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{{Theravada}}
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Il '''Buddhismo Theravāda''' ([[Lingua pāli|Pāli]]: थेरवाद ''theravāda'', [[Sanscrito]]: स्थविरवाद ''sthaviravāda'', letteralmente "la scuola degli anziani") è la forma di [[buddhismo]] dominante nell'[[Asia meridionale]] e nel [[Sud-est asiatico]], in modo particolare in [[Sri Lanka]], [[Thailandia]], [[Cambogia]], [[Myanmar]] e [[Laos]].
<div style="width:280px; padding:5px 5px 1px; background:#FFC184; font-size:90%;">[[File:Firma e data.png|270px|border]]
È la più antica scuola buddhista tra quelle tuttora esistenti, originata da una delle prime e più importanti scuole nate dall'insegnamento di [[Gautama Buddha|Siddhartha Gautama]], in particolare dalla dottrina [[Vibhajyavāda]]<ref>Tuttavia [[Paul Williams (storico delle religioni)|Paul Williams]] nota che: {{citazione|Secondo una discutibile tradizione, erano sorti dei contrasti dottrinali tra i sarvastivādin e un gruppo chiamato in sanscrito 'Sthaviravāda' ('Dottrina degli anziani') a proposito dell'esistenza dei dharma nei tre tempi. Gli sthaviravādin si dichiaravano 'distinzionisti' (sanscrito ''vibhajyavādin'', pāli ''vibhajjavādin''). Ammettevano l'esistenza dei dharma nel presente, ma non nel futuro. Quanto al passato, ponevano la distinzione tra un'intenzione salutare o non salutare che ha prodotto già i suoi frutti karmici e quindi non esiste più, e quella che non ha ancora prodotto i suoi frutti, e quindi deve essere ritenuta ancora esistente. La denominazione 'sthaviravāda' corrisponde al pāli 'theravāda', e i theravādin concordano nel venire chiamati 'vibhajjavādin'. Ma i theravādin non possono essere pienamente identificati con gli sthaviravādin di questa antica disputa, dato che la tradizionale posizione theravāda sui dharma nei tre tempi sostiene che solo il dharma presente esiste (Kathavatthu 1,6)"., in: Paul Williams. ''Il Buddhismo dell'India''. Roma, Ubaldini, 2002, pag. 119.}}</ref> ("dottrina dell'analisi"), a sua volta originatasi intorno al [[III secolo a.C.]] da una divisione dalla scuola [[Sthaviravāda]] (la "scuola degli anziani", appunto) del [[Buddhismo dei Nikāya]].
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Le più antiche testimonianze di questa scuola ne collocano il primo centro nella città [[india]]na di [[Pāṭaliputta]], da dove si diffuse in seguito nella città di [[Kosambi]] e nel regno di [[Avantī]] (nella attuale [[Ujjain]]) e in altri luoghi dell'India occidentale<ref name="Hazra">Lal Hazra, ''History of Theravāda Buddhism'', pag.29</ref>. Un'iscrizione a [[Sārnāth]] ne testimonia la presenza già nei primi tempi in cui il buddhismo raggiunse questa città, come pure fa l'iscrizione di [[Nāgārjunikoṇḍa]]<ref name="Hazra"/>. Dall'India occidentale, il Theravāda si diffuse nell'India del sud affermandosi a [[Kāñcī]], da dove raggiunse infine l'isola dello [[Sri Lanka]]<ref name="Hazra"/>, dove ebbe un centro fondamentale per la sopravvivenza della sua ortodossia dottrinale nel monastero [[Mahāvihāra]] di [[Anurādhapura]].
<div style="text-align:right; font-size:95%; margin-top:.5em;">'''''[[Wikipedia:Babel/It-0|Not Italian? It-0?]]'''''</div>
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Gli adepti possono essere definiti ''sthaviravāda'' o ''theravāda'' poiché il termine ''thera'' (in [[pāli]]) e il termine ''sthavira'' (in [[sanscrito]]) hanno il medesimo significato: "vecchio, autorevole". La [[dottrina]], infatti, secondo questa tradizione, appartiene ai monaci anziani e venerandi, quelli che più s'avvicinavano al [[Buddha Shakyamuni]] e che più di tutti rifuggirono da ogni innovazione di tipo teorico.
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I Theravāda sostengono quindi, come d'altronde tutte le altre scuole buddhiste per le rispettive loro dottrine, che la loro dottrina corrisponda in pieno a quella enunciata dal [[Buddha Shakyamuni]].
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== Diffusione del buddhismo Theravāda ==
<div style="margin-bottom:1em;">Ricorda di <span style="color:#c33;">'''[[Wikipedia:Copyright|non copiare]] testi né immagini da libri o siti internet'''</span>.<br /><span style="font-size:95%; line-height:1.3;">Se desideri inserire un tuo testo già pubblicato su carta o su web, inviaci prima una comunicazione [[Wikipedia:Copyright#Se concedi l'uso del materiale presente sul tuo sito o su altre fonti|come spiegato qui]].</span><br />
;[[Sri Lanka]]:
<span style="font-size:95%; line-height:1.3;">Ti invitiamo inoltre a guardare la '''[[:File:Wikipedia_ridotto.ogv|video WikiGuida]]'''. Dura pochi minuti e può aiutarti nella comprensione delle regole basilari per contribuire a Wikipedia.</span>
Dopo la conclusione del terzo [[Concili buddhisti|concilio buddhista]] l'imperatore indiano [[Aśoka]] incaricò diversi monaci di andare ad insegnare il ''[[Dhamma]]'' del [[Buddha Shakyamuni]] in tutte le province dell'impero e anche oltre. Le cronache dello [[Sri Lanka]] riferiscono come il re singalese [[Devānaṃpiya Tissa]] avesse inviato una missione religiosa al sovrano indiano suo contemporaneo, cui furono offerti nell'occasione dei ricchi doni. Per ricambiare l'offerta l'imperatore [[Aśoka]] dette al monaco [[Mahinda]], che era suo figlio, l'incarico di recarsi nell'isola di Taṃbapaṇṇi, ossia nello [[Sri Lanka]], a capo di una delegazione imperiale ufficiale. Dopo la consegna dei doni, Mahinda espose al re Devānaṃpiya Tissa la dottrina del Buddha, predicazione che ottenne l'effetto di convertire al buddhismo tanto il re quanto la sua corte, e in seguito tutto il suo popolo<ref>Lal Hazra, ''Buddhism and Buddhist Literature in Early Indian Epigraphy'', pagg. 103-104</ref>.
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;[[Birmania]]:
{{Cassetto|titolo=Alcuni suggerimenti per iniziare ad orientarti|testo=
Le cronache singalesi<ref>''Dīpavaṃsa'', VIII, v. 12; ''Mahāvaṃsa'', cap. XII, vv. 5-6</ref> riferiscono che il buddhismo arrivò nel Suvaṇṇabhūmi, terra generalmente identificata con la bassa [[Birmania]], grazie alle missioni del re indiano [[Aśoka]], anche se le prime testimonianze archeologiche della presenza del buddhismo in Birmania, le iscrizioni in [[lingua pāli]] scoperte a Sirikhetta, risalgono al V secolo o ai primissimi anni del 500 [[Era volgare|EV]]<ref>Lal Hazra, ''History of Theravāda Buddhism'', pag. 57</ref>. Sicuramente il buddhismo Theravāda si era affermato nel VI secolo, come testimoniano le iscrizioni delle tavolette d'oro scoperte a Maunggan, un piccolo villaggio vicino a Hmawza<ref>''Journal Asiatique'', XIX, pagg. 130 e segg., e XX, pag. 193</ref><ref>Lal Hazra, ''History of Theravāda Buddhism'', pag. 60</ref>. I testi e le iscrizioni pāli nella scrittura ''Andhra Kadamba'' dell'India meridionale, reperiti a Hmawza, indicano che la Birmania aveva intensi scambi con i centri theravāda dell'India meridionale<ref>''ib.'', pag. 64</ref>. Nel V e VI secolo le città di Kāñcipuram, Negapatam e Kāverīpattam, nell'India meridionale, erano centri importanti del buddhismo Theravāda<ref>''ib.'', pag. 66</ref>.<br />
*Per un primo orientamento, puoi consultare il '''[[Aiuto:Guida essenziale|tutorial]]''' e la pagina di [[Aiuto:Aiuto|aiuto]].
;[[Thailandia]]:
*[[Portale:Progetti|Cliccando qui]] troverai un elenco dei [[Aiuto:Progetto|progetti]] diviso per argomenti.<br />Puoi scegliere quelli di tuo interesse e partecipare liberamente o chiedere suggerimenti.
Si riferisce che il buddhismo di scuola Theravāda fosse penetrato nella [[Thailandia]] meridionale nell'XI secolo, durante l'era di Anôratha<ref>''Enciclopedia Universale dell'Arte'', voce: Buddhismo</ref>, ma scoperte archeologiche effettuate nella valle del [[Menam]] hanno rivelato che questa regione era un centro importante del buddhismo Theravāda già dal VI o VII secolo in poi<ref>Lal Hazra, ''History of Theravāda Buddhism'', pag. 69</ref>, patrocinato dai sovrani del regno Dvāravatī; in questa epoca nella bassa valle del Menam erano già presenti tanto il buddhismo ''Mahāyāna'' quanto il [[brahmanesimo]], che fiorivano sotto il patrocinio dei sovrani khmer<ref>''ib.'', pag. 133</ref>. Nell'alta valle del Menam vi era il regno della Thailandia settentrionale di [[Haripuñjaya]]. Il ''Jinakālamālī'', un testo della prima metà del XII secolo, dichiara che nell'anno 1204 dopo il ''[[mahāparinibbāna]]'' (la morte) del Buddha, il saggio Vāsudeva fondò la città di Haripuñjaya, dove dal 1206 (ossia dal 663 d.C.) regnò Cammadevī, figlia del re della città di Lava<ref>N.A. Jayawickrama, Pali Text Society, ''Translation Series'', n. 36. ''Il fascio di ghirlande delle epoche del conquistatore'', Ratanapañha thera della Thailandia, con un saggio di introduzione del dott. Saeng Manavidura, pag. 96, nota 8: Muang Lopburi (lop, 'Lava', burt [sic], 'Puri'). È oggi il Cianguat (provincia) di Lopburi in Thailandia</ref> e moglie del governatore provinciale di Rāmaññanagara<ref>''ib.'', pag. 100; ''Bulletin de l'École Française d'Extrême Orient'', pagg. 36-37</ref>. È riferito che il re della città di Lopburi avesse inviato ad Haripuñjaya la figlia perché ne divenisse la sovrana dietro suggerimento di un monaco buddhista e di un laico di Haripuñjaya<ref>''ib.'', pag. 100; ''ib.'', XXV, pag. 37</ref>. La sovrana vi sarebbe quindi giunta con un seguito che comprendeva 500 grandi anziani ben eruditi nei tre Piṭaka, essendo Lopburi un centro importante del buddhismo Theravāda. Va tuttavia tenuto in mente che il ''Jinakālamālī'' fu scritto otto secoli e mezzo dopo la fondazione del regno di Haripuñjaya e che non si hanno testimonianze archeologiche che attestino la presenza del buddhismo in questa parte della Thailandia a prima dell'XI secolo d.C.<ref>Lal Hazra, ''History of Theravāda Buddhism'', pag. 71</ref>.<br />
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;[[Cambogia]]:
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Ci sono prove che il buddhismo fiorì nel [[Regno del Funan]], la più antica entità politica cambogiana conosciuta, nella bassa valle del [[Mekong]], nel V e VI secolo d.C. sotto il patrocinio del sovrano locale. Nel 484 il re Kauṇḍinya Jayavarman inviò una missione al sovrano cinese sotto la guida di un monaco buddhista chiamato Nāgasena<ref>''A History of South-East Asia'', pag. 32</ref>. Secondo il Pelliot, gli annali della dinastia cinese Liang (502-556 d.C.) riportano<ref>''Bulletin de l'École Française d'Extrême Orient'', III, pag. 294</ref> che Kauṇḍinya Jayavarman nel 503 inviò una missione con un'immagine del Buddha in corallo al sovrano cinese Wu-ti, che era un patrono del Buddhismo. Durante il regno dello stesso sovrano è riportato che due monaci, letterati e conoscitori di più lingue, Seng-Kia-p'o (o Saṅghapāla o Saṅghavarman) e Man-t'o-lo-Sien (o Madrasena), arrivarono alla corte cinese nei primi anni del VI secolo per tradurre i testi buddhisti<ref>''ib.'', pagg. 284-285</ref><ref>Lal Hazra, ''History of Theravāda Buddhism'', pag. 73</ref>. Un'iscrizione in sanscrito reperita a Ta Prohm<ref>{{cita web | url= http://www.site-archeologique-khmer.org/core/showsite.php?id=674 | titolo= Ta Prohm - CISARK | accesso= 2009-11-21}}</ref>, presso il lago [[Tonle Bati]] a sud di [[Phnom Penh]], fa riferimento al re Jayavarman e a suo figlio Rudravarman e inizia con un'invocazione al Buddha. In un'altra strofa compare un riferimento al Buddha, al Dhamma e al Saṅgha. L'iscrizione non reca data ma su basi paleografiche è stata fatta risalire alla metà del VI secolo d.C.<ref>''Bulletin de l'École Française d'Extrême Orient'', XXXI, pagg. 9-10; ''The Ancient Khmer Empire'', pag. 31</ref>. Il [[George Coedès|Coedès]] ritiene che in quest'epoca a Funan non fosse il buddhismo Mahāyāna il più diffuso, ma piuttosto doveva essere una delle scuole del buddhismo dei Nikāya di lingua sanscrita<ref>''The Making of South-East Asia'', pag. 61</ref>. Infatti a Preah Theat<ref>{{cita web | url= http://www.site-archeologique-khmer.org/core/showsite.php?id=4820 | titolo= Preah Theat - CISARK | accesso= 2009-11-21}}</ref>, nella [[provincia di Prey Veng]] nella Cambogia meridionale, è stata rinvenuta una statua del Buddha con un'iscrizione in lingua pāli ma con la parola <nowiki>'</nowiki>''hetuprabhavā''<nowiki>'</nowiki> in sanscrito. Neanche questa iscrizione riporta una data, ma è stata fatta risalire al VI o VII secolo d.C.<ref>''Bulletin de l'École Française d'Extrême Orient'', XXXV, pag. 158</ref><ref>Lal Hazra, ''History of Theravāda Buddhism'', pagg. 72-74</ref>.
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== La genesi dell'"ortodossia" Theravāda nello Sri Lanka ==
*Sono deprecate le [[WP:NRO|ricerche originali]]! Cita le [[WP:FONTI|fonti]] di quanto scrivi nelle voci.}}
Il prevalere pressoché esclusivo della scuola ''Theravāda'' nello [[Sri Lanka]] e nel Sud-est asiatico, e la conseguente scomparsa sull'isola delle altre scuole del [[Buddhismo dei Nikāya]] e di alcune di impronta ''[[Mahāyāna]]'' e ''[[Vajrayāna]]'', è ascrivibile soprattutto alla decisione del sovrano singalese [[Parakkamabāhu I]] il quale, nel 1164, decise di costringere tutti i monaci buddhisti singalesi ad uniformare le proprie dottrine a quelle propugnate dal monastero conservatore del [[Mahāvihāra]] di [[Anurādhapura]], facendo cessare le relative discordie e diatribe, obbligando quelli che egli riteneva gli "eterodossi" ad una nuova ordinazione monastica. Tale decisione fu suggerita al sovrano dal monaco theravāda [[Mahākassapa]], del monastero singalese di Udumbaragiri (a Dimbulagale, presso [[Polonnaruva]])<ref>Lal Hazra, ''Buddhism in Sri Lanka'', pag.30</ref>, che fu poi nominato dal re ''[[saṅgharāja]]'' (re del saṅgha), ossia consigliere reale per le questioni di ''[[sangha]]'' (seguendo in ciò l'esempio del re indiano [[Aśoka]]) nonché capo supremo dell'ordine monastico<ref>«Il monarca è consigliato nella sua politica di "purificazione" dal maestro Mahākassapa, un venerando eremita che Parakkamabāhu I mette a capo di tutte le istituzioni dell'isola come "re del ''saṅgha''" (''[[saṅgharāja]]'')», in Mario Piantelli. ''Il Buddhismo indiano'' in Giovanni Filoramo (a cura di), ''Buddhismo''. Bari, Laterza, 2001, pagg. 78. Ma anche «Diversi re di Ceylon emisero di tali editti che avevano lo stesso valore delle regole del ''[[vinaya]]''; quello di Parakkamabāhu fu il più importante. Poneva a capo del Sangha un monaco che divenne noto come il ''Saṅgharāja'', il ''Re del Sangha'', che governava insieme a due vice; questi funzionari erano nominati dal re consultato il Sangha. Maha Kassapa fu il primo Sangharaja», in Richard Francis Gombrich: ''Theravāda Buddhism a social history from ancient Benares to modern Colombo The library of religious beliefs and practices''. Routledge, 1988, pag. 117. Quella del ''saṅgharāja'' è una carica politica che verrà a volte riesumata anche da [[Parakkamabāhu II]] il quale, come ricorda Heinz Bechert descrivendo l'organizzazione dell'ordine Theravāda in due sezioni ("monaci del villaggio", ''gāmavāsin'', e "monaci della foresta", ''vanavāsin'' o ''ārraññavāsin''): «I due rami dell'ordine erano organizzati in maniera autonoma e con pari diritti; solo in qualche caso il re ha nominato una guida suprema dell'ordine, a cui si è dato il nome di ''saṅgharāja'' (re dell'ordine) o ''mahāsvāmin''», in ''Buddhismo'' Bari, Laterza, 2001, pag. 287.</ref><ref>Cfr. Mario Piantelli. ''Il Buddhismo indiano'' in Giovanni Filoramo (a cura di), ''Buddhismo''. Bari, Laterza, 2001, pagg. 78 e sgg. André Bareau. ''Il Buddhismo a Ceylon e nel Sud-Est asiatico'', in Henri-Charles Puech ''Storia del Buddhismo''. Bari, Laterza, 1984, pagg. 265 e sgg. Richard H. Robinson e Williard L. Johnson. ''La religione buddhista''. Roma, Ubaldini, 1998, pagg. 182 e sgg.</ref>.<br /><br />
{{Cassetto|titolo=Serve aiuto?|testo=
Secondo le cronache singalesi riportate nel ''Cūlavaṁsa'' (=''La piccola cronistoria'' in lingua [[pāli]]), un testo in cui ha particolare risalto la figura del re [[Parakkamabāhu I]]<ref>Scrive lo Lal Hazra: «Il Cūlavaṁsa, la "Dinastia Minore dei re Sinhala", che è una continuazione del Mahāvaṁsa [Amardasa Liyanagamage, ''The Decline of Polonnaruwa and the Rise of Dambadeniya'', pag. 5], fornisce una storia connessa dell'isola di Ceylon fino ai tempi moderni. Questa prosecuzione ha avuto luogo, di tempo in tempo, sotto l'abile guida di diversi autori. Da diverse fonti si sa che dopo la morte di Mahānāma, l'autore del Mahāvaṁsa, la cronaca fu continuata da thera di diversi periodi con l'idea di fornire una storia continua dell'isola fino ai tempi moderni [G. P. Malalasekera, ''The Pali Literature of Ceylon'', pagg. 141-2; H. R. Parera, ''Buddhism in Ceylon, Its Past and its Present'', pag. 38]. Bimala Churn Law scrive: "Il corpo centrale del Mahāvaṁsa con Duṭṭhagāmaṇī come suo eroe è stato composto da Mahānāma, il Cūlavaṁsa con Parakkamabāhu il Grande come suo eroe è stato composto da Dhammakitti, la seconda parte del Cūlavaṁsa con Dhammakitti come suo eroe è stato composto da Tibbotuvāve Siddhattha e si conclude con un capitolo aggiunto da Hikkāduve Siri Sumaṅgala. Un lodevole tentativo di estenderlo fino ai tempi moderni è stato intrapreso dal venerabile Yogirala Paññānda".» Da: ''The Buddhist Annals and Chronicles of South-East Asia'', pag. 11</ref> opera del monaco theravāda Dhammakitti<ref>Il principale testo storico di riferimento per il periodo di [[Parakkamabāhu I]] è il ''Cūlavaṁsa'', testo tradotto dal [[pāli]] in [[lingua tedesca|tedesco]] da William Geiger e da questa versione tradotto in inglese da Mabel Haynes Bode (ma anche il testo in inglese è stato rivisto da William Geiger). L'opera è tradizionalmente attribuita al monaco theravāda Dhammakitti, ma gli studiosi ritengono sia opera di più monaci. Geiger, nella sua introduzione all'opera, nota che essa è agiografica nei confronti delle scelte operate da [[Parakkamabāhu I]], ma ciò non corrisponde necessariamente ad una scelta consapevole di redigere notizie 'false' quanto, piuttosto,{{citazione|La spiegazione è da ricercare nella concezione di Dhammakitti di come dovesse essere portato a compimento il suo proposito. Dalle fonti letterarie, da quanto aveva letto trasse un'immagine ideale del re indiano. L'uomo la cui glorificazione s'era imposto come obiettivo doveva corrispondere a questa immagine. Doveva avere tutte le qualità caratteristiche di un re indiano e doveva usare tutte le tecniche di governo che le scienze politiche prevedevano o raccommandavano. Tutte queste caratteristiche personali sono state combinate dal compilatore con i dati forniti dalla tradizione, senza che si sia posto domande sulla loro verosimiglianza o inverosimiglianza.}} W. Geiger, ''The Culavamsa'', Introduction , 1930. Ma anche W. M. Sirisena ricorda come sul ''Cūlavaṁsa'', come per il ''Mahāvaṁsa'' opera anch'essa di un «monaco di una confraternita del Mahāvihāra», «è stato fatto scorrere molto inchiostro in discussioni sulla loro autenticità e valore come fonte storica.». In: ''Sri Lanka and South-East Asia'' Usa, Brill, 1978, pag.7.</ref>, una parte ragguardevole della comunità monastica (il ''[[sangha]]'') sarebbe infatti diventata corrotta nel tempo, al punto che alcuni monaci si sposavano e avevano figli, comportandosi in molti casi alla stessa stregua di laici alla ricerca di benefici mondani<ref>Cūlavaṁsa, LXXVIII, 1–3</ref>. Perciò, nel 1165 circa, fu indetto un concilio a [[Poḷonnaruva]] per trattare della riforma del ''sangha''<ref>Codrington, ''A Short History'', cap. IV</ref>. Come principale responsabile del progetto di riforma del ''sangha'' il re Parakkamabāhu chiamò il [[Mahāthera]] [[Kassapa]], un monaco di lunga data che «conosceva il ''[[Tipitaka]]'' ed era estremamente ben erudito nel ''[[Vinaya]]''»<ref>Cūlavaṁsa, cap. LXXVIII, 7</ref>. Ci fu un'enorme resistenza contro il progetto del re Parakkamabāhu, soprattutto da parte della comunità del monastero ''Abhayagiri'', i cui membri erano diventati seguaci della scuola ''[[mahāyāna]]'' ''Vetulyavāda'', ritenuta eretica dalla comunità conservatrice del monastero ''Mahāvihāra'' e che il re riteneva particolarmente corrotta. Molti monaci si trasferirono in altri stati pur di non dover sottostare agli esiti della riforma mentre altri abbandonarono l'abito monastico e tornarono alla vita laica. Potrebbero essere stati incoraggiati in questa loro scelta dallo stesso Parakkamabāhu il quale pensava che la "purificazione" dell'ordine monastico dipendeva tanto dall'incoraggiamento e dalla preferenza accordata ai monaci ritenuti ortodossi, quando dall'espulsione e dall'esclusione di quelli ritenuti corrotti<ref name="Paranavitana, p. 215">Paranavitana, ''History of Ceylon'', p. 215</ref>. Sempre secondo il ''Cūlavaṁsa'', vi furono individui cui furono offerte "sistemazioni lucrative" perché rimanessero fuori dei loro ordini monastici<ref name="Cūlavaṁsa, cap. LXXVIII, 29–31">Cūlavaṁsa, cap. LXXVIII, 29–31</ref>. Alla fine del concilio i monaci a guida delle scuole dissenzienti che vi avevano fatto parte si pronunciarono tutti concordi che «gli insegnamenti del ''Mahāvihāra'' erano corretti e le loro dichiarazioni conformi al ''[[Dhamma]]''»<ref>''Buddhism in Ceylon, Its Past and Its Present'' (BCPP), H. R. Perera, 41, cit. in Lal Hazra, ''Buddhism in Sri Lanka'', pag. 30</ref>. Con l'aiuto di questi monaci il sovrano redasse un codice normativo per tutte le comunità monastiche dell'isola<ref>BCPP, 42</ref>. Queste norme divennero un proclama reale che indirizzava alla corretta osservanza delle regole del ''[[Vinaya]]'' e alla procedura che i sudditi dovevano seguire per diventare discepoli laici, novizi e monaci, proclama che fu scolpito nella roccia al monastero Uttārarāma o Gol-vihāra<ref>Lal Hazra, ''Buddhism in Sri Lanka'', pag. 30</ref>. Il re prese quindi l'abitudine di chiamare a raccolta i responsabili delle comunità monastiche dell'isola una volta l'anno, raduno che aveva il suo punto focale in una cerimonia che si teneva sulle sponde del fiume Mahāvali, forse un modo di mantenersi aggiornato sui loro progressi e sulla loro condotta<ref name="Paranavitana, p. 215"/><ref name="Cūlavaṁsa, cap. LXXVIII, 29–31"/>.<br /><br />
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Tale "imposizione singalese" non era una novità, essendo i monarchi singalesi più volte intervenuti nelle questioni religiose dell'isola. Ad esempio, il re Vohārika Tissa nel III secolo [[Era volgare|EV]] effettuò una "purificazione del ''Sangha''"<ref>''Culture of Ceylon in Mediaeval Times'', p. 208</ref>. Nel IV secolo il re Mahāsena intervenne a favore della scuola ''Dhammaruciya'' ai danni della scuola ''Theravāda'', giungendo a distruggere il monastero ''Mahāvihāra'' ed edificandone un altro, il ''[[Jetavanavihāra]]'', che divenne presto rivale del ''Mahāvihāra'' nel frattempo ricostruito. Altri interventi nella vita religiosa dell'isola furono operati, spesso a favore del ''Mahāvihāra'', dal re Goṭhābhaya nel secolo IV d.C.<ref>Mahāvaṁsa, cap. XXXVI, vv. 111-112</ref>, dal re Moggallāna I<ref>Cūlavaṁsa, cap. XXXIX, v. 49</ref>, dal figlio di quest'ultimo, Kumāra Dhātusena<ref>Cūlavaṁsa, cap. XLI, vv. 1-2</ref>, dal re Silāmeghavaṇṇa (619-628 d.C.), il cui tentativo però fallì<ref>Cūlavaṁsa, cap. XLIV, v. 80</ref>, dal re Aggabodhi VII (766-722 d.C.)<ref>Cūlavaṁsa, cap. XLVIII, vv. 71 e 73</ref>, dal re Sena II (853-887 d.C.) e quindi dal re Kassapa IV (898-914 d.C.)<ref>Cūlavaṁsa, LII, v. 10</ref>. Dopo il re Parakkamabāhu I la stessa condotta fu ribadita dal sovrano [[Parakkamabāhu II]] nel 1236, e quindi imitata da gran parte dei re del Sud-est asiatico, i quali «giunsero a considerare il ristabilmento dell'ortodossia theravādin nei loro regni come uno degli strumenti per realizzare un merito personale e rendere stabile quanto conseguito. [...] All'inizio del XIV secolo, una versione della linea di ordinazione ''Theravāda'' basata sullo stile della foresta e stabilita da Parakkamabāhu II, venne accolta, nella Birmania inferiore, da un re Mon e in, Thailandia, dai re di Sokhotai e Chieng Mai»<ref>In: Richard H. Robinson e Williard L. Johnson. ''La religione buddhista''. Roma, Ubaldini, 1998, pagg. 183.</ref><br />
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Naturalmente un benvenuto anche da parte mia! Se avessi bisogno di qualcosa non esitare a contattarmi. [[Utente:Bramfab|<span style="color:green;">Bramfab</span>]]<small><span style="color:blue;"> <b>[[Discussioni utente:Bramfab|Parlami]]</b></span></small> 14:57, 6 gen 2011 (CET)
Per quanto riguarda il declino e la scomparsa delle scuole di area ''Mahāyāna'' nell'isola, la principale scuola srilanchese di questa tradizione è stata la ''[[Vetulyavāda]]''<ref>''Ceylon Journal of Historical and Social Studies'', vol.9, N. 1 (gennaio-giugno 1966), pag. 55 n.1. Secondo il dott. Paranavitana i ''Vetulyavāda'', i ''Vetulya'' o ''Vetulla'' (sans. ''Vaitulyah'' o ''Vaipulyah'') erano una scuola ''Mahāyāna'' dell'India settentrionale. ''Culture of Ceylon in Mediaeval Times'', pag.208.</ref>. Dopo periodi di alterne vicende, in cui era ora soppressa da un sovrano, ora godeva della protezione di un altro e fioriva in attività e numero di monaci, verso la fine del VI secolo d.C., sempre secondo il ''Cūlavaṁsa'', gli adepti del ''Vetulyavāda'' furono sconfitti in una controversia pubblica da Jotipālathera<ref>Cūlavaṁsa, cap. XLII, v. 35</ref>. Il ''Nikāyasaṅgraha'', anch'essa, come il ''Cūlavaṁsa'', opera di monaci theravāda<ref>L'autore del ''Nikāyasaṅgraha'', testo del XIII secolo, è il monaco theravāda Jayabāhu Dharmakīrti Thera, cfr. Gunaratne Panabokke ''History of the Buddhist Sangha in India and Sri Lanka'' Postgraduate Institute of Pali and Buddhist Studies, University of Kelaniya, 1993, pag. 86.</ref>, sostiene che dopo questa sconfitta il ''Vetulyavāda'' perse la sua popolarità e che i monaci dei due ''nikāya'', ossia le comunità dei monasteri ''Abhayagirivihāra'' e ''Jetavanavihāra'', desistettero dal loro orgoglio e vissero in sottomissione al ''Mahāvihāra''<ref>Nikāyasaṅgraha, pag. 15.</ref>.
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Riguardo alla scomparsa del ''[[Mahāyāna]]'' dallo [[Sri Lanka]], gli studiosi contemporanei Richard H. Robinson e Williard L. Johnson, in un'opera a cui ha collaborato lo studioso theravāda Thanissaro Bhikkhu, sostengono invece che
{{citazione|i seguaci del Mahāyāna recalcitranti furono convinti a cambiare opinione, a lasciare l'abito volontariamente, oppure furono espulsi a forza dall'ordine|In ''La religione buddhista''. Roma, Ubaldini, 1998, pag. 182}}
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In ogni caso va tenuto presente come culti ''Mahāyāna'' fossero presenti nello Sri Lanka ancora tre secoli dopo l'era del re Parakkamabāhu I, essendo note fonti che evidenziano come la devozione alla divinità ''Natha'', che è stata identificata con ''[[Avalokitesvara]]'', fosse popolare nel XV secolo durante il regno di Parakkamabāhu VI di [[Kotte]] (1412-1476)<ref>S. Paramavitana, ''Mahāyānism in Ceylon'', 230, cit. in Lal Hazra, ''Buddhism in Sri Lanka'', pag. 101</ref>, e che tale culto ruotava allora intorno alle comunità di Totagamuwa e Pepiliyana<ref>Lal Hazra, ''Buddhism in Sri Lanka'', pag. 101</ref>.
Tuttavia anche questo culto fu presto incorporato nel sistema di credenze della scuola Theravāda singalese e considerato come altre divinità popolari<ref>«Natha was fast being incorporated into the Theravada ethos and was treated very much like the other major gods in the manner discussed chapter 2.»Gananath Obeyesekere. ''The cult of the goddess Pattini''. University of Chicago Press, 1984, pag. 290. «Moreover, the gods as bodhisattvas are made to fit in with the larger tradition of Theravada Buddhism.» Gananath Obeyesekere. ''Op. cit.'' pag. 60.</ref> assimilabile dalla sua tradizione<ref>Gananath Obeyesekere. ''Op. cit.'' pag. 60. Cfr. anche A.G.S. Kariyawasam. ''Buddhist Ceremonies and Rituals of Sri Lanka''. Access to insight edition, 1996</ref>. Infatti come ricordano gli studiosi Richard H. Robinson e Willard L. Johnson:
{{citazione|Studi moderni hanno rivelato che le cronache di tali movimenti di riforma tendevano ad esagerare la purezza e il successo delle riforme<ref>R. H. Robinson e W. L. Johnson, ''op. cit.'', pag. 184</ref>}}Gli stessi Autori fanno rilevare, ad esempio, come pratiche che nel canone sono esplicitamente condannate e proibite ai monaci, come la magia e l'astrologia, fossero non solo ammesse nei testi "riformati", ma addirittura studiate e praticate da sovrani e monaci<ref name="Ivi, pag. 185">''Ivi'', pag. 185</ref>. Proseguono gli autori che, per quanto{{citazione|Il Theravāda rimase perciò il modello al quale dovettero aderire, di fatto o almeno formalmente, altri elementi del miscuglio sincretico buddhista del Sud-est asiatico, ai quali altrimenti toccò di darsi alla clandestinità, talvolta ritirandosi letteralmente nei sotterranei<ref>''Op.cit.'' pag.185</ref>}} purtuttavia, a loro giudizio, in considerazione del fatto che ciò permise di creare quell'unità culturale che consentì ai paesi del Sud-est asiatico, tra l'altro, di respingere l'influenza islamica proveniente dall'India,{{citazione|È dunque difficile criticare quei re che, nel favorire quanto consideravano ortodossia theravādin entro i loro regni, ritenevano di promuovere sia la religione sia la stabilità sociale e, molto semplicemente, di mantenere vivo il buddhismo, puro o impuro che fosse.<ref name="Ivi, pag. 185"/>}}
== Le scritture del buddhismo Theravāda ==
{{Voce principale | Canone pāli}}
Il Buddhismo Theravāda è autore del "[[Canone pāli]]", una raccolta dei testi ritenuti tra i più arcaici nella loro elaborazione, compilata nella [[lingua pāli]], un dialetto [[pracrito|pracritico]] simile al più noto [[sanscrito]]. La redazione del canone in lingua pāli è senz'altro frutto di un lavoro critico di raccolta, analisi e confronto dei testi di diverse scuole che si erano andate formando nei primi secoli successivi l'insegnamento del Buddha Sakyamuni, essendo improbabile che questi si fosse espresso in quella lingua. Tuttavia, i più antichi manoscritti esistenti riportanti testi canonici conosciuti, come i frammenti reperiti nel [[Gandhara|Gandhāra]] scritti in lingua ''[[kharosthi|kharoṣṭhī]]'' e conservati nella Biblioteca Britannica, rivelano che «per quanto i temi dottrinali trattati nei nuovi testi non siano radicalmente distanti da quelli che ci sono familiari dalle altre tradizioni, le modalità e le forme della loro trattazione e studio potrebbero essere veramente diverse da quelle che oggi conosciamo.»<ref>Tradotto da: Richard Salomon, pag. 11</ref>
Secondo la tradizione Theravāda il [[Canone pāli]] contiene alcune delle più antiche formulazioni dell'originale insegnamento del [[Buddha]] anche se gli storici ritengono la sua composizione non necessariamente coerente con gi insegnamenti del Buddha storico<ref>{{citazione|Perfino tradizioni che ritengono che il canone fu redatto e chiuso durante il primo concilio di Rajaghra, poco dopo la morte del Buddha, ammettono che non tutti gli anziani buddhisti furono presenti a quella assemblea e che almeno un gruppo di "cinquecento monaci" insistette nel mantenere la propria versione degli insegnamenti come essi se la ricordavano. Tutta la documentazione disponibile indica che la maggior parte dei canoni non fu mai chiusa. La scuola Theravāda orgogliosa del suo conservatorismo in questioni scritturali ancora nel V secolo d.C. dibatteva sul contenuto del proprio canone. Perfino oggi non vi è concordia completa tra i theravādin riguardo alla sezione del ''Khuddaka Nikāya'' del proprio canone. Pertanto non è sempre possibile distinguere chiaramente fra letteratura buddhista canonica, postcanonica e paracanonica. Tutte le scuole ritengono che almeno alcuni testi siano stati perduti, troncati od alterati, e che un certo numero di testi posteriori o falsi siano stati incorporati nei canoni di varie scuole. Sebbene occasionalmente queste affermazioni siano state utilizzate per sostenere le posizioni di una scuola contro quella dell'altra, probabilmente esse rappresentano una accurata descrizione dello stato generale delle cose nel tempo in cui furono costituite formalmente le prime raccolte scritturistiche. ... I canoni buddhisti furono il risultato di un lungo processo di redazione e compilazione che non siamo più in grado di ricostruire.|Luis O. Gómez, op. cit. 2006 pag.357}} Secondo le fonti tradizionali, mentre è vero che i partecipanti al concilio era una minoranza dei monaci, certi anziani non parteciparono alla recitazione del canone stilato dal primo concilio per varie ragioni, non necessariamente perché non ne condividessero il contenuto. Questo è il caso del bhikkhu Purāṇa e dei cinquecento monaci che lo seguivano, che una volta messo al corrente del frutto dei primi lavori ne dibatte e approva le conclusioni pur dichiarando di voler continuare ad attenersi agli insegnamenti uditi di persona dal Buddha, come trovasi nel vinaya mahiśasaka {{cita web
|autore= Bhikkhu Sujato (trad.)
|coautori= Bhikkhuni Samacitta (trad.)
|url= http://santifm1.0.googlepages.com/MahisasakaVinayafirstcouncil.pdf
|titolo= Mahisasaka Vinaya First Council
|accesso= 17-06-2010
|formato= PDF
|lingua= en
|pagine= 4
}} e anche in Cullavagga XI.1.11 del canone pāli {{cita web
|autore= Thanissaro Bhikkhu
|url= http://www.accesstoinsight.org/tipitaka/kn/dhp/dhp.intro.than.html#historical
|titolo= The Dhammapada - A Translation - Historical Notes
|editore= Access to Insight edition
|accesso= 17-06-2010
|lingua= en
}}) Ma secondo Hans W. Schumann: {{citazione|Vale la pena di citare anche la spiegazione del bikkhu Purana, che dopo il Primo concilio osservò: «Gli anziani dell'ordine hanno ben recitato (e) canonizzato la dottrina er la disciplina monastica, io voglio tuttavia rammentarle come le ho udite e ricevute dal Sublime» (Cv11,1,11). Questa affermazione esprime sia una lode alla canonizzazione sia una certa diffidenza nei suoi confronti.|Hans W. Schumann, ''Buddhismo'', 2008 pag. 302-3}}</ref>, sebbene siano innegabili elementi aggiunti in epoca tarda, manipolazioni e vari elementi fantastici e agiografici difficilmente databili ma con ogni probabilità successivi di secoli rispetto alla base degli insegnamenti originali.
La predicazione del [[Buddha Shakyamuni]] e le sue vicende terrene furono per secoli tramandate oralmente e fu nel [[I secolo a.C.]] che furono messe per iscritto nella prima redazione del canone nell'isola di [[Sri Lanka]]<ref>«I pitaka o gli insegnamenti del Buddha furono trasmessi oralmente e nel 397 dell'Era Buddhista (89 a.C.) furono messi per iscritto. In questa epoca furono scritti ''[anche]'' i loro commentari in singalese» H. R. Perera, ''Buddhism in Ceylon'', pag. 33, cit. in K. Lal Hazra, pagg. 170-171</ref> anche se l'attuale redazione del Canone risale alla fine del V secolo d.C.<ref>{{citazione|Sebbene questa sia l'opinione tradizionale, va notato che fu solo nel V sec. d.C. che si trovò un accordo sulla lista definitiva di testi del Canone del Theravāda, e anche quell'epoca il materiale da includere nel ''Kuddhaka Nikāya'' rimase non definito.| Lewis R. Lancaster in ''Enciclopedia delle Religioni''. Diretta da Mircea Eliade. Vol 10, Milano, Jaca Book-Città Nuova, 2006, pag. 331-2.}} Cfr. anche {{citazione|Secondo la tradizione singalese, come s'è detto, la recensione in lingua pāli sarebbe redatta su istanza del re Vaṭṭagāmaṇī nello Ālokavihāra da un'assemblea di cinquecento anziani; in effetti il testo attualmente disponibile risale alla versione riveduta a cura dei seguaci del Mahāvihāra redatta alla fine del V secolo d.C. in occasione di un concilio voluto dal re Dhātuasena, versione che, grazie al patrocinio del re Parakkamabāhu I, divenne il punto di riferimento del Theravāda dell'isola con la soppressione delle scuole rivali dai ''dhammaruciya'' e dei ''sagaliya'', le cui recensioni del Canone non sono sopravvissute.| Mario Piantelli. ''Il Buddhismo indiano'' in: Giovanni Filoramo (a cura di), ''Buddhismo''. Bari, Laterza, 2001, pagg. 88 e sgg.}}</ref>, frutto dell'intento di recuperare quelli che erano considerati gli originali insegnamenti del Buddha condotta soprattutto da [[Buddhaghosa]], il più eminente rappresentante di un una "piccola reazione" di alcuni monaci ai canoni sanscriti allora diffusi e ritenuti contenere versioni alterate e parziali delle dottrine originali<ref>R. H. Robinson e W. L. Johnson, pag. 126</ref>.
La redazione originale è infatti andata persa<ref>Cfr.Stephen C. Berkwitz. ''Materiality and merit in Sri Lankan Buddhist manuscripts'' in ''Buddhist Manuscript Cultures Knowledge, ritual, and art''. Edited by Stephen C. Berkwitz, Juliane Schober and Claudia Brown. Routledge 2009, pag.38.</ref>, ma il [[Canone pāli]] ci è giunto integro, a meno di successive revisioni e integrazioni di testi fatti di nuovo pervenire dall'India difficili da identificare, tramite le copie che ne furono fatte nei monasteri singalesi ed esportazioni e traduzioni compiute in altri paesi dell'area [[indocina|indocinese]].
== Gli sviluppi moderni ==
Nei tempi moderni il buddhismo theravāda ha intrapreso sviluppi riconducibili in questi orientamenti<ref>"Indian Insights", ed. Connolly & Hamilton, Luzac, Londra, 1997, pagine 187-9</ref><ref>{{Cita web | cognome= Snyder | nome= David N. |url=http://www.theravadabuddhism.org/moderntheravada | titolo= Modern Theravada | accesso= 2009-03-27 | editore=TheDhamma.com | lingua= en }}</ref>:
* il modernismo, quale tentativo di adattare al mondo moderno i principi dottrinali di base, prestando particolare attenzione a:
** il [[Ambientalismo|movimento ambientalista]];
** la sinergia con le altre tradizioni buddhiste;
** i diritti delle donne;
* il [[riformismo]], quale tentativo di ripristinare l'ideale originario di buddhismo; questo orientamento include in particolare l'adozione di alcune teorie di studiosi occidentali sul buddismo originario (di recente l'"interpretazione accademica occidentale del buddhismo" è la forma ufficiale di buddhismo che prevale nello Sri Lanka e in Thailandia<ref>"Journal of the International Association of Buddhist Studies", volume 28 (parte 2), pagina 302 (2005)</ref>);
* l'essenzialismo, ossia la tendenza a concentrarsi su insegnamenti avanzati come le [[Quattro Nobili Verità]] cercando di estrapolarne l'essenza;
* il neotradizionalismo, che include fra le altre cose:
** un ritorno al ritualismo delle origini;
** un ritorno alla mitologia antica;
* la [[meditazione]] di profonda visione ([[vipassana]]);
* l'attivismo sociale;
* la religiosità devozionale;
* la contrapposizione al [[nazionalismo]] buddhista;
* il rinnovamento dei [[monaci della foresta]];
* la rivalutazione della [[meditazione]] [[samatha]];
Il risveglio del buddhismo nello [[Sri Lanka]] e nel [[Sud-est asiatico]] ha avuto anche la connotazione di una reazione contro i cambiamenti apportati al [[Buddhismo]] dai regimi [[colonialismo|colonialisti]]. I coloni occidentali e i [[missionario|missionari]] cristiani imposero intenzionalmente un certo tipo di monachesimo cristiano al clero buddhista, limitando le attività dei monaci ai riti di purificazione personale e all'amministrazione dei templi<ref>Vedasi l'introduzione di Edmund F. Perry al testo di Walpola Rahula "The Heritage of the Bhikkhu: A Short History of the Bhikkhu in the Educational, Cultural, Social, and Policital Life". [[Grove Press]], New York, 1974, pagina xii</ref>. Prima che i colonizzatori britannici assumessero il controllo del paese, i monaci nello [[Sri Lanka]] e in [[Birmania]] si occupavano dell'istruzione dei bambini e dei [[laicismo|laici]] e erano stati gli autori di una notevole produzione letteraria. Dopo l'occupazione britannica i templi buddhisti furono sottoposti ad un'amministrazione restrittiva che consentìva di usare i fondi a disposizione esclusivamente per le loro attività strettamente religiose. Ai ministri del culto cristiani fu affidato il controllo dell'istruzione e la loro paga divenne una sovvenzione statale in favore delle missioni<ref>Stanley Jeyaraja Tambiah: "Buddhism Betrayed?", The University of Chicago Press, 1992, pagine 35-36.</ref>. La dominazione straniera, soprattutto quella britannica, ebbe un effetto snervante sul sangha<ref name="Stanley Jeyaraja Tambiah 1992">Stanley Jeyaraja Tambiah: "Buddhism Betrayed?", The University of Chicago Press, 1992, pagina 28.</ref>. Secondo Walpola Rahula i [[missionario|missionari]] cristiani scalzarono i monaci dalle loro attività nel campo dell'istruzione, dell'assistenza sociale e previdenziale, arrivando ad appropriarsi di queste attività ed inculcando una deriva permanente nella considerazione che si aveva del ruolo proprio dei monaci nella società, esercitato fino ad allora attraverso la loro influenza istituzionale sui ceti alti della società<ref name="Stanley Jeyaraja Tambiah 1992"/>. Molti monaci nel periodo post-coloniale si sono dedicati al rovesciamento di questa deriva del paradigma sociale<ref>Stanley Jeyaraja Tambiah: "Buddhism Betrayed?", The University of Chicago Press, 1992, pagina 29</ref>. Sia nello Sri Lanka che in Birmania sono sorti movimenti con lo scopo precipuo di riaffermare il buddhismo nel suo giusto ruolo nella società<ref>Stanley Jeyaraja Tambiah: "Buddhism Betrayed?", The University of Chicago Press, 1992, pagine 63-64</ref>.
== Schema dell'impianto filosofico ==
[[File:Phrapuddhajinnarat.jpg|thumbnail|Statua del Buddha a [[Bangkok]]]]Il buddhismo theravāda promuove il concetto espresso nella lingua [[Canone pāli|canonica]] [[pāli]] di ''vibhajjavāda'', ossia l'"insegnamento dell'analisi". Questa dottrina dice che l'introspezione deve essere il frutto delle esperienze, dell'investigazione critica e della ragione applicata del praticante, piuttosto che della fede cieca. Tuttavia le scritture canoniche dei theravādin mettono anche in risalto il prestare attenzione agli insegnamenti dei saggi, in quanto si considerano tali istruzioni, insieme alla valutazione delle proprie esperienze, le due prove alla cui luce deve essere giudicata la propria pratica.
Nel theravāda si identifica la causa dell'esistenza e della sofferenza umana (''[[dukkha]]'') nell'attaccamento (''[[tanha]]''), che causa il sorgere delle impurità mentali (ossia ''[[dosa]]'', la rabbia, la malevolenza e l'inimicizia, ''[[lobha]]'' o ''[[rāga (religione)|rāga]]'', la bramosia, l'avidità e la presunzione, ''[[moha]]'', la gelosia, l'ossessione, la distrazione, la depressione e l'ansia ecc.). L'intensità di queste impurità può variare tra grezza, media e sottile. È un fenomeno che sorge di frequente, permane per del tempo e quindi svanisce. I theravādin credono che le impurità non siano dannose soltanto per sé, ma che lo siano anche per gli altri. Sono la forza motrice di tutti i mali che gli esseri umani possono commettere.
I theravādin credono che queste impurità abbiano la natura delle abitudini che sorgono dall'ignoranza (''[[avijja]]'') che affligge le menti di tutti gli esseri non illuminati. Gli esseri non illuminati sono creduti essere sotto l'influsso delle impurità, che vi aderiscano a causa dell'ignoranza della verità. Ma in realtà queste impurità mentali non sono nient'altro che delle macchie che hanno contaminato la mente creando sofferenza e stress. Gli esseri non illuminati sono anche creduti attaccati al corpo considerandolo come il proprio "sé", mentre in realtà il corpo è un fenomeno impermanente costituito dai quattro elementi di base (spesso identificati con la terra, l'acqua, il fuoco e l'aria), che dopo la morte è destinato a decomporsi e a disperdersi. La frequente istigazione e manipolazione che le impurità mentali esercitano sulla mente sono ritenute costituire un impedimento a che la mente possa vedere la vera natura della realtà. Una condotta erronea a sua volta può rafforzare le impurità, ma la pratica del [[Nobile Ottuplice Sentiero]] può indebolirle o sradicarle.
Si crede inoltre che gli esseri non illuminati sperimentino il mondo attraverso le cosiddette "sei porte" sensoriali imperfette (la vista, l'udito, l'odorato, il gusto, il tatto e la mente) per poi usare la propria mente annebbiata dalle impurità per formarsene la propria interpretazione, percezione e conclusione<ref>Le cinque porte dei sensi, insieme alla mente, sono dette nel canone pāli le "sei basi dei sensi". Vedasi {{cita web | url= http://www.accesstoinsight.org/tipitaka/sn/index.html#salayatana | titolo= Salayatana-samyutta | accesso= 2009-03-27 | editore= Access to Insight | lingua= en}} e {{cita web | url= http://www.accesstoinsight.org/tipitaka/mn/mn.137.than.html | titolo= Salayatana-vibhanga Sutta | accesso= 2009-03-27 | editore= Access to Insight | lingua= en}}</ref>. In tali condizioni la percezione o la conclusione che se ne sarà tratta sarà basata sulla propria illusione della realtà<ref>Vedasi: {{cita web | url= http://www.accesstoinsight.org/tipitaka/an/an04/an04.049.olen.html | titolo= Vipallasa Sutta | accesso= 2009-03-23 | editore= Access to Insight edition | lingua= en}} e {{cita web | url= http://www.accesstoinsight.org/lib/authors/conze/wheel065.html#ch2.2 | titolo= The Way of Wisdom: The Restraint of the Senses | accesso= 2009-03-23 | editore= Buddhist Publication Society | lingua= en}}</ref>. Conseguito uno stato di ''[[jhāna]]'' le cinque porte dei sensi fisici si affievoliranno, le impurità mentali saranno soppresse e si rafforzeranno gli stati sani della mente. La mente potrà quindi essere diretta all'investigazione e conseguire l'introspezione della vera natura della realtà.
Ci sono tre stadî di impurità. Nello stato di passività le impurità giacciono sopite nella base del substrato mentale in forma di tendenze latenti (''anusaya''), ma per l'impatto degli stimoli sensoriali si manifesterà (''pariyutthana'') in forma di pensieri, emozioni e volizioni malsane. Acquistassero ulteriore forza le impurità potrebbero raggiungere lo stadio pericoloso della trasgressione (''vitikkama''), che comporterebbe poi l'esplicarsi di azioni fisiche o verbali.
Nel theravāda si crede che per liberarsi dalla sofferenza e dallo stress si debba sradicare definitivamente queste impurità. All'inizio le impurità sono tenute a bada tramite la presenza mentale perché gli sia impedito di prendere il sopravvento sulla mente e sulle azioni del corpo. Sono quindi sradicate grazie all'investigazione interiore, cioè l'analisi, l'esperienza e la comprensione della vera natura di quelle impurità, condotte in uno stato di ''jhāna''. Questo procedimento deve essere ripetuto per ogni impurità. La pratica condurrà quindi il meditatore alla realizzazione delle [[Quattro Nobili Verità]] e dell'illuminazione, ossia del ''[[nibbāna]]''. Il ''nibbāna'' è l'obiettivo finale dei theravādin. Si dice che il ''nibbāna'' sia la beatitudine perfetta e la persona che lo consegue è libera dal ripetersi del ciclo di nascita, malattia, invecchiamento e morte.
I theravādin credono che ciascun individuo sia personalmente responsabile del proprio risveglio e della propria liberazione essendo ciascuno il responsabile delle proprie azioni e delle loro conseguenze (''[[kamma]]'', pāli; ''[[karma]]'', sanscrito). Limitarsi a imparare o a credere nell'autentica natura della realtà come è stata descritta dal Buddha non basta, il risveglio può essere conseguito solo da quanti arrivano a conoscerlo per esperienza diretta realizzandone l'essenza grazie ai propri sforzi. Dovranno seguire e praticare il [[Nobile Ottuplice Sentiero]] com'è stato insegnato dal Buddha per giungere da soli a scoprire la realtà delle cose. Secondo la dottrina theravāda i Buddha, gli dei e le divinità non sono in grado di conferire il risveglio ad un essere umano né di sottrarlo al ciclo ripetitivo della nascita, malattia, invecchiamento e morte (il ''[[samsāra]]''). Per i theravādin il Buddha è solamente un insegnante del [[Nobile Ottuplice Sentiero]] mentre gli dei e le divinità sono ancora soggette alla rabbia, alla gelosia, all'odio, alla vendetta, alla bramosia, all'avidità, all'inganno e alla morte.
Si crede che alcune persone che praticano con assiduità e zelo possano conseguire il ''nibbāna'' in una sola vita, come fecero molti dei primi discepoli del Buddha. Per altri il processo può durare ancora numerose vite durante le quali si conseguono realizzazioni spirituali via via più elevate. Una persona che ha raggiunto il ''nibbāna'' è detta un ''[[arahant]]'' Si crede che il ''nibbāna'' sia conseguibile più rapidamente come discepoli del Buddha, essendo egli creduto essere entrato in possesso dell'ultima verità su come si deve guidare una persona nel processo dell'illuminazione..
Nel theravāda il ''nibbāna'' conseguito dagli ''arahant'' è ritenuto identico a quello conseguito dallo stesso Buddha<ref>{{cita web | url= http://www.accesstoinsight.org/lib/authors/bodhi/wheel409.html | autore= Acariya Dhammapala | titolo= A Treatise on the Paramis: From the Commentary to the Cariyapitaka | accesso = 2007-07-31 | lingua= en }}</ref>, essendoci un solo tipo di ''nibbāna''. Il Buddha era superiore agli ''arahant'' perché aveva scoperto il sentiero con le sole proprie forze insegnandolo poi agli altri (ossia girando metaforicamente la ruota del ''[[Dhamma]]''). Gli ''arahant'' invece hanno conseguito il ''nibbāna'' in parte grazie all'insegnamento del Buddha. I theravdādin riveriscono il Buddha quale persona dotata di suprema virtù, ma riconoscono l'esistenza di altri Buddha nel lontano passato o futuro. Maitreya (sans.; Metteya, pāli), per esempio, è citato molto brevemente nel canone pāli come il Buddha che verrà in un lontano futuro.
Tradizionalmente i theravādin possono o coltivare la fiducia (o fede) nell'insegnamento del Buddha e praticare i precetti minori nella speranza di conseguire i benefici minori (come una rinascita più felice, aumentare la propria forza e bellezza e garantirsi una vita lunga), oppure possono investigare e verificare per esperienza diretta la verità dell'insegnamento del Buddha praticando i ''[[jhāna]]'', pratica che fa parte del Nobile Ottuplice Sentiero per il proprio risveglio.
== I princìpi fondamentali del theravāda ==
La prima cosa da dire è che la filosofia theravāda è un'elaborazione analitica continua della vita, non una mera collezione di regole etiche e rituali.
La teoria fondamentale del theravāda si basa sulle [[Quattro Nobili Verità]], altrimenti dette le ''Quattro Sublimi Verità''. Nella loro formulazione più semplice possono essere descritte come il problema, la causa, la soluzione ed il percorso verso la soluzione (l'aspetto pratico)
=== Le Quattro Nobili Verità ===
{{Voce principale|Quattro Nobili Verità}}
Segue una descrizione formale delle [[Quattro Nobili Verità]]:
# ''[[Dukkha]]'' (sofferenza, doglia) - Questo concetto può essere catalogato pressappoco in tre categorie. La sofferenza intrinseca, o sofferenza che si prova in qualsiasi attività mondana, che si sopporta nella vita quotidiana: la nascita, la vecchiaia, le malattie, la morte, la tristezza ecc. In breve, in questo termine è compreso tutto quanto si prova quando ci si separa da qualcosa verso cui si prova un attaccamento 'amoroso' e/o quando ci si associa con qualcosa verso cui si prova un attaccamento 'odioso'. La seconda classe di sofferenza, detta "sofferenza causata dal cambiamento", implica che si provi sofferenza a causa del proprio attaccamento ad uno stato temporaneo che si considera "buono"; quando questo stato cambia si prova sofferenza. Il terzo, detto 'saṅkhārā dukkhā', è il più sottile. Semplicemente gli esseri soffrono per la mancata comprensione del fatto che sono meri aggregati (khandha) di costituenti (saṅkhāra) privi di un'identità definita e immutabile (attā).
# ''[[Dukkha samudaya]]'' (la causa di ''dukkha'') - La brama che conduce all'attaccamento e al legame è la causa della sofferenza. Questa brama è indicata con il termine ''[[taṇhā]]''. Può essere classificata in tre impulsi istintivi. ''[[Kāma]] taṇhā'' è la brama di un qualsiasi oggetto piacevole ai sensi (che ha a che vedere con la vista, l'udito, il tatto, il gusto, l'odorato e le percezioni mentali). ''[[Bhava]] taṇhā'' è la brama di attaccamento per un processo in evoluzione, che si manifesta in varie forme, incluso il desiderio di esistenza. ''[[Vibhava]] taṇhā'' è la brama di separazione da un processo, che include il desiderio di non esistenza e che causa il desiderio dell'auto annichilazione.
# ''[[Dukkha nirodha]]'' (la cessazione di ''dukkha'') - Non è possibile cambiare il mondo secondo i proprî gusti per eliminare la sofferenza nella speranza che rimanga così per sempre. Questo violerebbe il principio cardine del cambiamento. Piuttosto si cambia la propria mente coltivando il distacco così che il cambiamento, di qualsiasi natura questo sia, non abbia più effetto sulla compostezza della propria mente. In breve, la terza nobile verità implica che l'eliminazione della causa (la bramosia) elimina l'effetto (la sofferenza). Questo è quanto si deduce dall'insegnamento canonico del Buddha quando dice: «Qualsiasi cosa derivi da una causa, sarà eliminata eliminandone la causa.»
# ''[[Dukkha nirodha gāminī paṭipadā ]]'' (il sentiero verso la liberazione dalla sofferenza) - Questo è il Nobile Ottuplice Sentiero che conduce alla liberazione o ''[[nibbāna]]''. Il sentiero può essere descritto grossolanamente nei termini della lingua italiana di retta visione, retta intenzione, retta parola, retta azione, retto sostentamento, retto sforzo, retta presenza mentale e retta concentrazione.
=== Le Tre Caratteristiche ===
Queste sono [[Tre Segni dell'Esistenza|le tre caratteristiche]] di ogni fenomeno condizionato nel pensiero theravāda.
# ''[[Anicca]]'' (l'impermanenza): Tutti i fenomeni condizionati sono soggetti al cambiamento, incluse le caratteristiche fisiche, qualità, assunzioni teoriche, conoscenza, etc. Nulla è permanente perché qualcosa per essere tale deve provenire da una causa immutabile. Essendo però tutte le cause mutabili, nulla è permanente.
# ''[[Dukkha]]'' (sofferenza): la causa del dolore è imputabile alla non permanenza delle cose, di conseguenza il desiderio ardente di qualcosa che muta continuamente comporta sofferenza . C'è una tendenza ad identificare praticamente tutto come 'buono', 'comodo' o 'soddisfacente', oppure a considerarlo l'opposto come 'cattivo', 'scomodo' o 'insoddisfacente'. Siamo noi in primo luogo che creiamo la sofferenza appiccicando delle etichette alle cose come 'piacevoli' o 'spiacevoli'. Se uno riesce a rinunciare alla tendenza di identificare le cose in 'piacevoli' o 'spiacevoli' raggiunge l'ultima libertà. Il problema, la causa, la soluzione e la realizzazione si trovano all'interno di se stessi.
# ''[[Anatta]]'' (non-se): - Il concetto di 'anatta' può essere reso come la mancanza dell'identità fissa, immutabile. Nessun fenomeno costituisce un individuo permanente ed essenziale. Un essere vivente è un composto dei cinque aggregati (i ''[[Skandha|khandha]]'') dalla forma fisica (''[[rūpa]]''), dai sentimenti o sensazioni (''[[vedanā]]''), dalla percezione (''[[saññā]]''), dalle formazioni mentali (''[[sankhāra]]'') e dalla coscienza (''[[Vijnana|viññaṇa]]'') nessuno di questi può essere identificato come uno e solo. Dal momento della concezione, tutte le entità (inclusi tutti gli esseri viventi) sono soggetti ad un processo di mutamento continuo. Un praticante deve, d'altra parte sviluppare e raffinare la sua mente ad un stato tale da poter osservare e comprendere ogni fenomeno.
La realizzazione diretta di queste tre caratteristiche conduce alla liberazione dai legami e dagli attaccamenti mondani, conducendo così allo stato in cui si è completamente, totalmente liberi, allo stato denominato ''nibbāna'', che letteralmente vuole dire sia 'estinzione' (da ''nir'' + √''va'', cessazione del soffio, estinzione) che, secondo una diversa etimologia proposta dai commentari, libertà dal desiderio (''nir'' + ''vana'')<ref>Dalla voce ''nibbāna'' del ''Buddhist Dictionary - Manual of Buddhist Terms & Doctrines'' del ven. Ñanatiloka Thera</ref>.
=== Le Tre Nobili Discipline ===
Il sentiero verso il ''[[nibbāna]]'', ossia il [[Nobile Ottuplice Sentiero]], è a volte esposto in maniera concisa nella dottrina delle Tre Nobili Discipline. Queste sono la disciplina (''[[sīla]]''), l'addestramento mentale (''[[samādhi]]'') e la saggezza (''[[paññā]]'').
== La meditazione ==
Con meditazione (''[[bhāvanā]]'', [[pāli]]) si intende lo sviluppo positivo della propria mente. Distinta classicamente in due categorie, la ''[[samatha]]'' e la ''[[vipassanā]]'', la meditazione è lo strumento chiave di perfezionamento per il conseguimento dei ''[[jhāna]]''. ''Samatha'' può essere tradotto letteralmente con "rendere abile" o anche "pacare, calmare", "visualizzare" e "conseguire". ''Vipassana'' vuole dire invece "comprensione introspettiva, o profonda, o astratta". In questo contesto la meditazione di ''samatha'' rende una persona abile nel raccogliere la propria mente, mentre la ''vipassanā'' permette di vedere attraverso il velo dell'ignoranza, quindi di comprendere le Quattro Nobili Verità.
Nel [[Canone pāli]] il Buddha istruisce i suoi discepoli a praticare ''[[samādhi]]'' frequentemente per sviluppare e stabilirsi nel ''[[jhana]]'', il frutto della piena concentrazione. ''Jhāna'' era lo strumento usato dallo stesso Buddha per penetrare l'autentica natura dei fenomeni tramite l'investigazione e l'esperienza diretta, conseguendo per questa via l'illuminazione<ref>{{Cita web | url= http://www.accesstoinsight.org/ptf/buddha.html#awakening | titolo= A Sketch of the Buddha's Life ''[Uno schizzo della vita del Buddha]'' | accesso= 2009-03-26 |editore= Access to Insight | lingua= en}}</ref>. La Retta Concentrazione (''sammā-samādhi'') è uno degli elementi del [[Nobile Ottuplice Sentiero]]. Il ''samādhi'' può essere sviluppato tramite la consapevolezza del respiro (''[[ānāpānasati]]''), la concentrazione sugli oggetti esterni (''[[kasiṇa]]'') e la ripetizione di frasi. L'elenco tradizionale contiene 40 oggetti di meditazione (''[[kammaṭṭhāna]]'') che possono essere usati per la meditazione ''samatha''. Ogni oggetto è utile per un certo specifico proposito; ad esempio l'esercizio della meditazione sui costituenti del corpo (''[[kāyānupassanā]]'' o ''kayagathasathi'') si propone di dar luogo ad un rilassamento dell'attaccamento tanto al proprio corpo quanto a quello altrui, portando così a sminuire i desideri sensuali. ''[[Mettā]]'' (gentilezza amorevole) genera invece una sensazione di benevolenza e di felicità nei confronti di se stessi e degli altri esseri; la pratica di ''mettā'' è utile come antidoto alla malevolenza, all'ira e alla paura.
== Livelli di realizzazione spirituale ==
Attraverso la pratica i praticanti i theravādin possono avanzare nei quattro stadî del progresso spirituale verso il risveglio<ref name="vesakday.net">{{Cita web | cognome= Shaw| nome= Sarah | titolo= Buddhist Meditation Practices in the West | url=http://www.vesakday.net/vesak50/article/pdf_file/13_Buddhist_%20Meditation_Practices_West.pdf | formato= PDF | lingua= en | editore=Department of Continuing Education, Oxford University | pagine= 8 | accesso= 2009-03-27}}</ref>:
# '''[[sotāpanna]] (entrato nella corrente)''': quelli che hanno distrutto i primi tre lacci (errata concezione del sé, vedasi ''[[Anātman|anattā]]''), il dubbio e l'attaccamento a riti e rituali saranno al sicuro dalla caduta negli stati penosi, ossia non rinasceranno come animali, come spiriti (''peta'') o come esseri infernali. Potranno dover rinascere al massimo altre sette volte prima di conseguire il ''nibbāna''.
# '''[[Sakadāgāmī]] (che tornano una volta)''': quelli che hanno distrutto i tre lacci (errata concezione del sé, vedasi ''[[Anātman|anattā]]''), il dubbio e l'attaccamento a riti e rituali, che hanno saputo diminuire la tendenza alla concupiscenza e all'odio. Tali esseri conseguiranno il nibbāna dopo un'ultima rinascita nel mondo.
# '''[[Anāgāmī]] (che non ritornano)''': quelli che hanno distrutto i cinque lacci inferiori (che legano al mondo dei sensi). Non rinasceranno mai più nel mondo degli esseri umani e dopo la morte rinasceranno in uno dei mondi celesti, da dove conseguiranno il ''nibbāna''. Il conseguimento dello stato di non-ritornante è presentato nei primi testi canonici come l'obiettivo ideale per i [[Upāsaka|laici]]<ref name="vesakday.net"/>.
# '''[[Arahant]]''': quelli che hanno raggiunto l'illuminazione, che hanno realizzato il ''nibbāna'' e sono pervenuti alla condizione del non-mortale, liberi da qualsiasi lievitazione delle impurità della mente; sono esseri la cui ignoranza, bramosia e attaccamento sono finiti. Conseguire lo stato di ''arahant'' è presentato nei primi testi canonici come l'obiettivo ideale per i monaci<ref name="vesakday.net"/>.
== Note ==
<references/>
== Bibliografia ==
* Luis O. Gomez. ''Buddhism: Buddhism in India, The Encyclopedia of Religion''. Mc Millan, New York, 2005.
* Luis O. Gomez. ''Letteratura buddhista- Esegesi ed ermeneutica'', in ''Enciclopedia delle Religioni'' vol.10 Milano, Jaca Book-Città Nuova, 2006
* Richard H. Robinson e Willard L. Johnson. ''La religione buddhista''. Ubaldini editore. Roma, 1998. ISBN 88-340-1268-2.
* Kanai Lal Hazra. ''History of Theravāda Buddhism in South-East Asia - with special reference to India and Ceylon''. Munshiram Manoharlal Publishers Pvt. Ltd. New Delhi, 1981, seconda edizione 2002. ISBN 81-215-0164-4
* Kanai Lal Hazra. ''The Buddhist Annals and Chronicles of South-East Asia''. Munshiram Manoharlal Publishers Pvt. Ltd. New Delhi, 2002. ISBN 81-215-0011-7
* Kanai Lal Hazra. ''Buddhism in Sri Lanka''. Buddhist World Press. Delhi, 2008. ISBN 978-81-906388-2-1
* Kanai Lal Hazra. ''Buddhism and Buddhist Literature in Early Indian Epigraphy''. Munshiram Manoharlal Publishers Pvt. New Delhi, 2002. ISBN 81-215-1037-6
* Richard Salomon. ''Ancient Buddhist Scrolls from Gandhāra - The British Library kharoṣṭhī Fragments''. University of Washington Press. USA, 1999. ISBN 0-295-97768-X
* ''Enciclopedia Universale dell'Arte'', Istituto per la Collaborazione Culturale, Venezia - Roma, 1958, quindi Istituto Geografico De Agostini, Novara, 1980
== Voci correlate ==
* [[Buddhismo dei Nikāya]]
* [[Buddhismo Mahāyāna]]
* [[Concili buddhisti]]
* [[Canone buddhista]]
* [[Canone pāli]]
* [[Filosofie orientali]]
* [[Buddhadasa]]
== Collegamenti esterni ==
* [http://www.what-buddha-taught.net/index2.htm#Italiano Buddhismo Theravada]
* [http://dhamma.webnode.com Study of Theravada texts]
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