Bhagavadgītā: differenze tra le versioni
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{{nd|l'omonimo singolo dei [[Moderat]]|Gita (singolo)|Gita}}
{{quote|È meglio adempiere il proprio [[dharma]] anche se senza merito (e in maniera imperfetta), che fare bene il dharma di un altro. Chi compie il dovere prescritto dalla propria natura innata non commette peccato.|Bhagavadgītā, XVIII: 47<ref>Si veda anche III: 35</ref>}}
{{Libro
|titolo = Bhagavadgītā
|titoloorig =
|titolialt =
|titoloalfa =
|immagine = Krishna and Arjun on the chariot, Mahabharata, 18th-19th century, India.jpg
|didascalia = [[Kṛṣṇa]] ed [[Arjuna]] a [[Guerra di Kurukshetra|Kurukṣetra]], pittura del [[XVIII secolo|XVIII]]-[[XIX secolo]]
|autore =
|periodo = III secolo a.C.- I secolo d.C.
|forza_cat_anno = no
|annoita =
|genere = testo sacro
|sottogenere =
|lingua = sa
}}
La '''''Bhagavadgītā''''' ([[lingua sanscrita|sanscrito]], sf.pl.; [[devanāgarī]]: भगवद्गीता, "Canto del Divino" o "Canto dell'Adorabile" o, meno comunemente, ''Śrīmadbhagavadgītā''; [[devanāgarī]]: श्रीमद्भगवद्गीता, il "Meraviglioso canto del Divino"<ref>'Śrīmat' come aggettivo indica ciò che è "bello", "affascinante", "glorioso", "meraviglioso", come nome è invece uno degli epiteti di Viṣṇu.</ref>) è quella parte dall'importante contenuto religioso, di circa 700 versi (''śloka'', quartine di ottonari) divisi in 18 canti (''adhyāya'', "letture"), nella versione detta ''vulgata'', collocata nel VI ''parvan'' del grande [[poema epico]] ''[[Mahābhārata]]''.
La ''Bhagavadgītā'' ha valore di [[testo sacro]], ed è divenuto nella storia tra i testi più prestigiosi, diffusi e amati tra i fedeli dell'[[Induismo]]; talvolta è considerata dagli studiosi una delle [[Upaniṣad]] posteriori.
In tale contesto la ''Bhagavadgītā'' è il testo sacro per eccellenza delle scuole [[Visnuismo|viṣṇuite]] e kṛṣṇaite, eredi dell'antico culto devozionale del [[Bhagavat]], ma è venerato come testo rivelato anche dagli [[Shivaismo|śivaiti]] e dai seguaci dei [[Shaktismo|culti]] [[Shakti|śākta]].
L'unicità di questo testo, rispetto ad altri coevi, consiste anche nel fatto che qui non viene data un'astratta descrizione del Bhagavat,<ref>Il termine [[sanscrito]] ''bhagavat'' indica come sostantivo maschile il "divino" o "colui che è degno di adorazione" ed indica in questo contesto il divino [[Kṛṣṇa]] considerato come espressione della "divinità suprema".</ref> qui inteso come il dio [[Kṛṣṇa]], la Persona Suprema che si rivela, ma questa figura divina è un personaggio protagonista che parla in prima persona, offrendo all'uditore la sua ''[[darśana]]'' (dottrina) completa.
== Datazione e testi ==
[[File:Bhagavad Gita, a 19th century manuscript.jpg|upright=0.7|thumb|Manoscritto della ''Bhagavadgītā'' risalente al XIX secolo (''Southern Asian Collection, Asian Division'', Library of Congress, Washington, DC)]]
[[Eliot Deutsch]] e [[Lee Siegel (insegnante)|Lee Siegel]]<ref>''Encyclopedia of Religion'', NY, MacMillan, 2006, vol. 2, p. 852.</ref> datano l'inserimento della ''Bhagavadgītā'' nel ''[[Mahābhārata]]'', probabilmente, al [[III secolo a.C.]]<ref>Anche [[Margaret Sutley]] e [[James Sutley]] ''A Dictionary of Hinduism'', London, Routledge & Kegan Paul, 1977; trad.it. ''Dizionario dell'Induismo'', Roma, Ubaldini, 1980 datano questo inserimento tra il IV e il II secolo a.C.</ref>. Altri autori giungono fino al [[I secolo|I sec. d.C.]]
Il primo testo completo di commentario, la ''Bhagavadgītābhāṣya'', è opera di [[Śaṅkara]] (788-821) anche se, evidenzia [[Mario Piantelli]]<ref>In ''Hindūismo i testi e le dottrine'' in ''Hindūismo'', a cura di [[Giovanni Filoramo]], Bari, Laterza, 2002, p. 114.</ref>, vi sono certamente delle redazioni anteriori più estese di cui restano tuttavia solo tracce emergenti in quella versione detta ''kaśmīra'' commentata da Rāmakaṇṭha (VII-VIII secolo) e, successivamente da Abhinavagupta (X-XI secolo). Comunque sia il poema presenta diversi rimaneggiamenti operati nel corso del tempo<ref>[[Margaret Sutley]] e [[James Sutley]] ''Op. cit.''</ref>.
Esistono dunque due recensioni della ''Bhagavadgītā'' giunte a noi: la prima, la più diffusa in tutta l'India, è detta ''vulgata'' e si compone di complessivi settecento versi, ed è quella già commentata da [[Śaṅkara]] nell'VIII secolo d.C.; la seconda, detta ''kaśmīra'', è leggermente più lunga, comprendendo complessive trecento varianti minori, ed è quella commentata da Rāmakaṇṭha (VII-VIII secolo) e, successivamente da Abhinavagupta (X-XI secolo). Le differenze tra le due recensioni non manifestano, tuttavia, diversità dottrinali.
Antonio Rigopoulos<ref>p. CLXXVI</ref> osserva come si possa ipotizzare che già a partire dall'XI secolo la versione detta ''vulgata'' si sia affermata come "canonica".
Dal punto di vista filologico sono state individuate tre stratificazioni temporali all'interno di questa opera: la prima, di contenuto "epico", è la più antica; la seconda che riporta insegnamenti propri delle dottrine del Sāṃkhya-Yoga (canti 2-5); la terza è la stratificazione "teista" legata al culto di [[Kṛṣṇa]] (canti 7-11), la quale trova, nel canto 12, un vero e proprio inno alla ''[[bhakti]]''<ref>[[Antonio Rigopoulos]], in ''Hinduismo antico'' (a cura di [[Francesco Sferra]]), pag. CLXXV.</ref>.
Nella sua redazione finale<ref>Probabilmente intorno al I secolo d.C., cfr. [[Antonio Rigopoulos]] ''Op.cit.''.</ref>, secondo [[Mircea Eliade]], la ''Bhagavadgītā'' riassume quattro dottrine:
{{q|In sostanza, si può dire che il poema 1) insegna l'equivalenza del [[Vedānta]] (cioè la dottrina delle [[Upanishad]]) del [[Sāṃkhya]] e dello [[Yoga]]; 2) stabilisce la parità delle tre 'vie' (''marga''), rappresentate dall'attività rituale, dalla conoscenza metafisica e dalla pratica yoga; 3) s'insegna a giustificare un certo modo di esistere nel tempo, in altre parole assume e valorizza la storicità della condizione umana; 4) proclama la superiorità di una quarta 'via' [[soteriologia|soteriologica]]: la devozione per [[Visnù]] (-[[Krishna]]).|[[Mircea Eliade]]. ''Storia delle credenze e delle idee religiose'', vol. II, pag. 239}}Alcune persone suggeriscono che durante l'era [[Company Raj|coloniale dell'Hindustan]], [[Warren Hastings]] separò il '''25°''' e il '''42°''' capitolo del [[Mahābhārata|Mahabharata]] e pubblicò questi 18 capitoli sotto il nome '''Dialogues of Kreeshna and Arjoon in Eighteen lectures with Notes'''. Prima di questa edizione del 18º secolo, non esisteva un libro separato intitolato '''Geeta''' durante l'era '''Puthi'''.<ref>{{Cita web|url=https://www.anandabazar.com/amp/editorial/%25E0%25A6%259C-%25E0%25A6%25A4-%25E0%25A7%259F-%25E0%25A6%2597-%25E0%25A6%25B0%25E0%25A6%25A8-%25E0%25A6%25A5-%25E0%25A6%2598-%25E0%25A6%25B7%25E0%25A6%25A3-%25E0%25A6%25B0-%25E0%25A6%2586%25E0%25A6%2597-%25E0%25A6%2597-%25E0%25A6%25A4-%25E0%25A6%25B0-%25E0%25A6%25B0%25E0%25A6%25B9%25E0%25A6%25B8-%25E0%25A6%25AF-%25E0%25A6%258F%25E0%25A6%2595%25E0%25A6%259F-%25E0%25A6%259C-%25E0%25A6%25A8-%25E0%25A6%25A8-%25E0%25A6%25B2-%25E0%25A6%25AD-%25E0%25A6%25B2-%25E0%25A6%25B9%25E0%25A7%259F-1.94385|titolo=Prima di annunciare il 'libro nazionale', è meglio conoscere un po' il segreto della Gita|accesso=9 settembre 2022|dataarchivio=1 febbraio 2022|urlarchivio=https://archive.is/20220201062214/https://www.anandabazar.com/amp/editorial/%25E0%25A6%259C-%25E0%25A6%25A4-%25E0%25A7%259F-%25E0%25A6%2597-%25E0%25A6%25B0%25E0%25A6%25A8-%25E0%25A6%25A5-%25E0%25A6%2598-%25E0%25A6%25B7%25E0%25A6%25A3-%25E0%25A6%25B0-%25E0%25A6%2586%25E0%25A6%2597-%25E0%25A6%2597-%25E0%25A6%25A4-%25E0%25A6%25B0-%25E0%25A6%25B0%25E0%25A6%25B9%25E0%25A6%25B8-%25E0%25A6%25AF-%25E0%25A6%258F%25E0%25A6%2595%25E0%25A6%259F-%25E0%25A6%259C-%25E0%25A6%25A8-%25E0%25A6%25A8-%25E0%25A6%25B2-%25E0%25A6%25AD-%25E0%25A6%25B2-%25E0%25A6%25B9%25E0%25A7%259F-1.94385}}</ref>
== Contenuti e dottrine ==
[[File:कर्मण्येवाधिकारस्ते.wav|thumb|Il testo qui cantato corrisponde al II, 47 della ''Bhagavadgītā''; è Kṛṣṇa che parla:
{{q|Compi i tuoi atti (''karmaṇy ''), ma non occuparti del loro frutto (''phaleṣu''). Non avere come movente il frutto delle tue azioni, non avere attaccamento (''saṅgo'') nemmeno per la non-azione (''akarmaṇi '').|''Bhagavadgītā'', II, 47|karmaṇy evādhikāras te mā phaleṣu kadācana<br />
mā karma-phala-hetur bhūr mā te saṅgo 'stv akarmaṇi |lingua=sa}}]]
L'episodio narrato nel testo si colloca nel momento in cui il virtuoso guerriero [[Arjuna]] - uno dei fratelli [[Pāṇḍava]], figlio del dio [[Indra]], prototipo dell'eroe - sta per dare inizio alla [[battaglia di Kurukṣetra]], che durerà 18 giorni, durante la quale si troverà a dover combattere e quindi uccidere i membri della sua stessa famiglia, parenti, mentori e amici, facenti tuttavia parte della fazione dei malvagi [[Kaurava]], usurpatori del trono di [[Hastināpura]], i quali simboleggiano anche metaforicamente le difficoltà morali e fisiche di ogni essere e yogi.
Di fronte a questa prospettiva drammatica, Arjuna si lascia prendere dallo sconforto, rifiutandosi di combattere. A questo punto il suo auriga Kṛṣṇa, principe del clan degli ''Yādava'' ma in realtà ''avatāra'' di Viṣṇu qui inteso come divinità suprema, si avvia ad impartirgli degli insegnamenti, dal profondo contenuto religioso, per dissiparne i dubbi e lo sconforto imponendogli di rispettare i suoi doveri di ''kṣatriya'', quindi di combattere e uccidere, senza farsi coinvolgere da quelle stesse azioni (''karman''), senza costituire un incitamento alla guerra ma intendendo ciò come un dovere dovuto alle contingenze
{{quote|Se morirai (combattendo i tuoi nemici), guadagnerai il cielo; se vincerai, godrai la gloria terrena. Perciò, Figlio di Kunti, alzati, deciso a combattere! Rimanendo equanime nella felicità e nel dolore, nel guadagno e nella perdita, nella vittoria e nella sconfitta, affronta la battaglia della vita. Così non commetterai peccato.|''Bhagavadgītā'', II, 37-38}}
{{quote|Abbandona a Me tutte le azioni! Privo di egoismo ed aspettative, con l'attenzione concentrata sull'anima e libero da questa febbrile preoccupazione, combatti la battaglia (dell'attività)!
Anche gli uomini che praticano costantemente i Miei precetti, pieni di devozione e senza criticismo, sono liberati da ogni karma.
Ma coloro che rifiutano il Mio insegnamento e non vivono in conformità ad esso, totalmente illusi riguardo alla vera saggezza e privi di discriminazione, sappi che sono condannati alla distruzione.|Bhagavadgītā, III: 30-33}}
Contro alcune correnti e interpretazioni mondane e letterali del testo sacro<ref>Tali interpretazioni distorte non sono mancate in ambito nazionalista induista o tra gli [[Razza_ariana#Concezione_hitleriana_sulla_razza_superiore|arianisti occidentali]] (cfr. Padfield, Peter, Himmler, New York: Henry Holt, 1990, p. 402).</ref>, [[Sri Aurobindo]] spiega: {{quote|La Gita non sostiene certo la guerra, ciò che sostiene è la difesa attiva e disinteressata del dharma. Se sinceramente seguito, il suo insegnamento avrebbe potuto cambiare il corso dell'umanità. Può ancora cambiare il corso della storia indiana.|Sri Aurobindo}}
Prima Krishna richiama Arjuna affermando che non bisogna affliggersi per la morte, specie quando è dovuta al ''[[karma]]'' e al ''dharma'', ribadendo la teoria della [[reincarnazione]] in un nuovo corpo, oppure l'anima raggiunge la ''[[mokṣa]]'', cioè l'uscita dal ciclo e l'approdo alla condizione divina, divenendo tutt'una con Krishna o comunque vivendo nel luogo dove risiede la divinità e ottenendo le caratteristiche dei ''[[Deva]]''.<ref>Stefano Piano, Enciclopedia dello yoga, 6.ª ed., Torino, Promolibri Magnanelli, 2011, p. 207.</ref>
{{quote|I veri saggi però non s'affliggono né per i vivi né per i morti.|''Bhagavadgītā'', II, 11}}
{{quote|Il [[Ātman|Sé]] che dimora dentro, eternamente immutabile, indeperibile e illimitato, considera questi abiti corporei come aventi un termine. Perciò combatti, o Discendente di Bharata.
Chi considera il Sé come l'uccisore, e chi pensa che Esso possa venire ucciso, nessuno di questi conosce la verità. Perché il Sé non uccide né può essere ucciso. Questo Sé non è mai nato né perisce. Né essendo venuto in esistenza cesserà mai di essere. Esso è senza nascita, eterno, immutabile, sempre se stesso. E non viene ucciso con l'uccisione del corpo. Come un individuo getta degli abiti logori per indossare nuovi vestiti, così l'anima incarnata abbandona le dimore corporee rovinate per entrare in altre nuove.|''Bhagavadgītā'', II, 18-22}}
[[Maharishi Mahesh Yogi]] commenta questo passo:
{{quote|Quando qualcuno muore, è perché a quel punto il suo karma è diventato insormontabile per il suo corpo presente. Non è possibile capire... deve accadere, [e] quando lo ha fatto non vi è certamente motivo di assunzione di responsabilità e di colpa... Il corso dell'azione è insondabile. Tuttavia, specialmente per qualcuno sulla via della rapida evoluzione, la transizione è puramente evolutiva. Essi vanno nei regni celesti, o rinascono quasi immediatamente.|Maharishi Mahesh Yogi<ref>''Bhagavad Gita. Nuova traduzione e commento capitoli 1-6'', trad. e commento di Maharishi Mahesh Yogi, 1967, edizione italiana Mediterranee, 2003</ref>}}
Krishna poi prosegue
{{quote|Adesso, o Bharata, ti parlerò del sentiero attraversando il quale, al momento della morte, gli yogi ottengono la libertà; e anche del sentiero in cui vi è rinascita. Il fuoco, la luce, il giorno, la quindicina ascendente del mese lunare, i sei mesi in cui il corso del sole è al nord - seguendo questo sentiero al momento della morte, i conoscitori di Dio ([[Brahman]]) vanno a Dio. Il fumo, la notte, la quindicina discendente del mese lunare, i sei mesi in cui il corso del sole è al sud - chi segue questo sentiero ottiene solo la luce lunare e poi torna sulla terra. (...) La via della luce porta alla liberazione, la via delle tenebre alla rinascita.
Nessuno yogi che conosce le due vie cade mai nell'illusione (di seguire la via delle tenebre).|''Bhagavadgītā'', VIII, 23-27}}
E ancora:
{{quote|Entra infine nel Mio Essere chi, al momento del trapasso, quando abbandona il corpo, pensa soltanto a Me. Questo è vero al di là di ogni dubbio.
Figlio di Kunti! Il pensiero con il quale un morente lascia il corpo determina – per la sua lunga persistenza in esso – il suo prossimo stato d'esistenza.|''Bhagavadgītā'', VIII, 5-6}}
Per convincere Arjuna della bontà dei propri suggerimenti [[Kṛṣṇa]] espone una vera e propria rivelazione religiosa finendo per manifestarsi come l'Essere Supremo, l'[[Uno (filosofia)|Uno]]<ref>"L'Uno che pervade tutte le cose è imperituro. Nessuno ha il potere di distruggere lo Spirito Immutabile". (Capitolo II, 17)</ref> di cui [[Brahmā]], [[Shiva]] e [[Visnù]] e tutti i Deva sono anch'essi manifestazione. Innanzitutto [[Kṛṣṇa]] precisa che la sua "teologia" e la sua "rivelazione" non sono affatto delle novità (IV,1 e 3) in quanto già da lui trasmesse a [[Vivasvat]] e da questi a [[Manu (Induismo)|Manu]] in tempi immemorabili con l'istituzione delle caste in base al karma, ma che tale conoscenza venne poi a mancare e con essa il [[Dharma]]; quando ciò accadde (ed ogni volta che accade), per proteggere gli esseri benevoli dalle distruzioni provocate da quelli malvagi, lo stesso [[Kṛṣṇa]] affermò, «io vengo all'esistenza» (IV, 8; dottrina dell{{'}}''[[avatāra]]''). Egli è l'inizio e la fine [[Tempo ciclico|ciclica]] dell'universo, che a ogni [[kalpa]] ricrea dopo la fine del tempo precedente. Il dio appare quindi con gli attributi divini di Vishnu e in molte forme, ed Arjuna gli dedica un canto di lode, proclamandolo "più grande di [[Brahmā]]" (la divinità suprema per l'induismo maggioritario). Il testo esprime poi una visione di tipo [[Panenteismo|panenteista]], dove il dio supremo contiene in sé l'universo (tutte le cose sono in lui, a differenza del [[panteismo]] dove tutte le cose sono lui), quindi è sia esterno al mondo sia presente ovunque per chi lo cerca<ref>"Il panenteismo consiste nel vedere l'universo come parte dell'Essere supremo, quindi differente dal panteismo (dottrina del "tutto-è-Dio"), che identifica Dio con tutto ciò che esiste. Al contrario, il panenteismo sostiene che Dio pervade il mondo, ma è anche oltre il mondo. Egli è immanente e trascendente, relativo ed Assoluto. Questo ricomprendere gli opposti è detto dipolarismo. Per i panenteisti, Dio è in ogni cosa, e ogni cosa è in Dio." (Satguru Sivaya Subramuniyaswami)</ref>, è ''[[brahman]]'', ''[[Puruṣa]]'' e ''[[Ātman]]'':
{{q|Chi vede in me tutte le cose e tutte le cose in me, per costui io non sono perduto, per me egli non è perduto. Lo yogin che mi onora come presente in tutti gli esseri e si rifugia in questa unità, questi è sempre in me, in qualsiasi stato si trovi.|''Bhagavadgītā'', VI, 30-1. Traduzione di [[Raniero Gnoli]], in ''Op. cit.'', pag. 806|yo māṃ paśyati sarvatra sarvaṃ ca mayi paśyati tasyāhaṃ na praṇaśyāmi sa ca me na praṇaśyati sarva-bhūta-sthitaṃ yo māṃ bhajaty ekatvam āsthitaḥ sarvathā vartamāno 'pi sa yogī mayi vartate|lingua=sa}}
[[Kṛṣṇa]] si manifesta nel mondo affinché gli uomini, e in questo caso Arjuna, lo imitino (III, 23-4). Così [[Kṛṣṇa]], l'Essere Supremo manifestatosi, spiega che ogni aspetto della Creazione proviene da Lui (VII, 4-6, ed altri) per mezzo della sua ''[[prakṛti]]'', e che, nonostante questo, egli rimane solo uno spettatore di questa creazione:
{{q|Padroneggiando la Mia Natura Cosmica, Io emetto sempre di nuovo tutto questo insieme di esseri, loro malgrado e grazie al potere della Mia Natura. E gli atti non Mi legano, Dhanaṃjaya<ref>"Conquistatore di ricchezze", "Vittorioso", è un epiteto di [[Arjuna]].</ref>; come qualcuno, seduto, si disinteressa di un affare, così io rimango senza attaccamento per i miei Atti.| ''Bhagavadgītā'', IX 8-9. Traduzione di [[Anne-Marie Esnoul]]|prakṛtiṃ svām avaṣṭabhya visṛjāmi punaḥ punaḥ bhūta-grāmam imaṃ kṛtsnam avaśaṃ prakṛter vaśāt na ca māṃ tāni karmāṇi nibadhnanti dhanaṃjaya udāsīnavad āsīnam asaktaṃ teṣu karmasu|lingua=sa}}
Ogni essere umano deve quindi imparare a fare lo stesso essendo legato alle proprie azioni, in quanto anche se si astiene dal compierle, come stava per fare Arjuna rifiutandosi di combattere, i ''[[guṇa]]'' agiranno lo stesso incatenandolo al proprio ''[[karman]]'' (III, 4-5), egli deve comunque compiere il proprio dovere (''svadharma'', vedi anche più avanti) persino in modo "mediocre" (III, 35), quindi essere presente ma al contempo spettatore.
Tutto è infatti condizionato dai tre ''[[guṇa]]''<ref>Vedi tra gli altri XVII 7 e segg.</ref> che procedono da [[Kṛṣṇa]] senza condizionarlo.
[[Mircea Eliade]] così riassume l'insegnamento principale di [[Kṛṣṇa]] ad Arjuna e a tutti gli uomini, cioè di imitarlo:
{{q|La lezione che se ne può trarre è la seguente: pur accettando la 'situazione storica' creata dai ''[[guṇa]]'' (e la si deve accettare perché i ''[[guṇa]]'' derivano da Krishna) e agendo secondo le necessità di questa 'condizione', l'uomo deve rifiutarsi di ''valorizzare'' i propri atti e, perciò, di accordare un ''valore assoluto'' alla propria condizione|[[Mircea Eliade]]. ''Op. cit.''. pag. 241}}
{{q|In questo senso si può affermare che la ''Bhagavad Gītā'' si sforza di 'salvare' tutti gli atti umani, di 'giustificare' ogni azione profana: infatti, per il fatto stesso di non godere più dei loro 'frutti', ''l'uomo trasforma i propri atti in sacrifici'', cioè dinamismi transpersonali che contribuiscono a mantenere l'ordine cosmico|[[Mircea Eliade]]. ''Op. cit.''. pag. 241}}
Quindi la 'novità' della 'rivelazione' della ''Bhagavadgītā'' consiste nel comunicare agli esseri umani che non solo il sacrificio vedico tiene unito il cosmo, ma anche qualsiasi suo atto purché questo sia privo di attaccamento o di desiderio verso il 'risultato', ovvero gli venga attribuito un significato che prescinda dall'interesse di chi lo agisce; e tale meta è raggiungibile solo con lo ''[[yoga]]''.
{{q|Lo yogin è superiore agli [[Ascetismo|asceti]]<ref>Coloro che praticano l'ascesi (''tapas'').</ref>, lo yogin è superiore anche agli uomini di conoscenza<ref>Coloro che conseguono la conoscenza (''jñāna'').</ref>, lo yogin prevale sui [[Yajña|sacrificanti]]<ref>Sugli uomini che celebrano i sacrifici, ovvero coloro che ottengono il frutto delle azioni (''karman'') sacrificali.</ref>. Per questo, o Arjuna, divieni uno yogin|''Bhagavadgītā'' VI, 46.|tapasvibhyo 'dhiko yogī jñānibhyo 'pi mato 'dhikaḥ karmibhyaś cādhiko yogī tasmād yogī bhavārjuna|lingua=sa}}
Generalmente si ritiene che la ''Bhagavadgītā'' vieti (come i ''[[Purāṇa]]'') i [[Sacrificio animale nell'induismo|sacrifici animali]] praticati dai [[brahmini]] o a livello popolare, in alcune correnti induiste (oggi principalmente nello [[shaktismo]]) e consigli inoltre implicitamente il [[vegetarianismo]].<ref>{{cita libro|autore=Rod Preece |titolo=Animals and Nature: Cultural Myths, Cultural Realities|url=http://books.google.com/books?id=GCcwJtu_qQQC&pg=PA202|anno=2001|editore=UBC Press|isbn=978-0-7748-0724-1|pagina=202}}</ref><ref>{{cita libro|coautori= Lisa Kemmerer, Anthony J. Nocella |titolo=Call to Compassion: Reflections on Animal Advocacy from the World's Religions|url=http://books.google.com/books?id=Lq70lgRwlRQC&pg=PA260|anno=2011|editore=Lantern Books|isbn=978-1-59056-281-9|pagina=60}}</ref><ref name="For the Sake of Humanity">{{cita libro|coautori= Alan Andrew Stephens, Raphael Walden |titolo=For the Sake of Humanity|url=http://books.google.com/books?id=5Cgo85WlfmgC&pg=PA69|anno=2006|editore=BRILL|isbn=90-04-14125-1|pagina=69}}</ref><ref>{{cita libro|coautori= David Whitten Smith, Elizabeth Geraldine Bur |titolo=Understanding World Religions: A Road Map for Justice and Peace|url=http://books.google.com/books?id=OHs386EZkRwC&pg=PA13|data=gennaio 2007|editore=Rowman & Littlefield|isbn=978-0-7425-5055-1|pagina=13}}</ref>
Tale obiettivo diviene conseguito pienamente solo se lo ''yogin'' focalizza la sua attenzione, e quindi dedica i suoi atti, in Dio, in [[Kṛṣṇa]] (VI, 30-1). In questo modo la ''Bhagavadgītā'' proclama la superiorità della ''[[bhakti]]'' su ogni altra 'via' spirituale o mondana; la ''bhakti'' è la 'via' suprema<ref>[[Mircea Eliade]]. ''Op. cit.''. pag. 243</ref>.
[[File:Krishna-radha2.jpg|thumb|left|upright=1.0|Raffigurazione devozionale artistica moderna di [[Krishna]] quale ottavo avatara di [[Visnù]] (particolarmente venerato come tale nel [[vishnuismo]]), o aspetto originario del dio stesso nel [[krishnaismo]], è qui raffigurato come Krishna Veṇugopāla, ovvero Krishna suonatore di flauto (''veṇu'') e pastore delle mucche sacre (''gopāla''). Alla sinistra di Krishna, la sua eterna paredra, l'innamorata [[Rādhā]], che simboleggia l'anima individuale eternamente legata al Dio.]]
Da ciò ne consegue che se nel ''[[Veda]]'' è il ''[[brahmodya]]'', la contesa sacrificale, il luogo per conquistare ruolo e beni terreni; nei ''[[Brāhmaṇa]]'' è lo ''[[yajña]]'', il rito sacrificale officiato da una casta sacerdotale maschile che garantisce in una vita futura, anche successiva a questa, i benefici cercati<ref>{{q|Kauṣītakī affermava: limitati sono i risultati dei riti in cui vengono recitate un limitato numero di formule sacrificali- infiniti sono i frutti dei riti in cui vengono recitate un infinito numero di formule sacrificali- la mente è l'infinito- Prajāpati è la mente-[...] si ottiene un limitato attraverso il limitato, l'infinito attraverso l'infinito|''[[Kauṣitakī Brāhmaṇa]]'' XVI, 2,3|atha ha sma āha kauṣītakiḥ parimita phalāni vā etāni karmāṇi yeṣu parimito mantra gaṇaḥ prayujyate atha aparimita phalāni yeṣu aparimito mantra gaṇaḥ prayujyate mano vā etad yad aparimitam prajāpatir vai mano [...] mitam ha vai mitena jayaty amitam amitena|lingua=sa}}</ref>, e nelle ''[[Upaniṣad]]'' è il ''vimokṣa'', la liberazione dalla mondanità l'obiettivo ultimo<ref>{{q|La massima felicità per gli uomini è essere ricchi e agiati e di comandare sugli altri, con disponibilità dei godimenti umani; ma cento felicità degli uomini equivalgono a solo una felicità di colui che ha conquistato il mondo celeste dei Padri; a cento felicità di colui che ha conquistato il mondo celeste dei Padri equivale una sola felicità di colui che ha conquistato il mondo dei [[Gandharva]]; a cento felicità di colui che ha conquistato il mondo dei [[Gandharva]] corrisponde una felicità di colui che ha conquistato la felicità dei [[Deva]], i quali [grazie ai meriti] hanno assunto tale condizione; a cento felicità dei [[Deva]] corrisponde una felicità dei Deva primordiali (''ājanadeva'', Intende i ''[[Deva]]'' che tali sono sempre stati fin dall'inizio e che non devono la loro condizione alla rinascita.) nonché di un [[brahmano]] libero dal peccato e dal desiderio; a cento felicità del mondo di [[Prajāpati]] corrisponde ad una sola del ''[[Brahman]]'' e del [[brahmano]] libero dal peccato e dal desiderio e questa è la felicità suprema, grande re, tale è il mondo del ''[[Brahman]]''. Così disse Yājñavalkya: "Io ti offro mille vacche, o venerabile; ma tu spiegami ancora cose più alte al fine della liberazione". A questo punto Yājñavalkya si impaurì e pensò: "il re è astuto egli mi ha fatto uscire dalle mie difese".|''[[Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad]]'' IV,3,33|sa yo manūṣyāṇāṃ rāddhaḥ samṛddho bhavaty anyeṣām adhipatiḥ sarvair mānuṣyakair bhogaiḥ sampannatamaḥ sa manuṣyāṇāṃ parama ānandaḥ atha ye śataṃ manuṣyāṇām ānandāḥ sa ekaḥ pitṝṇāṃ jitalokānām ānandaḥ atha ye śataṃ pitṝṇāṃ jitalokānām ānandāḥ sa eko gandharvaloka ānandaḥ atha ye śataṃ gandharvaloka ānandāḥ sa ekaḥ karmadevānām ānando ye karmaṇā devatvam abhisampadyante atha ye śataṃ karmadevānām ānandāḥ sa eka ājānadevānām ānandaḥ yaś ca śrotriyo 'vṛjino 'kāmahataḥ atha ye śatam ājānadevānām ānandāḥ sa ekaḥ prajāpatiloka ānandaḥ yaś ca śrotriyo 'vṛjino 'kāmahataḥ atha ye śataṃ prajāpatiloka ānandāḥ sa eko brahmaloka ānandaḥ yaś ca śrotriyo 'vṛjino 'kāmahataḥ athaiṣa eva parama ānandaḥ eṣa brahmalokaḥ samrāṭ iti hovāca yājñavalkyaḥ so 'haṃ bhagavate sahasraṃ dadāmi ata ūrdhvaṃ vimokṣāyaiva brūhīti atra ha yājñavalkyo bibhayāṃ cakāra -- medhāvī rājā sarvebhyo māntebhya udarautsīd iti|lingua=sa}}</ref>, nella ''Bhagavadgītā'' l'intera vita ordinaria acquisisce il luogo ultimo di salvezza, se essa è ''[[bhakti]]'', devozione offerta per intero a Dio, [[Kṛṣṇa]], "abbandonarsi" a lui.
{{quote|Ma quelli che Mi adorano, abbandonando a Me tutte le attività (pensandoMi come l'unico Autore delle azioni), contemplandoMi con uno yoga totale ed esclusivo - rimanendo assorti in Me - invero, Figlio di Pritha, per questi che hanno la coscienza fissa in Me Io divento ben presto il Salvatore che li tira fuori dall'oceano delle nascite mortali. Immergi la tua mente soltanto in Me, concentra su di Me la tua percezione discriminativa, e al di là di ogni dubbio dimorerai eternamente in Me.|''Bhagavadgītā'', XII, 6-8}}
{{quote|Ascolta ancora la Mia parola - la più segreta di tutte. Poiché ti amo intensamente, ti dirò quel che è bene per te. Assorbi la tua mente in Me, diventa Mio devoto, offri (sacrifica) a Me tutte le cose, inchinati a Me. Tu Mi sei molto caro, perciò in verità ti prometto che verrai a Me! Abbandonando tutti gli altri dharma (doveri), prendi rifugio solo in Me. Io ti libererò da tutti i peccati (derivati dal mancato compimento di quei doveri minori). Non dolerti!|''Bhagavadgītā'', XVIII, 64-66}}
La novità teologica espressa dalla ''Bhagavadgītā'', rispetto all'ideale della "rinuncia" al mondo propria delle dottrine ''upaniṣadiche'', e di alcune coeve buddhiste e jainiste, consiste dunque in una lettura e in un giudizio diversi della condotta umana e del mondo:
{{q|Dato che l'universo intero è la creazione, anzi l'epifania di Krishna (Vishnu), vivere nel mondo, partecipare alle sue strutture, non costituisce una 'cattiva azione'; la 'cattiva azione' è invece quella di credere che il mondo, il tempo e la storia dispongano di una realtà propria e indipendente, vale a dire che ''non esista null'altro'' al di fuori del mondo e della temporalità. L'idea è, certo, panindiana; ma nella ''Bhagavad Gītā'' essa riceve la sua espressione più coerente|[[Mircea Eliade]], ''Storia delle credenze e delle idee religiose'', vol.II. Milano, Rizzoli, 1996, p.244}}
Partendo dalla consapevolezza che l'essere umano non può non avere una condotta, tale condotta, quando è "mondana", è governata da attaccamenti/desideri nei confronti del potere, del piacere e della ricchezza, e quindi può provocare "sofferenza", e, nel caso di un guerriero, una sofferenza fondata anche sul "senso di colpa" per la ''hiṃsā'', la "violenza", nei confronti degli altri. A fronte di ciò, l'alternativa ''upaniṣadica'', e delle coeve dottrine buddhiste, consisterebbe nel rifiuto di condurre una vita "mondana", scegliendo una via ascetica, priva di desideri e priva di ''hiṃsā'' (quindi praticando l{{'}}''[[ahiṃsā]]'', la "[[non violenza]]"; questo seppure la via della non violenza e della compassione per tutte le creature sia raccomandata anche in questo testo sacro, ove sia possibile, assieme al non attaccamento). L'insegnamento "divino" della ''Bhagavadgītā'' consiste qui nel rifiutare anche questa seconda opzione, rinunciare anche alla "rinuncia", e vivere nel mondo offrendo i risultati, i frutti della propria condotta, delle proprie azioni, non ai propri interessi personali ma al Dio di cui si è devoti.
I frutti delle proprie condotte, delle proprie azioni (''naiṣkarmya''), vanno quindi offerti a Dio, sacrificando il proprio piccolo "io" fenomenico (''ahaṃkāra''). Nel caso di un guerriero, di uno '' kṣatra '', la condotta di questi deve sempre rispettare i suoi "doveri di casta" (''svadharma'') e questi "doveri" devono sempre prevalere sulle norme generali (''sāmānyadharma'') che di regola predicano ''ahiṃsā'', la "non-violenza". Questo perché ognuno, in questo caso lo '' kṣatra '', deve offrire tutte le sue azioni, anche quelle "violente" ma frutto comunque del suo dovere di "casta", a Dio e quindi al "bene del mondo" (''lokasaṃgraha'').
Krishna raccomanda infine di diffondere la sua parola ai devoti:
{{quote|Chiunque impartirà ai Miei devoti la suprema conoscenza segreta, con la massima devozione a Me, verrà senza dubbio a Me. Nessuno tra gli uomini Mi rende un servizio più prezioso di costui; né in tutto il mondo vi sarà alcuno a Me più caro.|''Bhagavadgītā'', XVIII, 68-69}}
Così il pensatore e politico seguace della ''ahimsa'', il quale si definiva come un "guerriero nonviolento"<ref>Si veda M.K. Gandhi, Gandhi, "Una guerra senza violenza" (titolo originale "Satyagraha in South Africa"), Libreria Editrice Fiorentina</ref>, [[Mahatma Gandhi]], parla del ''Mahabarata'' e della ''Gita'': {{quote|Vyasa scrisse questo poema di eccezionale bellezza proprio per dimostrare la futilità della guerra. A che cosa servirono la sconfitta dei Kaurava e la vittoria dei Pandava? Quanti dei vincitori sopravvissero? Quale fu il loro destino? Quale fu la fine di Kunti, la madre dei Pandava? Quale traccia ha lasciato la razza Yadava? Dal momento che tema della Gita non è né la descrizione della battaglia né la giustificazione della violenza, è completamente sbagliato dare grande importanza sia all'una che all'altra. Se, inoltre, è difficile conciliare solo alcuni dei versi con la convinzione che la Gita difenda la violenza, risulterà ancora più difficile conciliare l'insegnamento dell'opera nel suo complesso con la tesi che essa voglia difenderla. (...) Che l'insegnamento fondamentale della Gita non sia la violenza ma la non violenza si deduce dal tema trattato all'inizio del secondo capitolo e alla fine del diciottesimo. I capitoli intermedi propongono lo stesso argomento. La violenza è semplicemente impossibile, a meno che uno non sia trascinato dall'ira, da un amore originato dall'ignoranza e dall'odio. La Gita, d'altro canto, ci vuole incapaci d'ira e ci sprona verso una condizione di impassibilità di fronte agli influssi dei tre guna. Una persona così non potrà mai adirarsi. Vedo ancora gli occhi rossi di Arjuna ogni volta che prendeva la mira con la freccia del suo arco, avvicinando nella tensione la corda fino all'orecchio. Ma, allora, il rifiuto ostinato di Arjuna a combattere aveva a che fare con la non violenza ? Egli, in realtà, aveva combattuto molto spesso in passato. Di fronte a questa nuova occasione la sua ragione si era improvvisamente annebbiata per un attaccamento che gli veniva dall'ignoranza. Non voleva uccidere i suoi congiunti. Non diceva che non avrebbe ucciso nessuno, anche se avesse considerato malvagia la persona che gli stava di fronte. Shri Krishna è il Signore che abita nel cuore di ognuno. Egli comprende il momentaneo offuscamento della mente di Arjuna. E perciò gli dice “Tu hai già commesso violenza. Non imparerai la non violenza parlando ora come un saggio. Essendo già incamminato su questa via, devi portare a termine il tuo compito”.|Mahatma Gandhi<ref>M.K. Gandhi, ''Gandhi commenta la Bhagavadgita, Introduzione''; traduzione e cura di Mirella Mele</ref>}}
Altri sottolineano l'aspetto fondamentale dello yoga dell'azione:
{{q|Nell'insegnamento del ''karmayoga'' l'ideale della rinuncia non è rigettato quanto piuttosto metabolizzato/interiorizzato e universalmente esteso, in una chiamata a "vivere nel mondo pur non essendo del mondo": qui sta il genio della Bhagavadgītā. Si tratta d'un ampliamento della via alla liberazione che ha avuto conseguenze d'enorme portata, nella prospettiva d'una santità "laica". |[[Antonio Rigopoulos]] in ''Lo Hinduismo antico'' (a cura di Francesco Sferra). Milano, Mondadori, 2010, p. CLXXX}}
La rinuncia all'aspettativa dell'azione è compiere l'azione come offerta gratuita disinteressata, considerata la via yogica più elevata:
{{quote|Invero la saggezza (nata dalla pratica yoga) è superiore alla pratica (meccanica) dello yoga; la meditazione è più desiderabile del possesso della conoscenza (teorica); la rinuncia ai frutti delle azioni è meglio (degli stati iniziali) della meditazione. La rinuncia ai frutti delle azioni è seguita immediatamente dalla pace.|Bhagavadgītā, XII, 12}}
Da qui derivano interpretazioni morali più elastiche della dottrina espressa come l'inutilità di imporsi restrizioni eccessive e ascetiche, poiché faranno ricadere poi ipocritamente proprio in ciò che si vuole evitare (perché, dice Krishna: ''"Sappi che gli uomini che praticano terribili austerità non autorizzate dalle sacre scritture sono di natura [[Asura|asurica]]. Pieni d'ipocrisia ed egoismo – dominati dalla lussuria, dall'attaccamento e dalla follia violenta del potere – torturano in maniera insensata gli elementi del corpo e inoltre offendono Me, che sono Colui che vi dimora dentro"''<ref>Capitolo XVII: 5-6</ref>), ma bensì vivere tutto in contemplazione dell'assoluto che rende perfetto ciò che è imperfetto per natura<ref>[http://www.yogamagazine.it/2020/02/bhagavad-gita-lo-yoga-del-superamento.html?m=1 BHAGAVAD GITA: LO YOGA DEL SUPERAMENTO DELL'AZIONE, IIA PARTE II LIBRO, traduzione di Vyasa Sante, testo e commento a cura di Marco Sebastiani]</ref>, in una visione di tipo [[Non dualità|non duale]]; e d'altra parte vi sono interpretazioni più restrittive (come nel caso del [[vegetarianismo]] obbligatorio e della rigida morale sessuale e di vita del gruppo [[ISKCON]]).<ref>[https://vrindavana.wordpress.com/2006/11/04/sesso-sex/ Sul sesso « Kadaca<!-- Titolo generato automaticamente -->] {{webarchive|url=https://web.archive.org/web/20071210173445/http://vrindavana.wordpress.com/2006/11/04/sesso-sex/ |data=10 dicembre 2007 }}</ref><ref>[https://culturavaishnava.blogspot.com/2009/04/sesso-illecito-di-shriman-matsyavatara.html CULTURA VAISHNAVA: 'Sesso Illecito' di Shriman Matsyavatara Prabhu<!-- Titolo generato automaticamente -->]</ref>
== I 18 "canti" della ''Bhagavadgītā'' ==
I diciotto canti che costituiscono la ''Bhagavadgītā'' corrispondono ai capitoli dal 25º al 42º del sesto libro ('' Bhīṣmaparvan'', "Libro di Bhīṣma") del ''Mahābhārata''.<ref>nell'ed. Esnoul del 2007 a p. 5.</ref> nella sua edizione detta "settentrionale" (o ''vulgata''), e ai capitoli dal 23º e 40º nella sua edizione detta "critica".
* 1: '''[[Bhagavadgītā I: Arjuna-viṣāda-yogaḥ|Arjuna-viṣāda-yogaḥ]]''', "Lo sconforto di Arjuna": 47 versi, nella recensione detta ''vulgata''.
* 2: '''[[Bhagavadgītā II: Sāṅkhya-yogaḥ|Sāṅkhya-yogaḥ]] ''', "Il [[sāṅkhya]]": 72 versi.
* 3: '''Karma-yogaḥ''', "L'azione": 43 versi.
* 4: '''Jñāna-karma-sannyāsa-yogaḥ''', "Conoscenza-azione-rinuncia": 42 versi
* 5: '''Sannyāsa-yogaḥ ''', La rinuncia ai frutti dell'azione": 29 versi.
* 6: '''Dhyāna-yogaḥ ''', "La meditazione": 47 versi.
* 7: '''Jñāna-vijñāna-yogaḥ ''', "La conoscenza e la consapevolezza": 30 versi.
* 8: '''Tāraka-brahma-yogaḥ''', "La Realtà Suprema": 28 versi.
* 9: '''Rāja-vidyā-rāja-guhya-yogaḥ''', "La sapienza regale e del regale segreto": 34 versi.
* 10: '''Vibhūti-yogaḥ ''', "Le manifestazioni divine": 42 versi.
* 11: '''Viśva-rūpa-darśana-yogaḥ''', "La visione di colui la cui forma è il tutto": 42 versi.
* 12: '''Bhakti-yogaḥ''', "La devozione": 20 versi.
* 13: '''Kṣetra-kṣetrajña-yogaḥ ''', "Il 'campo' e il 'conoscitore del campo'": 34 versi.
* 14: '''Guṇa-traya-vibhāga-yogaḥ''', "La distinzione fra i tre ''guṇa''": 27 versi.
* 15: '''Puruṣottama-yogaḥ''', "La Persona Suprema": 20 versi.
* 16: '''Daivāsura-sampad-vibhāga-yogaḥ''', "La distinzione tra il destino divino e quello demoniaco": 24 versi.
* 17: '''Śraddhā-traya-vibhāga-yogaḥ''', "La distinzione fra i tre tipi di fede": 28 versi.
* 18: '''Mokṣa-sannyāsa-yogaḥ''', "La liberazione attraverso la rinuncia": 78 versi.
== Principali edizioni italiane ==
* ''Bhagavadgītā: canto del beato'', traduzione in esametri dal sanscrito e introduzione di Ida Vassalini, Bari: Laterza, 1943
* ''Bhagavad Gita'', saggio introduttivo, commento e note di Sarvepalli Radhakrishnan, traduzione del testo sanscrito e del commento di Icilio Vecchiotti, Roma: Ubaldini, 1964 ISBN 88-340-0219-9
* ''Bhagavadgītā: canto del beato'', interpretazione lirica italiana secondo la misura dei ritmi originali di Giulio Cogni, Milano: Ceschina, 1973; Roma: Ed. Mediterranee, 1980<sup>2</sup>
* ''La Bhagavad-gita così com'è'', trad. dal sanscrito di [[A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada]], Bhaktivedanta Book Trust (1976)
* ''Bhagavad Gita. Nuova traduzione e commento capitoli 1-6'', trad. e commento di [[Maharishi Mahesh Yogi]], 1967, edizione italiana Mediterranee, 2003
* ''Bhagavadgītā'', a cura di Anne-Marie Esnoul, trad. dal francese Bianca Candian, Milano: Adelphi ("Biblioteca Adelphi" n. 65), 1976, 1984<sup>2</sup>2010<sup>3</sup>; "Gli Adelphi" n. 29, 1991 ISBN 88-459-0851-8; Milano: Feltrinelli ("Oriente Universale Economica" n. 1953), 2007 ISBN 978-88-07-81953-7
* ''La Bhagavad Gita'', a cura di [[Anthony Elenjimittam]], trad. dall'inglese Mario Bianco, Milano: Mursia, 1987 ISBN 978-88-425-8824-5
* ''Bhagavadgītā: il canto del beato'', a cura di Raniero Gnoli, Torino: UTET, 1976; Milano: Rizzoli ("BUR" L 642), 1992 ISBN 88-17-16642-1
* ''Bhagavad Gita: interpretazione spirituale di Paramahansa Yogananda'', 3 volumi, Edizioni Vidyananda, 1992 ISBN 88-86020-11-2
* ''Bhagavadgītā: il canto del glorioso signore'', traduzione dal sanscrito e commento di Stefano Piano, Cinisello Balsamo: Paoline, 1994 ISBN 88-215-2827-8; Milano: Fabbri, 1996
* ''Bhagavadgītā'', a cura di Tiziana Pontillo, Milano: Vallardi, 1996 ISBN 88-11-91052-8
* ''Bhagavad gita'', a cura di Marcello Meli, Milano: Mondadori ("Oscar classici"), 1999 ISBN 88-04-45395-8
* ''Il canto del beato (Bhagavadgītā)'', a cura di Brunilde Neroni, Padova: Messaggero, 2002 ISBN 88-250-1170-9
* “ Fiume di compassione. Un commento cristiano alla Bhagavad Gita” Bede Griffiths. Edizioni Appunti di Viaggio - Roma, 2006 ISBN 88-87164-67-3
== Note ==
<references/>
== Voci correlate ==
* ''[[Mahābhārata]]''
* [[Induismo]]
== Altri progetti ==
{{interprogetto|etichetta=''Bhagavadgītā''|q|q_preposizione=dalla o sulla}}
== Collegamenti esterni ==
* {{Collegamenti esterni}}
* {{cita web|http://www.radiokrishna.com/La_Bhagavad_Gita.pdf|Traduzione integrale e commento dal sito degli Hare Krsna}} a cura di [[A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada]] (pdf)
* {{cita web | 1 = http://www.labhagavadgita.it/pdf/Bhagavadgita-italiano.pdf | 2 = Traduzione a cura di Vyasa Sante pdf | accesso = 1 maggio 2019 | urlarchivio = https://web.archive.org/web/20180410232915/http://www.labhagavadgita.it/pdf/Bhagavadgita-italiano.pdf | dataarchivio = 10 aprile 2018 | urlmorto = sì }}
* {{cita web|http://www.yogavidya.com/Yoga/BhagavadGita.pdf|La Bhagavad Gita tradotta in inglese da Lars Martin Fosse, affiancato da testo originale in sanscrito (caratteri devanāgarī) - pdf}}
* {{cita web | 1 = http://yogafacile.it/bhagavad-gita/ | 2 = Traduzione integrale e commenti guida per praticanti yogi (html) | accesso = 1 maggio 2019 | urlarchivio = https://web.archive.org/web/20190501192458/http://yogafacile.it/bhagavad-gita/ | dataarchivio = 1 maggio 2019 | urlmorto = sì }}
*{{cita web|http://www.guruji.it/bhagavadgita/gita.htm|Altra traduzione integrale (html), di Guido da Todi}}
*{{liberliber|b/bhagavad-gita/bhagavad-gita-il-canto-divino|Bhagavad-gita (Il canto divino)}}
{{Visnù}}
{{Divinità e riti induisti}}
{{Controllo di autorità}}
{{Portale|India|induismo|letteratura}}
[[Categoria:Testi sacri dell'induismo]]
[[Categoria:Mahābhārata]]
[[Categoria:Bhagavadgītā| ]]
[[Categoria:Poemi epici di autori indiani]]
[[Categoria:Opere letterarie del III secolo a.C.]]
[[Categoria:Visnuismo]]
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