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'''Noûs''' ({{polytonic|νοῦς}}, leggi ''nus''), traducibile con [[Pensiero]] o [[Intelletto]], è il termine greco antico con cui si indica la facoltà o la "sostanza" mentale.<ref>''Vocabolario greco della filosofia'', a cura di [[Ivan Gobry]], Milano, Bruno Mondadori, 2004, p. 144.</ref>
 
==Il termine ''noûs'' in Omero==
Il termine è la contrazione dell'analogo ionico {{polytonic|νόος}} (''nóos''), che si riscontra per la prima volta in [[Omero]], dove indica l'organo sede della rappresentazione delle idee chiare<ref>In Omero νόος «è lo spirito [...] sede di rappresentazioni chiare» [[Bruno Snell]] citato da Linda Napolitano, ''Op.cit.'' p. 7956 che più avanti lo indica come "organo che le suscita e intendimento".</ref>, quindi la "comprensione"<ref>''Iliade'' IX, 104.</ref>, posseduta in misura maggiore dagli dèi<ref>''Iliade'' XVI, 688-690 e XVII 176-178.</ref>; quindi l'intendimento che le provoca<ref>''Odissea'' V, 23</ref>.
 
[[Richard Broxton Onians]] ([[1899]] - [[1986]]), in un'opera in cui combina filologia e antropologia, rileva come nei poemi omerici il pensare si identifichi con il parlare e questo con il respiro per cui il nous avrebbe «...sede nel petto, e come risulta da almeno due passi<ref>''Odissea'' III, 60-64; IX, 553 sg., 646. Rendiamo qui come ''Odissea'' e non come ''Iliade'', così erroneamente riportato invece in nota n. 5, p. 106 dell'edizione italiana dell'opera di [[Richard Broxton Onians]].</ref>, sembra venisse identificato con il cuore.»<ref>Richard Broxton Onians, ''Le origini del pensiero europeo'', Milano, Adelphi, 2006, p. 106.</ref>, anche se Posidone apostrofa Apollo come colui che ha un "cuore privo di {{polytonic|νόος}}"<ref>«{{polytonic|ἄνοον κραδίην}}» ''Iliade'', XXI, 441.</ref>; inoltre in ''Odissea'' appare piuttosto esprimere un obiettivo o un risultato di un'azione della coscienza<ref>«{{polytonic|οὐ γὰρ δὴ τοῦτον μὲν ἐβούλευσας νόον αὐτή}}»: "questo νόος non l'hai progettato tu stessa?", ''Odissea'' V, 23</ref>, il che dimostrebbe che in origine il νόος non indicava una parte del corpo.
 
Il {{polytonic|νόος}} esprime, quindi, nei poemi omerici, «sia un movimento specifico, un proposito, sia un'entità in certo modo stabile, ciò che mette in movimento, la coscienza funzionale allo scopo»<ref>Richard Broxton Onians, ''op.cit.'', p.107.</ref>. Il νόος possiede anche il significato di "intelligenza" o "intelletto" ma a differenza di queste non è evidentemente materiale e quindi non può essere ferito dalle armi<ref>Richard Broxton Onians, ''op.cit.'', p.107.</ref>. Non è nemmeno semplice "intelletto" in quanto risulta dinamico ed emotivo<ref>Richard Broxton Onians, ''op.cit.'', ibidem</ref>.
 
{{q|Il νοῦς vede, il νοῦς sente: tutto il resto è sordo e cieco.|Epicarmo, fr. 249 Kaibel}}
 
==Le prime attestazioni in ambito filosofico==
Nell'ambito della storia della filosofia, il termine νοῦς lo si può ritrovare in alcuni accenni di [[Talete]]<ref>Almeno per quanto attiene ciò che riferisce [[Diogene Laerzio]] (I,35):{{quote|[Di tutti gli esseri...] il più veloce è l'intelletto ({{polytonic|νοῦς}}), perché corre ovunque.|[[Diogene Laerzio]], I, 35; D-K 11, A, 1|[...] {{polytonic|τί τάχιστον; Νοῦς. Διὰ παντὸς γὰρ τρέχει.}}|lingua=grc}}</ref>, di [[Pitagora]]<ref>Almeno secondo quanto afferma [[Aezio (filosofo)|Aezio]] (I, 3, 8; D-K 58 B 15), Pitagora avrebbe sostenuto che la nostra anima ({{polytonic|ψυχή}}) sarebbe composta dalla tetrade ({{polytonic|τετράδος}}): intelletto ({{polytonic|νοῦς}}), conoscenza ({{polytonic|ἐπιστήμη}}), opinione ({{polytonic|δόξα}}), percezione ({{polytonic|αἴσθησις}}).</ref>, e di [[Eraclito]]<ref>Cfr. D-K 22 B 2: secondo Eraclito, «ciò che dovrebbe essere comune ({{polytonic|κοινός}}) a tutti è "unito a intelletto" ({polytonic|ξυνον}} {{polytonic|σὺν νᾠ}}. Così ci sono coloro che parlano con {{polytonic|νοῦς}} (fr. 114) e l'erudizione non è segno di {{polytonic|νοῦς}} (fr. 40).</ref>, ma è soprattutto [[Parmenide]] a utilizzare il verbo νοεῖν ("l'atto del pensare") in contrapposizione agli "erranti sensi". Anche i termini νόημα (termine arcaico utilizzato da Parmenide: il "pensiero", cfr. fr.16) e νοητόn ("ciò che è pensato") indicano che solo l'attività noetica realizza la vera conoscenza,<ref>cfr. [[Linda Napolitano]], ''Enciclopedia filosofica'' vol.8, Milano, Bompiani, 2006, p.7956.</ref> che consiste nel capire che l'Essere è e non può non essere, mentre il divenire attestato dai sensi è mera apparenza.
 
=== Il ''noûs'' in Anassagora: Intelligenza divina che organizza il mondo===
Con [[Anassagora]] il termine {{polytonic|νοῦς}} emerge in tutto il suo significato metafisico<ref>''Vocabolario greco della filosofia'', a cura di [[Ivan Gobry]], Milano, Bruno Mondadori, 2004, p.146. Questo fatto era noto a [[Cicerone]], che nel ''De natura deorum'' (I, 11, 26) così si esprime:
{{q|Poi Anassagora,, che fu continuatore di Anassimene, per primo sostenne che l'ordinata struttura dell'universo è progettata e realizzata dalla potenza e dalla razionalità di una mente infinita.|[[Cicerone]], ''La natura divina'' I, 11, 26. Traduzione di [[Cesare Marco Calcante]], Milano, Rizzoli, 2007, p.64|Inde Anaxagoras, qui accepit ab Anaximene disciplinam, primus omnium rerum discriptionem et modum mentis infinitae vi ac ratione dissignari et confici voluit.|lingua=la}}</ref>. Nella sua riflessione, [[Anassagora]] si muove sulle orme di [[Parmenide]], dal quale eredita la convinzione della permanenza dell’[[Essere (filosofia)|Essere]],<ref>G. Reale, ''Il pensiero antico'', pag. 48.</ref> ma non ne condivide l’illusorietà del [[divenire]]. E' vero che nulla nasce e nulla muore, ma tutto si trasforma. Nascita e morte sono termini convenzionali con i quali indichiamo l’aggregazione e la disgregazione delle parti di essere, dal lui chiamate "semi" o omeomerie.
 
Aggregazione e disgregazione non avvengono per caso e disordinatamente, ma per l’azione del ''Nous'' che, imprimendo il movimento ai semi originariamente immobili e caoticamente mescolati, li spinge in determinate regioni dello spazio dove si aggregano e si ordinano secondo un piano prestabilito.
 
{{q|[Anassagora] per primo pose l'Intelligenza al di sopra della materia. L'inizio del suo scritto - che è composto in stile piacevole- è il seguente "Tutte le cose erano insieme; poi venne l'Intelligenza, le distinse e le pose in ordine".|[[Diogene Laerzio]], ''Vite e dottrine dei più celebri filosofi'', II, 6. Edizione a cura di [[Giovanni Reale]]. Milano, Bompiani, 2006, p. 151}}
 
Quel movimento che Parmenide aveva negato alla radice, viene dunque spiegato da Anassagora a partire da un'intelligenza. Così riferisce Platone:
{{quote|Ma, un giorno, io udii un tale leggere un libro, che affermava essere di Anassagora, il quale diceva che è l'Intelligenza che ordina e che causa tutte le cose.|[[Platone]], ''Fedone'' 97 b; traduzione di [[Giovanni Reale]], in Platone ''Tutti gli scritti'', Milano, Bompiani,2008, p.105 }}
 
Si tratta di un'Intelligenza "divina" <ref>Tale "Intelligenza" viene indicata da [[Giovanni Reale]] come "divina" in ''Storia della filosofia greca e romana'', vol.1 Milano, Bompiani, 2004, p.232; ma anche [[Giovanni Reale]], ''Il pensiero antico'', Milano, Vita e Pensiero, 2001, p.49, anche se nei frammenti del filosofo che possediamo tale qualifica "divina" non viene mai assegnata al {{polytonic|νοῦς}} (Cfr. [[Werner Jaeger]], ''La teologia dei primi pensatori greci'', Firenze, La Nuova Italia, 1982, p.249), ma [[Werner Jaeger]] nota in merito:
{{q|Recentemente si è fatto notare che le affermazioni di Anassagora sul ''nus'' ricordano per la forma linguistica lo stile dell'inno e imitano volutamente questo modello. [...] in nessuno dei frammenti che possediamo è detto esplicitamente che egli abbia attribuito allo spirito qualità divine. Ciò nonostante questo deve essere stato il suo insegnamento, e lo conferma la forma dell'inno con la quale egli riveste gli attributi del ''nus''. Un'altra conferma è data anche dal contenuto di queste sue affermazioni. Gli attributi: illimitato, sovrano, non-misto e autonomo giustificano pienamente il tono elevato in cui il filosofo parla di questo principio supremo.|[[Werner Jaeger]], ''La teologia dei primi pensatori greci'', Firenze, La Nuova Italia, 1982, p.249 }}</ref> che non si mescola alla materia ma la domina e la dirige dal di fuori, creando il mondo dal caos originale (ἄπειρον, ''apeírōn''),<ref>''Vocabolario greco della filosofia'', a cura di [[Ivan Gobry]], Milano, Bruno Mondadori, 2004, p.146.</ref> un cosmo nel quale si dispiega l’ordine della natura. Esso prelude in un certo senso al [[demiurgo]] di Platone e al [[motore immobile]] di Aristotele.
 
Il ''nous'' di Anassagora non sembra tuttavia avere alcun carattere di intenzionalità, essendo un puro intelletto che "pensando" si autogoverna e così involontariamente governa anche il mondo.<ref>B. Mondin, ''Storia della metafisica'', pag. 94, vol I, ESD, Bologna, 1998.</ref> Stando ai frammenti che Anassagora ci ha lasciato <ref>[[Giovanni Reale]], ''I Presocratici''. Sui semi, aggregazione e disgregazione pag. 1071 e sgg. per l'azione del nous pp. 1013, 1035-1039, 1059</ref>, se ne deduce che esso che è puro, perché non è mescolato con gli altri semi, è esterno alla materia, eterno, autonomo,<ref>Anassimandro D-K 59 B 12 e D-K 59 B 14.</ref> ordinatore del mondo, intervendendo a separare le cose che prima erano mescolate <ref>Anassimandro D-K 59 B 13</ref>. Con lui, «il pensiero del divino si affina, ma non riesce a sganciarsi dai suoi presupposti naturalistici»<ref>C. Carbonara, ''I presocratici'', 1962, cit. in B. Mondin, op. cit.</ref>: per la mancanza di un fine, di una volontà ordinatrice, Anassagora riceverà l'accusa da parte di [[Socrate]], [[Platone]] ed [[Aristotele]] di non aver portato alle ultime conseguenze la sua teoria.
 
==Il ''noûs'' in Platone==
Nel ''Fedro'', infatti, Platone fa dire a Socrate:
{{Quote|Avendo udito un tale, che diceva di aver letto il libro dove Anassagora afferma essere l'Intelletto l'Ordinatore e la Causa di tutte le cose, godetti di questa spiegazione e pensai che, se la cosa fosse stata in questi termini, l'Intelletto avrebbe messo in ordine tutto e avrebbe disposto ogni cosa nel modo migliore... Ragionando in tal modo ero tutto contento e credevo di aver trovato in Anassagora la verità sulla causa degli esseri, secondo il mio intendimento, e che egli mi avrebbe detto in primo luogo se la terra è piatta o è rotonda, e, dopo avermelo detto, me ne avrebbe spiegato lo scopo e la necessità... sennonché, andando avanti con la lettura, ho visto che il mio eroe non si serviva affatto dell’Intelletto e non gli attribuiva nessuna causa nell'ordinamento delle cose, bensì ricorreva, come al solito, all'aria, all'etere, al fuoco, all'acqua e ad altre strane cose.|Platone, ''Fedro'', 97 b}}
 
Concetto ripreso nel ''[[Fedone]]''<ref>[[Platone]], ''[[Fedone]]'', XLVI 97b-98b</ref> dove [[Platone]], per bocca di Socrate si dice entusiasta del ''nous'' di Anassagora, ma poi esprime la sua delusione proprio perché ritiene che non ne abbia tratto tutte le conseguenze, non avendogli attribuito un'intenzionalità.
 
Intenzionalità introdotta da Platone con la figura del [[Demiurgo]], il "divino artefice", produttore divino del cosmo generato che interviene come causa razionale e provvidenziale, che plasma la materia secondo il modello delle Idee <ref>Platone, ''Timeo'', pag. 377, VI 29d-31b</ref>.
 
==Nous come motore immobile in Aristotele==
[[Aristotele]] definisce Anassagora "uomo assennato" <ref>Cit. in A. Marchesi, ''Linee di uno sviluppo storico della filosofia della religione'', pag. 13, Zara, 1988.</ref> per avere detto che c'è un intelletto anche negli elementi della natura, così come negli esseri viventi, causa della bellezza e dell’ordine dell’universo, ma gli rimprovera di averlo usato solo come causa efficiente.<ref>Alberto Jori, ''Aristotele'', p. 257, Mondadori, 2003.</ref> Il Nous è da intendere invece come causa finale del mondo. Le cose tendono verso di lui spinte dall'ammirazione e dall'amore. Il motore immobile attrae a sé le cose del mondo come l'amato, pur restando immobile, attrae a sé l'amante.<ref>[[Aristotele]], ''[[Metafisica (Aristotele)|Metafisica]]'', cap. XII, 7, 1072 a e segg.</ref>
 
Nella ''[[Metafisica (Aristotele)|Metafisica]]'', Aristotele identifica pertanto il ''noûs'' divino nel primo [[motore immobile]], suprema perfezione, causa finale che attrae a sé «come la cosa amata» ogni ente che aspiri alla completezza della sua natura. Un motore che esplica l'unica attività o ''noesis'', non essendo comprensione di altro da sé, di comprendere il ''noûs'' stesso e «l’Intelligenza divina sarà una cosa sola con l’oggetto del suo pensare.» <ref>Aristotele, ''Metafisica'', 1074b 15 1075a 10.</ref>
 
[[Alessandro di Afrodisia]] <ref>''Enciclopedia Garzanti di filosofia'' alla voce corrispondente</ref> vedrà in Aristotele il nous descritto come νοῦς ποιητικός, intelletto attivo esterno, impassibile, immortale ed eterno, che rende possibile all'uomo trasformare in atto le sue potenzialità conoscitive:
{{Quote|...E c’è un intelletto analogo alla materia perché diviene tutte le cose, ed un altro che corrisponde alla causa efficiente perché le produce tutte, come una disposizione del tipo della luce, poiché in certo modo anche la luce rende i colori che sono in potenza colori in atto. E questo intelletto è separabile, impassibile e non mescolato, essendo atto per essenza, poiché sempre ciò che fa è superiore a ciò che subisce, ed il principio è superiore alla materia. Ora la conoscenza in atto è identica all’oggetto, mentre quella in potenza è anteriore per il tempo nell’individuo, ma, da un punto di vista generale, non è anteriore neppure per il tempo; e non è che questo intelletto talora pensi e talora non pensi. Quando è separato, è soltanto quello che è veramente, e questo solo è immortale ed eterno (ma non ricordiamo, perché questo intelletto è impassibile, mentre l’intelletto passivo è corruttibile), e senza questo non c’è nulla che pensi.<ref>Aristotele, De anima, 430 a 11</ref>}}
 
Aristotele apriva così la domanda a cui tentarono di rispondere gli autori «dai più antichi alla scolastica araba e cristiana, fino all’aristotelismo rinascimentale [che] si posero il problema se esso facesse parte dell’anima umana o piuttosto della divinità, fornendo risposte differenti.» <ref>''Dizionario di filosofia Treccani alla voce corrispondente</ref>
 
Aristotele introduceva inoltre la nozione di nous come [[intuizione]] intellettuale, una facoltà che intuisce i principi indimostrabili <ref>''Etica Nicomachea'', VI, 6, 1440 a 31 e segg.</ref>:
{{Quote|...l'osservazione di un numero anche limitato di casi basta all'intelligenza, secondo Aristotele, per distinguere nelle cose osservate i caratteri essenziali da quelli accidentali (astrazione), e per cogliere quindi - con una specie di salto intuitivo dai particolari all'universale - l'essenza delle cose stesse. Questo metodo è ancor più valido quando si tratti di conoscere i principi primi di ogni scienza (assiomi). In conclusione, per ciascuna scienza l'intelligenza (nóesis) stabilisce principi e le premesse, da cui poi il ragionamento (diánoia) trae le conclusioni specifiche. L'intera logica aristotelica è fondata su principi non dimostrabili ma colti direttamente dall'intelletto.<ref>L. Geymonat, ''Immagini dell'uomo'', Garzanti, Vol. I, 1989, p. 175</ref>}}
 
== Plotino ==
Il termine ''nous'' lo si ritrova più tardi in [[Plotino]] ([[III secolo]]) il quale ne recupera l'aspetto non volontario né intenzionale di Anassagora, pur assorbendolo nella dottrina del motore immobile di Aristotele <ref>Vittorio Mathieu, ''Come leggere Plotino, pag. 55, Bompiani, 2004.</ref> e facendolo per di più consistere nelle [[idee]] platoniche <ref>Cfr. Enneadi, V, 5 </ref>.
 
Il ''nous'' per Plotino è la prima emanazione dell’[[Uno (filosofia)|Uno]] e, in quanto tale, partecipa più delle altre della natura del divino, ma non è il creatore del mondo perché non è dio; esso emana da Dio, come il profumo da un corpo o la luce da una sorgente.<ref>[...] Come la luce splendente che circonda il sole che nasce da lui, benchè esso sia immobile [...] così il fuoco fa nascere da sè il calore; la neve non conserva per sè tutto il suo freddo; ma soprattutto le cose odorose ne sono la prova (Enneadi, V, 1, 6).</ref>
 
{{quote|L'atto di pensare non è primo nè nell'ordine ontologico nè in dignità, ma ha il secondo posto, e si produce perchè il Bene lo fa esistere e, una volta generato, lo attrae a sè: e così il pensiero è mosso e vede. Pensare vuol dire muoversi verso il Bene e desiderarlo.|Enneadi, V, 6, 5 <ref>Trad. di G. Faggin, ''Enneadi'', D'Anna, 1971.</ref>}}
 
Il Nous di Plotino non è neanche assimilabile al demiurgo platonico perché non opera in vista di un fine: esso genera involontariamente, come conseguenza del proprio "pensarsi", del proprio riflettere su se stesso.<ref>V. Mathieu, ''ivi''.</ref> È in questo modo che dal ''nous'' ha origine l'"[[anima del mondo]]", sorgente della vita e dell'universo, che veicolandone le idee negli organismi le fa diventare la loro forma strutturante immamente.
 
==Note==
{{references}}
 
== Voci correlate ==
 
* [[Pensiero]]
* [[Intelletto cosmico]]
 
{{portale|Filosofia}}
 
[[Categoria:Filosofia greca]]