Gilgameš e Tommaso d'Aquino: differenze tra le pagine

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{{Notanota disambigua||Gilgamesh (disambigua)|Gilgamesh}}
{{NN|filosofia|novembre 2015|A fronte di una bibliografia rilevante , citazioni quasi del tutto assenti, interi capitoli privi di fonti}}
{{q|Colui che scrutò i confini del mondo alla disperata ricerca della vita eterna|''Epopea classica babilonese di Gilgameš'', I, 41; traduzione di [[Giovanni Pettinato]]|ḫa-a-a-iṭ kib-ra-a-ti muš-te-'-ú ba-lá-ṭi|lingua=AKK}}
{{Santo
|nome= San Tommaso d'Aquino
|immagine= San Tommaso d'Aquino e gli angeli.jpg
|didascalia= ''San Tommaso sorretto dagli angeli'', del [[Guercino]]
|note=Sacerdote e Dottore della Chiesa
|nato= [[1225]]
|morto= [[7 marzo]] [[1274]]
|venerato da= Chiesa cattolica e Chiesa anglicana
|beatificazione=
|canonizzazione=[[18 luglio]] [[1323]] da [[Papa Giovanni XXII]]
|santuario principale=[[Chiesa dei Giacobini]] [[Tolosa]]
|ricorrenza= [[28 gennaio]] e [[7 marzo]]
|attributi=abito domenicano, libro, penna, modellino di chiesa, sole raggiato sul petto, colomba
|patrono di= [[Teologi]], [[accademici]], [[editore|librai]], [[scuola|scolari]], [[studenti]], fabbricanti di matite; regione [[Campania]]; città di [[Aquino]], [[Grottaminarda]], [[Monte San Giovanni Campano]] e [[Priverno]]; [[diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo]]
}}
{{Bio
| Nome = Tommaso
| Cognome = d'Aquino
| ForzaOrdinamento = Tommaso d'Aquino
| Sesso = M
| LuogoNascita = Roccasecca
| GiornoMeseNascita =
| AnnoNascita = 1225
| LuogoMorte = Fossanova
| GiornoMeseMorte = 7 marzo
| AnnoMorte = 1274
| Attività = frate domenicano
| Attività2 = teologo
| Attività3 = filosofo
| AttivitàAltre = e [[accademico]]
| Epoca = 1200
| Nazionalità = italiano
| Categorie = no
| PostNazionalità = esponente della [[scolastica (filosofia)|Scolastica]], definito ''Doctor Angelicus'' dai suoi contemporanei. È venerato come [[santo]] dalla [[Chiesa cattolica]] che dal [[1567]] lo considera anche [[dottore della Chiesa]]
}}
 
Tommaso rappresenta uno dei principali pilastri teologici e filosofici della Chiesa cattolica: egli è anche il punto di raccordo fra la [[Cristianesimo|cristianità]] e la [[Aristotelismo|filosofia classica]], che ha i suoi fondamenti e maestri in [[Socrate]], [[Platone]] e [[Aristotele]], e poi passati attraverso il [[Ellenismo|periodo ellenistico]], specialmente in autori come [[Plotino]]. Fu allievo di [[Alberto Magno|sant'Alberto Magno]], che lo difese quando i compagni lo chiamavano "il bue muto" dicendo: «Ah! Voi lo chiamate il bue muto! Io vi dico, quando questo bue muggirà, i suoi muggiti si udranno da un'estremità all'altra della terra!»
'''Gilgameš''' (in [[lingua accadica|accadico]], anche nell'adattamento in '''Gilgamesh'''), o (in [[lingua sumera|sumerico]]) '''Bilgames'''<ref>{{q|According to a long-standing Assyriological convention, the legendary ruler of Uruk had two names: Bilgames in Sumerian and Gilgameš in Akkadian.|[[Gonzalo Rubio]], ''Reading Sumerian Names, II: Gilgameš'' in ''Journal of Cuneiform Studies'' vol. 64, 2012, 3-16}} Gonzalo Rubio tuttavia conclude che «there are good reasons to read Gilgameš, instead of “Bilgames,” in Sumerian as well as in Akkadian» (cfr. ''Op. cit.'', p.9)</ref> ('''''<sup>[[dingir|d]]</sup>'''giš-bil<sub>2</sub>-ga-mes''), è un [[sovrano]] di [[Uruk]] secondo la ''[[Lista Reale Sumerica]]'', una [[divinità]] delle [[Religioni della Mesopotamia|religioni mesopotamiche]] e il personaggio principale di alcune [[epopea|epopee]] religiose [[mesopotamia|mesopotamiche]].
 
== Biografia ==
Le sue vicende sono in particolar modo narrate nel primo [[poema epico]] della storia dell'umanità pervenutoci, denominato successivamente '''''Epopea di Gilgameš''''' (Epopea classica babilonese). Si tratta di una epopea [[Babilonia|babilonese]] il cui nucleo principale deriva da antichi racconti mitologici sumeri che furono rielaborati e trascritti successivamente in ambiente [[semiti]]co.
[[File:Thomas Aquinas in Stained Glass.jpg|thumb|San Tommaso in una vetrata della Cattedrale di Saint-Rombouts, Mechelen (Belgio)]]
Tommaso dei conti d'Aquino nacque nel [[1225]] nella contea di [[Aquino]], territorio dell'odierna [[Roccasecca]], nel [[Regno di Sicilia]] (Sgarbossa, 2000, pag. 63). Secondo altre tesi, datate e piuttosto localistiche, San Tommaso sarebbe nato a [[Belcastro]]. Fra queste, si segnalano quelle di fra' [[Giovanni Fiore da Cropani]], storico calabrese del [[XVII secolo]], che lo scriveva nella sua opera ''Della Calabria illustrata'', di [[Gabriele Barrio]] nella sua opera ''De antiquitate et situ Calabriae'' e di padre [[Girolamo Marafioti]], teologo dell'ordine dei Minori Osservanti, nella sua opera ''Croniche ed antichità di Calabria''.
 
Il castello paterno di Roccasecca rimane comunque ancora oggi il luogo più accreditato della sua nascita, da Landolfo d'Aquino e da Donna Teodora Galluccio, nobildonna [[Teano|teanese]] appartenente al ramo Rossi della famiglia napoletana dei Caracciolo.
La prima struttura dell'Epopea, pervenutaci in frammenti, appartiene quindi alla [[letteratura sumerica]], mentre la versione più completa sinora nota venne incisa in [[lingua accadica]] su dodici tavole di [[argilla]] che furono rinvenute tra i resti della [[Biblioteca di Assurbanipal|biblioteca reale]] nel palazzo del re [[Assurbanipal]] (Aššur-bāni-apli) a [[Ninive]], capitale dell'[[Assiria|impero assiro]]; questa redazione tarda del mito, attribuita allo [[scriba]] ed [[esorcismo|esorcista]] [[cassiti|cassita]] [[Sin-liqe-unninni|Sîn-lēqi-unninni]], risale quindi presumibilmente al [[XII secolo a.C.]], o comunque a prima dell'[[VIII secolo a.C.]]<ref>Cfr. per la datazione [[Giacomo Camuri]], ''Gilgamesh'', in ''Enciclopedia filosofica'', vol.5. Milano, Bompiani, 2005, p. 4740.</ref>.
La sua data di nascita non è certa, ma è calcolata in maniera approssimativa a partire da quella della sua morte. [[Bernardo Gui]], ad esempio, afferma che Tommaso è morto quando aveva compiuto i suoi quarantanove anni e iniziato il suo cinquantesimo anno. Oppure, in un testo un po' anteriore, [[Tolomeo da Lucca]] fa eco ad un'incertezza: «Egli è morto all'età di 50 anni, ma alcuni dicono 48». Tuttavia, oggi, sembra che ci sia accordo nel fissare la sua data di nascita tra il 1224 e il 1226.
 
=== Da Montecassino a Napoli ===
== Trama dell'epopea classica babilonese ==
Secondo le usanze del tempo Tommaso, essendo il figlio più piccolo, era destinato alla vita ecclesiastica e proprio per questo a soli cinque anni fu inviato come [[oblati|oblato]] nella vicina [[Abbazia di Montecassino]], di cui suo zio era [[abate]], per ricevere l'educazione religiosa. In quegli anni l'abbazia si trovava in un periodo di decadenza e costituiva una preda contesa dal Papa e dall'imperatore. Ma il [[trattato di San Germano]], concluso tra il [[Papa Gregorio IX]] e l'imperatore [[Federico II di Svevia|Federico II]] il 23 luglio [[1230]], inaugurava un periodo di relativa pace ed è proprio allora che si può collocare l'ingresso di Tommaso nel monastero. In quel luogo Tommaso ricevette i primi rudimenti delle lettere e fu iniziato alla vita religiosa benedettina.
L'Epopea di Gilgameš, nella sua versione classica babilonese, narra la storia del re di Uruk, Gilgameš, che coinvolge (o costringe) i giovani maschi della città in attività ludiche (o marziali). I parenti di questi giovani si lamentano con le divinità, le quali rispondono alle loro preghiere creando il "guerriero primitivo": [[Enkidu]].
 
Ma a partire dal [[1236]] la calma di cui godeva il monastero fu nuovamente turbata e Landolfo, consigliato dal nuovo abate, Stefano di Corbario, volle mettere al riparo il figlio dai disordini e inviò Tommaso, oramai adolescente, a [[Napoli]], perché potesse seguire degli studi più approfonditi. Così nell'autunno del [[1239]], a quattordici o quindici anni, Tommaso si iscrisse al nuovo ''Studium'' generale, l'Università degli studi fondata nel [[1224]] da [[Federico II di Svevia|Federico II]] per formare la classe dirigente del suo Impero.
Enkidu vive da solo nella [[steppa]] insieme agli animali e li difende dai cacciatori di Uruk, e questi si lamentano della sua presenza con Gilgameš. Il re di Uruk invia quindi la [[ierodula]] [[Šamḫat]] a Enkidu. La [[prostituzione sacra|prostituta sacra]] inizia al [[sesso]] Enkidu e tali attività amorose allontanano dal mondo ferino di animale selvatico, il "guerriero primitivo", e lo avvicinano a quello degli uomini. Šamḫat convince quindi Enkidu a raggiungere Uruk per conoscere il suo re, Gilgameš. L'incontro tra il "guerriero primitivo" e Gilgameš si risolve in un combattimento tra i due, dove Enkidu ha la meglio, ma riconosce nel re di Uruk la divina capacità di comando.
 
Fu proprio a Napoli, dove nel [[1231]] era stato fondato un convento, che Tommaso conobbe i [[Domenicani]], ordine in cui entrò a far parte e in cui fece la sua vestizione nell'aprile del [[1244]].
Gilgameš convince Enkidu ad accompagnarlo nella spedizione nella Foresta dei Cedri dove vive il terribile guardiano [[Ḫubaba]]. Il motivo della spedizione è quello di sconfiggere il divino guardiano e quindi conquistare una fama imperitura. I due si recano nella Foresta e uccidono Ḫubaba, nonostante il guardiano abbia più volte invocato clemenza.
 
Ma l'ingresso di Tommaso presso i [[Frati predicatori]] comprometteva definitivamente i piani dei suoi genitori riguardo al suo futuro incarico di abate di Montecassino. Così la madre inviò un corriere ai suoi figli, che in quel periodo stavano guerreggiando nella regione di [[Acquapendente]], perché intercettassero il loro fratello e glielo conducessero. Essi, accompagnati da un piccolo drappello, catturarono facilmente il giovane religioso, lo fecero salire su di un cavallo e lo condussero al [[Castello di Monte San Giovanni Campano]], un castello di famiglia ove fu tenuto prigioniero per due anni. Qui tutta la famiglia tentò di far cambiare idea a Tommaso, ma inutilmente. Tuttavia bisogna precisare che egli non fu né maltrattato né rinchiuso in qualche prigione, si trattava piuttosto di un soggiorno obbligato, in cui Tommaso poteva entrare e uscire a piacimento e anche ricevere visite. Ma prendendo atto che Tommaso era ben saldo nella sua risoluzione, la sua famiglia lo restituì al convento di [[Napoli]] nell'estate del [[1245]].
Gilgameš ed Enkidu rientrano a Uruk, lì la dea [[Ištar]], dea dell'amore fisico, si invaghisce del re proponendosi come sua sposa. Ma Gilgameš, la respinge motivando il suo rifiuto con il triste destino occorso a chi aveva precedentemente sposato la dea. Ištar, rifiutata, si infuria e recatasi in Cielo dal dio [[An (mitologia)|An]] gli chiede di inviare sulla terra il [[Toro (mitologia)|Toro Celeste]] affinché uccida Gilgameš. An risponde negativamente alle pressanti richieste di Ištar, ma si decide a liberare il Toro dopo che la dea minaccia di aprire i cancelli degli [[Inferi]]. Il Toro celeste sconvolge la Terra, ma viene affrontato da Gilgameš e da Enkidu che lo uccidono.
 
=== Gli studi a Parigi e a Colonia (1245-1252) ===
Gli dèi si riuniscono e decidono la morte per Enkidu che, insieme a Gilgameš, ha ucciso due esseri divini: Ḫubaba e il Toro Celeste. Enkidu quindi si ammala e muore. Gilgameš è disperato per la morte dell'amico e spaventato dalla presenza della "[[morte]]"; vagando per la steppa coperto di pelli, va alla ricerca di [[Utanapištim]], l'unico sopravvissuto al [[Diluvio Universale]] a cui gli dèi hanno concesso la vita eterna.
[[File:Saint Thomas Aquinas.jpg|thumb|[[Beato Angelico]]: ''San Tommaso d'Aquino'']]
[[File:Saint Thomas Aquinas Diego Velázquez.jpg|thumb|Dipinto del Velazquez]]
I Domenicani di Napoli ritennero che non fosse sicuro trattenere presso di loro il novizio e lo inviarono a Roma dove si trovava il maestro dell'Ordine, [[Giovanni di Wildeshausen|Giovanni Teutonico]], il quale stava per partire alla volta di [[Parigi]], dove si sarebbe celebrato il [[Capitolo generale]] del [[1246]]. Egli accolse Tommaso inviandolo prima a [[Parigi]] e poi a [[Colonia (Germania)|Colonia]], dove c'era un fiorente ''Studium'' generale sotto la direzione di fra Alberto (il futuro [[Alberto Magno|sant'Alberto Magno]]), maestro in teologia, il quale era ritenuto sapiente in tutti i campi del sapere.
 
Nell'autunno del [[1245]] Tommaso, al seguito di Giovanni Teutonico, si sarebbe dunque messo in viaggio per Parigi e vi avrebbe trascorso gli anni [[1246]]-[[1247]] e la prima parte del [[1248]], cioè tre anni scolastici. Qui potrebbe aver studiato le arti, sia in facoltà che in convento<ref>Fino a pochi anni fa gli storici avevano dei dubbi sulla veridicità del soggiorno di Tommaso a Parigi nel periodo immediatamente successivo a quello in cui la sua famiglia lo restituì all'Ordine. Dallo studio delle fonti, Walz-Novarina e Pietro Calo concludono che il viaggio di Tommaso in compagnia di Giovanni Teutonico «... senza essere certo, può considerarsi probabile... », ma erano più riservati circa la questione degli studi a Parigi. Grandi eruditi come Denifle e De Groot si associano a questa opinione, ma altri come Mandonnet, Chenu e Glorieux, osservano che il viaggio a Parigi non avrebbe avuto alcun senso se Tommaso non avesse dovuto svolgervi i suoi studi, questo perché lo studium generale di Colonia non era funzionante prima del 1248, data della sua apertura dovuta a fra Alberto al momento del suo ritorno in questa città.</ref>.
Raggiunto Utanapištim, dopo aver superato la montagna protetta dagli uomini-scorpione e dopo aver attraversato il [[Mare della Morte]], Gilgameš viene a conoscenza del racconto sul Diluvio Universale e diviene consapevole di non poter mai raggiungere l'[[immortalità]]. Nonostante questo, Utanapištim confida a Gilgameš l'esistenza della "pianta della giovinezza", mangiata la quale si può tornare ad essere "giovani". Gilgameš la raggiunge nel profondo degli abissi e la prende allo scopo di portarla ai vecchi della sua città. Ma, mentre il re di Uruk sosta presso una pozza d'acqua per le purificazioni, un serpente mangia la pianta rinnovando in questo modo la sua pelle. Gilgameš è disperato, ma ormai pienamente consapevole dell'inevitabile destino degli uomini.
 
Nel 1248 partì per Colonia con fra' Alberto, presso il quale continuò il suo studio della teologia e il suo lavoro di assistente.
L'ultima tavola dell'epopea, la XII, narra di Gilgameš che perde i suoi preziosi strumenti di gioco (o di musica), che cadono negli Inferi. Enkidu si offre per andare a recuperarli, Gilgameš lo raccomanda di rispettare le regole del mondo dei morti affinché non venga trattenuto per sempre lì. Sceso negli Inferi, Enkidu viola le consegne di Gilgameš, quindi non può più tornare tra i vivi. Gilgameš è disperato e alla fine ottiene dagli dèi di poter incontrare l'amico e fedele servitore Enkidu: la tavola termina con il racconto di Enkidu a Gilgameš sul mondo dei morti.
Il soggiorno di Tommaso a Colonia, al contrario di quello a Parigi, non è mai stato messo in dubbio, poiché è ben testimoniato dalle fonti. Il 7 giugno [[1248]] il capitolo generale dei Domenicani riunito a Parigi decise la creazione di uno ''studium'' generale a [[Colonia (Germania)|Colonia]], città nella quale esisteva già un convento domenicano fondato nel [[1221]]-[[1222]] da fra' Enrico, compagno di [[Giordano di Sassonia]].
 
L'incarico di insegnare venne affidato a fra Alberto, la cui reputazione in quel periodo era già notevole.
[[File:Hero lion Dur-Sharrukin Louvre AO19862.jpg|thumb|Eroe armato che doma il leone; [[bassorilievo]] da [[Khorsabad]], risalente al periodo di [[Sargon II]] (VIII secolo a.C.), alto m 4,45 è in pietra [[alabastro|alabastrina]].<br />Conservato presso il [[Museo del Louvre]] di [[Parigi]].<br />In passato tale figura è stata identificata in modo erroneo con Gilgameš; in realtà si tratta di una figura risalente al [[Proto-Dinastico (Mesopotamia)|periodo protodinastico]] e utilizzata nei rilievi di Šarrukin ([[Khorsabad]]) per decorare i [[facciata|prospetti]] esterni delle corti<ref>[[Enrico Ascalone]], ''Mesopotamia'', Milano, Electa, 2005, p.15</ref>.]]
Questo soggiorno a Colonia costituì una tappa decisiva nella vita di Tommaso. Per quattro anni, dai 23 ai 27 anni, Tommaso poté assimilare profondamente il pensiero di Alberto. Un esempio di questa influenza lo troviamo nell'opera nota con il nome di ''Tabula libri Ethicorum'', la quale si presenta come un lessico le cui definizioni sono molto spesso delle citazioni quasi letterali di Alberto.
 
=== Il primo periodo di insegnamento a Parigi (1252-1259) ===
== Interpretazioni dell'epopea ==
[[File:Friesach - Dominikanerkirche - Hochaltar - Hl Thomas von Aquin1.jpg|thumb|Chiesa dei domenicani di Friesach: ''San Tommaso e papa Urbano V e il dogma della [[transustanziazione]]'']]
Numerose sono le interpretazioni degli studiosi sulla natura e sui contenuti di questa prima epopea della storia dell'umanità. Da quelle tardo ottocentesche di [[Hugo Winckler]] (1863-1913) e [[Heinrich Zimmern]] (1862-1931), che lo hanno interpretato in senso mitologico e [[astrologia|astrologico]], ovvero un [[poema]] sul dio [[Sole]]. In analogo modo, per [[Otto Weber]] (1902-1966), Gilgameš rappresenterebbe il Sole mentre Enkidu la [[Luna]].
Quando il Maestro Generale dei Domenicani domandò ad Alberto di indicargli un giovane teologo che potesse essere nominato baccelliere per insegnare a Parigi, Alberto gli propose Tommaso che stimava sufficientemente preparato in ''scientia et vita''. Sembra che Giovanni Teutonico abbia esitato per via della giovane età del prescelto, 27 anni, perché secondo gli statuti dell'Università egli avrebbe dovuto averne 29 per poter assumere canonicamente quest'impegno. Fu grazie alla mediazione del cardinale [[Ugo di Saint-Cher]] che la richiesta di Alberto fu esaudita e Tommaso ricevette quindi l'ordine di recarsi subito a Parigi e di prepararsi a insegnare. Egli iniziò il suo insegnamento come baccelliere nel settembre di quello stesso anno, cioè del [[1252]], sotto la responsabilità del maestro Elia Brunet de Bergerac che occupava il posto lasciato vacante a causa della partenza di Alberto.
 
A Parigi Tommaso trovò un clima intellettuale meno tranquillo di quello di Colonia. Ancora nel 1250 era vietato commentare i libri di [[Aristotele]], ma tra il [[1252]] e il [[1255]], durante la prima parte del soggiorno di Tommaso, la Facoltà delle Arti avrebbe finalmente ottenuto il permesso di insegnare pubblicamente tutti i libri del grande filosofo greco.
[[Arthur Ungnad]] (1879-1945) ha considerato il poema un'opera etica alla pari dell<nowiki>'</nowiki>''[[Odissea]]'' di [[Omero]]. Per [[Hermann Häfker]] (1873-1939) è un poema storico e umano, con il suo problema centrale della vita e della morte. [[Sigmund Mowinckel]] (1884-1965) lo ha invece riportato sul piano religioso interpretando la natura divina di Gilgameš come quella di un dio che muore e poi risorge. [[Benno Landsberger]] (1890-1968) ha considerato questo poema come un poema nazionale babilonese con il suo "ideale" umano. [[Franz Marius Theodor Böhl]] (1872-1976) vi ha letto un conflitto tra i seguaci del culto di [[Šamaš]] e quelli di [[Ištar]]. Per [[Geoffrey Stephen Kirk]] (1921-2003)<ref>''Myth: Its Meaning and Functions in Ancient and Other Cultures''. Berkeley, 1970, 132–152.</ref>, Gilgameš rappresenterebbe la [[cultura]], la [[civiltà]], opposta alla [[natura]], quest'ultima simboleggiata da Enkidu.
Per [[Thorkild Jacobsen]] (1904-1993) è un poema della crescita: dalle avventure adolescenziali alla maturità.
 
=== Il primo ritorno in Italia (1259-1268) ===
L'[[archeologo]] e [[assiri]]ologo [[italia]]no [[Giorgio Buccellati]] lo ha interpretato in chiave "sapienziale", quindi di "cambiamento spirituale":
Tra il [[1259]] e il [[1268]] fu nuovamente in Italia, impegnato nell'insegnamento e negli scritti teologici: fu prima assegnato a Orvieto, come lettore, vale a dire responsabile per la formazione continua della comunità. Qui ebbe il tempo per completare la stesura della ''[[Summa contra Gentiles]]'' (iniziata nel [[1258]]) e della ''Expositio super Iob ad litteram'' ([[1263]]-[[1265]]).
{{q|Il fatto è che la ricerca della vita non dev'essere più considerata, se la mia lettura è corretta, come il tema centrale del poema. Certo, Gilgamesh è pur sempre presentato come l'[[eroe]] che va in cerca di fama e poi, dopo l'esperienza dell'amicizia e della morte di Enkidu, in cerca della vita: ma ne diventa, in effetti, ''un pretesto narrativo per mostrare ben altra tesi''. L'enfasi è spostata dall'oggetto della ricerca, la vita, allo sforzo stesso della ricerca in quanto tale, ai presupposti su cui è basata, e alle conseguenze cui conduce: queste conseguenze non sono esterne, come lo sarebbe il conseguimento di un bene, foss'anche la vita fisica, ma invece sono interne, profondamente psicologiche e si accentrano sul mutamento spirituale del soggetto che la ricerca ha intrapreso. Perciò la conclusione è compiuta e perfetta con la tavoletta undicesima: Gilgamesh non è un campione temporaneamente sconfitto e a cui resta solo da ritentare, ma invece un uomo per cui la sconfitta diventa il punto d'inizio per una nuova comprensione delle vere dimensioni umane della vita.<br />Una conclusione malinconica e inconcludente da un punto di vista eroico; da un punto di vista sapienziale invece, è una conclusione piena e che non ammette ulteriori sviluppi. |Giorgio Buccellati, ''Gilgamesh in chiave sapienziale''. "Oriens Antiquus" 11 (1972): 34}}
 
Inoltre qui Tommaso, che non conosceva direttamente il greco in maniera sufficiente a leggere i testi di Aristotele in originale, si poté avvalere dell'opera di traduzione di un confratello, [[Guglielmo di Moerbeke]], eccellente grecista. Guglielmo rifece o rivide le traduzioni delle opere di Aristotele e pure dei principali commentatori greci ([[Temistio]], [[Ammonio]], [[Proclo]]). Alcune fonti riportano addirittura che Guglielmo avrebbe tradotto Aristotele dietro richiesta (''ad istantiam'') di Tommaso stesso. Il contributo di Guglielmo, anche lui in Italia come Tommaso dopo il 1260, fornì a Tommaso un prezioso contributo che gli permise di redigere le prime parti dei Commenti alle opere di Aristotele, spesso validi ancora oggi per la comprensione e discussione del testo aristotelico<ref>{{Cita libro|autore=Sofia Vanni Rovighi|titolo=Introduzione a Tommaso d'Aquino|anno=1981|editore=Laterza|città=Roma-Bari|pp=33-34}}</ref><ref>{{Cita libro|cognome=Aristotele|curatore=Marcello Zanatta|traduttore=Marcello Zanatta|titolo=Etica Nicomachea|url=https://www.worldcat.org/oclc/797461609|edizione=8. ed|data=1999|editore=Rizzoli|città=Milano|p=79|volume=1|OCLC=797461609|ISBN=9788817129657}}</ref>.
Il [[filologo]] e assiriologo francese [[Raymond-Riec Jestin]] così chiosa la narrazione della ricerca dell'immortalità da parte dell'eroe di Uruk:
{{q|... l'idea "essere è rappresentata da Gilgamesh, nella veste più positiva del volere vivere e di "tendenza a preservare nell'essere", come dimostra lo smarrimento dell'eroe di fronte alla morte di En-ki-du; quest'ultima, appunto, provocando un contrasto violento e una brusca interruzione dell'azione, rappresenta il "non essere" di fronte al quale l'"essere" si rivolta e cerca il modo di non venire annullato a propria volta. Tuttavia, la semplice continuità e il consolidamento nell'esistenza non è una soluzione: il riavvicinamento dei contrari non può avvenire a vantaggio di uno solo dei due poli; di qui il fallimento del tentativo dell'eroe di conquistare l'immortalità. È il serpente, uno dei simboli dell'eterno ritorno, ad apparire con la sua muta periodica per esprimere la natura di ciò che compone l'opposizione di Essere e Non-essere, il Divenire, il mutamento continuo dell'eterno ritorno. Si comprende meglio, allora, l'atteggiamento incolore di Gilgamesh di ritorno a Uruk: di lui non si dice quasi più nulla, perché era ormai diventato superfluo dopo quest'episodio d'importanza fondamentale.|Raymond-Riec Jestin, in [[Henri-Charles Puech]] (a cura di), ''Le religioni in Egitto, Mesopotamia e Persia'', Bari, Laterza, 1988, p. 107}}
 
Tra il [[1265]] e il [[1268]] fu inviato a Roma come maestro reggente. Durante il suo soggiorno, assegnato alla formazione intellettuale di giovani dominicani, Tommaso cominciò a scrivere la ''[[Summa Theologiae]]'' e compilò numerosi altri scritti su varie questioni economiche, canoniche e morali. Durante questo periodo, ebbe l'opportunità di lavorare con la corte papale (che non era residente a Roma).
== Approfondimento: Gilgameš, re divino ==
[[File:Cuneiform sumer dingir.svg|thumb|[[Ideogramma]] sumerico per il dio [[An (mitologia)|An]], il dio della volta celeste. Questo ideogramma, oltre ad indicare il dio, designa anche il "cielo", o una "spiga", o un "grappolo di [[datteri]]". Lo stesso ideogramma esprime anche il sostantivo ''dingir'', termine che in sumerico indica una divinità, e per questo veniva utilizzato come classificatore grafico, anteponendolo al nome, per chiarire subito che con esso si intendeva il nome di un dio. Gli studiosi [[traslitterazione|traslitterano]], in quest'ultimo caso, questo ideogramma con '''<sup>[[dingir|d]]</sup>'''.<br />L'ideogramma somiglia ad una "stella" e spesso viene individuato come tale; tuttavia in sumerico il termine [[stella]] (in sumerico ''mul'') è espresso con la ripetizione di tre di questi ideogrammi [[File:Mul.png|30px]]<ref>Cfr. [[Pietro Mander]], ''Le religioni dell'antica Mesopotamia'', p. 69.</ref>. In cuneiforme accadico il classificatore grafico della divinità, il ''dingir'', è indicato da [[File:B010ellst.png|30px]]. Questi classificatori sono anteposti al nome di Gilgameš per caratterizzarne la natura divina.]]
[[File:Assurbanipal op jacht.jpg|thumb|Il re assiro Aššur-bāni-apli ([[Assurbanipal]], VII secolo a.C.) in una scena di [[caccia]] (bassorilievo del palazzo nord di Ninive, conservato al [[British Museum]] di [[Londra]]). La restituzione delle XII tavole di cui si compone l'Epopea classica babilonese della Saga di Gilgameš, si deve alla paziente opera dell'ex incisore della [[zecca (moneta)|zecca di stato]] britannica George Smith, che la tentò fino al [[1876]]. I resti delle tavole furono rinvenuti lungo la seconda metà del [[XIX secolo]], sotto le macerie (''Tell'') della biblioteca della capitale assira Ninive, in un luogo chiamato dagli arabi [[Koyunjik]]. La distruzione della capitale assira, e della sua preziosa biblioteca, fu provocata dalla sua conquista, nel [[612 a.C.]], da parte degli eserciti medo, guidato dal re Ḫavachštra ([[Ciassarre]]), e babilonese, guidato da re Nabû-apal-usur ([[Nabopolassar]]).<br />Aššur-bāni-apli fu un re colto e amante della cultura, che inviava missive ai suoi [[luogotenente|luogotenenti]] per raccogliere a Ninive tutti i testi disponibili del suo vasto impero. Così Aššur-bāni-apli si descrive in una iscrizione: {{q|Ho appreso ciò che il saggio [[Adapa]] ha portato [agli uomini], il senso nascosto di tutta la conoscenza scritta. Sono iniziato ne[lla scienza dei] presagi del cielo e della terra. Sono in grado di partecipare a una discussione in un consesso di sapienti, di discutere la [[estispicina|serie epatoscopica]] con gli indovini più esperti. So risolvere i "reciproci" e i "prodotti" che non hanno soluzione data. Sono esperto nella lettura dei testi eruditi, il cui sumerico è oscuro e il cui accadico è difficile da portare alla luce. Penetro il senso delle iscrizioni su pietra anteriori al [[Diluvio universale|Diluvio]], che sono ermetiche, sorde e ingarbugliate.|Iscrizione "L" righe 13-18. Traduzione di [[René Labat]] in ''Storia Universale Feltrinelli'' vol. 4, Milano, Feltrinelli, 1969, p. 93}} ]]
[[File:Chaos Monster and Sun God.png|thumb|[[Ninurta]] (a destra) attacca [[Anzu]] (a sinistra) per recuperare la "Tavola dei destini". Da una incisione in pietra rinvenuta nel tempio di Ninurta a [[Nimrud]] ([[Iraq]]).]]
[[File:Ishtar goddess.jpg|thumb|Il [[Rilievo Burney]] conservato al [[British Museum]] di [[Londra]]. [[Altorilievo]] in terracotta del XIX secolo a.C. Questa opera templare rappresenta probabilmente<ref>[[Enrico Ascalone]], ''Mesopotamia'', Milano, Electa, 2005, p. 268.</ref> la dea guardiana degli inferi [[Ereškigal]], sorella di [[Inanna]]/Ištar. La dea impugna il listello e la corda strumenti della giustizia.
{{q|"Ecco che questa tua sorella Ištar sta nella porta,<br />colei che celebra grandi feste gioiose e sommuove l'oceano davanti ad Ea".<br />Ereškigal quando udì questo,<br />come un tamarisco reciso divenne pallida la sua faccia,<br />come canna ''kuninu'' tagliata divennero nere le sue labbra.<br />Che cosa ha indotto il suo cuore (a venire da me)? Che cosa ha diretto il suo animo contro di me?<br />Questa, (che cosa vuole)?<br />Io voglio (continuare a) bere acqua cogli [[Anunnaki]],<br />quale cibo mangiare fango, quale bevanda inebbriante bere acqua sporca,<br />piangere sopra gli uomini che hanno abbandonato le loro mogli,<br />piangere sopra le donne che dal seno dei loro mariti sono state strappate,<br />sopra il bambino debole piangere che è stato falciato prima dei suoi giorni.|''Discesa di Ištar agli inferi'' versione neoassira di Ninive, tradotta integralmente da Giuseppe Furlani; in ''Miti babilonesi e assiri'', Firenze, Sansoni, 1958, p. 300}}]]
 
=== Il secondo periodo di insegnamento a Parigi (1268-1272) ===
{{nota|larghezza = 350px|contenuto=[[File:British Museum Flood Tablet.jpg|200px|center]]<center>'''Il cuneiforme e le lingue mesopotamiche</center>'''<br />Il cuneiforme è una delle più antiche forme di scrittura risalendo al 3200-3100 a.C. Le sue più antiche attestazioni risultano essere delle tavolette rinvenute nello strato IVa del "Tempio Rosso" nella città di [[Uruk]]<ref>Cfr. [[Giovanni Pettinato]], ''Mitologia sumerica'', pos. 255.</ref>. Il cuneiforme sumerico è stato ritenuto la forma più antica di scrittura fino alla fine del XX secolo quando, grazie ai progressi dell'archeologia predinastica egiziana, è stata rinvenuta nei pressi di [[Abydos (Egitto)|Abido]] una tomba reale, U-j (Umm el-Qaab I), che si può far risalire al periodo Naqada III (3200-3100 a.C.). Tale tomba egizia conteneva oggetti di ceramica riportanti segni di un'antica versione della scrittura egizia i quali risultano già evoluti, lasciando presupporre una precedente scrittura ad oggi ancora non attestata<ref>Cfr. [[Günter Dreyer]], ''Umm el-Qaab I, Das prädynastische Königsgrab U-j und seine frühen Schriftzeugnisse'', Mainz 1998, pp 47 e sgg. cit. da [[Harald Haarmann]] ''Modelli di civiltà a confronto nel mondo antico: la diversità funzionale negli antichi sistemi di scrittura'' in ''Origini della scrittura'' (a cura di [[Gianluca Bocchi]] e [[Mauro Ceruti]]) Milano, Bruno Mondadori, 2002, p.31.</ref>. Il termine "cuneiforme" è ovviamente moderno e richiama gli elementi che la compongono i quali sono a forma di cunei (o chiodi; in tedesco, da dove origina il termine coniato dall'erudito [[Engelbert Kämpfer]] (1681-1716) sull'eredità di Plinio la si indica come ''keilschrift''). Tale caratteristica è resa dal fatto che questa scrittura veniva eseguita incidendo l'argilla molle con una cannuccia intagliata ad angolo. Un testo neosumerico del XXI secolo a.C., ''Enmerkar e il signore di Aratta'', così narra l'origine mitica del cuneiforme: {{citazione|Il messaggero aveva la "lingua pesante", non era capace di ripeterlo;<br />Poiché il messaggero aveva la "lingua pesante", e non era capace di ripeterlo,<br />il signore di Kullab (Uruk) impastò l'argilla e vi incise le parole come in una tavoletta;<br />- prima nessuno aveva mai inciso parole nell'argilla -<br />ora, quando il dio sole risplendette, ciò fu manifesto:<br />il signore di Kullab incise le parole come in una tavoletta, ed esse furono visibili.|Traduzione di [[Giovanni Pettinato]] in ''Mitologia sumerica'' pos.231}} Giovanni Pettinato<ref>Giovanni Pettinato, ''Mitologia sumerica'', pos. 256.</ref> in riferimento al richiamo di "quando il dio sole risplendette" osserva come ancora oggi tale scrittura può essere solo letta con una luce appropriata simile a quella solare.<br />Da tener sempre presente che i segni del cuneiforme hanno subito nel corso dei secoli una loro evoluzione e, all'interno dello stesso testo, un medesimo carattere può essere presentato con delle varianti. La stessa collocazione, inizialmente verticale, ha subito nel corso dei secoli lo spostamento di 90° in senso antiorario. Allo stesso modo la stilizzazione e il loro numero: inizialmente con circa 1200 segni figurativi (pittogrammi, dove a ogni pittogramma corrispondeva una parola; per poi passare all'ideogramma, ovvero a un segno che raccoglie più parole collegate fra loro; per passare all'utilizzo dei determinativi e, infine, ai sillabogrammi), arriviamo a 800 nel periodo di Fara, per finire a soli 500 nel 2000 a.C. La traslitterazione dei segni del cuneiforme nell'alfabeto latino rende la presenza di "omofonie", ovvero di un medesimo suono che possiede tuttavia significati diversi, per mezzo di un indice numerico il cui valore corrisponde alla frequenza: più il numero dell'indice è alto e minore e la diffusione del termine nei testi. La "polifonia" presente nel cuneiforme è invece dovuta al passaggio dal "pittogramma" all'"ideogramma", quindi il medesimo segno grafico, "bocca" (''ka''), può indicare anche il "parlare" (''dug4'') o l'"urlare" (''kù''). Il sumerico è una lingua agglutinante, ergativa e dai morfemi non modificabili e nella sua scrittura cuneiforme prevalgono i logogrammi. L'accadico, ovvero il semitico, è invece flessivo, la cui radice non è immutabile e agglutinabile, bensì mutabile per mezzo di morfemi; nel cuneiforme che rende le lingue semitiche prevalgono i sillabogrammi.}}
[[File:Tommaso - Super Physicam Aristotelis, 1595 - 4733624.tif|thumb|''Super Physicam Aristotelis'', 1595]]
Nel secondo periodo di insegnamento a Parigi ([[1268]]-[[1272]]), la sua occupazione principale fu l'insegnamento della Sacra Pagina e proprio a questo periodo risalgono alcune delle sue opere più celebri, come i commenti alla Scrittura e le Questioni Disputate. Anche se i commenti al Nuovo Testamento restano il cuore della sua attività, egli si segnala anche per la varietà della sua produzione, come ad esempio la scrittura di diversi brevi scritti (come ad esempio il ''De Mixtione elementorum'', il ''De motu cordis'', il ''De operationibus occultis naturae''...) e per la partecipazione alle problematiche del suo tempo: che si tratti di secolari o dell'averroismo vediamo Tommaso impegnato su tutti i fronti.
 
A questa multiforme attività bisogna aggiungere un ultimo tratto: Tommaso è anche il commentatore di Aristotele. Tra queste opere ricordiamo: l'&nbsp;''Expositio libri Peri ermenias'', l'&nbsp;''Expositio libri Posteriorum'', la ''Sententia libri Ethicorum'', la ''Tabula libri Ethicorum'', il ''Commento alla Fisica e alla Metafisica''. Vi sono poi anche delle opere incompiute, come la ''Sententia libri Politicorum'', il ''De Caelo et Mundo'', il ''De Generatione et corruptione'', il ''Super Meteora''.
=== Gilgameš: re "divinizzato" o dio "umanizzato"? ===
 
=== Gli ultimi anni e la morte ===
La più antica attestazione del nome di Gilgameš/Bilgames risale all'elenco della [[Lista degli dei]] rinvenuta a Fāra, risalente al periodo Proto-dinastico IIIa quindi al 2600/2450 a.C., che lo caratterizza come essere "divino".
[[File:Thomas Aquinas by Fra Bartolommeo.jpg|Ritratto di Tommaso ad opera di [[Fra Bartolomeo]]|thumb]]
Nella primavera del [[1272]] Tommaso lasciò definitivamente Parigi e poco dopo la [[Pentecoste]] di quello stesso anno (12 giugno [[1272]]) il capitolo della provincia domenicana di Roma gli affidò il compito di organizzare uno ''Studium'' generale di teologia, lasciandolo libero di scegliere il luogo, le persone e il numero degli studenti. Ma la scelta di Napoli era già stata designata da un precedente capitolo provinciale ed è anche verosimile che [[Carlo I d'Angiò]] abbia fatto pressione perché venisse scelta la sua capitale come sede e che a capo di questo nuovo centro di teologia venisse insediato un maestro di fama.
 
Il 29 settembre [[1273]] egli partecipò al capitolo della sua provincia a Roma in qualità di definitore. Ma alcune settimane più tardi, mentre celebrava la messa nella cappella di San Nicola, Tommaso ebbe una sorprendente trasformazione e dopo questa messa non scrisse e non dettò più nulla e si sbarazzò persino degli strumenti per scrivere. A [[Reginaldo da Piperno]], che non comprendeva ciò che accadeva, Tommaso rispose dicendo: «Non posso più. Tutto ciò che ho scritto mi sembra paglia in confronto con quanto ho visto».
In diverse iscrizioni, come nelle epopee, Gilgameš è indicato come figlio della dea [[Ninsun]].
 
Alla fine di gennaio o all'inizio di febbraio del [[1274]] Tommaso e il suo ''socius'' si misero in viaggio per partecipare al [[Concilio di Lione II|Concilio]] che [[Papa Gregorio X|Gregorio X]] aveva convocato per il 1º maggio [[1274]] a [[Lione]].
Nell'inno di lamentazione per la morte del re [[Ur-Nammu]] (fondatore della terza dinastia di Ur), viene indicato come divinità infera.
Dopo qualche giorno di viaggio arrivarono al castello di [[Maenza]], dove abitava sua nipote Francesca. È qui che si ammalò e perse del tutto l'appetito. Dopo qualche giorno, sentendosi un po' meglio, tentò di riprendere il cammino verso Roma, ma dovette fermarsi all'[[abbazia di Fossanova]] per riprendere le forze. Tommaso sopravvisse a Fossanova per qualche tempo e tra il 4 o 5 marzo, dopo essersi confessato da Reginaldo, ricevette l'[[eucaristia]] e pronunciò, com'era consuetudine, la professione di fede eucaristica. Il giorno successivo ricevette l'[[unzione dei malati]], rispondendo alle preghiere del rito. Morì di lì a tre giorni, mercoledì 7 marzo [[1274]], alle prime ore del mattino dopo aver ricevuto l'[[Eucaristia]]<ref>Jean-Pierre Torrell, ''Amico della verità'', p. 392</ref>.
 
Le spoglie di Tommaso d'Aquino sono conservate nella [[convento dei domenicani di Tolosa|chiesa domenicana detta ''Les Jacobins'']] a [[Tolosa]]. La reliquia della mano destra, invece, si trova a [[Salerno]], nella chiesa di San Domenico; il suo cranio si trova invece nella [[Concattedrale di Santa Maria Annunziata|concattedrale di Priverno]], mentre la costola del cuore nella Basilica [[concattedrale di Aquino]].
Nella letteratura religiosa in lingua accadica, e quindi assira e babilonese, Gilgameš è sempre considerato una divinità degli Inferi.
 
== Il pensiero di Tommaso ==
Anche nelle più antiche epopee sumeriche il nome di Gilgames è sempre accompagnato dal determinativo '''<sup>[[dingir|d]]</sup>''' (cuneiforme sumerico: [[File:Cuneiform sumer dingir.svg|25px]], cuneiforme accadico/assiro e ittita [[File:B010ellst.png|25px]]) che indica il dio: '''''<sup>[[dingir|d]]</sup>'''giš-bil<sub>2</sub>-ga-mes''<ref name="Jacobsen">Cfr. [[Thorkild Jacobsen]], ''The Sumerian King List'', University of Chicago Oriental Institute, Assyriological Studies 11, University of Chicago Press, 1939, p.88</ref>.
[[File:St-thomas-aquinas.jpg|thumb|San Tommaso d'Aquino, ritratto di [[Carlo Crivelli]]]]
Per Tommaso l'anima è creata "a immagine e somiglianza di Dio" (come dice la Genesi), unica, immateriale (priva di volume, peso ed estensione), forma del corpo e non localizzata in un punto particolare di esso, trascendente come Dio e come lui in una dimensione al di fuori dello spazio e del tempo in cui sono il corpo e gli altri enti. L'anima è ''tota in toto corpore'', contenuta interamente in ogni parte del corpo, e in questo senso legata ad esso indissolubilmente: si veda, sul tema, la questione 76 della Prima Parte della ''Summa theologiae'', questione dedicata appunto al rapporto tra anima e corpo<ref>[http://hl.altervista.org/split.php?http://marcellolandi.altervista.org/alterpages/files/Quaestio76.pdf ''Quaestio 76'' della Parte I della ''Summa Theologiae'' di San Tommaso d'Aquino. A cura di Marcello Landi]</ref>.
 
Secondo Tommaso:
Nelle epopee Gilgameš è indicato come figlio della dea Ninsun e del dio [[Lugalbanda]]; se è considerato per due terzi un dio e per un terzo un uomo, lo si deve al fatto che per gli antichi abitanti della Mesopotamia Lugalbanda era un re divenuto dio.
{{citazione|Ciò che si accetta per fede sulla base della rivelazione divina non può essere contrario alla conoscenza naturale... Dio non può indurre nell'uomo un'opinione o una fede contro la conoscenza naturale... tutti gli argomenti contro la fede non procedono rettamente dai primi principii per sé noti.|Tommaso d'Aquino, ''Summa contra Gentiles'', I, 7.}}
 
{{citazione necessaria|Nella filosofia tomista Dio è predicato e descritto con le seguenti proprietà:}}
Diversi studiosi hanno concluso che Gilgameš fosse un personaggio storico, ovvero un re, divinizzato in epoca successiva. [[Giovanni Pettinato]] nella sua opera ''I Sumeri'' (1992, 2005, pp. 214 e sgg., cfr. anche ''La Saga di Gilgameš'' 2004, p. LXXX) giunge a una opposta conclusione ritenendo Gilgameš un personaggio non storico, quindi un dio inserito nelle liste reali sumeriche e da qui entrato nelle tradizioni religiose semitiche.
* massimo grado possibile di ogni qualità (che è, è stata o possa essere fra gli enti), fra queste: sommo amore e sommo bene
* immutabile, semplice e indivisibile: è da sempre e per sempre uguale a sé stesso, a lui nulla manca e in lui nulla cambia.
* eterno: non nasce e non muore, vive da sempre e per sempre
* infinito ''in atto'' (non infinito potenziale): non ha limite-confine di tempo o di spazio
* onnisciente
* unico: nessuno, nemmeno Dio può creare un altro Dio
* onnipotente: ma non può fare il male e non può fare un altro Dio
* per sé: non riceve la vita o altre proprietà da alcuno, poteva esistere senza gli enti da lui creati, che perciò non nascono come parte di lui e non sono Dio.
* trascendente: Dio non è uno ente qualunque tra gli altri enti, la differenza tra Dio e gli altri enti è una differenza quantitativa, vale a dire stesse qualità ma in un minore grado di completezza e perfezione. Gli enti creati, fra cui gli angeli e l'uomo, in infiniti gradi a lui somigliano, sono come Dio, ma non sono Dio: non hanno una parte fisica dell'essere per essenza, poiché l'essere è semplice, senza parti e indivisibile.
 
Questo essere (inteso da S.Tommaso come "Ipsum esse subsistens") ha molte proprietà in comune con l'essere della filosofia greca, così come lo definì [[Parmenide]]: uno e unico, semplice e indivisibile, infinito ed eterno, onnisciente. Ma con la differenza sostanziale che crea gli enti, è più grande della somma di essi, e può esistere senza. Anche nell'ultima forma del pensiero greco, quello di Plotino, troviamo che l'emanazione dall'essere agli enti è un fatto eterno, ma anche necessario e reversibile, non una libera scelta dell'assoluto, che avrebbe potuto non manifestarsi.
=== Gilgameš divinità e re di Uruk ===
==== Gilgameš re di Uruk nella ''[[Lista Reale Sumerica]]'' ====
La ''[[Lista Reale Sumerica]]'' (sumerico: [nam]-lugal an-ta ed<sub>3</sub>-de<sub>3</sub>-a-ba; ''Quando la regalità discese dal cielo'') è un testo in cuneiforme sumerico composto tra il 2100 e il 1900 a.C.<ref>La sua redazione definitiva appartiene alla dinastia di Isin (1950 a.C.; cfr. [[Giovanni Pettinato]], ''La Saga di Gilgameš'', Milano, Mondadori, p. LXXVIII)</ref><ref>Una insuperata edizione di questa opera è di [[Thorkild Jacobsen]], ''The Sumerian King List'', University of Chicago Oriental Institute, Assyriological Studies 11, University of Chicago Press, 1939.</ref> con la finalità di gettare le basi tradizionali e politiche dell'unificazione del territorio di Sumer (Mesopotamia meridionale)<ref>[[Enrico Ascalone]], ''Mesopotamia'', Milano, Electa, 2005, p.10.</ref>.
 
Se la trascendenza nega il panteismo, la personalità di Dio nega a sua volta il deismo degli Illuministi: trascendenza ed essere per sé non significano lontananza inarrivabile. Gli uomini non nascono, ma hanno la possibilità di diventare parte integrante di Dio e, già in questa esistenza terrena, di identificare la propria vita con la vita del creatore.
Questo testo si avvia con il principio di "regalità", che discende dal cielo per essere assegnato per la prima volta alla città sumera di [[Eridu]], in cui resta per complessivi 64.800 anni. Successivamente tale principio si trasferisce alla città di [[Bad-Tibira]] per altri 108.000 anni, per poi discendere sulla città di [[Larak]] per ulteriori 28.800 anni, poi a [[Sippar]] per 21.000 anni e infine a [[Šuruppak]] per 18.600 anni: 5 città, 8 re elencati nella ''Lista'', per complessivi 241.200 anni di regno, quando il dio [[Enlil]] scatena il diluvio universale distruggendo l'umanità. Il dio [[Enki]], per quanto se ne assume da altre epopee mesopotamiche<ref>A tal proposito, e per quanto attiene alla documentazione sumerica, disponiamo come testimonianza principale della tavoletta rinvenuta nel 1895 a Nippur e pubblicata nel 1914 (Cfr. [[Arno Poebel]] in ''Historical and Grammatical Text'' 1, 1914).</ref>, salva tuttavia un uomo, il [[Noè]] sumerico: [[Ziusudra]] (sumerico: Zi-u<sub>4</sub>-sud-ra, lett. "Vita dei giorni prolungati"), figlio dell'ultimo re di [[Šuruppak]] [[Ubara-Tutu]].
 
In modo identico, si può dire che l'essere per san Tommaso non è solo l'essere comune o la piattaforma di tutto ciò che esiste, ma è l’''esse ut actus'' inteso come atto puro che perfeziona ogni altra perfezione (essenza, sostanza, forma). Dio è atto puro, puro da ogni potenza, limite e imperfezione. Quando l'essere è mischiato o ricevuto in una potenza, allora è atto misto ed è ente finito.
La ''Lista Reale Sumerica'' riprende così la sua elencazione:
{{q|Il diluvio cancellò ogni cosa;<br />dopo che il diluvio ebbe cancellato ogni cosa,<br />quando la regalità scese dal cielo,<br />la regalità fu a [[Kiš]].|[[Giovanni Pettinato]], ''I Sumeri'', Milano, Rizzoli, 2007, p.86}}
Nel prosieguo della ''Lista'' viene citato "il divino Gilgameš" quinto re (dopo [[Meskiangašer]], [[Enmenkar]], il divino Lugalbanda e il divino [[Dumuzi]]) della I dinastia di Uruk. Così il testo:
{{q|Il divino Gilgameš<br />- suo padre è uno sconosciuto -<br />signore di [[Kullab]],<br />regnò 126 anni;<br />[[Urlugal]],<br />figlio di Gilgameš<br />regnò 30 anni|citato in [[Giovanni Pettinato]], ''La Saga di Gilgameš'', Milano, Mondadori, p. LXXIX}}
 
=== Le cinque vie per dimostrare l'esistenza di Dio ===
Fin da questo documento sumerico il nome di Gilgames è accompagnato dal determinativo ('''<sup>[[dingir|d]]</sup>''') che indica il [[dio]]: '''''<sup>[[dingir|d]]</sup>'''giš-bil<sub>2</sub>-ga-mes''<ref name="Jacobsen" />.
Tra i pensatori cristiani si sono elaborati diversi percorsi razionali per cercare di dimostrare l'[[esistenza di Dio]]: mentre [[Anselmo d'Aosta]], sulla scia neoplatonica di [[Agostino d'Ippona]] procedeva sia ''a simultaneo'', cioè dal concetto stesso di Dio, da lui ritenuto ''id quo maius cogitari nequit'' (nel ''Proslogion'', cap.2.3), sia ''a posteriori'' (nel ''[[Monologion]]'') per dimostrare l'esistenza di Dio, l'unico modo per arrivarci, secondo Tommaso, consiste nel procedere ''a posteriori'': partendo cioè dagli effetti, dall'esperienza sensibile, che è la prima a cadere sotto i nostri sensi, per dedurne razionalmente la sua Causa prima. Si tratta di quella che chiama ''demonstratio quia''<ref>''S. Th.'' I, q.2, a.2, c. e luoghi paralleli nei commenti aristotelici</ref>, cioè, appunto dagli effetti, il cui risultato è ammettere necessariamente che esista il punto d'arrivo della dimostrazione, anche se non è pienamente intelligibile, come in questo caso, ed in altri, il perché (''demonstratio quid'', es. i sillogismi: le premesse esprimono proprietà che sono cause della conclusione: «Ogni uomo è mortale; ogni ateniese è uomo; ogni ateniese è mortale": essere uomo e mortale è necessaria causa della mortalità di ogni ateniese)»
 
Sulla base di questo sfondo di pensiero Tommaso espone le sue prove dell'esistenza di Dio, {{citazione necessaria|non a caso chiamate in latino ''viae'', cioè "percorsi", "cammini" presi come esempi di largo respiro}}<ref>Cf. ''[[Summa Theologiae]]'', Iª q. 2 a. 3</ref>.
Interessante è un testo in sumerico, ma risalente al [[II secolo a.C.]] (quindi al tempo di [[Antioco]]), rinvenuto a Uruk. Questo testo<ref>Cfr. [[Giovanni Pettinato]], ''Mitologia sumerica'', versione mobi pos.8103/11434.</ref> elenca i re antidiluviani con i rispettivi saggi, gli ''[[apkallu]]'' (accadico; sumerico: ''[[abgal]]''), introducendo anche quelli post-diluviani:
Tutte e cinque, con alcune variazioni, seguono questa struttura:
{{q|Dopo il diluvio, durante il regno di Enmekar, era apkallu [[Nungalpiriggal]],<br />il quale fece scendere dal cielo nell'[[Eanna]] la dea Ištar.<br />Egli fece costruire la [[Lira (strumento musicale)|lira]] di bronzo,<br />le cui [...] erano di [[lapislazzuli]], lavorate con ferro battuto secondo l'arte di [[Ninagal]]<br />Egli introdusse nel[...], l'abitazione di [...] e depose la lira davanti ad An<br />Durante il regno di Gilgameš era [[ummanu]] [[Sinleqiunnini]]|[[Giovanni Pettinato]], ''Mitologia sumerica'', versione mobi pos.8103/11434}}
 
1) constatazione di un fatto ''in rerum natura'', nell'esperienza sensibile ordinaria (movimento inteso come trasformazione; causalità efficiente subordinata; inizio e fine dell'esistenza degli esseri generabili e corruttibili, perciò materiali, contingenti nel suo vocabolario, che quindi possono essere e non essere; gradualità degli esseri nelle perfezioni trascendentali, come bontà, verità, nobiltà ed essere stesso; finalità nei processi degli esseri non intelligenti);
La figura degli ''apkallu'' qui presente, riguarda dei "saggi" non umani e [[pesci|ittioformi]] che provengono dalle acque dell'abisso (sumerico: ''abzu''), luogo dove regna il dio della "saggezza" Enki (accadico: Ea), per insegnare agli uomini la civiltà. Significativo è che il primo "saggio" pienamente umano, quindi non ''apkallu'' ma ''ummanu'', Sinleqiunnini (Sîn-lēqi-unninni), si manifesti con il re-divino Gilgameš.
 
2) analisi metafisica di quel dato iniziale esperienziale alla luce del principio metafisico di causalità, enunciato in varie formulazioni ("Tutto ciò che si muove è mosso da un altro"; "È impossibile che una cosa sia causa efficiente di sé stessa"; "Ora, è impossibile che tutte di tal natura siano state sempre, perché ciò che può non essere un tempo non esisteva"; "Ma il grado maggiore o minore si attribuiscono alle diverse cose secondo che si accostano di più o di meno a qualcosa di sommo o di assoluto"; "Ora, ciò che è privo di intelligenza non tende al fine se non perché è diretto da un essere conoscitivo e intelligente");
Precedentemente un altro testo, sempre in sumerico ma rinvenuto a [[Ninive]] e risalente al periodo neoassiro, aveva già trattato il tema degli ''apkallu''<ref>La traduzione integrale di questo testo è in [[Giovanni Pettinato]], ''Mitologia sumerica'', versione mobi pos.8082/11434</ref>.
 
3) impossibilità di un ''regressus in infinitum'' inteso in senso metafisico, non quantitativo, perché ciò renderebbe inintelligibile, inspiegabile pienamente il dato di fatto di partenza esistente ("Ora, non si può in tal modo procedere all' infinito, perché altrimenti non vi sarebbe un primo motore, e di conseguenza nessun altro motore..."; "Ma procedere all' infinito nelle cause efficienti equivale ad eliminare la prima causa efficiente; e così non avremmo neppure l'effetto ultimo, né le cause intermedie..."; "Dunque non tutti gli esseri sono contingenti, ma bisogna che nella realtà ci sia qualcosa di necessario. Ora, tutto ciò che è necessario, o ha la causa della sua necessità in un altro essere oppure no. D'altra parte [in questo genere di esseri] non si può procedere all'infinito..."; questo passaggio manca, per la sua evidenza agli occhi dell'Aquinate manca nella quarta via e nella quinta via, si passa direttamente alla conclusione;
==== Il re e dio ctonio Gilgameš in altre fonti mesopotamiche ====
* Il nome di Gilgameš è stato rinvenuto anche in una iscrizione in lingua sumerica<ref>Cfr. anche Furlani, p. 123-4</ref> nel tempio di Tummal risalente alla III Dinastia di Ur. Qui Gilgameš è indicato come il costruttore del santuario (sumerico: ''gu-bu-ra'') di Enlil a Nippur (sumerico: ''Nibru''):
{{q|Il divino Gilgamesh, colui che andò alla ricerca della pianta della vita,<br />ha costruito il santuario di Enlil|cit. in [[Giovanni Pettinato]], ''I Sumeri'', p.139}}
* Un tardo principe (sumerico: ''abba'') di Uruk, Anangišdubba (Anam), figlio di Belšemea ai tempi del re Singāmil, afferma in una iscrizione in lingua sumerica, di aver ricostruito le mura della città già opera del dio Giš-bíl-ga-meš<ref name="Furlani">Cfr. [[Giuseppe Furlani]], ''Miti babilonesi e assiri'', p.123-4</ref>.
* Un'altra iscrizione, sempre sumerica, opera di Utuḫegal, re di Uruk dal 2041 al 2034 a.C., così riferisce di un discorso agli sconfitti [[Gutei]] (''Gutium''<ref>Sumerico: ''gu-ti-um''.</ref>)
{{q|Enlil me lo (cioè Gutium) ha consegnato,la mia signora Inanna è il mio sostengo, Dumuzi, l<nowiki>'</nowiki>''ama-ušumgal'' del cielo ha pronunciato il mio destino, il dio Giš-bíl-ga-meš, figlio di Ninsun, quale protettore ''maškim'' mi è stato dato|cit. in [[Giuseppe Furlani]], ''Miti babilonesi e assiri'', p.124}}
* In un inno, sempre in lingua sumerica, Gilgameš è indicato come "fratello maggiore" del re Ur-nammu (2028-2011 ca a.C.) di Ur (sumero: ''Urim'', ''Uri'') sempre indicato come "dio"<ref name="Furlani" />.
 
4) conclusione deduttiva strettamente razionale (senza nessuna cogenza di fede) che identifica il 'conosciuto' sotto quel determinato aspetto con quello "che tutti chiamano Dio", o espressioni simili ("Dunque è necessario arrivare ad un primo motore che non sia mosso da altri; e tutti riconoscono che esso è Dio"; "Dunque bisogna ammettere una prima causa efficiente, che tutti chiamano Dio"; "Dunque bisogna concludere all'esistenza di un essere che sia di per sé necessario e non tragga da altri la propria necessità, ma sia causa di necessità agli altri. E questo tutti dicono Dio"; "Ora ciò che è massimo in un dato genere è causa di tutti gli appartenenti a quel genere, come il fuoco, caldo al massimo, è causa di ogni calore, come dice lo stesso Aristotele. Dunque vi è qualcosa che per tutti gli enti è causa dell'essere, della bontà e di qualsiasi perfezione. E questo chiamiamo Dio"; "Vi è dunque un qualche essere intelligente, dal quale tutte le cose naturali sono ordinate ad un fine: e quest'essere chiamiamo Dio".
Quindi Gilgameš, fin dalle fonti più antiche, è sempre presentato come un dio e come un dio viene invocato nelle preghiere.
 
I cinque percorsi indicati da San Tommaso sono<ref>Cf. Summa Theologiae, pars I, quaestio 2 articolo 3.</ref>:
{{q|Egli è una figura prettamente divina, il vicepresidente del tribunale, che nell'inferno giudica i defunti, e quindi sostituto di Šamaš.|[[Giuseppe Furlani]], ''Miti babilonesi e assiri'', p.124}}
* ''Ex motu et mutatione rerum'' (tutto ciò che si muove esige un movente primo perché, come insegna Aristotele nella Metafisica: "Non si può andare all'infinito nella ricerca di un primo motore");
* ''Ex ordine causarum efficientium'' (cioè "dalla causa efficiente", intesa in senso subordinato, non in senso coordinato nel tempo. Tommaso non è, per sola ragione, in grado di escludere la durata indefinita nel tempo di un mondo creato da Dio, la cosiddetta ''creatio ab aeterno'': ogni essere finito, partecipato, dipende nell'essere da un altro detto causa; necessità di una causa prima incausata);
* ''Ex rerum contingentia'' (cioè "dalla contingenza". Nella terminologia di Tommaso la generabilità e corruttibilità sono prese come segno evidente della possibilità di essere e non essere legata alla materialità, sinonimo, nel suo vocabolario di "contingenza", ben diverso dall'uso più comune, legato ad una terminologia avicenniana, dove "contingente" è qualsiasi realtà che non sia Dio. Tommaso, in questa argomentazione della ''Summa Theologiae'' distingue attentamente il necessario dipendente da altro (anima umana e angeli) e necessario assoluto (Dio). L'esistenza di esseri generabili e corruttibili è in sé insufficiente metafisicamente, rimanda ad esseri necessari, dapprima dipendenti da altro, quindi ad un essere assolutamente necessario);
* ''Ex variis gradibus perfectionis'' (le cose hanno diversi gradi di perfezioni, intese in senso trascendentale, come verità, bontà, nobiltà ed essere, sebbene sia usato un 'banale' esempio fisico legato al fuoco e al calore; ma solo un grado massimo di perfezione rende possibile, in quanto causa, i gradi intermedi);
* ''Ex rerum gubernatione'' (cioè "dal governo delle cose": le azioni di realtà non intelligenti nell'universo sono ordinate secondo uno scopo, quindi, non essendo in loro quest'intelligenza, ci deve essere un'intelligenza ultima che le ordina così).
 
[[Immanuel Kant|Kant]], pur ammettendo l'esistenza di Dio come postulato della ragion pratica, ritiene che l'esistenza di Dio sia indimostrabile da un punto di città teoretico-speculativo: nella [[Dialettica trascendentale]] della [[Critica della ragion pura]] (1781), Kant ha contestato tali dimostrazioni, pur non prendendo in realtà in considerazione direttamente le cinque "vie" di San Tommaso, ma le prove dell'esistenza di Dio nella filosofia leibniziano-wollfiana. La critica kantiana si rivolge infatti alla 1) prova ontologica; 2) alla prova cosmologica e 3) prova fisico-teologica. Se per quanto riguarda almeno nelle conclusioni sia S.Tommaso, sia Kant sono concordi nel rifiutare la prova ontologica, per quanto riguarda la prova cosmologica e quella fisico- teologica, Kant critica queste due prove (a cui si riducono le cinque "vie tomistiche), in quanto sarebbero legate ad un'estensione indebita dell'uso della ragione (nel suo uso teoretico-speculativo) i cui concetti razionali, cioè le idee, ammetterebbero un esclusivo riempimento e verifica tramite l'intuizione empirica: per questo motivo l'idea di Dio è assolutamente non verificabile tramite la ragione, <ref>Immanuel Kant, ''Critica della ragion pura'', Laterza, 1965, pp. 291-346.</ref><ref>Leo Elders, ''The Philosophical Theology of St. Thomas Aquinas'', E.J. Brills, 1990, pp. 78-79.</ref> superando i limiti dell'esperienza possibile.
{{q|A parte le informazioni che potremmo definire di carattere storico, o pseudostorico, Gilgameš nella letteratura sia sumerica, sia assiro-babilonese, gode delle caratteristiche proprie della divinità. |[[Giovanni Pettinato]], ''La Saga di Gilgameš '', p. LXXXVII}}
 
=== Processo conoscitivo ===
Numerose sono le invocazioni che lo riguardano:
{{citazione necessaria|Tommaso, che riteneva la conoscenza acquisibile solo attraverso la sensibilità, rifiuta la visione della conoscenza di [[Aurelio Agostino d'Ippona|Agostino]], che pensava che questa avvenisse tramite l'illuminazione divina.}}
{{q|Gilgameš, re perfetto, giudice degli Annunaki;<br />principe avveduto, fre[no degli uomini];<br />ispettore delle regioni, sovrintendente della "Terra",<br />signore delle creature infere.<br />Tu sei giudice e hai la vista di un dio;<br />ti tieni nella "Terra" e dai il giudizio definitivo.<br />Il tuo giudizio non cambia, né si dimentica la tua parola;<br />interroghi sorvegli, giudichi, scruti e dirigi.<br />Šamaš ti ha affidato giudizio e decisione;<br />re, governatori, principi si prostrano davanti a te;<br />tu vigili sui loro auspici, e ne decidi le cause.<br />Io N.N., figlio di N.N., il cui dio è N.N., la cui dea è N.N.,<br />cui malattia incolse, per ottenere sentenza giudiziaria,<br />e decisione di causa mi prostro al tuo cospetto.<br />Conduci il giudizio, [decidi la causa]; scaccia la mal[attia che è nel mio] corpo.<br />Renditi padrone di ogni male [che mi stringe],<br />in questo giorno [presentati, ascolta la mia parola].<br />Ti ho glorificato, ti ho venerato,<br />fior di farina pura [ti ho offerto acqua]<br />ti ho sacrificato una pecora [pura ....]<br />ti ho offerto un vestito rosso [...]<br />una barchetta di cedro [...]<br />una tiara d'oro [...]<br />(''lacuna'') |'' A Gilgameš''; in [[Giorgio R. Castellino]] ''Testi sumerici e accadici'', Torino, Utet, 1977, in pp.603-604}}
 
La conoscenza degli [[universali]] però appartiene solo alle intelligenze angeliche; noi, invece, conosciamo gli universali ''post-rem'', ossia li ricaviamo dalla realtà sensibile. Soltanto Dio conosce ''ante rem''.
== Approfondimento: Le epopee di Gilgameš ==
L'epopea di Gilgameš appartiene all'intera cultura mesopotamica, ovvero della Mezzaluna Fertile, non solo quindi alle sue originarie culture sumerica e assiro-babilonese (questa in lingua accadica). Testimonianza di questo fatto è il rinvenimento in più lingue, oltre il sumerico e l'accadico, di questa epopea: dall'ittita, al ḫurrita, all'elamita. Rinvenimenti che hanno inoltre riguardato non solo l'antico territorio della Mesopotamia ma si sono spinti anche in Anatolia e nell'area della Siria-Palestina.
 
La conoscenza è, quindi, un processo di adeguamento dell'anima o dell'intelletto e della cosa, secondo una formula che dà ragione del sofisticato platonismo di Tommaso:
=== Le epopee sumeriche ===
{{Citazione|Verità: Adeguamento dell'intelletto alla cosa. Adeguamento della cosa all'intelletto. Adeguamento dell'intelletto e della cosa.|Tommaso d'Aquino<ref>Cf. ''Quaestio disputata de anima'', a. 3 ad 1; ''Summa Theologiae'', Iª q. 16 aa. 1-2.</ref>|Veritas: Adaequatio intellectus ad rem. Adaequatio rei ad intellectum. Adaequatio intellectus et rei.|lingua=la}}
Sono cinque le epopee in lingua sumerica che narrano le imprese del re di Uruk, Gilgameš. Generalmente questi poemi sono attribuiti alle corti della III dinastia di Ur (XX secolo a.C.) i cui sovrani rivendicano l'antica regalità della città di Uruk e il legame con Gilgameš<ref>[[Giovanni Pettinato]], ''La Saga di Gilgameš'', p. 184.</ref>.
 
==== GilgamešLa ecreazione Aggasecondo Tommaso ====
Tommaso spiega che l'uomo può stabilire a partire dalla ragione il rapporto creaturale di dipendenza dell'universo da Dio ovvero la creatio ex nihilo intesa come totale dipendenza dell'essere creato, anche quello sostanziale, dall'Essere divino<ref>{{Cita libro|autore=Sofia Vanni Rovighi|titolo=Introduzione a Tommaso d'Aquino|anno=1981|editore=Laterza|città=Roma-Bari|pp=68-70}}</ref>. Ciò che la sola ragione non può stabilire è se il mondo è eterno o se è stato creato nel tempo ovvero se ha un cominciamento. La verità della seconda alternativa (la creazione con un inizio temporale) può essere conosciuta, secondo Tommaso, solamente per fede a partire dalla rivelazione divina<ref>Summa contra gentiles, libro II, 31-37 e Summa theologiae, pars I quaestio 46</ref>.
Questo testo (sumerico: lu<sub>2</sub>kiĝ<sub>2</sub>gi<sub>4</sub>a ag-ga dumu en-me-barag-ge<sub>4</sub>-si-ke<sub>4</sub>; ''Gli inviati di Agga, il figlio di Enmebaragesi'') ricostruito in 115 righe proviene dalla Biblioteca di Nippur. Probabilmente è l'epopea più storica trattando della guerra tra la città di Uruk e la città di Kiš, governata quest'ultima da Agga, il figlio di Enmebaragesi così come vuole la ''Lista Reale Sumerica''.
 
{{citazione necessaria|Nelle opere di Tommaso l'universo (o cosmo) ha una struttura rigorosamente gerarchica}}: posto al vertice da Dio che viene posto come al di là della fisicità, governa da solo il mondo al di sopra di tutte le cose e gli enti; al di sotto di Dio troviamo gli angeli (forme pure e immateriali) ai quali Tommaso attribuisce la definizione di intelligenze motrici dei cieli anch'esse ordinate gerarchicamente tra di loro; poi un gradino più in basso troviamo l'uomo, posto al confine tra il mondo delle sostanze spirituali e il regno della corporeità, in ogni uomo infatti si ha l'unione del corpo (elemento materiale) con l'anima intellettiva (ovvero la forma, che secondo Tommaso costituisce l'ultimo grado delle intelligenze angeliche), l'uomo è l'unico ente in contatto sia con il mondo fisico, sia con il mondo spirituale.
Il poema inizia con l'arrivo a Uruk di un'ambasceria da parte della città di Kiš con l'obiettivo di imporre alla città governata da Gilgameš il compito di irrigare l'area meridionale della Mesopotamia. Gilgameš convoca quindi l'assemblea degli anziani e, successivamente, quella dei giovani guerrieri, per decidere se sottomettersi al ''diktat'' di Agga oppure provocare la guerra. Gli anziani si risolvono per la pace, mentre i giovani guerrieri reclamano la guerra e l'indipendenza della città di Uruk.
Tommaso crede che la conoscenza umana cominci con i sensi, l'uomo non avendo il grado di intelligenza degli angeli non è in grado di apprendere direttamente gli intelligibili, ma può apprendere solamente attribuendo alle cose una forma e quindi solamente grazie all'esperienza sensibile.
 
{{citazione necessaria|Un'altra facoltà necessaria che caratterizza l'uomo è la sua tendenza a realizzare pienamente la propria natura ovvero compiere ciò per cui è stato creato}}. Ciascun uomo infatti corrisponde all'idea divina su cui è modellato, di cui l'uomo è consapevole e razionale, conscio delle proprie finalità, alle quali si dirige volontariamente avvalendosi dell'uso dell'intelletto: l'uomo prende le proprie decisioni sulla base di un ragionamento pratico, attraverso il quale tra due beni sceglie sempre quello più consono al raggiungimento del suo fine. Nel fare ciò segue la [[Legge naturale]], che è scritta nel cuore dell'uomo. La legge naturale, che è un riflesso della [[Legge eterna]], dove essere il fondamento della [[Legge positiva]], cioè l'insieme delle norme che gli uomini stabiliscono storicamente in un dato tempo ed in un dato luogo.
Gilgameš segue quindi il consiglio dei giovani e rigetta la proposta degli ambasciatori. L'esito dell'ambasceria costringe Agga a riunire il suo esercito assediando Uruk. La popolazione di quest'ultima città è spaventata a tal punto da costringere Gilgameš a inviare un ambasciatore, nella figura del suo servo Birḫurte, per trattare con Agga. Ma il servo di Gilgameš appena catturato viene picchiato; a questo punto dalle mura di Uruk si sporge Zabardab, il generale a capo delle difese di Uruk che Agga ritiene possa essere Gilgameš in persona. Ma Birḫurte gli spiega che qualora fosse stato il re di Uruk il suo esercito alla sola vista ne sarebbe rimasto sconvolto. Subito dopo compare sulle mura di Uruk, Gilgameš nel suo splendore divino, allora Enkidu, l'altro servitore del re di Uruk, esce dalla città assediata proclamando la presenza del suo re. Lo splendore e il nome divino di Gilgameš atterrisce le armate nemiche che cadono sconfitte alla sua sola vista, e Gilgameš, magnanimo rimanda alla sua città Kiš il re Agga.
 
Al di sotto dell'uomo troviamo le piante e le varie molteplicità degli elementi.
Nelle righe 85-89 viene così riportata l'apparizione splendente del dio Gilgameš.
 
=== Concezione della donna ===
{{q|gli Anziani e i giovani di Kullab furono avviluppati dal suo terribile splendore<br />i giovani uomini di Uruk, i guerrieri impugnarono le mazze della battaglia;<br />si disposero per strada all'entrata della porta della città.<br />Enkidu da solo fuori dalla porta<br />e Gilgameš si sporse dalle mura.|''Gilgameš e Agga'' (sumerico: lu2kiĝ2gi4a ag-ga dumu en-me-barag-ge4-si-ke4; ''Gli inviati di Agga, il figlio di Enmebaragesi'' 85-89. Traduzione di [[Giovanni Pettinato]], in ''La Saga di Gilgameš'', p. 320.|ab-ba di4-di4-la2 kul-aba4<sup>ki</sup>-a-ke4 me-lem4 bi2-ib-šu2-šu2<br />ĝuruš unug<sup>ki</sup>-ga-ke4 <sup>ĝiš</sup>tukul me3 a2-ne-ne bi2-in-si<br /><sup>ĝiš</sup>ig abul-la-ka sila-ba bi2-in-gub<br />en-ki-du10 abul-la dili ba-ra-e3<br />'''<sup>[[dingir|d]]</sup>'''gilgameš2 bad3-da gu2-na im-ma-an-la2|lingua=SUX}}
 
Tommaso riprende e cita, nella prima parte della ''Summa theologiae'', alle questioni 92 e 99, l'affermazione di Aristotele (''De generatione et corruptione'' 2,3) per cui la donna sarebbe un uomo mancato (''mas occasionatus''). L'aquinate afferma che "rispetto alla natura particolare la femmina è un essere difettoso e manchevole" (I, 92, 1): {{quote|Infatti la virtù attiva racchiusa nel seme del maschio tende a produrre un essere perfetto simile a sé, di sesso maschile, e il fatto che ne derivi una femmina può dipendere dalla debolezza della virtù attiva, o da un'indisposizione della materia, o da una trasmutazione causata dal di fuori, per esempio dai venti australi, che sono umidi, come dice il filosofo.}}
Da notare infatti che Gilgameš viene presentato col segno determinativo della divinita: '''<sup>[[dingir|d]]</sup>''' (cuneiforme: [[File:Cuneiform sumer dingir.svg|25px]], accadico [[File:B010ellst.png|25px]]). Il suo "terribile splendore" (sumerico: ''melam'', ''meli(m)''; accadico: ''melammû'', ''melummum'', cuneiforme: [[File:Melam (cuneiforme).png|35px]]) è proprio di un dio.
 
Ma aggiunge: {{quote|Rispetto invece alla natura nella sua universalità, la femmina non è un essere mancato, ma è espressamente voluto in ordine alla generazione. Ora, l'ordinamento della natura nella sua universalità dipende da Dio, il quale è l'autore universale della natura. Quindi, nel creare la natura, egli produsse non solo il maschio, ma anche la femmina 2. Ci sono due specie di sudditanza. La prima, servile, è quella per cui chi è a capo si serve dei sottoposti per il proprio interesse: e tale dipendenza sopravvenne dopo il peccato. Ma vi è una seconda sudditanza, economica o politica, in forza della quale chi è a capo si serve dei sottoposti per il loro interesse e per il loro bene. E tale sudditanza ci sarebbe stata anche prima del peccato, poiché senza il governo dei più saggi sarebbe mancato il bene dell'ordine nella società umana. E in questa sudditanza la donna è naturalmente soggetta all'uomo: poiché l'uomo ha per natura un più vigoroso discernimento razionale. |Somma teologica, I, 92, 1, ad 1}}<br />
==== Gilgameš e Ḫubaba ====
{{quote|la diversità dei sessi rientra nella perfezione della natura umana|Somma teologica, I, 99, 2, ad 1.}}
Di questa epopea (segnatamente della versione "lunga" di Nibru/Nippur, in sumerico: en-e kur lu<sub>2</sub> til<sub>3</sub>-la-še<sub>3</sub>ĝeštug<sub>2</sub>-ga-ni na-an-gub; ''Il signore decise di muoversi verso la montagna che dà la vita all'uomo'') disponiamo di due versioni: una lunga 202 righe risalente alla città di Nippur, l'altra più breve, di circa 157 righe, rinvenuta a Me Turan. Le copie rinvenute sono numerose (più di ottanta) a dimostrazione di quanto questo racconto fosse diffuso tra i sumeri, fatto dimostrato anche dal rinvenimento in più città, oltre Nippur e Me Turan, anche Isin, Kiš, Sippar ed Ur ne hanno infatti restituito dei frammenti (rinvenuti persino nella città, oggi iraniana, di Susa). A differenza dell'epopea precedentemente descritta, ''Gilgameš e Agga'', questa epopea è stata raccolta, segnatamente dalla Tavola II alla Tavola V, nella successiva "versione classica babilonese", opera dello scriba ed esorcista cassita Sîn-lēqi-unninni. Tale racconto è presente anche nei frammenti delle epopee paleobabilonesi e in quella ittita.
 
== Importanza ed eredità ==
L'opera di apre con l'intenzione manifestata dal re Gilgameš (anche in questi testi indicato con il determinativo '''<sup>[[dingir|d]]</sup>''' proprio della divinità) di recarsi presso la "montagna (''kur'', cuneiforme:[[File:Cuneiforme Kur.JPG|20px]]) che dà la vita (''til<sub>3</sub>'', cuneiforme: [[File:Cuneiforme Til3.JPG|30px]]) all'uomo" (''lu<sub>2</sub>'', cuneiforme: [[File:Cuneiforme, Lú.png|30px]]), questo per rendere immortale il proprio nome.
{{vedi anche|Tomismo}}
[[File:St. Thomas Aquinas Confounding Averroes.jpg|thumb|Tommaso disputa con Averroè]]
[[File:Lippo Memmi - Triumph of St Thomas Aquinas - WGA15020.jpg|thumb|''Trionfo di san Tommaso'', di Lippo Memmi]]
[[File:Benozzo Gozzoli - Triumph of St Thomas Aquinas - WGA10334.jpg|thumb|''Trionfo di san Tommaso'', di Benozzo Gozzoli]]
San Tommaso fu uno dei pensatori più eminenti della [[Scolastica (filosofia)|filosofia Scolastica]], che verso la metà del [[XIII secolo]] aveva raggiunto il suo apice.
Egli indirizzò diversi aspetti della filosofia del tempo: la questione del rapporto tra fede e ragione, le tesi sull'anima (in contrapposizione ad [[Averroè]]), le questioni sull'autorità della religione e della teologia, che subordina ogni campo della conoscenza.
 
Tali punti fermi del suo pensiero furono difesi da diversi suoi seguaci successivi, tra i quali [[Reginaldo da Piperno]], [[Tolomeo da Lucca]], [[Giovanni di Napoli]], il domenicano francese [[Giovanni Capreolus]] e [[Antonino di Firenze]].
Enkidu, servitore fedele di Gilgameš, lo consiglia di conferire con il dio Sole, Utu. Gilgameš offre quindi un capretto bianco e uno striato a Utu, chiedendo al dio di accompagnarlo nel suo cammino, il dio Sole gli domanda le motivazioni del suo viaggio, allora il re di Uruk significativamente gli risponde:
Infine però, con la lenta dissoluzione della Scolastica, si ebbe parallelamente anche la dissoluzione del [[Tomismo]], col conseguente prevalere di un indirizzo di pensiero [[nominalismo|nominalista]] nel successivo sviluppo della filosofia, e una progressiva sfiducia nelle possibilità metafisiche della [[ragione]],<ref>«Né prima né dopo, si è pensato con tanta precisione, con tanta intima sicurezza [[logica]], quanto nell'epoca dell'alta [[Scolastica (filosofia)|Scolastica]]. L'essenziale è che allora il puro [[pensiero]] si svolgeva con matematica sicurezza di idea in idea, di giudizio in giudizio, di conclusione in conclusione» ([[Rudolf Steiner]], ''La filosofia di Tommaso d'Aquino'', II, ''Opera Omnia'', 74). Steiner aggiungeva che «il nominalismo è il padre di tutto lo [[scetticismo]] moderno» (conferenza del marzo 1908, cit. in ''Posizione dell'antroposofia nei confronti della filosofia'', O.O., 108).</ref> che indurrà [[Lutero]] a giudicare quest'ultima «cieca, sorda, stolta, empia e sacrilega».<ref>Martin Lutero, ''Servo arbitrio'', WA 51, 126.</ref>
 
{{citazione necessaria|Oggigiorno il pensiero di Tommaso d'Aquino trova ampio consenso anche in ambienti non cattolici (studiosi [[protestante|protestanti]] [[Stati Uniti d'America|statunitensi]], ad esempio) e perfino non cristiani, grazie al suo metodo di lavoro, fortemente razionale e aperto a fonti e contributi di ogni genere: la sua indagine intellettuale procede dalla [[Bibbia]] agli autori [[paganesimo|pagani]], dagli [[ebreo|ebrei]] ai [[musulmano|musulmani]], senza alcun pregiudizio, ma tenendo sempre il suo centro nella Rivelazione cristiana, alla quale ogni cultura, dottrina o autore antico faceva capo.
{{q|"O Utu, io ti voglio parlare, presta ascolto alle mie parole;<br />
}}
Io mi voglio rivolgere a te, prestami attenzione.<br />
Il suo operato culmina nella ''[[Summa Theologiae]]'' (cioè "Il complesso di [[teologia]]"), in cui tratta in maniera sistematica il rapporto fede-ragione e altre grandi questioni teologiche.
Nella mia città si muore, il cuore è oppresso;<br />
i miei cittadini muoiono, il cuore è prostrato.<br />
Io sono salito sulle mura della mia città<br />
e ho visto i cadaveri trasportati dalle acque del fiume;<br />
e io, pure io sarò così? Certo pure io!<br />
L'uomo, per quanto alto egli sia, non può raggiungere il cielo,<br />
l'uomo, per quanto grasso egli sia, non può coprire il Paese;<br />
nessun uomo l'ha (finora) avuta vinta sull'eccelso "mattone della vita"<br />
Io voglio entrare nella Montagna, voglio porre colà il mio nome;<br />
nel luogo dove ci sono già gli steli, voglio porre il mio nome;<br />
nel luogo dove non ci sono gli steli, voglio porre il nome degli dèi.|Gilgameš e Ḫubaba (versione "lunga" di Nibru/Nippur in sumerico: en-e kur lu<sub>2</sub> til<sub>3</sub>-la-še<sub>3</sub>ĝeštug<sub>2</sub>-ga-ni na-an-gub; ''Il signore decise di muoversi verso la montagna che dà la vita all'uomo'') 21-33. Traduzione di [[Giovanni Pettinato]], in ''La Saga di Gilgameš'', p. 323.|'''<sup>[[dingir|d]]</sup>'''utu inim ga-ra-ab-dug4 inim-ĝu10-uš ĝeštug2-zu<br />
silim ga-ra-ab-dug4 ĝizzal ḫe2-em-ši-ak<br />
iri<sup>ki</sup>-ĝa2 lu2 ba-uš2 šag4 ba-sag3<br />
lu2 u2-gu ba-an-de2 {šag4-ĝu10} ba-an-gig<br />
bad3-da gu2-ĝa2 im-ma-an-la2<br />
ad6 a-a ib2-dirig-ge igi im-ma-an-sig10<br />
u3 ĝe26-e ur5-gin7 nam-ba-ak-e ur5-še3 ḫe2-me-a<br />
lu2 suku(SUKUD)-ra2 an-še3 nu-mu-un-da-la2<br />
lu2 daĝal-la kur-ra la-ba-an-šu2-šu2<br />
murgu ĝuruš-e til3-la saĝ til3-le-bi-še3 la-ba-ra-an-e3-a<br />
kur-ra ga-an-kur9 mu-ĝu10 ga-am3-ĝar<br />
ki mu gub-bu-ba-am3 mu-ĝu10 ga-bi2-ib-gub<br />
ki mu nu-gub-bu-ba-am3 mu diĝir-re-e-ne ga-bi2-ib-gub|lingua=SUX}}
 
{{citazione necessaria|[[Sant'Agostino|Agostino]] vedeva il rapporto fede-ragione come un [[circolo ermeneutico]] (dal greco ''ermeneuo'', cioè "interpreto") in cui ''credo ut intelligam et intelligo ut credam'' (ossia "credo per comprendere e comprendo per credere"). Tommaso porta la [[fede]] su un piano superiore alla [[ragione]], affermando che dove la ragione e la filosofia non possono proseguire inizia il campo della fede e il lavoro della teologia.}} Dunque, fede e ragione sono certamente in circolo ermeneutico e crescono insieme sia in filosofia che in teologia. Mentre però la filosofia parte da dati dell'esperienza sensibile o razionale, la teologia inizia il circolo con i dati della fede, su cui ragiona per credere con maggiore consapevolezza ai misteri rivelati. La ragione, ammettendo di non poterli dimostrare, riconosce che essi, pur essendo al di sopra di sé, non sono mai assurdi o contro la ragione stessa: fede e ragione, sono entrambe dono di [[Dio]] e non possono contraddirsi. Questa posizione esalta ovviamente la ricerca umana: ogni verità che io posso scoprire non minaccerà mai la [[Rivelazione]] anzi, rafforzerà la mia conoscenza complessiva dell'opera di Dio e della Parola di Cristo. Si vede qui un esempio tipico della fiducia che nel [[Medioevo]] si riponeva nella ragione umana. Nel [[XIV secolo]] queste certezze andranno in crisi, coinvolgendo l'intero impianto culturale del periodo precedente.
È evidente in questo passaggio di questa epopea sumerica che ciò che spinge Gilgameš ad affrontare questo viaggio pericoloso sia il tema della "morte", del "morire" (sumerico: ''uš<sub>2</sub>'', ''úš''; cuneiforme: [[File:Cuneiforme- Úš.png|20px]]) evento superabile solo attraverso il rendere imperituro il proprio nome.
 
La teologia, in ambito puramente speculativo, rispetto alla tradizione classica, era considerata una forma inferiore di sapere, poiché usava in prestito gli strumenti della filosofia, ma Tommaso fa notare, citando Aristotele, che anche la filosofia non può dimostrare tutto, perché sarebbe un processo all'infinito. Egli distingue due tipi di [[scienza|scienze]]: quelle che esaminano i propri principi e quelle che ricevono i principi da altre scienze. L'ideale, per uno spirito concreto come Tommaso, sarebbe superare la fede e raggiungere la conoscenza ma, sui misteri fondamentali della [[Rivelazione]], questo non è possibile nella vita terrena del [[Corpo (esoterismo)|corpo]]. Avverrà nella vita eterna dello [[spirito (filosofia)|spirito]].
Il dio Sole Utu accoglie la richiesta di Gilgameš e gli invia sette esseri divini che, unitamente a cinquanta giovani guerrieri di Uruk e al fedele Enkidu, lo accompagneranno nel pericolose sentiero della "Montagna che dà la vita".
 
La [[filosofia]] è dunque ''ancilla theologiae'' e ''regina scientiarum'', prima fra i saperi delle scienze. Il primato del sapere teologico non è nel metodo, ma nei contenuti divini che affronta, per i quali è sacrificabile anche la necessità filosofica.
Il terribile guardiano della Montagna, [[Khubaba|Ḫubaba]] (anche, e indifferentemente, Ḫumbaba o Ḫuwawa) li vede arrivare e invia loro un raggio potente che li fa addormentare. Ma il fedele Enkidu si sveglia, e visto il re addormentato, cerca di destarlo senza però riuscirvi, finché, dopo averlo massaggiato con dell'olio, questi si alza.
 
Il punto di discrimine fra filosofia e teologia è la dimostrazione dell'esistenza di Dio; dei due misteri fondamentali della Fede (Trinitario e Cristologico), la ragione può dimostrare solamente il primo, l'esistenza di Dio, mentre non può dimostrare che questo Dio è necessariamente Trinitario. Ciò non è un [[paradosso]] razionale, perché da una premessa falsa non possono che derivare nel sillogismo conseguenze false, è più semplicemente qualcosa che la ragione non può spiegare: un Dio [[Uno (filosofia)|Uno]] e [[Trinità (cristianesimo)|Trino]]. Il maggior servizio che la ragione può fare alla fede è che non è possibile nemmeno dimostrare il contrario, che Dio non è Trinitario, che la negazione non dimostrabile della Trinità a sua volta porta conseguenze paradossali e contradditorie, laddove invece la Sua affermazione per fede è feconda di verità e conseguenze non contraddittorie. La ragione non può entrare nella parte storica dei misteri religiosi, può mostrare solo prove storiche che tal "profeta" è esistito, ma non che era Dio, e il senso della Sua missione, che è appunto un dato, un fatto a cui si può credere o meno.
Gilgameš è sempre deciso a raggiungere Ḫubaba e, nonostante il servo Enkidu lo sconsigliasse, incede insieme a Enkidu, dopo averlo convinto a seguirlo, verso il guardiano. L'incontro tra il re di Uruk e il guardiano della "Montagna che dà la vita" non è breve: Ḫubaba vuole uccidere Gilgameš ma, convinto da quest'ultimo, gli cede i propri terribili poteri in cambio delle due sorelle del re, come moglie, la prima (Enmebaragesi), e concubina, la seconda (Peštur), oltre che per dei sandali, grandi e piccoli. Gilgameš riesce ad ottenere in questo modo i sette terrori (sumerico: ni<sub>2</sub>, cuneiforme:) di Ḫubaba. Spogliato dai suoi poteri, Ḫubaba diviene alla mercé del re di Uruk che prima lo percuote e poi lo lega. Il guardiano, fatto prigioniero, invoca il dio Utu e chiede clemenza a Gilgameš che sta per concedergliela quando, Enkidu, duramente apostrofato da Ḫubaba, gli taglia la testa. A questo punto i due eroi si recano alla presenza del re degli dèi Enlil. Messo a conoscenza della vicenda, Enlil li redarguisce duramente per il destino inflitto al guardiano della Montagna, decidendo di distribuire i terrori di Ḫubaba per tutta la terra.
 
{{citazione necessaria|Il primato della teologia verrà fortemente discusso nei secoli successivi, ma sarà anche lo studio praticato da tutti i filosofi cristiani nel [[Medioevo]] e oltre, tant'è che [[Blaise Pascal|Pascal]] fece la sua famosa "scommessa" ancora nel [[XVII secolo]].}} La teologia era questione sentita dal popolo nelle sacre rappresentazioni, era il mondo dei medioevali e degli zelanti studenti che attraversavano a piedi le [[palude|paludi]] di [[Francia]] per ascoltare le ''lectiones'' dell'Aquinate nella prestigiosa Università della ''[[Sorbona|Sorbonne]]'' di [[Parigi]], incontrandosi da tutta [[Europa]] <!--qui risiederebbero le origini culturali dell'[[Europa]] unita, ciò che rende opportuna la precisazione -->.
==== Gilgameš e il Toro celeste ====
Di questa epopea (segnatamente della versione di Me-Turan, in sumerico: šul me<sub>3</sub>!-kam šul me<sub>3</sub>!-kam in-du-ni ga-an-dug<sub>4</sub>; ''Dell'eroe in battaglia, dell'eroe in battaglia, io voglio intonare il canto'') conserviamo due versioni, una lunga 140 righe, rinvenuta a Me-Turan, è un'altra più lunga da Nippur. Tale epopea è stata ripresa nella successiva "versione classica babilonese", opera dello scriba ed esorcista cassita Sîn-lēqi-unninni, segnatamente alla Tavola VI, anche se, e questo va subito evidenziato, con una decisa differenza nelle motivazioni che spingono la dea Innana a recarsi da suo padre, il dio della volta celeste, An, per chiedergli di inviare sulla terra il "Toro celeste" (sumerico: gu<sub>4</sub>-an-na).
 
Gli storici della filosofia richiamano l'attenzione anche sulla prevalenza dell'intelletto rispetto ad una prevalenza della volontà nella vita intellettuale/spirituale dell'uomo. La prima è seguita da San Tommaso e dalla sua scuola, mentre l'altra è propria di [[San Bonaventura]] e della scuola francescana. Per Tommaso il fine supremo è "vedere Dio", mentre per Bonaventura fine ultimo dell'uomo è "amare Dio". Quindi per Tommaso la categoria più alta è "il vero", mentre per Bonaventura è "il bene". Per ambedue però, "il vero" è anche "il bene", e "il bene" è anche "il vero".
Dopo un avvio poetico sulla figura di Gilgameš, l'epopea introduce la dea Inanna che dal parapetto del suo tempio, l'E-anna, indirizza queste parole al re di Uruk:
 
Il pensiero di Tommaso ebbe influenza anche su autori non cristiani, a cominciare dal famoso pensatore ebreo [[Hillel da Verona]].
{{q|"Mio toro, mio uomo, non ti consentirò di agire a piacimento<br />Gilgameš non ti consentirò di agire a piacimento<br />io non ti permetterò di esercitare giustizia nel mio Eanna|Gilgameš e il Toro celeste (versione di Me-Turan, in sumerico: šul me<sub>3</sub>!-kam šul me<sub>3</sub>!-kam in-du-ni ga-an-dug<sub>4</sub>; ''Dell'eroe in battaglia, dell'eroe in battaglia, io voglio intonare il canto'' 22-24. Traduzione di [[Giovanni Pettinato]], in ''La Saga di Gilgameš'', p. 348.|am-/ĝu10\ [lu]-ĝu10 IM /MA\ [NI TA … šu nu-ri-bar-re]<br />
'''<sup>[[dingir|d]]</sup>'''gilgameš2 /IM\ [MA NI TA … šu nu-ri-bar-re]<br />
e2-an-na-ĝu10 di [kud-de3 šu nu-ri-bar-re]<br />
|lingua=SUX}}
 
A partire dal secondo Novecento poi il suo pensiero viene ripreso nel dibattito etico da autori cattolici e non, quali [[Gertrude Elizabeth Margaret Anscombe]], [[Alasdair MacIntyre]], [[Philippa Ruth Foot]].
[[Giovanni Pettinato]]<ref>Giovanni Pettinato, ''La Saga di Gilgameš ''</ref> ritiene che questa intimazione della dea inerisca al fatto che il re Gilgameš intende porre sotto la sua giurisdizione il tempio e il personale a dedicato alla dea Inanna mentre la dea non intende accettare questo sconfinamento. E dopo le insistenze di Gilgameš, la dea si reca al cospetto di An, padre degli dèi e dio Cielo, per chiedere che invii sulla terra il temibile "Toro celeste" affinché uccida Gilgameš. Dapprima An si rifiuta di assecondare le richieste di Inanna ma dopo che ella incomincia ad emettere un grido che potrebbe far riavvicinare il Cielo alla Terra si decide a concedergli il "Toro celeste" il quale, giunto sulla terra, procura devastazioni nel regno di Gilgameš. Il re di Uruk quindi lo affronta e lo uccide. Nella versione di Me-Turan (rigo 130 e sgg.) la vicenda epica si conclude con Gilgameš che lancia all'indirizzo di Inanna, che fugge, una coscia del Toro divino appena ucciso.
 
== Culto ==
==== Gilgameš, Enkidu e gli Inferi ====
Fu [[canonizzazione|canonizzato]] nel [[1323]] da [[papa Giovanni XXII]]. La sua memoria viene celebrata dalla [[Chiesa cattolica]] il 28 gennaio, la [[Chiesa luterana|luterana]], invece, lo ricorda l'8 marzo.
Questa epopea sumerica (segnatamente la versione di Nibru/Nippur, in sumerico: ud re-a ud su<sub>3</sub>-ra<sub>2</sub> re-a; lett. ''In quei giorni, in quei giorni lontani'') è stata ricostruita grazie alla disponibilità di trentasette documenti. Parte di questa è stata tradotta in accadico nella XII Tavola della "versione classica babilonese", opera dello scriba ed esorcista cassita Sîn-lēqi-unninni. L'avvio del poema è di tipo "cosmogonico" quando il Cielo (''an'') si separa dalla terra (''ki''), l'umanità viene creata, An diviene il dio Cielo, Enlil diviene il re degli dèi e governatore della terra, la dea Ereškigal soprintende agli inferi. Enki, il dio dell'abisso delle acque dolci intraprende un viaggio su una nave verso la Montagna che dà la vita, il Kur.
 
San Tommaso d'Aquino è [[patrono]] dei [[teologia|teologi]], degli [[accademico|accademici]], dei [[libreria (negozio)|librai]] e degli [[studente|studenti]]. È patrono della città e della diocesi privernate e della Città e della diocesi aquinate.
{{q|In quei giorni, in quei giorni lontani,<br />
in quelle notti, in quelle notti lontane,<br />
in quegli anni, in quegli anni lontani,<br />
nei tempi antichi, quando ogni cosa venne alla luce;<br />
nei tempi antichi, quando ogni cosa "utile" fu procurata;<br />
quando nel tempio del Paese, pane fu gustato;<br />
quando il forno del Paese venne acceso;<br />
quando il cielo fu separato dalla terra;<br />
quando la terra fu separata dal cielo;<br />
quando l’umanità fu creata.<br />
quando An prese per sé il cielo<br />
quando Enlil prese per sé la Terra<br />
e a Ereškigal, in dono, furono dati gli Inferi;<br />
quando egli salpò, quando egli salpò con la nave;<br />
quando il padre salpò per il Kur,<br />
quando Enki salpò per il Kur<br />
allora contro il re le piccole pietre si abbattono<br />
contro Enki le grandi pietre si abbattono,<br />
- le piccole pietre sono le pietre della mano,<br />
le grandi pietre sono le pietre che fanno danzare le canne-|Gilgameš, Enkidu e gli Inferi (versione di Nibru/Nippur in sumerico: ud re-a ud su<sub>3</sub>-ra<sub>2</sub> re-a; lett. ''In quei giorni, in quei giorni lontani'') 1-20. Traduzione di [[Giovanni Pettinato]], in ''La Saga di Gilgameš'', p. 362-363.|ud re-a ud su3-ra2 re-a<br />
ĝi6 re-a ĝi6 ba9-ra2 re-a<br />
mu re-a mu su3-ra2 re-a<br />
ud ul niĝ2-du7-e pa e3-a-ba<br />
ud ul niĝ2-du7-e mi2 zid dug4-ga-a-ba<br />
eš3 kalam-ma-ka ninda šu2-a-ba<br />
imšu-rin-na kalam-ma-ka niĝ2-tab ak-a-ba<br />
an ki-ta ba-da-ba9-ra2-a-ba<br />
ki an-ta ba-da-sur-ra-a-ba<br />
mu nam-lu2-u18-lu ba-an-ĝar-ra-a-ba<br />
ud an-ne2 an ba-an-de6-a-ba<br />
'''<sup>[[dingir|d]]</sup>'''en-lil2-le ki ba-an-de6-a-ba<br />
'''<sup>[[dingir|d]]</sup>'''ereš-ki-gal-la-ra kur-ra saĝ rig7-bi-še3 im-ma-ab-rig7-a-ba<br />
ba-u5-a-ba ba-u5-a-ba<br />
a-a kur-še3 ba-u5-a-ba<br />
'''<sup>[[dingir|d]]</sup>'''en-ki kur-še3 ba-u5-a-ba<br />
lugal-ra tur-tur ba-an-da-ri<br />
'''<sup>[[dingir|d]]</sup>'''en-ki-ra gal-gal ba-an-da-ri<br />
tur-tur-bi na4 šu-kam<br />
gal-gal-bi na4 gi gu4-ud-da-kam|lingua=SUX}}
 
L'11 aprile [[1567]] [[papa Pio V]] lo dichiarò [[dottore della Chiesa]] con la [[bolla pontificia|bolla]] ''Mirabilis Deus''.
La nave di Enki fa tuttavia naufragio durante una tempesta che sradica l'albero ''ḫalub'' (''ha-lu-ub<sub>2</sub>''; cuneiforme: [[File:Cuneiforme halub.JPG|40px]]), che viveva isolato sulle rive del fiume Eufrate, trascinandolo via. La dea Inanna raccoglie l'albero con l'intenzione di farlo crescere nel giardino del suo tempio, l' E-anna a Uruk, per poi trarne, dal suo legno, un trono e un letto.
Il 29 giugno [[1923]], nel VI centenario della canonizzazione, [[papa Pio XI]] gli dedicò l'[[enciclica]] ''[[Studiorum Ducem]]''.
 
== Opere di San Tommaso ==
Ma l'albero ''ḫalub'' (''huluppu''), piantato nel giardino dell'E-anna, viene infestato da tre esseri demoniaci: tra le radici un serpente (''muš'', cuneiforme: [[File:Cuneiforme muš.JPG|40px]]), che non teme incantesimi (''tu<sub>6</sub>''); tra i rami l'uccello, l'Anzu (sumerico: ''an-zu-ud<sub>2</sub>''; cuneiforme: [[File:Cuneiforme Anzu.JPG|70px]]), che vi alleva i suoi piccoli; nel tronco si cela la vergine-spettro (sumerico: ''lil<sub>2</sub>-la<sub>2</sub>-ke<sub>4</sub>'', accadico: ''lilitû''; [[Lilith]]; ''lil<sub>2</sub>'': spettro, fantasma, cuneiforme: [[File:Cuneiforme Lil2.JPG|20px]]).
;Sintesi teologiche
''Scriptum super libros Sententiarum''<br />
''[[Summa contra Gentiles]]''<br />
''[[Summa Theologiae]]''
;Questioni disputate
''Quaestiones disputatae de Veritate''<br />
''Quaestiones disputatae De potentia''<br />
''Quaestio disputata De anima''<br />
''Quaestio disputata De spiritualibus creaturis''<br />
''Quaestiones disputatae De malo''<br />
''Quaestiones disputatae De uirtutibus''<br />
''Quaestio disputata De unione uerbi incarnati''<br />
''Quaestiones de Quodlibet I-XII''
;Commenti biblici
''Expositio super Isaiam ad litteram''<br />
''Super Ieremiam et Threnos''<br />
''Principium “Rigans montes de superioribus” et “Hic est liber mandatorum Dei”''<br />
''Expositio super Iob ad litteram''<br />
''Glossa continua super Evangelia (Catena Aurea)''<br />
''Lectura super Mattheum''<br />
''Lectura super Ioannem''<br />
''Expositio et Lectura super Epistolas Pauli Apostoli''<br />
''Postilla super Psalmos''
;Commenti ad Aristotele
''Sentencia Libri De anima''<br />
''Sentencia Libri De sensu et sensato''<br />
''Sententia super Physicam''<br />
''Sententia super Meteora''<br />
''Expositio Libri Peryermenias''<br />
''Expositio Libri Posteriorum''<br />
''Sententia Libri Ethicorum''<br />
''Tabula Libri Ethicorum''<br />
''Sententia Libri Politicorum''<br />
''Sententia super Metaphysicam''<br />
''Sententia super Librum De caelo et mundo''<br />
''Sententia super Libros De generatione et corruptione'' [[File:Tommaso - Super libros de generatione et corruptione - 4733257 00007.tif|thumb|''Super libros de generatione et corruptione'']]
;Altri commenti
''Super Boetium De Trinitate''<br />
''Expositio Libri Boetii De ebdomadibus''<br />
''Super Librum Dionysii De divinis nomibus''<br />
''Super Librum De Causis''
;Scritti polemici
''Contra impugnantes Dei cultum et religionem''<br />
''De perfectione spiritualis vitae''<br />
''Contra doctrinam retrahentium a religione''<br />
''De unitate intellectus contra Avveroistas''<br />
''De aeternitate mundi''
;Trattati
''De ente et essentia''<br />
''De principiis naturae''<br />
''Compendium theologiae seu brevis compilatio theologiae ad fratrem Raynaldum''<br />
''De regno ad regem Cypri''<br />
''De substantiis separatis''
;Lettere e pareri
''De emptione et venditione ad tempus''<br />
''Contra errores Graecorum''<br />
''De rationibus fidei ad Cantorem Antiochenum''<br />
''Expositio super primam et secundam Decretalem ad Archidiaconum Tudertinum''<br />
''De articulis fidei et ecclesiae sacramentis ad archiepiscopum Panormitanum''<br />
''Responsio ad magistrum Ioannem de Vercellis de 108 articulis''<br />
''De forma absolutionis''<br />
''De secreto''<br />
''Liber De sortibus ad dominum Iacobum de Tonengo''<br />
''Responsiones ad lectorem Venetum de 30 et 36 articulis''<br />
''Responsio ad magistrum Ioannem de Vercellis de 43 articulis''<br />
''Responsio ad lectorem Bisuntinum de 6 articulis''<br />
''Epistola ad ducissam Brabantiae''<br />
''De mixtione elementorum ad magistrum Philippum de Castro Caeli''<br />
''De motu cordis ad magistrum Philippum de Castro Caeli''<br />
''De operationibus occultis naturae ad quendam militem ultramontanum''<br />
''De iudiciis astrorum''<br />
''Epistola ad Bernardum abbatem casinensem''
;Opere liturgiche, prediche, preghiere
''Officium de festo Corporis Christi ad mandatum Urbani Papae''<br />
''Inno [[Adoro te devote]]''<br />
''Collationes in decem precepta''<br />
''Collationes in orationem dominicam''<br />
''in Symbolum Apostolorum''<br />
''in salutationem angelicam''
 
== Opere di san Tommaso pubblicate ==
{{q|Nelle sue radici un serpente che non teme magia, vi aveva fatto il nido,<br />nei suoi rami l'uccello Anzu vi aveva deposto i suoi piccoli;<br />nel suo tronco la vergine-fantasma vi aveva costruito la sua casa|Gilgameš, Enkidu e gli Inferi (versione di Nibru/Nippur in sumerico: ud re-a ud su<sub>3</sub>-ra<sub>2</sub> re-a; lett. ''In quei giorni, in quei giorni lontani'') 42-44. Traduzione di [[Giovanni Pettinato]], in ''La Saga di Gilgameš'', p. 364.|ur2-bi-a muš tu6 nu-zu-e gud3 im-ma-ni-ib-us2<br />
* ''Lo specchio dell'anima, La sentenza di Tommaso d'Aquino sul "De anima" di Aristotele'', Traduzione e testo latino a fronte, Ed. San Paolo, Milano 2012. (È tradotto anche il testo dell'Aristotele latino).
pa-bi-a mušen anzud<sup>mušen</sup>-de3 amar im-ma-ni-ib-ĝar<br />
* Catena aurea, Glossa continua super Evangelia
šab-bi-a ki-sikil lil2-la2-ke4 e2 im-ma-ni-ib-du3|lingua=SUX}}
** vol. 1, ''[[Vangelo secondo Matteo|Matteo]]'', Bologna 2006
** vol. 2, ''Matteo'', Bologna 2007
** vol. 3, ''[[Vangelo secondo Marco|Marco]]'', Bologna 2007
* Commento ai Libri di [[Severino Boezio|Boezio]], ''Super Boetium De Trinitate'', ''Expositio Libri Boetii De Ebdomadibus'', Bologna, 1997
* Commento ai Nomi Divini di Dionigi, ''Super Librum Dionysii de Divinis Nominibus''
** vol. 1, Bologna 2004
** vol. 2, (comprende anche ''De ente et essentia''), Bologna, 2004
* Commento al ''Corpus Paulinum'', ''Expositio et lectura super Epistolas Pauli Apostoli''
** vol. 1, ''[[lettera ai Romani|Romani]]'', Bologna 2004
** vol. 2, ''[[prima lettera ai Corinzi|1 Corinzi]]'', Bologna 2004
** vol. 3, ''[[seconda lettera ai Corinzi|2 Corinzi]]'', ''[[lettera ai Galati|Galati]]'', Bologna, 2004
** vol. 4, ''[[lettera agli Efesini|Efesini]]'', ''[[lettera ai Filippesi|Filippesi]]'', ''[[lettera ai Colossesi|Colossesi]]'', Bologna, 2004
** vol. 5, ''Tessalonicesi'', ''Timoteo'', ''[[lettera a Tito|Tito]]'', ''[[lettera a Filemone|Filemone]]'', Bologna, 2004
** vol. 6, ''[[lettera agli Ebrei|Ebrei]]'', Bologna, 2004
* Commento al ''[[Libro di Giobbe]]'', Bologna, 1995
* Commento all'&nbsp;''[[Etica Nicomachea]]'' di [[Aristotele]], ''Sententia Libri Ethicorum'', in 2 volumi, Bologna, 1998
* Commento alla ''Fisica'' di Aristotele, ''Sententia super Physicorum''
** vol. 1, Bologna, 2004
** vol. 2, Bologna, 2004
** vol. 3, Bologna, 2005
* Commento alla ''Metafisica'' di Aristotele, ''Sententia super Metaphysicorum''
** vol. 1, Bologna, 2004
** vol. 2, Bologna, 2005
** vol. 3, Bologna, 2005
* Commento alla ''Politica'' di Aristotele, ''Sententia Libri Politicorum'', Bologna, 1996, ISBN 88-7094-231-7
* Commento alle ''Sentenze'' di Pietro Lombardo, ''Scriptum super Libros Sententiarum ''in 10 volumi, Bologna, Ed. ESD, 2002
* Compendio di teologia, ''Compendium theologiae'', Bologna, 1995
* I ''Sermoni'' e le due ''Lezioni inaugurali'', Bologna, 2003
* ''La conoscenza sensibile'', Commenti ai libri di Aristotele: ''Il senso e il sensibile''; ''La memoria e la reminiscenza'', Bologna, 1997
* ''La perfezione cristiana nella vita consacrata'', Bologna, 1995
*''De venerabili sacramentu altaris'', Bologna, 1996
* ''La Somma contro i Gentili'', ''Summa contra Gentiles''
** vol. 1, (traduzione [[Tito Centi]]), Bologna, 2000
** vol. 2, (traduzione Tito Centi), Bologna, 2001
** vol. 3, (traduzione Tito Centi), Bologna, 2001
* La ''Somma Teologica'', ''Summa Theologiae'', in 35 volumi
* La ''Somma Teologica'', ''Summa Theologiae'', in 6 volumi, Bologna, Ed. ESD
* Le ''Questioni Disputate'', ''Quaestiones Disputatae''
** vol. 1, ''La Verità'', Bologna, 1992
** vol. 2, ''La Verità'', Bologna, 1992
** vol. 3, ''La Verità'', Bologna, 1993
** vol. 4, ''L'anima umana'', Bologna, 2001
** vol. 5, ''Le virtù'', Bologna, 2002
** vol. 6, ''Il male'', Bologna, 2002
** vol. 7, ''Il male'', Bologna, 2003
** vol. 8, ''La potenza divina'', Bologna, 2003
** vol. 9, ''La potenza divina'', Bologna, 2003
** vol. 10, ''Questioni su argomenti vari'', Bologna, 2003
** vol. 11, ''Questioni su argomenti vari'', Bologna, 2003
* Logica dell'enunciazione, Commento al libro di Aristotele ''Peri Hermeneias'', ''Expositio Libri Peryermenias'', Bologna, 1997
* Opuscoli politici: ''Il governo dei principi'', ''Lettera alla duchessa del Brabante'', ''La dilazione nella compravendita'', Bologna, 1997
* Opuscoli spirituali: Commenti al ''Credo'', ''Padre Nostro'', ''Ave Maria'', ''Dieci Comandamenti'', ''Ufficio e Messa per la Festa del Corpus Domini'', ''Le preghiere di san Tommaso'', ''Lettera a uno studente'', Bologna, 1999
* Pagine di Filosofia: ''I principi della natura'', ''De principiis naturae ad fratrem Silvestrum'', sola trad. it., e antologia ragionata e commentata di altri brani filosofici di antropologia, gnoseologia, teologia naturale, etica, politica e pedagogia.
 
=== Inni eucaristici ===
Inanna chiede quindi aiuto al fratello, il dio Sole (Utu) che però non gli presta ascolto. Allora la dea si rivolge a Gilgameš, il quale armatosi affronta i tre esseri demoniaci cacciandoli. Consegnato l'albero ''ḫalub'' alla dea, trattiene per se le sue radici che trasforma in ''pukku'' (tamburo), e i suoi rami traendone il ''mekku'' (le bacchette del tamburo)<ref>Per approfondire il tema della controversa e dibattuta traduzione dei termini ''pukku'' e ''mekku'', cfr. l'intervento della musicologa belga [[Marcelle Duchesne Guillemin]] riportato nel vol.45 n.1 del ''Papers of the 29 Rencontre Assyriologique Internationale'', Londra, 5-9 luglio 1982 (Spring, 1983), pp. 151-156 e pubblicato dal British Institute for the Study of Iraq.</ref>. Impadronitosi di questo strumento musicale, costringe i giovani di Uruk a danzare al suo ritmo, sfinendoli. Giunta la sera, posa lo strumento, ma il ''pukku'' e il ''mekku'' precipitano negli Inferi.
A Tommaso d'Aquino sono classicamente attribuiti gli inni eucaristici per la solennità del [[Corpus Domini]],<ref>{{cita libro|titolo=I classici della teologia|curatori=Heinrich Fries, Georg Kretschmar|editore=Jaca Book|anno=2005|isbn=978-88-16-30402-4|url=https://books.google.it/books?id=iJZMfR0K9rsC&pg=PA97}}</ref> usati per secoli in occasione dell'adorazione eucaristica. Gli inni sono stati confermati nella liturgia solenne dal Concilio Vaticano II:
*''[[Adoro te devote]]''
*''[[Pange lingua]]'' , che contiene al termine il ''[[Tantum ergo sacramentum]]''
*''[[Sacris sollemniis]]''
*[[Verbum supernum prodiens]]
 
== Note ==
Il fedele servitore Enkidu si offre di scendere nell'oltretomba per recuperare gli strumenti del suo re. Gilgameš accetta l'offerta del servitore, ma lo avverte di non indossare un vestito pulito (altrimenti i morti riconosceranno che egli è un vivo); di non spalmarsi unguenti profumati (altrimenti i morti lo circonderanno); di non gettare il "bastone che torna indietro (il ''boomerang'', altrimenti coloro che sono stati uccisi da quel genere di arma lo raggiungeranno); e non deve indossare dei sandali, né impugnare uno scettro, non deve baciare o picchiare i suoi parenti. Enkidu scende negli Inferi ma viola tutte le consegne di Gilgameš, venendo così trattenuto nell'oltretomba. Gilgameš disperato si reca del re degli dèi Enlil che però non gli presta ascolto, quindi il re di Uruk fa visita al dio dell'Abisso delle acque dolci e della Saggezza, Enki, il quale intima al dio Sole (Utu) di aprire uno spiraglio nell'oltretomba di modo che Gilgameš possa incontrarsi con il fedele Enkidu. La conversazione tra i due verte sul destino degli uomini dopo la morte, che, in questo testo sumerico, non è governato da un principio di retribuzione "etico". Il destino degli uomini dopo la loro morte è invece piuttosto deciso dal "come" muoiano o da "quanti" figli hanno procreato prima di morire: in quest'ultimo caso più figli si ha generato e più il destino ''post-mortem'' appare felice.
<references/>
 
== Bibliografia ==
Una particolare condizione riguarda i bambini, morti prima dei loro giorni (sumerico: ''niĝin3-ĝar''; cuneiforme: [[File:Cuneiforme niĝin3-ĝar.JPG|40px]]):
* {{Cita libro|editore=Jacques Myt, Jacques Giunta|cognome=Tommaso d'Aquino|titolo=Super libros de generatione et corruptione|accesso=1º aprile 2015|data=1520| url = http://gutenberg.beic.it/webclient/DeliveryManager?pid=4733257}}
{{q|"Hai visto i miei bambini che non hanno visto la luce del sole, li hai visti?." "Sì li ho visti." "Come stanno?"<br />"Essi giocano a una tavola d'oro e d'argento piena di dolci e miele."|Gilgameš, Enkidu e gli Inferi (versione di Nibru/Nippur in sumerico: ud re-a ud su<sub>3</sub>-ra<sub>2</sub> re-a; lett. ''In quei giorni, in quei giorni lontani'') 300-301. Traduzione di [[Giovanni Pettinato]], in ''La Saga di Gilgameš'', p. 380.|niĝin3-ĝar tur-tur-ĝu10 ni2-ba nu-zu igi bi2-du8-am3 igi bi2-du8-am3 a-/na\-gin7 an-ak<br />
*Thomas Aquinas; Richard J. Regan, Compendium of theology Oxford University Press 2009, 0195385314, 9780195385311
ĝišbanšur kug-sig17 kug-babbar lal3 i3-nun-ta e-ne im-di-e-ne
* [[Aimé Forest]], ''Saint Thomas d'Aquin'', P. Mellottée, 1923
|lingua=SUX}}
* AA. VV., ''Le Ragioni del Tomismo dopo il centenario dell'enciclica "Aeterni Patris" '', [[Ares]], Milano, 1979
* Maria Cristina Bartolomei, ''Tomismo e [[Principio di non contraddizione]]'', [[Cedam]], Padova, 1973
* Giuseppe Barzaghi, ''La Somma Teologica di San Tommaso d'Aquino, in Compendio''. Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 2009
* Inos Biffi, ''La teologia e un teologo. San Tommaso d'Aquino'', [[Edizioni Piemme]], Casale Monferrato ([[Alessandria|AL]]), [1984
* [[Marie-Dominique Chenu]], ''Introduzione allo studio di S. Tommaso d'Aquino'', [[Libreria Editrice Fiorentina]], Firenze, 1953
* [[Gilbert Keith Chesterton]], ''[[San Tommaso d'Aquino (Chesterton)|Tommaso d'Aquino]]'', Guida Editori, Napoli, 1992
* Marco D'Avenia, ''La Conoscenza per Connaturalità'', Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 1992
* [[Cornelio Fabro]], ''Introduzione a San Tommaso. La metafisica tomista e il pensiero moderno'', [[Edizioni Ares|Ares]], Milano, 1997
* Cornelio Fabro, ''La nozione metafisica di partecipazione secondo S. Tommaso d'Aquino'', [[S.E.I.]], Torino, 1939
* Umberto Galeazzi, ''L'etica Filosofica in Tommaso D'Aquino: Dalla Summa Theologiae Alla Contra Gentiles per Una Riscoperta Dei Fondamenti Della Morale'' Città Nuova, Roma, 1989.
* [[Réginald Garrigou-Lagrange]], ''La Sintesi Tomistica'', [[Queriniana (casa editrice)|Queriniana]], Brescia, 1953
* Alessandro Ghisalberti, ''Tommaso d'Aquino'', in ''Enciclopedia Filosofica'' (diretta da V. Melchiorre), vol. XII, 11655-11691, Bompiani, Milano, 2006
* {{fr}} [[Étienne Gilson]], ''Saint Thomas Moraliste'', J. Vrin, [[Parigi]], 1974
* {{fr}} Étienne Gilson, ''Realisme Thomiste et Critique de la Connaissance'', J. Vrin, Parigi, 1947
* {{fr}} Étienne Gilson, ''Il tomismo : introduzione alla filosofia di San Tommaso d'Aquino'', Milano, Jaca Book 2011
* Marcello Landi, ''Un contributo allo studio della scienza nel Medio Evo. Il trattato Il cielo e il mondo di Giovanni Buridano e un confronto con alcune posizioni di Tommaso d'Aquino'', in ''Divus Thomas'' 110/2 (2007) 151-185
* Dietrich Lorenz, ''I Fondamenti dell'Ontologia Tomista'', Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 1992
* Amato Masnovo, ''San Agostino e S. Tomaso'', [[Vita e Pensiero (casa editrice)|Vita e Pensiero]], Milano, 1950
* Ralph Mcinerny, ''L'analogia in Tommaso d'Aquino'', Armando, Roma, 1999
* [[Battista Mondin]], ''Dizionario enciclopedico del pensiero di San Tommaso d'Aquino'', Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 2002
* Battista Mondin, ''Il Sistema Filosofico di Tommaso d'Aquino'', Massimo, Milano, 1985
* [[Vittorio Possenti]], ''Filosofia e rivelazione'', [[Città Nuova Editrice]], Roma, 1999
* Michela Pereira, ''La filosofia nel Medioevo'', [[Carocci editore|Carocci]], Roma, 2008.
* Pasquale Porro, ''Tommaso D'Aquino. Un profilo storico-filosofico'', Carocci Roma, 2012.
* Giacomo Samek Lodovici, ''La felicità del bene. Una rilettura di Tommaso d'Aquino'', Vita e pensiero, Milano, 2002
* Giacomo Samek Lodovici, ''L'esistenza di Dio'', Quaderni del Timone, 2005 ISBN 88-7879-009-5
* {{es}} Ramón Saiz-Pardo Hurtado, ''Intelecto-razón en Tomás de Aquino. Aproximación noética a la metafísica'', EDUSC, Roma, 2005
* Juan José Sanguineti, ''La Filosofia del Cosmo in Tommaso d'Aquino'', Ares, Milano, 1986
* Fausto Sbaffoni, ''San Tommaso d'Aquino e l'Influsso degli Angeli'', Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 1993
* {{en}}Robert Schimdt, ''The Domain of Logic According to Saint Thomas Aquinas'', Martinus Nijhoff, L'Aia (Paesi Bassi), 1966
* Rolf Schönberger, ''Tommaso d'Aquino'', Il Mulino, Bologna, 2002
* Mario Sgarbossa, ''I Santi e i Beati della Chiesa d'Occidente e d'Oriente'', II edizione, Edizioni Paoline, Milano, 2000, ISBN 88-315-1585-3
* Raimondo Spiazzi, [[Ordine dei Frati Predicatori|O.P.]] ''San Tommaso d'Aquino: biografia documentata'', Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 1997
* [[Rudolf Steiner]], ''La filosofia di Tommaso d'Aquino'', conferenze del 1920, trad. it., editrice Antroposofica, 2013
* Alfonso Tisi, ''San Tommaso d'Aquino e Salerno'', Grafica Jannone-Salerno, Salerno, 1974
* Jean-Pierre Torrell, ''Tommaso d'Aquino. L'uomo e il teologo'', Casale Monferrato, Piemme, 1994
* Jean-Pierre Torrell, ''Tommaso d'Aquino. Maestro spirituale'', [[Città Nuova]], Roma, 1998
* Jean-Pierre Torrell, ''Amico della verità. Vita e opere di Tommaso d'Aquino'', Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 2006.
* [[Sofia Vanni Rovighi]], ''Introduzione a Tommaso d'Aquino'', [[Casa editrice Giuseppe Laterza & figli|Laterza]], Bari, 2002
* James Weisheipl, ''Tommaso d'Aquino. Vita, pensiero, opere'', [[Jaca Book]], Milano, 2003
* [[Louis de Wohl]], ''La Liberazione del Gigante'', Milano: BUR Rizzoli, 2002.
 
== Voci correlate ==
==== La morte di Gilgameš ====
{{div col}}
Di questa epopea (segnatamente della versione di Me-Turan, in sumerico: am gal-e ba-nu<sub>2</sub> ḫur nu-mu-un-/da\-an-/zi-zi\; ''Il grande toro giace; mai più potrà alzarsi'') conserviamo due versioni, una di Nippur con due fonti che consentono di ricostruire 100 righe del testo sulle 450 originali, e una di Me-Turan, scoperta più recentemente.
* [[Analogia entis]]
* [[Quaestio disputata de malo]]
* [[Cristianesimo]]
* [[Dio, essere e ragione in Tommaso d'Aquino]]
* [[Domingo Bañez]]
* [[Filosofia medioevale]]
* [[Hillel ben Samuel da Verona]]
* [[San Bernardo di Chiaravalle]]
* [[San Bonaventura da Bagnoregio]]
* [[Santi]]
* [[Summa Theologiae]]
* [[Timeo hominem unius libri]]
* [[Tomismo]]
{{div col end}}
 
== Altri progetti ==
L'Epopea apre con un lamento su Gilgameš morto, per poi tornare nuovamente al re di Uruk che sogna di essere ricevuto al consesso degli dèi dove gli viene comunicato che, seppure Gilgameš ha compiuto imprese eccezionali, resta la decisione ancestrale degli dèi di consegnare gli uomini alla morte, fatto salvo Ziusudra (sumerico: Zi-u4-sud-ra, lett. "Vita dei giorni prolungati"), l'uomo sopravvissuto al Diluvio universale grazie all'intervento di Enki, a cui gli dèi hanno concesso l'immortalità. Ciononostante l'assemblea divina comunica che, una volta trapassato negli Inferi, Gilgameš acquisirà il titolo e il compito re e giudice dei morti. Risvegliatosi e raccontato il sogno, suo figlio Urulgal ne spiega alcuni aspetti per cui il sovrano di Uruk decide di farsi costruire una tomba monumentale in mezzo al letto del fiume Eufrate, facendone deviare momentaneamente il percorso, per esservi lì seppellito insieme alla sua corte. Tale narrazione documenta la "sepoltura collettiva" praticata dai sumeri, già individuata grazie alle scoperte archeologiche. Questa epopea non è ripresa nella versione babilonese opera dello scriba ed esorcista cassita Sîn-lēqi-unninni.
{{interprogetto|commons=Category:Thomas Aquinas|q=San Tommaso d'Aquino|s=Autore:Tommaso d'Aquino}}
 
{{q|Il grande toro giace; mai più potrà alzarsi;<br />il signore Gilgameš giace; mai più potrà alzarsi.|La morte di Gilgameš (versione di Me-Turan in sumerico: am gal-e ba-nu<sub>2</sub> ḫur nu-mu-un-/da\-an-/zi-zi\; ''Il grande toro giace; mai più potrà alzarsi''), 1-2 p. 384|am gal-e ba-nu2 ḫur nu-mu-un-/da\-an-/zi-zi\
<br />en '''<sup>[[dingir|d]]</sup>'''gilgameš2 ba-nu2 ḫur nu-mu-un-da-an-zi-zi|lingua=SUX}}
 
{{q|La catena di Namtar lo tiene stretto; non riesce più a liberarsi;<br />come un pesce spaventato nello stagno che era ... è malato; egli è abbarbicato al ...|La morte di Gilgameš (versione di Me-Turan in sumerico: am gal-e ba-nu<sub>2</sub> ḫur nu-mu-un-/da\-an-/zi-zi\; ''Il grande toro giace; mai più potrà alzarsi''), 15-16 p. 385|nam-tar-ra ig-šu-ur2 ba-/ḫa\-za zi-zi nu-ub-sig9-ga
1<br />ku6 NUN-gin7 pu2 ḪAR ak-a MA /tur5?\-ra ba-la2-la2|lingua=SUX}}
 
=== L'Epopea paleobabilonese ===
Sono undici le tavole, rinvenute in differenti città della Mesopotamia (Sippar, Nerebtum,Šaduppum, Nippur), risalenti complessivamente al XVIII secolo a.C., che raccolgono quei frammenti in lingua accadica che gli studiosi ritengono costituenti un'unica opera che corrisponde al primo nucleo dell'Epopea di Gilgameš<ref>Cfr. Giovanni Pettinato ''La saga...'' p.207, a cui vanno aggiunte le due tavole della [[Collezione Schøyen]] pubblicate per la prima volta da [[Andrew R. George]], ''The Babylonian Gilgamesh Epic - Introduction, critical edition and cuneiform texts'', I vol., Oxford, Oxford University Press, 2003, pp. 219-240.</ref> (chiamata in accadico: ⌈šu⌉-tu-ur e-li š[ar-ri]; ''Egli è superiore agli altri [re]'').
 
==== Tavola della Pennsylvania ====
Grazie al colofone inserito al termine della Tavola della Pennsylvania (OB II), oggi conservata all'[[University Museum di Philadelphia]], la quale corrisponde alla II Tavola dell'opera, sappiamo che la prima versione della Saga del re di Uruk iniziava con il rigo 27 della I Tavola della versione "classica" ovvero con la frase : ''⌈šu⌉-tu-ur e-li š[ar-ri]'' (lett. ''Egli è superiore agli altri [re]'') quindi, come per tutta la letteratura mesopotamica per cui il primo rigo corrispondeva al "titolo" dell'opera, l'Epopea paleobabilonese aveva questo come titolo identificativo. Questa Tavola riporta le vicende narrate nella I e nella II Tavola dell'Epopea classica.
 
==== Tavola di Yale ====
Composta di 288 righe, la Tavola di Yale (OB III), oggi conservata presso la [[Yale Babylonian Collection]] a [[New Haven]], è la continuazione della Tavola della Pennsylvania e corrisponde come contenuti alle II e III tavole dell'Epopea classica. Qui Gilgameš cerca di far adottare dalla propria madre, la dea Ninsun, l'amico Enkidu. Ma la dea rifiuta ed Enkidu scoppia in lacrime, per consolarlo, Gilgameš lo invita all'avventura nella Foresta dei Cedri, là dove vive il terribile guardiano Ḫubaba. Ma Enkidu lo sconsiglia inutilmente: Gilgameš è determinato a realizzare una fama imperitura.
 
==== Tavole di Nippur ====
Sono due tavole risalenti alla città di Nippur, oggi conservate una (OB UM) a Philadelphia (presso l'[[University Museum di Philadelphia]]) l'altra (OB Nippur) a Baghdad presso l'[[Iraq Museum]]. Contengono frammenti, nella prima corrispondono ai contenuti della II Tavola dell'Epopea classica, nella seconda alla IV Tavola, segnatamente al quarto sogno di Gilgameš.
 
==== Tavole di Tell Ḫarmal ====
Sono due tavole (OB Harmal 1 e OB Harmal 2) conservate presso l'[[Iraq Museum]] di Baghdad, che risalgono alla città di Šaddupûm e corrispondono alla IV Tavola dell'Epopea classica. Elemento interessante è che nella seconda di queste tavole viene riportato che la Foresta dei Cedri è la residenza degli dèi<ref>Giovanni Pettinato (p.211) evidenzia la coincidenza con il mito greco dell'Olimpo.</ref>. Quindi se nell'Epopea classica è evidente che il re di Uruk non conosca il luogo dove si sta recando, in quella paleobabilonese egli conosce il luogo dove intende recarsi.
 
==== Tavola di Išcali ====
Conosciuta anche come "Tavola di Bauer" (dal nome del suo primo curatore, l'assiriologo tedesco [[Theo Bauer]], 1896–1957 ) o anche "Tavola di Chicago" (in quanto conservata presso l'[[Oriental Institute Museum di Chicago]]), ma più diffusamente come "Tavola di Išcali" (OB Ishcali) dal luogo del suo rinvenimento (probabilmente corrisponde all'antica città di Nērebutum), in questa Tavola ambedue gli eroi, Gilgameš ed Enkidu, uccidono il guardiano Ḫubaba; anche qui, la Foresta dei Cedri risulta essere la residenza degli dèi, dove i due eroi entrano dopo l'uccisione del guardiano. Significativo anche che il taglio dei cedri qui occorra come necessità in quanto questi alberi partecipavano della vita del mostro.
 
==== Tavola di Baghdad ====
La Tavola di Baghdad (OB IM), che prende il suo nome dal fatto di essere conservata presso l'Iraq Museum di Baghdad, è un frammento correlato alla Tavola V (v.297) dell'Epopea classica. Essa presente i due eroi dell'epopea, Gilgameš ed Enkidu, intenti, mentre avanzavano verso la "dimora segreta degli dèi" ('' ⌈di-''X'' ''(X)'' ''X'' ir-ta⌉-ḫi-iṣ qí-iš?-tam <ša> ⌈<sup>giš</sup>erēnim(''eren'')?⌉ mu-ša-bi-i-li e-nu-na-ki -pu-zu-⌈ra⌉-mi-ip-te''; versi 17-18), a una discussione di tipo "religioso" in quanto sono in procinto di tagliare un cedro con il legno del quale intendono costruire una porta nel tempio di Enlil a Nippur.
 
==== Tavole della [[Collezione Schøyen]] ====
Queste due tavole dell'Epepoea paleobabilonese (OB Schøyen) sono conservate presso la [[Collezione Schøyen]] a Oslo in Norvegia. La loro antica provenienza è sconosciuta<ref>[[Andrew R. George]] in ''The Babylonian Gilgamesh Epic - Introduction, critical edition and cuneiform texts'', 1° vol., Oxford, Oxford University Press, 2003, p. 219.</ref>. La prima pubblicazione di queste due tavole la si deve all'assiriologo britannico [[Andrew R. George]] in ''The Babylonian Gilgamesh Epic - Introduction, critical edition and cuneiform texts'', 1° vol., Oxford, Oxford University Press, 2003, pp.&nbsp;219–240. Questi frammenti corrispondono alle Tavole II e IV della versione "classica".
 
==== Tavola di Meissner-Millard ====
Questa Tavola (OB VA-BM), così indicata dai nomi dell'assiriologo tedesco [[Bruno Meissner]] (1868–1947) e dell'assiriologo britannico [[Alan Ralph Millard]] (1937), conosciuta anche come "Tavola di Sippar" dal luogo della sua provenienza o anche "Tavola di Berlino e di Londra" (oggi una parte è conservata presso il [[British Museum]] di Londra mentre l'altra è conservata presso il Museo di [[Berlino]]), contiene alcuni avvenimenti correlati alla tavola X dell'Epopea classica.
 
Una sostanziale differenza con quest'ultima è la risposta che la divina taverniera Šiduri dà al re di Uruk (nell'Epopea classica Šiduri non risponde alle angosce di Gilgameš) che si lamenta della scomparsa dell'amico Enkidu e della presenza della morte:
{{q|Gilgameš dove stai andando?<br />La vita che tu cerchi, tu non la troverai.<br />Quando gli dèi crearono l'umanità,<br />essi assegnarono la morte per l'umanità,<br />tennero la vita nelle loro mani.<br />Così Gilgameš, riempi il tuo stomaco,<br />giorno e notte datti alla gioia,<br />fai festa ogni giorno.<br />Giorno e notte canta e danza,<br />che i tuoi vestiti siano puliti,<br />che la tua testa sia lavata, lavati con acqua,<br />giosci del bambino che tiene (stretta) la tua mano,<br />possa tua moglie godere al tuo petto:<br />questo è il retaggio (dell'umanità).|OB VA+BM 1-14; traduzione di Giovanni Pettinato, ''La Saga di Gilgameš'', p.213|'''<sup>[[dingir|d]]</sup>'''GIŠ e-eš ta-da-a-al<br />ba-la-ṭam ša ta-sa-ḫa-ḫu-ru la tu-ut-ta<br />i-nu-ma ilū(''dingir'')<sup>meš</sup> ib-nu a-wi-lu-tam<br />mu-tam iš-ku-nu a-na a-wi-lu-tim<br />ba-la-ṭám in-a qá-ti-šu-nu iṣ-ṣa-ab-tu<br />at-ta '''<sup>[[dingir|d]]</sup>'''GIŠ lu ma-li ka-ra-aš-ka<br />ur-ri ù mu-šī ḫi-ta-ad-dú at-ta<br />u4-mi-ša-am šu-ku-un ḫi-du-tam<br />ur-ri ù mu-šī su-ur ù me-li-il<br />lu ub-bu-bu ṣú-ba!(''KU'')-tu-ka<br />qá-qá-ad-ka lu me-si me-e lu ra-am-ka-ta<br />ṣú-ub-bi ṣe-eḫ-ra-am ṣā-bi-tu qá-ti-ka<br />mar-ḫī-tum li-iḫ-ta ⌈ad-da-am⌉ in-a su-ni-⌈ka⌉<br />an-na-ma šī[m-ti a-wi-lu-tim?]<ref>[http://www.soas.ac.uk/baplar/recordings/the-epic-of-gilgamesh-old-babylonian-version-bmvat-lines-ii0-iii14-read-by-martin-west.html Lettura del testo accadico.]</ref>|lingua=AKK}}
Dal che, a differenza del testo dell'epopea classica che motiverà la mortalità dell'umanità come conseguenza del Diluvio Universale, qui, invece, gli uomini sono da sempre in quanto creati tali, mortali.
 
=== Le epopee mediobabilonese e medioassira ===
Del periodo mediobabilonese, quindi del periodo in cui è vissuto lo scriba ed esorcista cassita Sîn-lēqi-unninni, conserviamo diversi frammenti: uno da Ur, uno da Nippur, due da Emar (Siria), uno da Megiddo (Palestina), uno da Assur, uno da Kalkhu.
 
=== I frammenti ittiti, accadici e ḫurriti ===
I diversi frammenti in cuneiforme ittita del così indicato ''Canto di Gilgameš''<ref>Nei colofoni della versione in lingua ittita viene infatti indicato con il determinativo SÌR ovvero per ''išhamai'' quindi come "canto", generalmente in versi, ma non è questo il caso, e comunque con accompagnamento musicale.</ref> provengono dall'antica città di Ḫattuša (oggi [[Boğazkale]] in Turchia), segnatamente dall'area del Tempio I della Città Bassa e dall'edificio K della Città Alta. Da evidenziare il fatto che il ''Canto di Gilgameš'' in lingua ittita è, a differenza di tutte le altre edizioni dell'epopea, in prosa anziché in versi.
 
Sempre ad Ḫattuša sono stati rinvenuti frammenti di una redazione accadica e di una ḫurrita, quest'ultima pressoché indecifrabile<ref>Cfr. ''La mitologia ittita'' a cura di [[Franca Pecchioli Daddi]] e [[Anna Maria Polvani]], Brescia, Paideia, 1990, p.24.</ref>.
 
Questa redazione ittita sembrerebbe raggiungere una certa unitarietà, senza tuttavia consentire di parlare di un unico "canto" ittita di Gilgameš : dalla genesi di Gilgameš fino al suo incontro con Utanapištim., passando per le vicende che ineriscono alla Foresta dei Cedri e l'incontro con il guardiano qui indicato in antico sumerico come Ḫuwawa. Alcuni frammenti dell'epopea ittita risentono comunque dell'influenza ḫurrita in quanto ne conservano i nomi propri<ref>Giuseppe Del Monte in Giovanni Pettinato, '' La Saga di Gilgameš'', p.221.</ref>.
{{q|Levo un inno al divino Gilgameš, il valente!<br />Creatala, [fece perfetta] il forte dio la figura del divino Gilgameš. [I grandi dèi] crearono la figura del divino Gilgameš: il Sole del cielo [gli] dette [la forza virile], il dio della tempesta gli dette animo di eroe. I grandi dèi crearono il divino Gilgameš: la sua figura era alta undici braccia, il suo petto largo nove spanne, il suo membro lungo tre [palmi].<br />Tutte le terre egli percorre. Arrivò ad Uruk e [...]: ogni giorno andava vincendo i giovani di Uruk|CTH 341 3: 1.A I 1- 1.A I 13. Traduzione di Giuseppe Del Monte e Giovanni Pettinato, '' La Saga di Gilgameš'', p.295; per la traslitterazione dal cuneiforme ittita cfr. [[Giuseppe Del Monte]], ''Antologia della letteratura ittita'', Servizio Editoriale Universitario di Pisa - Aprile 2003, p. 119|[w]a-⌈al⌉-l[a-aḫ-ḫi]-⌈ia-an⌉ ⌈d⌉G[IŠ.GIM.MAŠ-un][U]R.SAG-in / ša-am-ni-ia-an-ta-an UR.SAG-iš dx[...] ⌈d⌉GIŠ.GIM.MAŠ-un ALAM-an ša-am-ni-ir-ma [šal-la-uš DINGIRmeš-uš] dGIŠ.GIM.MAŠ-un ALAM-an dUTU ŠA-ME-E-iš-[ši LÚ-na-tar] ⌈pa⌉-a-iš dU-aš-ma-aš-ši UR.SAG-tar pa-a-iš š[a-am-ni-ir-ma] šal-la-uš DINGIRmeš-uš dGIŠ.GIM.MAŠ-un ALAM-ši pá[r-ga-aš-ti] 11 AM-MA-TUM GAB-ma-aš-ši pal-ḫa-a-aš-ti 9 w[a-ak-šur] [(uruu)]-ra-ga URU-ri a-ar-aš na-aš-za-kán x[...] [(nu-za)] UD.KAM-ti-li ŠA uruu-ra-ga lú.mešG[URUŠ ...] [(tar-aḫ-ḫ)]i-iš-ki-u-wa-an da-a-iš (...)|lingua=HIT}}
 
=== L'Epopea classica babilonese ===
Il titolo comunemente assegnato a questa opera, "Epopea di Gilgameš", è moderno e non riferibile in alcun modo ai suoi estensori. Nei cataloghi antichi, sumeri, assiri e babilonesi, qualsiasi opera era identificata con il suo primo rigo, o più precisamente con parte del suo primo rigo (in accadico: [šá naq-ba i-mu-ru i]; ''Colui che vide le profondità''). Questa versione, indicata dai moderni come "classica", è attribuita allo scriba ed esorcista cassita Sîn-lēqi-unninni e fu rinvenuta, circa due secoli or sono, in frammenti di argilla tra le rovine della biblioteca reale nel palazzo del re Assurbanipal (Aššur-bāni-apli) a Ninive, capitale dell'impero assiro. Tale opera è stata certamente raccolta e canonizzata prima dell'VIII secolo a.C., forse intorno al XII secolo a.C., e successivamente fedelmente riprodotta come era costume degli scribi. Questa versione classica era raccolta in XII tavole, la cui maggior parte è composta da tre colonne, sia nella parte anteriore che in quella posteriore. Ogni colonna si compone di 50 righe, dal che gli studiosi deducono che l'intera opera fosse composta da circa 3000 righe, di cui più 2000 sono giunte fino a noi. La divisione dell'Epopea classica nelle XII tavole non segue una logica di "contenuto", ma semplicemente di "lunghezza": quando una tavola esauriva lo spazio per il racconto, questo veniva fatto seguire in quella successiva; accade quindi che un singolo racconto dell'Epopea possa occupare lo spazio di più tavole.
 
==== Tavola I ====
Incipit della Tavola in accadico: [šá naq-ba i-mu-ru i] š-di ma-a-ti (''Colui che vide le profondità, (e anche) le fondamenta della terra'').
* '''Introduzione poetica alla figura di Gilgameš'''. Parte della prima riga di questa prima Tavola dà il titolo all'intero poema, com'è consuetudine nella tradizione mesopotamica: [šá naq-ba i-mu-ru i] š-di ma-a-ti; ''Colui che vide le profondità, (e anche) le fondamenta della terra''. Questo primo rigo è anche l'incipit poetico sulla figura di Gilgameš: colui che ha visto ogni cosa, persino le fondamenta della terra, e in "ogni cosa realizzò la completa saggezza" (rigo 4: ''[x x x-t] i i-du-ú ka-la-mu ḫa-a[s-su]''). Gilgameš fece incidere quindi su pietra le sue gesta. Fu lui a erigere le mura di Uruk (rigo 9). Segue la descrizione della vastità di questa città. L'estensore del poema invita quindi il lettore a cercare quella cassetta di rame (cedro) in cui sono celate le tavole con la storia di "Gilgameš colui che patì tutte le sofferenze" (rigo 28: ''[mim-m] u-ú '''<sup>[[dingir|d]]</sup>''' GIŠ-gím-maš ittallaku (DU.DU)<sup>ku</sup> ka-lu-mar-ṣa-a-ti''). Così Gilgameš, figlio della dea Ninsun e del dio-re Lugalbanda, è possente e terribile, pronto ad aiutare i suoi fratelli, pronto a creare nuovi passi tra le montagne e a scavare pozzi nei dirupi. Gilgameš attraversò l'Oceano arrivando "ai confini del mondo per cercare la vita eterna" (rigo 41:), raggiungendo, infine, Utanapištim; Gilgameš è colui che ristabilì il culto dopo il Diluvio (righe: 42-44). Gilgameš è per due terzi dio e per un terzo uomo (rigo 48).
* '''La creazione di Enkidu e l'incontro con la prostituta sacra Šamḫat'''. Gilgameš ha le armi sempre pronte e al suono del ''pukku'' (tamburo) fa accorrere i suoi guerrieri. Il padre degli dèi ascolta i lamenti delle mogli di questi e dei loro genitori, e convoca Aruru (dea madre) affinché generi una controparte di Gilgameš di modo che il re lasci i guerrieri alle loro famiglie. Aruru preso un grumo di creta lo pianta nella steppa generando così un guerriero primivito: Enkidu. Questi vive selvaggio come un animale insieme agli altri animali. Enkidu difende le bestie dai cacciatori e uno di questi, spaventato dalla forza del guerriero primitivo, si reca da Gilgameš raccontandogli l'accaduto. Il re di Uruk gli consegna la prostituta sacra (''harīmtu'', in sumerico ''kar-kid'') Šamḫat suggerendogli un incontro con Enkidu. Il cacciatore e Šamḫat raggiungono i luoghi selvaggi dove vive il guerriero primitivo e incontratolo, il cacciatore invita Šamḫat a denudarsi e ad allargare le gambe. Šamḫat si offre ad Enkidu per sei giorni e sei notti, ma quest'ultimo, dopo gli amplessi, non viene riconosciuto più dagli animali suoi compagni che ora fuggono da lui. Grazie alla relazione amorosa con Šamḫat, a Enkidu la forza bestiale diminuisce e di converso gli sorge l'intelligenza degli uomini. Allora Šamḫat invita Enkidu ad abbandonare le bestie e a recarsi con lei a Uruk, presentandosi al suo re, Gilgameš, colui che primeggia nella potenza. Enkidu accetta l'invito della prostituta sacra convinto di poter sfidare e quindi sconfiggere il re di Uruk. Šamḫat comunica a Enkidu la forza e la bellezza del re e lo informa che Gilgameš sarà avvertito da un sogno sul suo arrivo.
* '''I sogni di Gilgameš'''. Il re di Uruk sogna e racconta il suo sogno alla madre, la dea Ninsun: qualcosa di somigliante al Cielo gli crolla addosso e nonostante gli sforzi il re non riesce a smuoverlo. Gli abitanti corrono e baciano i piedi a questa cosa simile al Cielo. Gilgameš quindi lo abbraccia e lo ama come una moglie (rigo 256: ''[a-ram-šu-ma kīm]a(''gim'')áš-šá-te eli (''ugu'')-šú aḫ-bu-ub'') e lo porta da sua madre, la dea Ninsun che lo adotta come un figlio. Allora la madre dea spiega al re il significato del sogno: la cosa simile al Cielo è un compagno forte che lo proteggerà. Gilgameš racconta un secondo sogno alla madre dea: un'ascia bipenne cade nelle strade di Uruk e una folla accorse a guardarla. La madre dea spiega anche il secondo sogno al re suo figlio: l'ascia bipenne rappresenta un compagno forte come la montagna che lo salverà. Gilgameš prega allora la madre perché faccia giungere a lui questo compagno. Šamḫat racconta i sogni del re a Enkidu mentre fanno l'amore.
 
==== Tavola II ====
Incipit della Tavola in accadico: ['''<sup>[[dingir|d]]</sup>'''en-ki-dù] a šá[ib] ma-ḫar-šá [...]-⌈qu⌉, (''Enkidu era sdraiato vicino a lei'').
* '''Il viaggio di Enkidu verso Uruk'''. Facendo l'amore con Šamḫat, Enkidu dimentica il luogo dove era nato: per sette notti fecero l'amore. Quindi la prostituta sacra invita Enkidu a raggiungere Uruk con lei dove potrà conoscere Gilgameš il re simile a un toro e potente più di qualsiasi uomo. Enkidu acconsente e Šamḫat avvolge con una sua veste le sue nudità, ricoprendo sé stessa con una seconda veste. Insieme raggiungono una capanna di pastori, che li accolgono offrendo loro pane (in accadico: ''a-ka-lu''; sumerico: ''aš'') e bevande (birra, in accadico: ''ši-ka-ru''; sumerico: ''kaš''). Ma Enkidu non mangia il pane e non beve la birra, egli non ne è capace e si risolve a farlo solo dopo l'invito di Šamḫat che gli indica il pane come adatto alla divinità e la birra come adatta alla regalità. A questo punto il testo ha delle lacune, ma sappiamo dalla versione paleobabilonese (I, 134-176) che durante il tragitto Enkidu e Šamḫat incontrano un cittadino di Uruk che rivela a Enkidu le leggi del regno di Gilgameš, nella quale vige lo ''ius primae noctis'', riservandosi il re la prima notte di amore con una sposa<ref>Anche se alcuni studiosi hanno concluso così, in realtà, come nota Giovanni Pettinato (cfr. ''La Saga di Gilgameš'', p.208) il prosieguo della storia dimostra come Gilgameš si stia recando dalla dea Isḫara, quindi in qualche modo assimilata alla dea Ištar/Inanna, per celebrare le "[[nozze sacre]]".</ref>. Questo fa infuriare Enkidu.
* '''Il combattimento tra Enkidu e Gilgameš'''. Giunto a Uruk, Enkidu impedisce a Gilgameš di entrare nella casa di una sposa. I due avviano la lotta, e anche se in questo punto vi è una lacuna di 37 righe si capisce che Enkidu ha la meglio su Gilgameš, ma gli riconosce la superiorità. La dea madre di Gilgameš, Ninsun, rincuora il figlio sconfitto, spiegandogli che è stato battuto da un essere senza padre né madre, che viveva nelle steppe e che nessuno poteva domare. Nasce la forte amicizia tra Enkidu e Gilgameš. Quest'ultimo gli propone di recarsi con lui nella Foresta dei Cedri per uccidere il mostruoso guardiano Ḫubaba (Ḫumbaba).
* '''La decisione Gilgameš di recarsi nella Foresta dei Cedri per uccidere il guardiano Ḫubaba'''. Gilgameš avverte Enkidu della grande forza del guardiano della Foresta dei Cedri, Ḫubaba, luogo che procura spossatezza a chi lo attraversa e gli spiega che la ragione per cui intende affrontare questa avventura consiste nell'obiettivo di realizzare una fama imperitura che lo renda immortale. Armatisi di un'ascia bipenne del peso di un talento (35&nbsp;kg) e di spade dello stesso peso, convocano gli anziani che sconsigliano il loro re, Gilgameš, a intraprendere una simile avventura che certamente lo porterà alla morte. Ma il re non si lascia convincere, qui vi è una lacuna di 33 righe nel testo, ma sappiamo dalla versione paleobabilonese (II, 209-242) che Gilgameš chiede un oracolo al dio Sole (Šamaš, in sumerico: Utu) che pur malvolentieri gli garantisce l'aiuto. Allora gli anziani di Uruk accettano la spedizione del re, benedicendolo.
 
==== Tavola III ====
Incipit della Tavola in accadico: [a]-⌈na⌉ [ka-a-ri šá] ⌈uruk<sup>ki</sup>⌉ [ṭi-ḫa-a ina šul-mi] ; ''(Gli anziani della città lo benedissero al momento della partenza) da Uruk''.
* '''Prima di partire per la Foresta dei Cedri'''. Gli anziani benedicono Gilgameš e lo consigliano di non confidare solo sulla propria forza, ma solo del suo primo intuito. Lo consigliano anche di mandare avanti Enkidu, combattente avvezzo alla lotta e alle guerre e pronto a difenderlo. Enkidu e Gilgameš si recano quindi dalla dea madre Ninsun, e Gilgameš gli comunica l'intenzione di affrontare il guardiano Ḫubaba. La dea si purifica e quindi invoca il dio Sole, Šamaš:
{{q|"Perché hai scelto proprio mio figlio Gilgameš dandogli un cuore a cui non è concesso quiete?<br />E ora, dopo che tu lo ha contaminato, egli vuole intraprendere<br />il lungo viaggio per il luogo dove abita Ḫubaba.<br />Egli ingaggerà una lotta dall'esito incerto,<br />camminerà per sentieri sconosciuti,<br />fino al giorno in cui, dopo aver viaggiato in lungo e in largo,<br />non raggiungerà finalmente la Foresta dei Cedri,<br />e ucciderà il feroce Ḫubaba,<br />sterminando nella montagna tutto il male che tu odi. |L'Epopea classica babilonese di Gilgameš (in accadico: [šá naq-ba i-mu-ru i] š-di ma-a-ti; ''Colui che vide le profondità, (e anche) le fondamenta della terra''), III Tavola, vv. 45-53. Traduzione di [[Giovanni Pettinato]], pp.34-5.|am-me-ni taš-kun ⌈ana ma⌉ [ri-ia <sup>[[dingir|d]]</sup>GI]Š-gim-maš lìb-bi la ṣa-li-la te-mid-su<br />⌈e⌉-nin-na-ma tal-pu-us-su-ma il-lak<br />⌈ur⌉-ḫa ru-qa-ta a-šar<sup>[[dingir|d]]</sup>ḫum-ba-ba<br />qab-la šá la i-du-ú i-maḫ-ḫar<br />gi-ir-ru šá la i-du-ú i-rak-kab<br />a-di u4-mu il-la-ku ù i-tur-ra<br />a-di i-kaš-šá-du a-na <sup>giš</sup> qišti (''tir'') <sup>giš</sup> erēni (''eren'')<br />a-di <sup>[[dingir|d]]</sup>ḫum-ba-ba da-pi-nu i-nar-ru<br />u mim-ma lem-nu šá ta-zer-ru ú-ḫal-laq ina māti (''kur'')|lingua=AKK}}
Dopodiché la dea Ninsun convoca Enkidu e gli affida il proprio figlio Gilgameš. Anche gli anziani di Uruk invocano Enkidu affinché riporti sano e salvo il loro re. Enkidu si rivolge al proprio amico Gilgameš sconsigliandolo dall'intraprendere il pericoloso viaggio. Segue una lacuna di circa 50 righe e la III tavola termina.
 
==== Tavola IV ====
Incipit della Tavola in accadico: [a-na 20] bēr (''danna'') ik-su-pu-ku-sa-a-pu (''[Dopo venti] leghe di marcia essi spezzarono il pane'').
* '''In marcia verso la Foresta dei Cedri e i cinque sogni premonitori di Gilgameš'''. In marcia verso la Foresta dei Cedri, la colonna guidata dal re di Uruk Gilgameš, con il suo fido compagno Enkidu, si ferma dopo venti leghe per mangiare, dopo trenta per accamparsi per la notte, e così via per tre giorni in cui percorsero un viaggio che in genere si compie in un mese e mezzo, raggiungendo le montagne del Libano. A questo punto Gilgameš sale in cima della montagna e offre delle libagioni (di ''maṣḫatu'', farina) al dio Sole, Šamaš, pregandolo di inviargli un sogno premonitore. Enkidu prepara il giaciglio per il re (all'interno di un tempio di Zaqīqu<ref>Anche Ziqīqu, è il dio assiro-babilonese dei sogni.</ref>, ovvero dispone di un luogo per l'incubazione del sogno premonitore) e lo fa sdraiare all'interno di un cerchio. Nel mezzo della notte quest'ultimo si sveglia raccontando all'amico di aver sognato una montagna che li avrebbe schiacciati. Enkidu spiega il significato del sogno al re: la montagna che gli crolla addosso rappresenta il guardiano Ḫubaba che verrà presto da loro ucciso. La vicenda si ripete: altri giorni di marcia, offerte al dio e richiesta di un sogno premonitore; il secondo sogno è in questa Tavola assente (lacuna di 17 righe nella versione classica rinvenuta a Ninive), ma è presente nella versione tardo ittita (D 2,2) dove si racconta che una montagna atterra Gilgameš afferrandolo per i piedi, divampa una luce abbagliante, un uomo maestoso trae da sotto la montagna Gilgameš offrendogli dell'acqua e calmandolo, l'interpretazione riguarda sempre la sconfitta di Ḫubaba (la montagna) con l'aiuto di Enkidu (l'amico). Ancora giorni di marcia e richiesta del sogno premonitore; il terzo sogno di Gilgameš consiste in una tempesta che fa divampare incendi e piovere la morte, ancora Enkidu interpreta favorevolmente il sogno. Ancora giorni di marcia e richiesta di un sogno premonitore che si manifesta con una visione di un essere (anche qui lacune nella tavola) che Enkidu interpreta come Ḫubaba che presto uccideranno. La vicenda si ripete per la quinta e ultima volta, ma il racconto è assente per una lacuna di 22 righe ma lo si ricostruisce con la versione paleobabilonese (4): Gilgameš viene afferrato per la vita da un toro furioso il cui scalpitare oscura il cielo, un altro essere gli offre dell'acqua; l'interpretazione è che il toro sia il dio Sole che protegge il re, mentre l'altro essere è il dio personale del re. A questo punto Gilgameš si rivolge al dio Sole, Šamaš, chiedendo l'aiuto e il soccorso promessi. Šamaš gli risponde spronandolo ad attaccare subito Ḫubaba in quanto ora è fuori dalla Foresta dei Cedri e indossa solo uno dei sette vestiti (terrori). Ecco che Gilgameš prosegue per raggiungere il mostro, ma lo teme ed Enkidu lo rincuora ricordandogli i suoi obiettivi e la sua stessa natura di re guerriero.
 
==== Tavola V ====
Incipit della Tavola in accadico: iz-⌈zi⌉-zu-ma i-⌈nap⌉-pa!at-⌈tu⌉<sup>giš</sup>⌈qišta(''tir'')⌉ (''Essi stavano ai margini della foresta'').
* '''L'arrivo nella foresta, il taglio dei cedri, il combattimento con il divino guardiano Ḫubaba e la sua uccisione'''. Gilgameš ed Enkidu sono ora ai margini della Foresta dei Cedri, turbati dall'assistere Ḫubaba che vi entra e vi esce procurando terremoti al suo passaggio. I cedri si alzano maestosi e la montagna ospita il santuario di Irnini<ref>Dea della montagna e della Foresta dei Cedri, a volte identificata come un aspetto di Iśtar.</ref>. Gli eroi avviano l'abbattimento dei cedri provocando l'intervento del guardiano Ḫubaba. A questo punto la Tavola V della versione di Ninive presenta solo poche righe frammentarie risultando poi lacunosa fino alla fine. Nella versione di Uruk, a questo punto del racconto, Gilgameš ha paura ad affrontare Ḫubaba ma viene rincuorato da Enkidu. Si arriva allo scontro finale, quando interviene il dio Sole, Šamaš, che aiuta i due guerrieri scagliando contro Ḫubaba la tempesta, l'uragano e il demone Asakku, impedendogli in questo modo sia di avanzare che di indietreggiare. Paralizzato dall'intervento del dio Sole, Ḫubaba diviene facile preda di Gilgameš. Prima di morire Ḫubaba invoca clemenza promettendo doni al re di Uruk, implorando anche la pietà di Enkidu il quale, invece, sprona il re a uccidere presto il guardiano della Foresta dei Cedri, guadagnando così la fama imperitura. Il successivo racconto dell'uccisione di Ḫubaba è andato perduto anche nella versione di Uruk, ma è conservato nella "Tavola di Išcali" della versione paleobabilonese, qui i due eroi si scagliano contro il guardiano della foresta, Gilgameš è armato di ascia e di spada e lo colpisce alla nuca, mentre Enkidu lo trafigge al cuore. Al terzo colpo Ḫubaba cade morto, procurando un assordante rumore che si ode anche a grande distanza. Dopodiché i due eroi continuano il taglio dei cedri.
 
==== Tavola VI ====
Incipit della Tavola in accadico: imi-si ma-le-šu ub-bi-ib til-le-šu (''Egli lavò la sua sporcizia e purificò le sue armi'').
Con questa Tavola si avvia il racconto che possiede delle corrispondenze con il testo sumerico ''Gilgameš e il Toro celeste'' (versione di Me-Turan, in sumerico: šul me3!-kam šul me3!-kam in-du-ni ga-an-dug4; ''Dell'eroe in battaglia, dell'eroe in battaglia, io voglio intonare il canto'').
 
* '''Gilgameš si rifiuta di sposare la dea Ištar e uccide il Toro celeste'''. Gilgameš si lava e purifica le sue armi, indossando gli abiti regali e la corona (tiara, accadico: ''agû'', sumerico: ''aga''). Ištar (la potente dea di Uruk, signora dell'amore, della fertilità e della guerra, che in sumerico viene indicata con il nome di Inanna) nota la bellezza del re e lo invita a essere il suo sposo, promettendogli doni e poteri. Ma Gilgameš si rifiuta adducendo come motivazione il timore di finire come i precedenti amanti della dea che elenca: Dumuzi, l'uccello Alallu, il leone dalla forza perfetta, il cavallo che si impone nella battaglia, il pastore, Išullanu (il giardiniere del padre della dea, Anu, il dio della volta celeste, lo An sumerico), tutti immancabilmente finiti miseramente. Ištar, rifiutata dal re, si infuria e si reca in cielo dal padre, il dio Anu, chiedendogli il Toro celeste (''alû'', in sumerico: ''gu4.an.na'') da inviare contro Gilgameš. Il dio Anu dapprima rifiuta ma dopo la minaccia di Ištar di aprire le porte degli inferi facendo uscire i morti, l'avverte che il Toro celeste provocherà sette anni di carestia. Allora la dea organizza il raccolto che possa far fronte alle esigenze degli uomini e delle bestie, convincendo il padre a concedergli il Toro. Il Toro celeste si abbatte sulla terra uccidendo alcuni giovani di Uruk, ma Enkidu lo affronta trattenendolo, finché Gilgameš non lo abbatte con la sua spada. Enkidu e Gilgameš estraggono il cuore del Toro celeste e lo offrono al dio Sole, Šamaš. A questo punto Ištar sale sulle mura di Uruk e maledice Gilgameš. Enkidu si decide quindi a strappare una spalla al Toro rimasto esanime, lanciandola all'indirizzo della dea, proferendogli contro veementi minacce. Allora la dea raccoglie intorno a sé le ierodule e le prostitute (''harīmtu'', in sumerico ''kar-kid'') intonando un lamento all'indirizzo del divino Toro. Gilgameš riunisce gli artigiani della città che ammirano le corna del Toro composte da lapislazzuli (''uqnû'', sumerico: ''za-gin''), possedendo una capienza di sei ''kùr'' di olio. Il re dona le corna del Toro al dio Lugalbanda, lavandosi poi le mani nel fiume Eufrate. Rientrato nel palazzo reale, Gilgameš dà una festa e successivamente va a dormire; anche Enkidu si addormenta ma ha un sogno e al risveglio domanda al re per quale ragione i grandi dèi si erano riuniti in consiglio.
 
==== Tavola VII ====
Incipit della Tavola in accadico: '''<sup>[[dingir|d]]</sup>'''en-ki-dù p[a-a-šú īpuš-ma iqabbi] (''Enkidu [aprì la bocca e parlò]'').
Le prime 25 righe di questa Tavola sono andate perdute, ma sono ricostruibili a partire dalla III Tavola della versione ittita: i grandi dèi si riuniscono a consulto per valutare la condotta sacrilega di Gilgameš e di Enkidu che hanno ucciso due esseri divini, il guardiano Ḫubaba e il Toro celeste, decidendosi per la morte di Enkidu.
 
* '''Il vaneggiamento di Enkidu che parla alla porta del tempio del dio Sole, Šamaš'''. Enkidu si risveglia e vaneggiando si rivolge alla porta accusandola di essere stolta nonostante lui l'abbia costruita da uno splendido cedro e posta come porta nel tempio del dio Sole, Šamaš. Accusandola che presto verrà attraversata dal re che si dimenticherà di lui, Enkidu distrugge la porta. Gilgameš osserva la scena e piangendo chiede all'amico perché stia vaneggiando, preoccupato per il sogno che ha fatto, giurando di provvedere a implorare il dio Enlil, re degli dèi, e di costruire una statua d'oro a ricordo di Enkidu.
* '''Le maledizioni di Enkidu e il suo ripensamento'''. Enkidu si rivolge al dio Sole, Šamaš, maledicendo il cacciatore che si era recato da Gilgameš per denunciarne l'esistenza (vedi tav. I) e maledice anche la prostituta sacra Šamḫat che lo aveva strappato dalla sua natura libera e selvaggia. Ma il dio Šamaš gli risponde redarguendolo e ricordandogli come Šamḫat, la prostituta sacra a lui dedicata, lo abbia strappato da una vita selvaggia consegnandolo alla civiltà e al ricordo imperituro degli uomini. Il dio Šamaš lo avverte anche che Gilgameš dopo la sua morte trascurerà sé stesso vagando per la steppa vestito solo di una pelle di leone. Allora Enkidu si placa e ritirando tutte le terribili maledizioni indirizzate contro Šamḫat, la benedice.
* '''La morte di Enkidu'''. Enkidu giace ammalato e racconta a Gilgameš un sogno: un essere portentoso simile all'aquila Anzu lo percuote, nel sogno Gilgameš ha paura e non corre in aiuto dell'amico; l'Anzu trasforma Enkidu in una colomba e lo conduce negli Inferi da dove non si può più uscire, dove gli essere sono vestiti come uccelli e non vedono la luce mangiando polvere e argilla, dove tutte le corone dei re della terra che sono trapassati sono ammucchiate, dove abita Etana, dove regna la regina Ereškigal. Il resto del testo è parzialmente lacunoso Ereškigal domanda chi ha preso Enkidu, Enkidu invoca Gilgameš a non dimenticarlo e poi procede con l'agonia di Enkidu fino a che quest'ultimo invoca, gridando, nome dell'amico.
 
==== Tavola VIII ====
Incipit della Tavola in accadico: mim-mu-⌈ú⌉ [še-e-ri i-na-na-ma-ri] (''Quando sorse l'alba'').
* '''Lamentazione funebre di Gilgameš per la morte dell'amico Enkidu e il funerale dell'eroe'''. La Tavola VIII dell'Epopea narra ciò che accade dopo la morte di Enkidu: le lamentazioni di Gilgameš (prime 55 righe) la disperazione per la morte dell'amico (fino al rigo 89) dove Gilgameš si spoglia dei suoi ornamenti e ordina agli artigiani di fabbricare una statua preziosa che rappresenti Enkidu, infine la cerimonia funebre (fino all'ultimo rigo, ma con varie lacune, il n.230).
 
==== Tavola IX ====
Incipit della Tavola in accadico: '''<sup>[[dingir|d]]</sup>'''GIŠ-gím-maš a-na '''<sup>[[dingir|d]]</sup>'''en-ki-dù ib-ri-šu (''Gilgameš per l'amico Enkidu'').
* '''Gilgameš disperato per la perdita dell'amico Enkidu e sgomento di fronte alla morte, cerca l'eternità'''. Gilgameš disperato per la scomparsa di Enkidu e angosciato dalla paura della morte vaga per la steppa, decidendo di raggiungere l'unico uomo a cui gli dèi hanno donato l'immortalità: Utanapištim (accadico; il sumerico Zi-u4-sud-ra).
* '''Il monte Māšu, l'incontro con gli uomini-scorpione e l'arrivo nel giardino del dio Sole'''. Gilgameš raggiunge quindi il monte Māšu (monte "gemello", ''māšu'', in quanto, probabilmente, è caratterizzato da due vette una rivolta a ovest e l'altra a est) sopra di cui si colloca la volta celeste (''šamû'') e sotto il quale scendono gli Inferi (''arallú'') e al cui ingresso e alla cui uscita si pongono a guardia i temibili uomini-scorpione (''girtablilu''), guardiani del sorgere e del tramontare del Sole (Šamaš). Gli uomini-scorpione riconoscono in Gilgameš un essere per due terzi divino e per un terzo umano e lo avvertono che nessun uomo è mai riuscito ad attraversare questa montagna il cui percorso è per dodici doppie lunghe ore completamente buio, consigliandolo di seguire la via di Šamaš (il Sole). Dopo una lacuna di 38 righe il testo riprende con gli uomini-scorpione che aprono l'ingresso del monte Māšu a Gilgameš lasciandolo entrare. Gilgameš segue il loro consiglio seguendo nel profondo buio la via del Sole e giungendo infine nel giardino luminoso del dio Sole ricco di alberi di pietre preziose, incontrando Šiduri<ref>In una tradizione posteriore è identificata con la dea Ištar.</ref>, la taverniera divina che vive lungo le rive del mare.
 
==== Tavola X ====
Incipit della Tavola in accadico: '''<sup>[[dingir|d]]</sup>'''ší-du-ri sa-bi-tum šá ina sa-pan tam-ti áš-bat; (''La divina Šiduri, la taverniera che vive sulla riva del mare'').
* '''Gilgameš e la divina taverniera Šiduri '''. La divina Šiduri è ricca e Gilgameš vestito solo di una pelle le gira attorno. Gilgameš, che sì ha carne divina ma il cuore pieno d'angoscia. Šiduri lo scorge da lontano e si rifugia in casa sbarrando la porta, sospettando che Gilgameš altri non sia che un assassino. Gilgameš si avvicina alla casa della taverniera e gli comunica che è il re che ha ucciso Ḫubaba, il guardiano della Foresta dei cedri, e il Toro celeste. Šiduri lo interroga su quale sia la ragione per cui è ridotto in condizioni così misere, allora Gilgameš le risponde che non potrebbe essere altrimenti visto che ha perso l'amico Enkidu e che ora è angosciato dal pensiero della morte. Gilgameš chiede alla taverniera quale sia la strada per raggiungere l'unico uomo immortale, Utanapištim, ma Šiduri gli risponde che nessuno ha mai attraversato il mare al di fuori del dio Šamaš comunicandogli che comunque il traghettatore di Utanapištim, Uršanabi, è ora nella vicina foresta attento a tagliare alberi.
* '''L'incontro con il battelliere Uršanabi e l'attraversamento delle Acque della Morte (Mē Mūti)'''. Gilgameš raggiunge la foresta armato e si scontra con Uršanabi che lo colpisce ma anche gli domanda quale sia la ragione del suo stato pietoso e di rimando Gilgameš gli dà la stessa risposta offerta alla divina taverniera: «L'amico mio che io amo, è diventato argilla/e io non sono come lui? Non dovrò giac[ere pure io e non alzarmi mai più?» (Tav. X vv. 145-6). Uršanabi spiega al re di Uruk che da solo non può raggiungere l'altra sponda e che per prima cosa deve costruire dei pali forniti di pomelli e portarglieli. Gilgameš predisponde quanto richiestogli dal battelliere, e i due si imbarcano per il pericoloso viaggio, raggiungendo le Acque della Morte (''mē mūti''). Uršanabi avverte Gilgameš che non deve prendere contatto con le acque mortifere e in tre giorni compirono un viaggio che normalmente si percorre in un mese e mezzo. Dall'altra riva Utanapištim osserva il re di Uruk e si rende conto che non è una persona da lui conosciuta.
* '''L'incontro con Utanapištim '''. Infine Gilgameš raggiunge Utanapištim il quale gli chiede conto delle sue condizioni pietose, anche a lui il re di Uruk spiega che la morte dell'amico Enkidu e la scoperta della morte lo hanno angosciato, la taverniera non lo ha aiutato e ora sta lì di fronte Utanapištim che agognava di incontrare. Utanapištim gli replica che non ha senso che un essere divino destinato ad essere re viva come un mendicante e che la sua agitazione gli ha fatto solo «avvicinare il giorno lontano della verità» (rigo 300, lett. "hai avvicinato a te i tuoi giorni lontani": ''ru-qu-tu tu-qar-r [a-ab] ūmī(u4) <sup>meš</sup>-ka)''. Utanapištim spiega quindi al re di Uruk che:
{{q|L'umanità è recisa come canne in un canneto.<br />Sia il giovane nobile, come la giovane nobile<br />[sono preda] della morte.<br />Eppure nessuno vede la morte,<br />nessuno vede la faccia della morte,<br />nessuno sente la voce della morte.<br />La morte malefica recide l'umanità.<br />Noi possiamo costruire una casa,<br />noi possiamo costruire un nido,<br />i fratelli possono dividersi l'eredità<br />vi può essere guerra nel Paese,<br />possono i fiumi ingrossarsi e portare inondazione:<br />(il tutto assomiglia al)le libellule (che) sorvolano il fiume-<br />il loro sguardo si rivolge al sole,<br />e subito non c'è più nulla-.| Tav. X vv. 301-315|a-me-lu-tum šá kīma (''gim'') qanê(''gi'') a-pi ḫa-ṣi-pi (''x'') šùm-šú<br />eṭ-la dam-qa ardata (''ki.sikil'') <sup>ta</sup> da-me-eq-tum<br />ur-[ru-ḫiš?...]-šú-nu-ma i-šal-lal mu-ti<br />⌈ul-ma⌉-am-ma mu-ú-tu im-mar:<br />ul ma-am-m [a ša mu-ti i]m-⌈mar⌉pa-ni-šú<br />⌈ul-ma-am-ma⌉ ša mu-ti-rig-⌈ma-šú⌉ [i-šem-me]<br />ag-gu ⌈mu-tum⌉ ḫa-ṣi-pi amēlu (''lú'')-ut-tim<br />⌈im-ma⌉-ti-ma ni-ip-pu-šá bīta(''é''):<br />im-ma-ti-ma ni-qan-⌈na-nu⌉ qin-nu<br />⌈im⌉-ma-ti-ma aḫḫū(''šeš'')<sup>meš</sup> i-zu-uz[zu]<br />⌈im⌉-ma-ti-ma ze-ru-tum i-ba-áš-ši ina ⌈māti''(kur)''?⌉<br />im-ma-ti-ma nāru(''íd'') iš-šá-a mīla (''illu'') ub-lu<br />ku-li-li (iq)-qé-lep-pa-a ina nári (''íd'')<br />pa-nu-šá i-na-aṭ-ṯa-lu pa-an <sup>'''d'''</sup>šamši (''utu'')<sup>li</sup><br />ul-tu ul-la-nu-um-ma ul i-ba-áš-ši mim-ma|lingua=AKK}}
 
==== Tavola XI ====
Incipit della Tavola in accadico: '''<sup>[[dingir|d]]</sup>'''GIŠ-gím-maš a-na šá-šu-ma izakkara(''mu'')<sup>ra</sup> a-na<sup>m</sup>UD-napišti(''zi'') ru-ú-qi (''Gilgameš gli parlò, parlò al lontano Utanapištim'').
* '''Utanapištim racconta il Diluvio'''. Gilgameš dice a Utanapištim che non nota alcuna differenza con lui, le loro membra sono uguali, quindi gli domanda come abbia ottenuto l'immortalità dagli dèi. Utanapištim gli risponde raccontandogli un segreto: nell'antica città di Šuruppak, che si colloca sulle rive dell'Eufrate, abitavano gli dèi che un giorno decisero di inviare il Diluvio sulla terra, giurando su questo tra loro. Ma il dio Ea (l'Enki sumerico) decise di rivelare il piano alla parete di una capanna, avvertendo così il figlio di Ubartutu, Utanapištim, di abbattere la sua casa costruendo una nave, abbandonando quindi tutti i suoi possedimenti per aver salva la vita. Ea gli intimò anche di far salire sulla nave tutte le specie di esseri viventi. Utanapištim obbedì a Ea, ma gli chiese cosa avrebbe dovuto rispondere alle domande dei suoi concittadini. Ea gli consigliò di raccontare che il re degli dèi, Enlil, era adirato con lui e quindi aveva deciso di sfuggirgli scendendo nell'Apsū (sumerico: ''Abzu''; le acque sotterranee, lì dove vive il dio Ea/Enki) per vivere con Ea; di converso, Enlil, avrebbe recato abbondanza e ricchezze agli altri cittadini di Šuruppak. Utanapištim approntò quindi la nave, divisa in sei comparti e alta sette livelli per centoventi cubiti complessivi, alloggiando la sua famiglia, le varie specie di esseri viventi, le provviste e i tesori che possedeva. Il dio Sole Šamaš avvertì Utanapištim dell'arrivo del Diluvio facendo piovere focacce e grano su Šuruppak: fu il segnale perché Utanapištim si rifugiasse dentro la nave sbarrandone la porta. Il giorno si fece tenebra e una terribile tempesta sconvolse la città e tutta la terra. Anche alcuni dèi ebbero timore del diluvio: Ištar, Beletili e altri Annunaki si lamentarono di ciò che avevano procurato. Per sette giorni e sette notti il terribile Diluvio si abbatté sulla terra.
* '''Utanapištim racconta ciò che accadde dopo il Diluvio'''. All'alba del settimo giorno il Diluvio cessò. Utanapištim guardò fuori dalla nave dove regnava il silenzio: l'intera umanità era tornata ad essere argilla (accadico: ''ù kul-lat te-ne-šé-e-ti i-tu-ra a-na ṭi-iṭ-ti''). Utanapištim pianse con fiumi di lacrime, guardando fuori la nave scorse un'isola e quindi l'imbarcazione si incagliò sulla vetta del monte Nimuš. All'alba del settimo giorno Utanapištim liberò una colomba che tornò indietro perché non trovò un luogo dove fermarsi. Quindi liberò una rondine ma anch'essa tornò. Infine un corvo che invece avendo trovato cosa mangiare e dove posarsi, non tornò. Utanapištim si risolse quindi ad abbandonare la nave, predisponendo un sacrificio di libagioni in sette vasi con canna, cedro e mirto. Allora tutti gli dèi si raccolsero intorno all'offerta di profumi per odorarli, ma Utanapištim intimò al re degli dèi, Enlil, di non accostarvisi, in quanto fu colui che aveva deciso di scatenare il Diluvio distruggendo l'umanità. Enlil giunse nei pressi della nave di Utanapištim e scoperto che alcuni uomini erano scampati al Diluvio, si infuriò, domandandosi quale dio li aveva potuti avvertire, ponendoli in salvo. Ninurta gli rispose che con ogni probabilità a compiere ciò era stato Ea.
* '''Utanapištim racconta il diverbio tra gli dèi'''. Ea allora intervenne accusando di sconsideratezza Enlil, che avrebbe dovuto punire gli uomini che compivano i delitti piuttosto che ucciderli. Sarebbe stato infatti preferibile diminuirne il numero, ma non sterminarli tutti. Poi Ea precisò che non aveva avvertito nessuno, ma solo inviato un sogno ad Atra-ḫasis (rigo 197 nel testo in accadico edito da Oxford, rigo 187 nella traduzione di Pettinato, Atra-ḫasis, anche Atram-ḫasis, "il saggio per eccellenza", è un epiteto di Utanapištim) che quest'ultimo aveva correttamente interpretato. Ea concluse invitando Enlil a fare le sue scelte. Il re degli dèi salì sulla nave e, prendendo per mano Utanapištim e facendo inginocchiare sua moglie, li benedisse rendendoli simili agli dèi (quindi immortali) intimandogli però di vivere lontano, nei pressi della foce dei fiumi.
* ''' La prova del sonno per Gilgameš'''. Terminato il racconto, e spiegato a Gilgameš il motivo della sua immortalità, Utanapištim domanda al re di Uruk come possa riuscire a far nuovamente riunire gli dèì affinché questi si decidano a renderlo immortale, invitandolo infine a non dormire per sei notti consecutive. Gilgameš si siede, ma appena seduto si addormenta. La moglie di Utanapištim invita il marito a svegliare subito il re di Uruk, ma questi gli risponde che l'umanità è ingannevole e quindi intima alla moglie di cuocere un pane ponendolo poi vicino alla testa del re di Uruk, segnando su un muro i giorni che passano. Giorno dopo giorno i pani si accumulano vicino al capo di Gilgameš risultando secco quello del primo giorno e, via via, fino al più fresco, quello dell'ultimo giorno: sono passate sei notti e Gilgameš ha sempre dormito, la sua prova e fallita. Utanapištim tocca Gilgameš e lo sveglia comunicandogli il suo fallimento.
* ''' La triste partenza di Gilgameš e la perdita della pianta della giovinezza'''. Gilgameš è disperato e invita il battelliere Uršanabi a ripulirlo dalla propria sporcizia e dalle pelli logore, donandogli nuovamente un aspetto regale. Gilgameš si predispone quindi a tornare a Uruk da re. Ma la moglie di Utanapištim invita il marito a fare un dono di commiato a Gilgameš, questi si risolve a comunicargli, per dono, un secondo segreto: esiste una pianta pungente come un rovo, se Gilgameš la raggiunge e la raccoglie... (qui, al rigo 286, il testo è lacunoso ma dal prosieguo si capisce che mangiando questa pianta Gilgameš può riacquistare la giovinezza). Ascoltato ciò, Gilgameš scava un canale e si immerge nelle sottostanti acque dell'Apsū, raccogliendo la pianta miracolosa. Gilgameš si decide tuttavia a non mangiarla subito ma a dividerla con i vecchi di Uruk per provarne gli effetti. Intrapreso il viaggio di ritorno, il re di Uruk si ferma per lavarsi in una pozza d'acqua, nel mentre si purifica, un serpente si avvicina e, annusata la pianta della giovinezza, la mangia, perdendo così la sua vecchia pelle. Gilgameš è nuovamente disperato e piange amaramente la perdita della pianta.
* '''Il rientro a Uruk'''. Rientrato a Uruk, Gilgameš invita il traghettatore Uršanabi a visitare e a mirare la città con le sue mura.
 
==== Tavola XII ====
Incipit della Tavola in accadico: u4-ma pu-uk-ku ina bīt(é) <sup>lú</sup>naggāri(nagar) lu-ú e-z[ib] (''Oggi, avessi lasciato il ''pukku'' nella casa del falegname'').
Questa Tavola riprende il racconto sumerico ''Gilgameš, Enkidu e gli Inferi'' (versione di Nibru/Nippur in sumerico: ud re-a ud su3-ra2 re-a; lett. ''In quei giorni, in quei giorni lontani'') con delle varianti.
* '''Gilgameš è disperato per la scomparsa del ''pukku'' e del ''mekku''<ref>Per approfondire il tema della controversa e dibattuta traduzione dei termini ''pukku'' e ''mekku'', cfr. l'intervento della musicologa belga Marcelle Duchesne Guillemin riportato nel vol.45 n.1 del ''Papers of the 29 Rencontre Assyriologique Internationale'', Londra, 5-9 luglio 1982 (Spring, 1983), pp. 151-156 e pubblicato dal British Institute for the Study of Iraq.</ref>, ma Enkidu si offre di andare a recuperarli nell'Oltretomba'''. Gilgameš ha perso i due strumenti che sono caduti negli Inferi e si dispera per questo. Enkidu, fedele amico del re di Uruk si offre ad andare nell'Oltretomba per recuperarli. Gilgameš avverte Enkidu che recandosi là deve evitare: di indossare un vestito pulito (puro, altrimenti i morti riconosceranno che non è uno di loro); spalmarsi un unguento profumato (altrimenti i morti attirati dal profumo lo circonderanno); di non lanciare un boomerang (altrimenti coloro che sono stati uccisi da quest'arma lo circonderanno); di non impugnare uno scettro (altrimenti i morti tremeranno di fronte a lui); di non indossare dei sandali (per evitare di fare rumore); non deve né baciare né picchiare le mogli e i figli che dovesse incontrare (altrimenti il lamento degli Inferi lo imprigionerà).
* ''' Enkidu non segue in consigli di Gilgameš e viene trattenuto negli Inferi, Gilgameš invoca gli dèi affinché lo liberino'''. Ma Enkidu viola tutte le consegne del suo sovrano e viene quindi imprigionato negli Inferi. Gilgameš disperato per la perdita dell'amico si reca nel tempio di Enlil, l'E-ku (lett. "Casa-montagna"), ma il re degli dèi non gli presta ascolto; quindi si reca al tempio di Sîn (il dio Luna, il sumerico Nanna), anche questo dio lo ignora; infine si reca da Ea che invece lo ascolta e lo aiuta, invitando Nergal<ref>Dio uranico che dopo il matrimonio con la dea degli Inferi, Ereškigal, diverrà una divinità ctonia.</ref> ad aprire una fessura dell'Oltretomba per far uscire lo spirito di Enkidu.
* '''L'amaro ritorno di Enkidu'''. Enkidu esce dagli Inferi grazie alla fessura procurata dal dio Nergal e incontra Gilgameš. I due cercano di abbracciarsi ma non possono farlo. Gilgameš gli chiede in cosa consistano le leggi dell'Oltretomba, Enkidu si rifiuta per non generare ulteriore disperazione nel re, ma gli dice che il proprio corpo è mangiato dai vermi come un vestito logoro e somiglia a una crepa piena di polvere. Poi Gilgameš domanda a Enkidu quali siano le condizioni dei morti, come nel testo sumerico, anche in quello accadico tali condizioni vengono descritte come non governate da un principio di retribuzione "etico": il destino degli uomini dopo la loro morte è invece piuttosto deciso dal "come" muoiano o da "quanti" figli hanno procreato prima di morire, in quest'ultimo caso più figli si ha generato e più il destino post-mortem appare felice. Con il rigo 153, che descrive le condizioni dello spirito trapassato che non ha nessuno che si occupi di lui dopo la morte ("è costretto a mangiare ciò che avanza nella ciotola, i resti del cibo gettato per strada"), si conclude la XII e ultima Tavola e quindi l'Epopea classica babilonese.
 
== Note ==
{{references}}
 
== Bibliografia ==
* Per la traduzione in lingua italiana delle epopee, salvo diversamente indicato:
** [[Giovanni Pettinato]], (a cura di), ''La Saga di Gilgameš'', Milano, Mondadori, 2008.
* Per la traslitterazione dal cuneiforme delle epopee, salvo diversamente indicato:
** {{en}} [[Andrew R. George]], ''The Babylonian Gilgamesh Epic - Introduction, critical edition and cuneiform texts'', 2 voll., Oxford, Oxford University Press, 2003.
* Altre opere di traduzione, opere esegetiche e altre opere:
** [[Enrico Ascalone]], ''Mesopotamia'', Milano, Electa, 2005,
** [[Jean Bottéro]] & [[Samuel Noah Kramer]], ''Uomini e dei della Mesopotamia'', Torino, Einaudi, 1992.
** [[Giorgio R. Castellino]], ''Testi sumerici e accadici'', , Torino, Utet, 1977.
** [[Giacomo Camuri]], ''Gilgamesh'', in ''Enciclopedia filosofica'', vol.5. Milano, Bompiani, 2005.
** {{Cita libro|curatore=Stephanie Dalley|titolo=Myths from Mesopotamia: Creation, the Flood, Gilgamesh, and Others|editore=Oxford University Press|isbn=978-0-19-953836-2|cid=Dalley|lingua=en}}
** [[Giuseppe Furlani]], ''Miti babilonesi e assiri'', Firenze, Sansoni, 1958.
** {{en}} [[Andrew R. George]], ''The Epic of Gilgamesh - a new translation'', Londra, Penguin Classics, 1999.
** {{en}} [[Marcelle Duchesne Guillemin]], ''Pukku and Mekkû'' riportato nel vol.45 n.1 del ''Papers of the 29 Rencontre Assyriologique Internationale'', Londra, 5-9 luglio 1982 (Spring, 1983), pp.&nbsp;151–156 e pubblicato dal [[British Institute for the Study of Iraq]].
** [[Harald Haarmann]], ''Modelli di civiltà a confronto nel mondo antico: la diversità funzionale negli antichi sistemi di scrittura'', in ''Origini della scrittura'' (a cura di [[Gianluca Bocchi]] e [[Mauro Ceruti]]), Milano, Bruno Mondadori, 2002.
** {{en}} [[Thorkild Jacobsen]], ''The Sumerian King List'', University of Chicago Oriental Institute, ''Assyriological Studies'' 11, University of Chicago Press, 1939.
** [[Pietro Mander]], ''Le religioni dell'antica Mesopotamia''. Roma, Carocci, 2009.
** [[Giovanni Pettinato]], ''I Sumeri'', Milano, Bompiani, 2007.
** [[Giovanni Pettinato]], ''Mitologia sumerica'', Torino, Utet, 2001.
** [[Giovanni Pettinato]], ''Mitologia assiro babilonese'', Torino, Utet, 2005.
** {{en}} [[Gonzalo Rubio]], ''Reading Sumerian Names, II: Gilgameš'', in ''Journal of Cuneiform Studies'' vol. 64, 2012, 3-16.
** [[Claudio Saporetti]], ''Saggi su il Ghilgameš'', Milano, Simonelli Editore, 2003.
** {{Cita libro |autore=Kendall, Stuart, transl. with intro. |titolo=Gilgamesh |anno=2012 |editore=Contra Mundum Press |città=New York |isbn=978-0-9836972-0-6 |lingua=en }}
** {{Cita libro |autore=George, Andrew R., trans. & edit. |titolo=The Babylonian Gilgamesh Epic: Critical Edition and Cuneiform Texts |editore=Oxford University Press |città=England |anno=2003 |isbn=0-19-814922-0 |lingua=en }}
** {{Cita libro |autore=Foster, Benjamin R., trans. & edit. |titolo=The Epic of Gilgamesh |città=New York |editore=W.W. Norton & Company |anno=2001 |isbn=0-393-97516-9 |lingua=en }}
** {{Cita libro |autore=Kovacs, Maureen Gallery, transl. with intro. |titolo=The Epic of Gilgamesh |città=Stanford University Press |editore=Stanford, California |anno=1985,1989 |isbn=0-8047-1711-7 |lingua=en }} Glossary, Appendices, Appendix (Chapter XII=Tablet XII). A line-by-line translation (Chapters I-XI).
** {{Cita libro | autore=Jackson, Danny |titolo=The Epic of Gilgamesh |città=Wauconda, IL |editore=Bolchazy-Carducci Publishers |anno=1997 |isbn=0-86516-352-9 |lingua=en }}
** {{Cita libro |autore=Mason, Herbert |titolo=Gilgamesh: A Verse Narrative |città=Boston |editore=Mariner Books |anno=2003 |isbn=978-0-618-27564-9 }} First published in 1970 by Houghton Mifflin; Mentor Books paperback published 1972.
** {{Cita libro |autore=Mitchell, Stephen |titolo=Gilgamesh: A New English Version |città=New York |editore=Free Press |anno=2004 |isbn=0-7432-6164-X |lingua=en }}
** {{Cita libro |autore=[[Simo Parpola|Parpola, Simo]], with Mikko Luuko, and Kalle Fabritius |titolo=The Standard Babylonian, Epic of Gilgamesh |editore=The [[Neo-Assyrian Text Corpus Project]] |anno=1997 |isbn=951-45-7760-4 |id=(Volume 1) in the original Akkadian cuneiform and transliteration; commentary and glossary are in English|lingua=en }}
 
== Collegamenti esterni ==
=== Biografia ===
* [http://marin.unisal.it/Poema%20di%20Gilgamesh.pdf Qui una versione dell'Epopea classica babilonese, pubblicata sul sito internet di [[Maurizio Marin]], professore di Storia della filosofia antica all'Università Pontificia Salesiana di Roma.]
* {{santiebeati|22550|san Tommaso d'Aquino}}
* {{cita web|url=http://www.treccani.it/enciclopedia/santo-tommaso-d-aquino/|titolo=Biografia dall'Enciclopedia Italiana Treccani}}
* {{cita web|http://www.newadvent.org/cathen/14663b.htm|La voce "St. Thomas Aquinas"|sito=Catholic Encyclopedia|lingua=en}}
* {{cita web|http://www.iep.utm.edu/aquinas/|Tommaso d'Aquino dall'Enciclopedia inglese di Filosofia in Internet|lingua=en}}
 
=== TraduzioniLe inglesisue ONLINEopere ===
* {{cita web|http://www.corpusthomisticum.org/iopera.html|''Opera omnia'' di san Tommaso d'Aquino|lingua=la}}
* Traslitterazione e traduzione accessibile in:[http://etcsl.orinst.ox.ac.uk/cgi-bin/etcsl.cgi?text=c.1.8.1* The Electronic Text Corpus of Sumerian Literature].
* {{cita web|http://dhspriory.org/thomas/|Aquinas in Inglese|lingua=en}}
** [http://www-etcsl.orient.ox.ac.uk/section1/tr1815.htm Gilgamesh and Humbaba], versione A (L'avventura nella foresta dei cedri)
* {{cita web|http://www.documentacatholicaomnia.eu/20_50_1225-1274-_Thomas_Aquinas,_Sanctus.html|''Opera omnia'' di san Tommaso d'Aquino|lingua=la it en fr es de pt}}
** [http://www-etcsl.orient.ox.ac.uk/section1/tr18151.htm Gilgamesh and Humbaba], versione B
** {{cita web|http://www-etcsl.orientintratext.ox.ac.ukcom/section1Catalogo/tr1812Autori/Aut372.htm|Gilgameshtitolo=Opere anddi theTommaso Bull of Heavend'Aquino}} testo con concordanze e lista di frequenza
* {{cita web|http://www.ariannascuola.eu/ilfilodiarianna/it/filosofia/filosofia-scolastica/tommaso-d-aquino/75-de-ente-et-essentia.html|Traduzione italiana del trattato ''De Ente et Essentia''}}
** {{cita web|http://www-etcsl.orient.ox.ac.uk/section1/tr1811.htm|Gilgamesh and Aga}}
** {{cita web|url=http://www-etcsl.orientledizioni.ox.ac.ukit/section1sito/tr1814.htm?s=tommaso&x=0&y=0|Gilgamesh,titolo=Traduzione italiana del ''De Ente Enkiduet andessentia'' thein netherformato worldepub}}
* {{cita web|http://digilander.libero.it/idea.ap/archivio/STommaso.pdf|Traduzione parziale della ''Lettera alla Duchessa di Brabante'', sui rapporti con gli Ebrei}}
** {{cita web|http://www-etcsl.orient.ox.ac.uk/section1/tr1813.htm|The death of Gilgamesh}}
* {{cita web|url=http://www.filosofico.net/tommaso.htm|titolo=Il pensiero e le opere di Tommaso in breve|autore=Diego Fusaro}}
* [http://king-of-heroes.co.uk/the-epic-of-gilgamesh/reginald-campbell-thompson-translation/ The Epic of Gilgamesh, Complete Academic Translation] by [[Reginald Campbell Thompson|R. Campbell Thompson]]
* [http://king-of-heroes.co.uk/the-epic-of-gilgamesh/maureen-gallery-kovacs-translation/ The Epic of Gilgamesh] by Kovacs, M.G.,
* [http://king-of-heroes.co.uk/the-epic-of-gilgamesh/robert-temple-translation/ He Who Saw Everything: Verse Translation of the Epic of Gilgamesh] by Temple, R.K.G.,
 
==== Voci[[Summa correlateTheologiae]] ====
* {{cita web|url=http://www.edizionistudiodomenicano.it/on-line.php|titolo=Testo integrale della Somma Teologica}}
* [[Religioni della Mesopotamia]]
* {{cita web|url=http://digilander.libero.it/sfteol/zipssp/SummaTheologiaeLATITA.zip|titolo=''La Somma Teologica''}}
* [[Proto-Dinastico (Mesopotamia)]]
* {{cita web|url=http://www.newadvent.org/summa/|titolo=La ''Summa theologiae'' di Tommaso|lingua=en}}
* [[Gilgamesh nella cultura di massa]]
 
=== AltriSu progetti[[Tomismo]] ===
* {{cita web|https://plato.stanford.edu/entries/aquinas/|titolo=Saint Thomas Aquinas|sito=Stanford Encyclopedia of Philosophy|lingua=en}}
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* {{cita web|http://ittanoticias.arautos.org/|Instituto Teológico São Tomás de Aquino - Brasile|lingua=pt}}
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* {{cita web|http://www.ariannascuola.eu/ilfilodiarianna/it/filosofia/filosofia-scolastica/tommaso-d-aquino/187-summa-teologiae-quaestio-ii-art-3-v15-187.html|Le cinque vie di Tommaso}}
 
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