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Diverse nomi e qualifiche lavorative sono state individuate nei documenti esaminati: barattolaio, broccaio, coppaio, fornaciaio, orciaio-orciolaio, scodellaio, stovigliaio, vasellaio-vasaio, maestro, apprendista o lavorante. Un individuo può anche essere indicato con più qualifiche contemporaneamente.
 
== Attività dei ceramisti fra il XIII e gli inizi del XVIIXVI secolo secondo le fonti scritte ==
=== XIII secolo ===
Già agli inizi del XIII secolo sappiamo che i vasai pisani cominciano a commerciare le proprie merci al di fuori dell'ambito cittadino, almeno lungo il tratto fluviale interno e in area tirrenica{{#tag:ref|Sono stati ritrovati numerosi reperti riconducibili a ceramiche di produzione pisana in Toscana Settentrionale, in Corsica e Sardegna (si rimanda alla sezione dedicata in [[Maiolica arcaica di Pisa]]).|group=N}}.
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=== XV secolo ===
Nel XV secolo (1406) assistiamo alla caduta della Repubblica di Pisa sotto la dominazione Fiorentina.
==== Primo quarto del XV secolo ====
Ne conseguì una grave crisi economica e sociale che interessò soprattuto commercianti e artigiani, colpiti da una dura tassazione sulle esportazioni delle proprie manifatture. Iniziò così un fenomeno migratorio importante, basti pensare che nel primo quarto del secolo i ceramisti censiti erano 66, mentre nell'ultimo quarto solo 18<ref name=C_138>{{cita|Clemente 2017|p. 138}}</ref><ref>{{cita|Tongiorgi 1964}}.</ref>.
Nel XV secolo assistiamo alla caduta della Repubblica di Pisa sotto la dominazione Fiorentina. Gli artigiani pisani che lavorano l'argilla per far fronte a questa situazione di crisi si organizzano come mai hanno fatto in precedenza.
Una prima causa di questo decremento può essere attribuita agli scontri iniziali tra pisani e fiorenti: si ha infatti notizia che molti cittadini legati al mondo della ceramica parteciparono attivamente al conflitto come guardie cittadine, capitani di guardia, o guardie del gonfalone bianco<ref name=C_139>{{cita|Clemente 2017|p. 139}}</ref><ref>{{cita|Tongiorgi 1979|pp. 25, 26, 32, 55, 56, 91, 93-95, 98, 102, 130.}}</ref>.
Grazie a due fonti scritte si può capire con facilità come gli artigiani locali reagirono alla disfatta pisana del 1406 e alla poca organizzazione tra i membri dell'arte mostrata fino a questo momento. Questi documenti, datati rispettivamente al 1419 e al 1421, possono essere considerati dei veri e propri contratti di lavoro tra diverse persone, con delle clausole ben precise da rispettare, assicurate da sanzioni in caso di infrazioni{{#tag:ref|Si veda {{cita|Berti 2005|p. 109-110}}. I documenti sono stati rinvenuti nei protocolli del notaio pisano Giulio di Colino Scarsi, Archivio di Stato di Firenze, Notarile Antecosimiano, S399, cc. 43r-44r; S400, cc. 289r-290v. Sono stati pubblicati da Miriam Fanucci Lovitch e da Enzo Virgili nel 1984 ({{cita|Fanucci Lovitch - Virgili 1984}}).|group=N}}.
Dopo la conquistà fiorentina inoltre venne imposto il confino politico costrinse a molti uomini di allontanarsi dalla città; fu vietato inoltre l’ingresso agli abitanti del contado pisano<ref>{{cita|Alberti - Giorgio 2013|p. 19}}; {{cita|Petralia 1991|p. 180}}.</ref>.
Alcune fornaci già attive tra la fine del XIV secolo e gli inizi del XV secolo furono distrutte dai fiorentini e talvolta case e botteghe rimaste vuote a causa della guerra venivano distrutte dagli stessi proprietari per non essere tassati<ref>{{cita|Casini 1965|p. 79}}.</ref>.
 
Va detto comunque che alcuni artigiani stranieri si spostarono verso Pisa. Questi (12 in totale) arrivavano da centri quali Lucca, Milano, Montaione, Piombino, Pistoia, Siena, Viterbo, etc. Solo più avanti si assiste ad alcune partenze verso Lucca, Savona e Faenza<ref name=C_138/><ref>{{cita|Alberti - Giorgio 2013|p. 19}}; {{cita|Tongiorgi 1979|p. 19}}; {{cita|Berti 1997|p. 266}}.</ref>.
Nei due scritti spicca la presenza di un personaggio che fa da garante, tale Ranieri di Antonio Bu, che pur non essendo un vasaio, sembra essere legato in qualche modo al mondo della ceramica.
Il primo accordo, del 14-20 luglio 1419, non venne approvato mentre il secondo, del 20 gennaio 1421, della durata di cinque anni fu registrato nella cappella di Sant’Egidio. I ceramisti coinvolti nell’accordo del 1421 sono:
 
Gli artigiani pisani che lavorano l'argilla, per far fronte a questa situazione di crisi, si riorganizzarono nel lavoro.
Ci sono documenti, datati rispettivamente al 1419 e al 1421, che possono essere considerati dei veri e propri contratti di lavoro tra diverse persone, con delle clausole ben precise da rispettare, assicurate da sanzioni in caso di infrazione{{#tag:ref|Si veda {{cita|Berti 2005|p. 109-110}}. I documenti sono stati rinvenuti nei protocolli del notaio pisano Giulio di Colino Scarsi, Archivio di Stato di Firenze, Notarile Antecosimiano, S399, cc. 43r-44r; S400, cc. 289r-290v. Sono stati pubblicati da Miriam Fanucci Lovitch e da Enzo Virgili nel 1984 ({{cita|Fanucci Lovitch - Virgili 1984}}).|group=N}}.
 
Nei due scritti spicca la presenza di un personaggio, tale Ranieri di Antonio Bu, che pur non essendo un artigiano fa da garante in quanto possessore di una fornace e investitore di denaro<ref name=B_110_114>{{cita|Berti 2005|pp. 110-114}}</ref><ref>{{cita|Clemente 2017|p. 140}}; {{cita|Casini 1965}}</ref>.
Il primo accordo, del 14-20 luglio 1419, non venne approvato mentre il secondo, del 20 gennaio 1421, della durata di cinque anni fu registrato nella cappella di Sant’Egidio. I ceramisti coinvolti nell’accordo del 1421 sono:
*Casuccio di Giovanni, vasaio della cappella di San Paolo a Ripa d’Arno.
*Leonardo di Andrea, vasaio della cappella di San Paolo a Ripa d’Arno.
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*Antonio di Giuliano di Paio, vasaio della cappella di San Paolo a Ripa d’Arno.
 
Di seguito qualche punto dell’atto<ref name=B_110_114/>:
*Una clausola consentiva la produzione di qualsiasi tipo di ceramica, mentre vietava l'apertura di aprire, o fare aprire da altri (per proprio conto), nuovenuovi attività,esecizi sia in città che nel contado.
*LeI ceramicheceramisti dipotevano ciascunavendere bottegala potevanopropria essere vendutemerce sia all’ingrosso (sopra i 100 manufatti), che al minuto (meno di 100), ma dovevanosecondo esserei rispettate precise regole, relative al numero di pezziprezzi e aile prezziquantità pattuitiprestabilite.
 
Ad esempio, troviamo definiti i turni (o gite) per le vendite all’ingrosso e i quantitativi massimi. Ad ogni affiliato spettava una gita nella quale poteva vendere dai 2000 ai 2500 pezzi. Solo a Casuccio di Giovanni era permesso vendere 4000 pezzi a turno perché già da prima che il contratto fosse firmato gestiva più di un esercizio con un alto numero di dipendenti.<ref name=B_110_114/>:
* Prima gita - Marco di Lorenzo: pezzi 2500.
* Seconda gita - Tommaso e Piero di Giovanni: pezzi 2000.
* Terzo gita - Betto e Michele di Andrea: pezzi 2000.
* Quarta gita - Casuccio di Giovanni: pezzi 4000.
* Quinta gita - Leonardo di Andrea: pezzi 2000.
* Sesta gita - Antonio di Giuliano di Paio: pezzi 2500
* Settima gita - Antonio di Andrea: pezzi 2000.
Casuccio di Giovanni già da prima che il contratto fosse firmato, gestiva più di un esercizio con un alto numero di dipendenti. Molto probabilmente la maggiore quantità di pezzi concessagli dipendeva da questo aspetto.
 
Alcuni prezzi concordati per la merce sono riassunti nella seguente tabella<ref>{{cita|Berti 2005|pp. 113-114}}</ref><ref name=B_110_114/>:
{| class="wikitable"
|-
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|}
 
Ancora qualche clausola del contratto prevedeva che<ref name=B_110_114/><ref>{{cita|Fanucci Lovitch - Virgili 1984|pp. 296-300}}.</ref>:
 
*la merce doveva essere venduta nelle proprie botteghe, ad eccezione degli scarti che potevano essere venduti altrove.
Ancora qualche clausola del contratto:
*La merce doveva essere venduta nelle proprie botteghe, ad eccezione degli scarti che potevano essere venduti altrove.
*Ranieri di Antonio Bu riscuoteva un compenso di due grossi d’argento per ogni 1000 pezzi venduti.
*Adad ogni “gita” doveva essere presente il vasaio al quale spettava la “gita” successiva.
*Chichi aveva l'attività fuori le mura, poteva vendere direttamente ai marinai, anche nelle ore notturne. La vendita dei pezzi doveva comunque rispettare le cifre pattuite, e un affiliato dell'Arte o un apposito delegato doveva essere presente durante l'operazione di carico almeno.
*Perper l’invenduto venivano stabiliti nuovi prezzi almeno da due artigiani appartenenti all’Arte<ref>{{cita|Berti 2005|pp. 113-114}}; {{cita|Fanucci Lovitch - Virgili 1984|pp. 296-300}}.</ref>.
 
La documentazione archivistica non riporta un rinnovo del contratto del 1421, ma le fonti testimoniano una florida attività anche in questo periodo.
==== Secondo quarto del XV secolo ====
Poco dopo infatti, nel 1426 viene creata una società di tre anni tra Giovanni di Cione di Lenzo e Niccolò di Jacopo Mangiacauli<ref name=C_139/>, mentre nel 1427-1428, venne a formarsi una compagnia molto importante tra tre ceramisti<ref>{{cita|Berti 2005|pp. 114-115, 125-140}}; {{cita|Berti - Renzi Rizzo 2000|pp. 135-136}}; {{cita|Tongiorgi 1979|p. 52}}.</ref>:
La documentazione archivistica non riporta un rinnovo del contratto del 1421, ma altri documenti testimoniano una florida attività anche in questo periodo.
Poco dopo infatti, nel 1427-1428, venne a formarsi una compagnia molto importante tra tre ceramisti<ref>{{cita|Berti 2005|p. 114}}; {{cita|Berti - Renzi Rizzo 2000|pp. 135-136}}.</ref>.
I tre soci erano:
{| class="wikitable"
|-
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| Leonardo di Andrea (BR) || Un terzo || /
|}
Casuccio ormai ottantenne, continua ad avere un ruolo fondamentale nel mondo della ceramica, sebbene la figura di Cardo di Piero al suo fianco è stata sicuramente importante. Quest’ultimo entrò nella bottega di Casuccio come apprendista in età giovanissima per rimanervi in seguito con mansioni sempre più importanti fino a diventare l’erede principale di Casuccio dopo la sua morte, avvenuta tra il 1430 e il 1432. Cardo però già nel 1430 fa a sua volta testamento perché probabilmente soffriva di qualche malattia. Morirà infatti nel 1439<ref>{{cita|Berti 2005|p. 134}}.</ref>.
Il gran numero di lavoranti alle loro dipendenze indica chiaramente come la loro attività fosse molto florida.
Leonardo di Andrea faceva parte dei ceramisti che firmarono il contratto del 1421.
Negli anni di società con Casuccio e Leonardo egli abita nella cappella di San Paolo a Ripa d'Arno fuori le mura, in casa del primo, sopra la sua bottega.
Di Michele Bonaccorso si sa che prima di questa occupazione, svolse l’attività di “materassaio” e solo nel 1425 viene indicato come broccaio, poi vasaio nella società in questione<ref>{{cita|Berti 2005|p. 115, 125-140}}; vedi per un estratto della dichiarazione di Casuccio di fronte ad un notaio {{cita|Tongiorgi 1979|p. 52}}.</ref>.
 
Anche innel questosecondo periodoquarto esistonodel XV secolo non mancano attività dedite alla sola rivendita oppure al /noleggio. Nel 1428 ad esempio, Gaspare di Paolo del Rosso dichiara di avere nella sua bottega<ref>{{cita|Berti - Tongiorgi 1977a|p. 149}}</ref><ref name=C_141>{{cita|Clemente 2017|p. 141}}.</ref>: {{Quote|più masserizie da nozze, cioè da desinari la quale poi prestiamo, cioè caldaie, treppie, schiedoni, altri taglieri e scodelle e altre cose, come richiede il mestiere.}}
Queste venivano vendute ancora nella zona di San Iacopo al Mercato insieme a saltuari pezzi di importazione. Ancora si registrano donne legate alla rivendita con qualche esempio di artigiana dedita alla produzione di vasellame<ref>{{cita|Tongiorgi 1964|pp. 7-8}}</ref>.
 
Nella seconda metà del XV secolo Sano di Gherardo Borghesi aveva già introdotto nella propria bottega la produzione di ceramiche ingobbiate e graffite. Tale affermazione è possibile sulla base di alcuni documenti che citano per la prima volta la presenza di “terre bianche” a Pisa.
Uno risale al 1441, quando Sano paga alla dogana di Porta a Mare una certa somma per alcuni “sacchi di bianco”.
Un altro documento invece concerne il testamento dello stesso, registrato presso un notaio nel 1485. Vengono spartite tra i figli tutte le proprietà del vasaio, comprese le materie prime necessarie alla produzione di vasellame; tra queste vengono citate anche le “terre bianche”. Tale citazione, e la compresenza di stagno nella bottega, permette di ipotizzare la contemporanea produzione della prima ceramica ingobbiata e dell’ultima maiolica arcaica{{#tag:ref|La famiglia Borghesi, di origine livornesi, si stanziò a Pisa con Gherardo nel 1382; la moglie Gadduccia rimane vedova nel 1412 con tre figli: Domenico, Sano e Matteo.
Sano, fu molto attivo nella sua professione di vasaio, ed il suo lavoro gli permise di mantenere una numerosa famiglia.
Suo figlio Gherardo, nato nel 1427, lavora come “fornaciaio”, ma anche “vagellaio”, anche se la sua attività sembra dedita soprattutto alla fabbricazione e vendita di materiali edilizi, si veda {{cita|Berti 2005|p. 124}}; notizie sulla famiglia Borghesi si trovano anche in {{cita|Tongiorgi 1979|pp. 30-31, 96}}.|group=N}}.
 
La zona di San Paolo a Ripa d'Arno e di San Giovanni al Gatano continua ad essere intensamente sfruttata da 10 fornaci. Sant'Andrea in Chinzica e San Marco vengono abbandonate, mentre viene intensamente popolata da ceramisti la cappella di San Pietro ad Ischia, a nord dell'Arno nei pressi dell'odierna via Sant'Apollonia<ref name=C_139/>{{#tag:ref|Le evidenze archeologiche sono illustrate da Marcella Giorgio (https://www.academia.edu/13408119/Un_occasione_per_recuperare_il_passato_lo_scavo_di_Sant_Apollonia_a_Pisa).|group=N}}.
 
Il totale censito per tutto il XV secolo è di 144 ceramisti<ref>{{cita|Clemente 2017}}. Per una parziale lista dei nomi degli artigiani si veda {{cita|Berti 2005|pp. 138-140}}</ref>.
 
===== Il quadro economico dei ceramisti negli anni 1428-1429 =====
PrimaDurante dell'amministrazionela FiorentinaRepubblica fino ai primi decenni del XV secolo le imposte venivano ripartite con il sistema dell’estimo. Leche valutazioni però non erano del tutto idonee ad un’equa ripartizione fiscale perché interessavano soprattutto i beni immobili favorendo quindifavoriva mercanti e banchieri<ref iname=B_115>{{cita|Berti quali lavoravano maggiormente con beni2005|p. mobili115}}</ref>.
 
Dal 1429 entra in vigore, un nuovo metodo tassativo disposto da Firenze per tutti i suoi distretti, ovvero il catasto.
La base di partenza era una autocertificazione perOgni nucleo familiare instilava cuiun'autocertificazione figuravanodove ilsi nomedichiaravano deli padre/capofamiglia, la professione, il luogo di abitazione della famiglia, la descrizione dei singolipropri beni immobili e mobili, la misura, la rendita ed il valore di essi. In base poi a valutazioni fatte dagli ufficiali del catasto, che si basavano su diversi fattori, l'imponibile poteva essere diminuito o aumentato<ref name=B_115/>.
Medici e forestieri non venivano tassati per 20 anni, come alcune famiglie aristocratiche pisane.
Le detrazioni si basavano principalmente su ogni persona che stava alle dirette dipendenze del capofamiglia, su affitti di case e botteghe, su livelli, debiti, salari a dipendenti e obblighi testamentari.
Su un totale di 1752 famiglie: il 12% era esente in quanto senza lavoro oppure inabili e tra questi figurano due operatori nel campo della ceramica.
I forestieri che prendevano domicilio a Pisa erano esenti dalle tasse per venti anni, come pure i medici e, per quindici anni, alcune famiglie aristocratiche pisane che presero accordi con il governo Fiorentino.
Tra i ceramisti più ricchi troviamo il broccaio Andrea del maestro Andrea e Casuccio di Giovanni.
Su un totale di 1752 famiglie: il 12% risulta esente da tassazioni (considerati “miserabili”) perché senza lavoro oppure inabili e tra questi figurano due operatori nel campo della ceramica.
Tra i ceramisti più ricchi troviamo il broccaio Andrea del maestro Andrea e Casuccio di Giovanni, mentre l’imponibile dei suoi giovani soci Michele di Bonaccorso e Leonardo di Andrea è piuttosto basso. Cardo di Piero invece figura nella dichiarazione in comune con il fratello Antonio.
Il motivo per il quale gli artigiani pisani cominciarono a costituire compagnie lavorative potrebbe essere legato anche al nuovo sistema esattoriale. Infatti, la dura tassazione del governo occupante colpiva soprattutto le Arti che avrebbero potuto concorrere con quelle fiorentine. Perciò, per reagire a questa pesante penalizzazione i ceramisti pisani ricorsero alla formazione di società, costituite da due o più soci, piuttosto che concorrere tra loro<ref>{{cita|Berti 2005|pp. 115-119}}. Il catasto del 1428-29 è stato pubblicato da Bruno Casini ({{cita|Casini 1964}} e {{cita|Casini 1965|pp. 6,7,9, 20-25}}).</ref>.
 
Il motivo per il quale gli artigiani pisani cominciarono a costituire compagnie lavorative potrebbe essere legato anche al nuovo sistema esattoriale e per non competere fra loro. Infatti, le imposte gravavano soprattutto sugli artigiani che avrebbero potuto fare concorrenza a quelli di Firenze<ref>{{cita|Berti 2005|pp. 115-119}}. Il catasto del 1428-29 è stato pubblicato da Bruno Casini ({{cita|Casini 1964}} e {{cita|Casini 1965|pp. 6,7,9, 20-25}}).</ref>.
===== Commercio di ceramiche all'entrata della ''Legathia (Degazia)'' tra il 1441 e il 1443 =====
Il registro della dogana di Porta a Mare, nota in quel periodo come Porta della Degazia o Legathia che si erge ancora oggi ad ovest della città, costituisce una testimonianza fondamentale perché mostra come alcuni ceramisti pisani produssero una mole impressionante di vasellame destinato all'esportazione.
Di questo è possibile avere molte informazioni grazie alle gabelle riscosse dalla dogana tra gli anni 1441 e 1443<ref>{{cita|Berti - Tongiorgi 1977a|p. 152}}. Il documento doganale è possibile trovarlo in {{cita|Casini 1969|p. 140}}. Le notizie riportate di seguito sono tratte da quest’opera. I documenti sono conservati nell’Archivio di Stato di Pisa - Comune B55.</ref>.
 
==== Commercio di ceramiche all'entrata della ''Legathia (Degazia)'' tra il 1441 e il 1443 ====
Nonostante il campo della ceramica contasse in questi anni numerosi artigiani, nelle pagine datate dal 24 febbraio 1441 al 27 giugno 1443, spiccano solo tre “vasai”: Sano di Gherardo, Frediano Mangiacavoli e Antonio di Andrea del Mancino.
Il registro della dogana di Porta a Mare (nota in quel tempo come Porta della Degazia o Legathia) degli anni 1441 - 1443, costituisce una testimonianza fondamentale perché mostra come alcuni ceramisti pisani produssero grandi quantità di vasellame destinato all'esportazione<ref>{{cita|Berti - Tongiorgi 1977a|p. 152}}. Il documento doganale è possibile trovarlo in {{cita|Casini 1969|p. 140}}. Le notizie riportate di seguito sono tratte da quest’opera. I documenti sono conservati nell’Archivio di Stato di Pisa - Comune B55.</ref>.
 
In esso spiccano tre “vasai”: Sano di Gherardo Borghesi, Frediano Mangiacavoli e Antonio di Andrea del Mancino.
Dal giugno 1442 quest'ultimo non compare più nei registri della dogana perché aveva costituito una compagnia di cinque anni con Frediano Mangiacavoli.
Nei registri sono annotate sia importazioni sia esportazioni che sono prevalenti. Le cifre da pagare per queste ultime sono valutate secondo quanto stabilito dalla Gabella fiorentina del 1408, per “''ciascuna cotta di vagelli … cioè fornace quando quocie''” e ogni “cotta” comprendeva circa 2000-2100 pezzi<ref>{{cita|Berti - Tongiorgi 1977a|p. 152}}; {{cita|Pagnini 1765-1766|Tomo IV, p. 65}}.</ref>.
Le annotazioni relative a questi vasai concernono sia ceramiche importate sia esportate (che sono prevalenti).
Le cifre da pagare per queste ultime sono valutate secondo quanto stabilito dalla Gabella fiorentina del 1408, per “''ciascuna cotta di vagelli … cioè fornace quando quocie''”, tassata ciascuna soldi 14. Ogni “cotta” comprendeva circa 2000-2100 pezzi<ref>{{cita|Berti - Tongiorgi 1977a|p. 152}}; {{cita|Pagnini 1765-1766|Tomo IV, p. 65}}.</ref>.
 
Sano di Gherardo, mantiene una posizione preminente dal 1441 al 1442, mentre nel 1443 ilprimeggia piùla attivosocietà risultada Frediano Mangiacavoli che già in questo anno, come detto, è in società cone Antonio di Andrea del Mancino.
Nel periodo in cui la compagnia fra Antonio di Andrea del Mancino e Frediano Mangiacauli è stata più attiva, sisono hannostate fatte fino a quattro cotte al mesemensili; la stessa capacità di produzione aveva la fornace di Sano di Gherardo. Risulta quindi che tra il 24 febbraio 1441 e il 27 giugno 1443 sono state pagate complessivamente le gabelle per 113 “cotte”, cioè per circa 230.000 pezzi.
Contemporaneamente però sono registrati a parte dei pagamenti anche per varie migliaia di pezzi calcolati in base al loro numero o al loro valore.
Nei documenti in questione vengono citati anche ceramisti provenienti da aree anche molto lontane da Pisa: genti di Livorno (2-3), Elba (1), località liguri come Noli, Chiavari, Rapallo, Genova, Moneglia, Levanto (8), dalla Corsica (3), da Cremona (1), e forse da altri siti iberici e tedeschi.
Sebbene le esportazioni di ceramiche sono quelle maggiormente attestate, sono presenti anche esportazioni di manufatti non pisani. Si tratta soprattutto di ceramiche di Montelupo Fiorentino ma anche di maioliche valenzane. La loro presenza è giustificata perché Pisa costituiva ancora, almeno in Toscana, il principale punto d’ingresso e di smistamento per qualsiasi tipo di prodotto<ref>L’argomento viene trattato dettagliatamente in {{cita|Berti 2005|pp. 119-124}}</ref>.
 
Nei documenti in questione vengono citati anche ceramisti provenienti da aree anche molto lontane da Pisa: genti di Livorno (2-3), Elba (1), località liguri come Noli, Chiavari, Rapallo, Genova, Moneglia, Levanto (8), dalla Corsica (3), da Cremona (1) e da siti iberici che importavano propri prodotti ed esportavano prodotti pisani<ref name=C_141/>.
===== L'apprendistato =====
Sono attestate anche esportazioni di manufatti non pisani come le ceramiche di Montelupo Fiorentino ma anche di maioliche valenzane. La loro presenza è giustificata perché Pisa costituiva ancora, almeno in Toscana, il principale punto d’ingresso e di smistamento per qualsiasi tipo di prodotto<ref>L’argomento viene trattato dettagliatamente in {{cita|Berti 2005|pp. 119-124}}</ref>.
 
==== L'apprendistato ====
La presenza di uno o più garzoni nelle botteghe ceramiche era molto frequente. Grazie alla documentazione archivista è possibile oggi esporre qualche esempio, soprattutto inerente a come maestro e apprendista instauravano un rapporto che andava oltre il mero aspetto lavorativo.
Il padrone dell'attività, oltre a garantire al garzone un salario, dava vitto e alloggio e non di rado forniva anche il vestiario. L'apprendista invece si impegnava a rispettare gli ordini del maestro, aad lavorareessere neisempre giornidisponibile, ferialise siarichiesto, diin giornotutte chele di24 notteore seanche richiestonei giorni feriali.
Il padrone era obbligato a trattare con rispetto il suo apprendista e ad insegnargli il mestiere.
Ad esempio è arrivato fino ai nostri giorni un accordo stipulato nel 1427 tra Piero di Nicolò di Francesco e la compagnia di Cardo di Piero, Leonardo di Andrea e Michele Bonaccorso.
Una volta finito il suo apprendistato, che durava normalmente da 1 a 3 anni, il garzone poteva rimanere nella bottega del suo maestro oppure aprirne una suapropria<ref>{{cita|Clemente 2017|p. 138}}<name=C_138/ref>.
In questo periodo comunque era praticata anche la schiavitù. Sappiamo infatti che nel 1441 presso due fornaci in società, lavorava uno schiavo di origine russa il cui stipendio veniva incassato dal suo padrone<ref>{{cita|Berti - Tongiorgi 1977a|p. 153}}.</ref>.
 
==== Seconda metà del XVXVI secolo ====
Il primo quarto del XVI secolo conta solo 13 vasai a Pisa.
In questo periodo spicca l'attività di un ceramista in particolare, Sano di Gherardo Borghesi.
Le cause di questo drastico decremento vanno ricercate nella riconquista pisana e nella fondazione della Seconda Repubblica (1495-
Costui probabilmente già nella metà del XV secolo, aveva introdotto nella propria bottega la produzione di ceramiche ingobbiate e graffite. Tale affermazione è possibile sulla base di alcuni documenti che citano per la prima volta la presenza di “terre bianche” a Pisa.
1509) perché in questo periodo vengono bloccati i commerci.
Il primo documento risale al 1441, quando Sano paga alla dogana di Porta a Mare una certa somma per alcuni “sacchi di bianco”.
Una timida ripresa si ha nei primi tre decenni del Cinquecento quando, a seguito degli incentivi fiscali post riconquista fiorentina volti a risollevare l'economia, arrivano a Pisa quattro nuovi ceramisti dal contado pisano e fiorentino<ref name=C_141/>{{#tag:ref|({{cita|Alberti - Giorgio 2013|p. 19}}) Una nuova crescita della popolazione pisana si avrà nei quattro decenni successivi alla riconquista fiorentina, arrivando a quasi 10.000 unità entro la metà del Cinquecento ({{cita|Fasano Guarini 1991|p. 17}}).|group=N}}.
Un altro documento invece concerne il testamento dello stesso, registrato presso un notaio nel 1485. Vengono spartite tra i figli tutte le proprietà del vasaio, comprese le materie prime necessarie alla produzione di vasellame; tra queste vengono citate anche le “terre bianche”. Tale citazione, e la compresenza di stagno nella bottega, permette di ipotizzare la contemporanea di produzione della prima ceramica ingobbiata e dell’ultima maiolica arcaica.
Le nuove famiglie di ceramisti sono i Paiti (o Paichi), i Da Sanminiatello e i Petri, mentre altre famiglie sono presenti in città già nel secolo precedente quali gli Arrighetti, i Berto, i Borghesi e i Lupo<ref>{{cita|Clemente 2017|pp. 141-142}}; {{cita|Clemente 2015|p. 165}}; {{cita|Alberti - Giorgio 2013|p. 34}}.</ref>.
La famiglia Borghesi, di origine livornesi, si stanziò a Pisa con Gherardo nel 1382; la moglie Gadduccia rimane vedova nel 1412 con tre figli: Domenico, Sano e Matteo.
Sano, fu molto attivo nella sua professione di vasaio, ed il suo lavoro gli permise di mantenere una numerosa famiglia.
Suo figlio Gherardo, nato nel 1427, lavora come “fornaciaio”, ma anche “vagellaio”, anche se la sua attività sembra dedita soprattutto alla fabbricazione e vendita di materiali edilizi<ref>{{cita|Berti 2005|p. 124}}; notizie sulla famiglia Borghesi si trovano anche in {{cita|Tongiorgi 1979|pp. 30-31, 96}}.</ref>.
 
==== Ceramisti e fornaci nella Pisa del XVI ====
Tra la prima e la seconda metà del XV secolo sono attivi a Pisa 115 artigiani: 6 barattolai (1 indicato come barattolaio e vasaio), 20 broccai (3 indicati come broccai e vasai), 1 orciolaio, 1 scodellaio, 4 stovigliai, 68 vasai (2 indicati come vasai e barattolai, 2 vasai e broccai, 1 vasaio e fornaciao), 14 apprendisti (6 indicati come apprendisti vasai) e 1 fornaciaio{{#tag:ref|({{cita|Berti - Renzi Rizzo 1997|pp. 232-235}}) Insieme ai due broccai della cappella di Sant’Andrea sono indicati con asterisco quattro vasai delle zone limitrofe di San Martino Chinzica e di San Marco Chinzica. Nei riferimenti relativi a San Paolo a Ripadarno sono inclusi tre vasai ed un apprendista vasai di San Giovanni al Gatano.
I ceramisti attivi nel XVI secolo sono 82<ref name=C_141/>. Una concentrazione di ceramisti abbastanza alta si registra nelle cappelle di San Giovanni al Gatano e di San Paolo a Ripa d’Arno, ma vi è un numero altrettanto importante che dimora tra le cappelle di San Niccolò, San Donato, Sant’Eufrasia, San Iacopo degli Speronai e San Giorgio in prossimità del Ponte Nuovo.<ref name=C_AG>{{cita|Clemente 2017|p. 142}}; {{cita|Alberti - Giorgio 2013|pp. 34-36}}.</ref>.
Le “altre” cappelle sono in undici/dodici casi a nord dell’Arno. Fra queste si segnalano San Iacopo del Mercato, cui vengono riferiti cinque operatori, probabilmente tutti solo rivenditori; San Pietro in Vincoli e San Nicola in Ponte. Altre otto cappelle, in parti varie della città sono ricordate per un barattolaio, un broccaio, un vasaio - barattolaio e cinque vasai. A sud dell’Arno troviamo due broccai e tre vasai in San Casciano, cappella subito a est di San Paolo a Ripadarno; tre vasai in quella di San Cosimo (o Santi Cosimo e Damiano), mentre è indicato di Sant’Egidio un apprendista. Per uno schema esauriente vedi {{cita|Berti 2005|pp. 138-140}}.
La zona di San Marco in Chinzica, che prima ospitava diversi vasai, fu gradualmente abbandonata. Gli unici che abitano e lavorano in quest’area agli inizi del secolo appartengono tutti agli Arrighetti, ma nel corso del secondo quarto del XVI secolo anche loro si spostano verso la cappella di San Donato. Presso la cappella di San Pietro a Ischia, oggi nella zona di via Sant'Apollonia, spicca la presenza dei Payti (o Paichi)<ref name=C_AG/>.
I dati possono essere soggetti a cambiamenti e revisioni in quanto la ricerca archivistica è ancora oggi oggetto di studio, ad esempio in {{cita|Alberti - Giorgio 2013}} sono indicati 139 ceramisti in questo periodo e 177 sul sito di Pisa città della ceramica (https://www.pisacittaceramica.it/la-produzione-di-ceramica-a-pisa-ed-aree-limitrofe-dal-mille-allottocento/).|group=N}}.
Con il passare del tempo i ceramisti si spostano dalla zona del Ponte Nuovo per ripopolare la cappella di San Vito, Santa Lucia e a sud dell'Arno San Casciano. Alla fine del Cinquecento un'altra area produttiva si stabilisci nella cappella di Santa Marta<ref name=C_AG/>.
 
Una unica società risalente agli ultimi anni di questo secolo è quella formata tra il ceramista Antonio di Bartolomeo Cappucci e Giustino di Casteldurante, pittore di maioliche<ref>{{cita|Alberti - Giorgio 2013|p. 38}}; {{cita|Fanucci Lovitch 1991|pp. 19-163}}.</ref>.
Come già accennato, l’annessione di Pisa allo stato Fiorentino ha influenzato negativamente la fiorente attività delle botteghe pisane: basti pensare al confino politico imposto dagli occupanti che costrinse sia i ceti dirigenti che quelli più poveri ad allontanarsi dalla città. Fu vietato inoltre l’ingresso agli abitanti del contado pisano<ref>{{cita|Alberti - Giorgio 2013|p. 19}}; {{cita|Petralia 1991|p. 180}}.</ref>.
Alcune delle fornaci attive a Pisa tra la fine del XIV secolo e gli inizi del XV secolo furono distrutte dai fiorentini durante i primi periodi della dominazione.
Infine, l’innalzamento delle imposte costrinse in ginocchio i cittadini.
Spesso case e botteghe rimaste vuote dopo il conflitto venivano distrutte dagli stessi proprietari per non essere tassati<ref>{{cita|Tongiorgi 1964}}. Per ulteriori dettagli sulla distruzione delle proprietà da parte dei proprietari pisani vedi {{cita|Casini 1965|p. 79}}.</ref>.
I vasai pisani, nell'ultimo quarto del XV secolo erano solamente 13 a fronte dei 66 del primo quarto<ref>{{cita|Tongiorgi 1964}}. Per ulteriori dettagli sulla distruzione delle proprietà da parte dei proprietari pisani vedi {{cita|Casini 1965|p. 79}}.</ref>.
 
Le fonti scritte permettono di localizzare cinque fornaci del Cinquecento: una era situata vicino a Porta a Piagge in via delle Concette, due invece si trovavano in via Sapienza e appartevano alla famiglia Bitozzi<ref>{{cita|Alberti - Stiaffini 1995}}; {{cita|Alberti - Giorgio 2013|pp. 20, 36, 151-157, 179, 237}}.</ref>. Un'altra era posta nella cappella di San Paolo a Ripa d’Arno, in prossimità di Porta a Mare mentre l'ultima sorgeva nell'attuale Piazza Mazzini<ref>{{cita|Clemente 2017|p. 142}}; {{cita|Alberti - Giorgio 2013|p. 21}}.</ref>.
=== XVI secolo ===
 
Una timida ripresa si ha nei primi tre decenni del Cinquecento, quando quattro nuovi ceramisti arrivano a Pisa dal contado pisano e fiorentino: la rinnovata stabilità seguita alla riconquista fiorentina di Pisa (1509) può avere influito anche sulle attività cittadine che, dopo un periodo di crisi, ricominciano a vedere crescere la produzione e il numero di vasai{{#tag:ref|({{cita|Alberti - Giorgio 2013|p. 19}}) Una nuova crescita della popolazione pisana si avrà nei quattro decenni successivi alla riconquista fiorentina, arrivando a quasi 10.000 unità entro la metà del Cinquecento ({{cita|Fasano Guarini 1991|p. 17}}). Questo incremento comportò un “miglioramento delle condizioni di vita, un’accelerazione delle attività industriali e mercantili; una moltiplicazione delle possibilità di lavoro e di arricchimento.” tanto da far divenire Pisa nuovamente un centro importante.|group=N}}.
La collocazione centrale della fornace di via Sapienza è sicuramente curiosa in quanto si trova in un'area molto popolata.
La scelta di impiantare una fornace da ceramica in quel luogo può spiegarsi con la vicinanza al fiume che era certamente sfruttato come via di trasporto per le materie prime necessarie alla lavorazione e per i prodotti sfornati da immettere nel mercato. In generale, le fornaci sono poste ai confini delle zone urbanizzate o in aree nettamente suburbane. Per le fornaci più centrali si può ipotizzare che esse fossero dedite ad una piccola produzione e che quindi necessitavano di poco spazio.
Probabilmente, a seguito degli scontri con Firenze e con un conseguente calo demografico l'espansione urbanistica che aveva interessato Pisa fino all'inizio del XV secolo subisce una forte contrazione insieme all’abbandono di diverse unità abitative. Ciò ha portato i ceramisti ad operare in aree più centrali ma non densamente abitate, di modo da essere più vicini alle zone dei mercati e contemporaneamente non lontani dalle zone di approvvigionamento di argilla<ref>{{cita|Alberti - Giorgio 2013|pp. 23, 36}}; {{cita|Tongiorgi 1979|p. 17}}.</ref>.
 
Ben documentate sono le notizie relative ad una famiglia in particolare, i Bitozzi{{#tag:ref| I Bitozzi erano originari di Ponte a Signa.|group=N}}, che fra il 1586 e il 1660, sono protagonisti della scena ceramica pisana coinvolgendo tre generazioni. Il primo Bitozzi, Leonardo (1552 ca. - 1615 ca.), arrivato a Pisa già dal 1578 vi trasferisce la sua attività di scalpellino. Solo dopo il suo arrivo in città inizia la vendita e poi la produzione di vasi<ref name=AG_153-154>{{cita|Alberti - Giorgio 2013|pp=153-154}} (ricerca di Daniela Stiaffini).</ref>.
Ebbe tre figli: Sebastiano (detto Bastiano), Domenico e Antonio che seguirono le orme paterne diventando scalpellini.
Fu un personaggio piuttosto noto nella Pisa della seconda metà del XVI secolo in quanto poco affidabile nel lavoro. Si trova spesso chiamato in causa dai suoi committenti{{#tag:ref|Ad esempio, nel 1579 Giulio de’ Medici, figlio naturale del duca Alessandro de’ Medici e cavaliere dell’ordine di Santo Stefano, commissionò a Leonardo Bitozzi la fornitura di tutte le pietre lavorate per la decorazione della facciata della villa che stava costruendo ad Arena, località prossima a Pisa. Lo scalpellino allora consegnò in ritardo il materiale cosicché il duca lo citò in giudizio (vedi {{cita|Alberti - Giorgio 2013|p. 161/nota 22}}.|group=N}} e dai suoi collaboratori. Nonostante ciò il Bitozzi godeva di una situazione economica importante. La sua può essere considerata una figura imprenditoriale in quanto egli molto probabilmente investiva denaro e mezzi di lavoro accordandosi con vasai che da parte loro fornivano l'arte. Ad esempio, nel 1587 è nota la società con Paolo di Pietro per la vendita di maioliche di Montelupo e orci da olio<ref>{{cita|Alberti - Giorgio 2013|p. 162}}.</ref>; nel 1593 il Bitozzi cerca di ottenere a livello un fondo per introdurre a Pisa, in società con Niccolò Sisti, la produzione di maioliche faentine<ref>{{cita|Alberti - Giorgio 2013|p. 163}}. Non si sa con esattezza se il Bitozzi conoscesse di persona il Sisti, ma è sicuro che egli mandò una supplica al Granducato affinché fosse finanziato per tale impresa</ref>; risale agli inizi del Seicento l’accordo con Maestro Filippo del fu Giovanni Garaccini da Forlì per gestire una bottega di maiolica<ref>{{cita|Alberti - Giorgio 2013|p. 165}}</ref>.
Sebastiano Bitozzi succedette al padre, lavorando anche lui dapprima come scalpellino, poi stovigliaio<ref>{{cita|Alberti - Giorgio 2013|pp. 165-167}}</ref>.
 
Si sa con sicurezza che i vasai pisani per tutto il secolo esportarono i propri prodotti in tutta la Toscana e nel mediterraneo. A partire dall'ultimo quarto, grazie ai commerci con i fiamminghi e spagnoli (sfruttando i porti di Livorno e di Siviglia), poterono far arrivare i propri prodotti in Inghilterra, Olanda e nelle loro colonie nord americane, nelle colonie spagnole dell'America del Sud, delle Canarie e dei Caraibi<ref>{{cita|Clemente 2017|pp. 144-145}}; {{cita|Giorgio 2016|pp. 355-360>; {{cita|Berti 2005|pp. 145-178}}.</ref>.
 
==== L'approvvigionamento di argilla e di altre materie prime per la produzione delle ceramiche nel XVI secolo ====
Analisi archeometriche<ref>{{cita|Alberti - Giorgio 2013|p. 23}}. Le analisi archeometriche sui manufatti ceramici attribuiti al XVI secolo sono esposte in a p. 239, a cura di Claudio Capelli.</ref> hanno permesso di stabilire che l'argilla usata per creare i manufatti ceramici veniva cavata dai depositi alluvionali del fiume Arno, in zone prossime alle sponde. I documenti citano cave di argilla nelle cappelle di San Marco, di San Giovanni al Gatano e San Michele degli Scalzi.
 
Un cambiamento nei luoghi di approvvigionamento potrebbe essere avvenuto dopo la metà del Cinquecento quando il governo mediceo vietò il prelievo dell’argilla nelle vicinanze delle mura cittadine e nel centro urbano<ref>{{cita|Alberti - Giorgio 2013|p. 24}}; {{cita|Berti 2005|p. 143}}. Le analisi archeometriche sono state ancora condotte da Claudio Capelli sugli scarti ceramici di Villa Quercioli e di Via Sapienza e hanno dimostrato che alcune terre furono cavate probabilmente nella piana del Serchio.</ref>.
 
Probabilmente come combustibile per le fornaci in parte veniva usata ancora la paglia, raccolta nelle zone paludose caratteristiche delle campagne pisane. Dalle fonti scritte si evince che alcuni terreni in località Sangineto e San Piero a Grado, già citati nel XIII secolo, sono ancora di proprietà di alcuni ceramisti pisani negli anni ‘50 e ‘70 del XVI secolo<ref>{{cita|Alberti - Giorgio 2013|p. 36}}; {{cita|Berti - Renzi Rizzo 1997|pp. 497 - 498}}.</ref>.
 
Era invece più complicato il rifornimento di legna. Intorno alla metà del XVI secolo, alcuni provvedimenti dell’amministrazione civile vietarono il taglio degli alberi senza uno specifico permesso delle autorità<ref>{{cita|Alberti - Giorgio 2013|p. 36}} - Archivio di Stato di Pisa, Fiume e Fossi, f. 98, cc. 111 r., 132 v. - 133 r. A esempio il vasaio Domenico di Bartolomeo da Samminiatello è costretto a chiedere un permesso all’Ufficio dei Fiumi e dei Fossi per poter tagliare alcuni alberi in un suo terreno.</ref>.
Questa regolamentazione era molto severa e puntuale nelle sanzioni, come dimostra una multa inflitta allo stovigliaio Bartolomeo di Cesare del Turchino che venne sorpreso trasportare legna raccolta senza autorizzazione<ref>{{cita|Alberti - Giorgio 2013|p. 36-37}} - Archivio di Stato di Pisa, Fiumi e Fossi, f. 14, cc. 95 v., - 96 r.; {{cita|Berti 2005|p. 143}}.</ref>.
 
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== Note ==
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* {{cita libro|autore1=A. Alberti|autore2=M. Giorgio|capitolo=Nuovi dati sulla produzione di ceramica a Pisa tra XI e XII secolo|curatore1=F. Cantini|curatore2=C. Rizzitelli|titolo=Una città operosa. Archeologia della produzione a Pisa tra Età romana e Medioevo|città=Firenze|pp=29-36|cid=Alberti - Giorgio 2018}}
 
* {{cita libro|autore=M. Giorgio|titolo=La ceramica nei periodi di transizione: produzione e circolazione di vasellame a Pisa e
nel contado tra Quattro e Seicento, Tesi di Dottorato di ricerca in Scienze Umanistiche, sez. Archeologia, Università di Pisa|anno=2016|cid=Giorgio 2016}}
 
* {{cita pubblicazione|autore=M. Giorgio|titolo=Dai bacini ai reperti da scavo: commercio di ceramica mediterranea nella Pisa bassomedievale|conferenza=Atti XLV Convegno Internazionale della Ceramica 2012|città=Albenga (SV)|anno=2013|pp=43-56|cid=Giorgio 2013}}
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* {{cita pubblicazione|autore1=M. Giorgio|autore2=I. Trombetta|titolo=Dall'ultima maiolica arcaica alle prime ingobbiate graffite: persistenze e trasformazioni nella produzione ceramica a Pisa e nel Valdarno Inferiore tra la fine del XV e gli inizi XVI secolo|conferenza=Atti XLIII Convegno Internazionale della Ceramica 2010|città=Albenga|anno=2011|pp=229-239|cid=Giorgio - Trombetta 2011}}
 
ALBERTI* - GIORGIO 2013 →{{cita libro|autore1=A. Alberti, |autore2=M. Giorgio, |titolo=Vasai e vasellame a Pisa tra Cinque e Seicento. La produzione di ceramica attraverso fonti scritte e archeologiche. (Con testi di: C. Capelli, G. Clemente, M. FebbranoFebbraro, A. Fornaciari, D. Staffini)Stiaffini. I edizione |anno=2013,|editore=Società Storica Pisana|città=Pisa.|cid=Alberti - Giorgio 2013|isbn=978-88-6019-718-4}}
 
ALBERTI* - STIAFFINI 1995 -{{cita pubblicazione|autore1=A. Alberti, |autore2=D. Stiaffini, |titolo=Una fornace di epoca moderna a Pisa: indagine archeologica e ricerca di archivio. Notizie preliminari, in “Atti|conferenza=Atti Convegno Internazionale della Ceramica”, Ceramica|numero=XXVIII, |anno=1995, |pp. =23-30.|cid=Alberti - Stiaffini 1995}}
 
* {{cita libro|autore=G. Berti|titolo=Pisa. Le ceramiche ingobbiate “Graffite a Stecca”. Secc. XV - XVII (Museo Nazionale di San Matteo)|città=Borgo San Lorenzo (FI)|editore=All'insegna del Giglio|anno=2005|cid=Berti 2005|isbn=88-7814-487-8}}
ANDREAZZOLI - BALDASSARRI - MIRANDOLA 2002 - F. Andreazzoli, M. Baldassarri, R. Mirandola, Pisa, canonica di Sant’Apollonia, in “Archeologia medievale”, XXIX, pp. 389-390. 2002.
 
* {{cita libro|autore1=G. Berti|autore2=C. Renzi Rizzo|titolo=Pisa. Le “Maioliche Arcaiche”. Secc. XIII – XV (Museo Nazionale di San Matteo), Appendice: “Nomina Vasorum”|editore=All’Insegna del Giglio|città=Firenze|anno=1997|isbn=88-7814-120-8|cid=Berti - Renzi Rizzo 1997}}
BERTI 1977 - G. Berti, Ritrovamenti a Pisa di ceramiche del secolo XVI fabbricate a Montelupo, in “Antichità pisane”, 8-2, pp. 8-12. 1977.
 
* {{cita pubblicazione|autore1=G. Berti|autore2=C. Renzi Rizzo|titolo=Pisa: produzione e commercio delle ceramiche del XV secolo (notizie preliminari)|conferenza=Atti Convegno Internazionale della Ceramica|numero=XXXIII|pp=127-148, 2000|cid=Berti - Renzi Rizzo 2000}}
BERTI 1992 - G. Berti, Le produzioni graffite in Toscana, fra XV e XVII secolo, in S. Gelichi (a cura di:) Alla fine della Graffita. Ceramiche e centri did produzione nell’Italia settentrionalene tra XVI e XVII secolo, Convegno - Argenta, 1992, Firenze (All’Insegna del Giglio), 1993, pp. 187 - 205.
 
* {{cita pubblicazione|autore1=G. Berti|autore2=L. Tongiorgi|titolo=Ceramica Pisana – Secoli XIII – XV. "Biblioteca di Antichità pisane"|volume=I|editore=Pacini Editore|città=Pisa|anno=1977|cid=Berti - Tongiorgi 1977a}}
BERTI 2005 - G. Berti, Pisa. Le ceramiche ingobbiate “Graffite a Stecca”. Secc. XV - XVII (Museo Nazionale di San Matteo), Borgo San Lorenzo (FI), 2005.
 
* {{cita pubblicazione|autore1=G. Berti|autore2=E. Tongiorgi|titolo=Aspetti della produzione pisana di ceramica ingobbiata|rivista=Archeologia Medievale|volume=IX|anno=1982|pp=141- 174|cid=Berti - Tongiorgi 1982}}
BERTI et al. 1991 - G. Berti - L. Cappelli - M. Cortelazzo - R. Francovich - S. Gelichi, S. Nepoti - G. Roncaglia, in “Rabat”, pp. 263-291, 1991.
 
* {{cita libro|autore=F. Bonaini|titolo=Statuti inediti della città di Pisa dal XII al XIV secolo|città=Firenze|anno=1854-1857|cid=Bonaini 1854-1857}}
BERTI - CAPPELLI -TONGIORGI 1986 - G. Berti, L. Cappelli, E. Tongiorgi, Considerazioni su produzioni di ceramiche ingobbiate e graffite di alcuni centri della Toscana nord - occidentale, in “Albisola”, XIX, 1986, pp. 155-166 (E.C., disegni a p. 165=Fig.2, a p. 166=Fig. 1).
 
* {{cita pubblicazione|autore=M. C. Busi|titolo=Contributo alla conoscenza della ceramica acroma pisana: i materiali della Torre della Fame a Pisa|rivista=Archeologia Medievale|numero=XI|anno=1984|pp=465 – 476|cid=Busi 1984}}
BERTI - RENZI RIZZO 1997 - G. Berti, Pisa. Le “maioliche arcaiche”. Secc. XIII - XV. (Museo Nazionale di San Matteo), Appendice di C. Renzi Rizzo “Nomina Vasorum”, Firenze, 1997.
 
* {{cita pubblicazione|autore=G. Casini|titolo=I bacini di S. Cecilia a Pisa|rivista=Faenza|numero=XXVI|pp=51-57|cid=Casini 1938}}
BERTI - RENZI RIZZO 1997 - G. Berti, C. Renzi Rizzo, Ceramiche e ceramisti nella realtà pisana del XIII secolo, in “Archeologia Medievale”, XXIV, pp. 495-524, 1997.
 
* {{cita libro|autore=B. Casini|titolo=Il catasto di Pisa del 1428-29|rivista=Pubblicazioni della Società Storica Pisana - Collana Storica|numero=2|città=Pisa|anno=1964|cid=Casini 1964}}
BERTI - RENZI RIZZO 2000 - G. Berti, C. Renzi Rizzo, Pisa: produzione e commercio delle ceramiche del XV secolo (notizie preliminari), in “Atti Convegno Internazionale della Ceramica”, XXXIII, pp. 127-148, 2000.
 
* {{cita libro|autore=B. Casini|titolo=Aspetti della vita economica e sociale dal Catasto del 1428-1429|città=Pisa|anno=1965|cid=Casini 1965}}
BERTI - TONGIORGI 1975b -G. Berti, L. Tongiorgi, Les céramiques décoratives sur les églises romanes de Corse, Cahiers Corsica 53-54, pp. 1-28, 1975.
 
* {{cita libro|autore=G. Cora|titolo=Storia della Maiolica di Firenze e del Contado. Secoli XIV-XV|città=Firenze|anno=1973|cid=Cora 1973}}
BERTI - TONGIORGI 1977a - G. Berti, L. Tongiorgi, Ceramica Pisana, secoli XIII - XV, Biblioteca di Antichità pisane, I, Pacini Editore, Pisa, 1977
 
* {{cita libro|autore1=A. Corretti|autore2=M.A. Vaggioli|capitolo=Pisa, via Sant’Apollonia: secoli di contatti mediterranei|curatore=Tangheroni M.|titolo=Pisa e il Mediterraneo: uomini, merci, idee dagli etruschi ai Medici|pp=57 - 63|anno=2003|cid=Corretti - Vaggioli 2003}}
BERTI - TONGIORGI 1982 - G. Berti, E. Tongiorgi, Aspetti della produzione pisana di ceramica ingobbiata, in “Archeologia Medievale”, IX, Firenze, pp. 141-174, 1982.
 
* {{cita libro|autore=F. Diaz|titolo=Il Granducato di Toscana. I Medici|città=Torino|anno=1976|cid=Diaz 1976}}
BONAINI 1854-1857 - F. Bonaini, Statuti inediti della città di Pisa dal XII al XIV secolo, Firenze, 1854-1857.
 
* {{cita pubblicazione|autore=M. Fanucci Lovitch, Artisti attivi a Pisa fra XIII e XVII secolo, (Biblioteca del “Bollettino Storico Pisano”, Strumenti, 1-2)|città=Pisa|editore=Pacini|anno=1991|cid=Fanucci Lovitch 1991}}
BUSI 1984 – M. C. Busi, Contributo alla conoscenza della ceramica acroma pisana: i materiali della Torre della Fame a Pisa, in «Archeologia Medievale», XI (1984), pp. 465 – 476.
 
{{cita libro|autore1=M. Fanucci Lovitch|autore2=E. Virgili|titolo=I vasai di Pisa ed i loro accordi corporativi del 1419 e del 1421, “Bollettino Storico Pisano”, LIII|città=Pisa|editore=Pacini|anno=1984|pp=291-300|cid=Fanucci Lovitch - Virgili 1984}}
CASINI 1938 - G. Casini, I bacini di Santa Cecilia a Pisa, Faenza, XXVI, pp. 51-57, 1938
 
* {{cita libro|autore=E. Fasano Guarini|capitolo=Pisa nel Cinquecento|titolo=Pisa: iconografia a stampa dal XV al XVIII secolo|città=Pisa|anno=1991|pp=17 - 25|cid=FASANO GUARINI 1991}}
CASINI 1955 - 1956 - B. Casini, Magistrature deliberanti del Comune di Pisa e Leggi di appendice agli Statuti, in “Bollettino Storico Pisano”, XXIV-XXV, terza serie, pp. 91-199, 1955 - 1956.
 
* {{cita libro|autore=G. Garzella|titolo=Pisa com’era: topografia e insediamente dall’impianto tardoantico alla città murata del secolo XII|città=Napoli|anno=1990|cid=Garzella 1990}}
CASINI 1964 - B. Casini, Il catasto di Pisa del 1428-29, Pubblicazioni della Società Storica Pisana - Collana Storica n. 2, Pisa, 1964.
 
CASINI 1964 - B. Casini, Aspetti della vita economica e sociale dal Catasto del 1428-1429, Pisa, 1965.
 
CORA 1973 - G. Cora, Storia della Maiolica di Firenze e del Contado. Secoli XIV-XV, Firenze, 1973.
 
CORRETTI - VAGGIOLI 2003 - A. Corretti, M.A. Vaggioli, Pisa, via Sant’Apollonia: secoli di contatti mediterranei, in Tangheroni M. (a cura di), Pisa e il Mediterraneo: uomini, merci, idee dagli etruschi ai Medici, pp. 57 - 63, 2003.
 
DIAZ 1976 - F. Diaz, Il Granducato di Toscana. I Medici, Torino, 1976.
 
FANUCCI LOVITCH 1991 - M. Fanucci Lovitch, Artisti attivi a Pisa fra XIII e XVII secolo, (Biblioteca del “Bollettino Storico Pisano”, Strumenti, 1-2), Pisa, 1991.
 
FANUCCI LOVITCH 1995 - M. Fanucci Lovitch, Artisti attivi a Pisa fra XIII e XVII secolo, II, Pisa, 1995.
 
FANUCCI LOVITCH - VIRGILI 1984 - M. Fanucci Lovitch, E. Virgili, I vasai di Pisa ed i loro accordi corporativi del 1419 e del 1421, “Bollettino Storico Pisano”, LIII, 1984, pp. 291-300.
 
FASANO GUARINI 1991 - E. Fasano Guarini, Pisa nel Cinquecento, in Pisa: iconografia a stampa dal XV al XVIII secolo, Pisa, pp. 17 - 25, 1991.
 
FRANCOVICH 1982 - R. Francovich, la ceramica Medievale a Siena e nella Toscana meridionale (secc. XIV - XV). Materiali per una tipologia, “Ricerche di Archeologia Altomedievale e Medievale”, 5-6, Firenze, All’Insegna del Giglio, 1982
 
GARZELLA 1990 - G. Garzella, Pisa com’era: topografia e insediamente dall’impianto tardoantico alla città murata del secolo XII, Napoli, 1990.
 
GELICHI 1990 - S. Gelichi, La ceramica tra produzione artistica e produzione artigianale: note per una storia sociale dei vasai del Medioevo, in Coloquio Hispano-Italiano de Arqueologia Medieval, Granada 1990, Granada (Publicaciones del Patronato de la Alhambra y Generalife), 1992, pp. 55-60.
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GIORGIO - TROMBETTA 2011 - M. Giorgio, I. Trombetta, Dall’ultima maiolica arcaica alla prime ingobbiate graffite: persistenze e trasformazioni nella produzione ceramica a Pisa e nel Valdarno Inferiore tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo, in “Atti del Convegno Internazionale della Ceramica”, XLIII, pp. 229-239, 2011.
 
KARWACKA CODINI 2010 - E. Karwacka Codini, (a cura di), Architettura a Pisa nel primo periodo mediceo, Roma, 2010.
 
LUZZATI 1974 - M. Luzzati, San Martino alla Pietra del Pesce e le pescherie o piazze del pesce a Pisa, in “Antichità pisane”, I, pp. 20-24.
 
LEENHARDT - MARCHESI - THIRIOT - VALLAURI 1993 - M. Leenhardt - H. Marchesi, J. Thiriot, L. Vallauri, Le bourg des potiers au XIIIe sìecle: un atelier “importe”, in Les temps des découverts. Marseille, de Protis à la reine Jeanne, Marseille (Musées de Marseille), 1993, pp. 37-49.
 
MARCHESI - THIRIOT - VALLAURI 1992 - H. Marchesi, J. Thiriot, L. Vallauri, The Quarter of the Ollières in Thirteenth Century Marseilles. A transfer of technology, in A Conference on Medieval Archaeology in Europe, Medieval Europe 1992 - Technology and Innovation, Pre-printed Papers, Volume 3, 1992, pp. 193-199.