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Si tratta di un'opera idraulica di rilievo per via del ruolo fondamentale che ricoprì nell'industria serica bolognese, settore trainante dell'economia locale fra il XIII e il XVIII secolo. La chiusa di Casalecchio, infatti, fu in quel periodo la maggior fornitrice di acqua necessaria ai filatoi da seta<ref>{{Cita|Chierici, 2011|p. 19}}</ref>.
 
== Dal secolo XIIIXII al XV ==
 
=== La chiusa lignea ===
Fino alla sistemazione della chiusa ordinata dal Cardinale Legato Pontificio [[Egidio Albornoz]] dopo il 1360, i fatti e le date relativi alla chiusa di Casalecchio di Reno rimangono incerti e sono stati ampiamente dibattuti da storici bolognesi quali [[Leandro Alberti]], [[Cherubino Ghirardacci]], [[Carlo Sigonio]], [[Pompeo Vizzani]], [[Ludovico Savioli]] e [[Giuseppe Guidicini]]<ref>{{Cita|Zanotti, 2000|p. 31}}</ref>.
 
PurSulla supponendobase del manoscritto ottocentesco B 2238<ref>attualmente è conservato nella biblioteca dell'Archiginnasio di Bologna</ref>, che ilfissa a un non ulteriormente precisato anno Mille l'esistenza di una rudimentale chiusa (chiamata "Pescaja" o "Steccaia"), alcuni studiosi fanno risalire la struttura al secolo XI. Di certo però la chiusa è attestata nel 1183, anno dell'apertura ufficiale della chiusa stessa e del canale di Reno<ref>{{Cita|Zanotti, 2000|p. 252}}</ref>. Tra l'altro, pur supponendo che il canale avesse diverse strutture atte a regimentare le acque e a pescare, pare ragionevole datareche la chiusa dati a un periodo anteriore alalla 1191,costruzione annodella inramificazione cuidel fucanale costruitadi unaReno, ramificazioneavvenuta delnel canale1191, perche fu funzionale a portarneportare l'acqua fino alla cinta muraria di Bologna<ref>Si tratta della seconda delle tre cinte murarie che Bologna ebbe nella sua storia: la cinta dei Torresotti</ref>. Tale ramificazione costeggiava via del Pratello e ne facevano uso i cosiddetti Ramisani, che devono il nome alla loro natura di comproprietari di un ramo del Reno. I Ramisani (originariamente 41) erano riuniti in un consorzio e si occupavano delle spese di mantenimento di canale e chiusa.
 
Non è certo a chi sia da attribuire l'iniziativa di costruire la chiusa, ma una possibile ipotesi vede i canonici Renani, appartenenti alla canonica di S. Maria del Reno (fondata nel 1130), che erano dotati dei mezzi economici, organizzativi e tecnici necessari per tale impresa. Sicuro è, invece, che in origine la chiusa fosse una costruzione modesta, collocata in un punto non ricostruibile oggi con precisione<ref>Ne è causa il fatto che, col passare dei secoli, i livelli del letto del Reno si sono vistosamente modificati</ref> e successivamente migliorata e ampliata in base alle funzioni e alle potenzialità che con il passare degli anni le furono richieste.
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Fino alla metà del secolo XIII la chiusa era probabilmente un semplice sbarramento di legno simile a una palizzata. La costituivano grossi pali di legno infissi sul fondo dell'alveo fluviale e collegati gli uni agli altri tramite traverse, ferle e funi di canapa. Non doveva essere particolarmente alta e probabilmente era rinforzata da grandi massi disposti a scogliera. Si trattava quindi di una struttura piuttosto vulnerabile, bisognosa di costanti e costose manutenzioni.
 
==== La chiusa in pietra ====
Per ovviare a tali costi, il Comune di Bologna fece costruire nel 1250 una chiusa in pietra più a monte della precedente in legno; a questo si aggiunse lo scavo di un tratto di collegamento fra la nuova struttura e il canale già esistente, detto "''ramus vetus''". Tali compiti furono gestiti da una commissione tecnica costituita dall'ingegnere Alberto, mastro Giovanni da Brescia, mastro Michele Delamusca e mastro Michele Lamandini. Il lavoro fu terminato nel 1278. Nonostante i buoni propositi, però, anche la nuova costruzione si rivelò bisognosa di frequenti manutenzioni, dovute alle piene del fiume e all'erosione causata dalle acque. Si hanno notizie di riparazioni eseguite negli anni 1288, 1289, 1294, 1295 e 1299<ref>{{Cita|Chierici, 2011|p. 24}} e {{Cita|Zanotti, 2000|p. 39}}</ref>. Interventi di riparazione riguardano periodicamente anche la vecchia chiusa lignea, forse considerata un impianto sussidiario, che fu ritenuta non più necessaria e quasi del tutto smantellata solo nel 1309.
 
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I ruderi della chiusa distrutta da Bonacolsi sono oggi ancora visibili a valle della chiusa attuale. Fino al 1985 erano ben più numerosi, ma in quell'anno furono in parte distrutti per un malinteso riguardante la sistemazione del fiume. I resti sono localmente chiamati "il Pracinino" (dal termine dialettale "''Prè-zinèn''", ovvero "prato piccolo") e "''i Masgnòn''" (i Macignoni). Osservandoli, è possibile inferire che la chiusa era un conglomerato di pietre e sassi legati da calce e ricoperti, su almeno parte dello scivolo della struttura, da pietra ofiolitica. Si notano anche i segni di una struttura di travi lignee, probabilmente impiegata per la sopraelevazione delle parti superiori della chiusa, e, nella calce, delle tracce di carbonella, che fanno pensare a fuochi accesi dagli operai nei momenti di sosta. La chiusa presentava gravi errori di progettazione, che la spinsero alla rovina nel 1325: la costruzione era eccessivamente lunga, sprovvista di elementi interni capaci di opporre resistenza a una forte pressione dell'acqua, e appoggiata direttamente sulla pietra, senza scavo di fondazione; le sue fondamenta affondavano infatti solamente in un alto e poco solido cuscino di ghiaia.
 
==== La seconda chiusa in pietra ====
Nella successiva ricostruzione, indetta dal Legato Albornoz fra il 1360 e il 1363<ref>{{Cita|Chierici, 2011|p. 28}}</ref>, la chiusa fu ulteriormente spostata a monte di 200 m per sfruttare il naturale maggiore dislivello del terreno. Questa fu la sistemazione spaziale definitiva dell'impianto, che ancora oggi occupa quel sito; seguirono solo miglioramenti, aggiustamenti e rinforzi della struttura. Per esempio, Guglielmo da Siena apportò delle correzioni alla chiusa e al canale nel 1403. La chiusa di Casalecchio, così come il canale di Reno, può essere considerata campo di confronto per gli ingegneri idraulici bolognesi che, a ogni intervento, studiarono gli errori del passato per evitarne la ripetizione.
 
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== Dal secolo XVIII a oggi ==
Si giunse quasi alla fine del XIX secolo senza che la chiusa subisse ulteriori danni di grave entità: solo nel 1763 e 1790 si resero necessarie alcune riparazioni, che non posero però grandi difficoltà. L'avvenimento che maggiormente segnò la storia della chiusa di questo periodo si presentò proprio sul finire del secolo: negli ultimi giorni del settembre del 1893 un violento nubifragio abbattutosi sul bacino del Reno provocò una piena di eccezionale entità, che fu causa di una grave rotta del Reno il giorno 1 ottobre 1893'''NOTA'''<ref>{{Cita|Chierici, 2010|p. 19}}</ref>.
 
La piena raggiunse il suo culmine alle ore 11 della mattina: l'idrometro della chiusa segnò 4,70 m sullo zero idrometrico e una portata di 2200 m³/sec, quota senza precedenti. L'onda della piena travolse case e animali e fece saltare il muro di protezione della sponda sinistra del Reno. L'acqua abbandonò così l'alveo del fiume, lasciando a secco la chiusa e il canale e causando il blocco di tutta l'industria bolognese.
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== Custodi ==
Nella gestione della acque era fondamentale la figura del custode (o intendente) della Chiusa, che aveva il compito di interpretare i segnali dati dal fiume e di prevedere l'arrivo e la portata delle piene. Visto il potere che aveva sul corretto flusso di energia necessario per il funzionamento delle industrie bolognesi, nucleo vitale dell'economia del territorio, veniva considerato una delle maggiori autorità. La sua importanza era tale che nei cortei legati a rilevanti cerimonie pubbliche era solita sfilare una sua controfigura con un'uniforme di gala<ref>{{Cita|Chierici, 2011|p. 32}}</ref>. SecondoI l'annualeprimi Statocustodi delledi Animecui dellasi casalecchieseabbiano Parrocchiacon dicertezza Sannotizie Martino,furono ilmembri custodedella nonfamiglia era solito risiedere a CasalecchioChierici.
'''NON SI CAPISCE DA QUANDO CI SONO, QUANDO COMPAIONO'''
 
Nella gestione della acque era fondamentale la figura del custode (o intendente) della Chiusa, che aveva il compito di interpretare i segnali dati dal fiume e di prevedere l'arrivo e la portata delle piene. Visto il potere che aveva sul corretto flusso di energia necessario per il funzionamento delle industrie bolognesi, nucleo vitale dell'economia del territorio, veniva considerato una delle maggiori autorità. La sua importanza era tale che nei cortei legati a rilevanti cerimonie pubbliche era solita sfilare una sua controfigura con un'uniforme di gala<ref>{{Cita|Chierici, 2011|p. 32}}</ref>. Secondo l'annuale Stato delle Anime della casalecchiese Parrocchia di San Martino, il custode non era solito risiedere a Casalecchio.
 
Nel caso in cui minacciasse di esservi un temporale, l'intendente allertava una squadra di manovali perché regolassero il flusso d'acqua nel canale mediante pesanti paratoie di legno. Evitava così il rischio che il canale si riempisse eccessivamente portando ad allagamenti in città. L'intendente tentava inoltre di intuire, a seconda di colore e odore, da dove provenisse l'acqua delle onde di piena. Acque portate da affluenti diversi, infatti, attraversavano terreni diversi e ne erano influenzate.
 
=== La famiglia Chierici ===
La famiglia Chierici fu responsabile della chiusa a partire dal 1768 e rimase fedele all'incarico fino al 1966<ref>{{Cita|Chierici, 2011|p. 33}}</ref>. ContravvenendoI l'usanzacustodi precedente, si stanziòappartenenti a Casalecchio per controllare con continuità il regime delle acque. Precisamente, iquesta Chiericifamiglia risiedettero nella Casa di Guardia "Pracinino", costruita dall'ingegnere Ghedini nel 1829 proprio per questo scopo.
 
[[File:Pracinino-casa-custode.jpg|thumb|Casa di Guardia "Pracinino"]]