Utente:Pietro.dipalma/Sandbox2/Ricerche originali/Macchina che legge e che scrive e Discussioni utente:149.132.128.20: differenze tra le pagine

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{{IPcondiviso|Università degli Studi di Milano-Bicocca|3 maggio 2018}}
[[File:Read-Writer Machine.PNG|thumb|right|300px|La macchina per leggere e per scrivere pronta all'uso]]
La''''' macchina che legge e che scrive '''''è un'invenzione del primo decennio del [[XX secolo]], proveniente dal Sud America, in grado di leggere per poi [[Macchina da scrivere|battere a macchina]] un testo scritto.
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== Descrizione ==
La macchina venne descritta in italia per la prima dalla rivista scientifica [[La scienza per tutti|''La scienza per tutti'']] in una sua pubblicazione de 1 giugno del 1916. Erano gli anni in cui furono scoperte le proprietà fotoelettriche del selenio che, allo stato cristallino, varia la propria resistenza in funzione della luce. Questa scoperta generò tante interessanti ricerche nel campo della fotografia a distanza, la trasformazioni della luce in suono e viceversa.
 
=== Funzionamento ===
Il principio sul quale si basava il congegno era di una semplicità geniale; consisteva nella constatazione che ogni lettera dell’alfabeto ha nella sua forma "caratteristiche individuali" riconducibili ad almeno un punto caratteristico che non si confonde con nessun altra lettera. Quindi, sovrapponendo tutte le lettere una sull’altra, era sempre possibile trovare almeno un punto che contraddistingueva ogn'una delle lettere.
[[File:Read-Writer Machine — General Patten.PNG|thumb|left|500px|Schema generale della macchina che legge e che scrive :P, pagina da copiare; M, movimento d’orologeria a scappamento elettrico che regola lo spostamento del foglio; O, punto d’incrocio dei raggi, che può essere spostato verso la lente per ingrandire l’immagine rovesciata delle lettere; C. camera oscura a sfera cava o ad ellissoide, per aumentare il percorso dei raggi dopo l’incrocio e quindi l’immagine; R, retina; .S, cellule di selenio; F, fili formanti circuito con le cellule congiungendole elettricamente ai relais rispettivi; D, circuiti principali azionanti ognuno un'elettrocalamita (E) comandante un tasto (T); B, rotolo su cui è avvolta, la carta da scrivere.]]
 
[[File:Read-Writer Machine — Electro-Mechanical Eye.PNG|thumb|right|500px|Sehema del funzionamento dell'occhio elettro-meccanico : S, cellule di selenio; X, relais che mantengono aperti i circuiti dei tasti, salvo lasciali chiudere quando le rispettive cellule di selenio sono oscurate dall'immagine della lettera.]]
 
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Il cuore della macchina era formato da una camera oscura sferica che anteriormente, nel centro, montava una lente convessa. La lente aveva il compito di raccogliere i raggi provenienti dallo scritto da copiare posto dinanzi, e di rifletterne l’immagine capovolta in fondo alla camera. Come si vede dai disegni realizzati dalla rivista, il capovolgimento era dovuto all'incrociarsi dei raggi: solo che il punto d’incrocio ''"O"'' non si verificava nel centro della sfera (come rappresentato per semplificare il disegno) ma assai più vicino alla lente. Per rendere anche più sensibile la distanza dell’incrocio dal fondo, la camera in realtà era a sezione ellittica, con l’asse maggiore orizzontale. In questo modo, i raggi deviando, producevano un ingrandimento dell’immagine capovolta. Ciò facilitava la costruzione della retina che poteva essere realizzata più grande, coi punti caratteristici più distanti l’uno dall'altro e di conseguenza più sicura sensibile.
 
Una delle maggiori difficoltà era quella di mantenere l’immagine sempre della medesima grandezza, qualunque sia il carattere da copiare. A ciò si poteva ovviare rendendo mobile la lente dell occhio, per avvicinarla od allontanarla all'occorrenza, dal centro della sfera o dell ellissoide.
 
La retina era formata da una serie di fili metallici (meno complicati che nel disegno), che rappresentavano solo le linee speciali di ciascuna lettera. Su tali linee i punti caratteristici erano rappresentati da minuscole cellule di selenio, ad ognuna delle quali fanno capo i due fili conduttori. Nella figura schematica, per maggior chiarezza, ogni cellula era inserita in un circuito con una propria batteria, ma di fatti tutte le cellule venivano alimentate da un unico circuito e le diverse distanze delle cellule venivano compensate con delle piccole resistenze supplementari nascoste nel supporto dell’occhio. Ogni circuito delle celle era collegato ad un relè, che nelle normali condizioni era sempre azionato in modo da tenere aperto il circuito di un elettrocalamita posta proprio sotto al tasto della lettera corrispondente. Anche i circuiti delle elettrocalamite (diversamente dal disegno semplificato) venivano alimentate da un' unico circuito di alimentazione.
 
Nel momento in cui davanti all'occhio veniva posto uno stampato qualsiasi, nel campo della lente penetravano le immagini di parecchie lettere, sopra, sotto, a destra ed a sinistra del centro; ma essendo la retina limitata nel fondo dell'occhio, poteva rimanere impressionata soltanto dalla lettera che si trovava sull'orizzontale passante per il centro e per la retina stessa. Se sopra il leggio vi era, ad esempio, la parola inglese ''say'', soltanto la lettera ''a'' colpiva la parte sensibile dell’apparecchio. L'impressione avveniva solo quando l'immagine si sovrapponeva al punto caratteristico: ma siccome l’immagine era caratterizzata dal nero sul bianco, essa rappresentava quindi un’ombra in mezzo alla luce. A questo punto, la cellula di selenio, oscurata, aumentava la propria resistenza indebolendo la corrente che la percorre: questa non avendo l'intensità adatta da mantenere azionato il relè, quest'ultimo chiudeva il circuito dell'elettrocalamita che a sua volta faceva abbassare il tasto sovrastante.
 
Se dopo aver fatto scrivere la lettera ''a'' nella parola ''say'', il leggio veniva fatto scorrere verso sinistra o verso destra, passava dinanzi al centro della lente la lettera ''s'' o la ''y''; e così sfilavano tutte le lettere di una riga.
 
Inseguito alzando il leggio e facendolo retrocedere, mentre un'apposito schermo ricopriva la lente, iniziava la sfilata della riga seguente, e così avanti di riga in riga fino a che la pagina terminava.
 
A tale scopo veniva immaginato un semplice apparecchio meccanico con una ruota dentata, che tramite un [[scappamento|meccanismo a scappamento]], si spostava di un dente ogni qualvolta si abbassava un tasto, in modo da far passare regolarmente davanti all’occhio tutta la pagina da copiare.
 
=== Limitazioni ===
L’apparecchio è stato costruito, per la prima volta, allo scopo di copiare lo scritto medesimo della macchina da scrivere. Ma questa particolarità rivela anche il difetto più grave dell apparecchio stesso.
 
Avevamo già accennato della influenza dovuta alla grandezza delle lettere: se troppo grandi, ciascuna di esse non era più contenuta nella retina, e il punto dell'immagine corrispondente alla cellula di selenio poteva spingersi fuori dal campo; se troppo piccole, potevano cadere contemporaneamente in parecchie sulla retina, impressionando due cellule ed azionando due tasti, col rischio di rovinare il meccanismo della stampa.
 
Un altro problema molto più serio, era quello della forma. In tal caso i punti caratteristici corrispondenti della retina e dell’immagine non coincidevano più: come, ad esempio, fra una lettera minuscola e la stessa lettera maiuscola. anche se a ciò si poteva rimediare complicando maggiormente la retina, sorgeva il problema dei vari tipi di caratteri stampati — sia pure quelli comuni di testo — i quali, all'epoca, pur non essendo numerosi (romano, elzevir, bodoniano, ecc), si complicano per le proporzioni rispettive fra la larghezza e l’altezza d’ogni lettera, i corsivi e i neretti.
 
Sorgeva anche il problema di regolare il movimento del leggìo, riducendolo forse a far sfilare solo mezza lettera per volta, salvo alla retina trovare nell’una o nell’altra il punto caratteristico. Perchè, mentre nella macchina da scrivere ogni lettera occupa il medesimo spazio, dalla ''i'' resa larghissima alla W resa strettissima; nella stampa comune, invece, accanto alle lettere che potremmo chiamare di larghezza normale (''a, b, c, d, e, f, g, h, k, n, o, q, r, s, u, v, x, y, z'') ve ne sono altre larghe appena la metà (''i, j, l, t''), altre una volta e mezza (''m, n,'' e le maiuscole in genere salvo ''I'', ''J'', che sono della grandezza normale per le maiuscole); altre quasi due volte (''æ, œ, M, W'' ed anche più ''Æ, Œ'').
 
Quanto allo scritto a mano, non poteva nemmeno immaginare di riprodurlo in tal modo, quindi l’utilità immediata dell’invenzione già allora era discutibile.
 
=== Conclusioni ===
La redazione de ''La scienza per tutti, ''pur riconoscendo la genialità della macchina, definì discutibile la sua utilità immediata, ma concluse l' articolo con la seguente frase:
 
{{citazione
|''Pure, nessuno potrebbe negarle il pregio della genialità; e nessuno può escludere che, come già avvenne altre volte per novità che parvero follie, si riesca un giorno o l’altro a perfezionare «l’occhio elettro-meccanico», magari staccandolo dalla macchina e ingrandendo la sua costruzione assieme alle immagini ed alla retina per complicare quest'ultima coi caratteri di testo, sino a renderlo pratico.''
}}
 
{{citazione necessaria|Infatti solo pochi decenni dopo, dalla fine degli anni sessanta ad oggi, l'estrazione delle "caratteristiche individuali dei caratteri", anche se in modo euristico, è stato studiato e utilizzato alla base dei sempre più complessi algoritmi nei software OCR.}}
 
 
{{Cita testo|titolo = La macchina che legge e che scrive|lingua =it|url = http://www.introni.it/pdf/La%20Scienza%20per%20Tutti%201916_11.pdf|autore = A. Scienti|data = 1 giugno 1916|pagine = 166-167|città = Milano|editore = Casa Editrice Sozogno|rivista = La scienza per tutti|volume = Anno XXIII|numero = 11}}
 
== ==
 
 
Dare «un occhio» alla macchina da scrivere e farle leggere e copiare uno scritto senza bisogno, diciamo così, della dettatura delle dita »! — Ecco il problema propostosi da un inventore; ecco non ancora la macchina ma la notizia della sua invenzione che perviene dall’America del Sud. Vediamo notizia, macchina e funzionamento; e cominciamo dall’occhio della macchina.
 
È, naturalmente, un occhio meccanico; occhio che «vede» lo stampato da trascrivere come, od all’ incirca, il fonografo vede la pagina musicale incisa sul disco; un occhio elettrico, fondato su quel notissimo fatto che è la resistenza variabile del selenio alla luce e che ha generato tante interessanti ricerche di fotografia a distanza e di trasformazioni della luce in suono e viceversa.
 
Il principio sul quale tutto il congegno si basa è di una certa geniale semplicità ; consiste nella constatazione che ogni lettera dell’alfabeto ha nella sua forma un punto caratteristico che non si confonde con nessun altra lettera. Cioè, se si sovrappongono tutte le lettere una sull’altra, tracciandole sufficientemente grandi e fini, per la chiarezza, si potranno sempre trovare tanti punti quante sono le lettere incrociate. Il che si può constatare in uno degli schemi che qui figurano ad illustrazione di quanto veniamo esponendo.
 
L’inventore ha disposto sulla macchina una piattaforma orizzontale e su di essa un occhio, formato da una camera oscura sferica che anteriormente, nel centro, porta una lente convessa. Questa ha per effetto di raccogliere i raggi provenienti dallo scritto da copiare, che le sta dinanzi, e di rifletterne l’immagine capovolta in fondo alla camera. Come è noto, e come si vede in altro dei nostri schemi, tale capovolgimento è dovuto all’incrociarsi dei raggi: solo che il punto d’incrocio non si verifica nel centro della sfera, come si rappresenta per comodità di disegno e d illustrazione, ma assai più vicino alla lente; e l’inventore, per rendere anche più sensibile la distanza dell’incrocio dal fondo, parla d una camera a sezione elittica, con l’asse maggiore orizzontale. In tal modo, i raggi, deviando, producono un ingrandimento dell’immagine capovolta, e facilitano così al costruttore la fabbricazione d una retina più grande, coi punti caratteristici più distanti l’uno dall’altro, e di più sicura sensibilità.
 
Difficoltà notevole è quella di mantenere l’immagine sempre della medesima grandezza, qualunque sia il carattere da copiare: ma vi si può riuscire o interponendo fra il leggìo e l'occhio una o più lenti concave, o — ed è meglio — rendendo mobile la lente dell occhio, per avvicinarla od allontanarla come occorre dal centro della sfera o dell elissoide.
 
La retina è formata da una serie di fili metallici, meno complicati che nel nostro disegno, perchè raffigurano soltanto le linee speciali di ciascuna lettera: su tali linee i punti caratteristici sono rappresentati da minuscole cellule di selenio, ad ognuna delle quali fanno capo i due fili d una corrente. Nella nostra figura schematica, per maggior chiarezza, ogni cellula è inserita in un circuito speciale con batteria propria; ma nel fatto è più comodo porre tutte le cellule in derivazione da un unico circuito principale, equiparando le diverse distanze delle cellule con piccole resistenze supplementari nascoste nella, tavoletta che sorregge l’occhio. Ognuno di questi circuiti derivati, che normalmente è chiuso e quindi percorso dalla corrente, va a finire, a breve distanza dalla cellula, in un relais, il quale, quando funziona, mantiene normalmente aperto un altro circuito in cui è inserita una elettrocalamita, posta proprio sotto al tasto della lettera corrispondente. La corrente che dovrà azionare è più forte di quella attraversante il selenio; anchessa può provenire in derivazione da un’unica pila, tanto più che i tasti devono usarla, per abbassarsi, uno per volta.
 
Si supponga ora che dinanzi all'occhio si presenti uno stampato qualsiasi.
 
Nel campo della lente penetrano le immagini di parecchie lettere, sopra, sotto, a destra ed a sinistra del centro; ma essendo la retina limitata nel fondo dell'occhio, potrà rimanere impressionata soltanto dalla lettera che si trova sull’orizzontale passante per il centro e per la retina medesima. Se sopra il leggìo vi è, ad esempio, la parola inglese ''say'', che significa «dire», soltanto la lettera ''a'' colpirà la parte sensibile dell’apparecchio. L’impressione consiste nel sovrapporsi dell’immagine sopra il punto caratteristico — e quello solo — ad essa corrispondente: ma siccome l’immagine è nera su bianco, così rappresenterà un’ombra in mezzo alla luce. La cellula di selenio, oscurata, aumenterà la sua resistenza indebolendo la corrente che la percorre: questa non avrà più la forza di far funzionare il relais e di mantenere aperto il circuito del tasto, il quale si abbasserà per l’azione della elettrocalamita sottostante.
 
Se dopo aver fatto scrivere la lettera ''a'' nella parola ''say'', facciamo scorrere orizzontalmente il leggìo, verso sinistra o verso destra, passerà dinanzi al centro della lente la lettera ''s'' o la ''y''; e così sfileranno tutte quelle di una riga.
 
Alzando in seguito il leggìo e facendolo retrocedere, mentre uno schermo riparerà la lente, incomincerà la sfilata della riga seguente, e così avanti di riga in riga fino a che la pagina sia terminata.
 
A tale uopo l’inventore ha immaginato anche un semplice apparecchio meccanico con una ruota dentata mossa da orologeria a scappamento di un dente ad ogni tasto — che comanda esso medesimo lo scappamento, per mezzo della stessa corrente che lo abbassa — per far passare regolarmente dinanzi all’occhio tutta la pagina da copiare.
 
L’apparecchio è stato costruito, per la prima volta, allo scopo di copiare lo scritto medesimo della macchina da scrivere. Ma questa particolarità rivela anche il difetto più grave dell apparecchio stesso.
 
Abbiamo già parlato della influenza dovuta alla grandezza delle lettere: se troppo grandi, ciascuna di esse non sarà più contenuta nella retina, e il punto dell'immagine corrispondente alla cellula di selenio può spingersi fuori del campo; se troppo piccole, possono cadere contemporaneamente in parecchie sulla retina, impressionare due cellule ed azionare due tasti, col rischio di rovinare il meccanismo della stampa. Abbiamo indicato anche, è vero, il mezzo per ovviare all’inconveniente: ma ve ne è un altro molto più serio, quello della forma. Esso basta perchè i punti caratteristici corrispondenti della retina e dell’immagine non s’incontrino più: così avverrebbe, ad esempio, fra una lettera minuscola e la stessa lettera maiuscola. Che se a ciò si può rimediare complicando maggiormente la retina, sorge il problema dei caratteri stampati — sia pure quelli comuni di testo — i quali, pur non essendo numerosi nei loro aspetti generali (romano, elzevir, bodoniano, ecc), si complicano per le proporzioni rispettive fra la larghezza e l’altezza d’ogni lettera, i corsivi e i neretti. Sorgerebbe anche il problema di regolare il movimento del leggìo, riducendolo forse a far sfilare solo mezza lettera per volta, salvo alla retina trovare nell’una o nell’altra il punto caratteristico. Perchè, mentre nella macchina da scrivere ogni lettera occupa il medesimo spazio, dalla ''i'' resa larghissima alla W resa strettissima; nella stampa comune, invece, accanto alle lettere che potremmo chiamare di larghezza normale (''a, b, c, d, e, f, g, h, k, n, o, q, r, s, u, v, x, y, z'') ve ne sono larghe appena la metà (''i, j, l, t''), altre una volta e mezza (''m, n,'' e le maiuscole in genere salvo ''I'', ''J'', che sono della grandezza normale per le maiuscole); altre quasi due volte (''æ, œ, M, W'' ed anche più ''Æ, Œ'').
 
Quanto allo scritto a mano, non è nemmeno da pensare a riprodurlo in tal modo. Perciò l’utilità immediata dell’invenzione è discutibile. Pure, nessuno potrebbe negarle il pregio della genialità; e nessuno può escludere che, come già avvenne altre volte per novità che parvero follie, si riesca un giorno o l’altro a perfezionare «l’occhio elettro-meccanico», magari staccandolo dalla macchina e ingrandendo la sua costruzione assieme alle immagini ed alla retina per complicare quest'ultima coi caratteri di testo, sino a renderlo pratico.