Povertà: differenze tra le versioni

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{{nota disambigua}}
{{nota disambigua||Miseria (disambigua)|Miseria}}
[[File:Thomas kenningtonBenjamin orphansKennington 1885- Orphans.jpg|thumb|Ritratto sulla povertà di [[Thomas Benjamin Kennington]] ([[1885]]).]]
La '''povertà''' indica una condizione di scarsità materiale o spirituale, relativa a un ipotetico standard, opposta a una condizione ritenuta di [[ricchezza]] (o abbondanza).
 
LaAnche '''se il termine "povertà'''" può riguardare diverse accezioni, è piuttosto riferito all'aspetto economico-finanziario, che può definirsi come la condizione di [[Homo sapiens sapiens|singole persone]] o [[Società (sociologia)|collettività umane]] nel loro complesso, che si trovano ad avere, per ragioni di ordine [[Economia|economico]], un limitato (o del tutto mancante nel caso della condizione di [[miseria]]) accesso a [[Bene (economia)|beni]] essenziali e primari, ovvero a beni e [[Servizio|servizi]] sociali d'importanza vitale.
 
La condizione di povertà come viene intesa oggi, secondo alcuni autori<ref>{{Cita web|url=http://www.aadp.it/index.php?option=com_content&view=article&id=42:breve-discorso-sulla-povertmajid-rahnema&Itemid=64|titolo=Breve discorso sulla povertà (Majid Rahnema)|accesso=10 marzo 2020}}</ref> ha cominciato a delinearsi con l'avvento della civiltà urbana, in quanto le società primitive ad [[economia di sussistenza]] sono in grado di soddisfare i bisogni primari senza differenziazioni socio-economiche<ref>{{cita libro|autore=[[Marshall Sahlins]]|titolo=''L'economia dell'età della pietra. Scarsità e abbondanza nelle società primitive''|editore=Bompiani|città=Milano|anno=1980}}</ref> con un impiego di energia per la sopravvivenza adeguato alle loro necessità<ref>{{cita libro|autore=Piero Bevilacqua|titolo=''Demetra e Clio: uomini e ambiente nella storia''|editore=Donzelli|anno=2001|pp=4-5}}</ref>.
Il giudicare povere le società tribali deriverebbe dalla tendenza dell'attuale società capitalistica a valutare secondo i propri valori e criteri tutte le altre società anche se portatrici di valori diversi. La povertà quindi, come tale, è in connessione con il concetto di [[ricchezza]] per cui [[sociologia|sociologi]]<ref>{{cita libro|autore=[[Georg Simmel]]|titolo=''Il povero''|editore=Armando|città=Roma|anno=2001}}</ref> hanno sostenuto la tesi che è la stessa ricchezza nell'ambito dell'[[economia industriale]] a produrre la povertà.<ref name="ref_A">{{cita libro|autore=[[Majid Rahnema]]|titolo=''Quando la povertà diventa miseria''|editore=Eianudi|anno=2005|città=Torino|isbn=8806 17231X}}</ref>
[[File:Tasso di povertà.png|thumb|upright=1.6|Fonte: {{cita testo|url=https://data.oecd.org/inequality/poverty-rate.htm|titolo=OECD Data}}]]
 
== Terminologia ==
Secondo alcuni [[etimologia|etimologisti]] il termine nascerebbe dal latino ''pauper'' come la contrazione di ''pauca'' (poco), e ''pariens'' (che produce): "colui che produce poco"; per altri: "chi ha appena il necessario per vivere"<ref>{{Cita web|url=https://www.etimo.it/?term=povero|titolo=Etimologia : povero;|accesso=3 maggio 2025}}</ref>, per altri ancora: "chi scarseggia delle cose necessarie per una normale sussistenza".<ref>{{Treccani|poverta_(Sinonimi-e-Contrari)|povertà|v=x}}</ref>
La povertà diventa [[pauperismo]] quando riguarda [[massa (filosofia)|masse]] che non riescono più ad assicurarsi i minimi mezzi di sussistenza: è questo un fenomeno collegato a una particolare congiuntura economica che porta al di sotto del minimo di sussistenza una gran parte della [[popolazione]].<ref>Nella stessa [[etimologia]] della parola sembra avanzarsi un giudizio sulla condizione di povertà. Infatti secondo alcuni etimologisti il termine nascerebbe dal latino ''pauper'' come la contrazione di ''pauca'' (poco), e ''pariens'' (che produce). Il povero dunque è colui che produce poco e quindi inevitabilmente tale.</ref>
 
Il lemma viene considerato con accezione negativa, mentre gli vengono riconosciuti connotati positivi col significato di ''povertà volontaria'', quella cioè predicata da diverse religioni come distacco dai beni terreni (ad esempio il [[voto di povertà]]), da filosofie e anche da alcune teorie laiche [[egualitarismo|egualitarie]].
La povertà in linea generale tende a essere di grado più elevato nelle aree [[campagna|rurali]] che in quelle [[città|urbane]] dove si trovano maggiori opportunità e fonti di [[reddito]]: inoltre nelle zone rurali, la povertà si accompagna a un isolamento sociale maggiore di quello che la povertà di per sé determina. In genere però la povertà urbana può causare maggiori problemi rispetto a quella rurale: si vedano ad esempio i problemi [[salute|sanitari]] che caratterizzano le [[baraccopoli]] o gli ''slums'' nei [[Sud del mondo|paesi in via di sviluppo]].
La povertà diventa [[pauperismo]] o miseria o indigenza quando riguarda [[massa (filosofia)|masse]] che non riescono più ad assicurarsi i minimi mezzi di sussistenza: è questo un fenomeno collegato a una particolare congiuntura economica che portaporti al di sotto del minimo [[reddito]] di sussistenza una gran parte della [[popolazione]].<ref>Nella stessa [[etimologia]] della parola sembra avanzarsi un giudizio sulla condizione di povertà. Infatti secondo alcuni etimologisti il termine nascerebbe dal latino ''pauper'' come la contrazione di ''pauca'' (poco), e ''pariens'' (che produce). Il povero dunque è colui che produce poco e quindi inevitabilmente tale.</ref>
 
== Povertà e miseria ==
La durata della povertà è un elemento molto importante per quanto riguarda la posizione sociale delle persone, che non viene intaccata in casi di durata breve della situazione d'[[indigenza]].
[[File:1973 Delhi Slum.jpg|left|thumb|upright=1.6|Slum (Delhi, 1973)]]
 
<blockquote>Nelle popolazioni indigene non ci sono ricchi, e quindi non ci sono nemmeno poveri, perché i beni sono collettivi. Nella società dei Bianchi, al contrario, i beni sono ripartiti in modo tale che esistono necessariamente dei ricchi e dei poveri. Nelle popolazioni indigene l’economia di sussistenza produce quanto basta per vivere, Nelle società dei Bianchi non ci si accontenta di produrre ciò di cui si ha bisogno, si produce sempre di più per accumulare beni.
Le [[famiglia|famiglie]] povere sono di norma quelle più numerose, con un numero elevato di figli e di persone conviventi. La numerosità della famiglia assolve a un compito di assistenza per la [[Senilità|vecchiaia]] dei genitori. Una funzione analoga di assistenza e di mutuo soccorso viene svolta dalla cosiddetta [[famiglia allargata]].
Nelle popolazioni indigene si ha l’abitudine di aiutarsi l’un l’altro mentre nella società dei Bianchi vige la legge della concorrenza: i ricchi non sanno aiutare. Nelle popolazioni indigene il tempo libero è un momento comune: si crea e si gioca insieme. Nella società dei Bianchi il tempo libero è commercializzato: per divertirsi bisogna pagare altre persone.
Nelle popolazioni indigene il lavoro stesso può essere uno svago o uno scambio, mentre nella società dei Bianchi ogni cosa è isolata dalle altre. Dionito de Souza, del Consiglio Indigeno di [[Roraima]] (Brasile)<ref name="ref_A"/></blockquote>
 
Con l'avvento della prima [[Rivoluzione industriale]] la povertà in linea generale tendeva a essere di grado più elevato nelle aree [[campagna|rurali]] che in quelle [[città|urbane]] dove si trovavano maggiori opportunità e fonti di reddito: inoltre nelle zone rurali, la povertà si accompagnava a un isolamento sociale maggiore di quello che la povertà di per sé determina. In genere però la povertà urbana può causare maggiori problemi rispetto a quella rurale, specie in ambiti [[salute|sanitari]] che caratterizzano le [[baraccopoli]] o gli ''slums'' nei [[Sud del mondo|paesi in via di sviluppo]].<ref>{{Cita web |url=http://www.raiscuola.rai.it/articoli/la-rivoluzione-industriale-tra-progresso-e-povert%C3%A0/41567/default.aspx |titolo=Rai scuola.it |accesso=11 marzo 2020 |urlarchivio=https://web.archive.org/web/20200814113938/http://www.raiscuola.rai.it/articoli/la-rivoluzione-industriale-tra-progresso-e-povert%C3%A0/41567/default.aspx |urlmorto=sì }}</ref> In base a nuove e diverse ricerche della [[Banca Mondiale]] che ha analizzato i dati provenienti da 90 Paesi a basso e medio reddito oggi la soglia di povertà nelle aree urbane è il 30% più elevata di quella delle aree rurali<ref>{{cita libro|autore=A cura di J.Klugman|titolo=''A Sourcebook for Poverty Reduction Strategies''|città=Washington|anno=2004|editore=The World Bank|pp=123-159|lingua=en}}</ref>
Il [[lavoro minorile]] è una fonte di [[reddito]] spesso essenziale per le famiglie povere, ma frequentemente causa un difetto dell'[[istruzione]], determinando una sorta di circolo vizioso della povertà.
{{Vedi anche|Progetto:WikiDonne/Condizione economica femminile}}
La posizione della donna riguardo alla situazione di povertà è spesso svantaggiata rispetto a quella dell'uomo, in termini sia di [[cultura]] e partecipazione alla vita sociale sia di carichi di lavoro e, talvolta, di disponibilità di cibo e altri beni essenziali.<ref>''Rapporto sulla povertà e le disuguaglianze nel mondo globale'' a cura di Nicola Acocella, Giuseppe Ciccarone, Maurizio Franzini,Luciano Marcello Milone, Felice Roberto Pizzuti e Mario Tiberi. Edito a cura della ''Fondazione Premio Napoli'' (2004) p. 219</ref>
[[File:Povertà.jpg|thumb|Nomade mendicante in una via di Roma]]
[[File:Particolare povertà.jpg|thumb|Nel cartello esibito sono indicate le situazioni interconnesse alla condizione di povertà: malattia, abbandono, mancanza di cibo, di lavoro, della casa]]
 
Le [[famiglia|famiglie]] povere sono di norma quelle più numerose, con un numero elevato di figli e di persone conviventi. Lache numerositàtuttavia dellapossono famigliasostituire assolvei aservizi unpubblici compito diper l'assistenza per la [[Senilità|vecchiaia]] dei genitori anziani. Una funzione analoga di assistenza e di mutuo soccorso viene svolta dalla cosiddetta [[famiglia allargata]].
== Povertà e miseria ==
 
[[File:1973 Delhi Slum.jpg|left|thumb|upright=1.6|Slum (Delhi, 1973)]]
Il [[lavoro minorile]] è una fonte di [[reddito]] spesso essenziale per le famiglie povere, ma frequentemente causa un difetto dell'[[istruzione]], determinando una sorta di circolo vizioso della povertà.
{{citazione|Noi non ci occupiamo dei poverissimi. Questi sono inimmaginabili e li possono avvicinare solo gli esperti di [[statistica]] o i [[poesia|poeti]]. La nostra [[storia]] tratta della gente di buona [[famiglia]], o di coloro che sono obbligati a far finta di esserlo.<ref>[[Edward Morgan Forster]], ''Casa Howard'', traduzione di Enrico La Stella, G.T.E. Newton Compton editori, 1993, p.67</ref>}}
 
Il termine "povertà" può assumere molteplici significati ed essere impiegato con diverse accezioni.<br />
La posizione della donna riguardo alla situazione di povertà è spesso svantaggiata rispetto a quella dell'uomo, in termini sia di [[cultura]] e partecipazione alla vita sociale sia di carichi di lavoro e, talvolta, di disponibilità di cibo e altri beni essenziali.<ref>''Rapporto sulla povertà e le disuguaglianze nel mondo globale''{{cita apubblicazione|autore=A cura di Nicola Acocella, Giuseppe Ciccarone, [[Maurizio Franzini]], Luciano Marcello Milone, Felice Roberto Pizzuti e Mario Tiberi.|titolo=''Rapporto Editosulla apovertà curae dellale disuguaglianze nel mondo globale'' |editore=Fondazione Premio Napoli'' (|anno=2004) |p. =219}}</ref>
Quando la povertà assume connotazioni estreme di assenza di beni materiali primari si parla di '''miseria''', termine che assume oltre a quello economico e sociale, come quello di povertà, anche un valore immateriale indicante sia un'estrema infelicità sia una condizione spirituale di grettezza e meschinità morale.
 
Quando la povertà assume connotazioni estreme di assenza di beni materiali primari si parla di '''miseria''', termine che assumepuò assumere oltre a quello economico e sociale, come quello di povertà, anche un valoresignificato immateriale indicante sia un'estrema infelicità sia una condizione spirituale di grettezza e meschinità morale.<ref name="ref_A" />
 
Il più delle volte nei vari significati i due termini vengono comunemente indicati come equivalenti, essendo la differenza genericamente indicata in un'accentuazione delle caratteristiche negative della miseria rispetto a quelle della povertà.<ref>Per questo motivo in questa voce, che mira a delineare soprattutto l'aspetto [[storia|storico]] e [[società (sociologia)|sociale]] del tema in oggetto, più che quello specificatamente [[economia|economico]], non si farà una distinzione tra povertà e miseria trattandoli ambedue, sia pure arbitrariamente, ma per semplicità di esposizione, come termini genericamente equivalenti.</ref>
 
La [[soglia di povertà]] è un termineparametro di riferimento oggettivostatistico (che ha la valenza di criterio [[norma (diritto)|normativo]]) che caratterizzacerca di stabilire quantitativamente una determinata situazione di povertàd'indigenza, per cuila quale chi vive in condizioni tali da non raggiungere il minimo [[reddito di base]] per la sopravvivenza (che secondo la [[Banca Mondiale]] viene indicato nell'avere due [[dollaro|dollari]] per persona al giorno) può essere indicato in condizioni di povertà.<ref>Quasi mezzo miliardo di persone sonoè usciteuscito dalla povertà tra il 2005 e il 2010, una cifra storicamente mai raggiunta prima in un lasso di tempo così breve. Questo fenomeno si è verificato per «"la forte crescita nei paesi in via di sviluppo dall'inizio del nuovo Millennio»". Lo afferma un rapporto pubblicato da {{collegamentocita interrottotesto|1url=[http://www.medeu.it/notizia.php?tid=1823 |titolo=Laurence Chandy e Geoffrey Getz del Brookings Institute] |datepostscript=aprile 2018 nessuno|boturlarchivio=InternetArchiveBothttps://web.archive.org/web/20131218124508/http://www.medeu.it/notizia.php?tid=1823 }}, istituto indipendente di ricerca con base a Washington D.C. I due ricercatori giungono a questa conclusione grazie a un aggiornamento delle stime sulla povertà globale. La loro ricerca li porta anche a concludere che l'obbiettivo del Millennio definito dall'OnuONU di dimezzare il numero di poveri entro il 2015 è stato raggiunto nel 2007. Di conseguenza, affermano i due autori, entro il 2015 il numero dei poveri sarà stato dimezzato ancora una volta, per raggiungere il 10% della popolazione mondiale, ovvero 600 milioni di persone che vivono con meno di 1,25 dollari al giorno.</ref> Non esistono invece indicatori certi dello stato di miseria, che del resto ha un aspetto molto più evidente dello stato di povertà, che può (entro certi limiti) essere mascherato<ref>Significativa l'espressione usata per indicare nel [[Medioevo]] quei benestanti che a causa di specifici problemi decadevano dal loro status sociale divenendo "''pauper verecundus''" (povero vergognoso).</ref> come quando si parla ad esempio di "una dignitosa povertà" mentre una "dignitosa miseria" è un'espressione improponibile.
 
== Povertà ed emarginazione ==
{{citazione|La vita è una cella un po' fuori dell'ordinario, più uno è povero più si restringono i metri quadrati a sua disposizione.<ref>|[[Vasco Pratolini]], ''Cronache di poveri amanti'', Vallecchi editore</ref>}}
La povertà costituisce la principale causa, ma non l'unica, di [[esclusione sociale]] o [[emarginazione]]: la peculiarità è che l'estromissione dall'accesso a beni e servizi essenziali deriva (quasi sempre "''de facto"'', in rari casi anche "''de iure"'') dalla scarsità di mezzi economici.
 
Ciò vale a distinguerla da altre situazioni in cui la privazione ha origini diverse, come ad esempio i casi di [[discriminazione]] su base [[etnia|etnica]], [[religione|religiosa]], [[sesso (biologia)|sessuale]] (pur esistendo situazioni in cui tali condizioni si sovrappongono e aggravano fra loro). Si parla di povertà anche in termini "relativi", cioè in riferimento a situazioni di rilevante disparità di [[reddito]] e [[potere d'acquisto]] fra singoli e gruppi sociali nella stessa comunità [[nazione|nazionale]] o locale.
 
== StoriaPanorama sinteticastorico della povertà nel mondo occidentale ==
La storia della povertà coincide evidentemente con quella dell'umanità. Uomini dalle condizioni disagiate rispetto ad altri in una situazione sociale per vari motivi più favorevole, sono stati presenti in tutte le società organizzate. È evidente che il concetto di povertà è un concetto relativo nel senso che in una ipotetica società di poveri il meno povero assume la dignità di ricco. La povertà quindi come tale è in connessione con il concetto di [[ricchezza]] per cui ad esempio [[sociologia|sociologi]] [[secolo XIX|ottocenteschi]] hanno sostenuto la tesi che è la stessa ricchezza nell'ambito dell'[[economia industriale]] a produrre la povertà.
 
=== La povertà nel mondo antico romano ===
{{vedi anche|Povertà nell'antica Roma|Panem et circenses|Lex frumentaria}}
[[File:Belisarius by Francois-Andre Vincent.jpg|thumb|[[Belisario (generale bizantino)|Belisario]], cieco e mendicante, riceve l'elemosina da uno dei suoi soldati.<ref>Secondo una leggenda sviluppatasi nel Medioevo, [[Giustiniano]] avrebbe ordinato di accecare Belisario riducendolo a un mendicante, condannato a chiedere l'[[elemosina]] ai viandanti presso [[Porta Pinciana]] a [[Roma]]. A testimoniarlo sarebbe esistita una pietra graffita sulla quale era inciso :«''Date obolum Belisario''».</ref>]]
 
La situazione dei poveri nel mondo antico [[roma]]no divenne particolarmente grave in coincidenza con la crisi dell'[[Impero romano|Impero]]. Fino ad allora le stesse [[Classe (sociale)|classi sociali]] più ricche avevano provveduto ad attenuare le condizioni dei poveri allo scopo di evitare sommovimenti sociali: periodiche elargizioni di beni, soprattutto alimentari, riuscivano così a conservare l'ordine sociale.
 
Già in epoca [[Repubblica Romana|repubblicana]] la [[plebe]] era riuscita a ottenere la difesa dei lorosuoi diritti mediante la creazione di un'apposita [[magistratura (storia romana)|magistratura]] a lorolei riservata, quella dei [[tribuno della plebe|tribuni della plebe]] che avrebbe dovuto proteggere coloro che come unica fonte di [[reddito]] avevano la loro prole, i [[proletario|proletari]].<br />
Nell'età imperiale gli elementi più disagiati della popolazione, assumendo il ruolo di ''clientes'', sostenitori di una casata [[aristocrazia|gentilizia]], riuscivano ad avere i beni essenziali per la sopravvivenza in cambio del loro appoggio politico.
 
Le classi elevate consideravano con un certo disprezzo queste torme di poveri che con le loro ''sportulae'' (ceste) si presentavano periodicamente a ricevere quanto pretendevano. Si trattava di un ceto cittadino [[parassita]]rio che il sistema economico romano basato sulla produzione [[schiavi]]stica permetteva di sostenere. Quando però Roma, per la stessa estensione dei confini imperiali, sarà costretta a rinunciare alle guerre di conquista ed espansione e quindi ad acquisire nuovi schiavi, allora comincerà a emergere il problema della povertà e dei rimedi da mettere in atto per la sua soluzione.
 
Nell'età di [[Diocleziano]] il regime [[fisco|fiscale]] colpì pesantemente le campagne, in modo particolare i coloni che cominciarono ad abbandonarle per fuggire dall'oppressione delle tasse. Il mondo contadino comincia a essere afflitto pesantemente da miseria e malattie. "Il lamento inusitato " ([[Gregorio di Nissa]], ''Sermo de pauperibus amandis'', II) di bande di poveri si ode nelle campagne abbandonate, negli ''agri deserti''. La miseria coesiste spesso con le [[malattia|malattie]], in particolare la [[lebbra]] considerata una conseguenza di colpe morali. La guarigione comporterà quindi l'intervento del ''santo'' che liberi dai demoni della malattia l'ammalato e li ricacci nei loro ''covi''.<ref>in{{cita libro|autore=A. H. M. Jones, |titolo=''Il Tardo Impero Romano'', trad.itvol. III|editore=Il Saggiatore, |città=Milano,|anno=1974, vol.III, "Agri deserti", |pp.&nbsp;1256–58.=1256-1258}}</ref>
 
L'oppressione fiscale fu la causa del [[brigantaggio]] di contadini poveri e di rivolte, come quelle delle ''Bagaudae'' in [[Gallia]] e [[Spagna]], per ribellarsi allo [[Stato]] e alla [[Chiesa cattolica]] che li perseguitava per la loro adesione all'[[donatismo|eresia donatista]].
 
In questo periodo nasce la figura del ''patronus'' , un capo militare che in cambio del sostentamento dato ai soldati protegge i villaggi contadini dall'esattore delle tasse.
 
==== Il vescovo, buon ''patronus'' ====
{{vedi anche|Quarta pauperum}}
[[File:AmbroseOfMilan.jpg|thumb|left|Sant'Ambrogio, mosaico nella [[Basilica di Sant'Ambrogio|chiesa di Sant'Ambrogio]], Milano]]
La figura del ''patronus'' si estende dalla campagna alle città dove viene impersonata dal [[vescovo]] che proteggeva i contadini poveri che in occasione di carestie affluivano nelle città a mendicare il pane.
A [[Milano]], adper esempio, è [[Sant'Ambrogio|Ambrogio]] che difende i poveri della città che gli aristocratici vorrebbero espellere: «''

<blockquote>[...] se tanti coltivatori sono ridotti alla fame e tanti coloni muoiono, il nostro approvvigionamento di grano sarà gravemente rovinato: noi vogliamo escludere proprio coloro che normalmente ci forniscono il nostro pane quotidiano''». (''De Officiis Ministrorum'', III).</blockquote>
 
Ambrogio rappresenta il buon ''patronus'' difensore dei ''pauperes Christi'' ai quali egli stesso devolse gran parte del proprio patrimonio imitato da molti nobili di famiglia senatoria, convertitisi al [[Cristianesimo]].
 
Questa [[carità]] degli uomini di Chiesa, come ha osservato A. Giardina, indeboliva il potere delle classi dominanti che riempivano le ''sportulae'' dei ''clientes'':
 
Questa [[carità]] degli uomini di Chiesa, come ha osservato A.Giardina, indeboliva il potere delle classi dominanti che riempivano le sportulae dei clientes: «''<blockquote>Il dono pagano era destinato alla città, al popolo inteso come insieme dei cittadini, i donatori cristiani indirizzavano invece la loro carità ai poveri, intesi come categoria sociale e morale, non civica''». (A. Giardina, ''Melania la santa, in Roma al femminile'', a cura di A. Fraschetti, Laterza, 1994, p.&nbsp; 249.)</blockquote>
 
Nel ''[[De Nabuthae historia]]'', Ambrogio sostiene che è vero che la ricchezza in sé può essere causa di perdizione, ma il ricco può guadagnarsi la pietà di Dio:
Ambrogio rappresenta il buon patronus difensore dei ''pauperes Christi'' ai quali egli stesso devolse gran parte del proprio patrimonio imitato da molti nobili di famiglia senatoria, convertitisi al [[Cristianesimo]].
 
Nel<blockquote> ''[[De Nabuthae historia...]]'', Ambrogio sostiene che è vero che la ricchezza in sé può essere causa di perdizione, ma il ricco può guadagnarsi la pietà di Dio: «''tu dici: demolirò i miei granai; il Signore ti risponde: cerca piuttosto che quanto è contenuto nel granaio è destinato ai poveri, fa in modo che codesti tuoi magazzini riescano utili agli indigenti. Ma tu insisti: ne farò di più grandi e lì raccoglierò tutto quello che i campi hanno prodotto per me. E il Signore risponde: spezza il pane che è tuo all'affamato. Tu dici: porterò via ai poveri la loro casa. Il Signore invece ti chiede: conduci a casa tua i poveri che non hanno un tetto" (X,44).''»</blockquote>
Questa [[carità]] degli uomini di Chiesa, come ha osservato A.Giardina, indeboliva il potere delle classi dominanti che riempivano le sportulae dei clientes: «''Il dono pagano era destinato alla città, al popolo inteso come insieme dei cittadini, i donatori cristiani indirizzavano invece la loro carità ai poveri, intesi come categoria sociale e morale, non civica''» (A.Giardina, ''Melania la santa, in Roma al femminile'', a cura di A.Fraschetti, Laterza,1994, p.&nbsp;249.)
 
Ambrogio rifiuta la convinzione generalizzata del suo tempo che vedeva nel povero un maledetto dalla divinità. I poveri vanno distinti in meritevoli e non meritevoli:
Nel ''[[De Nabuthae historia]]'', Ambrogio sostiene che è vero che la ricchezza in sé può essere causa di perdizione, ma il ricco può guadagnarsi la pietà di Dio: «''tu dici: demolirò i miei granai; il Signore ti risponde: cerca piuttosto che quanto è contenuto nel granaio è destinato ai poveri, fa in modo che codesti tuoi magazzini riescano utili agli indigenti. Ma tu insisti: ne farò di più grandi e lì raccoglierò tutto quello che i campi hanno prodotto per me. E il Signore risponde: spezza il pane che è tuo all'affamato. Tu dici: porterò via ai poveri la loro casa. Il Signore invece ti chiede: conduci a casa tua i poveri che non hanno un tetto"(X,44).''»
 
Ambrogio<blockquote> rifiuta la convinzione generalizzata del suo tempo che vedeva nel povero un maledetto dalla divinità[...] I poveri vanno distinti in meritevoli e non meritevoli: «ma forse dirai anche tu quello che avete l'abitudine di dire in queste occasioni: ''non"Non abbiamo diritto di fare regali a colui che Dio ha tanto maledetto da volere che vivesse in miseria''" invece, non è vero che i poveri sono maledetti; al contrario è detto beati i poveri perché‚ di essi è il regno dei cieli. Non a proposito del povero ma a proposito del ricco la Scrittura dice che '"Chi accaparra il grano per alzarne il prezzo verrà maledetto'". E poi non stare a indagare i meriti delle singole persone. La misericordia è abituata a non giudicare il merito della gente, ma a venire incontro alle necessità altrui; ad aiutare il povero, non a soppesare la pura giustizia. Sta scritto '"Felice colui che pensa al bisognoso e al povero'"; chi ne ha compassione, chi si sente partecipe della medesima natura con lui, chi comprende che il ricco e il povero sono ugualmente creature del Signore, chi sa di santificare i propri raccolti, se ne riserva una porzione per i poveri. Insomma dato che hai per fare del bene, non rimandare dicendo: 'darò"Darò domani'": potresti anche perdere la possibilità di donare. È pericolosa qualsiasi dilazione nel salvare gli altri; può accadere che, mentre tu continui a rinviare, quello muoia. Preoccupati piuttosto di arrivare prima che muoia; può accadere infatti che quando arriva il domani, l'avarizia ti trattenga e le promesse siano annullate''». (De Nab., VIII, 40).</blockquote>
 
=== La povertà nel Medioevo ===
Nel [[Medioevo]] il [[patrimonio]] della [[Chiesa cattolica|Chiesa]], enormemente accresciuto per le donazioni dei re [[franchi]], era espressamente definito come proprietà dei poveri che si doveva amministrare con la cura del ''pater familias'', imponendo a tutti di non pesare su di essolui qualora non ci fossero stati i requisiti della povertà, e difendendolo anche con minacce di sanzioni come la [[scomunica]]. Solo chi non poteva sostenersi con il proprio lavoro aveva il diritto di ricorrere alle proprietà ecclesiastiche. Anche il [[clero]] si doveva sostenere con il proprio lavoro: «"Il chierico provveda al vitto e al vestito con un lavoro artigianale o contadino...anche il chierico erudito nella Parola di Dio»" (IV [[concilio]] di [[Cartagine]] del [[398]]). Chi attenta al patrimonio dei poveri è da considerarsi ''necator pauperum'', assassino dei poveri come affermano molti concili della [[Gallia]] nei [[secolo VI|secoli VI]]-[[secolo XI|XI]] che stabiliscono anche che nessuno, neppure i [[vescovo|vescovi]] possono alienare né vendere nessun bene che sia stato dato alla Chiesa perché con questi beni vivono i poveri (canone IV del concilio di Adge dell'anno [[506]]), altrimenti saranno considerati anch'essi ''necatores pauperum'' e subiranno la [[scomunica]].
 
==== Povertà e malattia ====
[[File:Leper-bell.gif|thumb|Lebbroso, ''pauper cum Lazaro'', che suona la campana per avvertire della sua presenza (pagina di un manoscritto del XIV secolo)]]
Nel [[XII secolo]] la condizione di povero incomincia a essere distinta tra coloro che avessero scelto la povertà come un mezzo per arrivare a Dio, i ''pauperes cum Petro'', com'erano i [[frate|frati]] mendicanti di [[San Francesco]], e quelli che erano poveri per necessità: i ''pauperes cum Lazaro'', dei quali si dovevano occupare la Chiesa e i buoni cristiani. I [[teologia|teologi]] discutono inoltre se si dovessero beneficiare solo i veri poveri escludendo i falsi poveri o tutti indistintamente. Sostenevano gli studiosi di teologia che se il povero riceveva l{{'}}''hospitalitas'', in questo caso non si facevano distinzioni, poiché questa era una sorta di assistenza sociale per tutti i bisognosi, se invece il povero era oggetto della ''liberalitas'', quindi della beneficenza, in questo caso bisognava operare una distinzione tra i veri e i falsi poveri.
 
Un segno per identificare il vero povero dal falso è la [[malattia]]: al concetto di ''pauper'' si associa quello di ''infirmus'' e il termine di ''pauper infirmus'' indica il povero che a causa delle gravi carenze alimentari è affetto da malattie come la [[peste]], il [[vaiolo]] e la [[lebbra]]. (<ref>V. Paglia, oppp. cit., pp.&nbsp;191–192)191-192.</ref> Il povero quindi coincide con il malato che deve essere accolto e aiutato.
[[File:Spanzotti SanDomenico TO.jpg|left|thumb|[[San Domenico di Guzman]] fa la carità ai "buoni poveri" ([[Torino]], [[Chiesa di sanSan Domenico (Torino)|Chiesa di San Domenico]])]]
La distinzione tra la condizione di povero e malato incomincia a definirsi nel periodo che va dal [[XIII secolo|XIII]] al [[XIV secolo]], quando la diffusione della lebbra divenne endemica in coincidenza con l'aumento della popolazione e degli scambi [[commercio|commerciali]] e con il fenomeno delle [[crociata|crociate]] che avevano messo l'occidente in stretto contatto con il vicino Oriente, la terra del ''morbus phoenicius'' (malattia fenicia), la [[lebbra]] .<ref>{{cita libro|autore=A cura di J. Allen Grieco-L. Sandri|titolo=''Ospedali e città. L'Italia del centro Nord, XII-XVI secolo'', a cura di J. Allen Grieco, L. Sandri, |città=Firenze |anno=1997.}}</ref>
 
Incominciano a diffondersi i lebbrosari che raccolgono colorole destinatipersone destinate alla morte fisica e a quella civile. Ubicati nei sobborghi o fuori dalle città i lebbrosari incominciano a diventare luoghi di separazione tra i sani e i malati: che la Chiesa considerava nel duplice aspetto della conseguenza del [[peccato originale]]: il peccatore che soffre nella carne e la figura del Cristo che con la sofferenza redime. Il lebbroso era quindi il maledetto ma anche l'amato da Dio.<ref>{{cita (in libro|autore=J. C.Schmitt, Schmitt|titolo=''La storia dei marginali'', in |editore=La nuova storia, a|altri=A cura di J.[[Jacques Le Goff, ]]|città=Milano |anno=2002, |p.&nbsp;=271). }}</ref>
Il lebbrosario viene organizzato quindi come un [[monastero]] (''hospitale purgatorii'') spesso intitolato a San Lazzaro: [[Lazzaro di Betania|quello]] che Gesù aveva resuscitato, come raccontava l'[[Giovanni evangelista|evangelista Giovanni]], o il [[Lazzaro (mendicante)|il Lazzaro]] di cui i cani leccano le piaghe, com'è detto nel [[Luca evangelista|vangelo di San Luca]] (in F. Bèriac, ''La paura della lebbra, in Per una storia delle malattie'', op. cit., Bari 1986, p.&nbsp;173)
 
==== Povertà e ribellione ====
[[File:Joachim of Flora.jpg|upright=0.7|thumb|Gioacchino da Fiore]]
Nel [[Medioevo]] quindi i poveri sono riconosciuti come tali e sono integrati nella società medioevale che dibatte sull'elemosina e sull'assistenza dei poveri, sul valore morale e religioso della povertà che troverà il suo massimo rappresentante in [[San Francesco d'Assisi]], ([[1181]]/[[1182]] - 3 ottobre [[1226]]), ''pauper cum Petro'', ''il poverello'' di Dio, fondatore dell'[[Ordini mendicanti|Ordine mendicante]]. La concezione della povertà diventa con lui non solo imitazione della vita di Cristo ma viene interpretata, specialmente dopo la sua morte, anche come denuncia della condotta morale della Chiesa e del suo [[potere temporale]]. Solo quattro anni dopo la sua morte infatti il [[papa Gregorio IX]], con la [[Bolla pontificia|bolla]] ''[[Quo elongati]]'', si preoccupava di rendere noto che il [[Testamento (San Francesco)|''Testamento'' del santo d'[[Assisi]] non avesse un valore vincolante per i suoi successori. La divisione in [[Francescani spirituali|Spirituali]], che seguono il precetto dell'assoluta povertà, e dei [[Conventuali]] più vicini al carattere temporale della Chiesa, è un segno di una crisi sociale dove le differenze tra ricchi e poveri si sono accentuate e ormai la ricchezza ha perso quasi del tutto il carattere [[provvidenza|provvidenziale]] di aiuto e sostegno della povertà com'era al tempo di Sant'Ambrogio.
 
L'unica via per la perfezione morale ora è diventata quella indicata dal [[Gioacchino da Fiore|gioachimismo]] contro la ''ecclesia carnalis'' ''meretrix magna'' (chiesa carnale, grande prostituta). La disputa teologica sulla povertà diviene motivo di scontro politico tra le pretese [[teocrazia|teocratiche]] dei papi, sostenuti dalle nuove aspirazioni all'autonomia dei nascenti [[stato assoluto|stati nazionali]] e l'aspirazione all'impero universale, alla ''res publica cristiana'' (stato cristiano) degli imperatori medievali miranti a un potere unificato temporale e spirituale. Per i [[Gioacchino da Fiore|gioachimiti]] e i [[Fra' Dolcino|dolciniani]] l'ideale della perfetta povertà diventa invece messaggio di ribellione [[anarchia|anarchica]] contro ogni forma di potere dei ricchi, siano essi nella Chiesa o presso l'imperatore, in nome di una trasformazione radicale di una società afflitta dalla miseria materiale e spirituale. Come ribelli essi saranno duramente colpiti sia dal potere spirituale sia da quello temporale che divengono alleati quando si sentono minacciati.
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Ad aumentare le ansie dei cittadini si aggiungeva poi lo sbandamento dei soldati [[mercenario|mercenari]] che ora, con la creazione dell'esercito permanente negli [[stato assoluto|stati assoluti]], non trovano più chi li assoldasse generando, in misura prima sconosciuta, masse disperse di poveri e vagabondi, banditi e rivoltosi.
 
Le [[istituzione|istituzioni]] cittadine cominciano allora a distinguere tra la povertà "vera" da quella "falsa" comprendendo nella prima i malati, coloro che non potevano più mantenersi per motivi fisici, i ragazzi e i bambini abbandonati dalle famiglie, i vecchi che non potevano più lavorare ma che avevano lavorato in passato. Vi erano poi i poveri organizzati in "compagnie" come quelle dei ciechi e degli storpi riconosciute dall'assistenza pubblica. A questi si aggiungeva la moltitudine dei poveri occasionali che ricevevano l'[[elemosina]] saltuariamente, costituita da lavoratori che attraversavano periodi di povertà dovute soprattutto ai debiti che non riuscivano a saldare.
[[File:Elemosiniera.jpg|thumb|Elemosiniera in [[Roma]]]]
Tra questa massa di marginali una figura che emerge è quella del mendicante. Le città cominciano a riempirsi di schiere di assillanti cenciosi che ispirano paura e ripugnanza. I mendicanti non avevano nessun tipo di potere, non pagavano le [[fisco|tasse]], erano esclusi dalle [[corporazione|corporazioni]] e dalle [[confraternita (Chiesa cattolica)|confraternite]]. Le istituzioni nel XVI secolo cominciarono a emanare leggi che colpivano i falsi mendicanti includendo in questa categoria i [[vagabondo|vagabondi]].
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Nel XVI secolo si va infatti affermando l'identificazione del mendicante con la ''familia diaboli'' in contrapposizione con i poveri di Dio. Si diffondono libri che trattano di una mendicità organizzata in corporazioni illegali più o meno segrete e delle loro tecniche di accattonaggio che venivano usate per ingannare il prossimo. «''Nel [[1528]], nella prefazione del ''Liber vagatorum'', manoscritto circolante già alla fine del [[XV secolo]] ma stampato agli inizi del [[secolo XVI|XVI]], [[Martin Lutero]] rappresentava i [[vagabondo|vagabondi]] come coloro che agivano in combutta con il [[diavolo]], anzi era lo stesso diavolo che si serviva di loro per impedire che le [[elemosina|elemosine]] finissero nelle mani dei veri mendicanti. Ma è nell'opera di Teseo Pini, lo "Speculum cerretanorum" scritto tra il [[1484]] e il [[1486]] e rielaborato successivamente da Giacinto Nobili sotto lo pseudonimo di "Rafaele Frianoro" con il titolo "I vagabondi", che viene analizzata la mendicità assieme ai complicati metodi di fraudolenza: accanto alla rappresentazione dei diversi mascheramenti viene riprodotto il [[linguaggio]] segreto usato dai vagabondi e mendicanti per comunicare tra di loro''» (''Il libro dei vagabondi'', a cura di P. Camporesi, Torino 1973)
 
A questo malessere sociale la Chiesa cattolica cerca di rispondere con la creazione di numerose organizzazioni caritative e assistenziali schierando in prima fila la generosità altruistica dei grandi santi del Cinquecento.
[[File:800px-Pellegrinaio Santa Maria della Scala bisn2.jpg|thumb|upright=1.4|''Distribuzione delle elemosine'', [[Sala del Pellegrinaio]] all'[[Ospedale di Santa Maria della Scala]] in [[Siena]]]]
 
Diversamente reagirono le autorità cittadine e statali che con metodi repressivi cercano di eliminare la presenza dei poveri nelle [[città]], eliminando la possibilità del loro continuo vagabondare e incanalando in forme controllabili quelle [[massa (filosofia)|masse]] di accattoni che potevano divenire un serio pericolo di rivolte ogniqualvolta vi fosse una [[carestia]] o un aumento dei prezzi dei beni alimentari. Dalla [[carità]] medioevale ormai nel Cinquecento si è persa ogni traccia: gli [[ospedale|ospedali]] aperti senza troppe distinzioni ai malati e ai miserabili diventano istituti d'internamento coattivo e, quando questo non basta, i poveri vengono a forza arruolati negli eserciti o divengono rematori nelle [[galea|galere]].
 
La repressione è ancora più evidente nelle zone [[calvinismo|calviniste]] e [[luteranesimo|luterane]] dell'Europa settentrionale dove l'etica del lavoro rendeva difficile la tolleranza e la giustificazione della povertà considerata una colpa morale: i poveri vengono giudicati severamente come esseri antisociali e parassiti, sebbene [[Giovanni Calvino|Calvino]] avesse stabilito a [[Ginevra]] come fosse compito precipuo assegnato ai [[diacono|diaconi]] l'assistenza dei poveri e dei malati.
 
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[[File:Physician in hospital sickroom printed 1682.jpg|left|thumb|Un ospedale del Seicento]]
 
Continua nel [[secolo XVII|Seicento]] la configurazione dell'ospedale non come istituzione di cura per i malati ma struttura per l'isolamento e l'internamento. Già in [[Inghilterra]] nel [[1576]] una legge di [[Elisabetta I d'Inghilterra|Elisabetta I]] istituiva degli stabilimenti, le "Houses of correction", che miravano alla ''"punizione dei vagabondi e al sollievo dei poveri"'' istituite come case di lavoro (workhouse) come mezzo per la repressione della mendicità. Sull'esempio inglese fece altrettanto la [[Svizzera]] che nel [[1631]] a [[Berna]] (nel [[1637]] a [[Zurigo]]) aprì come nuovo reparto dell'ospedale generale una casa di correzione e per il [[lavoro forzato]]. Così anche in [[Francia]] tipico è il caso dell'"Hospital General" di [[Parigi]] fondato nel [[1656]] che [[Michel Foucault]] definisce ''il terzo stato della repressione'' (cfr. M. Foucault, ''Sorvegliare e punire'', 1976).<ref>''... malgrado ogni sorta di resistenze, in nessuna delle case dell'Ospedale ci sono dei poveri che non siano occupati, ad eccezione dei malati gravi o di quelli completamente invalidi. Vengono costretti a lavorare persino vecchi, storpi o paralitici, e da quando è stato introdotto questo lavoro diffuso, c'è più disciplina, più ordine e più devozione fra i poveri.'' (in Ch. Paultre, ''De la répression de la mendicité et du vagabondage en France sous l'Ancien régime'', Paris 1906, p. 138.)</ref>
 
Questi istituti diffusi in Europa tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento volevano associare l'assistenza ai poveri e insieme la funzione di rieducazione al lavoro per conseguire un rinnovamento morale e una redditività economica, considerata base di una ipotetica integrazione sociale dei mendicanti, da raggiungere con la privazione della libertà e una rigida disciplina che prevedeva sanzioni e punizioni corporali per i trasgressori. L'importanza attribuita all'osservanza delle regole, diligenza, produttività lavorativa, rispetto degli orari, pulizia ecc. era vista come uno strumento di disciplinamento sociale valido anche per la società al di fuori degli istituti.
L'ospedale è divenuto luogo di repressione per il povero "cattivo", il ribelle alle regoli sociali, ma anche di beneficenza per il povero "buono" sottomesso all'ordine sociale. La classe dirigente, di fronte all'aggravarsi del fenomeno del [[pauperismo]], tende a porre in atto una politica assistenziale "di contenimento della povertà", che pone sempre più l'accento sulla classificazione dei poveri in "meritevoli" (e tra questi i poveri "vergognosi" sono considerati una categoria privilegiata) e "non meritevoli" (in primo luogo mendicanti e vagabondi).
 
Una politica di vera e propria segregazione dei poveri, avviata già alla fine del [[XVI secolo]], si affermerà quindi soprattutto nel [[XVII secolo]], e a un punto tale che il Seicento sarà appunto definito il secolo della "grande reclusione". Il povero "cattivo" <ref>''Molti poveri si affezionarono al lavoro e si può dire che tutti ne fossero capaci, ma le loro abitudini all'ozio e alla malvagità spesso prendevano il sopravvento sulle loro promesse e assicurazioni, come anche sugli sforzi dei direttori e del personale dell'ospedale'' (in Ch. Paultre, op.cit. pag.189)</ref> è colui che rifiuta il lavoro come mezzo di espiazione, per guadagnarsi la [[Grazia (teologia)|grazia]] divina, e strumento dato da Dio per riscattarsi dal [[peccato originale]]: chi non lavora quindi è colui che si ribella e rifiuta Dio.<br />
L'inutilità sociale del povero determina la sua condanna ed esclusione dalla società dei buoni. Al di fuori di ogni controllo della [[legge]] comune l'ospedale diviene una casa di correzione, molto simile a un [[Prigione|carcere]], dove relegare i marginali. La carità si è laicizzata come dovere di stato sanzionato da leggi e la povertà è considerata una colpa contro l'ordine pubblico.
 
=== La povertà nel XVIII secolo ===
Questa [[politica]] d'internamento [[sistema]]tico diffusa tra gli stati europei appare nel Settecento inumana e dannosa sul piano sanitario. Viene finalmente contestata dai filosofi [[Illuminismo|illuministi]] e abbandonata. Ci si avvicina alla concezione attuale della povertà considerata come una disfunzione della [[società (sociologia)|società]]. Il fattore [[economia|economico]] viene identificato come causa principale della povertà anche se quello morale non è del tutto messo da parte.
Si propone come soluzione dell'indigenza l'applicazione del principio della ''ridistribuzione della [[ricchezza]]'': siamo però ancora lontani da una concezione dello [[Welfare state|stato assistenziale]] poiché l'intervento [[laicità|laico]] delle strutture [[stato|statali]] è indirizzato non a tutta la popolazione ma solo a certe categorie come le vedove, gli orfani...i poveri "buoni" e "meritevoli".
 
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[[File:Pfeilhammer.JPG|upright=1.6|thumb|Il nuovo paesaggio industriale]]
Ma già qualcosa era cambiata nella politica sociale: repressione e carità cominciarono a essere distinte: fu abolito il lavoro forzato nelle manifatture ospedaliere e furono istituiti i ''depots de mendicité'' (depositi di mendicità) dove erano internati i vagabondi e i mendicanti mentre negli ospedali generali venivano ricoverati i poveri di ogni genere. Nei dépôts ai mendicanti era offerto un ricovero provvisorio in attesa che li reclamasse la [[famiglia]] o un qualche [[datore di lavoro]]. Più a lungo erano trattenuti solo i vagabondi e i mendicanti di professione il cui accattonaggio era considerato un reato.<ref>Chi veniva colto a mendicare per la prima volta veniva condannato alla reclusione nell'ospedale generale per almeno due mesi; la seconda volta , si veniva condannati all'internamento per almeno tre mesi e alla marchiatura con la lettera M (da mendiant, mendicante); per la terza volta agli uomini toccavano cinque anni sulle [[galea|galere]], alle donne cinque anni di reclusione nell'ospedale generale (i [[tribunale|tribunali]] potevano aumentare la pena fino all'ergastolo)</ref> Tutti i detenuti erano obbligati a lavorare dall'alba al tramonto e ogni dépôts era attrezzato a tale scopo di botteghe artigiane. Sommosse agitazioni periodicamente nascevano in quegli agglomerati di mendicanti e assumevano spesso il carattere di aperte e sanguinose rivolte come quella di [[Rennes]], nel [[1782]].
 
La rivoluzione del [[1789]] mise fine anche ai depositi di mendicità segnando la conclusione dell'epoca della "grande reclusione".
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Nell'Inghilterra dell'ormai avviata [[rivoluzione industriale]] era giunto il tempo di una nuova legge per la povertà che, emanata nel [[1834]], aboliva la “carità legale”, proibiva l'aiuto a domicilio e costringeva i poveri nelle nuove ''workhouse'' (case di lavoro), nuove versioni degli ospedali generali con il medesimo rigido regime del passato di costrizioni e di privazioni, nonché di separazione secondo il sesso e l'età.
 
Autore di questa politica fu Sir [[Edwin Chadwick]] ([[1800]]-[[1890]]), discepolo di [[Jeremy Bentham]], personaggio molto odiato, un amministratore dispotico e discusso la cui figura è ricordata soprattutto per il suo impegno nella riforma della [[salute|sanità]] pubblica, convinto com'era che le condizioni insalubri delle città provocassero malattie [[biologia|biologiche]] e sociali, causa di un degrado [[psicologia|psicologico]] che può trascinare le persone verso i vizi, come l'[[alcolismo]], o peggio, verso la rivoluzione. Rendere le città più salubri poteva essere lo strumento per rendere il [[proletariato]] più felice, più sano, più produttivo, e più docile.<ref>Sulla presunta "felicità del proletariato inglese" scriveva qualche anno dopo nel [[1844]] [[Karl Marx]] in un articolo pubblicato a firma : "Un prussiano" intitolato "''Il re di Prussia e la riforma sociale''":«''Si concederà inoltre che l'Inghilterra è il paese del [[pauperismo]]; perfino questa parola è di origine inglese. L'esame dell'Inghilterra è dunque l'esperimento più sicuro per conoscere il rapporto di un paese politico col pauperismo. In Inghilterra la miseria degli operai non è parziale, ma universale; non limitata ai distretti [[industria]]li, ma estesa a quelli [[agricolturaAgricoltura|agricoli]]. I movimenti qui non sono in sul nascere, bensì da quasi un secolo si ripresentano periodicamente. Come intendono il pauperismo la [[borghesia]] inglese e il [[governo]] e la [[stampa]] a essa legati? Nella misura in cui la borghesia inglese ammette che il pauperismo è una colpa della [[politica]], il [[whigWhig (Regno Unito)|whig]] considera il [[Partito Tory|tory]], e il tory il whig, come la causa del pauperismo. Secondo il whig, il [[monopolio]] della grande proprietà terriera e la legislazione [[protezionismoProtezionismo|protezionista]] contro l'[[importazione]] dei [[cerealeCereale|cereali]] è la fonte principale del pauperismo. Secondo il tory, tutto il male risiede nel [[liberalismo]], nella [[concorrenzaConcorrenza (diritto commerciale)|concorrenza]], nel sistema [[industria]]le spinto troppo avanti. Nessuno dei [[partitoPartito|partiti]] trova il motivo nella [[politica]] in generale, bensì ciascuno di essi lo trova nella politica del proprio partito; ma ambedue i partiti non si sognano neppure una riforma della società.''»</ref>
Il tema della povertà comincia in questi anni a essere associato a quello dell'[[industria]]lismo. L{{'}}''Accademia delle scienze morali e politiche'' francese promosse delle inchieste sulle condizioni degli operai in Francia volendo stabilire in che cosa consistesse la loro povertà, come si manifestasse e quali fossero le cause che la determinavano. Una prima risposta era stata data da [[Louis Renè Villermé]], un medico fautore degli aspetti positivi del sistema della fabbrica e convinto che tutto ciò che lo contrastasse fosse un'offesa della pubblica morale: la promiscuità dei sessi all'interno delle fabbriche, l'eccessiva durata dell'orario di lavoro minorile, i prestiti concessi agli operai come anticipo dei loro salari erano le uniche cause del degrado morale e fisico degli operai.[[File:MandK Industrial Revolution 1900.jpg|upright=1.6|thumb|Operai]]
 
Questa tesi moralistica venne contestata da [[Eugène Buret|Antoine-Eugène Buret]] nella sua opera ''"De la misère des classes laborieuses en Angleterre et en France... "''; egli vuole eliminare dall'analisi [[sociologia|sociologica]] della cause della povertà ogni riferimento astratto e non verificabile: comincia quindi a stabilire una stretta connessione tra le condizioni di indigenza degli operai e la ricchezza considerati entrambi come fenomeni strettamente economici e controllabili oggettivamente. Le sue conclusioni lo portano a sostenere che esiste un rapporto di «''coesistenza''» o «''simultaneità''» tra la povertà e la «''ricchezza della nazione''» e che le cause di questa concomitanza sono da riportare «''ai processi industriali, alle circostanze in cui si trovano posti, gli uni in relazione con gli altri, gli agenti della [[produzione]]''» così che «''la condizione fisica e morale dei lavoratori si misura esattamente sulla posizione in cui essi si trovano di fronte agli strumenti o ai [[Capitale (economia)|capitali]]''» nel senso che «''più ne sono vicini e più la loro vita è assicurata; ed essa si eleverà e migliorerà secondo la misura e l'estensione di questi rapporti.''» (in op. cit. tomo II libro III cap.V pag.86)
 
==== Il pensiero sociale della Chiesa ====
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Nel [[1891]] prese ufficialmente posizione lo stesso pontefice [[Leone XIII]] con l'[[enciclica]] ''[[Rerum novarum]]'' sulla questione sociale, cui era particolarmente sensibile per aver direttamente visto esplodere le rivolte operaie in Belgio al tempo della sua [[nunzio apostolico|nunziatura apostolica]].<br />
L'enciclica afferma che voler trasformare la [[proprietà (diritto)|proprietà]] da personale a collettiva offende i diritti [[natura]]li («''diritto di natura è la proprietà privata''» ) ed è impossibile togliere dal mondo le disparità sociali così come non si può eliminare il dolore («''levar via le sofferenze del mondo non v'è forza o arte che possa''») anzi le differenze tra ricchi e poveri sono necessarie per mettere in atto le virtù cristiane della carità e della pazienza. L'enciclica inoltre muove un preciso atto d'accusa al capitalismo e ai ricchi, indifferenti alla dignità umana e cristiana dei poveri: «''Si ricordino i capitalisti e i padroni che né le divine né le umane leggi permettono di opprimere per utile proprio i bisognosi e gli infelici, e trafficare sulla miseria del prossimo. Defraudare la giusta mercede è colpa sì enorme che grida vendetta al cospetto di Dio''» (da Gaeta, Villani, "Le encicliche sociali dei Papi da [[Papa Pio IX|Pio IX]] a Pio XII, 1846-1946", Milano 1971). La soluzione della questione sociale, secondo l'enciclica, sarà nella [[cooperazione]] tra capitale e lavoro e nell'intervento dello Stato che dovrà da un lato tutelare il lavoro e assicurare il giusto [[salario]] e dall'altro frenare le cupidigie delle plebi malconsigliate prevenendo a tempo le cause dei tumulti e delle violenze.
 
== Povertà volontaria ==
{{vedi anche|Semplicità volontaria}}
[[File:Giotto - Legend of St Francis - -05- - Renunciation of Wordly Goods.jpg|thumb|[[San Francesco d'Assisi|San Francesco]], spogliandosi delle sue vesti, rinuncia ai beni materiali per l'ideale della povertà .]]
La rinuncia volontaria ai beni terreni in nome di un principio di sobrietà, come era per gli [[Epicureismo|epicurei]], e della conduzione di una vita ridotta all'essenziale è presente già nelle filosofie antiche specie nella morale [[Cinismo|cinica]] e [[Stoicismo|stoica]], anche nelle religioni [[Buddismo]], [[Cristianesimo]] e [[Islam]] viena auspicata questa scelta di vita.
 
=== Nel cristianesimo ===
La Chiesa cristiana fin dai primi secoli della sua esistenza ha predicato il valore di una vita condotta in povertà ad imitazione di quella vissuta da Gesù Cristo<ref>Beniamino Di Martino, ''La virtù della povertà. Cristo e il cristiano dinanzi ai beni materiali'', Edizioni goWare, Leonardo Facco, 2017</ref>. I più sensibili ad un ideale di [[spiritualità]] quindi si ritiravano dalle comunità sociali per condurre un'esistenza nella quale i beni materiali di sussistenza fossero ridotti al minimo al fine di dedicarsi esclusivamente e più efficacemente, trascurando il corpo, alla pratica dei beni spirituali. Con l'[[anacoretismo]], cui seguì il monachesimo, i fedeli più intransigenti, spinti da una forte vocazione si separavano dal resto delle comunità per meglio avvicinarsi a Dio, seguendo lo stile di vita di Cristo. Gli anacoreti e gli [[eremitismo|eremiti]] rinunciavano completamente al mondo e alle sue tentazioni, scegliendo una vita fatta di silenzio e di preghiera, per tendere alla perfezione attraverso la povertà e la penitenza.
 
La povertà volontaria si diffuse soprattutto con i cosiddetti [[ordini mendicanti]], sorti tra il [[XII secolo|XII]] ed il [[XIII secolo]] in seno alla [[Chiesa cattolica]], ai quali la regola religiosa imponeva la pronuncia di un [[voto di povertà]] che implicava la rinuncia ad ogni [[possesso|proprietà]] non solo per gli individui, ma anche per i [[convento|conventi]], che traevano così sostentamento unicamente dalla [[questua]], la raccolta delle [[elemosina|elemosine]].
 
Nell'ambito dell'ordine mendicante di San Francesco si sviluppò allora un contrasto tra i "[[Conventuali]]" aderenti a un ideale moderato della povertà e coloro che aspiravano e praticavano un'assoluta ed estrema povertà, i cosiddetti "[[Francescani spirituali|Spirituali]]" (1280 ca - 1317) che seguivano un'interpretazione letterale della [[Regola di san Francesco|Regola]] ''sine glossa'' (cioè senza interpretazioni ufficiali che ne sminuissero la portata), e che si riferivano al [[Testamento (San Francesco)|Testamento]] dello stesso Francesco, al quale il resto dell'Ordine non riconosceva autorità normativa. A questi ultimi si ispirarono il movimento dei [[Fraticelli]] (o Fratelli della vita povera) (sec.XIV), i [[Dolciniani]] e il [[Gioachimismo]] (secc. XIII e XIV) che «per mezzo di collegamenti, non sempre chiari [...] specialmente con la loro antinomia tra Chiesa spirituale e Chiesa carnale, Cristo e Anticristo, influirono profondamente sia sulla stessa Chiesa cattolica (San [[Bernardino da Siena]]), sia sui movimenti eterodossi come quelli di [[John Wycliff|Wycliffe]] e dei [[lollardi]], di [[Jan Hus|Hus]], e sulla [[Riforma protestante|Riforma]] (specialmente gli [[anabattisti]])».<ref>''Dizionario di Storia Treccani'', alla voce ''Gioachimismo'', 2010</ref>
 
== Dati sulla povertà in Italia ==
{{vedi anche|Povertà in Italia}}
[[File:Percentuale di famiglie in povertà assoluta e relativa.png|thumb|upright=1.8|Fonti:Istat<ref name="serie_2014-2023"> [https://www.istat.it/it/archivio/poverta Povertà assoluta e relativa: serie storiche ricavate dai comunicati annuali “La povertà in Italia” (dati 2014-2023).] </ref>
<ref> [https://esploradati.istat.it/databrowser/#/it/dw/categories/IT1,HOU,1.0/HOU_POVER/DCCV_POVERTA_BRKN/HOU_POVBORKTS_97_13/IT1,34_201_DF_DCCV_INDPOVASS_1,1.0 Incidenza povertà assoluta dal 2006 al 2013] </ref>
<ref> [https://esploradati.istat.it/databrowser/#/it/dw/categories/IT1,HOU,1.0/HOU_POVER/DCCV_POVERTA_BRKN/HOU_POVBORKTS_97_13/IT1,34_202_DF_DCCV_INDPOVREL_1,1.0 Incidenza povertà relativa fino al 2013] </ref>]]
[[File:Percentuale di famiglie in povertà assoluta per età della persona di riferimento.png|thumb|upright=1.8|Fonte:[https://esploradati.istat.it/databrowser/#/it/dw/categories/IT1,HOU,1.0/HOU_POVER/DCCV_POVERTA/IT1,34_727_DF_DCCV_POVERTA_4,1.0 Istat]]]
La povertà è una delle questioni più rilevanti per comprendere la struttura sociale ed economica di un Paese. In Italia, si distingue tra '''povertà assoluta e povertà relativa''', due concetti diversi ma complementari che aiutano a misurare il disagio delle famiglie. La distinzione tra povertà assoluta e relativa mette in luce due facce della stessa realtà: da un lato la difficoltà di garantire beni e servizi essenziali, dall’altro l’esclusione sociale derivante da un reddito troppo basso rispetto alla media.
 
Si parla di povertà assoluta quando una famiglia non riesce a sostenere le spese minime necessarie per uno [[standard di vita]] considerato “essenziale”. L’Istat calcola ogni anno una soglia che varia in base al numero di componenti, all’età e all’area geografica.
Nel 2023 risultano in povertà assoluta circa 2,2 milioni di famiglie, pari all’8,4% del totale, ossia circa 5,7 milioni di individui (9,7% della popolazione). L’incidenza cresce al 10,2% nel Mezzogiorno, mentre si attesta al 6,3% tra le famiglie composte solo da italiani e sale al 30,4% per quelle con almeno un componente straniero. Particolarmente colpiti i minori: oltre 1,29 milioni (13,8%) vivono in povertà assoluta.<ref name="serie_2014-2023"></ref>
 
La povertà relativa non riguarda la sussistenza minima, ma la possibilità di vivere con un tenore di vita paragonabile a quello della maggioranza.
Nel 2023 si trovano in povertà relativa circa 2,8 milioni di famiglie (10,6% del totale). Se guardiamo agli individui, la quota sale a 8,4-8,5 milioni di persone, pari al 14,5% della popolazione, in aumento rispetto al 14,0% del 2022.<ref name="serie_2014-2023"></ref>
 
== Note ==
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== Bibliografia ==
=== Bibliografia sulla povertà ===
* A. Brandolini, C. Saraceno, A. Schizzerotto (a cura di), 2009, Dimensioni della disuguaglianza in Italia: povertà, salute, abitazione, [[Il Mulino]], Bologna.
* Baldini, Massimo e Toso, Stefano, 2009, Diseguaglianza, povertà e politiche pubbliche in Collana "Itinerari", Il Mulino, Bologna (Edizione 2009)
* ''"Famiglie in salita" Rapporto 2009 su povertà ed esclusione sociale'', [[Caritas Italiana]] - Fondazione «E. Zancan», Il Mulino, Bologna.
* F. Corbisiero, 2005, Le trame della povertà, Franco Angeli, Milano
* ''Rapporto sulla povertà e le disuguaglianze nel mondo globale'' a cura di [[Nicola Acocella]], Giuseppe Ciccarone, [[Maurizio Franzini]], Luciano Marcello Milone, [[Felice Pizzuti|Felice Roberto Pizzuti]] e [[Mario Tiberi]]. Edito a cura della ''Fondazione Premio Napoli''. 2004
* Einaudi L. (1964), Lezioni di politica sociale, con una nota introduttiva di [[Federico Caffè|F. Caffè]], Einaudi, Torino.
* Istituto Nazionale di Statistica (2002), La povertà in Italia nel 2001, Roma.
* Pete Alcock, Remo Siza "La povertà oscillante" Franco Angeli 2003
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=== Bibliografia sulla storia della povertà ===
* G.Iorio, ''La povertà – Analisi storico-sociologica dei processi di deprivazione'', Armando Editore, Roma, 2001
* [[Sant'Ambrogio]], ''De Nabuthae Historia'' (sulla proprietà, i ricchi e i poveri)
* Sant'Ambrogio, ''De Officiis Ministrorum'' (sui doveri dei sacerdoti e sul vivere cristianamente)
* A.Giardina, ''Melania la santa, in Roma al femminile'', a cura di A.Fraschetti, Laterza, 1994
* A.H.M.Jones, ''Il Tardo Impero Romano'', trad.it. Il Saggiatore, Milano, 1974, vol.III, "Agri deserti",
* V. Paglia, ''Storia dei poveri in Occidente'', Milano, 1994
* G. Ricci, ''Povertà, vergogna, superbia. I declassati fra medioevo e età moderna'', Bologna 1996
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* J.C.Schmitt, ''La storia dei marginali'', in ''La nuova storia'', a cura di J. Le Goff, Milano 2002,
* F. Bèriac, ''La paura della lebbra'', in ''Per una storia delle malattie'', Bari 1986
* B.[[Bronisław Geremek]], ''Il pauperismo nell'età preindustriale (secoli XIV-XVIII)'', in ''Storia d'Italia, V, I documenti, I'', a cura di C. Vivanti, Torino 1973
* L. Fiorani, ''Religione e povertà. Il dibattito sul pauperismo a Roma tra Cinque e Seicento'',
* Gutton, ''La Società e i poveri'', Milano 1977;
* [[Michel Mollat du Jourdin|M. Mollat]], ''I poveri nel Medioevo'', Bari 1982;
* B. Geremek, ''La pietà e la forca. Storia della miseria e della carità in Europa'', Bari 1986
* B.Geremek, ''Mendicanti e miserabili nell'Europa moderna'', Bari 1989;
* B.Geremek, ''La storia dei poveri. Pauperismo ed assistenza nell'età moderna'', a cura di A. Monticone, Roma 1985.
* Camporesi Piero (a cura di), ''Il libro dei vagabondi'', Saggi, Prefazione di [[Franco Cardini]]. ISBN 88-11-59719-6
*{{Cita libro|titolo=Il libro dei vagabondi: lo "Speculum cerretanorum" di Teseo Pini, "Il vagabondo" di Rafaele Frianoro e altri testi di "furfanteria"|edizione=1. ed|collana=Saggi|data=2003|editore=Garzanti|ISBN=978-88-11-59719-3}}
* M. Foucault, Sorvegliare e punire, 1976 (franc. 1975)
* Ch. Paultre, ''De la répression de la mendicité et du vagabondage en France sous l'Ancien régime'', Paris 1906.
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* [[Assistenza sanitaria]]
* [[Carestia]]
* [[Corruzione]]
* [[Diritto all'acqua]]
* [[Diseguaglianza sociale]]
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* [[Etica]]
* [[Povertà nella Roma del XVI secolo]]
* [[Voices of the Poor]]
* [[Antropologia economica]]
* [[HIPC]] Paesi poveri
* [[Pornografia della povertà]]
{{div col end}}
 
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== Collegamenti esterni ==
* {{Collegamenti esterni}}
* {{cita web | url = http://www.italia.attac.org/spip/spip.php?article2559 | titolo = ''Crisi dei ricchi, via crucis dei poveri'' | accesso = 7 marzo 2009 | urlarchivio = https://web.archive.org/web/20110727231219/http://www.italia.attac.org/spip/spip.php?article2559 | urlmorto = sì }}
* [{{cita testo|url=http://www.istat.it/societa/consumi/ |titolo=Pagina sul sito [[Istat]] contenente dati su povertà e consumi in Italia]|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20070306001245/http://www.istat.it/societa/consumi/ }}
* [{{cita testo|url=http://s2ew.caritasitaliana.it/pls/caritasitaliana/V3_S2EW_consultazione.mostra_pagina?id_pagina=395 |titolo=Sezione del sito di Caritas Italiana]|postscript=nessuno|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20101011115648/http://s2ew.caritasitaliana.it/pls/caritasitaliana/V3_S2EW_consultazione.mostra_pagina?id_pagina=395 }} con presentazioni e schede di sintesi di tutti i Rapporti Caritas-Zancan su povertà ed esclusione sociale in Italia
* {{cita web|url=https://gianlab.shinyapps.io/Risorse_poveri/|titolo=Risorse per coloro che si trovano in difficoltà in Italia|data=31 gennaio 2023|lingua=it}}
 
{{Scienze sociali}}
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[[Categoria:Povertà| ]]
[[Categoria:Antropologia economica]]
[[Categoria:Previdenza sociale]]