Eccidio di Porzûs e Federico Guglielmo I di Prussia: differenze tra le pagine

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{{Monarca
{{Nota disambigua|il film del 1997 sull'eccidio|[[Porzûs (film)]]|Porzûs}}
| nome = Federico Guglielmo I d'Hohenzollern
{{vaglio|arg=storia|arg2=guerra}}
| titolo = [[Sovrani di Prussia|Re in Prussia]]<br />[[Sovrani di Brandeburgo|Principe elettore di Brandeburgo]]
{{Incidente
| stemma = Royal Monogram of King Frederick William I of Prussia.svg
|titolo= Eccidio di Porzûs
| immagine = PorzusFriedrich Wilhelm I 1713.jpg
| legenda = ''Ritratto di Federico Guglielmo I di Prussia'' (olio su tela, [[1713]]).
|didascalia= I partigiani della Osoppo a Topli Uork<br>(inverno 1944-1945)
| nome completo =
|nazione= ITA
| altrititoli =
|luogo= Gruppo di [[malga|malghe]] in località Topli Uork<ref>Il toponimo - scritto anche come "Topli Uorch" o "Topli Uorh" - è la forma dialettale locale dello sloveno "Topli vrh", e cioè "Cima calda".</ref>, in seguito dette "malghe di Porzûs", [[Faedis]], [[provincia di Udine]]
| regno = 25 febbraio [[1713]] – 31 maggio [[1740]]
|data= 7-18 febbraio 1945
| predecessore = [[Federico I di Prussia|Federico I]]
|obiettivo= Partigiani della [[Brigata Osoppo]]
| successore = [[Federico II di Prussia|Federico II]]
|tipologia= Esecuzione
| consorte = [[Sofia Dorotea di Hannover]]
|vittime= 17
| casa reale = [[Hohenzollern|Casa degli Hohenzollern]]
|esecutori= Partigiani comunisti guidati da [[Mario Toffanin]] "Giacca"
| dinastia =
|motivazione= Secondo la [[corte d'assise d'appello]] di Firenze, «atti compiuti in esecuzione di un medesimo disegno criminoso con il quale si tendeva a porre una parte del nostro Stato sotto la sovranità della Jugoslavia»<ref name=bianchi247>{{cita|Bianchi e Silvani 2012|p. 247||harv=s}}</ref>
| padre = [[Federico I di Prussia|Federico I]]
| madre = [[Sofia Carlotta di Hannover]]
| data di nascita = 14 agosto [[1688]]
| luogo di nascita = [[Berlino]]
| data di morte = 31 maggio [[1740]]
| luogo di morte = [[Potsdam]]
| place of burial = [[Potsdam]]
|}}
{{Bio
|Nome = Federico Guglielmo I di
|Cognome = Hohenzollern
|PostCognomeVirgola = in [[lingua tedesca|tedesco]] ''Friedrich Wilhelm I''
|ForzaOrdinamento = Federico Guglielmo 01 di Prussia
|Sesso = M
|LuogoNascita = Berlino
|GiornoMeseNascita = 14 agosto
|AnnoNascita = 1688
|LuogoMorte = Potsdam
|GiornoMeseMorte = 31 maggio
|AnnoMorte = 1740
|Attività =
|Nazionalità =
|Categorie = no
|FineIncipit = è stato il secondo [[Sovrani di Prussia|re in Prussia]] e il [[Sovrani di Brandeburgo|principe elettore di Brandeburgo]] dal [[1713]] al [[1740]]; è conosciuto come il ''Re Soldato'' o ''Re Sergente'' per l'impronta nettamente militarista della sua politica<ref>Si narra nelle ''Lettere a una principessa tedesca'' di [[Eulero]] che Federico Guglielmo I, interessatosi improvvisamente ed effimeramente alla [[filosofia]], si rivolse ad un cortigiano per chiedere cosa fosse il [[principio di ragion sufficiente]], insegnato ad [[Halle an der Saale]] dal famoso professore in filosofia [[Christian Wolff]]. Essendo risaputo che il ''Re Sergente'' non pensasse ad altro che al suo famoso reggimento di altissimi granatieri reclutati in tutta Europa il cortigiano interpellato, per rendere più intelligibile il concetto di tale materia filosofica, gli disse: «Qualora la dottrina di Wolff avesse ragione, se uno dei vostri bei granatieri disertasse, Voi non avreste nulla da rimproveragli, perché il granatiere non avrebbe potuto far diversamente». Il re non volle ascoltare altro. Ordinò che Wolff fosse scacciato da Halle, con minaccia d'[[impiccagione]] se vi fosse stato ancora trovato passate le ventiquattro ore</ref>
}}
{{Storia del Friuli}}
L<nowiki>'</nowiki>'''eccidio di Porzûs''' consistette nell'uccisione, fra il 7 e il 18 febbraio 1945, di diciassette partigiani (tra cui una donna, loro ex prigioniera) della [[Brigata Osoppo]], [[brigata partigiana|formazione]] di orientamento [[cattolicesimo|cattolico]] e laico-[[socialismo|socialista]], da parte di un gruppo di partigiani — in prevalenza [[Gruppi di Azione Patriottica|gappisti]] — appartenenti al [[Partito Comunista Italiano]]. L'evento — spesso definito uno dei più tragici e controversi della [[Resistenza italiana]]<ref>Le parole «tragedia», «tragico», «controversia», «controverso» sono state utilizzate innumerevoli volte per definire l'eccidio: si vedano a titolo d'esempio {{cita news|autore=Giovanni Padoan "Vanni"|url=http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t=ebook&file=/golpdf/uni_1997_08.pdf/18COM01A.pdf|titolo=Lotto da tanti anni per spiegare la verità sull'eccidio di Porzûs|pubblicazione=l'Unità|data=18 agosto 1997|accesso=2 luglio 2012|formato=PDF}} («tragedia di Porzûs»); {{cita news|autore=Alberto Crespi|url=http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t=ebook&file=/golpdf/uni_1997_09.pdf/01SPE02A.pdf|titolo=Partigiani da western|formato=PDF|pubblicazione=l'Unità|data= 1º settembre 1997|accesso=2 luglio 2012}} («uno degli episodi più spaventosi e controversi della Resistenza»).</ref> — fu ed è tuttora fonte di numerose polemiche in ordine ai mandanti dell'eccidio e alle sue motivazioni. Le vicende legate a Porzûs hanno travalicato il loro contesto locale fin dagli anni in cui si svolsero, entrando a far parte di una più ampia discussione storiografica<ref>Le riflessioni in questo campo hanno aperto i più vari filoni di ricerca: Patrick Karlsen — dopo aver analizzato lo stridente contrasto nella stampa comunista degli anni successivi alla rottura Tito-Stalin (1948) fra il tono inneggiante a Tito della difesa dei gappisti accusati nel corso del processo per l'eccidio e le coeve accuse a Tito di essere «alleato dei nazisti e in combutta con gli angloamericani dal 1941-42» — afferma che «si impone a partire da queste tracce una riflessione sui metodi e le conseguenze della propaganda del Pci, in termini di informazione ed educazione dei suoi iscritti a una consapevole cittadinanza democratica, anche a prescindere dal caso del confine orientale»: {{cita|Karlsen 2008|pp. 135-136|harv=s}}. Sul tema anche {{cita libro|Franco|Andreucci|Falce e martello. Identità e linguaggi dei comunisti italiani fra stalinismo e guerra fredda|2005|Bononia University Press|Bologna}}</ref>, giornalistica e politica<ref>Numerosissimi furono gli articoli di riflessione politica sull'eccidio, concentrati soprattutto fra gli anni 1951-1954 e dal 1990 in poi. La stampa del PCI nel primo periodo definì tutta la vicenda come una grossa campagna propagandistica messa in campo dalle forze fasciste - fra le quali veniva annoverata la [[Democrazia Cristiana]] - «per dimostrare che il Partito Comunista è un partito di traditori della patria»: {{cita news| autore=[[Davide Lajolo]]|url=http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t=ebook&file=/archivio/uni_1952_01/19520127_0003.pdf|titolo=Le vicende del processo Porzus e la campagna elettorale D.C.|pubblicazione=l'Unità|data=27 gennaio 1952|accesso=29 giugno 2012}}. Nel periodo successivo al 1990 invece l'eccidio venne identificato — alle volte da stessi appartenenti al PCI, come [[Antonello Trombadori]] — come uno degli «scheletri nell'armadio» del partito: Gianni Pennacchi, «PCI un'altra pagina nera», ''Stampa Sera'', 8 settembre 1990, p. 2.</ref> sulla natura e gli obiettivi immediati e prospettici del PCI in quegli anni<ref>Gli storici Tommaso Piffer e Patrick Karlsen hanno dedicato al tema due saggi specifici dal titolo — rispettivamente — di «Strategia e politiche delle formazioni partigiane comuniste italiane» e «Il PCI di Togliatti tra via nazionale e modello jugoslavo (1941-1948)», all'interno di un testo collettaneo dedicato a Porzûs: {{cita|Piffer 2012|pp. 17-36 e pp. 69-86|harv=s}}.</ref><ref>Uno dei motivi principali per cui l'eccidio di Porzûs ha sempre mosso «profonde passioni» risiede nel fatto che «l'immagine del PCI (...) da queste vicende usciva pesantemente compromessa»: {{cita|Piffer 2012|pp. 8-9|harv=s}}</ref>, nonché sui suoi rapporti con i comunisti jugoslavi di [[Josip Broz Tito]]<ref>La questione del coinvolgimento del PCI nell'eccidio, vista nel quadro dei suoi rapporti con gli altri partiti del [[Comitato di Liberazione Nazionale|CLN]] e con la nascente [[Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia|Jugoslavia]] di Tito, fu uno degli aspetti maggiormente discussi fin dagli anni della Resistenza, tanto che il partito produsse diversi documenti per cercare di spiegare la propria posizione. Parte di tali documenti fu anche esibita nel corso dei processi per l'eccidio negli anni cinquanta, soprattutto per respingere l'accusa di tradimento elevata giudiziariamente contro i gappisti e le strutture direttive del PCI friulano. Si veda a titolo d'esempio Ferdinando Mautino, «[http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t=ebook&file=/archivio/uni_1951_12/19511205_0005.pdf Un documento del PCI sulla condotta dei garibaldini]», ''[[l'Unità]]'', 5 dicembre 1951, p. 5.</ref><ref>{{cita|Pirjevec 2009|pp. 78-81|harv=s}}</ref><ref>{{cita|Bianchi e Silvani 2012|prefazione|harv=s}}</ref><ref>Secondo lo storico Giovanni Belardelli, «La ragione principale (...) che agli occhi di molti ha reso l'eccidio di Porzûs un vero e proprio tabù storiografico, ha a che fare con la difficoltà o l'imbarazzo di riconoscere che, sul confine orientale, la politica del Pci aveva sostanzialmente accettato la strategia di Tito che puntava ad annettere il territorio italiano fino all'Isonzo.» {{cita news| autore = Giovanni Belardelli | url = http://www.corriere.it/opinioni/12_maggio_28/belardelli-crollo-ultimo-muro-memoria_15340cf8-a899-11e1-9745-9bc890f97404.shtml| titolo = Il crollo dell'ultimo muro della memoria | pubblicazione = Corriere della Sera | data = 28 maggio 2012 | accesso = 2 luglio 2012}}.</ref> e con l'[[Unione Sovietica]]<ref>Svariati sono i testi che hanno inserito l'eccidio di Porzûs in un più ampio quadro relativo ai rapporti fra i comunisti italiani e il movimento comunista internazionale, con ''focus'' particolare sull'URSS: fra questi si veda soprattutto {{cita|Aga Rossi e Zaslavsky 1997|harv=s}}. Il tema venne nuovamente trattato dalla Aga Rossi in altri saggi: [[Elena Aga Rossi]], «Il PCI tra identità comunista e interesse nazionale» in Marina Cattaruzza (a cura di), ''La nazione in rosso: socialismo, comunismo e interesse nazionale 1889-1953'', Rubbettino, Soveria Mannelli 2005, pp. 297-320. La stessa Aga Rossi tornerà sulla questione anche in un'intervista nella quale alla domanda se Togliatti sapesse che cosa si stava preparando a Porzûs rispose: «Non sappiamo se ne fosse stato informato, ma indubbiamente – accettando la cessione di una parte del territorio italiano a Tito – Togliatti porta su di sé una grande responsabilità per quanto è accaduto. La documentazione che abbiamo pubblicato nel libro ''Togliatti e Stalin'' mostra in modo molto evidente quanto il leader del Pci fosse consapevole della situazione. D’altra parte era proprio lui a sostenere che Trieste tenuta dall’Italia sarebbe stata una "città morta", e che quindi era meglio che venisse annessa alla Jugoslavia». Francesco Dal Mas, «Eccidio di Porzûs, le colpe di Togliatti», in ''L'Avvenire'', 4 febbraio 2010, p. 29.</ref><ref>«La posizione del PCI deriva (...) da considerazioni che esulano dal contesto locale e che rimandano agli equilibri tra le diverse forze del comunismo internazionale»: {{cita|Oliva 2002|pp. 134-142. Il virgolettato è alla p. 137|harv=s}}.</ref>.
 
==Biografia==
==Contesto storico==
=== Principe ereditario (1688–1713) ===
===I partigiani jugoslavi nella Slavia veneta===
====I primi anni====
{{vedi anche|Slavia friulana}}
Federico Guglielmo era figlio del Principe ereditario [[Federico I di Prussia|Federico I]] e della duchessa [[Sofia Carlotta di Hannover]]. Si dimostrò sin dall'infanzia di carattere rigido e soldatesco, in buona misura privo di interessi culturali e intellettuali. Dal [[1689]] al [[1692]] venne educato ad [[Hannover]], patria della madre, dove tuttavia mantenne una propria natura impulsiva. Questo momento della sua vita gli diede però l'occasione di studiare assieme al cugino [[Giorgio Guglielmo di Brunswick-Lüneburg|Giorgio Guglielmo]] (che sarebbe divenuto Re d'Inghilterra con il nome di [[Giorgio II d'Inghilterra|Giorgio II]]), mantenendo con questi un personalissimo rapporto d'amicizia che aiutò in seguito le relazioni fra i due paesi.
Nella storia della [[Guerra di liberazione italiana|guerra di liberazione]], la situazione nelle estreme propaggini nord-orientali dell'allora territorio italiano presenta delle caratteristiche del tutto peculiari. Abitata in parte da popolazioni slovene — ampiamente maggioritarie in varie zone — l'area comprende al proprio interno anche una regione denominata all'epoca "Slavia veneta" (oggi chiamata prevalentemente [[Slavia friulana]], in [[lingua slovena|sloveno]] ''Benečija'') appartenuta per secoli alla [[Repubblica di Venezia]] e incorporata al [[Regno d'Italia (1861-1946)|Regno d'Italia]] fin dal 1866. Durante la [[seconda guerra mondiale]], il 10 settembre 1943 — due giorni dopo l'[[Proclama Badoglio dell'8 settembre 1943|annuncio dell'armistizio italiano]] — fu inclusa formalmente dai [[Germania nazista|tedeschi]] nella [[Zona d'operazioni del Litorale adriatico]] (in [[Lingua tedesca|tedesco]] ''Operationszone Adriatisches Küstenland – OZAK''), territorio sul quale la sovranità della [[Repubblica Sociale Italiana]] (RSI) era puramente nominale, divenendo teatro di un'intensa repressione antipartigiana coordinata dal locale capo delle [[SS]] [[Odilo Globocnik]]<ref>{{cita libro|Stefano|Di Giusto|Operationszone Adriatisches Küstenland. Udine Gorizia Trieste Pola Fiume e Lubiana durante l'occupazione tedesca 1943-1945|2005|Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione|Udine|2005|pagine=p. 61}}.</ref>.
 
====Educazione====
In tale contesto geografico operarono contemporaneamente tre tipologie di formazioni partigiane: gli sloveni del [[IX Korpus]], fortemente organizzati e inseriti all'interno dell'[[Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia]] (in sloveno: ''Narodnoosvobodilna vojska in partizanski odredi Jugoslavije – NOV in POJ'', o ''NOVJ''), alcune [[Brigate Garibaldi]], fra le quali in particolare quelle inserite nella [[Divisione Garibaldi Natisone]], costituita da militanti [[comunismo|comunisti]], e le [[Brigate Osoppo]] Friuli, con componenti di ispirazione laica, azionista, liberale, socialista e cattolica.
Dopo il suo ritorno dall'[[Hannover]], Federico Guglielmo si premurò di imparare il [[lingua francese|francese]], arrivando al punto di usare tale lingua per parlare con sua madre, imparando invece un [[lingua tedesca|tedesco]] stentato dal suo servitore personale. Il giovane Federico Guglielmo sviluppò inoltre un carattere che era frutto del contrasto tra l'indole del padre, autoritario e superiore, quello della madre invece era più incline [[Arte|all'arte]] e alla [[filosofia]]: rifiutò tuttavia questi stili di vita proposti e intraprese invece la carriera militare dal [[1694]], ottenendo il comando di un reggimento di cavalleria e uno di fanteria.
 
[[Image:Friedrich Wilhelm I of Prussia 1700.jpg|thumb|left|Federico Guglielmo I di Prussia nel 1700]]
Tutte le terre a est del fiume [[Isonzo]] — e comunque ovunque vivesse una componente etnica slovena, compresa quindi la Slavia veneta — furono rivendicate fin dalla fine del 1941 dalla nascente [[Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia|Jugoslavia]] di Tito<ref>{{cita|Karlsen 2008|p. 13||harv=s}}.</ref>, che le dichiarò ufficialmente annesse nel settembre del 1943<ref>Nei giorni immediatamente successivi all'armistizio dell'8 settembre, le strutture direttive dei movimenti di liberazione sloveni e croati promulgarono due distinte dichiarazioni, con le quali proclamarono annesse alla Jugoslavia l'[[Istria]] (suddivisa fra Slovenia e Croazia) e la [[Venezia Giulia]] (alla Slovenia). Le dichiarazioni furono confermate il 30 novembre 1943 a [[Jajce]] dal massimo organo federale, la Presidenza del Consiglio Antifascista di Liberazione popolare della Jugoslavia ([[AVNOJ]]). Sul punto si veda Egidio Ivetic (a cura di), ''Istria nel tempo. Manuale di storia regionale dell'Istria con riferimenti alla città di Fiume'', Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, Unione Italiana di Fiume, Università Popolare di Trieste, Rovigno 2006, p. 566.</ref>. All'interno di questi territori gli jugoslavi pretesero di avere il comando di tutte le operazioni militari sottoponendo al controllo del NOVJ le altre formazioni combattenti, in accordo con quanto aveva stabilito a seguito di precisa richiesta di Tito il segretario del [[Komintern]] [[Georgi Dimitrov]] in una lettera del 3 agosto 1942: questi aveva disposto per tutta la Venezia Giulia la dipendenza delle strutture del PCI al [[Partito Comunista Sloveno]] (PCS), e di tutte le formazioni combattenti nell'area al Fronte di Liberazione Sloveno<ref>{{cita|Karlsen 2008|pp. 16-17||harv=s}}.</ref>.
All'inizio del [[1695]] venne sottoposto all'educazione del generale Conte [[Alexander von Dohna]], che si prese la responsabilità di educarlo come suo precettore. Nel [[1697]] suo insegnante divenne l'ugonotto [[Jean Philippe Rebeur]]. Entrambi gli insegnanti gli impartirono una stretta educazione [[calvinismo|calvinista]], facendogli studiare [[lingua latina|latino]], francese, [[storia]], [[geografia]], [[genealogia]], [[matematica]], scienze belliche e [[retorica]], pur manifestando ostilità per la maggior parte di esse. Il principe ereditario era invece molto preparato negli affari di corte e nella conduzione di uno stato, ponendo attenzione rilevante alle finanze. Invece di giocare, come si addiceva ad un bambino della sua età, egli passava il proprio tempo a controllare le divise e gli armamenti delle proprie guardie.
 
Nel [[Natale]] del [[1698]], al suo decimo compleanno, il padre gli regalò la proprietà di [[Wusterhausen]] come residenza indipendente e possedimento signorile. Qui egli si esercitò nella conduzione economica dei propri possedimenti che successivamente trasferì alla conduzione dello stato prussiano. Inoltre si preoccupò di trasformare la locale residenza di caccia in uno splendido palazzo per i futuri principi ereditari, oltre a far erigere un palazzo cittadino a [[Berlino]]. A Wusterhausen, il principe disponeva di un numero ristretto di guardie personali composte dai membri cadetti delle più nobili famiglie del paese.
L'obiettivo dei partigiani jugoslavi era triplice: liberare le zone occupate dagli eserciti dell'[[Potenze dell'Asse|Asse]], creare una serie di fatti compiuti per sostanziare le proprie rivendicazioni territoriali eliminando ancora nel corso delle operazioni belliche ogni opposizione — reale o potenziale — a tale disegno e procedere nel contempo a una [[rivoluzione (politica)|rivoluzione sociale]] di tipo [[marxismo|marxista]]<ref>{{cita|Piffer 2012|Orietta Moscarda, ''Violenza politica e presa del potere in Jugoslavia'', pp. 37-47}}.</ref>. Lo sloveno [[Edvard Kardelj]], uno dei più importanti collaboratori di Tito, fu categorico in tal senso: in una lettera del 9 settembre 1944 a Vincenzo Bianco — prescelto personalmente da [[Palmiro Togliatti|Togliatti]] come delegato del PCI presso il Fronte di Liberazione Sloveno — scrisse che all'interno delle formazioni partigiane italiane occorreva «fare un repulisti di tutti gli elementi imperialisti e fascisti». Con riferimento alle zone di operazioni del IX Korpus, così proseguì: «Non possiamo lasciare su questi territori nemmeno un'unità nella quale lo spirito imperialistico italiano potrebbe essere camuffato da falsi democratici»<ref>{{cita|Aga Rossi e Carioti 2008|pp. 84-85||harv=s}}.</ref>, auspicando il passaggio dell'intera regione alla nuova Jugoslavia: «Gli italiani saranno incomparabilmente più favoriti nei loro diritti e nelle condizioni di progresso di quel che sarebbero in un'Italia rappresentata da [[Carlo Sforza|Sforza]]»<ref>{{cita|Gervasutti 1997|p. 138||harv=s}}.</ref>. Rispetto alla Osoppo, rilevò che fosse «sotto una forte influenza di diversi ufficiali [[partigiani badogliani|badogliani]] e politicamente guidata dai seguaci del [[Partito d'Azione]]»<ref>{{cita|Karlsen 2008|p. 32||harv=s}}.</ref>.
 
Federico Guglielmo, ricevette nel 1701 durante l'incoronazione del padre a [[regno di Prussia|re di Prussia]], il titolo di Principe di Oranien e il suo appannaggio fu aumentato da 26.000 a 36.000 talleri annui. Nel [[1702]] la sua educazione venne affidata al conte [[Albert Konrad von Finckenstein]] e nello stesso anno divenne membro del Consiglio di Stato segreto e l'anno successivo entrò anche nel consiglio di guerra. Come principe ereditario partecipò a differenti incontri che gli diedero la possibilità di prendere una più ampia coscienza del mondo esterno e della natura degli eserciti d'[[Europa]].
===La posizione del PCI===
[[File:Verdi Ninci e altri.png|thumb|right|[[Alfredo Berzanti]] "Paolo" (secondo da sinistra)<ref>Braccio destro di "Bolla", scampò all'eccidio in quanto assente da Porzûs il 7 febbraio 1945.</ref> e, a seguire verso destra, Candido Grassi "Verdi", il colonnello Emilio Grossi del comando unificato Garibaldi-Osoppo<ref>Su Emilio Grossi si veda Alberto Magnani, «[http://www.storia900bivc.it/pagine/editoria/magnani105.html Emilio Grossi a Vercelli. La presa di coscienza di un ufficiale dell'esercito]», Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli.</ref> e Lino Zocchi "Ninci" in una foto del 1944]]
 
====La maggiore età====
Il 13 ottobre 1944, sulle pagine dell'organo ufficiale del PCI Alta Italia ''La nostra lotta'', fu pubblicato un lungo articolo anonimo, nel quale si annunciava che «le forze popolari del Maresciallo Tito, appoggiate dal vittorioso Esercito Sovietico» avrebbero iniziato delle «operazioni di grande respiro» anche nella «Venezia Giulia (…) e [nei] territori dell'Italia Nord-Orientale». Salutando «quest'eventualità come una grande fortuna per il nostro paese», il giornale comunista invitava ad «accogliere i soldati di Tito non solo come liberatori allo stesso modo in cui sono accolti nell'Italia liberata i soldati Anglo-Americani, ma come dei fratelli maggiori che ci hanno indicato la via della rivolta (…) e che ci apportano (…) la libertà». I soldati di Tito erano quindi da considerare «come i creatori di nuovi rapporti di convivenza e di fratellanza, non solo fra i popoli jugoslavi ma fra tutti i popoli»: «non solo i territori slavi da essi liberati, ma anche quelli italiani non saranno sottoposti al regime di armistizio, ma considerati come territori liberi, con un proprio governo rappresentato dagli organismi del movimento di liberazione, nei quali (…) ogni popolo (…) trov[erà] immediata e sicura espressione democratica». Grazie quindi all'opera congiunta dei partigiani italiani e jugoslavi «sarà tutto il popolo italiano che si sentirà legato a tutti i popoli jugoslavi e balcanici (…) [e] che si collegherà, attraverso i popoli balcanici, alla grande Unione Sovietica che è stata, e sempre sarà, faro di civiltà e di progresso per tutti i popoli (…)». «Il Partito Comunista Italiano» — concludeva quindi l'articolo — «impegna (…) tutti i comunisti (…) a combattere come i peggiori nemici della liberazione nazionale del nostro Paese e, quindi, come alleati dei tedeschi e dei fascisti quanti, con i soliti pretesti del "pericolo slavo" e del "pericolo comunista" lavorano a sabotare gli sforzi militari e politici dei nostri fratelli slavi (…)»<ref>{{cita|Bianchi e Silvani 2012|pp. 291-293||harv=s}}.</ref>.
{{Hohenzollern}}
Nel [[1704]] all'età di 16 anni, completò la costruzione del castello di Wusterhausen e decise di adibirlo a residenza autunnale da agosto a novembre, il che consentì ad ogni modo lo sviluppo di un piccolo villaggio alle sue dipendenze. Nel [[1705]] venne nominato [[borgomastro]] di [[Charlottenburg]], ove poté mettere in pratica gli insegnamenti appresi durante i viaggi compiuti in Olanda che estesero notevolmente i suoi orizzonti culturali. Durante l'ultimo di questi suoi viaggi ricevette la notizia della morte della madre ed il 14 giugno [[1706]] decise di prendere moglie, sposando Sofia Dorotea di Hannover per procura, incontrata poi di persona il 14 novembre [[1706]] a [[Cölln an der Spree]] (oggi parte di Berlino). Nel luglio di quello stesso anno, inoltre, partecipò ad alcune operazioni militari nelle Fiandre nell'ambito della [[guerra di successione spagnola]], ove prese parte con il proprio reggimento che contava ormai più di 600 uomini.
 
L'11 settembre [[1709]] fu impegnato nella [[Battaglia di Malplaquet]], che fu lo scontro più sanguinoso della guerra di successione spagnola. Nel [[1710]] vi fu uno scandalo di corruzione tra i ministri del padre e Federico Guglielmo intervenne ufficialmente per la prima volta a sedare i dissidi politici occupandosi della punizione dei traditori. L'anno successivo, nell'estate del [[1711]], fu nuovamente in Olanda per curare per conto del padre alcuni negoziati diplomatici, tornando poi in patria per schierarsi contro gli svedesi nella guerra scoppiata sul suolo prussiano, venendo ferito.
Il 17 ottobre 1944 Palmiro Togliatti ebbe un incontro personale a Roma con Kardelj e con altri dirigenti comunisti jugoslavi<ref>{{cita news|autore=Marco Galeazzi|url=http://cerca.unita.it/ARCHIVE/xml/135000/130414.xml?key=Marco+Galeazzi&first=1&orderby=1&f=fir&dbt=arc|titolo=Vuole Gorizia? La chieda agli americani|pubblicazione=l'Unità|data=20 agosto 2004|accesso=28 giugno 2012}}</ref><ref>{{cita libro|autore=Edvard Kardelj|titolo=Reminiscences: the struggle for recognition and independence the new Yugoslavia, 1944-1957|editore=Blond & Briggs in association with Summerfield Press|città=London|anno=1982|pagine=p. 43}}</ref><ref>Il primo a parlare di tale colloquio — collocandolo a Bari — fu Paolo Spriano, che citò in tale occasione anche la presenza di «due altri dirigenti comunisti jugoslavi»: secondo alcune ricostruzioni storiche, essi sarebbero stati [[Milovan Gilas]] (cfr. Giampaolo Valdevit, ''La crisi di Trieste. Una riflessione storiografica'', Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli-Venezia Giulia, 1995, p. 49), e [[Andrija Hebrang (padre)|Andrija Hebrang]]: {{cita|Cattaruzza 2007|p. 270||harv=s}}. Si veda in proposito {{cita|Spriano 1975|p. 436 e n.||harv=s}}. Kardelj nelle sue memorie apparse dopo la sua morte nel 1980 affermò che per incontrare Togliatti viaggiò «da Bari a Roma». Roma è il luogo indicato anche da {{cita|Pupo 2010|p. 67||harv=s}} e da Aga Rossi ({{cita|Piffer 2012|p. 90|harv=s}}).</ref>: secondo la minuta dell'incontro di mano dello stesso Kardelj, il leader comunista italiano «non mette in discussione che Trieste spetti alla Jugoslavia, tuttavia ci raccomanda di applicare una politica nazionale che soddisfi gli italiani»<ref>La minuta di Kardelj è riportata in svariate fonti, fra le quali {{cita|Pupo 2010|p. 67||harv=s}}.</ref>. Due giorni dopo, Togliatti inviò un'ampia lettera a Bianco, suddivisa in sei punti. Considerando «un fatto positivo, di cui dobbiamo rallegrarci e che in tutti i modi dobbiamo favorire, la occupazione della regione giuliana da parte delle truppe del maresciallo Tito», al fine non solo di battere tedeschi e fascisti, ma anche di creare nell'area «un regime democratico e progressivo», Togliatti ordinò alla Divisione Garibaldi Natisone di entrare nel NOVJ<ref>{{cita|Cattaruzza 2007|pp. 270 ss||harv=s}}</ref><ref>{{cita|Spriano 1975|pp. 436-438||harv=s}}</ref>, e scrisse di proprio pugno il testo dell'ordine del giorno che i garibaldini avrebbero dovuto adottare<ref>{{cita news|url=http://archiviostorico.corriere.it/1992/gennaio/31/quei_garibaldini_che_scelsero_Tito_co_0_9201318012.shtml|titolo=Quei garibaldini che scelsero Tito|pubblicazione=[[Corriere della Sera]]|data=31 gennaio 1992|accesso=28 giugno 2012}}</ref>:
 
===Re di Prussia (1713-1740)===
{{quote|I partigiani italiani riuniti il 7 novembre in occasione dell'anniversario della Grande Rivoluzione<ref>Si fa riferimento alla [[Rivoluzione d'ottobre]].</ref> accettano entusiasticamente di dipendere operativamente dal IX Corpus sloveno, consapevoli che ciò potrà rafforzare la lotta contro i nazifascisti, accelerare la liberazione del Paese e instaurare anche in Italia, come già in Jugoslavia, il potere del popolo<ref name=deotto>Paolo Deotto, «[http://www.storiain.net/arret/num62/artic1.htm Strage di Porzûs. Un'ombra cupa sulla Resistenza]», da ''Storia in Network''.</ref><ref>L'ordine del giorno della Brigata e della Divisione Garibaldi Natisone, datato 6 novembre 1944, ripeté fedelmente il testo di Togliatti, ordinando nel contempo a tutti i comandanti delle unità minori di leggerlo nel corso di comizi o riunioni. Al riguardo, {{cita|Bianchi e Silvani 2012|pp. 301-302||harv=s}}.</ref>.}}
====Tagli ai fondi====
[[File:Antoine_Pesne_-_K%C3%B6nig_Friedrich_Wilhelm_I._von_Preu%C3%9Fen_(ca._1733).jpg|thumb|left|Federico Guglielmo I in un ritratto ufficiale]]
All'inizio del 1713 la salute di [[Federico I di Prussia|Federico I]] peggiorò in maniera decisiva, fino a quando il 25 febbraio Federico I emise il suo ultimo sospiro, Federico Guglielmo, che gli era stato vicino negli ultimi momenti di vita, subito dopo aver lasciato il letto del padre ormai defunto, come suo primo atto ufficiale dichiarò nullo il bilancio dello stato approvato dal defunto monarca.
 
Egli garantì al padre un funerale grandioso e in pompa magna, ma era lui il primo a gioire per questa morte attesa da lungo tempo. Il nuovo sovrano si presentò alla cerimonia funebre con la corona, in modo da ribadire il suo peso nel nuovo governo; tuttavia una vera e propria cerimonia di incoronazione, non ebbe mai luogo. Poco dopo il termine delle cerimonie funebri egli cambiò radicalmente l'indirizzo del governo e si concentrò essenzialmente nel rimuovere le riforme promosse dal padre, in particolare riorganizzando le finanze e smantellando i vecchi debiti accumulati dal padre. Il suo scopo era quello di far acquisire alla [[Prussia]] una sempre maggiore indipendenza dalle potenze straniere, infatti il cardine di questa strategia sarebbe stato la formazione di un potente esercito.
Togliatti non fece riferimento esplicitamente alle Brigate Osoppo Friuli, ma dispose che «(…) i comunisti devono prendere posizione contro tutti quegli elementi italiani che si mantengono sul terreno e agiscono in nome dell'imperialismo e nazionalismo italiano e contro tutti coloro che contribuiscono in qualsiasi modo a creare discordia tra i due popoli»<ref>{{cita|Cattaruzza 2007|p. 271||harv=s}}</ref>.
 
{{Citazione|Mio padre trovò la propria gioia nel costruire palazzi grandiosi, nell'avere una gran quantità di gioielli, argento, oro e altre magnificenze - permettete di dar sfogo anche ai miei desideri, voglio avere una gran quantità di buone truppe.
In conseguenza di ciò, fin dagli ultimi mesi del 1944 la Divisione Garibaldi Natisone passò sotto il comando del IX Korpus, venendo inquadrata all'interno del NOVJ su tre Brigate: 156ª Brigata "Bruno Buozzi", 157ª Brigata "Guido Picelli" e 158ª Brigata "Antonio Gramsci". Invece di rimanere a combattere nel territorio nazionale, a fine anno la Divisione fu trasferita all'interno della Slovenia, ritornando in Italia solo alla fine del maggio 1945. I comandi della Osoppo invece rifiutarono, sostenendo di voler fare riferimento unicamente alle strutture direttive del Comitato di Liberazione Nazionale italiano. Questa situazione acuì una preesistente spaccatura all'interno delle forze partigiane italiane nella regione, che assunse sempre più le forme di un'aspra conflittualità ideologico-politica sui fini ultimi della lotta resistenziale e sulla sistemazione confinaria postbellica.
|Federico Guglielmo I in un discorso ai suoi ministri riportato per iscritto dall'inviato olandese Lintelo<ref>Heinz Kathe, S. 29</ref>}}
 
Il 27 febbraio il Re si recò a [[Wusterhausen/Dosse|Wusterhausen]] e lì iniziò la costituzione del suo nuovo programma di governo, impiegando solo quattro giorni per redigerlo. Per saldare i 20.000.000 di talleri di debito accumulati dal padre, ridusse il personale della casa reale da 142 a 46 impiegati e, per saldare il debito, utilizzò anche del denaro dal suo patrimonio personale. Inoltre, dei 24 castelli posseduti dal padre, Federico Guglielmo I ne mantenne solo sei, mentre gli altri furono venduti o dati in affitto e fece fondere molte statue di bronzo per fabbricare nuovi cannoni. L'orchestra di corte venne sciolta, furono venduti all'asta vini preziosi che facevano parte della cantina reale, oltre a mobili e oggetti d'oro e d'argento. Tutti questi tagli ebbero però l'effetto di mandare in rovina i molti artigiani che lavoravano per la casa reale, le accademie statali non ottennero nuovi fondi, i teatri vennero chiusi e questo provocò una fuga di artisti da [[Berlino]].<ref>Heinz Kathe, S. 29, 85, 86</ref>
Tale acceso contrasto aveva conosciuto uno dei suoi momenti più importanti nell'agosto del 1944, con la destituzione dei comandi della Osoppo operata dal CLN udinese e dal Comitato Regionale Veneto e la loro sostituzione col seguente organigramma: al comando l'azionista Lucio Manzin "Abba", suo vice il comunista Lino Zocchi "Ninci", già comandante della brigata Garibaldi Friuli; [[commissario politico]] il comunista [[Mario Lizzero]] "Andrea", già commissario politico delle brigate Garibaldi Friuli; vicecommissario l'azionista Carlo Commessatti "Spartaco". Le formazioni della Osoppo avevano reagito con molta decisione, destituendo a loro volta i comandanti designati e rimettendo al loro posto i precedenti: Candido Grassi "Verdi" e il sacerdote Ascanio De Luca "Aurelio"<ref>La questione è riassunta fra gli altri da Giovanni Gozzer, «[http://www.storiaxxisecolo.it/dossier/Dossier1a7a.htm Porzûs: una Yalta giuliana]», ''Centro Studi della Resistenza'' (pubblicato originariamente sul ''Corriere del Ticino'', 17 novembre 1997) e da Roberto Roggero, ''Oneri e onori: le verità militari e politiche della guerra di liberazione in Italia'', Greco & Greco Editori, 2006, ISBN 9788879804172, pp. 430-431; in questi articoli il nome di Zocchi "Ninci" è riportato erroneamente come "Bocchi". Per una più dettagliata ricostruzione v. {{cita|Gervasutti 1997|pp. 79-88||harv=s}}.</ref>.
 
Con questo programma di riforma radicale Federico Guglielmo I suscitò il malcontento del popolo, che si vedeva privato dello splendore acquisito in precedenza, ma allo stesso tempo guadagnò il benestare delle istituzioni politiche e militari per una maggiore fortificazione dello stato e per la costituzione di un vero esercito che potesse competere con le altre potenze europee. Federico Guglielmo I ridusse drasticamente i costi della sua corte e delle 700 stanze del palazzo reale di Berlino, ne utilizzò solo 5.<ref>S.Fischer-Fabian, S. 88</ref>
===Le pressioni slovene e garibaldine sugli osovani===
[[File:Comando Garibaldi Natisone.png|thumb|Il comando della Divisione Garibaldi Natisone assieme ad alcuni ufficiali sovietici a Zakriž (Slovenia) nel gennaio 1945. Il primo a sinistra è il commissario politico [[Giovanni Padoan]] "Vanni", al centro con la barba il comandante Mario Fantini "Sasso", il primo a destra è il capo di stato maggiore Albino Marvin "Virgilio". I primi due saranno imputati nel processo per l'eccidio]]
 
====Monarca assoluto====
Nella seconda metà del 1944 si moltiplicarono le pressioni slovene sui comandi osovani, contestualmente a una serie di accuse — sia da parte slovena che garibaldina — di intese della Osoppo con nazisti e fascisti con i quali sarebbero stati presi accordi in funzione antipartigiana, di inserimento nelle proprie file di ex fascisti, di protezione di spie, furti di materiale e addirittura di collaborazione nell'omicidio di partigiani garibaldini<ref name=agarossi85>{{cita|Aga Rossi e Carioti 2008|p. 85||harv=s}}.</ref>.
In accordo con il suo orientamento politico, Federico Guglielmo I pose la propria figura al centro di tutte le attività dello stato, dando inizio ad un vero e proprio governo assoluto. Ora la sua parola era legge e chi lo contraddiceva era condannato a morte. Egli pretese d'intromettersi in tutti gli affari dello stato e sviluppò le caratteristiche di un [[tiranno]], ma era comunque guidato da una profonda fede in [[Dio]]. Il re controllava il governo attraverso il suo gabinetto di ministri, parlando a loro come un generale parla con le proprie truppe ed esaminando in loro presenza i rapporti giunti a corte circa l'andamento stesso dei vari ministeri.
A tali accuse il comando della Osoppo aveva replicato con una lunga serie di relazioni scritte, nelle quali si illustrava il violento contrasto che contrapponeva i propri reparti ai garibaldini e agli sloveni del IX Korpus, e si denunciava una serie di incidenti a scapito degli osovani oltre alle forti pressioni che continuavano ad esser esercitate per il passaggio della Osoppo alle dipendenze dei comandi sloveni, sia da parte di questi ultimi che da parte del comando della Garibaldi Natisone, pressioni accompagnate da varie minacce<ref>Si vedano in estratto alcune relazioni del comandante della Osoppo Francesco De Gregori "Bolla" in Primo Cresta, «Gorizia e la sua lotta di liberazione» in ''I cattolici isontini nel XX secolo. III. Il goriziano fra guerra e ripresa democratica (1940-1947)'', Istituto di Storia Sociale e Religiosa, Gorizia 1987, pp. 231-257.</ref>. Nello stesso periodo diversi esponenti comunisti triestini di sentimenti filoitaliani, che avevano espresso dubbi sulla futura appartenenza della città alla Jugoslavia, furono arrestati dai tedeschi, si suppone in seguito a delazioni<ref name=agarossi85/>.
 
====Sviluppo dell'esercito====
Un membro della missione [[Regno Unito|britannica]] del SOE ([[Special Operations Executive]]), Michael Trent (al secolo Issack Michael Gyori, nativo ungherese e residente in [[Cecoslovacchia]]<ref>{{cita news|lingua=en|titolo=Issack Michael Gyori|url=http://www.specialforcesroh.com/roll-24832.html|pubblicazione=Special Forces Roll of Honour|accesso=28 giugno 2012}}</ref>), che nello stesso periodo aveva tentato una mediazione con i comandi del IX Korpus, fu ucciso in circostanze non chiare<ref>Secondo la relazione del maggiore MacPherson del SOE, il battaglione partigiano sloveno ''Rezianska'' annunciò alla popolazione che Trent era stato portato «davanti alla giustizia» delle loro brigate, mentre tre osovani che gli facevano da scorta affermarono che era stato ucciso in uno scontro con i tedeschi. In {{cita|Aga Rossi e Carioti 2008|p. 86||harv=s}} si ipotizza che Trent potrebbe essere caduto in un tranello tesogli dagli sloveni e consegnato ai tedeschi.</ref>.
Il re fondò la potenza del proprio stato essenzialmente sulla forza del proprio esercito. La necessità di riportare un ordine nelle questioni belliche era divenuta essenziale soprattutto per l'indignazione dello stesso sovrano prussiano che non riusciva ad accettare il fatto che le altre potenze non considerassero la Prussia una nazione in grado di avere voce in capitolo dei concordati internazionali.
 
Dal [[1713]] iniziò lo sviluppo di una grande riforma dell'esercito. Come primo passo reclutò nella [[fanteria]] prussiana 8073 nuovi soldati e 1067 [[cavalieri]], portando il totale degli effettivi a 80.000; l'esercito inoltre divenne finanziariamente indipendente e non più dipendente, come prima, dai sussidi ricevuti dalle potenze estere, fu anche creata la figura del "[[Soldatenkönig]]" (''Re dei soldati''), che indossava sempre l'uniforme militare e che era responsabile a mantenere una ferrea disciplina fra i ranghi dell'[[esercito prussiano]]. Egli attirò a sé dal ceto dei nobili un corpo di ufficiali assolutamente devoti a lui; i soldati invece erano o mercenari arruolati o contadini del paese, il cui obbligo di servizio veniva regolato dal cosiddetto sistema cantonale ("[[Kantonsystem]]").
Il 22 novembre 1944, quindici giorni dopo l'inserimento dei garibaldini nel IX Korpus sloveno, ebbe luogo l'ultimo incontro (della durata di cinque ore) fra i comandi della 1ª Divisione Garibaldi Natisone e della 1ª Brigata Osoppo — presente il comandante osovano [[Francesco De Gregori (partigiano)|Francesco De Gregori]] "Bolla" — nel corso della quale i garibaldini esercitarono la massima pressione possibile per convincere gli osovani a seguirli nella loro scelta. In particolare, [[Giovanni Padoan]] "Vanni" (commissario politico della Divisione Garibaldi Natisone) dichiarò che tutti i partigiani operanti nell'Italia nord-orientale dovevano porsi alle dipendenze degli jugoslavi e che, secondo una dichiarazione ufficiale del PCI, chi non avesse appoggiato gli jugoslavi sarebbe stato da considerare nemico del popolo italiano. Aggiunse poi che chi, avesse preferito «appoggiare la politica democratica borghese dell'Inghilterra, anziche quella democratica popolare progressista della Jugoslavia di Tito», sarebbe stato considerato conservatore e reazionario e ritenuto di conseguenza responsabile di fronte al popolo: i garibaldini non avrebbero mai permesso l'instaurazione di un «regime democratico che facesse comodo all'Inghilterra» in Italia. Inoltre "Vanni" parlò delle vicende confinarie, affermando che l'intera Venezia Giulia era da considerarsi legittimamente appartenente alla Jugoslavia, le cui forze partigiane avrebbero proceduto in quel territorio alla mobilitazione generale: nel contempo, intimò agli osovani di non procedere ad alcun tipo di mobilitazione o di reclutamento, mettendo in dubbio la legittimità del CLN. Il colloquio ebbe un andamento burrascoso e si concluse con una rottura completa<ref>{{cita|Bianchi e Silvani 2012|pp. 302-304||harv=s}}.</ref>.
 
==== Il reggimento Potsdam ====
A dicembre gli sloveni esercitarono pressioni sulla Garibaldi Natisone perché agisse contro il comando osovano di Porzûs<ref name=agarossi85/><ref>{{cita|Buvoli 2003|p. 101||harv=s}}.</ref>: infatti il 6 e 12 dicembre 1944, Mario Fantini "Sasso" e Giovanni Padoan "Vanni", come comando della Divisione Garibaldi Natisone, inviarono due lettere di risposta al superiore comando del IX Korpus<ref>A oggi non sono ancora note le lettere inviate dagli sloveni cui i garibaldini rispondevano. Che si tratti di pressioni per intervenire contro la Osoppo lo si desume quindi dai contenuti delle missive garibaldine.</ref>. Nella prima scrissero che:
{{vedi anche|Giganti di Potsdam}}
[[Image:Langer Kerl Schwerid Rediwanoff.jpg|thumb|Il soldato di fanteria Schwerid Rediwanoff di Mosca. Rdiwanoff apparteneva al corpo di uomini "donati" dallo zar Pietro il Grande a Federico Guglielmo I dopo aver ricevuto la [[camera d'ambra]].]]
Il Re fu particolarmente attento al reclutamento di uomini giovani nel suo reggimento personale di [[Potsdam]], anche se questo poteva essere considerato dai più un suo vezzo personale. Ad ogni modo, la creazione del reggimento aveva una ragione pratica: i lunghi fucili ad avancarica in uso all'epoca erano difficili da maneggiare per i soldati di bassa statura, iniziò così una vera e propria caccia ai giganti, cominciata già dal [[1712]] per cercare uomini che avessero un'altezza minima di 1 metro e 88 centimetri. Inviò addirittura i suoi incaricati in [[Ungheria]], nel [[Regno di Napoli]], in [[Croazia]] ed in [[Ucraina]] per reclutare tali uomini, comprandoli spesso fisicamente.<ref>S.Fischer-Fabian, S.113</ref> Tra il 1713 ed il [[1735]] vennero spesi in totale 12 milioni di talleri in fondi da investire nella ricerca di questi uomini.
 
Gli appartenenti a questo reggimento vennero soprannominati ''die langen Kerls'' (espressione traducibile grosso modo in italiano come "spilungoni"): il costo annuale per mantenere questo reggimento era di 291.000 talleri, rispetto ai 72.000 spesi per un reggimento normale.<ref>S.Fischer-Fabian, S.115</ref>
{{quote|(…) Infine, a proposito dell'Osoppo. Non appena avremo regolato la questione dell'Intendenza, cioè riceveremo sufficienti viveri dall'Intendenza per poter nutrire la 156ª Brigata, questa Brigata la faremo passare da queste parti e così potremo liquidare questa perniciosa questione (…)|"Sasso" e "Vanni", 6 dicembre 1944<ref>{{cita|Strazzolini 2006|pp. 19-20||harv=s}}.</ref>}}
 
====Promozione dell'industria tessile====
Nella lettera successiva tornarono sul tema:
Federico Guglielmo I fu inoltre interessato anche all'economia del paese, egli si concentrò sulla promozione della ricca industria della tessitura, che era basata sull'economia domestica. Quasi tutte le grandi case avevano infatti filande private e con una riforma varata già dal 1713, venne creato a [[Berlino]] un deposito generale per il prodotto filato che veniva quindi venduto all'ingrosso sul mercato internazionale, facendo sì che il prodotto venisse apprezzato in tutta Europa.
 
====Politica estera====
{{quote|(…) In quanto all'Osoppo che a noi interessa e la Missione Inglese, la sua liquidazione dipende dalla nuova situazione creatasi (…) abbiamo documenti raccolti ieri e cioè una dichiarazione di un osovano che li accusa in pieno. Non appena la situazione si chiarirà la questione sarà risolta dalla 157ª Brigata (…)|"Sasso" e "Vanni", 12 dicembre 1944<ref>{{cita|Strazzolini 2006|p. 20||harv=s}}.</ref>}}
Federico Guglielmo I cercò in un primo momento di mantenere una certa neutralità nei conflitti europei dell'epoca, concentrandosi sul rafforzamento del proprio Stato dopo il periodo del governo paterno. La visita di [[Pietro il Grande]] nel 1713 a Berlino, però, lo fece propendere per entrare nell'[[Alleanza del Nord]] in funzione anti-svedese, per combattere le mire espansionistiche di [[Carlo XII di Svezia|Carlo XII]] durante la [[Grande guerra del Nord]] ed in cambio ricevette finanziamenti ed armi per l'esercito. Con la ripresa delle ostilità nel 1713, il 1º maggio [[1715]] egli trasferì il proprio quartier generale in [[Pomerania]], per seguire e guidare il suo esercito nell'assedio di [[Stralsund]].
 
A seguito del trattato di [[pace di Stoccolma|pace siglato a Stoccolma]] il 21 gennaio 1720, ottenendo però da questa pace, il dominio indiscusso sulle città di [[Stettino]], [[Peene]] e sulle [[isola di Wollin|isole di Wollin]] e [[isola di Usedom|Usedom]], oltre al controllo sull'area del delta dello [[Swine]] e del [[Dievenow]]. Questa campagna e quella del 1715 diedero l'opportunità quindi di ribadire l'importanza del ruolo dell'esercito per la rinnovata Prussia. Non ultimo, nel [[1720]], Federico Guglielmo I vendette le colonie del [[Brandeburgo]], fondate dal suo predecessore (delle quali la maggiore città era appunto [[Friedrichsburg]]), per 7.200 ducati ai Paesi Bassi, questo denaro fu speso dal Re per migliorare l'esercito.
Il 1º gennaio 1945 si tenne un incontro in frazione Uccea di [[Resia]] fra Romano Zoffo "Livio" — già comandante della 2ª Brigata Osoppo, in quell'epoca impegnato nell'organizzazione della 6ª Brigata Osoppo e in particolare del Battaglione Resia — e il commissario politico sloveno del Battaglione Rezianska, accompagnato da due ufficiali. In tale occasione gli sloveni affermarono che:
 
====Il corpo dei nobili ufficiali====
{{quote|la nostra presenza in Val Resia è dovuta puramente a ragioni politiche. Indubbiamente il destino di questa striscia di territorio sarà deciso da un plebiscito che sarà tenuto in presenza delle nostre forze armate, per cui il risultato può essere considerato certo. (…) Non possiamo permettere la presenza di partigiani italiani in Val Resia finché il nostro Alto Comando non ci dà il permesso. La presenza di partigiani italiani danneggerebbe la nostra propaganda. Possiamo risolvere i nostri problemi di confine con un accordo reciproco. D'altro canto, non è impossibile che un giorno ci giunga l'ordine di disarmare le formazioni Osoppo nei dintorni della Val Resia. Per evitare una crisi tra noi, le formazioni Osoppo dovrebbero seguire l'esempio dei garibaldini e venire sotto di noi. L'Inghilterra, nella quale riponete tanta fiducia, non vi aiuterà certamente in futuro. (…) L'Inghilterra sarà il nemico del domani e il suo sistema capitalista deve sparire. Sull'esempio della Grecia, le formazioni garibaldine che hanno accettato di dipendere dagli sloveni rappresenteranno la [[Ellinikós Laïkós Apeleftherotikós Stratós|Elas]] dell'Italia<ref>{{cita|Aga Rossi e Carioti 2008|pp. 86-87||harv=s}}</ref>.}}
Con l'intenzione di privare sempre più la nobiltà dei propri poteri e di estendere il controllo dello Stato assolutista, il re cercò di applicare la tecnica cara a [[Luigi XIV di Francia]] di legare a sé i rappresentanti della stretta aristocrazia. In maniera però del tutto innovativa, egli fondò nel settembre del [[1717]] a Berlino il ''Real Corpo di Cadetti Prussiani'', un istituto militare per formare i figli cadetti delle più eminenti famiglie nobiliari del paese. In questo istituto i giovani dovevano essere di lignaggio nobile ed avere un'età tra i 12 ed i 18 anni. Oltre alla carriera militare, l'istituto garantiva un comodo inserimento nel governo. Ovviamente il permesso di accedere a questo corpo era concesso esclusivamente a quanti facessero solenne giuramento di non prestare servizio per alcun altro paese.
Poco più di un mese dopo avvenne l'eccidio.
 
==== Altri passi notevoli ====
== L'eccidio ==
Federico Guglielmo I, come già ricordato precedentemente, raddoppiò la forza dell'esercito presente in Prussia, rendendolo il quarto più potente esercito d'Europa dopo quello della Francia, dei Paesi Bassi e della Russia. La Prussia contava all'epoca 1.6 milioni di abitanti, di cui 80.000 erano impegnati stabilmente nell'esercito e tutto questo ebbe però lo svantaggio della creazione di uno Stato completamente militarizzato ed incentrato sulla carriera bellica, a scapito di altre iniziative di tipo culturale ed artistico.
===L'attacco alle malghe===
{|{{prettytable|align=center|text-align=center|font-size=90%}}
|-
|[[File:Malghe Porzus.jpg|x150px]]
|[[File:Il casolare presso il quale fu catturata la brigata Osoppo da Mario Toffanin.jpg|x150px]]
|[[File:Malga Comando Porzus.jpg|x150px]]
|-
|colspan=3|Due vedute della cosiddetta "malga dell'eccidio" (la prima della fine del 1944, la seconda degli anni sessanta) e una foto dalla malga comando verso valle
|}
 
Sotto l'aspetto religioso, si prodigò a favore del [[pietismo]]: le sue preoccupazioni maggiori furono per la colonizzazione interna. Ciò che egli fece a tal riguardo fu il "Rétablissement" della Prussia Orientale, dove accolse anche i protestanti cacciati da [[Salisburgo]]. Egli infatti venne chiamato "il più grande re interno di Prussia". Per l'educazione fondò 1480 scuole di formazione al posto delle 320 scuole di villaggio che esistevano all'epoca del regno del padre Federico I.
Il [[7 febbraio]] [[1945]] un gruppo di circa cento unità partigiane comuniste appartenenti ai battaglioni [[Gruppi di Azione Patriottica|GAP]] "Ardito" (al comando di Urbino Sfiligoi "Bino"), "Giotto" (al comando di Lorenzo Deotto "Lilly"), "Amor" (al comando di Gustavo Bet "Gastone") e "Tremenda" (al comando di Giorgio Iulita — o Julita — "Jolly")<ref>{{cita pubblicazione | quotes =no | cognome = | nome = | data = 1º luglio 2005 | titolo = Documentazione anni 1943-1957 | rivista = Processo Porzus. Documenti in copia da archivi di Tribunali | editore =Istituto friulano per la storia del Movimento di Liberazione | url =http://beniculturali.ilc.cnr.it:8080/Isis/servlet/Isis?Conf=/usr/local/IsisGas/InsmliConf/Insmli.sys6.file&Obj=@Insmlif.pft&Opt=search&Field0=%22=G01/00024/00/00/00000/000/000%22 | accesso =28 giugno 2012}}</ref><ref>{{cita|Bianchi e Silvani 2012|p. 163||harv=s}}</ref> e capeggiati da [[Mario Toffanin]] "Giacca" raggiunse il comando del Gruppo delle Brigate Est della Divisione partigiana Osoppo, situato presso alcune [[malga|malghe]] in località Topli Uork (in seguito la zona divenne più nota con il toponimo di Porzûs, dal nome di una vicina frazione), nel comune di [[Faedis]] nel [[Friuli]] orientale.
L'ordine ai gappisti era pervenuto per iscritto dal vicesegretario della federazione del PCI di Udine — Alfio Tambosso "Ultra" — nei seguenti termini:
 
===Gli ultimi anni===
{{quote|Cari compagni, vi trasmetto, per l'esecuzione, l'ordine pervenuto dal Superiore Comando Generale. Preparate 100-150 uomini, completamente armati ed equipaggiati, con viveri a secco per 3-4 giorni, da porre alle dipendenze della divisione Garibaldi Natisone operante agli ordini del Maresciallo Tito. Vi raccomando la precisa esecuzione del presente ordine, che ha carattere di estrema importanza per il prossimo avvenire. Non appena gli uomini saranno pronti, mi avvertirete immediatamente. Provvedete ad eseguire rapidamente e cospirativamente. Gli uomini dovranno sapere solo quando saranno in viaggio. Quando verrò da voi, e cioè fra qualche giorno, spiegherò meglio ogni cosa. Ricordate che ne va del buon nome GAP e che è cosa di massima importanza. L'armata Rossa gloriosa avanza e ormai i tempi stringono. Fraternamente. Ultra 24.1.1945<ref>{{Cita news|url=http://archiviostorico.corriere.it/1996/luglio/13/senza_titolo_co_0_9607133834.shtml|titolo=Senza titolo|pubblicazione=Corriere della Sera|accesso=28 giugno 1996|data=13 luglio 1996}}</ref><ref>Secondo quanto emerso durante il processo — la questione fu in seguito integrata da una dichiarazione scritta dello stesso Toffanin — l'ordine dell'eccidio fu impartito a "Giacca" nel corso di una riunione tenutasi nella località di Orsaria il 28 gennaio 1945, in cui erano presenti, a parte lo stesso "Giacca", anche i citati "Ultra" e "Jolly" e Ostelio Modesti "Franco", Valerio Stella "Ferruccio", Aldo Plaino "Valerio" e Armando Basso "Gobbo". Cfr. {{cita|Bianchi e Silvani 2012|p. 171||harv=s}}. Alcune difese nel corso del processo affermarono altresì che l'ordine andava invece riferito al concentramento di partigiani per l'assalto alle carceri di [[Udine]], che ebbe luogo lo stesso giorno dell'eccidio ({{cita news|url=http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t=ebook&file=/archivio/uni_1954_04/19540413_0002.pdf|formato=PDF|titolo=La difesa esalta i partigiani di Porzus|data=13 aprile 1954|pubblicazione=l'Unità|accesso=28 giugno 2012}}), ma le varie corti - a seguito di una minuziosa analisi della storia e del contenuto del documento - giunsero alla seguente conclusione: «si deve ritenere certo che i preparativi ordinati con la lettera di "Ultra" concernevano la futura aggressione alle malghe di Porzûs» ({{cita|Bianchi e Silvani 2012|p. 176||harv=s}}).</ref>}}
Con l'avanzare dell'età, Federico Guglielmo sentì sempre più crescere i dolori a causa di uno stile di vita sregolato e anche a causa di mali ereditari. La vita militare che tanto lo aveva impegnato alla fine, gli procurò non pochi problemi a cavalcare, ed inoltre era ingrassato notevolmente. Il 31 maggio [[1740]] il "re soldato" morì nel castello di [[Potsdam]] e venne sepolto il 4 giugno di quello stesso anno nella chiesa della omonima cittadina. Gli succedette il figlio [[Federico II di Prussia]], meglio noto come ''Federico il grande .''
 
== Matrimonio e discendenza ==
In seguito alcuni gappisti testimoniarono di non aver compreso il motivo della missione fino agli istanti precedenti l'eccidio.
[[File:Queen Sophie Dorothea of Prussia.jpg|thumb|La regina Sofia Dorotea di Hannover]]
Sposatosi con [[Sofia Dorotea di Hannover|Sofia Dorotea]] del [[Casato di Hannover]], figlia del sovrano britannico [[Giorgio I di Gran Bretagna|Giorgio I]] d'Inghilterra, ebbe da lei quattordici figli:
 
*Federico Luigi (1707–1708)
La Brigata Osoppo ospitava Elda Turchetti, una giovane donna che [[Radio Londra]] aveva indicato come spia<ref>Giovanni Di Capua, ''Resistenzialismo versus Resistenza'', Rubbettino 2005, ISBN 9788849811971, p. 110.</ref>, dopo che alcuni informatori britannici avevano avuto segnalazioni su una sua presunta amicizia con soldati tedeschi.
*[[Guglielmina di Prussia (1709-1758)|Guglielmina]] (1709 – 1758), sposò il Margravio [[Federico di Brandeburgo-Bayreuth]]
Giunta a conoscenza di tali voci sul suo conto, la stessa Turchetti si era presentata spontaneamente a un partigiano gappista suo conoscente di nome Attilio Tracogna "Paura": questi l'aveva condotta da Adriano Cemotto "Ciclone" (gerarchicamente dipendente proprio da Toffanin), che successivamente l'aveva consegnata all'osovano Agostino Benetti "Gustavo", dipendente dal responsabile dell'Ufficio Informazioni della Osoppo Leonardo Bonitti "Tullio". La Turchetti venne in seguito affidata all'osovano Ivo Feruglio "Marinaio", che infine la portò a Topli Uork<ref>{{cita|Bianchi e Silvani 2012|pp. 194-195||harv=s}}.</ref><ref>{{cita|Strazzolini 2008|min. 2:17:02 ss.|harv=s}}.</ref>.
*Federico Guglielmo (1710–1711)
Lì, dopo alcuni mesi di custodia, era stata ritenuta innocente al termine di un processo tenutosi il [[1º febbraio]] 1945<ref>Gianni Oliva, ''Foibe. Le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell'Istria'', Mondadori, Milano 2002, p. 195.</ref>.
*[[Federico il Grande|Federico]] (1712 – 1786), che divenne Re di Prussia
Dal ruolino della Osoppo tenuto da "Bolla" risulta che la donna era stata arruolata a tutti gli effetti nella 1ª Brigata Osoppo, col nome di "Livia"<ref>{{cita news|autore=Paolo Strazzolini|titolo=Elda Turchetti: vittima dimenticata|pubblicazione=La Domenica del Messaggero|data=11 giugno 1995}}</ref><ref>{{cita|Strazzolini 2006|pp. 58-59||harv=s}}</ref>.
*Carlotta Albertina (1713–1714)
La protezione data a Elda Turchetti fu in seguito indicata — nelle varie e spesso contraddittorie ricostruzioni di Toffanin — come il motivo scatenante dell'azione dei partigiani garibaldini<ref name=unita1997>{{cita news|autore=Danilo De Marco|url=http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t=ebook&file=/golpdf/uni_1997_08.pdf/12CUL02A.pdf|formato=PDF|titolo=Nubi sulla Resistenza|pubblicazione=l'Unità due|data=12 agosto 1997|accesso=1º luglio 2012}}</ref>.
*[[Federica Luisa di Prussia|Federica Luisa]] (1714 – 1784), sposò [[Carlo Guglielmo Federico di Brandeburgo-Ansbach|Carlo Guglielmo Federico]], Margravio di [[Brandeburgo-Ansbach]]
Successivamente all'eccidio, Toffanin accusò inoltre la Osoppo di aver contrastato la politica di collaborazione con i [[Resistenza jugoslava|partigiani jugoslavi]], di non aver redistribuito agli altri gruppi partigiani parte delle armi che fornite alla stessa Osoppo dagli angloamericani e di aver collaborato con elementi della [[Xª Flottiglia MAS (RSI)|Xª Flottiglia MAS]] e del [[Reggimento alpini "Tagliamento"]], appartenenti alla [[Repubblica Sociale Italiana]]<ref>Secondo le direttive del Comando generale del [[Corpo volontari della libertà]] del Nord Italia, emanate nell'ottobre 1944, ogni forma di collaborazione con i soldati della RSI e con le forze germaniche era da considerare come tradimento da punire con la condanna a morte, ma dalle ricostruzioni del dopoguerra risultò che era sempre stata la Xª MAS a cercare degli accordi con la Osoppo per opporsi alle mire jugoslave sui territori orientali italiani, ottenendone però sempre un rifiuto. Sul tema si veda anche la ricostruzione di tutta la vicenda dalla parte della Decima Mas in Mario Bordogna, ''Junio Valerio Borghese e la X Flottiglia MAS'', Mursia 1995, ISBN 88-425-1950-2.</ref>.
*[[Filippina Carlotta di Prussia|Filippina Carlotta]] (1716 – 1801), sposò [[Carlo I di Brunswick-Wolfenbüttel|Carlo I, Duca di Brunswick-Lüneburg]]
*Carlo (1717–1719)
*[[Sofia Dorotea di Prussia|Sofia Dorotea Maria]] (1719 – 1765), sposò il Margravio [[Federico Guglielmo di Brandeburgo-Schwedt]];
*[[Luisa Ulrica di Prussia|Luisa Ulrica]] (1720 – 1782), sposò [[Adolfo Federico di Svezia]]
*[[Augusto Guglielmo di Prussia|Augusto Guglielmo]] (1722&nbsp;– 1758)
*[[Anna Amalia di Prussia|Anna Amalia]] (1723&nbsp;– 1787), badessa di [[Abbazia di Quedlinburg|Quedlinburg]]
*[[Enrico di Prussia (1726-1802)|Enrico]] (1726–1802)
*[[Augusto Ferdinando di Prussia|Augusto Ferdinando]] (1730&nbsp;– 1813)
 
== Ascendenza ==
{|{{prettytable|align=center|text-align=center|font-size=90%}}
<div align="center">
{| class="wikitable"
|-
|[[File:Alfio Tambosso.jpg|x200px]]
|[[File:Mario Toffanin.jpg|x200px]]
|[[File:Francesco De Gregori detto Bolla partigiano osoviano e zio del cantautore De Gregori.jpg|x200px]]
|[[File:Elda Turchetti.jpg|x200px]]
|[[File:Gastone Valente.jpg|x200px]]
|[[File:Giovanni Comin.jpg|x200px]]
|-
| rowspan="16" align="center"| '''Federico Guglielmo I'''
|Alfio Tambosso "Ultra"
| rowspan="8" align="center"| '''Padre:'''<br />[[Federico I di Prussia]]
|[[Mario Toffanin]] "Giacca"
| rowspan="4" align="center"| '''Nonno paterno:'''<br />[[Federico Guglielmo I di Brandeburgo]]
|[[Francesco De Gregori (partigiano)|Francesco<br>De Gregori]] "Bolla"
| rowspan="2" align="center"| '''Bisnonno paterno:'''<br />[[Giorgio Guglielmo di Brandeburgo]]
|Elda Turchetti "Livia"
| align="center"| '''Trisnonno paterno:'''<br/ >[[Giovanni Sigismondo di Brandeburgo]]
|Gastone Valente "Enea"
|Giovanni Comin "Tigre"
|}
 
La ricostruzione dettagliata dello svolgimento dell'operazione gappista fu fornita nel corso dei processi e poi ripresa e approfondita in alcune pubblicazioni<ref>Si riportano qui le ricostruzioni tratte da {{cita|Bianchi e Silvani 2012|pp. 163 ss.||harv=s}}, assieme ai resoconti della stampa dell'epoca e all'ampio riassunto contenuto in {{cita|Cresta 1969|pp. 123-125||harv=s}}.</ref>.
La colonna raggiunse l'abitato di Porzûs e poi si divise in gruppi, che raggiunsero le malghe di Topli Uork in momenti diversi.
Per superare i posti di guardia osovani senza creare scompiglio, i gappisti affermarono d'essere in parte dei partigiani sbandati a seguito di un rastrellamento, in parte civili fuggiti da un treno che li portava in Germania, attaccato dall'aviazione alleata.
Un gruppo di garibaldini si spacciò per osovano.
 
Il messaggero del gruppo agli ordini di Toffanin fu Fortunato Pagnutti "Dinamite", un partigiano del quale sia i garibaldini che gli osovani si fidavano, avendo già svolto incarico di staffetta fra i due reparti.
Un osovano di guardia fu mandato a Topli Uork a informare Francesco De Gregori "Bolla"<ref>Zio dell'omonimo [[Francesco De Gregori|cantautore romano]].</ref>, comandante del Gruppo delle Brigate Est della Divisione partigiana Osoppo, il quale inviò sul luogo il [[commissario politico|delegato politico]]<ref>Tale era definita nei reparti osovani la figura nota come "commissario politico" fra i garibaldini.</ref> [[Partito d'Azione|azionista]] della VI Brigata Osoppo "Friuli" Gastone Valente "Enea", di passaggio alle malghe.
Questi ordinò di separare i presunti osovani dai garibaldini, volendo inviare i secondi al vicino reparto garibaldino di Canebola (una frazione di [[Faedis]]).
Durante l'operazione si palesò "Giacca", che fece arrestare tutti gli osovani presenti e attese l'arrivo di "Bolla" — in precedenza chiamato da "Enea" — che si trovava alla malga comando a una certa distanza.
Al suo arrivo "Bolla" fu immediatamente arrestato e subito dopo "Giacca" fece rastrellare la zona, catturando un altro gruppo di osovani in una malga vicina.
 
Nel contempo un reparto al comando di Vittorio Juri "Marco" si occupò di raccogliere tutto il materiale presente a Topli Uork: in tale frangente fu ucciso — essendo stato ritenuto un osovano — il giovane partigiano garibaldino Giovanni Comin "Tigre" (ribattezzato in seguito "Gruaro" dagli osovani).
Questi era fuggito da un treno che lo stava conducendo in un lager tedesco ed era stato indirizzato a Topli Uork dal parroco di Reana del Rojale<ref>{{cita|Strazzolini 2006|p. 58||harv=s}}.</ref>, poiché si trattava del covo partigiano più vicino<ref>{{cita news|autore=Brunello Mantelli|url=http://cerca.unita.it/ARCHIVE/xml/80000/76498.xml?key=Brunello+Mantelli&first=11&orderby=0&f=fir|titolo=Porzus, la lezione non è il nazionalismo|pubblicazione=l'Unità|data=23 febbraio 2003|accesso=28 giugno 2012}}</ref>.
Comin si stava avvicinando alle malghe dalla parte opposta alla strada percorsa dai gappisti, assieme al portavivande e staffetta della Osoppo Giovanni Cussig "Afro", che fu rapinato dell'orologio da polso da un garibaldino, ma presto rilasciato dietro assicurazione — data dall'osovano Gaetano Valente "Cassino" — che non si trattava di un partigiano<ref>{{cita|Bianchi e Silvani 2012|p. 164||harv=s}}</ref><ref>{{cita|Gervasutti 1997|p. 163||harv=s}}.</ref>.
 
Oltre a Comin furono subito uccisi De Gregori, Valente "Enea" e la Turchetti.
Dalle risultanze processuali risultò che De Gregori fu ucciso all'arma bianca, probabilmente per evitare il rumore delle armi da fuoco<ref>{{cita news|titolo=I responsabili del massacro nella morsa delle accuse|pubblicazione=[[La Stampa]]|data= 17 gennaio 1950|pagina=4}}</ref>.
Aldo Bricco "Centina", futuro comandante designato della formazione a Topli Uork per il passaggio delle consegne con De Gregori e giunto in vista di "Giacca" e i suoi assieme a quest'ultimo, riuscì rocambolescamente a fuggire: apertosi un varco a forza fra i gappisti, si lanciò di corsa dal costone del monte innevato; ferito da sei colpi di arma da fuoco fu ritenuto morto, ma riuscì a trascinarsi fino al vicino paese di [[Robedischis]], dove si fece medicare da alcuni partigiani sloveni, avendo loro raccontato d'esser stato ferito in uno scontro con i fascisti.
Il giorno successivo fu arrestato dagli sloveni insospettitisi, ma fu liberato da un amico grazie a un falso salvacondotto.
In seguito riuscì di nascosto a raggiungere le file osovane mentre i partigiani del IX Korpus intraprendevano una vana caccia all'uomo per riprenderlo<ref>{{cita news|titolo=L'eccidio di Porzus nel racconto di un superstite|pubblicazione=La Stampa|data=6 ottobre 1951|pagina=5}}</ref><ref>{{cita|Strazzolini 2008|min. 2:01:45 ss.|harv=s}}</ref>.
 
===Le uccisioni successive===
[[File:Guido Pasolini.jpg|thumb|right|upright|[[Guido Pasolini]] "Ermes"]]
 
Tredici altri partigiani, a seguito di processi sommari, furono imprigionati e fucilati nei giorni successivi nelle località limitrofe di Bosco Romagno, Ronchi di Spessa, Restocina e Rocca Bernarda (Prepotto): tra questi [[Guido Pasolini]] "Ermes", fratello di [[Pier Paolo Pasolini|Pier Paolo]], giunto a Topli Uork il 6 febbraio assieme a un gruppetto di osovani capitanato da "Centina".
Condotto assieme a "Cariddi", "Guidone" e "Toni" presso il luogo della sua esecuzione, Pasolini riuscì inizialmente a sfuggire all'esecuzione mentre scavava la sua propria fossa.
Ferito da una fucilata, raggiunse il paese di Sant'Andrat del Judro dove si fece medicare dal locale farmacista e poi proseguì a piedi per Dolegnano ([[San Giovanni al Natisone]]), rifugiandosi a casa di una conoscente: qui fu nuovamente arrestato dal partigiano Mario Tulissi, che lo riportò ai citati gappisti "Bino" e "Lilly".
Trascinato una seconda volta sul luogo dell'esecuzione, Guido Pasolini fu ucciso con un colpo di pistola<ref>{{cita|Strazzolini 2006|pp. 66-71||harv=s}}.</ref>.
 
Furono risparmiati due osovani che passarono nei GAP, Leo Patussi "Tin" e Gaetano Valente "Cassino".
Questi ultimi, assieme a Bricco, dopo la guerra furono tra i principali accusatori di Toffanin e compagni nei vari processi che si svolsero fra Udine, Venezia, Brescia, Lucca e Firenze.
Altri quattro osovani — Enzo d'Orlandi "Roberto", Aroldo Bollina "Gianni", Antonio di Memmo "Pescara" e un quarto del quale si conosce solo il nome di battaglia, "Leo" — erano giunti alle malghe assieme a "Ermes" con il gruppo di "Centina" il giorno prima dell'attacco: si salvarono in quanto, alloggiati in una malga distante qualche centinaio di metri, erano fuggiti per tempo avendo percepito il pericolo<ref>{{cita|Strazzolini 2008|min. 1:42:00 ss.|harv=s}}.</ref>.
Allo stesso modo si salvarono Giulio Emerati, Virgilio Cois, Giovanni Turco ed Enrico Smerrecar, che per portare armi o viveri stavano risalendo verso le malghe e furono fermati dai garibaldini ma rilasciati non essendo ritenuti osovani: con Emerati era il giovane studente in medicina Franco Celledoni "Atteone", che invece fu catturato e in seguito ucciso<ref>{{cita|Strazzolini 2008|min. 2:14:00 ss.|harv=s}}</ref><ref>Emerati testimoniò al processo, rilasciando poi delle interviste negli anni ottanta e novanta, nelle quali raccontò la storia di quel giorno. Cfr. Paola Treppo, «Vent'anni fa un filmato ricco di testimonianze che precorse i tempi», ''Il Gazzettino'', 10 febbraio 2008.</ref>.
<br clear="all" />
 
===Altri osovani uccisi===
[[File:Erasmo Sparacino.jpg|thumb|upright|Erasmo Sparacino]]
 
Un evento considerato «il prologo dei tragici fatti di Porzûs»<ref>{{cita|Strazzolini 2006|p. 39||harv=s}}.</ref> ebbe luogo il 16 gennaio 1945, quando altri tre osovani — Antonio Turlon "Make" (in altre fonti "Macche" o "Macché"), Annunziato Rizzo "Rinato" e Mario Gaudino "Vandalo" — furono sequestrati da una pattuglia del IX Korpus sloveno in località Platischis nel comune di [[Taipana]] ([[provincia di Udine|UD]]): dopo le infruttuose richieste di rilascio da parte di "Bolla", i tre furono fucilati il 12 aprile 1945 nella località di Rucchin di [[Drenchia]]<ref>{{cita|Strazzolini 2006|pp. 39-40||harv=s}}.</ref><ref>Il 14 marzo successivo fu arrestato dal IX Korpus anche Marino Cicuttini "Cecco", già vicecomandante della VI Brigata Osoppo-Friuli, inviato nell'autunno del 1944 nelle valli del Natisone per creare e comandare la VII Brigata Osoppo. Si veda {{cita news|autore=Renzo Biondo|url=http://www.fiapitalia.it/immagini/copertine/pdf/Lettera%20n.5_6_10.pdf|titolo=Le brigate "Osoppo": ispirazione azionista e cattolica|pubblicazione=Lettera ai compagni|data=settembre/dicembre 2010|pagina=11|accesso=18 luglio 2012}}. Cicuttini riuscì però a fuggire dall'improvvisata prigione nella quale era stato rinchiuso assieme a "Make", "Rinato" e "Vandalo", nella latteria-scuola di Obenetto (Zavart di Drenchia): {{cita|Strazzolini 2008|min. 1:14:00 ss.|harv=s}}.</ref>: il nome di battaglia di tutti e tre appare nella lapide in memoria dei trucidati murata a Topli Uork, mentre il nome dei soli Turlon e Rizzo appare nel cippo ''Ai Martiri della Osoppo'' di Bosco Romagno ([[Cividale del Friuli|Cividale]])<ref>{{cita web|titolo=Ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza italiana: Francesco De Gregori|url=http://www.italia-liberazione.it/ultimelettere/ultimelettereanagrafe.php?ricerca=502&attresi=3&barra=si&lingua=it|pubblicazione=Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia|accesso=28 giugno 2012}}</ref>.
Tra i partigiani sfuggiti all'eccidio figura Erasmo Sparacino "Flavio", che però fu catturato in seguito dai tedeschi e fucilato a Cividale il 12 febbraio 1945<ref>{{cita news|autore=Paolo Strazzolini|titolo=L'identità di "Vandalo" ora non è più un mistero|pubblicazione=Messaggero Veneto|data=18 novembre 1996}}</ref><ref>{{cita|Strazzolini 2006|pp. 64-65||harv=s}}.</ref>: il suo nome appare comunque in entrambi i memoriali di cui sopra.
 
==Le vittime==
Quello che segue è l'elenco completo degli osovani uccisi dai gappisti, comprendendo fra questi anche Elda Turchetti ed Egidio Vazzas (o Vazzaz), il cui corpo non fu mai ritrovato<ref>{{cita|Gervasutti 1997|pp. 213 ss||harv=s}}</ref>.
 
{| style="width:100%; background:transparent; font-size:90%"
| align="center" |
{| class="prettytable sortable"
! width="70" | Nome !! width="80" | Cognome !! width="110" | Nome di guerra !! width="110" | Luogo dell'uccisione !! width="115" | Data dell'uccisione !! width="320" | Note biografiche
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| align="center"| '''Trisnonna paterna:'''<br />[[Anna di Prussia (1576-1625)|Anna di Prussia]]
| Angelo || Augello || ''Massimo'' || Rocca Bernarda || 9 febbraio 1945 || Nato a [[Canicattì]] (AG) il 22 luglio 1923. Effettivo del Gruppo Est Brigate Osoppo Friuli – I Brigata. Il suo corpo è tumulato a Udine.
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| rowspan="2" align="center"| '''Bisnonna paterna:'''<br/ >[[Elisabetta Carlotta di Wittelsbach-Simmern]]
| Antonio || Cammarata || ''Toni'' || Bosco Romagno || 18 febbraio 1945 || Nato a [[Petraglia]] (PA) il 23 dicembre 1923. Effettivo del Comando Gruppo Brigate Osoppo Friuli Est – I Brigata Reparto Comando. Tumulato prima a Cividale, poi a Udine.
| align="center"| '''Trisnonno paterno:'''<br/ >[[Federico IV Elettore Palatino]]
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| align="center"| '''Trisnonna paterna:'''<br />[[Luisa Giuliana di Nassau]]
| Franco || Celledoni || ''Ateone (Atteone)'' || Rocca Bernarda || 12 febbraio 1945 || Nato a [[Faedis]] il 14 dicembre 1918. Effettivo della II Divisione Osoppo Friuli. Ufficiale medico (studente di medicina), fu catturato dai gappisti mentre si recava a Topli Uork. Tumulato a Faedis.
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| rowspan="4" align="center"| '''Nonna paterna:'''<br />[[Luisa Enrichetta d'Orange]]
| Giovanni || Comin || ''Tigre'' (o ''Gruaro'') || Malghe di Topli Uork || 7 febbraio 1945 || Nato a [[Bagnara di Gruaro]] (VE) nel 1926. operaio. Garibaldino col nome di ''Tigre'', era fuggito dalla deportazione in Germania ed indirizzato a Topli Uork dal parroco di Reana del Rojale<ref>{{cita|Strazzolini 2006|pp. 58-59||harv=s}}.</ref>. Nelle successive ricostruzioni di parte osovana viene chiamato ''Gruaro'' e dichiarato effettivo della III Divisione Osoppo Friuli – Comando Gruppo Brigata Est – I Brigata – Battaglione Val Torre. Tumulato a Bagnara di Gruaro.
| rowspan="2" align="center"| '''Bisnonno paterno:'''<br />[[Federico Enrico d'Orange]]
| align="center"| '''Trisnonno paterno:'''<br/ >[[Guglielmo I d'Orange]]
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| align="center"| '''Trisnonna paterna:'''<br />[[Louise de Coligny]]
| Francesco || De Gregori || ''Bolla'' || Malghe di Topli Uork || 7 febbraio 1945 || Nato a [[Roma]] il 10 giugno 1910. Capitano degli alpini. Comandante del Gruppo Brigate Osoppo dell'Est. Tumulato a Udine.
|-
| rowspan="2" align="center"| '''Bisnonna paterna:'''<br/ >[[Amalia di Solms-Braunfels]]
| Enzo || D'Orlandi || ''Roberto'' || Bosco Musich – Restocina || 12 febbraio 1945 || Nato a [[Cividale del Friuli]] il 3 febbraio 1923. Studente. Effettivo della III Divisione Osoppo Friuli – I Brigata – Battaglione Julio. Tumulato a Cividale del Friuli.
| align="center"| '''Trisnonno paterno:'''<br/ >[[Giovanni Alberto I di Solms-Braunfels]]
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| align="center"| '''Trisnonna paterna:'''<br />[[Agnese di Sayn-Wittgenstein]]
| Pasquale || Mazzeo || ''Cariddi'' || Bosco Romagno || 18 febbraio 1945 || Nato a [[Messina]] il 9 maggio 1914. Già brigadiere della [[Guardia di Finanza]] prima di entrare nella Osoppo. Effettivo della III Divisione Osoppo Friuli – I Brigata Reparto Comando. Tumulato a Udine.</small>
|-
| rowspan="8" align="center"| '''Madre:'''<br />[[Sofia Carlotta di Hannover]]
| Gualtiero || Michielon || ''Porthos'' || Bosco Musich – Restocina || 8-18 febbraio 1945 || Nato a [[Portogruaro]] (VE) il 17 luglio 1920. Studente. Effettivo della III Divisione Osoppo Friuli – I Brigata Reparto Comando. Tumulato a Portogruaro.
| rowspan="4" align="center"| '''Nonno materno:'''<br />[[Ernesto Augusto di Brunswick-Lüneburg]]
| rowspan="2" align="center"| '''Bisnonno materno:'''<br />[[Giorgio di Brunswick-Lüneburg]]
| align="center"| '''Trisnonno materno:'''<br/ >[[Guglielmo di Brunswick-Lüneburg]]
|-
| align="center"| '''Trisnonna materna:'''<br />[[Dorothea di Danimarca]]
| Guido || Pasolini || ''Ermes'' || Bosco Romagno || 12 febbraio 1945 || Nato a [[Bologna]] il 4 ottobre 1925. Studente. Effettivo della III Divisione Osoppo Friuli – VI Brigata – Vice delegato Polizia di Brigata. Tumulato a Casarsa della Delizia (PN).
|-
| rowspan="2" align="center"| '''Bisnonna materna:'''<br/ >[[Anna Eleonora di Assia-Darmstadt]]
| Antonio || Previti || ''Guidone'' || Bosco Romagno || 18 febbraio 1945 || Nato a [[Messina]] il 13 gennaio 1919. Effettivo della III Divisione Osoppo Friuli – I Brigata – Battaglione Zanon. Carabiniere a [[Zara]] prima di entrare nella Osoppo. Tumulato a Udine.
| align="center"| '''Trisnonno materno:'''<br/ >[[Luigi V d'Assia-Darmstadt]]
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| align="center"| '''Trisnonna materna:'''<br />[[Maddalena di Brandeburgo]]
| Salvatore || Saba || ''Cagliari'' || Bosco Romagno o Restocina || 9 febbraio 1945 || Nato a [[Sardiana]] (CA) il 22 luglio 1921. Effettivo della III Divisione Osoppo Friuli – I Brigata – Battaglione Zanon. Tumulato a Udine.
|-
| rowspan="4" align="center"| '''Nonna materna:'''<br />[[Sofia del Palatinato]]
| Giuseppe || Sfregola || ''Barletta'' || Ronchi di Spessa || 7 o 8 febbraio 1945 || Nato a [[Barletta]] il 31 ottobre 1921. Effettivo della III Divisione Osoppo Friuli – I Brigata – Battaglione Zanon. Ucciso prima che iniziassero gli interrogatori, prima di entrare nella Osoppo era brigadiere dei Carabinieri. Tumulato a Barletta.
| rowspan="2" align="center"| '''Bisnonno materno:'''<br />[[Federico V Elettore Palatino]]
| align="center"| '''Trisnonno materno:'''<br/ >[[Federico IV Elettore Palatino]]
|-
| align="center"| '''Trisnonna materna:'''<br />[[Luisa Giuliana d'Orange-Nassau]]
| Primo || Targato || ''Rapido'' || Bosco Romagno || 10 febbraio 1945 || Nato a [[Piombino Dese]] (PD) il 1º luglio 1923, residente a Novate Milanese. Effettivo della III Divisione Osoppo Friuli – I Brigata – Reparto Comando. Tumulato a Udine, il suo corpo in seguito venne traslato a Milano.
|-
| rowspan="2" align="center"| '''Bisnonna materna:'''<br/ >[[Elisabetta Stuart (1596-1662)|Elisabetta Stuart]]
| Elda || Turchetti || ''Livia'' || Malghe di Topli Uork || 7 febbraio 1945 || Nata a [[Povoletto]] (UD) il 21 dicembre 1923. Cotoniera. Ex prigioniera della Osoppo. Tumulata a Savorgnano al Torre (UD).
| align="center"| '''Trisnonno materno:'''<br/ >[[Giacomo I d'Inghilterra]]
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| align="center"| '''Trisnonna materna:'''<br />[[Anna di Danimarca]]
| Giuseppe || Urso || ''Aragona'' || Bosco Musich – Restocina || 10 febbraio 1945 || Nato ad [[Aragona (Italia)|Aragona]] (AG) il 1º giugno 1923. Effettivo della III Divisione Osoppo Friuli – I Brigata – Battaglione Zanon. Tumulato a Udine, traslato poi a Canicattì (AG).
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| Gastone || Valente || ''Enea'' || Malghe di Topli Uork || 7 febbraio 1945 || Nato a [[Udine]] il 30 ottobre 1913. Effettivo della III Divisione Osoppo Friuli, delegato politico del Partito d'Azione. Tumulato a Udine.
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| Egidio || Vazzas (Vazzaz) || ''Ado'' || Località ignota || 7 febbraio 1945 ? || Nato a [[Taipana]] (UD) il 10 settembre 1919. Muratore. Effettivo della III Divisione Osoppo Friuli – I Brigata – Battaglione Zanon. Il suo corpo non venne mai recuperato. Si presume che sia stato ucciso nelle vicinanze delle malghe di Topli Uork.
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== Onorificenze ==
==Le prime notizie dell'eccidio e le reazioni==
{{Onorificenze
Nei giorni immediatamente seguenti all'eccidio, scoperto da alcuni abitanti del luogo, le notizie si accavallarono confuse: la direzione della federazione del PCI di Udine fece circolare la voce secondo la quale l'attacco fosse opera di forze tedesche o fasciste<ref>{{cita news|autore=Ercole Moggi|titolo=Nega e non ricorda il principale imputato|pubblicazione=La Stampa|data=11 gennaio 1950|pagina= 4}}</ref>.
|immagine=Ord.Aquilanera.png
Qualche giorno dopo la Gioventù Antifascista Italiana e Slovena, un'organizzazione politica che propugnava l'annessione della zona alla Jugoslavia, organizzò a [[Circhina]] una conferenza cui parteciparono alcuni garibaldini della Natisone, nel corso della quale fu annunciata la soppressione del comando osovano senza peraltro specificare a opera di chi: vi furono applausi e grida di entusiasmo, giacché fra i garibaldini era opinione diffusa che gli osovani fossero dei reazionari in combutta con i fascisti<ref>{{cita|Gervasutti 1997|p. 172||harv=s}}.</ref>.
|nome_onorificenza=Gran Maestro dell'Ordine dell'Aquila Nera
 
|collegamento_onorificenza=Ordine dell'Aquila Nera
===La relazione di Toffanin, Plaino e Juri===
|motivazione=
Il 10 febbraio Mario Toffanin (che in tale occasione si firmò col suo secondo nome di guerra "Marino") e i suoi sottoposti, Aldo Plaino "Valerio" e il citato Vittorio Juri "Marco", stilarono una relazione indirizzata alla federazione comunista di Udine e al comando del IX Korpus sloveno tramite Giovanni Padoan "Vanni" e Mario Blason "Bruno" (vicecommissario politico della Garibaldi Natisone), in cui sostennero che l'esecuzione aveva avuto «pieno consenso della Federazione del partito», accusando i partigiani della Osoppo di essere dei traditori venduti a fascisti e tedeschi, aggiungendo il particolare secondo il quale "Bolla", in punto di morte, avrebbe inneggiato al «fascismo internazionale». I tre comandanti gappisti scrissero degli osovani che «esaminati attentamente uno a uno, abbiamo notato che essi non erano altro che figli di papà, delicati attendisti che se la passavano comodamente in montagna». Nella parte finale della relazione "Marino", "Valerio" e "Marco" invitarono i «comandi superiori» a «estirpare del tutto queste formazioni reazionarie». I tre allegarono un documento indicante ulteriori obiettivi da tenere in considerazione: fra di essi Candido Grassi "Verdi" (definito «pericolosissimo») e don [[Aldo Moretti]] "Lino"<ref>{{cita|Bianchi e Silvani 2012|pp. 191-193||harv=s}}.</ref>. Nel corso del successivo processo le difese di alcuni imputati affermarono che tale relazione venne stilata in data successiva, al fine di far apparire un'iniziativa autonoma di "Giacca", "Valerio" e "Marco" quella che invece era stata l'esecuzione di precisi ordini superiori<ref>{{cita|Bianchi e Silvani 2012|p. 190||harv=s}}.</ref>. In anni più recenti, "Vanni" confermò l'autenticità del documento, ma affermò di non averlo mai visto all'epoca<ref name=unita1997/>. La ricercatrice storica [[Alessandra Kersevan]] - considerando che la relazione venne procurata grazie ad un furto ad una sede dell'[[Associazione Nazionale Partigiani Italiani|ANPI]] da parte di alcuni osovani - insinuò invece che potesse essere stata prodotta da questi ultimi<ref>{{cita|Kersevan 1995|pp. 255-262|harv=s}}.</ref>.
|luogo=
 
}}
===Le inchieste partigiane===
{{Onorificenze
Lo stesso giorno in cui Toffanin inviò la sua relazione, il comando della Osoppo affidò l'incarico di compiere una prima indagine ad Agostino Benetti "Gustavo"<ref>{{cita|Gervasutti 1997|pp. 172-176||harv=s}}.</ref>, che in pochi giorni appuntò i propri sospetti sui garibaldini.
|immagine=Ord.Aquilarossa-GC.png
Informati i superiori, questi interessarono il CLN provinciale, che in una riunione del 21 febbraio — in assenza del rappresentante comunista — incaricò un rappresentante del Partito d'Azione e uno della Democrazia Cristiana di svolgere ulteriori accertamenti.
|nome_onorificenza=Gran Maestro dell'Ordine dell'Aquila Rossa
Fu avvisato il Comitato Regionale Veneto (CRV), il quale avocò a sé l'inchiesta: il 5 marzo successivo il CLN provinciale sospese quindi la propria indagine. Il CRV istituì una nuova commissione, formata da un rappresentante del Partito d'Azione (Luciano Commessatti "Gigi"), uno della DC e un terzo del PCI. Il 12 marzo Commessatti s'incontrò con i garibaldini Ostelio Modesti "Franco", segretario della federazione del PCI di Udine, e il citato "Ultra", vicesegretario: quest'ultimo affermò che l'azione delle malghe di Topli Uork era stata «un colpo di testa di "Giacca"»<ref name=gervasutti173>{{cita|Gervasutti 1997|p. 173||harv=s}}.</ref>. Organizzato un successivo incontro con i capi garibaldini aperto anche ai comandanti osovani, Commessatti si poté incontrare solo con i primi, giacché i dirigenti osovani erano stati tutti arrestati dai tedeschi nel corso di una riunione indetta per organizzare l'incontro con i garibaldini. A seguito di quell'arresto di massa, i partigiani sloveni diffusero un volantino nella bassa friulana, in cui si legge che
|collegamento_onorificenza=Ordine dell'Aquila Rossa
 
|motivazione=
{{quote|I resti di quella che era la Brigata Osoppo, che si è lasciata annientare dal tiranno nazifascista pur di non cercare aiuto in una quanto mai opportuna fusione con le forze di liberazione comuniste del generale Tito sono ormai senza capi. Essi non sono più combattenti per la libertà, ma falliti politici (…), essi non sono più partigiani! Perché non hanno voluto sottostare agli ordini del Maresciallo Tito Comandante in Capo delle Forze di Liberazione, sono stati abbandonati alla loro sorte e sono stati logicamente sconfitti. I superstiti che ancora vagano per le campagne non sono autorizzati da alcuna autorità competente. Coloro che non dimostrano di essere regolarmente inquadrati nelle Osvobodilne Brigate non devono ricevere nessun aiuto dalla popolazione. La popolazione che lo farà imparerà a conoscere la potenza di Tito (…)<ref>{{cita|Gervasutti 1997|p. 186||harv=s}}.</ref>}}
|luogo=
 
}}
[[File:Mario Lizzero.jpg|upright|thumb|left|[[Mario Lizzero]] "Andrea"]]
 
L'incontro fra la commissione e i capi garibaldini Lino Zocchi "Ninci" (comandante del gruppo Divisioni Garibaldi del Friuli), Mario Lizzero "Andrea" (commissario politico delle brigate Garibaldi in Friuli), Modesti e Valerio Stella "Ferruccio" (comandante della Brigata Garibaldi Friuli) si svolse in un clima molto teso. La tesi nuovamente propugnata dai garibaldini a Commessatti fu quella del colpo di testa di Toffanin, ma i capi comunisti impedirono alla commissione di interrogarlo, rassicurando che avrebbero provveduto loro alla sua «giusta punizione»<ref name=gervasutti173/>. La commissione si trovò quindi a un punto morto: mancando la relazione ufficiale della Osoppo a causa dell'arresto dei suoi capi, i garibaldini si rifiutarono di mettere per iscritto le loro informazioni e, a quel punto, l'unico documento in mano ai commissari fu una relazione degli osovani [[Alfredo Berzanti]] "Paolo" (in seguito deputato democristiano) ed Eusebio Palumbo "Olmo": il membro comunista della commissione si rifiutò però di accettarla perché «di parte»<ref name=gervasutti174>{{cita|Gervasutti 1997|p. 174||harv=s}}.</ref>.
 
Il 31 marzo 1945 il CLN invitò i comandi osovani e garibaldini a nominare un'altra commissione paritetica d'inchiesta, nella speranza non solo di chiarire l'episodio di Topli Uork, ma anche di conoscere la sorte — ancora ignota — degli altri osovani arrestati da "Giacca" e i suoi uomini. Il 3 aprile successivo si ritrovarono "Verdi" e Giovanni Battista Carron "Vico" per la Osoppo insieme a Ostelio Modesti per i garibaldini; quest'ultimo cambiò radicalmente la versione precedentemente sostenuta da Tambosso, affermando che l'attacco alle malghe era stata opera di fascisti camuffati da partigiani, così com'era stato annunciato dalla radio, che tuttavia aveva in quei giorni fatto riferimento a un episodio avvenuto nella zona del [[Collio (territorio)|Collio]], distante da Porzûs<ref name=gervasutti174/>.
Modesti passò all'attacco, accusando gli osovani di non essersi adoperati con le popolazioni friulane per propagandare la figura di Tito, del quale si aspettava l'entrata da liberatore a Udine<ref>{{cita|Gervasutti 1997|pp. 174-175||harv=s}}.</ref>. Alla fine della discussione si decise di nominare l'ennesima commissione formata da un osovano, un garibaldino e un rappresentante del CLN come presidente. Per tali incarichi furono designati rispettivamente il citato Berzanti, Valeriano Rossitti "Pietro" e il [[Partito Liberale Italiano|liberale]] Manlio Gardi "Bruto". Per vari motivi, tuttavia, quest'ultima commissione non s'insediò mai, e mentre gli osovani chiesero a varie riprese di andare a fondo della questione, i garibaldini misero in campo una serie di atteggiamenti dilatori. La successiva insurrezione di aprile/maggio 1945 fece passare in secondo piano l'indagine.
 
Durante queste vicende, tuttavia, all'interno delle forze partigiane comuniste sorse una reazione all'operato del gruppo di Toffanin.
Mario Lizzero, venuto a sapere dell'eccidio, propose la condanna a morte per Toffanin e i suoi uomini, ma questi in un primo tempo non ricevettero alcuna sanzione, venendo destituiti dalle loro posizioni di comando nei GAP ad aprile del 1945, oltre due mesi dopo l'attacco<ref>{{cita news|autore=Giuseppina Manin|url=http://archiviostorico.corriere.it/1997/luglio/30/Strage_partigiani_arriva_film_tabu_co_0_9707307692.shtml|titolo=Strage di partigiani, arriva il film tabù|pubblicazione=Corriere della Sera|data= 30 luglio 1997|accesso=28 giugno 2012}}</ref><ref>{{cita|Gervasutti 1997|p. 173||harv=s}}.</ref>. Secondo la ricostruzione di "Vanni", Lizzero sarebbe stato invece il grande artefice della strategia difensiva del partito comunista, tendente a colpevolizzare il solo Toffanin per impedire che si arrivassero a scoprire i veri mandanti dell'eccidio, e cioè il IX Korpus sloveno che aveva ordinato l'operazione alla federazione del PCI di Udine: fatto arrestare Toffanin il 20 febbraio 1945 e condannatolo alla fucilazione, Lizzero a seguito di un incontro a quattr'occhi inaspettatamente lo liberò, rifiutandosi poi di rivelare il contenuto del loro colloquio. Contestualmente — riferisce "Vanni" — Lizzero sviò le indagini subito ordinate dal Comitato Regionale Veneto, impedendo a Luciano Commessatti "Gigi" di interrogare Toffanin, tanto che, tornato a Padova, "Gigi" denunciò la non collaborazione di Lizzero e di "Ninci"<ref>Giovanni Padoan, «[http://www.carnialibera1944.it/resistenza/porzus.htm La regia dei fatti di Porzûs]», da ''Porzûs: strumentalizzazione e realtà storica'', Edizioni della Laguna, 2000.</ref>. I dirigenti della federazione del PCI di Udine Modesti e Tambosso sostennero, sia all'epoca che in seguito, che la responsabilità dell'azione fosse da imputarsi interamente a Toffanin, che non avrebbe interpretato correttamente gli ordini.
 
==I processi==
{|{{prettytable|align=center|text-align=center|font-size=90%}}
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|[[File:Esumazioni Bosco Romagno.jpg|x140px]]
|[[File:Funerali Cividale 21 giugno 1945.jpg|x140px]]
|[[File:Funerali Cividale 21 giugno 1945-2.jpg|x140px]]
|[[File:Funerale Guido Pasolini.jpg|x140px]]
|-
|Esumazione di un corpo a Bosco Romagno
|colspan=2|Due immagini dei funerali di Cividale
|Inumazione della salma di Guido Pasolini nel cimitero di Casarsa della Delizia
|}
 
Subito dopo la Liberazione (25 aprile 1945) i primi a denunciare data e dinamica dell'eccidio furono i citati Grassi (all'epoca [[Partito Socialista Italiano|socialista]], in seguito deputato [[Partito Socialista Democratico Italiano|socialdemocratico]]) e Berzanti. Questi accusarono i garibaldini di aver ucciso i propri compagni di lotta «sol perché si erano resi colpevoli di non aver voluto combattere i tedeschi sotto la bandiera jugoslava»<ref>{{cita news|titolo=Non tutti gli imputati siederanno tra le sbarre|pubblicazione=La Stampa|data=23 dicembre 1949}}</ref>. Verso metà giugno i corpi dei trucidati di Bosco Romagno vennero ritrovati dai parenti. Il 21 giugno 1945 si svolsero i funerali delle vittime a [[Cividale del Friuli]]<ref>{{cita news|titolo=I responsabili del massacro nella morsa delle accuse|pubblicazione=La Stampa|data=17 gennaio 1950|pagina= 4}}</ref><ref>Dopo i funerali, le bare vennero tumulate in diverse località: {{cita|Strazzolini 2006|pp. 71-73|harv=s}}</ref>. Il 23 giugno, Grassi e Berzanti presentarono una denuncia al Procuratore del Regno di Udine, a nome del Comando del Gruppo Divisioni "Osoppo Friuli"<ref>{{cita pubblicazione | quotes =no | cognome = | nome = | data = 12 ottobre 2005 | titolo = Sentenza del giudice istruttore di Udine. Vol. I. 5 novembre 1947 | rivista = Processo Porzus. Documenti in copia dall'Archivio Osoppo di Udine. Istruttoria e dibattimento | editore = Istituto friulano per la storia del Movimento di Liberazione | url = http://beniculturali.ilc.cnr.it:8080/Isis/servlet/Isis?Conf=/usr/local/IsisGas/InsmliConf/Insmli.sys6.file&Obj=@Insmlie.pft&Opt=search&Field0=zzG01/00025/01%20*%20cts=d
| lingua = | accesso = 28 giugno 2012 }}</ref><ref>{{cita|Bianchi e Silvani 2012|p. 14||harv=s}}.</ref>.
Nei giorni precedenti i due avevano ripetutamente chiesto a Zocchi e Lizzero di associarsi nella denuncia, ottenendo tuttavia sempre un rifiuto<ref>{{cita|Gervasutti 1997|p. 176||harv=s}}.</ref>. Passando i mesi senza novità alcuna ed esasperati per l'attesa, i partigiani della Osoppo pubblicarono nel 1947 un numero unico stampato a Udine, riproducendo tutti i documenti accusatori «contro tutte le omertà che vietano il libero corso della giustizia»<ref>{{cita news|autore=Ercole Moggi|titolo=Il processo per la strage dei partigiani della "Osoppo"|pubblicazione=La Stampa|data= 10 gennaio 1950|pagina= 8}}</ref>.
 
===Il processo di primo grado===
{{doppia immagine|right|Porzus - La Stampa.png|170|Prima sentenza Porzus.jpg|210|Confronto tra i commenti alle sentenze di primo grado dei quotidiani ''[[La Stampa]]'' e ''[[l'Unità]]'': il primo evidenzia le pesanti condanne, il secondo pone in rilevo l'assoluzione dal reato di tradimento, affermando che «i garibaldini della Natisone escono a testa alta dall'aula»}}
Il processo fu istituito in prima battuta dalla procura di Udine, che tuttavia poco dopo trasmise gli incartamenti al tribunale militare di Verona. Da questo le carte passarono alla procura di Venezia, che concluse il 13 dicembre 1948 l'istruttoria penale con rinvio a giudizio di 45 imputati davanti alla corte d'assise di Udine per rispondere dei delitti di omicidio aggravato continuato e saccheggio<ref>{{cita|Bianchi e Silvani 2012|p. 14||harv=s}}.</ref>. Per [[legittima suspicione]] la Corte di Cassazione trasferì il procedimento a [[Brescia]], dove il dibattimento ebbe inizio il 9 gennaio 1950. Il 20 gennaio la corte d'assise di Brescia, con ordinanza propria, rinviò la causa a nuovo ruolo per permettere al pubblico ministero di contestare altri reati agli imputati.
Il 2 maggio 1950 la madre di Franco Celledoni, una vittima osovana dell'eccidio, denunciò al procuratore della Repubblica di Udine i citati Tambosso, Stella e Padoan quali presunti mandanti della strage, nonché Enzo Iurich (Jurich) "Ape" quale esecutore materiale dell'uccisione di Angelo Augelli "Massimo"<ref name=iurich>Iurich non partecipò all'attacco alle malghe di Topli Uork, essendo lo stesso giorno impegnato con un altro gruppo di gappisti nell'assalto alle carceri di Udine, dalle quali furono liberati 73 partigiani. In merito si veda Pierluigi Visintin, «L'assalto alle carceri di Udine: un'azione romanzesca», ''Patria Indipendente'', 10 dicembre 2004, pp. 25-26.</ref>. L'istruttoria nascente da tale nuova denuncia fu unificata con la precedente, e l'8 febbraio 1951 il giudice istruttore di Venezia ordinò un nuovo rinvio a giudizio avanti la corte d'assise di Brescia degli imputati delle due istruttorie, per rispondere dei reati precedentemente contestati, cui si aggiunsero quelli di sequestro di persona, plagio e attentato all'integrità territoriale dello Stato. Il processo fu trasferito una seconda volta per legittima suspicione avanti la corte d'assise di [[Lucca]], dove nel settembre [[1951]] ricominciò la fase dibattimentale<ref>{{cita|Bianchi e Silvani 2012|pp. 11-15||harv=s}}.</ref><ref>{{cita|Gervasutti 1997|p. 177||harv=s}}.</ref>. Il 26 settembre 1951 [[Pier Paolo Pasolini]] testimoniò in aula in quanto parte lesa<ref>Fernando Bandini, Laura Betti (a cura di), ''Pasolini: cronaca giudiziaria, persecuzione, morte'', Garzanti, Milano 1977, p. 226.</ref>.
 
Alcuni dei maggiori imputati erano da tempo fuggiti in Jugoslavia o in Cecoslovacchia: su 51 di essi risultavano latitanti in 18<ref>{{cita news|autore=Ercole Moggi|titolo=Nega e non ricorda il principale imputato|pubblicazione=La Stampa|data=11 gennaio 1950|pagina=4}}</ref>, fra i quali Mario Toffanin "Giacca", Felice Angelini "Fuga", Bruno Grion "Falchetto", Vittorio Iuri (Juri) "Marco", Leonida Mazzaroli "Silvestro", Fortunato Pagnutti "Dinamite", Bruno Pizzo "Cunine", Antonio Mondini "Boris", Adriano Cernotto "Ciclone"<ref>{{cita|Gervasutti 1997|pp. 177-178||harv=s}}.</ref>, Gustavo Bet "Gastone"<ref name="mautino">{{cita news|autore=Ferdinando Mautino|url=http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t=ebook&file=/archivio/uni_1952_04/19520407_0001.pdf|formato=PDF|titolo=La sentenza per i fatti di Porzus ha stroncato l'infame accusa di tradimento|pubblicazione=l'Unità|data=7 aprile 1952|accesso=28 giugno 2012}}</ref> e Italo Zaina "Nullo"<ref>{{cita news|autore=Ercole Moggi|titolo=Grave documento di un imputato latitante|pubblicazione=La Stampa|data=12 gennaio 1950|pagina=5}}</ref>. Aldo Plaino risultava residente nella Zona B del [[Territorio Libero di Trieste]] ad amministrazione militare jugoslava<ref>''Italian affairs: documents and notes'' (in inglese), Presidenza del Consiglio dei Ministri, servizio Informazioni, 1954, vol. III, p. 413.</ref>, mentre Giovanni Padoan viveva a Praga lavorando per le trasmissioni in lingua italiana della radio nazionale, frequentando nel contempo la scuola del PCI di [[Dobřichovice]] assieme a vari altri partigiani italiani ivi rifugiati in quanto accusati di atti di violenza nel dopoguerra<ref>{{cita pubblicazione|autore=Philip Cooke|anno=2006|titolo =Da partigiano a quadro di partito: l'educazione degli emigranti politici italiani in Cecoslovacchia|rivista=RS – Ricerche storiche|editore=Istituto per la Storia della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Reggio Emilia|città=Reggio Emilia|numero=101|pagine=26-27}}</ref>.
 
Il 6 aprile [[1952]] vi fu la prima sentenza: [[Mario Toffanin]], Vittorio Juri e Alfio Tambosso furono condannati all'ergastolo; Aldo Plaino e Ostelio Modesti a trent'anni di reclusione ciascuno. Nel complesso, furono irrogati tre ergastoli e 659 anni di reclusione a quarantuno imputati<ref>{{cita|Bianchi e Silvani 2012|pp. 7-8||harv=s}}.</ref><ref>Il conteggio risulta invece di 704 anni, 2 mesi e 10 giorni per ''La Stampa'': {{cita news|titolo=Quarantun condanne per la strage di Porzus|pubblicazione=[[La Stampa]]|data= 7 aprile 1962|pagina=1}}.</ref>, ridotti a 289 per l'applicazione di una serie di condoni previsti da norme entrate in vigore nel frattempo. Per effetto di ciò Toffanin e Juri si videro ridotta la pena a trent'anni, Tambosso a ventinove, Modesti a nove e Plaino a dieci. Dieci imputati furono assolti, fra di essi Lino Zocchi "Ninci", Mario Fantini "Sasso" (già comandante della Divisione Garibaldi Natisone), Valerio Stella "Ferruccio" (già comandante della Brigata Garibaldi Friuli) e Giovanni Padoan "Vanni".
Tutti gli imputati furono assolti dal reato di tradimento per attentato all'integrità dello Stato<ref name="mautino"/>. Alla lettura della sentenza Modesti si rivolse ai giudici con queste parole: «Signori, la vostra sentenza ha avuto il potere di serrare dinanzi a noi le sbarre di questa gabbia, ma noi siamo più forti di voi!», al che gli altri imputati gridarono «Viva la Resistenza!»<ref name="mautino"/>. L'8 aprile ''l'Unità'' pubblicò in prima pagina un telegramma inviato da Togliatti a Modesti: «Giunga a te e a tutti i compagni la solidarietà affettuosa del partito, che dalle ingiuste condanne è uscito più grande e più forte per il consenso dei cittadini animati da spirito di democrazia e di amor di patria»<ref>{{cita news|url=http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t=ebook&file=/archivio/uni_1952_04/19520408_0001.pdf|titolo = Telegramma di Togliatti (senza titolo)|pubblicazione=l'Unità|formato=PDF|data=8 aprile 1952|accesso=28 giugno 2012}}</ref>.
 
===Il processo d'appello===
[[File:L'Unità su sentenza appello Porzus.jpg|thumb|La sentenza del processo d'appello su ''l'Unità'' del 1º maggio 1954]]
 
Il processo di secondo grado si svolse presso la [[corte d'assise d'appello]] di [[Firenze]], cui si erano appellate le parti per motivi opposti: la pubblica accusa per un inasprimento generale delle pene e per il riconoscimento del reato di tradimento, le difese per chiedere l'assoluzione piena.
 
La sentenza del 30 aprile 1954 decretò che «la strage (…) fu un atto tendente a porre una parte del territorio italiano sotto la sovranità jugoslava», ma assolse gli imputati per il reato di tradimento in quanto «pur essendo [l'azione degli imputati] subiettivamente ed obiettivamente diretta al fine del tradimento» non determinò «una situazione di pericolo per l'interesse dello Stato al mantenimento della sua integrità territoriale»<ref>{{cita|Bianchi e Silvani 2012|p. 260|harv=s}}</ref><ref name=stampa12-8-55>{{cita news|titolo=Si rifarà il processo per la strage di Porzus?|pubblicazione=La Stampa|data=12 agosto 1955|pagina= 4}}</ref>.
Furono confermate le pene precedentemente inflitte dalla corte d'assise di Lucca per i reati principali e inasprite le pene per i reati di sequestro di persona e saccheggio.
Giovanni Padoan, in assise assolto per insufficienza di prove, fu condannato a trent'anni di reclusione, ridotti a due per effetto delle varie amnistie e condoni.
A causa di tali provvedimenti legislativi, nessuno dei condannati presenti al processo finì detenuto, mentre una parte di essi continuò la latitanza all'estero<ref>{{cita news|url=http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t=ebook&file=/archivio/uni_1954_05/19540501_0007.pdf|formato=PDF|titolo=I garibaldini della "Natisone" assolti dall'accusa di tradimento|pubblicazione=l'Unità|data= 1º maggio 1954|accesso=28 giugno 2012}}</ref><ref>Lo stesso Padoan, dopo il periodo cecoslovacco, si era trasferito in [[Romania]], lavorando come redattore di trasmissioni radiofoniche ({{cita news|autore=Alessandra Santoro|url=http://espresso.repubblica.it/dettaglio/morto-vanni-padoan-%3Cbr%3Echiese-perdono-per-porz%C3%BBs/1935857|titolo=Morto Vanni Padoan, chiese perdono per Porzûs|pubblicazione=[[L'espresso]]|data= 2 gennaio 2008|accesso=28 maggio 2012}})</ref>.
Tre giorni più tardi, sulla seconda pagina de ''l'Unità'', apparve un articolo dell'inviato speciale Ferdinando Mautino "Carlino", già capo di stato maggiore delle Divisioni Garibaldi del Friuli e fra i fautori della subordinazione dei garibaldini al IX Korpus sloveno<ref>{{cita|Bianchi e Silvani 2012|pp. 19 ss||harv=s}}.</ref>, che stigmatizzò «la speculazione [[Democrazia Cristiana|democristiana]] sui fatti di Porzûs, fra le tante porcherie commesse da questi nostri dirigenti e nemmeno fra le più rimarchevoli»<ref>{{cita news|autore=Ferdinando Mautino|formato=PDF|url=http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t=ebook&file=/archivio/uni_1954_05/19540504_0002.pdf|titolo=La sentenza di Firenze|pubblicazione=l'Unità|data=4 maggio 1954|accesso=28 giugno 2012}}</ref>.
 
Il procuratore generale di Firenze impugnò la sentenza presso la Cassazione, chiedendo l'annullamento dell'assoluzione per il reato di tradimento per aver attentato all'integrità dello Stato nei confronti di Juri, Modesti, Padoan, Paino, Tambosso, Toffanin, Zocchi e Fantini.
Nei confronti degli ultimi due fu chiesto anche l'annullamento della sentenza di assoluzione per insufficienza di prove per il reato di omicidio, sequestro di persona e rapina<ref name=stampa12-8-55/>.
Analogamente impugnarono la sentenza gli imputati per chiedere nuovamente l'assoluzione.
 
;Quadro riassuntivo della sentenza
Di seguito il quadro riassuntivo delle condanne e delle assoluzioni irrogate dalla corte d'assise d'appello di Firenze, con propria sentenza del 30 aprile 1954<ref>{{cita|Bianchi e Silvani 2012|pp. 5-9 e p. 279||harv=s}}</ref> per i capi di imputazione di:
* omicidio aggravato e continuato;
* rapina aggravata;
* sequestro di persona;
* tradimento (limitatamente a Toffanin, Iuri, Palino, Modesti, Tambosso, Zocchi, Padoan e Fantin)<ref name=bianchi247/>.
La corte d'assise d'appello assolse gli imputati dal reato di tradimento, con la formula «perché il fatto non costituisce reato»: cassata l'assoluzione dalla Suprema Corte di Cassazione, il nuovo processo per lo stesso reato non fu celebrato per sopraggiunta amnistia.
 
;Imputati condannati
{| style="width:100%; background:transparent; font-size:90%"
| align="left" |
{| class="prettytable sortable"
! width="50" | Nome !! width="50" | Cognome !! width="90" | Nome di guerra !! width="150" | Pena irrogata !! width="400" | Note<ref>Le note sono basate su {{cita|Bianchi e Silvani 2012||harv=s}}. In caso opposto, viene citata direttamente la fonte alternativa.</ref>
|-
| Mario || Toffanin || ''Giacca'' || Ergastolo || Comandante del gruppo
|-
| Vittorio || Iuri (Juri) || ''Marco'' || Ergastolo || Uno dei due bracci destri di "Giacca"
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| Alfio || Tambosso || ''Ultra'' || Ergastolo || Vicesegretario della federazione del PCI di Udine
|-
| Ostelio || Modesti || ''Franco'' || 30 anni || Segretario della federazione del PCI di Udine
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| Giovan Battista || Padoan || ''Vanni'' || 30 anni || Commissario politico della Divisione Garibaldi Natisone
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| Aldo || Plaino || ''Valerio'' || 30 anni || Uno dei due bracci destri di "Giacca"
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| Lorenzo || Deotto || ''Lilly'' || 22 anni e 8 mesi || Comandante del GAP "Giotto". Fu uno degli uccisori di Guido Pasolini "Ermes", Antonio Previti "Guidone", Antonio Cammarata "Toni", Pasquale Mazzeo "Cariddi".
|-
| Leonida || Mazzaroli || ''Silvestro'' || 22 anni e 8 mesi || Compagno di scuola dell'osovano Leo Patussi "Tin", probabilmente salvato grazie alla loro amicizia<ref>Dino Messina, ''[http://archiviostorico.corriere.it/1997/agosto/29/Porzus_spara_ancora_sul_film_co_0_97082911129.shtml Porzus: si spara ancora, sul film]'', in ''Corriere della Sera'', 29 agosto 1997, p. 29.</ref>. Fu uno degli uccisori di Guido Pasolini "Ermes", Antonio Previti "Guidone", Antonio Cammarata "Toni", Pasquale Mazzeo "Cariddi"
|-
| Urbino || Sfiligoi || ''Bino'' || 22 anni e 8 mesi || Comandante del GAP "Ardito". Fu uno degli uccisori di Guido Pasolini "Ermes", Antonio Previti "Guidone", Antonio Cammarata "Toni", Pasquale Mazzeo "Cariddi".
|-
| Tullio || Di Gaspero || ''Osso'' || 20 anni e 8 mesi || Fu uno degli uccisori di Guido Pasolini "Ermes", Antonio Previti "Guidone", Antonio Cammarata "Toni", Pasquale Mazzeo "Cariddi".
|-
| Ernesto || Canzut || ''Lesto'' || 18 anni e 7 mesi ||
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| Felice || Angelini || ''Fuga'' || 18 anni ||
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| Silvano || Bon || ''Sino'' || 18 anni ||
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| Alessio || Cantarutti || ''Stefano'' || 18 anni ||
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| Rosario || Cepile || ''Centro'' || 18 anni ||
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| Adriano || Cernotto || ''Ciclone'' || 18 anni ||
|-
| Olivo || Collarig || ''Tabacco'' || 18 anni ||
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| Marcello || Del Torre || ''Freccia'' || 18 anni ||
|-
| Luigi || Fabiani || ''Lolo'' || 18 anni ||
|-
| Gino || Felcaro || ''Pacifico'' || 18 anni ||
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| Giorgio || Iulita (Julita) || ''Jolly'' || 18 anni || Comandante dela GAP "Tremenda"
|-
| Carlo || Maurencig || ''Pin'' || 18 anni ||
|-
| Venuto || Mauri || ''Piero'' || 18 anni ||
|-
| Antonio || Mondini || ''Boris'' || 18 anni ||
|-
| Mario Giovanni || Ottaviano || ''Bibo'' || 18 anni ||
|-
| Fortunato || Pagnutti || ''Dinamite'' || 18 anni || Guida dei gappisti verso le malghe di Topli Uork
|-
| Renato || Peressan || ''Titti'' || 18 anni ||
|-
| Gino || Persoglia || ''Lula'' || 18 anni ||
|-
| Bruno || Pizzo || ''Cunine'' || 18 anni ||
|-
| Remigio || Russian || ''Ruota'' || 18 anni ||
|-
| Giorgio || Sfiligoi || ''Terzo'' || 18 anni ||
|-
| Gino || Tami || ''Pue'' || 18 anni ||
|-
| Tarcisio || Venica || ''Furia'' || 18 anni ||
|-
| Alfredo || Zuppel || ''Vespa'' || 18 anni ||
|-
| Enzo || Iurich (Jurich) || ''Ape'' || 14 anni e 4 mesi || Uccisore di Angelo Augelli "Massimo"<ref name=iurich/>
|-
| Dario Enzo || Iaizza || ''Ivo'' || 12 anni e 9 mesi || Uccisore di Franco Celledoni "Atteone"
|-
| Giovanni || Brach || ''Buco'' || 12 anni 1 mese e 10 giorni ||
|-
| Alfredo || Caldana || ''Bomba'' || 12 anni 1 mese e 10 giorni ||
|-
| Bruno || Grion || ''Falchetto'' || 12 anni 1 mese e 10 giorni ||
|-
| Ferruccio || Peressin || ''Ferro'' || 12 anni 1 mese e 10 giorni ||
|-
| Edo || Zuppel || ''Eppel'' || 12 anni 1 mese e 10 giorni ||
|-
| Sergio || Zuppel || ''Longo'' || 12 anni 1 mese e 10 giorni ||
|}
|}
 
;Imputati assolti per insufficienza di prove
{| style="width:100%; background:transparent; font-size:90%"
| align="left" |
{| class="prettytable"
! width="60" | Nome !! width="60" | Cognome !! width="60" | Nome di guerra !! width="300" | Note
|-
| Mario || Fantini || ''Sasso'' || Comandante della Divisione Garibaldi Natisone
|}
|}
 
;Imputati assolti per non aver commesso i fatti in ordine ad alcuni omicidi e per insufficienza di prove per altri omicidi e per le restanti accuse
{| style="width:100%; background:transparent; font-size:90%"
| align="left" |
{| class="prettytable sortable"
! width="60" | Nome !! width="60" | Cognome !! width="60" | Nome di guerra !! width="300" | Note
|-
| Livio || Bastiani || ''Bianco'' ||
|-
| Gustavo || Bet || ''Gastone'' || Comandante del GAP "Amor"
|-
| Adino || Longo || ''Condor'' ||
|-
| Valerio || Stella || ''Ferruccio'' || Comandante della Brigata Garibaldi Friuli
|-
| Lino || Zocchi || ''Ninci'' || Comandante delle Divisioni Garibaldi Friuli
|}
|}
 
;Imputati assolti per non aver commesso i fatti
{| style="width:100%; background:transparent; font-size:90%"
| align="left" |
{| class="prettytable sortable"
! width="60" | Nome !! width="60" | Cognome !! width="60" | Nome di guerra
|-
| Valeriano || Rossitti || ''Piero''
|-
| Luciano || Torello || ''Mirko''
|-
| Italo || Zaina || ''Nullo''
|}
|}
 
===Il processo in Cassazione===
Il [[18 giugno]] [[1957]] iniziò la discussione dell'impugnazione della sentenza di secondo grado presso la Corte di Cassazione: il Procuratore Generale, in linea con le richieste della procura di Firenze, chiese il rigetto del ricorso degli imputati e un nuovo processo per il reato di tradimento<ref>{{cita news|titolo=Chiesto un nuovo processo per il massacro di Porzus|pubblicazione=La Stampa|data=19 giugno 1957|pagina= 4}}</ref>.
Il giorno seguente la Corte accolse ''in toto'' le tesi dell'accusa, confermando le sentenze, che divennero così definitive, per gli omicidi e i reati minori connessi, ma ordinando al contempo l'istruzione di un nuovo processo presso la corte d'assise d'appello di [[Perugia]] per il solo reato di tradimento per attentato contro l'integrità dello Stato per tutti gli imputati più importanti, nonché per il reato di omicidio, rapina e sequestro di persona per Zocchi e Fantini<ref>{{cita|Bianchi e Silvani 2012|pp. 283-284||harv=s}}.</ref>.
 
===Il nuovo processo a Perugia===
Fra la sentenza della Cassazione e l'apertura del procedimento a Perugia fu emanato l'[[11 luglio]] [[1959]] un [[decreto del presidente della Repubblica|decreto presidenziale]] di amnistia<ref name="dpr460">{{cita web|editore=Università di Torino|formato=PDF|url=http://eunomos.di.unito.it/index.php?action=loadLaw&urn=urn:nir:presidente.repubblica:decreto:1959-07-11;460&format=pdf&countryCode=it_IT&level=na&currentTextRevision=0|titolo=Decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1959, n. 460, Concessione di amnistia e indulto|accesso=28 giugno 2012}}</ref> che coprì anche i reati di natura politica, intendendo con ciò anche ogni delitto comune determinato — in tutto o in parte — da motivi politici<ref name="dpr460" />. Pervenuti quindi gli atti nel capoluogo umbro, il procuratore generale di Perugia chiuse la fase istruttoria rilevando l'estinzione del reato per sopraggiunta amnistia per tutti gli imputati (sentenza dell'11 marzo 1960). Pur avendone titolo ai sensi dell'art. 14 del citato decreto<ref name="dpr460" />, nessun imputato esercitò il diritto alla rinuncia al beneficio al fine di farsi giudicare<ref>{{cita|Bianchi e Silvani 2012|p. 284||harv=s}}.</ref>. Questo fu l'ultimo della lunga catena di atti processuali relativi alle vicende legate all'eccidio di Porzûs.
 
== La sorte dei condannati e la medaglia d'oro a De Gregori ==
Nessuno dei condannati scontò pene in carcere salvo il periodo della detenzione in attesa della conclusione del processo, che in alcuni casi si protrasse per qualche anno.
[[Mario Toffanin]], contumace, non fece ritorno in Italia dopo l'[[amnistia]] del [[1973]], dovendo ancora scontare trent'anni di pena per altri reati<ref name="pertinigrazia">{{cita news|url=http://archiviostorico.corriere.it/1997/settembre/20/Toffanin_Pertini_grazio_procura_non_co_0_97092014627.shtml|titolo=Toffanin, Pertini lo graziò ma la Procura non voleva|pubblicazione=Corriere della Sera|data=20 settembre 1997|accesso=28 giugno 2012}}</ref> commessi fra il 1940 e il 1946 non coperti da amnistia; non fece ritorno neppure nel luglio [[1978]] nonostante la [[Grazia (diritto)|grazia]] concessagli dal presidente [[Sandro Pertini]] da poco insediatosi al Quirinale<ref name="pertinigrazia" />.
Toffanin morì a [[Sesana]], in [[Slovenia]], il [[22 gennaio]] [[1999]].
Negli anni successivi alla fuga si dichiarò sempre certo del tradimento della Osoppo: ribadì più volte la correttezza delle sue azioni e continuò ad accusare gli uomini della Osoppo, tra le altre cose, di aver inglobato al proprio interno molti uomini appartenenti a gruppi fascisti, di aver collaborato attivamente con gli uomini della [[Repubblica Sociale Italiana|RSI]] e di aver spesso trattenuto le forniture di armi e attrezzature britanniche che secondo gli accordi spettavano ai garibaldini<ref name=deotto/>.
 
A [[Francesco De Gregori (partigiano)|Francesco De Gregori]] fu riconosciuta, nel 1945, la [[medaglia d'oro al valor militare]] alla memoria, con una motivazione contenente la seguente frase: «Cadeva vittima della tragica situazione creata dal fascismo ed alimentata dall'oppressore tedesco in quel martoriato lembo d'Italia dove il comune spirito patriottico non sempre riusciva a fondere in un sol blocco le forze della Resistenza»<ref>{{cita web|url=http://www.quirinale.it/elementi/DettaglioOnorificenze.aspx?decorato=14540|titolo=Motivazioni della medaglia d'oro al valor militare a Francesco De Gregori|accesso=28 giugno 2012}}</ref> che, non facendo alcun riferimento all'eccidio e ai suoi esecutori, fu molti anni dopo considerata «ineffabile», «reticente»<ref>{{cita news|autore=[[Paolo Simoncelli]]|titolo=Sulla strage di Porzûs strane ipocrisie|pubblicazione=[[Avvenire]]|url=http://www.anvgd.it/rassegna-stampa/8812-sulla-strage-di-porzus-strane-ipocrisie-avvenire-26-mag|data=27 maggio 2010|accesso=28 giugno 2012}}</ref> o indice di «contorsionismo»<ref>Alfio Caruso, ''Tutti vivi all'assalto'', Longanesi, Milano 2003, p. 358.</ref>.
Il sito ufficiale dell'[[Associazione Nazionale Partigiani d'Italia]] attribuisce la morte di De Gregori a «uno scontro tra partigiani»<ref>{{cita web|url=http://www.anpi.it/donne-e-uomini/francesco-de-gregori/|titolo=Donne e uomini della Resistenza: Francesco De Gregori|editore=Associazione Nazionale Partigiani d'Italia|accesso=28 giugno 2012}}</ref>.
 
==I mandanti e le motivazioni dell'eccidio==
Nel corso dei decenni varie ipotesi (talora radicalmente divergenti tra loro e che propongono letture totalmente antitetiche degli eventi) sono state avanzate sui mandanti dell'eccidio e sulle sue motivazioni, spesso in corrispondenza con la scoperta di nuovi documenti o con l'apertura di nuovi filoni giudiziari.
Alcuni fra gli stessi protagonisti dei fatti, col passare del tempo, hanno modificato anche in maniera notevole le proprie precedenti dichiarazioni, rendendo il quadro ancor più difficile da interpretare.
 
===Le versioni di Toffanin===
Mario Toffanin "Giacca", principale responsabile materiale dell'eccidio di Porzûs, rilasciò una serie di interviste negli [[anni 1990|anni novanta]], nel corso delle quali mantenne alcuni punti fermi: la Osoppo era responsabile di aver intrattenuto rapporti con la Decima Mas e con i tedeschi e stava organizzando l'eliminazione del comando GAP; l'organizzazione della missione alle malghe di Topli Uork era stata solo sua; l'eccidio fu un legittimo atto di guerra, giustificato dal tradimento degli osovani e causato dall'impeto rabbioso derivante dall'aver visto la spia Elda Turchetti presso il comando partigiano: un'azione che Toffanin avrebbe sempre rifatto tale e quale, senza alcun ripensamento; il processo fu una manovra, ordita dai democristiani<ref name="stella">{{cita news|autore=[[Gian Antonio Stella]]|url=http://archiviostorico.corriere.it/1992/gennaio/31/NOINDC_co_0_92013110951.shtml |titolo=Strage di Porzus: non si pente il fucilatore "rosso"|pubblicazione=Corriere della Sera|data=31 gennaio 1992|accesso=28 giugno 2012}}</ref><ref>{{cita news|autore=Roberto Morelli|url=http://archiviostorico.corriere.it/1996/agosto/30/pensionato_delle_Foibe_non_pento_co_0_96083010674.shtml|titolo=Io, pensionato delle Foibe, non mi pento|pubblicazione=Corriere della Sera|data=30 agosto 1996|accesso=28 giugno 2012}}</ref><ref name=unita1997/><ref>{{cita news|autore=Massimo Nava|url=http://archiviostorico.corriere.it/1997/agosto/19/Porzus_giusto_sparare_noi_loro_co_0_9708195043.shtml|titolo=A Porzus fu giusto sparare: o noi o loro|pubblicazione=Corriere della Sera|data=19 agosto 1997|accesso=28 giugno 2012}}</ref>. Altri aspetti vennero invece raccontati in modo difforme: fra gli altri, in un'intervista a [[Radio Radicale]] del 1992 Toffanin raccontò d'esser salito a Topli Uork dopo aver saputo da alcuni comandanti gappisti che gli osovani avevano ucciso cinque partigiani garibaldini<ref>{{cita news|autore=[[Maurizio Becker]]|url=http://www.radioradicale.it/scheda/44583?format=32|titolo=Eccidio di partigiani bianchi della brigata Osoppo a Porzus nel 1945. Intervista a [[Galliano Fogar]] e [[Mario Toffanin]] "Giacca" (in collegamento telefonico da Capodistria)|pubblicazione=Radio Radicale|data=5 febbraio 1992|accesso=17 luglio 2012}}</ref>; mentre nel 1997 affermò che i partigiani uccisi dagli osovani erano due e l'informatore sarebbe stato «un contadino»<ref name=unita1997/>.
 
In tali interviste Toffanin cambiò però completamente la propria versione rispetto a quanto aveva dichiarato nella relazione scritta a ridosso del fatto: le strutture del PCI non risultavano più coinvolte in nessuna fase dell'evento e si disconosceva l'esistenza di un qualsiasi ordine superiore relativamente alla missione e ai suoi scopi.
Interrogato sulla discrepanza, nel 1992 Toffanin affermò che la relazione del 1945 era in realtà un falso<ref name="stella" />, ma nel 1975 lo stesso Toffanin aveva rilasciato la seguente dichiarazione autografa per un libro di Marco Cesselli<ref>{{cita|Cesselli 1975||harv=s}}.</ref>, ricercatore dell'Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione:
 
{{quote|Il 28.1.1945, a Orsaria, eravamo presenti io, Ultra (Tambosso), Franco (Modesti), Jolly (Iulita), Ferruccio (Stella), Valerio (Plaino), Gobbo (Basso), in casa del Gobbo. Ultra e Modesti danno l'ordine di andare a Porzus per liquidare il Gruppo Bolla. Contemporaneamente Ultra scrive a mano l'ordine di liquidare gli osovani. Ordine che è stato consegnato a Jolly che lo ha conservato. Poi si è parlato per le carceri di Udine, azione da svolgere da Valerio e Mancino. Sotto il mio comando abbiamo fucilato sei osovani. Siamo ritornati alla base e tre giorni dopo venne Franco (Modesti). Abbiamo avuto una riunione e si è parlato degli osovani rimasti. Anche Franco era d'accordo di farli fuori. Presente era il comando GAP: i compagni Giacca, Marco e Valerio<ref>{{cita|Bianchi e Silvani 2012|p. 168||harv=s}}.</ref><ref>{{cita|Gervasutti 1997|p. 167||harv=s}}.</ref>}}
 
===La tesi dei mandanti sloveni===
L'ipotesi che nella storiografia italiana ha via via preso più vigore, anche sulla scorta delle risultanze processuali, le quali hanno espressamente indicato come il passaggio dei garibaldini della Natisone alle dipendenze del IX Korpus, la propaganda filojugoslava svolta nei confronti di formazioni partigiane e l'eccidio di Porzûs facessero parte di un medesimo disegno avente come scopo ultimo la cessione di parti dello Stato italiano alla Jugoslavia<ref name=bianchi247/>, e infine dell'apertura di una serie di archivi prima inaccessibili, attribuisce la motivazione dell'eccidio a una sorta di "pulizia preventiva" contro gli oppositori, reali o potenziali, del regime comunista jugoslavo che secondo i disegni espansionistici di Tito avrebbe dovuto annettere anche i territori friulani e giuliani prossimi all'attuale confine, comprendenti il [[Provincia di Gorizia (1927-1943)|Goriziano]], la [[Slavia veneta]] e la striscia costiera che da Trieste va fino a Monfalcone. La stessa dinamica avrebbe portato anche ai [[massacri delle foibe]], nelle quali furono eliminati — fra l'altro — centinaia di italiani considerati contrari all'annessione jugoslava.
[[File:Vanni Padoan.png|thumb|upright|Giovanni Padoan "Vanni", in una vecchia foto segnaletica]]
 
La tesi secondo la quale l'eccidio di Porzûs sia imputabile agli sloveni trovò alcune indirette conferme documentali: esso fu anche preannunciato in un rapporto al [[Foreign Office]] pervenuto pochi giorni prima della strage.
In tale rapporto un ufficiale di collegamento britannico al seguito dei partigiani sloveni operanti nell'Italia nordorientale aveva reso noto che l'unità cui era aggregato aveva catturato alcuni partigiani della Osoppo, e che alle sue rimostranze il comandante sloveno aveva risposto di avere agito in base a ordini superiori.
L'autore del rapporto aveva espresso quindi l'opinione che gli sloveni avevano l'intenzione di attaccare il comando generale delle brigate Osoppo<ref>Antonio Giulio de Robertis, ''La frontiera orientale italiana nella diplomazia della II guerra mondiale'', Edizione Scientifiche Italiane, Napoli 1981, p. 247.</ref>. Lo stesso "Bolla", nel suo rapporto del 17 gennaio 1945 che denunciò il rapimento di "Make", "Rinato" e "Vandalo" da parte del IX Korpus, affermò che «certamente, nei prossimi giorni tali atti di inqualificabile violenza (...) si ripeterà (sic) a danno dei nostri piccoli distaccamenti di Prossenicco e Canebola, fino a quando si ripeterà, come logica conclusione di una linea di condotta che ormai appare fin troppo chiara, contro questo Comando stesso»<ref>{{cita|Strazzolini 2008|min. 1:37:14 ss.|harv=s}}.</ref>.
 
Fra gli autori che hanno in vario modo contribuito a questa ricostruzione dei fatti o l'hanno fatta propria almeno in senso generale, sono da ricordare [[Elena Aga Rossi]]<ref>{{cita|Piffer 2012||harv=s}}.</ref>, Alberto Buvoli<ref>{{cita news|autore=Giuseppina Manin|url=http://archiviostorico.corriere.it/1997/luglio/30/Strage_partigiani_arriva_film_tabu_co_0_9707307692.shtml|titolo=Strage di partigiani, arriva il film tabù|pubblicazione=Corriere della Sera|data=30 luglio 1997|accesso=15 luglio 2012}}.</ref>, [[Marina Cattaruzza]]<ref>{{cita|Cattaruzza 2007|p. 279||harv=s}}.</ref>, Sergio Gervasutti<ref>{{cita|Gervasutti 1997|||harv=s}}</ref>, Tommaso Piffer<ref>{{cita|Piffer 2012||harv=s}}.</ref>, [[Raoul Pupo]]<ref>{{cita|Pupo 2010|pp. 71-74||harv=s}}.</ref> e altri.
 
Il [[23 agosto]] [[2001]] l'ex commissario politico della Divisione Garibaldi Natisone Giovanni Padoan "Vanni", condannato sia in appello che in Cassazione, confermò in pieno tale ricostruzione durante un tentativo di riconciliazione fra garibaldini e osovani che vide il suo abbraccio alle malghe di Topli Uork col sacerdote ed ex partigiano osovano don Redento Bello "Candido"<ref name=morelli>{{cita news|autore=Roberto Morelli|url=http://archiviostorico.corriere.it/2001/agosto/24/Porzus_abbraccio_che_chiude_guerra_co_0_0108245189.shtml|titolo=A Porzus, l'abbraccio che chiude la guerra|pubblicazione=Corriere della Sera|data= 24 agosto 2001|accesso=28 giugno 2012}}</ref>.
"Vanni" lesse una dichiarazione che ebbe il valore di un'assunzione piena di responsabilità per sé e la sua parte politica, indicando espressamente mandanti ed esecutori:
 
{{quote|L'eccidio di Porzus e del Bosco Romagno, dove furono trucidati 20 partigiani osovani, è stato un crimine di guerra che esclude ogni giustificazione. E la corte d'assise di Lucca ha fatto giustizia condannando gli autori di tale misfatto. Benché il mandante di tale eccidio sia stato il Comando sloveno del IX Korpus, gli esecutori, però, erano gappisti dipendenti anche militarmente dalla Federazione del PCI di Udine, i cui dirigenti si resero complici del barbaro misfatto e siccome i GAP erano formazioni garibaldine, quale dirigente comunista d'allora e ultimo membro vivente del Comando Raggruppamento divisioni "Garibaldi-Friuli", assumo la responsabilità oggettiva a nome mio personale e di tutti coloro che concordano con questa posizione. E chiedo formalmente scusa e perdono agli eredi delle vittime del barbaro eccidio. Come affermò a suo tempo lo storico Marco Cesselli, questa dichiarazione l'avrebbe dovuta fare il Comando Raggruppamento divisioni "Garibaldi-Friuli" quando era in corso il processo di Lucca. Purtroppo, la situazione politica da guerra fredda non lo rese possibile.|Giovanni Padoan, 2001<ref>{{cita news|autore=Alessandra Santoro|url=http://espresso.repubblica.it/dettaglio/morto-vanni-padoan-%3Cbr%3Echiese-perdono-per-porz%C3%BBs/1935857|titolo=Morto Vanni Padoan, chiese perdono per Porzûs|pubblicazione=[[L'espresso]]|data= 2 gennaio 2008|accesso=28 maggio 2012}}.</ref>}}
 
===Le ricostruzioni di Aldo Moretti===
[[File:Aldo Moretti.jpg|thumb|left|upright|don [[Aldo Moretti]] "Lino"]]
 
Monsignor Aldo Moretti "Lino", [[medaglia d'oro al valor militare]] e tra i fondatori delle Divisioni Osoppo, affermò in più occasioni di ritenere che l'eccidio di Porzûs fosse stato compiuto «…nell'interesse della causa slovena, ma il comando del IX Corpus intuì che era molto utile ai suoi scopi il coinvolgere degli italiani e trovò, con l'indispensabile consenso degli uomini del PCI, un italiano, il garibaldino Mario Toffanin ("Giacca") che accettò di rendersi esecutore materiale del misfatto con la sua GAP»<ref>{{cita pubblicazione | quotes =no | autore = Aldo Moretti | anno = 1987 | titolo = La "questione nazionale" del goriziano nell'esperienza osovana (1943-1945) | rivista = I cattolici isontini nel XX secolo | editore = Istituto di Storia Sociale e Religiosa | città = Gorizia | volume = III | pagine = 194 | url = http://books.google.it/books?id=ppiSaksgqKwC&printsec=frontcover&hl=it#v=onepage&q&f=false | accesso = 29 giugno 2012}}</ref>.
In un'intervista a ''[[Famiglia Cristiana]]'' del 1997, Moretti espresse anche l'opinione secondo la quale gli Alleati, pensando già al dopoguerra e temendo la collaborazione tra i partigiani cattolici e quelli comunisti, avessero cercato di dividere quel fronte fino a sacrificare la Osoppo per mano delle formazioni comuniste oramai al servizio degli jugoslavi, al fine di screditarle: «…lavorare per dividerci, anzi di sacrificarci per gettare l'ombra del discredito sulle formazioni comuniste, alle dipendenze di un esercito, quello jugoslavo, che ormai era visto come conquistatore e non più come alleato. Insomma gli Alleati erano preoccupati del loro futuro governo nella zona.»<ref name="Moretti">{{cita news|autore=[[Alberto Bobbio]]|url=http://www.stpauls.it/fc97/3697fc/3697fc102.htm|titolo=La strage di Porzus, la verità del partigiano Lino|pubblicazione=[[Famiglia Cristiana]]|data= 10 settembre 1997|accesso=29 giugno 2012}}</ref>.
 
Ancora, secondo Moretti, le stesse denunce di [[Radio Londra]] contro Elda Turchetti sarebbero rientrate in tale strategia.
Questi sostenne inoltre che gli attriti fra i garibaldini e gli osovani del'autunno del 1944 avevano dato la stura a voci di collaborazione tra il gruppo Osoppo e le forze nazifasciste, voci peraltro recisamente negate: «Qualche intesa umanitaria, nessun tradimento. Tentavamo solo di anticipare la pace in un angolo del fronte»<ref name="Moretti" />.
In quell'atmosfera di sospetto due proposte di alleanza contro le formazioni comuniste giunsero alla Osoppo da parte del federale fascista di [[Udine]] Mario Cabai per conto dello [[Gradi delle Schutzstaffel|Sturmbannführer]] delle SS Ludolf Jakob von Alvensleben<ref>Membro di una nota famiglia nobile tedesca, da non confondersi con lo zio - alto ufficiale delle SS - di nome [[Ludolf Hermann von Alvensleben]]. In svariate fonti il suo nome è storpiato in "Hallesleben" o "Hallensleben".</ref>, ma furono subito respinte da Moretti con due lettere, datate 28 dicembre 1944 e 10 gennaio 1945, fatte pervenire al federale di Udine tramite l'arcivescovo Giuseppe Nogara<ref name=deotto/>.
Le voci tuttavia divennero insistenti quando Cino Boccazzi, partigiano della Osoppo preso prigioniero dalla Xª Flottiglia MAS, fu effettivamente mandato a Udine (secondo la ricostruzione data da Moretti — e ribadita in sede processuale dallo stesso Boccazzi — sotto la minaccia di veder uccisa la propria moglie e i propri figli se si fosse rifiutato<ref name="Moretti" />) per cercare un contatto ai fini di una possibile intesa RSI-Alleati per la difesa del confine orientale<ref name="Moretti" />.
L'ufficiale britannico in incognito a Udine Thomas Rowort "Nicholson" — a cui era stata riferita la proposta — attese prima di consultarsi con il comando a Londra, che rispose poi negativamente all'offerta così come risposero negativamente gli osovani.
L'attesa rese ancora più forti le voci di una possibile trattativa tra la Osoppo e la Decima Mas<ref name="Moretti" />.
Le accuse di collaborazionismo con i fascisti e con i tedeschi continuarono anche dopo la fine della guerra e vennero ripetute ancora negli [[anni 1990|anni novanta]] e negli [[anni 2000|anni duemila]]<ref>Lo storico [[Paolo Pezzino]] dalle pagine de ''l'Unità'' ancora nel 1997 accusò apertamente «i partigiani osovani (o almeno una parte di loro) [di] aperta collaborazione col nemico ufficiale (i tedeschi e i fascisti), per preparare una guerra contro quello che risultava il nemico reale (gli slavi con le loro pretese su territori italiani, ed i loro alleati comunisti italiani)»: {{cita news|autore=Paolo Pezzino|url=http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t=ebook&file=/golpdf/uni_1997_09.pdf/11pri02A.pdf|titolo=All'antifascismo serve anche la polemica su Porzûs|pubblicazione=l'Unità|data=11 settembre 1997 (continua a [http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t=ebook&file=/golpdf/uni_1997_09.pdf/11CUL01A.pdf pagina 2])|accesso=5 luglio 2012|formato=PDF}}</ref>.
 
L'ipotesi di Moretti del coinvolgimento dei servizi segreti britannici non fu in seguito approfondita dalla storiografia internazionale, se non da alcuni autori - segnatamente Alessandra Kersevan e Goradz Bajc - in termini più ampi, laddove le attività di detti servizi segreti vengono inserite in un quadro di doppi e tripli giochi comprendente svariati altri attori.
 
===La tesi filojugoslava===
La storiografia jugoslava non produsse alcuno studio sull'eccidio di Porzûs.
Così com'era stata reclamata alla fine della [[prima guerra mondiale|Grande Guerra]]<ref>Ivo Lederer, ''La Jugoslavia dalla conferenza della pace al trattato di Rapallo 1919-1920'', Il Saggiatore, Milano 1966, pp. 140 ss.</ref>, la Slavia veneta fu richiesta ufficialmente dagli jugoslavi anche al termine della seconda guerra mondiale<ref>''Documento ufficiale della Commissione storica italo-slovena'', 2001, paragrafo 4, ''Periodo 1945-1956''.</ref>: era comune ritenere — come affermò nel 1995 dopo la fine della Federativa il primo ministro sloveno [[Janez Janša]] nel corso della prima celebrazione della [[Festa del Litorale Sloveno|Festa del ritorno del Litorale Sloveno alla madrepatria]] — che se «il regime jugoslavo non avesse trascinato il Paese al di là della [[cortina di ferro]], avremmo potuto contare anche su Trieste, Gorizia e la Slavia veneta»<ref>{{cita news|titolo=Festa del Litorale: Jansa: ci mancano Trieste e Gorizia|url=http://www.leganazionale.it/index.php?option=com_content&view=article&id=750:festa-del-litorale-jansa-ci-mancano-trieste-e-gorizia&catid=113:esodo|pubblicazione=Il Piccolo|data=18 settembre 2005|accesso=29 giugno 2012}}</ref><ref>Le parole di Janša produssero un'[[interrogazione parlamentare]] del deputato di [[Alleanza Nazionale|AN]] [[Roberto Menia]]: {{cita web|url=http://banchedati.camera.it/sindacatoispettivo_14/showXhtml.Asp?idAtto=12012&stile=6&highLight=1&paroleContenute=|titolo=Interrogazione a risposta orale 3-05044 presentata da Roberto Menia lunedì 26 settembre 2005 nella seduta n. 677|data=26 settembre 2005|accesso=29 giugno 2012}}.</ref>.
 
Sempre dal punto di vista filojugoslavo, in anni più recenti la tematica è stata brevemente ripresa, tra gli altri, dallo storico triestino [[Jože Pirjevec]]<ref>{{cita|Pirjevec 2009|pp. 78-81||harv=s}}.</ref>, nell'ambito di un saggio dedicato ai massacri delle foibe che ha creato una lunga serie di polemiche<ref>{{cita news|autore=[[Roberto Spazzali]]|url=http://www.anvgd.it/index.php?option=com_content&task=view&id=6623&Itemid=111|titolo=Pirjevec: le foibe solo propaganda|pubblicazione=[[Il Piccolo]]|data=13 ottobre 2009|accesso=29 giugno 2012}}</ref><ref>{{Cita news|autore=[[Paolo Mieli]]|url=http://archiviostorico.corriere.it/2010/aprile/06/Trieste_guerra_Tito_contro_gli_co_9_100406058.shtml|titolo=Trieste, la guerra di Tito contro gli antifascisti|pubblicazione=Corriere della Sera|data=6 aprile 2010|accesso=29 giugno 2012}}</ref><ref>{{Cita news|autore=[[Raoul Pupo]] e [[Giuseppe Parlato]]|titolo=Dalla Slovenia (via Einaudi) un altro falso storico sulle foibe|pubblicazione=[[Libero (quotidiano)|Libero]]|data=13 ottobre 2009|accesso=29 giugno 2012}}</ref><ref>{{Cita news|autore=Ugo Finetti|url=http://www.ilgiornale.it/cultura/il_libro_scandalo_che_occulta_foibe/01-02-2010/articolo-id=418325-page=0-comments=1|titolo=Il libro dello scandalo che "occulta" le foibe|data=1º febbraio 2010|pubblicazione=[[il Giornale]]|accesso=29 giugno 2012}}</ref>.
 
Secondo Pirjevec, nelle speranze dei comunisti sloveni e italiani l'impeto rivoluzionario comune avrebbe dovuto espandersi in tutto il nord Italia, vagheggiando addirittura che tutte le Divisioni Garibaldi «nell'Italia propriamente detta» si assoggettassero al Fronte di liberazione sloveno<ref>{{cita|Pirjevec 2009|p. 80 e nota 291||harv=s}}.</ref>.
La Osoppo, costituendo un movimento resistenziale "bianco", per opporsi a queste mire avrebbe intrattenuto rapporti diplomatici con la [[Wehrmacht]], con i collaborazionisti cosacchi e con la Decima Mas.
Pirjevec per primo riportò la notizia secondo la quale cinque partigiani garibaldini sarebbero stati uccisi da membri della Osoppo quando fu diffusa la notizia della loro adesione al IX Korpus sloveno, ma da una verifica successiva risultò che il documento contenuto in uno degli archivi di stato russi citato dallo storico triestino a sostegno della propria affermazione in realtà non parla di «conflitti fra partigiani comunisti e partigiani democratici sul confine orientale italiano nel 1945»<ref>{{cita|Pirjevec 2009|p. 80||harv=s}}. La confutazione della fonte è a opera di Patrick Karlsen ed Elena Aga Rossi, che contattarono i responsabili dell'archivio, V. Šepelev e S. Rosental. Il virgolettato è tratto direttamente dalla risposta di questi ultimi, citata in {{cita|Piffer 2012|p. 111|harv=s}}.</ref>.
Sempre secondo Pirjevec, in Friuli si sarebbero manifestate delle «tendenze separatistiche (…), dove alcuni circoli pensavano di staccarsi dall'Italia e aderire come entità autonoma alla Jugoslavia».
In tale contesto sarebbe avvenuto il «fatto tragico» dell'attacco gappista di Porzûs, del quale il IX Korpus sarebbe stato completamente ignaro, ma visto il successivo asilo prestato in seguito a Toffanin dagli sloveni, sarebbero sorte delle «voci tendenziose (…) che la strage fosse stata voluta da loro», il che avrebbe contribuito a far assumere al fatto, «marginale pur nella sua tragicità», delle «dimensioni sproporzionate»<ref>{{cita|Pirjevec 2009|pp. 80-81||harv=s}}.</ref>.
 
===Altre ipotesi===
In un libro apparso nel 1995, la ricercatrice [[Friuli-Venezia Giulia|friulana]] [[Alessandra Kersevan]] sottopose ad analisi una parte dei documenti e delle testimonianze all'epoca apparsi, il tutto presentato in maniera discorsiva come se si trattasse di un lungo colloquio fra due ricercatori<ref>{{cita|Kersevan 1995||harv=s}}.</ref>.
Alla luce di una serie di fatti contemporanei e successivi all'eccidio, Kersevan ipotizzò che nella vicenda di Porzûs vi fosse stato un massiccio intervento manipolatorio dei servizi segreti militari angloamericani in combutta con quelli italiani, in un quadro di doppi e tripli giochi che coinvolsero il PCI, l'ignaro Toffanin — che quindi sarebbe stato strumento inconsapevole dell'imperialismo statunitense — nonché la Decima Mas di [[Junio Valerio Borghese]].
Nelle estreme terre nordorientali italiane si sarebbe quindi giocato fin dal 1944-1945 un prodromo della [[guerra fredda]] postbellica, con fortissime infiltrazioni fasciste repubblicane all'interno del movimento partigiano friulano, al fine ultimo di impedire il saldarsi dei movimenti comunisti sloveni e italiani in un moto rivoluzionario esteso al Nord Italia, gettando il discredito sui partigiani jugoslavi anche con altre contestuali campagne di disinformazione e manipolazione, come quella dei massacri delle foibe.
In tal quadro il IX Korpus sloveno sarebbe quindi stato contemporaneamente spettatore e vittima, mentre i comandi della Osoppo sarebbero stati in realtà conniventi con i nazisti e la Decima Mas in funzione anticomunista e antislava, con la collaborazione occulta ma attiva delle potenze occidentali e la benedizione della chiesa cattolica locale, coinvolta fin nelle sue più alte gerarchie.
 
Tale gigantesca operazione sarebbe poi continuata col processo, considerato dalla Kersevan una montatura basata in gran parte su testimonianze e documenti falsi o manipolati, compresi fra gli altri non solo il rapporto sui fatti stilato da "Giacca" e i suoi, ma anche la famosa lettera di accusa agli sloveni e ai garibaldini che Guido Pasolini spedì al fratello Pierpaolo a novembre del 1944 e che fu poi trasmessa da quest'ultimo alle autorità inquirenti<ref name=kersevan2008>Alessandra Kersevan. «Porzûs: il più grande processo antipartigiano del dopoguerra». AA.VV., ''Foibe. Revisionismo di stato e amnesie della Repubblica'', Kappa Vu, Udine 2008, pp. 115 ss.</ref>.
Il tutto non sarebbe stato che il prodromo delle attività di [[Organizzazione Gladio|Gladio]], con varie connessioni con la [[mafia]], la [[P2]] e lo stragismo di stato.
A partire dagli anni novanta, a rafforzare tutto ciò — sempre secondo Kersevan — si sarebbe saldata un'altra manovra tutta politica a opera degli eredi del PCI ([[Partito Democratico della Sinistra|PDS]], poi [[Democratici di Sinistra|DS]]) e dei fascisti ([[Alleanza Nazionale|AN]]): una «convergenza destra-sinistra tesa a ricostruire un immaginario condiviso anticomunista. Non è un caso che il film ''[[Porzûs (film)|Porzûs]]'' di [[Renzo Martinelli]] sia stato finanziato dall'allora governo di centro-sinistra, cioè dal ministro della cultura [[Walter Veltroni]], ma apprezzato anche a destra»<ref name=kersevan2008/>.
Kersevan sostiene che, con la fuga in Jugoslavia e in altri paesi socialisti degli imputati del processo condannati per vari reati, sarebbe stata costretta ad andarsene dal Friuli «la meglio gioventù»<ref name=kersevan2008/>.
 
Una simile linea interpretativa è stata proposta anche dallo storico [[Trieste|triestino]] dell'[[Università del Litorale]] di [[Capodistria]] Gorazd Bajc<ref>Gorazd Bajc, ''Operacija Julijska Krajina. Severovzhodna meja Italije in zavezniške obveščevalne službe, 1943-1945'', Univerza na Primorskem – Znanstveno-raziskovalno središče, Zal. Annales, Koper 2006.</ref>: eccidio di Porzûs e massacri delle foibe sarebbero delle enormi montature propagandistiche montate ad arte o «incoraggiate» dai servizi segreti statunitensi per spezzare l'intesa fra comunisti italiani e sloveni.
Tale fu anche un'ipotesi avanzata nel 1997 dal giudice istruttore Carlo Mastelloni nell'ambito della sua inchiesta su [[Argo 16]], peraltro conclusasi senza alcuna conferma giudiziaria e senza alcuna condanna<ref>{{cita news|url=http://archiviostorico.corriere.it/1999/dicembre/17/Argo_tutti_assolti_Non_sabotaggio_co_0_9912179585.shtml|autore=Luciano Ferraro|titolo=Argo 16, tutti assolti: "Non fu un sabotaggio del Mossad"|pubblicazione=Corriere della Sera|data= 17 dicembre 1999|accesso=29 giugno 2012}}</ref>.
In tale complesso contesto denso di doppi e tripli giochi, anche la stessa figura di Mario Toffanin sarebbe da riconsiderare: alcuni lo vedrebbero addirittura come agente dei tedeschi<ref>{{cita news|autore=[[Gian Antonio Stella]]|url=http://archiviostorico.corriere.it/1997/agosto/27/Porzus_grande_trappola_co_0_9708275946.shtml|titolo=Porzus. La grande trappola|pubblicazione=Corriere della Sera|data=27 agosto 1997|accesso=29 giugno 2012}}; più tardi, nel [[2005]], [[RCS MediaGroup|RCS]], [[Ferruccio De Bortoli]] e Gian Antonio Stella, su iniziativa legale promossa dai congiunti di Lizzero, furono ritenuti civilmente responsabili di espressioni giudicate «offensive della memoria» del defunto commissario politico partigiano e condannati al risarcimento dei danni morali, come da [http://archiviostorico.corriere.it/2005/dicembre/24/TRIBUNALE_MILANO_co_9_051224032.shtml dispositivo della sentenza] pubblicato sullo stesso quotidiano.</ref>.
 
== Le controversie politiche e storiografiche sull'eccidio ==
{{vedi anche|Controversie sull'eccidio di Porzûs}}
Le responsabilità politiche e materiali dell'eccidio di Porzûs sono al centro di un acceso dibattito politico e storiografico<ref>[[Elena Aga Rossi]], ''L'eccidio di Porzus e la sua memoria'', in {{cita|Piffer 2012|harv=s}}. Il saggio è stato poi ripubblicato lo stesso anno col titolo {{cita pubblicazione|titolo="Porzus" nella storiografia. La Osoppo e il mancato "rovesciamento di fronte"|rivista=[[Critica Sociale]]|numero=3-4|pagine=24-25|url=http://www.criticasociale.net/files/2_0004665_file_1.pdf|accesso=29 giugno 2012}}</ref>, intersecatosi fino agli [[anni 1950|anni cinquanta]] con i processi ai quali furono sottoposti esecutori e presunti mandanti della strage.
Gli eventi legati a Porzûs hanno acquisito un valore paradigmatico: per gli uni del tentativo di delegittimare la Resistenza proiettando sull'intero movimento partigiano un episodio ritenuto marginale, per gli altri della natura totalitaria e antidemocratica del Partito Comunista Italiano e del carattere sostanzialmente antinazionale della sua politica<ref>{{cita|Piffer 2012|''Introduzione'', pp. 7 ss. e pp. 94 ss|harv=s}}.</ref>.
 
Durante il processo, il PCI organizzò una campagna di stampa per ribadire le accuse di connivenza con fascisti e nazisti dei reparti della Osoppo, ritenendo che in Italia fosse sostanzialmente tornata al potere una destra direttamente connessa col regime fascista, della quale la Democrazia Cristiana era il cardine, che tramite il processo per l'eccidio voleva mettere sotto accusa il PCI e l'intero movimento resistenziale<ref>{{cita news|autore=Ferdinando Mautino|url=http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t=ebook&file=/archivio/uni_1951_10/19511006_0005.pdf|titolo=La "Osoppo" strinse patti con la "X mas"|pubblicazione=l'Unità|data=6 ottobre 1951|accesso=29 giugno 2012|formato=PDF}}</ref><ref>{{cita news| autore=[[Davide Lajolo]]|url=http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t=ebook&file=/archivio/uni_1952_01/19520127_0003.pdf|titolo=Le vicende del processo Porzus e la campagna elettorale D.C.|pubblicazione=l'Unità|data=27 gennaio 1952|accesso=29 giugno 2012}}</ref>. Della chiusura della vicenda giudiziaria per intervenuta amnistia nel 1954 non fu data notizia, e per circa quindici anni sulla vicenda cadde il silenzio.
 
Nel 1964 [[Roberto Battaglia]] — storico iscritto al PCI, già comandante partigiano — trattò rapidamente dell'eccidio nella sua ''Storia della Resistenza italiana'', attribuendone la responsabilità all'odio politico divampato dall'anticomunismo di "Bolla" che si sarebbe scontrato con «l'animosa intolleranza di fanatici avversari»<ref>Roberto Battaglia, ''Storia della Resistenza italiana'', Torino, Einaudi, 1964, pp. 442-443.</ref>. La tesi di Battaglia che indicò gli osovani come corresponsabili dell'eccidio, nei decenni successivi venne ripresa varie volte, in tutto o in parte, da altri autori come [[Giorgio Bocca]]<ref>Giorgio Bocca, ''Storia dell'Italia partigiana'', Bari, Laterza, 1966, p. 441.</ref> o Giampaolo Gallo<ref>{{cita libro|Giampaolo|Gallo|La resistenza in Friuli|2005|Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione|Udine|2005|pagine=p. 209}}.</ref>. Un altro gruppo di autori concentrò la propria attenzione sulle responsabilità degli osovani in relazione ai loro contatti con la Decima Mas, che avrebbe quindi, se non giustificato, quanto meno reso comprensibile la reazione di Toffanin e i suoi: su tale aspetto insistettero per esempio Pierluigi Pallante<ref>{{cita libro|Pierluigi|Pallante|Il PCI e la questione nazionale. Friuli-Venezia Giulia 1941-1945|1980|Del Bianco|Udine|1980|pagine=pp. 236 ss.}}</ref> e Pier Arrigo Carnier<ref>{{cita libro|Pier Arrigo|Carnier|Lo sterminio mancato. La dominazione nazista nel Veneto orientale 1943-1945|1982|Mursia|Milano|1982|pagine=pp. 180-182}}</ref>.
 
Nel 1975 venne pubblicato il primo studio specificamente dedicato all'eccidio, ''Porzûs, due volti della Resistenza'' di Marco Cesselli, nel quale si espressero per la prima volta, sia pure con cautele, delle aperture verso una revisione della precedente interpretazione dell'eccidio e si misero in luce con chiarezza le responsabilità politiche dei massimi dirigenti del PCI friulano, ma per il resto del decennio e per quasi tutti gli [[anni 1980|anni ottanta]] la storia di Porzûs non suscitò quasi alcun interesse da parte degli storici accademici<ref>Secondo la storica [[Elena Aga Rossi]], all'inizio del decennio «il solo nominarla veniva considerato come un tentativo di screditare il movimento partigiano»: {{cita news|autore=[[Dario Fertilio]]|url=http://archiviostorico.corriere.it/1997/agosto/13/Malga_Porzus_risveglio_della_sinistra_co_0_9708135173.shtml|titolo=Malga Porzus, il risveglio della sinistra|pubblicazione=Corriere della Sera|data=13 agosto 1997|accesso=29 giugno 2012}}</ref>.
 
La questione tornò prepotentemente all'attenzione dell'opinione pubblica negli [[anni 1990|anni novanta]], intersecandosi con altre polemiche quali quelle sul cosiddetto [[triangolo della morte (Emilia)|triangolo della morte]]<ref>Si veda [[Otello Montanari]], «Rigore sugli atti di "Eros" e Nizzoli», ''[[Il resto del Carlino]]'', 29 agosto 1990: l'articolo venne immediatamente ribattezzato «Chi sa parli».</ref> o quelle su [[Organizzazione Gladio|Gladio]], un'organizzazione paramilitare segreta sorta in ambito [[NATO]] per contrastare un eventuale attacco delle forze del [[Patto di Varsavia]] ai paesi dell'Europa occidentale, a cui aderì un numero tuttora imprecisato — presumibilmente dell'ordine di alcune centinaia — di ex partigiani della Osoppo<ref>[[Cesare Bermani]], ''Il nemico interno. Guerra civile e lotte di classe in Italia, 1943-1976'', Roma, Odradek 2003.</ref>.
La polemica raggiunse il suo acme quando l'allora presidente della Repubblica [[Francesco Cossiga]] nel corso di una visita in Friuli fra il 7 e il 9 febbraio del 1992 incontrò pubblicamente un gruppo di appartenenti a Gladio, accusando i partigiani comunisti di aver combattuto anche per l'instaurazione di una dittatura contro gli interessi nazionali dell'Italia<ref>{{cita news|autore=Pasquale Cascella|url=http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t=ebook&file=/archivio/uni_1992_02/19920209_0003.pdf|formato=PDF|titolo=Partigiani? No, volevano la dittatura|pubblicazione=l'Unità|data= 9 febbraio 1992|accesso=29 giugno 2012}}</ref>.
 
Nella seconda metà del decennio, le polemiche si incrociarono con un più ampio dibattito sulla revisione storiografica degli anni del fascismo e della Resistenza, notevolmente aumentato a partire dall'entrata nella maggioranza di governo del [[Movimento Sociale Italiano]] (1994) e visto nell'ottica più ampia delle questioni relative alla cessione dei territori orientali a seguito del [[Trattato di pace con l'Italia (1947)|trattato di pace]] del 1947, ai [[massacri delle foibe]] e all'[[esodo istriano|esodo giuliano-dalmata]]<ref>[[Elena Aga Rossi]], «Il PCI tra identità comunista e interesse nazionale» in Marina Cattaruzza (a cura di), ''La nazione in rosso: socialismo, comunismo e interesse nazionale 1889-1953'', Rubbettino 2005</ref><ref>Gianni Oliva, ''Foibe. Le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell'Istria'', Milano, Mondadori 2003</ref><ref>Giovanni Sale, ''Il Novecento fra genocidi, paure e speranze'', Milano, Jaca Book 2006</ref><ref>Glenda Sluga, ''The problem of Trieste and the Italo-Yugoslav border: Difference, Identity, and Sovereignity in Twentieth-Century Europe'', State University of New York Press, 2002</ref><ref>Philip D. Morgan, ''The fall of Mussolini: Italy, the Italians, and the Second World War'', Oxford University Press, 2008</ref>. Furono quindi pubblicati diversi articoli e saggi, che a loro volta causarono ulteriori polemiche, anche a causa della nascita e dello sviluppo di svariate ipotesi — le più diverse — sui mandanti effettivi della spedizione gappista.
 
Ulteriori polemiche sorsero alla notizia che alla [[54ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia|54ª Mostra del Cinema di Venezia]] del [[1997]] sarebbe stato presentato ''[[Porzûs (film)|Porzûs]]'', film sull'eccidio diretto da [[Renzo Martinelli]]. La proiezione fu accolta con reazioni miste tra l'indifferenza e l'entusiasmo<ref>{{Cita news|url=http://archiviostorico.corriere.it/1997/settembre/01/Gelo_alla_Mostra_Porz_divide_co_0_97090110811.shtml|titolo=Gelo alla Mostra, "Porzus" divide ancora|autore=Giuseppina Manin |pubblicazione=Corriere della Sera|accesso=29 giugno 2012|data=1º settembre 1997}}</ref>, mentre ''Delo'', il più importante quotidiano sloveno, accusò gli «ex comunisti in Italia» ([[Partito Democratico della Sinistra|PDS]]) di utilizzare un film sul «più celebre falso storico organizzato dai servizi segreti italiani» per condurre una «guerra di propaganda» contro Slovenia e Croazia al fine di porre «i due paesi sotto l'influenza dell'Italia»<ref>{{cita news|url=http://archiviostorico.corriere.it/1997/agosto/21/Porzus_falso_antisloveno_alimentato_dal_co_0_9708216365.shtml|titolo=Porzus? Un falso antisloveno alimentato dal Pds|pubblicazione=Corriere della Sera|data=21 agosto 1997|accesso=29 giugno 2012}}</ref><ref>{{Cita news|url=http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t=ebook&file=/golpdf/uni_1997_08.pdf/22SPE02A.pdf|formato=PDF|titolo=Caso "Porzûs". Giacca ricorre agli avvocati|pubblicazione=l'Unità due|data= 22 agosto 1997|accesso=29 giugno 2012}}</ref>.
 
Fra il 2001 e il 2003 vi furono due tentativi di riconciliazione: il primo fu il già citato incontro fra "Vanni" e il sacerdote osovano don Redento Bello "Candido" (23 agosto 2001)<ref name=morelli/>; il secondo, sempre organizzato da "Vanni" e "Candido", coinvolse anche i vertici dell'Associazione Partigiani Osoppo e una serie di politici locali e nazionali (9 febbraio 2003)<ref>{{cita news|autore=Paolo Conti|url=http://archiviostorico.corriere.it/2003/febbraio/05/Cerimonia_del_perdono_alla_malga_co_0_0302051582.shtml|titolo=Cerimonia del perdono alla malga Porzus con don Candido e Vanni|pubblicazione=Corriere della Sera|data= 5 febbraio 2003|accesso=30 giugno 2012}}</ref><ref>{{Cita news|autore=Andrea Del Vanga|url=http://www.sissco.it/index.php?id=1291&tx_wfqbe_pi1&#91;idrassegna&#93;=1362 |titolo=A Porzus, noi comunisti responsabili della strage|pubblicazione=Il Messaggero|data=10 febbraio 2003|accesso=30 giugno 2012}}</ref><ref>{{cita news|autore=Enrico Bonerandi|url=http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2003/02/10/eccidio-di-porzus-le-scuse-del-comandante.html|titolo=Eccidio di Porzus, le scuse del Comandante Vanni|pubblicazione=la Repubblica|data=10 febbraio 2003|accesso=30 giugno 2012}}</ref>, ma i rapporti fra reduci osovani e garibaldini non si rasserenarono completamente.
 
Ormai sdoganato come argomento di studio, anche nel nuovo secolo l'eccidio di Porzûs non è scevro di interpretazioni difformi anche all'interno delle stesse opere storiografiche, riproponendo di quando in quando alcuni tipici approcci degli anni precedenti<ref>Si veda per esempio il lemma di Marco Puppini, «Friuli, divisione Osoppo», in Enzo Collotti, Roberto Sandri, Frediano Sessi (a cura di), ''Dizionario della Resistenza'', vol. II, Torino, Einaudi 2001, p. 200, nel quale di afferma che il 7 febbraio del 1945 «l'intero comando della I brigata Osoppo è arrestato da uomini dei GAP a Porzûs» senza indicarne poi la sorte.</ref>. L'attuale panorama storiografico fa quindi ancora ritenere ad alcuni che «Nonostante decenni di polemiche e ricerche, non è comunque tuttora disponibile un'esauriente ricostruzione che inquadri l'episodio nel suo contesto, analizzando l'eccidio in relazione al tema più generale non solo dei rapporti interni alla Resistenza italiana e della politica del PCI, ma anche delle relazioni tra le altre forze in campo, i comunisti sloveni e la X Mas»<ref>{{cita|Piffer 2012|p. 110||harv=s}}.</ref>.
 
Il 29 maggio 2012 avrebbe dovuto tenersi la prima visita ufficiale di un presidente della Repubblica italiana — [[Giorgio Napolitano]] — alle malghe di Topli Uork<ref>{{cita news | url=http://messaggeroveneto.gelocal.it/cronaca/2012/04/14/news/napolitano-in-friuli-dal-9-all-11-maggio-omaggio-a-porzus-1.4067338|titolo=Napolitano in Friuli dal 9 all’11 maggio. Omaggio a Porzûs | data=14 aprile 2012|pubblicazione=Messaggero Veneto|accesso=30 giugno 2012}}</ref>.
Per motivi organizzativi, il Capo dello Stato in seguito non si è recato fino al luogo ove iniziò l'eccidio ma nel vicino comune di Faedis, dove ha scoperto una targa in memoria dei trucidati.
Nel suo discorso, Napolitano ha definito l'eccidio di Porzûs «tra le più pesanti ombre che siano gravate sulla gloriosa epopea della Resistenza» individuandone le radici in un «torbido groviglio [di] feroci ideologismi di una parte, con calcoli e pretese di dominio di una potenza straniera a danno dell'Italia, in una zona martoriata come quella del confine orientale del nostro Paese»<ref>{{cita web|url=http://www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Discorso&key=2450|titolo=Intervento del Presidente Napolitano al Municipio di Faedis in ricordo delle vittime delle Malghe di Porzus|data=29 maggio 2012|accesso=30 giugno 2012}}</ref>.
Nonostante l'invito di Napolitano alla riconciliazione fra le diverse anime della Resistenza italiana, i contrasti fra ANPI e APO (Associazione Partigiani Osoppo) non risultano superati: quest'ultima chiede all'ANPI di sottoscrivere il documento di assunzione di responsabilità e di scuse presentato ufficialmente nel 2001 da Giovanni Padoan "Vanni", già commissario politico della Divisione Garibaldi Natisone, mentre la prima chiede che sia l'APO a fare un primo passo<ref>{{cita news|autore=Domenico Pecile|url=http://messaggeroveneto.gelocal.it/cronaca/2012/05/31/news/dopo-la-visita-di-napolitano-appello-a-vuoto-faedis-resta-divisa-1.5183875|titolo=Dopo la visita di Napolitano. Appello a vuoto, Faedis resta divisa|pubblicazione=Messaggero Veneto|data= 31 maggio 2012|accesso=30 giugno 2012}}</ref>.
 
== Le malghe di Porzûs come bene di interesse culturale ==
Il [[18 gennaio]] [[2010]] la Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Friuli Venezia Giulia emise un decreto che rendeva di «interesse culturale» il «bene denominato Malghe di Porzûs», ma a seguito di una serie di polemiche derivanti dal contenuto della relazione storica allegata, il provvedimento fu revocato dall'allora [[Ministero per i Beni e le Attività Culturali|ministro per i beni culturali]] [[Sandro Bondi]]<ref>Il 9 maggio 2010, durante una conferenza stampa, [[Carlo Giovanardi]] contestò la correttezza della relazione storica allegata al decreto, affermando che alcuni dei contenuti della stessa sembravano ripresi da [[Wikipedia]] (cfr. Dino Messina, «[http://lanostrastoria.corriere.it/2010/05/il-pasticcio-ministeriale-sull.html Il pasticcio ministeriale sull'eccidio di Porzus]», ''Corriere della Sera'', 27 maggio 2010; «[http://messaggeroveneto.gelocal.it/cronaca/2010/05/27/news/pasticcio-storico-su-porzus-bondi-blocca-il-riconoscimento-1.43917 Pasticcio storico su Porzûs: Bondi blocca il riconoscimento]», ''Messaggero Veneto'', 27 maggio 2010. Il 25 maggio anche il quotidiano cattolico ''[[Avvenire]]'', attraverso un editoriale dello storico [[Paolo Simoncelli]] («Sulla strage di Porzûs strane ipocrisie», 26 maggio 2010), denunciò come erronea la versione dei fatti fornita dal decreto. Secondo Simoncelli la ricostruzione non rese giustizia di quanto storicamente accaduto e successivamente condannato dai tribunali. A tale articolo fecero seguito diversi interventi sui quotidiani nazionali. Per la revoca del provvedimento, si veda ''Porzûs, il ministero cambia rotta'', in ''Avvenire'', 28 maggio 2010.</ref>.
Corretta la relazione storica, il decreto fu reiterato a novembre dello stesso anno<ref>{{cita web|url=http://www.anvgd.it/notizie/10421-27-nov-giovanardi-corretta-relazione-su-malghe-porzus|titolo=Giovanardi: corretta la relazione storica sugli avvenimenti delle Malghe di Porzus|data=26 novembre 2010|accesso=30 giugno 2012}}</ref>.
 
Da tempo è attivo l'iter procedurale per dichiarare le malghe di Porzûs [[monumento nazionale]]<ref>{{cita news|autore=Antonio Carioti|url=http://archiviostorico.corriere.it/2011/febbraio/04/malghe_Porzus_siano_dichiarate_monumento_co_9_110204054.shtml|titolo=Le malghe di Porzûs siano dichiarate monumento nazionale|data=4 febbraio 2011|pubblicazione=Corriere della Sera|accesso=30 giugno 2012}}</ref>.
Alcuni dirigenti dell'ANPI si sono opposti all'iniziativa, così come alla proposta di intitolare alcune vie cittadine ai «martiri di Porzûs»<ref>È il caso di Giorgio Coianiz, presidente della sezione di San Giorgio di Nogaro (UD) dell'ANPI, che ha inviato una lettera aperta a tutti i consiglieri comunali del suo paese, nonché ai consiglieri della provincia, stigmatizzando quelli che a suo parere appaiono dei tentativi "beceri e populisti" di "riseminare odio" (cfr. «L'ANPI scrive ai politici: su Porzûs non siete informati», ''Messaggero Veneto'', 19 agosto 2010).</ref>.
 
==La memoria==
L'Associazione Partigiani Osoppo-Friuli, nata nel 1947 e non facente parte dell'[[Associazione Nazionale Partigiani d'Italia|ANPI]], bensì della [[Federazione Italiana Volontari della Libertà]], fin dai primi tempi della propria fondazione ha mantenuto vivo il ricordo dell'eccidio di Porzûs.
Da svariati anni, in occasione dell'anniversario dell'assalto gappista, organizza quindi una cerimonia direttamente alle malghe di Topli Uork, in genere accompagnata da altre manifestazioni di tipo storico/rievocativo o commemorativo, quali mostre, convegni, presentazioni di libri, messe e concerti.
Nel periodo estivo viene invece organizzato un incontro al Bosco Romagno, a ricordare gli osovani ivi uccisi<ref>{{cita web|url=http://www.partigianiosoppo.it|titolo=Associazione Partigiani "Osoppo-Friuli"|accesso=30 giugno 2012}}</ref>.
Entrambe le manifestazioni sono state variamente contrastate e contestate da vari gruppi della sinistra estrema oltre che, in certi casi, dall'ANPI.
In anni più recenti alcune volte le critiche hanno trovato supporto nelle teorie storiche di [[Alessandra Kersevan]]<ref>{{cita web|titolo=Lettera aperta di Alessandra Kersevan al presidente Napolitano su Porzûs|url=http://enna.anpi.it/2012/06/02/lettera-aperta-al-presidente-napolitano-su-porzus/|accesso=30 giugno 2012}}</ref><ref>{{cita news|autore=Ilaria Purassanta|url=http://messaggeroveneto.gelocal.it/cronaca/2012/02/11/news/napolitano-a-porzus-l-anpi-la-visita-chiuda-le-polemiche-1.3169215|titolo=Napolitano a Porzûs. L'Anpi: "La visita chiuda le polemiche"|pubblicazione=Messaggero Veneto|data=11 febbraio 2012|accesso=30 giugno 2012}}; nell'articolo si riporta l'opinione di Federico Vincenti, presidente dell'ANPI per la provincia di Udine, che fra l'altro ha dichiarato: «(…) la strage alle malghe è imputabile a Mario Toffanin. La responsabilità è sua e invece hanno cercato di infangare il comandante e il commissario della Garibaldi e peraltro i loro diffamatori sono stati condannati di recente dal tribunale. È ora di finirla con il revisionismo storico che ha colpito e umiliato la nostra Resistenza friulana, una delle più forti in Europa»</ref><ref>{{cita web|url=http://www.cobaspisa.it/foibe-e-revisionismo-storicopolitico/|titolo=Foibe e revisionismo storico/politico|accesso=30 giugno 2012}}</ref>.
Solo nel 2009 un rappresentante dell'ANPI, a titolo personale, ha partecipato alla cerimonia alle malghe<ref>{{cita|Piffer 2012|p. 104|harv=s}}.</ref>.
 
== Note ==
{{<references|2}}/>
 
== Bibliografia ==
* ''[[Wilhelmine von Bayreuth]], eine preußische Königstochter'', hg. v. [[Ingeborg Weber-Kellermann]], Insel Frankfurt/M. 1981, ISBN 3-458-32980-3
;Saggistica
* Friedrich Beck/[[Julius H. Schoeps]] (Hrsg.): ''Der Soldatenkönig. Friedrich Wilhelm I. in seiner Zeit.'' Verlag für Berlin-Brandenburg Potsdam 2003 ISBN 3-935035-43-8
* {{cita libro|||autore=[[Elena Aga Rossi]], [[Victor Zaslavsky]]|[[Togliatti e Stalin|Togliatti e Stalin. Il PCI e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca]]|1997|[[Il Mulino]]|Bologna|id=ISBN 9788815118691|cid=Aga Rossi e Zaslavsky 1997}}
* Claus A. Pierach, Erich Jennewein: ''Friedrich Wilhelm I. und die Porphyrie''. In Sudhoffs Archiv, Franz Steiner Verlag Stuttgart, Bd. 83, Heft 1 (1999), S. 50-66
* {{cita pubblicazione|autore=Elena Aga Rossi||coautori=Antonio Carioti|data=giugno 2008|titolo=I prodromi dell'eccidio di Porzûs|rivista=Ventunesimo Secolo|numero=16|pagine=83-88|cid=Aga Rossi e Carioti 2008}}
* Generaldirektion der Staatlichen Schlösser und Gärten Potsdam-Sanssouci (Hrsg.): ''Friedrich Wilhelm I.'' Der ''Soldatenkönig'' als ''Maler'', Potsdam 1990
* {{cita libro|||curatore=Gianfranco Bianchi e Silvano Silvani|Per rompere un silenzio più triste della morte. Il processo di Porzûs. Testo della sentenza 30.04.1954 della corte d'assise d'appello di Firenze|2012|annooriginale=1983|La Nuova Base Editrice|Udine|id=ISBN 8863290598|cid=Bianchi e Silvani 2012}}
* [[Carl Hinrichs (Historiker)|Carl Hinrichs]]: ''Friedrich Wilhelm I. König in Preußen, eine Biographie''. Hamburg 1941. Ergänzter reprographischer Nachdruck bei Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1968.
* {{cita libro|Alberto|Buvoli|Le formazioni Osoppo Friuli. Documenti 1944-45|2003|Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione|Udine|id=ISBN 8887388105|cid=Buvoli 2003}}
* Heinz Kathe: Der Soldatenkönig. Friedrich Wilhelm I. 1688 - 1740. König in Preußen, Köln 1981 ISBN 3-7609-0626-5
* {{cita libro|Marina|Cattaruzza|wkautore=Marina Cattaruzza|L'Italia e il confine orientale|2007|Il Mulino|Bologna|id=ISBN 8815113940|cid=Cattaruzza 2007}}
* [[Christian Graf von Krockow]]: ''Porträts berühmter deutscher Männer - Von Martin Luther bis zur Gegenwart'', List München 2001, S. 57-100 ISBN 3-548-60447-1
* {{cita libro|Marco|Cesselli|Porzûs, due volti della Resistenza|1975|La Pietra|Milano|cid=Cesselli 1975}}
* [[Heinz Ohff]], ''Preußens Könige'', Piper Verlag, München 2001 ISBN 3-492-23359-7
* {{cita libro|Primo|Cresta|wkautore=Primo Cresta|[[Un partigiano dell'Osoppo al confine orientale]]|1969|Del Bianco|Udine|cid=Cresta 1969}}
* [[Wolfgang Venohr]]: ''Friedrich Wilhelm I. Preußens Soldatenkönig. '', Erg. 2. Aufl., Ullstein Berlin 2001 ISBN 3-7766-2223-7
* {{cita libro|Daiana|Franceschini|Porzûs. La Resistenza lacerata|1998|Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione del Friuli-Venezia Giulia|Trieste}}
* [[Christopher Clark]]: ''Preußen. Aufstieg und Niedergang 1600-1947'', Bonn 2007 ISBN 978-3-89331-786-8
* {{cita libro|Sergio|Gervasutti|Il giorno nero di Porzus. La stagione della Osoppo|1997|annooriginale=1981|Marsilio|Venezia|id=ISBN 8831768158|cid=Gervasutti 1997}}
* Amedeo Miceli di Serradileo, Le guardie del corpo di Federico Guglielmo di Prussia reclutate a Cosenza nel 1737, in "Rivista Storica Calabrese", Catanzaro Lido, a.XXII, 2001, nn. 1-2.
* {{cita libro|Patrick|Karlsen|Il PCI, il confine orientale e il contesto internazionale 1941-1955|Anno Accademico 2007-2008|cid=Karlsen 2008}} Tesi di dottorato poi pubblicata con il titolo {{cita libro|||Frontiera rossa. Il PCI, il confine orientale e il contesto internazionale 1941-1955|2010|Libreria Editrice Goriziana|Gorizia|id=ISBN 8861020747}}
* voce "FEDERICO GUGLIELMO I re di Prussia", in Enciclopedia Italiana, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, Roma, 1949, vol.14, pp.&nbsp;961–962.
* {{cita libro|Alessandra|Kersevan|wkautore=Alessandra Kersevan|Porzûs, Dialoghi sopra un processo da rifare|1995|Edizioni Kappa Vu|Udine|id=ISBN 8889808756|cid=Kersevan 1995}}
* {{cita libro|Antonio|Lenoci|Porzûs. La Resistenza tradita|1998|Laterza|Bari|id=ISBN 8882310442}}
* {{cita libro|Gianni|Oliva|wkautore=Gianni Oliva|Foibe. Le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell'Istria|2002|Mondadori|Milano|id=ISBN 8804515845|cid=Oliva 2002}}
* {{cita libro|Giovanni|Padoan|wkautore=Giovanni Padoan|Abbiamo lottato insieme. Partigiani italiani e sloveni al confine orientale|1965|Del Bianco|Udine}}
* {{cita libro|Giovanni|Padoan|Porzûs. Strumentalizzazione e verità storica|2000|Edizioni della Laguna|Mariano del Friuli}}
* {{cita libro|||curatore=Tommaso Piffer|Porzûs. Violenza e Resistenza sul confine orientale|2012|Il Mulino|Bologna|id=ISBN 8815234861|cid=Piffer 2012}}
* {{cita libro|Jože|Pirjevec|wkautore=Jože Pirjevec|Foibe. Una storia d'Italia|2009|Einaudi|Torino|id=ISBN 8806198041|cid=Pirjevec 2009}}
* {{cita libro|Raoul|Pupo|wkautore=Raoul Pupo|Trieste '45|2010|Laterza|Bari|id=ISBN 8842092636|cid=Pupo 2010}}
* {{cita libro|Paolo|Spriano|wkautore=Paolo Spriano|Storia del Partito Comunista Italiano. V. La Resistenza. Togliatti e il partito nuovo|1975|Einaudi|Torino|id=ISBN 8806115029|cid=Spriano 1975}}
* {{cita libro|Paolo|Strazzolini|Da Porzûs a Bosco Romagno|2006|Associazione Culturale Forum Democratico|Spilimbergo|cid=Strazzolini 2006}}
;DVD
* {{cita libro|Paolo|Strazzolini|Udine nella memoria - 1945. Da Porzûs a Bosco Romagno. L'eccidio alle malghe di Topli Uork. I fatti, i luoghi, i personaggi|2008|Udine|Comune di Udine - Comune di Attimis|cid=Strazzolini 2008}}
 
== Altri progetti ==
==Collegamenti esterni==
{{interprogetto|commons=Category:Friedrich Wilhelm I of Prussia}}
;Saggi
* {{cita pubblicazione|autore=Elena Aga Rossi|anno=2012|titolo="Porzus" nella storiografia. La Osoppo e il mancato "rovesciamento di fronte"|rivista=[[Critica Sociale]]|numero=3-4|pagine=24-25|url=http://www.criticasociale.net/files/2_0004665_file_1.pdf|accesso=29 giugno 2012}}
* Paolo Deotto, ''[http://www.storiain.net/arret/num62/artic1.htm Strage di Porzûs. Un'ombra cupa sulla Resistenza]'', da Storia in Network.
;Interviste
* [http://www.ilsussidiario.net/News/Cultura/2012/2/4/PORZUS-Cosi-quella-strage-ha-mandato-in-crisi-il-Pci-e-Togliatti-/238940/ ''Porzûs. Così quella strage ha mandato in "crisi" il Pci (e Togliatti)''.] Intervista a Patrick Karlsen da Sussidiario.net.
 
{{Box successione
;Interviste audio
|tipologia=regnante
da [[Radio Radicale]]:
|immagine=Flag of the Kingdom of Prussia (1701-1750).svg
* [http://www.radioradicale.it/scheda/44583?format=32 Eccidio di partigiani bianchi della brigata Osoppo a Porzus nel 1945], intervista di [[Maurizio Becker]] a [[Galliano Fogar]] e [[Mario Toffanin]] "Giacca" (in collegamento telefonico da Capodistria), 5 febbraio 1992.
|carica=[[Sovrani di Prussia|Re in Prussia]]
* [http://www.radioradicale.it/scheda/296597/a-65-anni-dalla-strage-di-porzus-intervista-al-professor-paolo-pezzino A 65 anni dalla strage di Porzus], intervista al professor [[Paolo Pezzino]], 2 febbraio 2010.
|periodo=[[1713]]-[[1740]]
* [http://www.radioradicale.it/scheda/355173/porzus-violenza-e-resistenza-sul-confine-orientale-presentazione-del-libro-a-cura-di-tommaso-piffer-il-mul "Porzus. Violenza e Resistenza sul confine orientale" presentazione del libro a cura di Tommaso Piffer (Il Mulino)], 20 giugno 2012.
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;Articoli di quotidiani
}}
Gli articoli de ''[[La Stampa]]'' citati nella voce possono essere letti al seguente indirizzo:
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* [http://www3.lastampa.it/archivio-storico/ Archivio storico]
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{{Eccidio di Porzûs}}
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[[Categoria:Storia del Friuli|Porzûs]]
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