio, et fu fatta quella che ora si chiama dello scrutinio": i lavori secondo [[Francesco Sansovino]] si conclusero nel [[1309]] e il Maggior Consiglio continuò a riunirsi in quella sala fino al [[1423]].<ref name=sansovino324>{{cita|Sansovino|p. 324}}.</ref><ref name=Z41/> I locali ospitanti i servizi e gli organi connessi al Maggior Consiglio furono trasferiti in un luogo limitrofo alla suddetta Sala di Pregadi.
 
=== Tra le guerre persiane ===
La datazione di tale cantiere non può essere però data con estrema precisione (nonostante grosso modo il periodo sia abbastanza sicuro), in quanto altre fonti, e in particolare le opere di [[Marin Sanudo il Giovane]], riportano a volte come data il [[1305]], altre volte il [[1310]].<ref name=Z42>{{cita|Zanotto|p. 42}}.</ref> Non è noto chi fu il responsabile di tale opera, dove si riunisse il consiglio prima della stessa e quale fosse l'apparato decorativo della sala ospitante il consiglio. Nonostante ciò, è possibile giungere a delle conclusioni analizzando la critica moderna: secondo quanto da questa dedotto, verso la piazzetta sorgeva il palazzo di giustizia, caratterizzato da un ampio porticato al piano terra, da una loggia scoperta al primo piano e dagli uffici al secondo, mentre verso il molo sorgeva il palazzo per le assemblee, che si estendeva dalla piazzetta all'attuale Ponte della Paglia.<ref name=brusegan123/><ref name=Z42/> Di quest'ultimo edificio rimangono ancora oggi delle tracce: dei frammenti di basamento in [[pietra d'Istria]] e alcune pavimentazioni in cotto a spina di pesce. È quindi probabile che prima della Serrata il consiglio si riunisse nel medesimo luogo di dove si sarebbe riunito in un secondo momento, dopo che detto locale fosse stato debitamente ampliato.
Gli anni compresi tra la [[prima guerra persiana|prima]] e la [[seconda guerra persiana]] furono segnati dall'acuirsi del conflitto politico tra l'ala conservatrice e quella democratica, guidate rispettivamente da Aristide e dal suo storico avversario. Il primo periodo fu segnato dalla prevalenza del primo partito che, rifacendosi alle proposte avanzate e messe in atto da [[Clistene]] e trovando l'appoggio dell'influente famiglia degli [[Alcmeonidi]], voleva operare delle modifiche alla costituzione per evitare definitivamente la formazione di una tirannide e impedire che venisse annientato il potere politico delle classi abbienti.<ref name=CF152>{{cita|Camera, Fabietti|p. 152}}.</ref> Questi due elementi, che potrebbero sembrare il frutto di due orientamenti politici differenti, nel primo caso democratico e nel secondo conservatore, vanno comunque letti come atti a conservare il potere degli oligarchi, dato che la tirannide ha come sua caratterizzazione la riduzione dell'influenza di questi e la ricerca dell'appoggio delle classi popolari.<ref>{{cita|Camera, Fabietti|p. 130}}.</ref>
 
Terzo punto importante del programma dei conservatori era stringere accordi con i Persiani onde evitare in primo luogo i danni al sistema agricolo connessi all'assenza di manodopera durante le campagne, danni pericolosissimi per il ceto medio che era costituito dai possidenti agrari, e in secondo la costruzione di una flotta militare, dal momento che questa sarebbe stata affidata ai ceti popolari, che non militavano né nella fanteria né nella cavalleria e si sarebbero potuti quindi emancipare, richiedendo, in accordo col sistema timocratico, proporzionalità tra oneri e onori. Al contrario, i democratici ritenevano l'ampliamento della flotta un punto centrale del loro programma politico, non solo perché avrebbe consentito l'emancipazione dei [[Teti (sociologia)|teti]] e il potenziamento dei commerci marittimi, ma anche e soprattutto perché stimavano prossimo e inevitabile un secondo scontro con l'[[impero achemenide]], che in loro analisi doveva essere affrontato in alleanza con [[Sparta]].<ref name=CF152/>
Se si vuole individuare un autore dell'opera di ristrutturazione, lo si può ricercare in Pietro Basejo, citato sì in un documento del [[1361]], ma morto nel [[1354]].<ref>{{cita|Cadorin|p. 127}}.</ref><ref name=Z42/> Essendo le notizie biografiche relative a Basejo piuttosto scarse, non si può attestare che età avesse nel [[1301]] in quanto non se ne conosce la data di nascita.<ref name=Z43>{{cita|Zanotto|p. 43}}.</ref> Un altro filone di ricerche ha individuato come autore di queste opere di ristrutturazione l'architetto Montagnana, citato dal Sansovino<ref>{{cita|Sansovino|p. 294}}.</ref> quale autore della ristrutturazione del campanile e secondo il Temanza potenzialmente anche proto di Palazzo Ducale.<ref>{{cita|Temanza|p. 104}}.</ref><ref name=Z43/> Accenni a quale fosse la decorazione della sala ci vengono forniti dal Sanuto nei suoi diari, alla data del 5 giugno [[1525]]: afferma che erano presenti riquadri raffiguranti alberi grandi e piccoli, con una funzione allegorica. È tuttavia probabile che vi fossero pure raffigurazioni cartografiche dei possedimenti della Serenissima e un<nowiki>'</nowiki>''Incoronazione della Vergine'' in corrispondenza del trono.<ref name=Z44>{{cita|Zanotto|p. 44}}.</ref> Nel [[1525]], anno in cui venne deliberata la ricostruzione della sala, il Sanudo si lamentava del fatto che un locale così pregevole non potesse essere distrutto, pena la perdita dei capolavori al suo interno contenuti.
 
Nonostante questa parentesi conservatrice, a causa dei preparativi persiani e di alcuni insuccessi ottenuti nella rinnovata guerra contro [[Egina (isola)|Egina]], gli Ateniesi ritennero più opportuno affidarsi al partito capeggiato da Temistocle, le cui idee sembravano più adatte alla risoluzione dei problemi immediati della città,<ref name=CF152/> la cui flotta sarebbe stata costruita con i proventi dell'[[argento]] estratto dalle miniere del [[Laurion|monte Laurio]], statalizzate dopo la caduta dei [[Pisistratidi]], che solitamente era distribuito ai poveri come sussidio statale.<ref>{{cita|Camera, Fabietti|p. 153}}.</ref>
=== Cantieri nell'ala meridionale ===
La sala entrò in attività nel [[1309]], e divenne di fatto la seconda sede del Maggior Consiglio, ma si rese subito necessario cambiare la sede dell'organo ospitato a causa di un grande aumento del numero di coloro che erano ammessi a farne parte, tra il 1301, anno di inizio dei lavori per il Sansovino, e il 1309, anno della conclusione degli stessi, aumentato di un terzo.<ref name=Z44/><ref name=sansovino325>{{cita|Sansovino|p. 325}}.</ref> La necessità di trovare nuovi spazi per un così numeroso organo rese necessaria l'apertura di cantieri nell'ala meridionale del palazzo, datata dal Sansovino al 1309.<ref>{{cita|Zanotto|p. 45}}.</ref> Riguardo l'edificazione di questa nuova ala si è presentato il contrasto tra le differenti fonti che, affermando dati differenti, rendono difficile la ricostruzione della cronologia relativa a tale opera. In primo luogo, è necessario affermare che tale cantiere venne aperto per la semplice necessità di edificare la Sala del Maggior Consiglio e non per altri fini.
 
=== Ostracismo e reintegro ===
Sono vari gli elementi che supportano la tesi secondo la quale la costruzione della nuova sala iniziò subito dopo la conclusione dei precedenti lavori: in primo luogo, la necessità impellente di trovare un nuovo sito per il Maggior Consiglio; in secondo luogo, l'accuratezza delle fonti storiche usate dal Sansovino, molto spesso redatte da contemporanei delle opere trattate e in grado quindi di registrare i dati con minuzia estrema e in ultima analisi la presenza di un documento ritrovato sì dall'abate Cadorin, ma da questi erroneamente interpretato: in esso si afferma che nel [[1340]], anno da molti individuato come quello della costruzione della sala, questa era già stata eretta come pure l'ala che l'ospitava e necessitava non tanto quindi d'esser costruita, ma semmai ampliata, ospitando già vari organi amministrativi.<ref>{{cita|Zanotto|p. 46}}.</ref> La nuova sala venne eletta sopra la preesistente Sala dei Signori di Notte, che ricalcò per larghezza; inoltre, vennero edificate nella suddetta sala alcune colonne per reggere il pavimento del sovrastante locale, secondo il consiglio di alcuni esperti mastri. Nel [[1309]] iniziarono quindi i lavori, consistenti nell'atterramento del lato meridionale prospiciente il mare, ala dove già prima si riuniva il Maggior Consiglio, poi provvisoriamente trasferito nella Sala del Senato o dei Pregadi.
{{Vedi anche|Ostracismo}}
[[File:18 - Stoà of Attalus Museum - Ostracism against Aristeides (483 BC) - Photo by Giovanni Dall'Orto, Nov 9 2009.jpg|miniatura|Il frammento n° 18, un [[ostrakon]] danneggiato conservato al Museo della Stoà di Attalo, mostra la scritta "Aristide, figlio di Lisimaco" ({{lang-grc|ΑΡΙΣΤΕΙΔ[ΗΣ] ΛΥΣΙΜΑΧ[ΟΥ]}})]]
Secondo [[Plutarco]] nel [[483 a.C.|483]] o nel [[482 a.C.]], secondo [[Cornelio Nepote]] attorno al [[486 a.C.]], subì l'ostracismo. Secondo una prima versione, a permettere questa procedura furono i suoi influenti nemici, che si era addotto semplicemente per la sua scrupolosa onestà e per la sua rigida opposizione alla corruzione. Secondo una seconda interpretazione, nel contesto delle concause avrebbe maggior rilievo l'opposizione che egli aveva opposto alla politica marittima e democratica del rivale.
 
<small>'''[Guarda il testo di storia, per integrare col giudizio storiografico]'''</small>
[[File:Doge_Giovanni_Soranzo.JPG|left|thumb|Giovanni Soranzo.]]
L'abbattimento della detta ala è testimoniato dal fatto che, in un decreto del 28 dicembre 1340, si parla del primo piano come già in attività; tale operazione venne effettuata in modo radicale in quanto in caso opposto le due logge, ancora oggi esistenti, sarebbero state realizzate in un tempo precedente, sotto il ducato dello Ziani, e ciò è impossibile poiché se così fosse sarebbero state realizzate in uno stile più arcaico.<ref>{{cita|Zanotto|p. 50}}.</ref> L'opera di ricostruzione venne fortemente promossa da [[Giovanni Soranzo]], che seppe realizzare anche altre opere che promossero lo sviluppo urbanistico della Serenissima, parallelamente accompagnato anche dall'edificazione di numerose dimore private. Il fatto che la realizzazione di tali lavori venne effettuata sotto il suddetto doge è testimoniato dalla presenza di un documento ufficiale, riguardante i finanziamenti delle opere pubbliche, dal quale si può dedurre che nel [[1323]] la costruzione dell'ala era giunta al primo piano e che si stava provvedendo in alcune aree alla copertura della sale appena edificate, in altre alla riparazione dei soffitti.<ref name=Z51>{{cita|Zanotto|p. 51}}.</ref>
 
Secondo la tradizione, scrisse il proprio nome su uno degli [[ostrakon|ostraka]], sotto la richiesta di un contadino analfabeta, ritenendo quest'ultimo, pur non sapendo chi fosse Aristide, che fosse inopportuno che un cittadino pretendesse di essere chiamato "Giusto" da parte dei compatrioti, dal momento che, secondo gli storici antichi, Temistocle aveva aizzato contro di lui la folla, inducendola a pensare che quell'appellativo fosse stato preteso da lui stesso. Come commenta [[Nepote]], la pena non venne scontata per intero, nonostante le fonti antiche attestino che nel [[480 a.C.]] la sentenza non fosse stata ancora revocata.<ref name=ERVIII79>{{cita|Erodoto|VIII, 79}}.</ref><ref>{{cita libro|autore=[[Demostene]]|titolo=Seconda contro Aristogitone|capitolo=DCCCII, 1, 16}}</ref> Secondo [[Erodoto]], fu invece richiamato in patria per volontà della [[lega panellenica]] all'indomani della guerra.
Riguardo a chi fosse l'architetto responsabile di questo cantiere, avviato nel 1309, [[Giovanni Battista Egnazio]], al secolo Cipelli, lo identifica con [[Filippo Calendario]].<ref>{{cita|Egnazio|p. 275}}.</ref> Tale ricostruzione deve però confrontarsi con un documento risalente al 23 settembre 1361, riportato testualmente nelle cronache del Cadorin e costituente una delle principali fonti biografiche relative a [[Pietro Basejo]], in esso identificato come proto in un'epoca antecedente all'attività del Calendario:
 
<small>'''[Guarda Erodoto per la sua versione]'''</small>
{{quote|Consilio X. 1361 die XXIII mense sept.<br>Cum lutia, zaninus, et catarutia filli q. et heredes petri baseio olim magistri prothi palalii nostri novi, exponant quod philippus Calendarius fiuit comisarius patris eorum, et intromisit dictam comisariam in tantum quod de bonis spectantibus diete comisarie exegit, dv quadam navi, ubi dictus pater eorum partem habebat libras quatuor, solidos Ires et denariis sex grossorum sicut apparet per scriptum manu dicti philippi, et per qualernos suos existentes penes ofificium racionum qui se concordarli cum dieta scripta manu ipsius philippi, et propterea petant ipsam quantitatem pecunie eis dare, vadit pars, habita responsione officialium racionum et advocatorum communis dicentium, quod ex aminato fi ac lo inveniunt verum esse, ut supra continetur. Quod sicut est jus et justum dieta pecunia restituatur dictis heredibus dicti q. petri baseio.|X Consiglio, 23 settembre 1361}}
 
{{...}}
Di conseguenza, si può affermare che l'edificazione dell'ala verso il mare fino al primo piano sia stata opera di Basejo,<ref name=Z51/> anche se il nome del Calendario, comunque non estraneo al cantiere, non si perse come quello dell'altro nell'oblio del tempo in virtù del fatto che il secondo disponeva di grande prestigio tra il popolo e fu tra i congiurati del colpo di stato ordito da Marin Falier nel 1355.<ref name=Z52/> La partecipazione del Calendario nel cantiere è comunque molto probabile, ma probabilmente il suo intervento avvenne in un secondo momento e sempre parallelamente all'attività del primo, col quale sarebbe poi entrato in un rapporto di amicizia tale da dare la propria figlia Caterina in sposa al figlio del collega.<ref name=Z52>{{cita|Zanotto|p. 52}}.</ref>
 
=== AltriSeconda lavoriguerra tra il 1309 e il 1340persiana ===
{{Vedi anche|Seconda guerra persiana|battaglia di Salamina|battaglia di Platea}}
Contestualmente a questi lavori, venne ampliata e decorata con le storie di Alessandro III la chiesa di San Nicolò.<ref name=Z52/> Pur non conoscendosi l'autore di tale decorazione, il Cadorin propone due ipotesi: secondo le sue ricostruzioni, l'artefice potrebbe essere o il Guariento, o un non meglio precisato maestro Paolo, autore di una tavola sacra realizzata attorno al [[1346]] e anche quella sita nel palazzo.<ref>{{Cita|Cadorin|p. 159}}.</ref> L'opera di questo pittore è attestata da cronache d'epoca,<ref name=Z52>{{cita|Zanetti|p. 52}}.</ref> mentre il [[Guariento di Arpo|Guariento]] all'epoca doveva essere molto giovane, essendo fiorito ben più tardi.
 
{{...}}
Contestualmente, venne pure realizzata sotto il porticato di Palazzo Ducale una gabbia atta ad ospitare una coppia di leoni, che diedero come prole tre cuccioli, un maschio e due femmine, una delle quali fu mandata a Verona in dono ai Cangrande della Scala.<ref name=Z52/> L'importanza di quest'ultima gabbia è quella di provare l'esistenza di un loggiato nell'edificio edificato dal doge Ziani, poi non riprodotto nella successiva edificazione, risalente al 1424.<ref name=Z53>{{cita|Zanetti|p. 53}}.</ref>
 
=== Ultimi anni ===
Alla fine dell'anno [[1326]] venne allargata la sede delle carceri site al piano terra, con un ampliamento che rese necessario il trasferimento della sede dei castaldi di palazzo. Considerata quale fosse la sede dei castaldi di palazzo, possiamo affermare che prima di allora le prigioni di palazzo avevano occupato solo il lato meridionale del palazzo e parte di quello orientale.<ref name=Z53/>
{{...}}
 
== Attestazioni minori ==
[[File:DP_IMG_3919.JPG|thumb|Il Pozzo dell'Alberghetti, di realizzazione successiva.]]
* Negli scritti [[Erodoto|erodotei]] viene descritto come il più virtuoso e più corretto tra i suoi [[Antica Atene|compatrioti]], ma anche come l'asperrimo nemico di [[Temistocle]], che riuscì a farlo [[Ostracismo|ostracizzare]], come un uomo coraggioso e generoso laddove si parla della [[battaglia di Salamina]],<ref>{{cita|Erodoto|VIII, 82, 95}}.</ref> e come l'oculato condottiero che permise la vittoria greca durante la [[battaglia di Platea]].<ref>{{cita|Erodoto|IX, 28}}</ref>
Nel [[1332]] un nuovo cantiere interessò i pozzi del palazzo: venne riparato quello più importante, sito al centro del cortile, e ne venne costruito uno più piccolo in una piccola corte confinante con la Basilica.<ref name=Z54>{{cita|Zanetti|p. 54}}.</ref> Un terzo pozzo venne aggiunto nel [[1405]].
* [[Tucidide]], che tuttavia dedica la sua [[Guerra del Peloponneso (Tucidide)|opera massima]] a un periodo ben differente, quello della [[Guerra del Peloponneso]], lo nomina in due occasioni, definendolo la prima come coambasciatore a Sparta assieme a Temistocle,<ref>{{cita|Tucidide|I, 91}}.</ref> la seconda nell'espressione "la tassazione sotto Aristide" ({{lang-grc|τὸν ἐπ̓ Ἀριστείδου φόρον}}).<ref>{{cita|Tucidide|V, 18}}.</ref>
* Nel suo dialogo ''[[Gorgia (dialogo)|Gorgia]]'', [[Platone]] lo addita quale esempio di una coppia di virtù secondo lui estremamente rara per i politici, quella composta da [[virtù]] e [[giustizia]], e afferma che egli, agendo in questo modo, divenne estremamente famoso, non solo localmente, ma nell'intera Grecia.<ref>{{cita libro|autore=[[Platone]]|titolo=[[Gorgia (dialogo)|Gorigia]]|capitolo=526a, b}}</ref>
* Negli scritti di [[Demostene]], e più precisamente nell'opera ''Contro Aristocrate'', dove l'autore sostiene delle misure per ridurre la corruzione,<ref>{{cita libro|nome=Ernst|cognome= Badian|titolo=Demosthenes: Statesman and Orator, The Road to Prominence|città=Worthington|mese=Gennaio|anno= 2002|ISBN= 0-203-18769-5|pp=29-30}}</ref> egli viene descritto come assessore ai tributi ({{lang-grc|φόρος|phónos}}).<ref>{{cita libro|titolo=Contro Aristocrate|autore=[[Demostene]]|capitolo=689-690}}</ref>
* [[Eschine]] attesta in più punti, nelle opere ''Contro Timarco''<ref>{{cita libro|autore=[[Eschine]]|titolo=Contro Timarco|capitolo=IV, 1, 23}}</ref> e ''Contro Ctesifonte'',<ref>{{cita libro|autore=[[Eschine]]|titolo=Contro Ctesifonte|capitolo=LXXIX, 1, 38; XC, 11, 18-20}}</ref> il fatto che fosse noto con il soprannome di "Giusto".
 
=== Materiale ===
Notizia rilevante è che nel [[1335]] vennero contattati lapicidi per la realizzazione di un leone in marmo da porsi sopra l'accesso principale del palazzo, corrispondente alla sala principale. La doratura di tale opera risale al [[1344]], come attestato da un documento ufficiale che ci dà anche importanti informazioni relative alla collocazione dello stesso:<ref name=Z54/>
Nonostante si trovasse probabilmente ad [[Egina (isola)|Egina]], è attestato che nel [[480 a.C.]] andò a [[Salamina (isola)|Salamina]] per avvertire [[Temistocle]] a riguardo degli spostamenti della flotta persiana, facendo appello a lui per la riconciliazione: secondo quanto da lui riportato, la flotta persiana era già entrata nello stretto la sera prima del combattimento. Mentre i generali del Re cercavano di incalzare la flotta avversaria, gli ignari comandanti greci continuavano, invece, la loro riunione.<ref name=ERVIII78>{{cita|Erodoto|VIII, 78}}.</ref> Aristide si recò da Temistocle e, chiamatolo in disparte, lo informò dell'assedio persiano, dicendo che neanche se i suoi uomini avessero voluto avrebbero potuto ritirarsi.<ref name=ERVIII79/> Dopo aver specificato come l'assedio persiano fosse stato favorito dalle scelte fallaci di Temistocle, questo invitò Aristide a riferire lui stesso la notizia ai generali, affinché quelli non credessero che stesse mentendo per interesse.<ref name=VIII80>{{cita|Erodoto|VIII, 80}}.</ref> Riferita a tutto l'esercito l'evoluzione della situazione,<ref name=VIII81>{{cita|Erodoto|VIII, 81}}.</ref> i generali greci si interessarono più che altro a una trireme che solo allora era arrivata da [[Tenea]] dopo aver disertato dall'esercito persiano.<ref name=VIII82>{{cita|Erodoto|VIII, 82}}.</ref> Trattandosi di una battaglia navale, quella di Salamina non vide grandi azioni campali, eccezion fatta per la piccola manovra condotta da Aristide sull'isoletta di Psittalia, che portò all'uccisione dei Persiani lì appostati.<ref name=VIII95>{{cita|Erodoto|VIII, 95}}.</ref>
 
{{quote|Dedimus libras tres grossorum in ducati» auris 35, prò fadendo aurum in foliis per Leone indorando qui est supra portoni scalae Palatii|4 novembre 1344}}
Tale notizia ci consente di affermare che l'antica porta interna e l'antica scala ad essa antistante altro non fossero se non il surrogato delle attuali strutture (la porta metteva in comunicazione la piazzetta con la corte e si trovava sulla retta congiungente la Loggetta del Sansovino e l'antica scala, sita dove oggi si trova quella dei Giganti; tali opere vennero però sostituite da strutture più moderne pochi anni dopo): questo ci consente di affermare che nella ricostruzione del prospetto interno del corpo orientale venne rispettato il prefissato schema, e che in particolare la Scala dei Giganti corrispondesse all'antico scalone, come la Porta della Carta all'antico arco.<ref name=Z54/> Tale leone sarebbe stato più precisamente posizionato sulla porta della scala che congiungeva alla corte il lato orientale della Sala del Maggior Consiglio allora in funzione (riguardo la cui collocazione si è detto in precedenza), scala commissionata nel [[1340]] e terminata quattro anni dopo.
 
In the battle itself he did good service by dislodging the enemy, with a band raised and armed by himself, from the islet of Psyttaleia. In 479 he was strategus, the chief, it would seem, but not the sole (Plut. Arist. 11, but comp. 16 and 20, and Herod. ix.), and to him no doubt belongs much of the glory due to the conduct of the Athenians, in war and policy, during this, the most perilous year of the contest. Their replies to the proffers of Persia and the fears of Sparta Plutarch ascribes to him expressly, and seems to speak of an extant ψήφισμα Ἀριστείδου embracing them. (100.16.) So, too, their treatment of the claims of Tegea, and the arrangements of Pausanias with regard to their post in battle. He gives him further the suppression of a Persian plot among the aristocratical Athenians, and the settlement of a quarrel for the ἀριστεῖα by conceding them to Plataea (comp. however on this second point Hdt. 9.71); finally, with better reason, the consecration of Plataea and establishment of the Eleutheria, or Feast of Freedom. On the return to Athens, Aristeides seems to have acted in cheerful concert with Themistocles, as directing the restoration of the city (Heracl. Pont. 1); as his colleague in the embassy to Sparta, that secured for it its walls; as proposing, in accordance with his policy, perhaps also in consequence of changes in property produced by the war, the measure which threw open the archonship and areiopagus to all citizens alike. In 477, as joint-commander of the Athenian contingent under Pausanias, by his own conduct and that of his colleague and disciple, Cimon, he had the glory of obtaining for Athens the command of the maritime confederacy: and to him was by general consent entrusted the task of drawing up its laws and fixing its assessments. This first φόρος of 460 talents, paid into a common treasury at Delos, bore his name, and was regarded by the allies in after times, as marking their Saturnian age. It is, unless the change in the constitution followed it, his last recorded act. He lived, Theophrastus related, to see the treasury removed to Athens, and declared it (for the bearing of the words see Thirlwall's Greece, iii. p. 47) a measure unjust and expedient. During most of this period he was, we may suppose, as Cimon's coadjutor at home, the chief political leader of Athens. He died, according to some, in Pontus, more probably, however, at home, certainly after 471, the year of the ostracism of Themistocles, and very likely, as Nepos states, in 468. (See Clinton, F. H. in the years 469, 468.)
=== Ampliamento del 1340 ===
Riedificato già per intero il primo piano dell'ala australe del palazzo, nel 1340 venne decretata una serie di altri lavori da compiersi nel palazzo, non consistenti in una vera e propria edificazione ma semmai in un ampliamento. Tali lavori consistevano nel costruire o risistemare il secondo piano, nel completare la Sala del Maggior Consiglio (si ricordi che come detto in precedenza tale organo sino al 1423 continuò a riunirsi nella Sala del Senato), nel ristrutturare per i nuovi fini ai quali erano destinate alcune stanze adiacenti a quella che sarebbe stata del Maggior Consiglio, nell'erigere una scala comunicante con la Sala del Maggior Consiglio: il costo preventivato per la loro realizzazione fu di lire 950 per i lavori d'architettura e di lire 200 per le decorazioni, il che adduce un altro valido sostegno per la tesi che non vede questo lavoro come una riedificazione, ma solo come un ampliamento consistente nella sistemazione del secondo piano, in quanto se fosse stato necessario provvedere alla ricostruzione le spese sarebbero state ben maggiori.<ref name=Z59>{{cita|Zanotto|p. 59}}.</ref><ref name=brusegan126>{{cita|Brusegan|p. 126}}.</ref>
 
A tomb was shewn in Plutarch's time at Phalerum, as erected to him at the public expense. That he did not leave enough behind him to pay for his funeral, is perhaps a piece of rhetoric. We may believe, however, that his daughters were portioned by the state, as it appears certain (Plut. 27; comp. Dem. c. Lept. 491. 25), that his son Lysimachus received lands and money by a decree of Alcibiades; and that assistance was given to his grand-daughter, and even to remote descendants, in the time of Demetrius Phalereus. He must, so far as we know, have been in 489, as archon eponymus, among the pentacosiomedimni : the wars may have destroyed his property; we can hardly question the story from Aeschines, the disciple of Socrates, that when his poverty was made a reproach in a court of justice to Callias, his cousin, he bore witness that he had received and declined offers of his assistance; that he died poor is certain. This of itself would prove him possessed of an honesty rare in those times; and in the higher points of integrity, though Theophrastus said, and it may be true, that he at times sacrificed it to his country's interest, no case whatever can be adduced in proof, and he certainly displays a sense, very unusual, of the duties of nation to nation.
[[File:Interno_della_Sala_del_Maggior_Consiglio_-_Palazzo_Ducale,_Venezia.JPG|left|thumb|La Sala del Maggior Consiglio nella sua forma attuale.]]
Dopo quindici mesi dall'apertura di questo cantiere, fu decretata la necessità di altri lavori, in quanto la sala doveva diventare più ampia del previsto: il fatto che il 10 marzo 1342 i piani sottostanti la Sala del Maggior Consiglio fossero già stati ultimati testimonia che i lavori di ricostruzione non erano ricominciati nel dicembre 1340 (anno del suddetto decreto), ma già nel 1309, come testimoniato dal Sansovino.<ref name=Z59/> Completata alla fine del 1344 la parte di sala prospiciente la laguna, dieci periti furono chiamati sotto decreto del 30 dicembre 1344 per esaminare se le muraglie guardanti il cortile fossero idonee a sostenere il peso del muro che avrebbe cinto la sala su quel lato:<ref name=Z59/>
 
1 * Plutarch in his Aristeides refers to the authority of Herodotus, Aeschines the Socratic, Callisthenes, Idomeneus, Demetrius Phalereus, who wrote an Ἀριστέιδης (D. L. 5.80, 81), Ariston Chius, Panaetius, and Craterus : he had also before him here, probably, as in his Themistocles (see 100.27), the standard historian, Ephorus, Charon Lampsacenus, a contemporary writer (504 to 464, B. C.), and Stesimbrotus Thasius, Deinon, Heracleides Ponticus, and Neanthes; perhaps also the Atthides of Hellanicus and Philochorus, and the Chia of Ion."
{{quote|Cum sitfacta pars laborerìi Salae novae majorls Consilii de versus canale, el necessarium sii videre et examinare quomodo murus ex parte Palatii curiae cum sicurtate fieri possil, et facta examinalione cum magislris de muro, et lignamine, inveniatur magna diversitas inter eos, ut res et laboreria Comunis procedere valeanl bono modo, et quod possit discerni quid sìt melius|30 dicembre 1344}}
 
(http://www.perseus.tufts.edu/hopper/text?doc=Perseus%3Atext%3A1999.04.0104%3Aalphabetic+letter%3DA%3Aentry+group%3D40%3Aentry%3Daristeides-bio-1)
Infatti, il muro del piano terra, che cingeva le prigioni, reggeva solo il loggiato del primo piano e non si sapeva se avrebbe retto ulteriori sollecitazioni. Anche questo elemento contribuisce a pensare che la fabbrica del primo e del secondo piano siano avvenute in tempi differenti.<ref name=Z59/> Ricevuto il parere positivo da parte dei periti, si procedette coll'edificazione della scala e della relativa porta. Il lavoro venne interrotto a causa della Peste scoppiata nel [[1348]], e ripreso il 24 febbraio [[1350]].<ref>{{cita|Zanotto|p. 60}}.</ref>
 
http://www.treccani.it/enciclopedia/aristide/
Sappiamo che furono impiegati come direttori dei lavori [[Filippo Calendario]] ''tajapiera'' e [[Pietro Basejo]] ''magister prothus'', oltre a un grandissimo numero di manovali, scultori ed esperti lapicidi.<ref name=brusegan127>{{cita|Brusegan|p. 127}}.</ref> Nonostante in un primo momento il direttore dei lavori fosse il Basejo, il Calendario subentrò alla sua morte.<ref name=Z61>{{cita|Zanotto|p. 61}}.</ref> Quest'ultima affermazione è suggerita dal fatto che attorno al 1350 il Calendario fu incaricato di compiere una serie di viaggi per conto della Serenissima, e sempre in quel periodo si impegnò in alcune campagne militari: ciò testimonia che non aveva un impegno fisso al cantiere.<ref name=Z61/> Il Calendario venne nel 1355 condannato a morte per impiccagione in quanto orditore della congiura che venne promossa dal doge [[Marino Faliero|Marin Falier]]. Si tramanda che la sua condanna venne effettuata congiuntamente a quella del genero e usando le celebri colonne rosse della balconata di palazzo, la cui collocazione venne però alterata nel tempo.<ref name=Z61/> Avendo visto la congiura una estesa partecipazione degli scalpellini di Palazzo Ducale, il lavoro rimase sospeso.<ref name=Z63>{{cita|Zanotto|p. 63}}.</ref> Il cantiere rimase per vario tempo in sospeso a causa di eventi bellici e di una seconda peste.<ref name=Z63/> Nel [[1362]] il palazzo era in rovina. A causa della volontà di [[Lorenzo Celsi]] di concludere i lavori, essi si poterono dire conclusi nel [[1365]]. Tuttavia il Celsi, odiato per il suo comportamento arrogante, morì in modo misterioso e si ipotizzò fosse stato avvelenato. Dopo la sua morte, si decretò che "il doge non potesse in avvenire impiegare danaro pubblico in spese di fabbriche nel palazzo, senza il consenso dei sei consiglieri, di tre quarti della Quarantia e di due terzi del Maggior Consiglio.".<ref name=Z63/> Si può dire che Palazzo Ducale, dopo tutti questi lavori, non presentasse una forma molto differente da quella a noi contemporanea.<ref name=brusegan127/>
 
http://www.treccani.it/enciclopedia/aristide_res-938dd803-8baa-11dc-8e9d-0016357eee51_(Enciclopedia-Italiana)/
Salito al trono [[Marco Corner]], egli ordinò che la sala fosse decorata con pitture: fu contattato tra gli altri artisti [[Guariento di Arpo]], al quale venne commissionata la decorazione della parete orientale della sala con il tema del ''Paradiso'', e più precisamente dell'incoronazione della Vergine in mezzo alla gloria di questo.<ref name=Z64>{{cita|Zanotto|p. 64}}.</ref> In seguito il medesimo artista si dedicò alla decorazione delle altre pareti, illustrandovi la venuta a Venezia di Alessandro III e la Guerra di Spoleto, come ricordano alcune fonti.<ref name=sansovino325/><ref>{{cita|Ridolfi|I, p. 45}}.</ref> Anche il [[Pisanello]] lavorò in questo cantiere, secondo le ricostruzioni di [[Scipione Maffei]],<ref>{{cita libro|autore=[[Scipione Maffei]]|titolo=Verona illustrata|p=107|volume=V}}</ref>: il Sansovino affermò che nel quadro, raffigurante l<nowiki>'</nowiki>''Imperatore Ottone che si dirige dal padre'' dopo essere stato liberato dalla Serenissima, era presente il ritratto di Andrea Vendramino, detto da molti il giovane veneziano più bello della sua epoca: asserendo ciò il grande storico commette un errore in quanto a quell'epoca il Vendramino non era nemmeno nato; altro errore commesso dal Sansovino fu quello di affermare che la sala era già stata precedentemente decorata.<ref name=Z64/>
 
http://www.treccani.it/enciclopedia/aristide_(Dizionario-di-Storia)/
Tra gli altri, si può ipotizzare che anche [[Niccolò Semitecolo]] e [[Lorenzo Veneziano]] abbiano preso parte all'attività decorativa.<ref name=Z64/> Durante quell'opera decorativa venne creato per la prima volta il fregio raffigurante i volti dei dogi a partire da [[Obelerio]], poi riprodotto dopo che era stato distrutto dall'incendio del [[1577]]. Il Sanudo afferma che le iscrizioni illustranti le opere pittoriche furono prodotte da [[Francesco Petrarca]], il che non è impossibile.<ref name=Z64/><ref>{{cita|Sanudo|col. 664}}.</ref> A cause di guerre, i lavori di decorazione (che ormai volgevano al termine) vennero interrotti. Dopo un periodo di guerre continue ([[1368]]-[[1381]]) Venezia si trovava in difficili condizioni politiche ed economiche, il che impedì ancora la prosecuzione dei lavori.<ref name=Z65>{{cita|Zanotto|p. 65}}.</ref> Dopo che era stato di ridipingere la cappella palatina le cui decorazioni erano in rovina,<ref>{{cita|Sanudo|col. 783}}.</ref> fu [[Michele Sten]] a favorire il completamento dell'opera decorativa della sala.<ref name=Z65/> Il soffitto fu fatto a [[cassettone|cassettoni]] decorati con stelle, che forse alludevano allo stemma del doge.<ref name=sansovino575>{{cita|Sansovino|p. 575}}.</ref> Il Sanudo afferma che quest'opera rimase per lungo tempo incompiuta e venne conclusa solo nel [[1406]].<ref>{{cita|Sanudo|col. 833}}.</ref>
 
* libretto
[[File:Dogenpalast Vorderansicht.JPG|thumb|Visuale della facciata meridionale con balcone di Palazzo Ducale.]]
Venne sempre in quegli anni costruito un grande balcone nella parte centrale della facciata prospiciente il mare, nel [[1404]] secondo quanto riportato sullo stesso, nell'anno successivo secondo il Sansovino.<ref name=sansovino575/><ref name=Z65/> Qualunque delle due date sia presa come vera, è comunque errato ciò che sostenne [[Tommaso Temanza]] nell'attribuire al Calendario la decorazione di questa opera, in quanto lo scultore era morto già da mezzo secolo (nel 1355).<ref name=Z65/><ref>{{cita libro|autore=[[Tommaso Temanza]]|titolo=antica pianta dell'inclita città di Venezia|anno=1781|p=39}}</ref> Altro errore commise [[Pietro Selvatico]], che data tutto il fronte meridionale al [[1424]], rendendolo contemporaneo a quello innalzato sotto Francesco Foscari.<ref name=Z65/><ref>{{cita|Selvatico|pp. 109; 125 e segg}}.</ref>
 
== Note ==
Tale errore era dovuto a una cattiva interpretazione di quanto scritto sulla Cronaca Zancarola, e venne segnalato da Dall'Acqua, che ne comprese le cause e lo motivò dicendo che il cronachista scrivendo ciò che aveva riportato parlava al plurale di facciate del lato occidentale riferendosi a quell'esterna e a quell'interna.<ref>{{cita pubblicazione | nome= |cognome=Dall'Acqua|titolo= |rivista=Letture di famiglia|editore= |città=Trieste |volume=II |numero= |anno= |mese= |p=171 |id= |pmid= |url= |lingua= |accesso= |abstract= }}</ref> Altresì bisogna notare che la data stessa riportata sulla finestra (1404) è indicativa del fatto che tale facciata al tempo dovesse essere già stata realizzata e che vi sono sostanziali differenze nello stile dei due fronti.<ref>{{cita|Zanotto|p. 66}}.</ref>
{{references}}
 
==Bibliografia==
[[File:FrancescoFoscariBastiani.jpg|thumb|left|Francesco Foscari.]]
;Fonti primarie
* {{cita libro|autore=[[Erodoto]] |titolo=[[Storie (Erodoto)|Le Storie]] |cid=Erodoto}}
* {{cita libro|autore=[[Plutarco]] |titolo=[[Vite Parallele]]: Aristide |cid=Plutarco}}
* {{cita libro |autore=[[Pausania il Periegeta]] |titolo=[[Periegesi della Grecia]] |cid=Pausania}}
 
;Fonti secondarie
=== Ristrutturazione del 1424 ===
* {{SmithDGRBM|articolo=Aristeides|url=http://www.perseus.tufts.edu/hopper/text?doc=aristeides-bio-1&fromdoc=Perseus%3Atext%3A1999.04.0104|cid=Smith}}
Dopo le suddette opere di ristrutturazione e in seguito alle molte guerre combattute dalla Serenissima, le casse dello stato versavano realmente in pessime condizioni<ref>{{cita|Sanudo|col. 882}}.</ref> e venne quindi deliberato di non ristrutturare più la facciata prospiciente la Piazzetta, pena una multa.<ref name=Z74>{{cita|Zanotto|p. 74}}.</ref> Tra il [[1404]] e il [[1422]] tale promulgazione venne rispettata, e a parte piccoli lavori di rifacimento (ampliamento dell'ufficio degli Auditori vecchi<ref>{{cita|Sanudo|col. 886}}.</ref> e costruzione di una scala in pietra collegata alla Sala del Maggior Consiglio<ref>{{cita|Sanudo|col. 893}}.</ref>) nessun'altra opera fu compiuta. [[Tommaso Mocenigo]] propose però di ristrutturare la facciata vincolata, rischiando sì un'ammenda di 1000 ducati, ma riuscendo a convincere il Maggior Consiglio argomentando che tale ristrutturazione risultasse necessaria per il decoro della città, essendo quell'ala molto antica.<ref name=Z74/> Dopo che il doge ebbe pagato l'ammenda, il 27 settembre 1422 venne deciso nel Maggior Consiglio di ristrutturare l'ala più antica.<ref>{{cita|Cadorin|p. 130}}.</ref>
* {{cita libro|nome=Dennis L.|cognome=Fink|titolo=The Battle of Marathon in Scholarship|editore=McFarland|città=|anno=2014|ISBN=978-0-7864-7973-3 |lingua=en |cid=Fink}}
* {{cita libro|autore=A. Camera|autore2=R. Fabietti|titolo=Elementi di storia antica|volume=I con documenti. Oriente e Grecia|editore=Zanichelli|cid=Camera, Fabietti}}
 
==Altri progetti==
Alcune fonti ipotizzarono che tale opera di ristrutturazione fosse stata resa necessaria per via di un incendio scoppiato il 7 marzo [[1419]] e che l'intero palazzo ne fosse stato coinvolto secondo un progetto approvato dal doge stesso,<ref name=Z75>{{cita|Zanotto|p. 75}}.</ref><ref>{{cita|Cappelletti|V, p. 465}}.</ref> ma ciò è falso poiché l'incendio aveva solo arrecato danni alla Basilica senza danneggiare il palazzo<ref>{{cita|Sanudo|col. 925}}.</ref> e l'ala già esistente era stata presa come modello di quella da costruirsi.<ref name=Z75/> Per una serie di motivi, tra i quali una peste scoppiata nel [[1423]], i lavori non poterono avviarsi prima del [[1424]].<ref>{{cita|Sanudo|col. 974}}.</ref> La prima riunione del Maggior Consiglio nella nuova sua sede avvenne il 23 aprile [[1423]],<ref>{{cita|Sanudo|col. 968}}.</ref> secondo deliberazione del neo-eletto doge [[Francesco Foscari]]. La vecchia sede venne lasciata al Senato (che prima si riuniva nell'ala verso la Piazzetta)<ref name=sansovino324/> e prese così il nome di Sala dei Pregadi, in quanto i senatori erano pregati dal doge di accettare la loro funzione.<ref>{{cita|Brusegan|p. 140}}.</ref> L'abbattimento dell'ala verso la Piazzetta avvenne il 27 marzo 1424.<ref>{{cita|Sansovino|p. 319; 326}}.</ref><ref>{{cita|Sanudo|col. 972}}.</ref>
{{interprogetto|commons=Category:Aristides}}
 
{{Plutarco}}
[[File:Venice_Scene_13.jpg|thumb|Porta della Carta.]]
{{Portale|Antica Grecia|biografie}}
Gli autori della ristrutturazione furono alcuni membri della famiglia Bon: [[Bartolomeo Bono|Bartolomeo]], Pantaleone e [[Giovanni Bon|Giovanni]]. Dopo che si ebbe lavorato per la ricostruzione dell'ala abbattuta fino al novembre del [[1438]], si decise di erigere entro diciotto mesi la porta che avrebbe rappresentato l'ingresso principale del palazzo mediante un accordo del 10 novembre, stretto tra architetti e provveditori.<ref name=Z76>{{cita|Zanotto|p. 76}}.</ref><ref name=brusegan127/> I tempi stabiliti per la realizzazione dell'opera non furono però rispettati, e il cantiere, avviato il 9 gennaio [[1439]], si concluse in quaranta mesi<ref>{{cita|Sansovino|p. 319}}.</ref> dopo varie sollecitazione da parte dei funzionari responsabili<ref name=Z76/> e dopo che era stato stipulato un secondo accordo nel quale gli scultori si impegnavano di portare a termine l'opera entro il [[1442]] pena una multa di dieci ducati, anche questo non completamente rispettato.<ref name=Z77>{{cita|Zanotto|p. 77}}.</ref> Si deduce dalla presenza del solo nome di Bartolomeo sull'architrave che l'altorilievo sovrastante la porta era opera di lui solo, ma ciò non significa che gli altri membri della famiglia non parteciparono al cantiere,<ref name=Z77/> contrariamente da quanto sostenuto dal Cadorin. La porta, che nel corso delle epoche cambiò più volte nome, era detta della Carta: l'origine di questo può essere dovuta a diverse leggende: la prima afferma che nei pressi della stessa vi fossero grandi riserve di carta per i limitrofi uffici, la seconda che vi passavano attraverso molti documenti,<ref name=Z77/> la terza che vi si affollassero attorno gli scrivani pubblici.<ref>{{cita|Brusegan|p. 133}}.</ref>
{{Link V|ru}}
 
{{Link AdQ|ru}}
Il nuovo edificio presentava al piano terra un porticato, al primo logge scoperte e al livello della Sala del Maggior Consiglio un grande salone detto al tempo della Libreria, poi mutato nella Sala dello Scrutinio.<ref name=brusegan127/> Il prospetto di questo nuovo corpo edilizio venne completato con decorazioni molto simili a quelle della facciata sul molo: presenta infatti un coronamento a pinnacoli e ampi finestroni.
 
=== Cantieri dopo il 1441 ===
Nonostante il Cadorin affermò che nel [[1441]] tutti i lavori di ristrutturazione si potessero dire conclusi<ref>{{cita|Cadorin|p. 131}}.</ref> in quanto nel palazzo veniva accolto [[Francesco Bussone]] (ma egli si ingannò in quanto il conte venne fatto accedere dalla parte del palazzo prospiciente il mare<ref>{{cita|Sanudo|col. 1028}}.</ref>), il cantiere non si poteva dire chiuso nel [[1452]], in quanto venne ospitato a palazzo [[Federico III d'Asburgo]] e per questa occasione vennero asportate da Piazza San Marco le pietre che servivano per il cantiere di Palazzo Ducale.<ref name=sanudo1144>{{cita|Sanudo|col. 1144}}.</ref> Il 30 maggio fu fatta una festa in onore dell'imperatore,<ref name=sanudo1144/> ma il primato dei ricevimenti in quella sala spetta a quello per le nozze di Jacopo Foscari, figlio del doge.<ref>{{cita|Sanudo|col. 1101}}.</ref>
 
[[File:Palazzo ducale, arco foscari.jpg|thumb|left|Arco Foscari.]]
Secondo Sanudo [[Pasquale Malipiero]] diede ordine di costruire l'arco di fronte alla Scala dei Giganti, dove avrebbe fatto porre il proprio stemma,<ref>{{cita|Sanudo|col. 1166}}.</ref> ma tale notizia è errata poiché lo stemma è del doge Foscari e quell'arco fu eretto in un altro anno.<ref>{{cita|Zanotto|p. 78}}.</ref> I lavori che vennero realizzati durante il dogato del Malipiro furono altri: venne completato il fronte esterno verso la Piazzetta (ciò è testimoniato dall'impiccagione di Girolamo Valaresso mediante l'uso delle colonne rosse<ref>{{cita|Sanudo|col. 1174}}.</ref>) e fu dato ordine di realizzare opere pittoriche quali quella narrante la sconfitta di Pipino sul Canal Orfano e quella raffigurante un mappamondo.<ref name=Z79>{{cita|Zanotto|p. 79}}.</ref><ref>{{cita|Zanetti|p. 331}}.</ref> Autori di queste opere avrebbero potuto essere [[Antonio Vivarini|Antonio]] o [[Alvise Vivarini|Luigi Vivarini]].<ref name=Z79/>
 
Sotto il dogato di [[Cristoforo Moro]], in data 6 settembre 1463, venne promulgato un documento relativo alla costruzione dell'arco prospiciente la Scala dei Giganti, o Arco Foscari. Ancora una volta, fu stretto con Pantaleone e Bartolomeo Bon un accordo per la realizzazione di tale opera, per il cui ritardo la multa sarebbe stata di duecento ducati, ma non rimane traccia di sollecitazioni da parte degli amministratori statali e si può dire che tale opera fu conclusa sotto il dogato del Moro, essendo lo stemma di questi quattro volte rappresentato sull'opera.<ref name=Z79/> La sala che poi sarebbe stata detta dello Scrutinio venne destinata dal [[1468]] per decreto del Senato ad accogliere i volumi donati allo stato dal [[Basilio Bessarione|cardinal Bessarione]].<ref name=Z79/> Nel [[1471]], salito al trono [[Nicolò Tron]], venne imbandita in quella sala una festa per celebrare l'ingresso nel palazzo di Dea Morosini, moglie del doge.<ref>{{cita|Sanudo|col. 1196}}.</ref> Nel [[1473]] fu decretato di sostituire alcune delle opere presenti nella Sala del Maggior Consiglio, poiché si erano rovinate in seguito alle infiltrazioni. [[Giovanni Bellini|Giovanni]] e [[Gentile Bellini]] furono chiamati per rifare l'opera raffigurante la battaglia contro [[Federico Barbarossa]].<ref name=Z80>{{cita|Zanotto|p. 80}}.</ref> In quelle opere di rifacimento, protrattesi sino al [[1495]], furono impegnati pure Luigi Vivarini, Cristoforo da Parma, Lattanzio da Rimini, Vincenzo da Treviso, Marco Marziale, Francesco Bissolo;<ref name=Z80/> in un secondo momento verranno chiamati per operare nella sala pure Giorgione, Tiziano, Tinoretto e Paolo Veronese.<ref name=Z80/>
 
== I tre incendi ==
[[File:Bridge of Sighs (8614775910).jpg|thumb|La facciata sul Rio di Palazzo.]]
=== L'incendio del 1483 ===
La notte del 14 settembre 1483 (ma secondo altre fonti nell'anno 1479<ref name=cadorin152>{{cita|Cadorin|p. 152}}.</ref>) scoppiò negli ambienti prospicienti il Rio di Palazzo, e più precisamente nella cappella palatina, un disastroso incendio che distrusse i locali adiacente e varie opere d'arte.<ref>{{cita libro|autore=[[Marin Sanudo il Giovane]]|titolo=Commentarii della guerra di Ferrara|anno=1829|editore=Picotti|p=105}}</ref> Domenico Malipiero, cronachista, testimonia che il suddetto incendio scoppiò quando una candela diede fuoco a una tavola dipinta sita nei pressi dell'altare su cui era posta, che a sua volta prese fuoco.<ref>{{cita|Zanotto|p. 87}}.</ref> Dopo che alcune persone abitanti dall'altra parte del canale avvertirono il doge [[Giovanni Mocenigo]], pure questi trovò rifugio sull'altra sponda. La sede dogale fu trasferita in una privata abitazione appartenente alla famiglia [[Duodo]], messa in comunicazione col palazzo del doge.
 
Dopo il grande incendio si resero necessari degli interventi di ricostruzione, per i quali si pensò inizialmente di stanziare solo 6000 ducati, e solo in un secondo momento 500 ducati al mese.<ref name=cadorin152/><ref name=Z88>{{cita|Zanotto|p. 88}}.</ref> Nicolò Trevisan, dalla cui casa era stato scorto l'incendio, propose l'acquisto di molte case affacciate sul Rio di Palazzo per edificare in quei lotti un palazzo con giardino che poi sarebbe stato collegato alla Sala del Collegio con un ponte in pietra, ma questa proposta fu rifiutata e i lavori vennero affidati all'architetto [[Antonio Rizzo (architetto)|Antonio Rizzo]], stipendiato 100 ducati all'anno (anche se in un secondo momento il suo salario passò a 125 ducati<ref>{{cita|Cadorin|p. 155}}.</ref>).<ref name=Z88/> Appena il Rizzo si prese incarico del lavoro, vennero demolite le sezioni di palazzo che sarebbero state poi ricostruite e si incaricavano alcuni addetti di procurare le pietre necessarie alla fabbrica, consegnate l'8 dicembre 1484. I collaboratori di Rizzo per questo cantiere furono secondo il Cadorin Michele Bertucci, Giovanni da Spalatro, Michele Naranza, Alvise Bianco, Alvise Pantaleone, mastro Domenico, Stefano Tagliapietra ed i Lombardi.<ref>{{cita|Cadorin|p. 155; 164}}.</ref>
 
[[File:Naya,_Carlo_(1816-1882)_-_n._068_-_Cortile_del_Palazzo_Ducale.jpg|thumb|left|La Scala dei Giganti in una foto di [[Carlo Naya]].]]
[[File:Doges Palace 11 (7242902034).jpg|thumb|left|Il Cortile dei Senatori.]]
Dopo aver demolito la parte dell'ala orientale compresa tra la basilica e l'attuale Scala d'Oro, il Rizzo fece innalzare i primi pilastri del porticato, la cui datazione è possibile in quanto nel capitello del primo e del terzo appaiono in uno un ritratto del doge Mocenigo, nell'altro lo stemma di [[Marco Barbarigo]]. Sotto [[Agostino Barbarigo (doge)|Agostino Barbarigo]] venne costruita ex novo la Scala dei Giganti,<ref name=brusegan127/> mentre di alcuni ambienti, tra i quali la Sala del Senato, venne conservato quanto più si poteva delle vecchie strutture.<ref name=Z89>{{cita|Zanotto|p. 89}}.</ref> La nuova conformazione strutturale diede al Rizzo l'opportunità di edificare i vari piani costruendo i loro pavimenti alla medesima altezza di quelli dei piani nobili dell'ali meridionale e occidentale.<ref name=Z89/> Alcuni autori, tra i quali il Sansovino, identificarono la facciata prospiciente il cortile interno, che mostra nei loggiati il nascere del gusto rinascimentale, come opera di Antonio Bregno, ma si tratta di un errore.<ref name=Z89/> Il Rizzo continuò a lavorare esclusivamente nella fabbrica stipendiato 125 ducati fino al'ottobre 1491, quando richiese che gli fosse ulteriormente aumentato il salario.<ref name=Z89/> Il Senato ordinò che i Provveditori del Sale si accordassero coll'artista, e fu raggiunto un accordo secondo il quale quest'ultimo sarebbe stato pagato annualmente 200 ducati.<ref name=Z90>{{cita|Zanotto|p. 90}}.</ref> Il 19 marzo [[1492]] il doge poté tornare nelle sue stanze, e da ciò si deduce che essere a quel tempo erano state ultimate.<ref name=Z90/>
 
Dopo una breve interruzione dovuta ad alcune grandi spese della Serenissima, l'11 settembre [[1493]] il Consiglio dei Dieci comandò che l'opera fosse ripresa.<ref name=cadorin164>{{cita|Cadorin|p. 164}}.</ref> Il Rizzo rimase impegnato nella fabbrica fino al [[1498]], quando Francesco Foscari e Girolamo Cappello, provveditori responsabili del lavoro, scoprirono che dei novantasettemila ducati sino ad allora spesi diecimila erano stati presi indebitamente dal progettista, il quale fuggì verso Ancona.<ref name=Z90/> Anche un altro lapicida, Simone Fasan, fu accusato di aver sottratto denaro pubblico.<ref name=Z91>{{cita|Zanotto|p. 91}}.</ref>
 
{{quote|In questi giorni maistro Antonio Rizo tajapiera, maistro dedicato a la fabrica dil palazo con provision ducati 200 al anno za anni 15, {{Sic|perchè}} Francesco Foscari et Hironimo Capelo deputati a veder le raxon di la Signoria havia trovato costui haver tolto più di ducati X milia de quello metteva di più esser sta speso ne la fabricha dil palazo dil principe nel qual fin horra si trovava erra sta spexo ducati 97 milia [...] mastro Simon Faxan tajapiera e altri lavorò con lui fé gran robamento|{{cita|Sanudo, Diarii|I, p. 27, 5 aprile 1498}}}}
 
[[File:Giovanni_Bellini,_portrait_of_Doge_Leonardo_Loredan.jpg|thumb|Ritratto di [[Leonardo Loredan]] ad opera di [[Giovanni Bellini]].]]
I lavori vennero affidati ad interim a [[Pietro Lombardo (scultore)|Pietro Lombardo]], confermato in pianta stabile il 14 marzo [[1499]] e retribuito con 220 ducati annui a partire dal 16 del mese<ref>{{cita|Cadorin|p. 145}}.</ref> fino al [[1510]].<ref name=Z93/> Egli assunse sì il controllo del cantiere, ma questo era già piuttosto progredito, in quanto troviamo nelle decorazioni del secondo piano lo stemma di Agostino Barbarigo, morto dopo solo tre anni e cinque mesi che il Lombardo aveva acquisito la direzione.<ref name=Z91/> Nel [[1503]] venne procurato il piombo per la copertura del tetto.<ref name=cadorin164/> Venne poi realizzata la facciata sul Cortile dei Senatori, iniziata contemporaneamente a quella principale e conclusa sotto [[Leonardo Loredan]], trovandosi scudi di questo e del Mocenigo nella decorazione di quella facciata e essendo presente un capitello di congiunzione tra i due fronti.<ref>{{cita|Zanotto|p. 92}}.</ref> Commise quindi un errore il Cicognara a dire che la facciata sulla corte fosse per intero opera compiuta sotto il Loredan da [[Guglielmo dei Grigi|Guglielmo Bergamasco]],<ref>{{cita|Cicognara|tav. 18-21}}.</ref> in quanto si trovano stemmi del precedente doge e lo stile è il medesimo di quello della principale, opera del Rizzo.<ref name=Z93>{{cita|Zanotto|p. 93}}.</ref> Alcuni dettagli sono inoltre attribuibili allo stile della famiglia Lombardo,<ref>{{cita|Selvatico|p. 197}}.</ref> e non è possibile escludere la partecipazione di [[Giorgio Spavento]].<ref>{{cita|Cadorin|p. 146; 166}}.</ref>
 
Tra la conclusione del lavoro sulle facciate e la morte del doge (22 giugno [[1522]]) vennero compiute poche altre opere a causa della difficile situazione economica del governo, che si trovò a combattere contro la [[Lega di Cambrai]] tra il [[1509]] e il [[1517]].<ref name=Z94>{{cita|Zanotto|p. 94}}.</ref> In primo luogo, vennero realizzati dei camini nell'Appartamento ducale; attorno al [[1505]] vennero dorate le cornici di alcune tele;<ref>{{cita|Cadorin|p. 143}}.</ref> a partire dal [[1507]] lo Spavento lavorò nella Sala dell'Udienza e nella cancelleria;<ref>{{cita|Cadorin|p. 146}}.</ref> nel [[1509]] fu ristrutturata da Bartolomeo Bon la torre d'avvistamento (e questo Bon non fu tra quelli che operò nella fabbrica della Porta della Carta);<ref>{{cita|Cadorin|p. 148}}.</ref> tra il 1509 e il [[1510]] Pietro Lombardo operò nella Sala del Consiglio dei Dieci e in quella dell'Avogaria del Comune;<ref name=Z94/> nel [[1515]] fu posto un leone su una scala poi demolita<ref>{{cita|Sanudo, Diarii|XX, p. 196, 17 maggio 1515}}.</ref> e furono sollecitati i pittori responsabili della decorazione della Sala del Maggior Consiglio e fu stretto un nuovo accordo con [[Tiziano]].<ref>{{cita|Sanudo, Diarii|XXI, p. 593, 30 dicembre 1515}}.</ref>
 
Contemporaneamente all'erezione delle facciate sul cortile, si stava lavorando anche alla sistemazione di quella sul canale, e ciò lo testimonia la presenza degli stemmi di Giovanni Mocenigo, Marco Barbarigo ed Agostino Barbarigo su quella.<ref name=Z100>{{cita|Zanotto|p. 100}}.</ref> Alla morte del Loredan era compiuta la parte fino al primo ingresso del vestibolo del pianterreno, corrispondente al punto ove varia l'altezza degli ambienti del piano terzo.<ref name=Z100/> Dopo il breve dogato di [[Antonio Grimani]], si proseguì nel perfezionamento della fabbrica, ma a ritmo più lento poiché erano aperti anche altri importanti cantieri ([[Ponte di Rialto]], [[Arsenale di Venezia]], [[Zecca (Venezia)|Zecca]], [[Libreria Marciana]]). Antonio Grimani fu il primo doge a far uso della Scala dei Giganti, ormai ultimata, per recarsi nella Basilica con la sua signora il dì 14 luglio [[1521]].<ref>{{cita|Sanudo, Diarii|XXXI, p. 30, 14 luglio 1521}}.</ref> Sotto [[Andrea Gritti]], dato che nella ricostruzione del palazzo gli ambienti interni non avevano subito ristrutturazioni strutturali, minacciò di crollare un muro della Sala dei Pregadi: ivi subito si recò il doge con [[Antonio Abbondi]], proto di palazzo,<ref>{{cita|Temanza|p. 106}}.</ref> e altri periti, i quali decretarono la necessità di intervenire.<ref>{{cita|Sanudo, Diarii|XXXV, p. 120, 20 novembre 1523}}.</ref> Il danno era dovuto ad infiltrazioni.<ref>{{cita|Sanudo, Diarii|XXXV, p. 146, 17 novembre 1523}}.</ref> Si pensò di trasferire il Senato nella Sala dello Scrutinio, usata come Libreria,<ref>{{cita|Sanudo, Diarii|XXXV, p. 137, 15 novembre 1523}}.</ref> ma questa proposta non si rivelò adatta.<ref>{{cita|Sanudo, Diarii|XXXV, p. 142, 17 novembre 1523}}.</ref> Il lavoro rimase però fermo per due anni, anche se si spostarono i banchi che occupavano il locale.<ref>{{cita|Zanotto|p. 101}}.</ref>
 
Frattanto, venendo completata da Tiziano<ref>{{cita|Ridolfi|I, p. 216}}.</ref> nel [[1523]] la decorazione della cappella di San Nicolò ed entrando questa in funzione, veniva stabilito di abbattersi la cappellina palatina sita nei pressi della Scala d'Oro, in quanto nell'ala da ristrutturarsi:<ref>{{cita|Sanudo, Diarii|XXXV, p. 178, 6 dicembre 1523}}.</ref> il 15 febbraio [[1524]] gli uffici degli Avogadori di Comun vennero trasferiti poiché lì vicino siti.<ref>{{cita|Sanudo, Diarii|XXXV, p. 297, 16 febbraio 1524}}.</ref> Nel [[1525]] il Consiglio dei Dieci decretava di iniziare i lavori nella Sala dei Pregadi, fermi dal [[1523]], e di costruire un corridoio col quale i Senatori e il doge potessero accedere alla Sala del Maggior Consiglio:<ref>{{cita|Sanudo, Diarii|XXXIX, p. 516, 15 settembre 1525}}.</ref> il cantiere fu aperto in ottobre<ref>{{cita|Sanudo, Diarii|XL, p. 6, 2 ottobre 1525}}.</ref> e il Senato trovò nuova collocazione in quella che oggi è nota come Sala dell'Anticollegio, ma un tempo era detta Sala d'Oro.<ref>{{cita|Sanudo, Diarii|XL, p. 11, 6 ottobre 1525}}.</ref>
 
Nel frattempo, procedeva il cantiere relativo alla ricostruzione delle facciate dell'ala orientale, venivano sgomberati tutti gli uffici lì collocati,<ref>{{cita|Sanudo, Diarii|XL, p. 284, 29 novembre 1525}}.</ref><ref>{{cita|Sanudo, Diarii|XLI, p. 524, 1 giugno 1526}}.</ref> venivano riparate le prigioni dalle quali per due volte i detenuti erano riusciti a fuggire<ref>{{cita|Sanudo, Diarii|XLIII, p. 26, 9 ottobre 1526}}.</ref><ref>{{cita|Sanudo, Diarii|LIV, p. 293, 30 gennaio 1531}}.</ref> e venivano utilizzate per muoversi nel palazzo due scale, l'una portante nella sala dell'Udienza<ref>{{cita|Sanudo, Diarii|XLIV, p. 61, 19 febbraio 1527}}.</ref> e l'altra in quella del Maggior Consiglio.<ref>{{cita|Sanudo, Diarii|XLIX, p. 135, 24 novembre 1528}}.</ref> Il 26 aprile [[1531]] si deliberava dopo alcuni contrasti da parte del Consiglio dei Dieci di spartire la Sala della Libreria in due ambienti, l'uno destinato a cancelleria ducale e l'altro a sala per gli scrutini del Maggior Consiglio.<ref>{{cita|Zanotto|p. 102}}.</ref> La storica collezione di libri ivi collocata era quindi traslata nella [[Libreria Marciana]]<ref>{{cita|Morelli|p. 40}}.</ref> e le due porte che mettevano in comunicazione la Sala dello Scrutinio e quella del Maggior Consiglio furono ampliate.<ref>{{cita|Sanudo, Diarii|LIV, p. 680, 20 settembre 1531}}.</ref><ref>{{cita|Sanudo, Diarii|LV, p. 17, 8 ottobre 1531}}.</ref>
 
Venne quindi costruito da Raffaele Penzono nella parete compresa tra la Sala del'Anticollegio e quella del Senato un grande orologio:<ref>{{cita|Sanudo, Diarii|LV, p. 8, 4 ottobre 1531}}.</ref> oggi ve ne è un altro, costruito dopo il [[1574]], che però si trova tra Senato e Collegio, sempre sulla stessa parete.<ref>{{cita|Zanotto|p. 103}}.</ref> Dato che i lavori nell'ala orientale non si erano conclusi, fu necessario che il Consiglio dei Dieci nuovamente deliberasse e stanziasse per quell'opera 400 ducati mensili,<ref>{{cita|Sanudo, Diarii|LV, p. 221, 19 gennaio 1532}}.</ref> ma anche ciò non ebbe effetto anche a causa del fatto che fosse già attivo il cantiere della Sala dello Scrutinio<ref>{{cita|Sanudo, Diarii|LV, p. 249, 27 gennaio 1532}}.</ref><ref>{{cita|Sanudo, Diarii|LVI, p. 20, 8 aprile 1532}}.</ref> (sala usata solo nel [[1532]]<ref>{{cita|Sanudo, Diarii|LVII, p. 263, 30 dicembre 1532}}.</ref> e completata in seguito<ref>{{cita|Sanudo, Diarii|LVII, p. 536, 21 gennaio 1533}}.</ref>): sarà il Senato a tornare sul tema un anno dopo. Il 28 maggio 1532 venne deliberato il disfacimento dell'antica torricella, poi non più ricostruita,<ref>{{cita|Sanudo, Diarii|LVI, p. 165, 28 maggio 1532}}.</ref> a quel tempo ancora usata ma già interessata da un incendio pochi mesi prima.<ref>{{cita|Sanudo, Diarii|LVI, p. 88, 2 marzo 1532}}.</ref>
 
[[File:FrancescoDonato.jpg|thumb|left|Ritratto di [[Francesco Donà]] ad opera di [[Domenico Robusti]].]]
Considerato che l'operare fuori sede arrecava disagi vari alle varie cariche,<ref>{{cita|Sanudo, Diarii|LVII, p. 287, 16 dicembre 1532}}.</ref><ref>{{cita|Sanudo, Diarii|LVII, p. 591, 12 febbraio 1533}}.</ref><ref>{{cita|Sanudo, Diarii|LVIII, p. 281, 14 luglio 1533}}.</ref> il 27 marzo [[1533]] riprese la discussione in Senato relativa alla precedente proposta del Consiglio dei Dieci di portare a termine l'opera di riedifica,<ref>{{cita|Zanotto|p. 104}}.</ref> che nel [[1538]] non aveva visto però progressi. Durante il dogato di [[Pietro Lando]] ci si limitò a proseguire la decorazione delle sale di rappresentanza: operarono durante questo periodo [[Tiziano]],<ref>{{cita|Ridolfi|I, p. 214}}.</ref> [[Paolo Veronese]] e il [[Tintoretto]].<ref>{{cita|Ridolfi|II, p. 14; 189}}.</ref>
 
Solo sotto [[Francesco Donà]], complici la pace e la prosperità che si ebbero nel suo dogato, il cantiere ricevette una decisiva svolta, sotto la direzione di Antonio Abbondi.<ref name=Z106>{{cita|Zanotto|p. 106}}.</ref> Il cantiere dell'ala orientale si concluse definitivamente solo nel settembre [[1550]].<ref name=Z106/> Poco dopo la fine dei lavori, ma prima della conclusione del ducato di Donà, vennero realizzati i due balconi della Sala del Maggior Consiglio che, affacciati sulla corte interna, ne permettono l'areazione: tale opera fu completata solo nel [[1554]].<ref name=Z108>{{cita|Zanotto|p. 108}}.</ref>
 
In seguito, fino al [[1574]], vennero realizzate nel palazzo a cura del [[Pordenone]], del [[Tintoretto]], di [[Paolo Veronese]], di [[Alessandro Vittoria]], di [[Jacopo Sansovino]] e di [[Battista Franco]] varie opere di mera decorazione nella nuova ala, nella Scala d'Oro, nella Sala dello Scrutinio e nella Sala del Maggior Consiglio,<ref name=Z108/> ma molte di queste saranno distrutte nei due successivi incendi. L'ultimo atto della ricostruzione si ebbe nel [[1566]]: fu la posa in cima alla Scala dei Giganti di due celebri statue realizzate da [[Jacopo Sansovino]], raffiguranti ''Marte'' e ''Nettuno''.<ref>{{cita|Zanotto|p. 107}}.</ref>
 
=== L'incendio del 1574 ===
[[File:Palladio.jpg|thumb|Andrea Palladio.]]
L'11 maggio [[1574]], a causa della noncuranza con cui veniva sorvegliato il fuoco durante la festa per l'anniversario della salita al potere di [[Alvise I Mocenigo|Alvise Mocenigo]], negli appartamenti ducali scoppiò un grande incendio:<ref>{{cita|Zanotto|p. 119}}.</ref> il doge e i senatori si salvarono, ma il fuoco divampò nelle sale dei Pregadi e del Collegio, dell'Anticollegio e delle Quattro Porte, distruggendo, tra le altre cose, dipinti di Tiziano e altre decorazioni delle sale.<ref name=Z120>{{cita|Zanotto|p. 120}}.</ref> Fortunatamente degli impiegati del palazzo, degli avvocati e dei semplici cittadini rimossero dagli ambienti vicini al fuoco delle carte molto importanti di processi, evitando che l'incendio intaccasse la sala dei Capi del Consiglio dei Dieci e quella del Maggior Consiglio; a causa di un forte vento, però, il fuoco si diffuse su alcune cupole della basilica di san Marco e del Battistero,<ref>{{cita|Cerimoniale|I, 52}}.</ref> che [[Francesco Molino]] e il [[Francesco Sansovino|Sansovino]] sostengono non siano stati danneggiati in alcun modo dall'incendio.<ref>{{cita|Molino}}</ref><ref>{{cita|Sansovino|p. 518}}.</ref> Alcune fonti ritengono che le fiamme abbiano raggiunto addirittura gli intavolati vicini alle campane del campanile di san Marco, ma questa tesi è smentita da altri, tra cui Zanotto, che sostiene l'impossibilità per il fuoco di raggiungere tale altezza.<ref name=Z120/>
 
Per estinguere l'incendio accorsero alcuni soldati della marina, che il giorno seguente rifiutarono la ricompensa di cinquecento ducati offerta loro dal Senato, e tutti i magistrati di Venezia, che oltre a spegnere il fuoco si adoperavano per mantenere l'ordine nella città, agitata dalla notizia dell'incendio.<ref name=Z121>{{cita|Zanotto|p. 121}}.</ref> Il doge si trasferì a vivere da suo fratello Giovanni, a [[Palazzi Mocenigo|Palazzo Mocenigo]].<ref name=Z121/>
 
Spente le fiamme, i senatori elessero tre uomini per curare la ricostruzione delle sale danneggiate: [[Andrea Badoaro]],<ref>{{cita|Cerimoniale}}</ref> [[Vincenzo Morosini]] e [[Pietro Foscari]], i quali incaricarono [[Antonio da Ponte (architetto)|Antonio da Ponte]] come direttore dei lavori.<ref name=Z121/> Con da Ponte lavorarono anche [[Cristoforo Sorte]], che si occupò della sala dei Pregadi, [[Andrea Palladio]], che decorò la sala delle Quattro Porte e [[Vincenzo Scamozzi]], che curò la sala dell'Anticollegio.<ref name=Z121/><ref name="CISA"/>
 
I lavori proseguirono per tre anni, fino al seguente incendio, e videro un gran lusso che dimostrava la ricchezza della Repubblica di Venezia, attraverso l'utilizzo di marmi pregiati, di capitelli, di quadri e di sculture senza badare a spese.<ref>{{cita|Cicognara|tav. 45-48}}.</ref><ref name=Z122>{{cita|Zanotto|p. 122}}.</ref> La ricostruzione delle sale si protrasse anche dopo il secondo incendio, infatti a cavallo tra gli anni '70 e '80 del Cinquecento alcuni documenti attestano che si stesse lavorando ancora alla sala dei Pregadi. Dall'osservazione dei dipinti delle nuove stanze, inoltre, si nota che vi sono raffigurati dogi che governarono dal [[1577]] al [[1605]], il che dimostra che i lavori si conclusero solo nel [[XVII secolo]]; questi ritardi, probabilmente, furono dovuti all'epidemia di peste che falciò circa 51 000 abitanti a Venezia dal 1575 al 1577.<ref name=Z122/><ref>{{cita|Gallicciolli|pp. 215 e segg}}.</ref>
 
[[File:Jacopo_Tintoretto_037.jpg|thumb|left|Sebastiano Venier.]]
=== L'incendio del 1577 ===
Il 20 dicembre 1577 (anche se molti scrittori affermano, erroneamente, che si trattasse del 13 gennaio 1578) scoppiò un nuovo incendio, presso la sala dello Scrutinio, nelle vicinanze della porta della Carta, dovuto all'accensione di un vigoroso fuoco da parte dei guardiani del palazzo in un camino contenente vecchia fuliggine, la quale diede origine alle fiamme.<ref name=Z129>{{cita|Zanotto|p. 129}}.</ref> Il tetto della sala, costituito da lastre di piombo, cominciò a gocciolare per il calore del fuoco, impedendo l'accesso a quello ed ad altri ambienti vicini e la rimozione delle opere d'arte lì collocate. Il Sansovino, in questo punto, sostiene sbagliando che il tetto fosse di rame,<ref>{{cita|Sansovino|lib. VIII}}.</ref> mentre sia il Cerimoniale che Molino affermano che la copertura in rame venne fatta solo dopo l'incendio del 1577.<ref>{{cita|Zanotto|p. 133}}.</ref> Nonostante l'accorrere di maestranze per arginare l'incendio, i soffitti delle sale dello Scrutinio e del Maggior Consiglio crollarono, distruggendo preziose opere d'arte di Carpaccio, Bellini, Tiziano, Tintoretto e altri.<ref name=Z129/>
 
L'incendio fu isolato con grande fatica dalle maestranze dell'Arsenale, che, calandosi con corde, riuscirono a schiacciarlo incontro ad una parete portante: l'operazione si concluse verso l'ora terza<ref>{{cita|Molino}}</ref> o sesta<ref>{{cita|Cerimoniale}}.</ref><ref name=Z130>{{cita|Zanotto|p. 130}}.</ref> Si temette che l'incendio fosse stato appiccato da nemici della Repubblica, così molti senatori vegliarono armati in piazza san Marco tutta la notte.<ref name=Z130/>
 
Per sicurezza le armi contenute nella sala dei Dieci furono trasportate nella basilica di san Marco, mentre i documenti dell'archivio vennero collocati nell'abitazione del gran Cancelliere, nella sagrestia della basilica, nelle stanze ducali e nella loggia sotto al Campanile; tuttavia molti oggetti preziosi e carte importanti vennero perduti.<ref name=Z131>{{cita|Zanotto|p. 131}}.</ref>
 
[[File:Francesco_Sansovino_v.2.PNG|thumb|Francesco Sansovino.]]
Il doge [[Sebastiano Venier]] rimase nei suoi appartamenti, dimostrando grande coraggio, mentre il senatore [[Luigi Michiel]] protesse la Libreria e la Zecca dalle fiamme bagnandone i tetti.<ref name=Z131/> Il giorno seguente le maestranze dell'Arsenale rifiutarono il compenso a loro assegnato dal Senato per aver salvato il palazzo, così come avevano fatto nel 1574.<ref name=Z131/>
 
Poiché la sala del Maggior Consiglio era inagibile, il Senato prese a radunarsi nel circuito della basilica di san Marco, dopo aver preso in considerazione altri luoghi;<ref name=Z132>{{cita|Zanotto|p. 132}}.</ref> gli architetti, tra cui da Ponte e Palladio, decretarono che erano necessari tre mesi per accomodarlo a sede del Maggior Consiglio: durante quel periodo il Senato si radunò all'interno della basilica.<ref>{{cita|Magrini|p. 48 e seg}}.</ref><ref name=Z132/>
 
Ma, a causa degli impedimenti costituiti dalle celebrazioni per la Quaresima, il Consiglio si spostò nelle due sale dei Remi, all'Arsenale;<ref name=Z132/> vennero costruite nuove entrate che permettessero ai nobili di accedervi senza passare per il cantiere.<ref name=Z132/> Il 18 gennaio 1578 vennero eletti [[Luigi Zorzi (procuratore)|Luigi Zorzi]], [[Jacopo Foscarini]] e [[Pietro Foscari]] come procuratori alla ricostruzione delle sale danneggiate del palazzo Ducale.<ref name=Z132/>
 
Per la ricostruzione del palazzo si interpellarono quindici architetti: [[Giovanni Antonio Rusconi]], abile nell'idraulica; [[Guglielmo de Grandi]], esperto della [[laguna veneta]]; [[Paolo da Ponte (architetto)|Paolo da Ponte]]; [[Andrea da Valle]]; [[Andrea Palladio]],<ref name="CISA">{{cita web|url = http://mediateca.palladiomuseum.org/palladio/opera.php?id=20|titolo = {{PAGENAME}}|opera = Mediateca Palladio|editore = [[Centro internazionale di studi di architettura Andrea Palladio|CISA - Centro internazionale di studi di architettura Andrea Palladio]]}}</ref> che già si occupava della sala delle Quattro Porte; [[Angelo Marcò]]; [[Francesco Sansovino]]; [[Francesco Malacreda]], importante architetto militare; [[Jacopo Bozzetto]], esperto di architettura; [[Jacopo Guberni]], addetto al magistrato delle Acque; [[Simone Sorella]]; [[Antonio Paliari]], abile nell'arte muraria; [[Francesco Zamberlan]], famoso architetto, meccanico ed inventore; [[Cristoforo Sorte]], ingegnere, architetto, coreografo e scrittore; [[Antonio da Ponte (architetto)|Antonio da Ponte]], proto del palazzo.<ref name=C>{{cita|Cadorin}}</ref><ref>{{cita|Zanotto|p. 139}}.</ref>
 
Agli architetti venne chiesto in quale stato fossero i muri del palazzo; se potessero questi sostenere un nuovo tetto e come; se invece le crepe ne minassero la stabilità e quali rimedi si sarebbero potuti prendere; se i travi e i capitelli rimasti potessero essere tenuti; se i muri avessero bisogno di essere rafforzati; se si potesse ritenere il palazzo stabile; quanto tempo ci volesse per riparare le aree danneggiate; quali accortezze bisognasse osservare se si volesse togliere le prigioni dal piano terra del palazzo.<ref name=Z140>{{cita|Zanotto|p. 140}}.</ref>
 
Le risposte degli architetti a questi otto quesiti furono contrastanti; a lungo si ritenne, erroneamente, che il Palladio volesse radere al suolo l'intero palazzo e ricostruirlo secondo un suo disegno.<ref name=Z140/> Il Sansovino, come anche il Rusconi, il Paliari e il Sorella, erano fermamente convinti a non toccare la struttura originaria del palazzo, ritenuta molto solida.<ref name=Z141>{{cita|Zanotto|p. 141}}.</ref> Favorevoli a piccole modifiche strutturali erano il Malacreda, il Guberni, il Bozzetto, il Marcò e il Zamberlan, che avrebbero desiderato aggiungere pilastri e volti.<ref name=Z141/> Da Ponte e dalla Valle, invece, erano fortemente contrari al palazzo, giudicandolo insicuro a causa della sua costruzione, che vedeva "il pieno sopra il vodo, il largo et grave sopra il debole et stretto".<ref name=Z141/> Anche il Sorte era scettico nei confronti della cantonata verso il ponte della Paglia, che riteneva insicura;<ref name=Z142>{{cita|Zanotto|p. 142}}.</ref> il de Grandi immaginava una facciata ornata da vari ordini di colonne di diversi stili.<ref name=Z142/><ref name=C/>
 
Al contrario di quello che si suol dire, Palladio e da Ponte non si contesero affatto il progetto per il palazzo, anzi, si accordavano sul tenere la struttura originaria, applicando solo piccole modifiche tra cui l'inserimento di pilastri per rafforzare le pareti danneggiate.<ref name=Z142/><ref name=Z143>{{cita|Zanotto|p. 143}}.</ref> La ristrutturazione sarebbe durata quattro anni, e avrebbe previsto la costruzione di quattordici volti per ciascuna delle due facciate, la sostituzione delle pietre rovinate e la posa di una nuova travatura, la riparazione dei muri danneggiati dal fuoco, la collocazione di catene per sostenere la parete verso il ponte della Paglia e il rimpiazzo dei capitelli crepati.<ref name=Z143/> L'ideatore del progetto, da Ponte, venne scelto in quanto il meno invasivo tra quelli proposti dagli altri architetti, e il 21 febbraio 1578 il da Ponte iniziò a lavorare assistito dagli altri.<ref name=Z143/>
 
La prima attività dell'architetto fu quella di asportare dalle sale dello Scrutinio e del Maggior Consiglio i ruderi, che furono poi venduti al prezzo di quattrocento ducati.<ref>{{cita|Molino|p. 51 e segg.}}.</ref> In seguito, egli si interessò della difficile questione strutturale relativa all'angolo vicino al Ponte della Paglia: i muri erano sbilanciati verso il Rio.<ref name=Z146>{{cita|Zanotto|p. 146}}.</ref> Della serie di arcate antistante le prigioni vennero murate le prime due e la quinta, e le prigioni lì poste vennero trasformate in uffici. Poi l'architetto sostituì le travature danneggiate e riparò i capitelli della loggia, anziché sostituirli, cingendoli con cerchi di ferro;<ref name=Z146/> quindi coprì con un nuovo tetto formato da travi di larice la sala dello Scrutinio e quella del Maggior Consiglio, impiegando solo due mesi.<ref name=Z146/> I tetti vennero coperti con lamiere di rame, e non di piombo, poiché quest'ultimo si scioglieva, e quindi provocava maggiori danni, più facilmente.<ref name=Z147>{{cita|Zanotto|p. 147}}.</ref> Dopo si passò al restauro degli interni, delle finestre (che privò delle trifore per fornire più luce all'interno),<ref name=Z147/> dei muri e del pavimento, così celermente che la sala del Maggior Consiglio fu pronta per essere usata già il 30 settembre 1578.<ref name=Z147/> In tale occasione la nuova sala ospitò una processione.<ref>{{cita|Molino|30 settembre 1578.}}.</ref>
 
[[File:Il papa in S. Marco dona al doge Ziani il cero bianco, uno dei segni dell'autorità dogale.JPG|thumb|left|Uno dei dipinti del ciclo narrante il coinvolgimento di Venezia nelle lotte tra Papato ed Impero.]]
[[File:Jacopo Tintoretto - Paradise - WGA22637.jpg|left|thumb|Il ''Paradiso'' di [[Jacopo Tintoretto]], la tela più grande del mondo.<ref>{{cita web|url=http://palazzoducale.visitmuve.it/it/mostre/archivio-mostre/il-paradiso-di-tintoretto-un-concorso-per-palazzo-ducale/2006/08/3612/progetto/|titolo=Il Paradiso di Tintoretto|sito=palazzoducale.visitmuve.it|accesso=13 luglio 2014}}</ref>]]
I progetti dei soffitti delle sale del Consiglio e dello Scrutinio furono rispettivamente assegnati a [[Cristoforo Sorte]] e a [[Antonio da Ponte (architetto)|Antonio da Ponte]], che già si era incaricato di quello per la Sala del Senato.<ref name=Z148>{{cita|Zanotto|p. 148}}.</ref> Il Sorte, insoddisfatto di come fosse stato eseguito il progetto da lui elaborato, protestò (documenti che attestano questa protesta risalgono all'11 agosto 1579.): si può ipotizzare la riduzione dell'originale progetto sia collegata alla volontà di Antonio da Ponte.<ref name=Z148/> I lavori si protrassero a lungo, anche oltre l'anno [[1582]].<ref name=Z148/> Il progetto delle pitture che avrebbero dovuto decorare le pareti fu affidato a Jacopo Contarini, Jacopo Marcello e [[Gerolamo de Bardi]]. Opera fondamentale per la comprensione di questo lavoro è la ''Dichiaratione di tutte le istorie che si contengono nei quadri posti novamente nelle sale dello Scrutinio et del gran Consiglio del Palagio Ducale della Serenissima Republica di Vinegia, nella quale si ha piena intelligenza delle più segnalate vittorie, conseguite di varie nationi del mondo dai Vinitiani'' del Bardi medesimo.<ref>{{cita|Zanotto|p. 157}}.</ref> Le prime decisioni prese dai tre furono quelle di arricchire la sala colle raffigurazioni della venuta di [[Papa Alessandro III|Alessandro III]] a Venezia e della pace da lui stretta con [[Federico Barbarossa]]; loro pure la paternità della proposta di raffigurare appena sotto il fregio i volti e gli stemmi dei dogi che fino ad allora avevano regnato.<ref name=Z148/>
 
Per quanto concerneva la decorazione dei soffitti, vennero sfruttati vari temi (vittorie militari, gesta dei cittadini, allegorie), per ognuno dei quali vennero individuati spazi specifici: rispettivamente nella Sala dello Scrutinio e in quella del Maggior Consiglio al primo te,a furono dedicate le sezioni prima ed seconda, al secondo quelle seconda ed ultima , al terzo quelle ultima ed prima.<ref name=BA2>{{cita|Bardi|p. 2 e segg.}}</ref> Considerato che gran parte dei quadri era di tema storico, venne istituita una rigorosa successione cronologica non solo tra le tele delle singole stanze, ma andando a creare un sistema che coinvolgeva entrambi i locali; per rendere più chiara la lettura delle singole opere, esse furono dipinte usando tinte differenti: nel complesso i cicli decorativi dei due ambienti sembrano quindi concatenarsi.<ref name=BA2/> Gli artisti che furono designati per la realizzazione di questo apparato decorativo furono: [[Paolo Caliari|Paolo]] e [[Benedetto Caliari]], [[Jacopo Robusti|Jacopo]] e [[Domenico Robusti]], [[Jacopo Palma il Giovane]], [[Francesco Bassano]], [[Antonio Aliense]], [[Francesco Montemezzano]], [[Giulio Del Moro]], [[Andrea Vicentino]], [[Marco Vecellio]], [[Leonardo Corona]], [[Girolamo Gambarato]], [[Pietro Longo]], [[Girolamo Padovano]], [[Federico Zuccaro]], [[Camillo Ballini]], [[Tiburzio Bolognese]], [[Paolo Fiammingo]] e [[Francesco Terzo]]: non tutti però operarono nel cantiere, causa morte o impossibilità.<ref name=Z152>{{cita|Brusegan|p. 152}}.</ref>
 
== Ultimi cantieri nel palazzo ==
=== Fine del XVI secolo e inizio del XVII ===
Il lavoro di ammodernamento delle facciate si concluse tra il [[1571]] e il [[1579]] quando, per celebrare una grandiosa vittoria veneziana sugli Ottomani, i balconi affacciati sulla piazza e sul molo vennero rispettivamente decorati alle loro sommità con statue allegoriche di Venezia e della Giustizia.<ref name=Z152/> Entro il [[1597]] fu ultimata la sostituzione del rame costituente il tetto con una copertura di piombo, causa infiltrazioni nelle Sale del Maggior Consiglio e dello Scrutinio.<ref name=Z152/> La conclusione del [[XVI secolo]] fu segnata dalla chiusura di alcuni piccoli cantieri avviati tempo prima negli ambienti colpiti dall'incendio del [[1574]].<ref name=Z152/>
 
[[File:Prigioni nuove.JPG|thumb|Le Prigioni Nuove lungo la [[Riva degli Schiavoni]].]]
Gli anni a cavallo tra [[XVI secolo|XVI]] e [[XVII secolo]] furono segnati dal nascere nel Senato della volontà di trasferire le carceri, allora site al pianterreno del palazzo, accennata per la prima volta nel domandare un parere a proposito ai molti periti che intervennero nel restauro.<ref name=Z158>{{cita|Zanotto|p. 158}}.</ref> Elementi che di sicuro rallentarono l'avvio di detto cantiere furono il disaccordo tra architetti e il costo del fondo posto al di là del [[Rio di Palazzo]].<ref name=Z158/> Il primo decreto, promulgato nel [[1587]], vide i suoi effetti nel [[1589]].<ref name=Z158/> Una pianta del pianterreno del palazzo venne realizzata nel [[1580]] da un non meglio precisato Gianmaria dei Piombi: riscoperta da Giovanni Lorenzi, coadiutore della [[Biblioteca Marciana]], è fondamentale in primo luogo per la comprensione della storia dell'edificio, raffigurando la sua pianta e gli edifici posti al di là del Rio, destinati ad essere acquisiti per l'edificazione delle Prigioni,<ref>{{cita|Zanotto|p. 168}}.</ref> e in secondo perché rende possibile una lettura critica delle molte opere che, scritte in differenti epoche storiche, ebbero come loro fine la descrizione dell'edificio, e in particolare di quella redatta da Pietro Bettio:<ref name=Z158/> in essa, denominata ''Del Palazzo Ducale in Venezia. Lettera discorsiva'', riproponendosi di definire la struttura della Scala Foscara (una scala poi demolita, che collegava primo piano del palazzo e corte facendo coppia colla Scala di Pietra, sulla quale fu eseguita la condanna a morte di [[Marin Falier]], contrariamente a quanto raffigurato da [[Francesco Hayez]]<ref>{{cita web|url=http://www.venice-art-itinerary.com/la-scala-dei-giganti-palazzo-ducale-2/|titolo=La scala dei Giganti – Palazzo Ducale|autore=Maria Luisa Pavanini|sito=venice-art-itinerary.com|accesso=12 luglio 2014}}</ref>), egli inserisce un prospetto e una pianta di questa, sfruttando l'opera ''Degli abiti antichi e moderni'' di [[Cesare Vecellio]]:<ref name=Z158/> alterando i dati fornitigli dalla sua fonte, modificò la pianta e, sbagliando, definì contemporanea la scala alla loggia limitrofa.<ref>{{cita|Zanotto|p. 159}}.</ref> Sempre da questa pianta si evince che prima della ristrutturazione dell'inizio del XVII secolo fossero presenti quattro ambienti adiacenti la piazzetta, usati come scuderie dogali.<ref>{{cita|Brusegan|p. 162}}.</ref>
 
Il cantiere delle Prigioni Nuove fu condotto dapprima da [[Antonio da Ponte (architetto)|Antonio da Ponte]], alla morte del quale, avvenuta nel [[1597]], subentrò alla direzione [[Antonio Contin]], che completò l'opera nel [[1602]]: dopo il trasferimento dei detenuti nella loro nuova sede venne riadattata la pianta del pianterreno del palazzo, in gran parte secondo il progetto di [[Andrea Palladio]].<ref>{{cita|Zanotto|p. 161}}.</ref> Le Prigioni Nuove, sede dei [[Signori della Notte (Repubblica di Venezia)|Signori della Notte]], magistrati incaricati di prevenire e reprimere reati penali, venne collegato al Palazzo tramite il [[Ponte dei Sospiri]], percorso dai condannati tradotti dal Palazzo, sede dei tribunali, alle prigioni.<ref name=brusegan128/>
 
[[File:PalazzoDucale-pjt1.jpg|thumb|left|La facciata meridionale prospiciente la corte.]]
Lo spazio lasciato libero dalle prigioni venne ristrutturato ad opera del proto [[Bartolomeo Manopola]], subentrato a tale carica dopo la morte del da Ponte, ma quasi dimenticato dalla storiografia artistica, non citato né da [[Francesco Milizia (scrittore d'arte)|Francesco Milizia]], né da [[Filippo De Boni]], né da [[Giuseppe Cadorin]], solo accennato da [[Giannantonio Moschini]], da [[Leopoldo Cicognara]] e da [[Pietro Selvatico]].<ref name=Z163>{{cita|Zanotto|p. 163}}.</ref> La sua opera nel palazzo è stata trattata con errori ed imprecisioni dai vari storici, e in particolare dal Cicognara. Difatti non demolì per prima la Scala Foscara, ma fece realizzare al posto del muro portante che sorreggeva l'ala meridionale del palazzo (e quindi anche la Sala del Maggior Consiglio) un portico, similare a quello progettato dal Rizzo; la conclusione di tali opere è databile al dogato di [[Leonardo Donà]] e più precisamente al [[1607]] per via della presenza di stemmi e per quanto detto dalle cronache.<ref name=Z163/> Sempre dallo studio dei decori dei capitelli di questo portico, si può affermare essere stati i provveditori incaricati della supervisione dell'opera [[Domenico Dolfin]], [[Benedetto Moro]] e [[Antonio Priuli]], poi doge, e non essere iniziata l'opera prima del [[1606]], poiché il Dolfin e il Moro assursero a tale carica solo in quell'anno.<ref name=Z164>{{cita|Zanotto|p. 164}}.</ref>
 
Concluso questo primo lavoro, si cominciò ad operare lungo il fronte occidentale della corte, abbattendo la Scala Foscara, le abitazioni degli scudieri e quindi la muraglia sottostante la Sala dello Scrutinio, prontamente sostituita da arcate, in conformità colle altre facciate.<ref name=Z164/> Anche nella descrizione di questa fase dei lavori si incontra un'errore del Cicognara, che affermò essersi sostituiti con archi a tutto sesto degli ipotetici preesistenti loggiati a sesto acuto, mai esistiti.<ref name=Z164/> Questi lavori si conclusero entro il [[1610]]. Sbagliò quindi Pietro Bettio nell'affermare che per un certo periodo di tempo coesistettero scala e portico, in quanto secondo lui questi lavori d'abbattimento non si compirono prima del [[1618]]: ciò perché sul porticato è presente lo stemma di [[Leonardo Donà]], dogante nel 1610, e non di [[Nicolò Donà]], dogante negli anni al quale il Bettio faceva risalire l'opera.<ref name=Z164/> Negli spazi liberati vennero creati uffici per le magistrature dei cinque Savi e del Magistrato delle Acque e le abitazioni degli scudieri furono ristrutturate: tutti questi lavori si conclusero entro il [[1612]].<ref name=Z165>{{cita|Zanotto|p. 165}}.</ref>
 
[[File:Carlo Ponti Venezia 11.jpg|thumb|La facciata settentrionale prospiciente la corte in una foto storica di [[Carlo Ponti (fotografo)|Carlo Ponti]].]]
Concluso il cantiere che aveva coinvolto la facciata occidentale e abbattuta la Scala Foscara, rimaneva il breve fronte settentrionale che, in virtù delle recenti ristrutturazioni che avevano coinvolto gli altri prospetti, pareva ora piuttosto spoglio:<ref name=Z165/> nello spazio che collega la facciata dell'Arco Foscari sul cortile e l'angolo del palazzo, fu innalzato un prospetto aperto da una grande arcata al pianterreno (che in base a quanto ordinato dal Manopola doveva stilisticamente ricalcare i loggiati preesistenti<ref name=Z165/>).<ref name=brusegan128>{{cita|Brusegan|p. 128}}.</ref> In seguito a quanto ordinato dal Manopola, dovendosi il loggiato del pianterreno adattare agli stretti spazi e confare agli archi presenti nell'adiacente atrio (conducente dalla Piazzetta al Cortile), fu necessario costruire tre soli archi per livello, a tutto sesto quelli inferiori e a sesto acuto quelli superiori: considerato che erano presenti ampi spazi tra i vari archi, vennero costruite delle nicchie, arricchite colle statue offerte da [[Federico Contarini]].<ref name=Z166>{{cita|Zanotto|p. 166}}.</ref> L'opera venne ulteriormente decorata colla realizzazione di un fregio che si rifaceva a quello del fronte orientale:<ref name=Z166/> questa prima fase del cantiere si poteva dir conclusa nel [[1615]], poiché al centro del fregio fu scritto <small>MARCO ANT. MEMMO DVCE ANNO DNI MDCXV</small>.<ref name=Z166/> Sbaglia quindi il Bettio, seguito da altri storici, ad affermare che l'orologio fu compiuto entro il [[1615]] e con esso tale scritta fosse posta alla sua sommità: tale opera fu completata solo sotto [[Giovanni Bembo]], successore di [[Marcantonio Memmo]].<ref>{{cita|Zanotto|p. 171}}.</ref>
 
Il cantiere che aveva visto la demolizione della Scala Foscara rivelò che la parte destra dell'Arco Foscari, realizzato sotto i dogati di [[Francesco Foscari]] e [[Cristoforo Moro]] e contemporaneamente alla scala predetta, mancava di decori, poiché coperta dalla scalinata.<ref name=Z166/> L'aggiunta si distingue chiaramente dal resto dell'arco poiché presenta uno stile differente, oltre che per il fatto di non essere stata raffigurata da [[Cesare Vecellio]]: comprendeva la realizzazione di una nicchia contenete una statua femminile, che venne realizzata scolpendo la figura di [[Minerva]], poi sostituita da un simulacro di [[Ulpia Marciana]].<ref name=Z166/> Sotto [[Giovanni Bembo]] venne completato il cantiere relativo alla decorazione di quel fronte con la realizzazione del celebre [[orologio]]: tale opera, dapprima fatta risalire dal Bettio e dal Cicognara ai dogati del Memmo o a quello di Nicolò Donà, è però da attribuirsi a quest'ultimo periodo per via della presenza di uno stemma del predetto doge.<ref name=Z166/>
 
[[File:Doges Palace Ceiling 8 (7243172772).jpg|thumb|left|La Sala dello Scrutinio e l'arco dedicato a Francesco Morosini.]]
[[File:Lazzarini, Gregorio - Merit Offers the Command to Doge Morosini - 1694.jpg|left|thumb|''Il Merito offre il comando a Francesco Morosini'', una delle sei opere di [[Gregorio Lazzarini]] che decorano l'arco dedicato al Morosini.]]
 
=== XVII secolo ===
Il dogato di [[Antonio Priuli]] si aprì colla ristrutturazione dell'Appartamento dogale, e più precisamente colla realizzazione di un ambiente dedicato ai tradizionali banchetti che il doge offriva alle massime cariche statali nella casa dei Canonici dell'attigua basilica.<ref name=Z172>{{cita|Zanotto|p. 172}}.</ref> Tale ambiente venne collegato dal Manopola con un volto teso tra la Sala degli Stucchi o Sala Priuli e l'edificio sopra accennato: dopo pochi anni, colla demolizione di questo ponticello, i due edifici furono definitivamente separati.<ref name=Z172/> Dopo la realizzazione di questo ambiente, avendo [[Francesco Maria II Della Rovere]] donato alla Serenissima una statua del suo avo [[Francesco Maria I Della Rovere]], questa fu posta nel cortile:<ref>{{cita|Zanotto|p. 175}}.</ref> dopo quest'opera, risalente al [[1625]], nessun'altra ne fu compiuta di grande importanza nel palazzo.<ref name=Z178>{{cita|Zanotto|p. 178}}.</ref> Venne abbellito con un altarino dedicato alla Vergine e con due tele, raffiguranti ''Il flagello della Peste'' e ''I santi Marco, Rocco, Teodoro e Sebastiano'', opera la prima probabilmente di [[Daniel van den Dyck]], la seconda di [[Baldassare d'Anna]], l'atrio della Porta del Frumento;<ref name=Z178/> venne decorato sotto [[Francesco Erizzo]], tra il [[1631]] e il [[1645]], un ambiente dell'appartamento dogale poi noto come Sala Erizzo;<ref name=Z178/> venne realizzato, forse da [[Andrea Tirali]], un arco trionfale dedicato a [[Francesco Morosini]], decorato da [[Gregorio Lazzarini]] con sei dipinti, sito nella Sala dello Scrutinio e riportante l'iscrizione <small>FRANCESCO MAVROCENO PELOPONNESIACO SENATUS ANNO MDCVIC</small>.<ref name=Z179>{{cita|Zanotto|p. 179}}.</ref>
 
=== XVIII secolo ===
Pure nel [[XVIII secolo]] non fu realizzata alcuna opera degna di particolare nota: nel [[1728]], sotto [[Alvise III Sebastiano Mocenigo]], fu restaurata la Scala dei Giganti, con particolare cura ai basamenti delle statue di ''Marte'' e ''Nettuno'', sui quali furono scritti data del restauro e committente;<ref name=Z179/> l'8 gennaio [[1737]] un incendio colpì il palazzo, e l'ampliamento effettuato durante la ristrutturazione che a ciò seguì fu abbattuto;<ref name=Z180>{{cita|Zanotto|p. 180}}.</ref> nel [[1741]] si provvide alla decorazione della Sala Priuli con quadri contornati da stucchi, eponimi da allora di quel locale;<ref name=Z180/> pressappoco nel [[1752]] i cinque finestroni archiacuti dei fronti meridionale e occidentale prospicienti il cortile, due nella Sala dello Scrutinio, due in quella del Maggior Consiglio e uno nell'andito che le congiungeva, furono sostituiti, con danno estetico per il complesso;<ref name=Z180/> nel [[1761]] furono sostituite due delle mappe della Sala dello Scudo, che si erano rovinate, e questo locale fu separato dalla Sala dei Filosofi; sotto [[Alvise IV Mocenigo|Alvise Mocenigo]] fu ristrutturata la Sala dei Banchetti edificata nel precedente secolo ma poi abbattuta;<ref name=Z181>{{cita|Zanotto|p. 181}}.</ref> nel [[1793]] [[Pietro Antonio Novelli]] curò il restauro di alcuni dei dipinti adornanti la Scala d'Oro.<ref name=Z181/>
 
== Dopo la caduta della Serenissima ==
=== XIX secolo ===
[[File:Silvio Pellico.jpg|thumb|[[Silvio Pellico]], prigioniero nel palazzo all'interno non dei Piombi, ma di altri locali poi abbattuti.]]
Dopo la caduta della [[Repubblica di Venezia]], la cui fine fu decretata nella seduta del Maggior Consiglio del 12 maggio [[1797]], il Palazzo non venne più utilizzato come sede del principe e delle magistrature, ma fu adibito a sede di uffici amministrativi degli imperi [[Primo Impero francese|napoleonico]] e [[Impero austriaco|asburgico]].<ref name=brusegan128/> Durante questo lasso di tempo, sotto la direzione di [[Giuseppe Borsato]], [[Giuseppe Salvadori]] e [[Lorenzo Santi]], vennero asportati vari leoni di San Marco, tra i quali quello che decorava la Porta della Carta,<ref name=Z184>{{cita|Zanotto|p. 184}}.</ref> furono scentrate le prigioni dei Pozzi e dei Piombi,<ref name=Z184/> furono asportati quadri ed arredi,<ref name=Z184/> gli affreschi presenti nella chiesetta palatina furono imbiancati,<ref name=Z185>{{cita|Zanotto|p. 185}}.</ref> vennero riservati degli ambienti per la [[Camera di Commercio]].<ref name=Z185/> Nel [[1807]] divenne sede del Tribunale d'appello, mentre nel [[1811]] vennero elette a sede della [[Libreria Marciana]] prima la Sala del Maggior consiglio e poi quelle costituenti l'Appartamento Ducale.<ref name=brusegan128/> In quegli anni venne lì trasferito pure lo statuario archeologico.<ref name=brusegan128/>
 
Nel [[1821]], in seguito a un incendio e per volontà di [[Francesco II d'Asburgo-Lorena]], tutti gli uffici saranno costretti a trovare una nuova sistemazione: vi rimasero solo biblioteca e museo,<ref name=Z186>{{cita|Zanotto|p. 186}}.</ref> la cui collocazione venne modificata solo molto tempo dopo, quando nel [[1904]] la libreria trovò la sua attuale collocazione e nel [[1918]] quando stessa sorte toccò al Museo Archeologico.<ref name=brusegan128/> Pure i [[pompieri]] trovarono sede nell'edificio, venendo collocati nell'atrio della Porta del Frumento, dal quale tutte le opere d'arte furono asportate;<ref name=Z186/> nel [[1841]] fu ristrutturato il grande orologio sito nel cortile;<ref name=Z186/> nel [[1844]], poiché nell'edificio aveva trovato sede l'[[Istituto veneto di scienze, lettere ed arti]], si ristrutturarono i tetti dell'intero complesso;<ref name=Z186/> [[Antonio Zambler]] ristrutturò nel frattempo i dipinti della Sala del Maggior Consiglio;<ref name=Z187>{{cita|Zanotto|p. 187}}.</ref> tra il [[1847]] e il [[1849]] si restaurarono i loggiati del primo piano per porvi busti di illustri cittadini veneti;<ref name=Z187/> tra il [[1852]] e il [[1854]] tutti i grandi balconi delle sale del Maggior Consiglio e dello Scrutinio e la Porta della Carta furono profondamente ristrutturati sotto il controllo di [[Gaspare Biondetti]] e di [[Vincenzo Fadiga]];<ref name=Z187/> furono abbattuti alcuni ambienti annessi all'Appartamento dogale, da poco costruiti, col fine di rendere uguale l'altezza di tutte le facciate prospicienti il cortile centrale: in essi era stato rinchiuso [[Silvio Pellico]], che però li confuse con i ''[[Piombi]]'', già distrutti nel [[1797]].<ref>{{cita|Zanotto|p. 188}}.</ref>
 
=== XX secolo ===
Con l'annessione di Venezia al [[Regno d'Italia]] il Palazzo subì cospicui restauri, mostrando i segni del tempo e del degrado:<ref name=web>{{cita web|url=http://palazzoducale.visitmuve.it/it/il-museo/la-sede-e-la-storia/sede/|sito=palazzoducale.visitmuve.it|accesso=13 luglio 2014|titolo=La sede e la storia}}</ref> i capitelli dei porticati prospicienti il [[Molo di Palazzo Ducale|Molo]] e la [[Piazzetta San Marco|Piazzetta]] furono asportati e sostituiti, andando a costituire il Museo dell'Opera; tutti i pubblici uffici che vi avevano sede furono trasferiti in altri luoghi, fatta eccezione per l'Ufficio statale per la tutela dei monumenti, che vi risiede come Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Venezia e Laguna.<ref name=web/> Nel dicembre [[1923]] lo [[Italia|Stato italiano]], proprietario del complesso, ne affidò la gestione al [[Comune di Venezia]], che lo trasformò nel museo attivo tuttora e parte della Fondazione Musei Civici Venezia dal [[1996]].<ref name=web/>