Storia di Siracusa in età spagnola (1500 - 1565): differenze tra le versioni
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{{Storia di Siracusa in epoca moderna}}
[[File:Porta Ligny.gif|miniatura|upright=0.8|La Porta di Terra detta Ligny, ingresso (non più esistente) della Siracusa spagnola]]
[[File:The Calling of Saint Matthew-Caravaggo (1599-1600) (cropped).jpg|miniatura|upright=0.8|[[Mario Minniti]] dipinto da [[Caravaggio]] in la ''[[Vocazione di san Matteo]]''; il siracusano venne ritratto da egli diverse volte ([[1599]]-[[1600]])]]
La '''storia di Siracusa in età spagnola''' fu nel complesso molto turbolenta, non tanto per l'animosità dei suoi stessi abitanti, che in rare occasioni cercarono di ribellarsi alla loro attuale situazione di stenti (alla quale si erano gradualmente abituati, perdurando quella già da diversi secoli), ma, principalmente e soprattutto, per fattori esterni come le ragioni belliche, su di essa concentrate, e le calamità naturali, che furono estremamente violente. Entrambi questi fattori accompagnarono, in maniera pressoché assidua e costante, la storia aretusea per tutta l'[[epoca moderna]] e finirono per mutare il volto fisico e il contesto sociale della millenaria città.
Il suo ruolo primario difensivo militare, voluto dalla Spagna, se da un lato la fece protagonista di numerose e importanti cronache belliche, dall'altro lato le costò la rinascita del proprio commercio (bruscamente interrotto durante l'intensificarsi della minaccia turca e mai più ripreso) e il mancato incremento (nonostante i presupposti in precedenza vi fossero tutti) di un'attrattività culturale e politica che, di conseguenza, si spostò altrove, lontano da essa (un esempio di ciò fu l'emigrazione della nobilità cittadina dopo l'abolizione della [[Camera Reginale|Camera della regina]] o l'isolamento dell'[[Compagnia di Gesù|Ordine gesuitico]] siracusano).
Il rigido controllo (effettuato su tutti i campi: gli Spagnoli avevano sempre l'ultima parola su ciò che riguardava la vita militare, politica e relazionale della città aretusea) unito ai tormenti delle [[Disastro naturale|catastrofi geografiche]] (dal '500 al '700 Siracusa venne attraversata, ripetutamente, da terremoti, epidemie, carestie e inondazioni) misero la sua economia e la sua società in ginocchio e fecero sopraesaltare i paragoni con la sua [[Siracusa (città antica)|celebre epoca antica]], dati dai tanti storici e intellettuali del tempo che, visitandola, rimanevano grosso modo sorpresi da ciò che era divenuta la città alla fine del Settecento (situazione che non cambierà con l'ascesa italica della [[Borbone|casata dei Borbone]]). Alcuni storici [[piemonte]]si definirono come qualcosa di miracoloso il suo essere riuscita a sopravvivere a tutto ciò:
{{Citazione|Siracusa, avvilita dal barbaro dominio, divenuta terreno di guerre e di disagi, subì tutte le tristi vicende de' tempi; e sembra un miracolo se sopravvisse a tanti secoli, restringendo ne' limiti dell'antica Ortigia i suoi miseri avanzi.<ref>''Il mondo illustrato: giornale universale'' (a cura di), IV, [[Torino]] 1861, p. 310.</ref>|}}
Mentre il francese [[Abel-François Villemain]], sullo stesso periodo, di essa scrisse: {{Citazione|[...] nulla consuma al pari della conquista.<ref>[[Abel-François Villemain]] (trad. [[Carlo Graziani]]), ''Lascaris'', 1829, p. 52.</ref>|}}
== Germana de Foix, l'ultima regina di Siracusa ==
{{Vedi anche|Camera Reginale}}
{{...|storia}}
== La carestia e l'attesa della fine del mondo ==
Negli anni che furono a cavallo tra la fine del [[Quattrocento]] e l'inizio del [[Cinquecento]], Siracusa poteva dirsi una città che stava socialmente ed economicamente abbastanza bene (fu in questo periodo di prosperità economica che si popolarono pure le sue campagne e nacque, o rinacque, l'affitto rurale detto [[enfiteusi]]<ref>[[Touring Club Italiano|Touring Editore]], ''Siracusa e provincia'', 1999, p. 15.</ref>); certo non arrivò mai a raggiungere i livelli [[Demografia|demografici]] della [[Siracusa (città antica)|sua età classica]] (all'epoca, in tutta Europa, solamente l'[[Atene (città antica)|antica Atene]] poteva appena compararsi al numero di abitanti che vantava la metropoli siciliana<ref>Sull'argomento vd. [[Michael Grant]], ''The Civilizations of Europe'', 1965, p. 23; ISCRE, ''Rivista storica siciliana'' (16-23), 1981, p. 28; Anna Masecchia, ''Metropolis: atti della Scuola europea di studi comparati: Pontignano, 8-15 settembre 2008'', 2010, pp. 6-7.</ref>), ma considerando il superamento dei [[secoli bui]] (durante i quali le fonti arabe tacciono del tutto ciò che ne fu della popolazione siracusana [[Assedio di Siracusa (878)|da essi conquistata]]) e il superamento della [[peste bubbonica]] (che nel [[Trecento]] flagellò i siciliani così come il resto del [[vecchio continente]], dimezzandone la demografia), con i suoi 5190 [[Fuoco (demografia)|fuochi]] (ovvero nuclei familiari composti da quattro persone ciascuno) nel [[1497]] (avendo triplicato in soli cento anni i 1755 fuochi del [[1376]]) Siracusa si poneva tranquillamente nella media di una benestante città europea del periodo ed era nuovamente tra i maggiori centri di Sicilia (nell'isola essa era seconda solamente alle due capitali regie, Palermo e Messina, mentre aveva già superato per popolazione sia [[Noto (Italia)|Noto]], che aveva rappresentato il [[Val di Noto|capo valle orientale]] scelto dagli Arabi, e sia Catania, che durante il primo periodo aragonese siciliano era stata sede di re e regine).
{{Doppia immagine|destra|Congreso de los Diputados, escudo de España, Madrid, España, 2015 03.JPG|230|Colonne d'Ercole - Stemma Carlo V Filippo II - Plus Ultra - Palazzo Vermexio Siracusa (Palazzo del Senato).jpg|146|Le [[Colonne d'Ercole]] con il motto di Carlo V "[[Plus ultra|Plus Ultra]]" impresse nell'attuale [[stemma della Spagna]]; le medesime colonne, con la medesima scritta, impresse nell'attuale [[Palazzo del Vermexio|palazzo del Senato siracusano]] (edificato in epoca spagnola)}}
Tutto ciò però cambiò dopo che passarono i primi anni dalla scoperta di quella che gli Spagnoli denominarono essere la «Terra ferma del Mar Oceano» (''«Tierra firme del Mar Océano»''),<ref>Real Academia de la Historia, [[Gonzalo Fernández de Oviedo y Valdés]], [[José Amador de los Ríos]], ''Historia general y natural de las Indias: Islas y tierrafirme del mar oceano'', ed. 1855.</ref> ovvero dopo che incominciò il commercio con il [[nuovo mondo]] (i loro Reinos de Indias): nel 1519 Carlo V riconobbe, per legge, come appartenenti e indissolubilmente legati alla corona spagnola le terre conquistate nelle Nuove Indie (futura [[America]]), di cui egli diveniva sovrano.<ref>Artola, Miguel (1982), ''Textos fundamentales para la Historia (Séptima edición)'', Madrid: Alianza Universidad. p. 227.</ref> Carlo V cambiò il motto che vi era, mitologicamente, nelle [[Colonne d'Ercole]] (poste sullo [[stretto di Gibilterra]]) da « [[Non plus ultra|Non Plus Ultra]]» («''nada más allá''»; «''non vi è nulla oltre questo punto''»)<ref name=plusultra>José Antonio Jáuregui, ''España vertebrada'', 2004, pp. 189, 246; Víctor Mínguez, ''Los reyes solares: iconografía astral de la monarquía hispánica'', 2001, pp. 92-93.</ref> a «[[Plus ultra|Plus Ultra]]» («''más allá''»; «''esiste un più in là''»),<ref name=plusultra/> adottandolo come simbolo del dinamismo dell'[[impero spagnolo]] e come suo [[Lemma (linguistica)|lemma]] personale (e questo stesso motto sarà in seguito effigiato accanto allo [[stemma di Siracusa]], in diversi luoghi della città).
L'intensificarsi dell'attenzione verso le sconfinate terre appena scoperte, portò a un aumento sempre maggiore del traffico marittimo rivolto all'[[Oceano Atlantico|Atlantico]] e di conseguenza a un improvviso impoverimento delle rotte mediterranee; passate in secondo piano (la Sicilia era al centro di tali rotte<ref>Industria grafica nazionale, ''Annali della Facoltà di economia e commercio'', vol. 10, n. 1-2, 1972, p. 7.</ref>). Inoltre vi fu una vertiginosa crescita dell'offerta delle merci che giungevano dal nuovo mondo, facendo crollare i prezzi di quelle siciliane (ed europee in generale). Si aprì dunque una crisi economica nel vecchio continente.<ref>Carmelo Trasselli, ''Mediterraneo e Sicilia all'inizio dell'epoca moderna: ricerche quattrocentesche'', 1977, p. 326; Francesca Cantù, ''Scoperta e conquista di un mondo nuovo'', 2007.</ref> A ciò si aggiunse il ritorno della peste: già nel [[1500]]-[[1501]] Siracusa ebbe la sua più grave epidemia dell'epoca (nella quale morirono quasi 10.000 cittadini siracusani)<ref>Gaetani, ''Annali'', I, f. 276; Pirri 1630, p. 636; Scobar 1520, p. XVI. Vd. anche [[Emilio Bufardeci]], ''Le funeste conseguenze di un pregiudizio popolare: memorie storiche'', 1868, p. 37.</ref> e un'altra ondata violenta si verificò a partire dal [[1522]].
[[File:Los 13 de la Isla del Gallo.jpg|miniatura|upright=1.2|sinistra|''[[Conquistadores]]'' spagnoli esplorano il nuovo mondo (Juan Lepiani, [[museo nazionale di archeologia, antropologia e storia del Perù]])]]
La situazione sociale era aggravata sia dalla nuova povertà cinquecentesca e sia da una serie di particolari calamità naturali che arrivarono a portare all'esasperazione la popolazione aretusea:
{{Citazione|Negli anni che precessero quelli della peste, stemperatissime procelle, e piogge, e alluvioni da non finire, poi di anno in anno le acque vennero meno, e nel 1506 cessarono siffattamente, che l’Anapo scorreva appena, i pozzi e le fonti seccarono, e l’Aretusa per trentasei giorni restò interamente asciutta.|[[Serafino Privitera]], ''Storia di Siracusa antica e moderna'', vol. 2, 1879, p. 138.<ref>Cit. in ''Il diluvio che non giunse. Povertà e problemi sociali a Siracusa nei primi decenni del XVI secolo'' (Lavizia Gazzé), ''I Siracusani'', III, 1998, n. 15.</ref>}}
Il morbo pare che giunse in città tramite una nave che, respinta da altri porti siciliani, si ancorò presso [[Fontane Bianche]] e riuscì a vendere della merce infetta.<ref name=agati>Salvatore Agati, ''Carlo V e la Sicilia: tra guerre, rivolte, fede e ragion di Stato'', 2009, p. 86.</ref> Colpì particolarmente Siracusa, a tal punto che gli abitanti non volevano più dimorare all'interno delle mura, e li si dovette imporre loro, tramite decreti di legge, il divieto di abbandonare la città nonostante il verificarsi della fame, della peste o della guerra (probabilmente tale severità era dettata dal fatto che fuori le mura vi era la seria possibilità di finire rapiti dai pirati [[Turchia|Turchi]], che stazionavano molto spesso lungo le coste siracusane). La gente allora si mise a rubare persino il pane e, data l'estrema penuria di cibo, Siracusa fece valere, nel giugno del 1522, un suo privilegio spagnolo secondo il quale poteva farsi inviare da chiunque nel Regno, anche forzatamente, il frumento e le vettovaglie che le occorrevano urgentemente (da non confendere con il privilegio datole da Carlo nel 1519)<ref group=N>Il privilegio usato nel 1522 le era stato accordato dal re [[Alfonso V d'Aragona]]: «''qualsivoglia loci di lu regnu del frumento e victuvaglie''» (cit. in Gazzè, ''I Siracusani'', III, 1998, n. 15).</ref>, per cui obbligò la [[contea di Augusta]] a darle il frumento che aveva nei suoi magazzini (Augusta ne aveva sempre parecchio poiché era sede logistica del rifornimento per i militari) e a inviarlo dentro quelli del capoluogo. Nel [[1523]], dal momento che la peste non cessava, gli ufficiali della Camera reginale vennero eletti da Lentini, poiché tutti avevano paura di entrare a Siracusa (il governatore Almerigo Centelles fu richiamato a corte, in Spagna, e amministrò i siracusani tramite dei vicari<ref group=N>Non è chiaro se egli venisse allontanato per il pericolo della peste o per disordini sociopolitici nati dopo il 1518. Sta di fatto che egli, richiamato in Spagna dalla regina Germana, rimase lontano da Siracusa per quattro anni: dal 1524 al 1528. Vd. {{Cita|Russo, 2004|p. 12}};</ref>). Si verificò anche una moria di bestiame, per cui iniziò a scarseggiare pure la carne, e la siccità non dava tregua.
[[File:Agostino Nifo alla Corte di Carlo V (Luigi Toro, 1876).png|miniatura|upright=1.2|Carlo V consulta Agostino Nifo sulla profezia del febbraio 1524 ([[Luigi Toro]], [[XIX secolo]], [[Sessa Aurunca]])]]
Fu allora che la città aretusea prese in seria considerazione l'ipotesi, che da tempo circolava in Europa, su un'imminente [[fine del mondo]]<ref name=agati/>: il primo a dichiarare ciò fu l'[[astronomo]] tedesco [[Johannes Stöffler]], il quale asserì che nel [[febbraio]] del [[1524]], a causa della congiunzione dei pianeti [[Congiunzione Giove-Saturno|Giove e Saturno]] con [[Marte (astrologia)|Marte]] nella [[Pesci (costellazione)|costellazione dei Pesci]],<ref group=N>Congiunzione e [[Pesci (astrologia)|segno zodiacale]] che ebbero sempre forti implicazioni bibliche: Pesci, dodicesimo e ultimo segno dello zodiaco, è infatti considerato il segno simbolo di [[Gesù Cristo]]; esso veniva preso in considerazione non solo per la fine del mondo, ma anche per la [[Stella di Betlemme#La congiunzione Giove-Saturno|nascita di Gesù bambino]]. Vd. es. Douglas Baker, ''Pesci'', 2017; ''La Civiltà cattolica'', Firenze 1883.</ref> vi sarebbe stato un nuovo [[diluvio universale]]. Nel 1519 allora, lo stimato filosofo napoletano [[Agostino Nifo]] (colui che predicò l'immortalità dell'anima) scrisse per Carlo V, che come il [[papa Clemente VII]] era inquietato da simili voci, il libro ''De falsa diluvii prognosticatione'', che aveva lo scopo di tranquillizzare l'imperatore e di allontanare la minaccia profetica di Stöffler.<ref>{{Treccani|agostino-nifo_(Dizionario-Biografico)/|NIFO, Agostino}}</ref> Tuttavia, man mano che si avvicinava la data prestabilita, il panico aumentò in tutto il vecchio continente: vi era chi costruiva [[Arca di Noè|arche]] e chi, come il generale dei [[Firenze|fiorentini]] [[Guido II Rangoni]], pregava l'imperatore affinché provvedesse allo stabilire dei punti di raccolta in luoghi sicuri per cercare di salvare quanti più uomini e animali fosse possibile.<ref>[[Alfonso Niccolai]], ''Libro della Genesi: 1-6'', 1760, pp. 333-335.</ref>
Siracusa, dal canto suo, un mese prima del predetto diluvio, il 22 gennaio del 1524, aprì una difficile assemblea cittadina, durante la quale si doveva stabilire il da farsi per affrontare al meglio l'imminente tragedia: a differenza di altre realtà geografiche, questa città pensò ai suoi numerosi poveri (nel 1524 l'economia aretusea era già in ginocchio), ingegnadosi per dar loro rifugio e da mangiare durante i giorni del flagello: non avendo più a disposizione denari contanti, il Senato decise di vendere ai privati gli introiti derivati dalla [[gabella]] (l'imposta sui beni materiali). Poi, trovato il modo di sfamare e proteggere la popolazione, si attese l'inevitabile, considerandolo come una punizione divina:<ref name=agati/> era infatti divenuta opinione comune il credere che il secondo diluvio sarebbe giunto a causa dell'efferatezza raggiunta dall'umana società. Ma passato il 19 febbraio, i siracusani valutarono l'allarme come cessato e smisero di dar credito alle voci [[Apocalisse|apocalittiche]]. La peste cessò in quell'anno, anche se la crisi economica continuò e nei decenni a seguire la città avrebbe trovato altri sistemi giudiziari per tutelare il sempre maggiore numero di poveri.
A seguito del sofferente periodo appena trascorso, la regina Germana concesse ai siracusani, nel [[1525]], parte della sua rendita regale, che le derivava dalla [[secrezia]] aretusea.
[[File:Siracusa, Teatro Greco.jpg|miniatura|upright=1.1|[[Carlo V d'Asburgo|Carlo V]] diede l'ordine nel [[1526]] di distruggere la scena del teatro greco per adoperarne le pietre con altro scopo, poiché in quel momento urgeva sopra ogni cosa fortificare Siracusa]]
Il 1526 fu l'anno in cui si incominciò a parlare seriamente delle fortificazioni siracusane, poiché la situazione geopolitica in cui si trovava la Spagna era estremamente complessa e variegata, e Siracusa si trovava, per natura, in un luogo particolarmente esposto agli attacchi dei tanti nemici della corona.
Carlo V manifestò la sua preoccupazione subito dopo la [[Assedio di Rodi (1522)|caduta dell'isola di Rodi]], poiché essa era stata fino a quel momento la sede dell'[[Cavalieri Ospitalieri|Ordine dei cavalieri Ospitalieri gerosolimitani]] (durante la caduta dell'isola morì, difendendola, anche il gerosolimitano siracusano [[Francesco di Naro]], con il rango di [[capitano]]<ref>{{Cita|Serafino Privitera, 1879|p. 147}}; {{Cita|Carpinteri, 1983|p. 15}}.</ref>), e aveva rappresentato una solida difesa all'avanzare incessante del [[Sultano|sultanato]] della [[Sublime porta]] (l'[[impero ottomano]], che all'epoca di Carlo V aveva già conquistato grande parte dei paesi mediterranei in ogni latitudine). L'imperatore quindi scrisse da [[Granada]] ai [[Magistrato|magistrati]] di Siracusa, il 9 ottobre del 1526, esortandoli a incominciare l'opera di [[fortificazione]], data l'incombente minaccia turca.<ref name="Carpinteri15">{{Cita|Carpinteri, 1983|p. 15}}.</ref>
{{Citazione|Nel primo Cinquecento, la Sicilia assumeva infatti il compito di baluardo della cristianità nella guerra contro i turchi, e Siracusa rappresentava in questa strategia difensiva, secondo le parole stesse dell'imperatore Carlo V, una chiave del Regno [''una de las claves del Reyno''].<ref group=N>Carlo V aveva diverse chiavi difensive in Sicilia - Messina era considerata la chiave del Regno di Napoli (per la sua vicinanza con l'Italia), Catania era invece considerata la chiave di Lentini e di Siracusa (data la poca distanza che la separava dal territorio siracusano) - tuttavia, due erano le chiavi difensive più importanti di Carlo: a ovest Trapani (detta anche chiave del lato di Barbaria), vista la sua vicinanza alla [[Tunisi]] dei pirati, e poi a est Siracusa, che difendeva il Regno dalla parte di [[est|Levante]], e, data la vastità delle terre che fronteggiava, era definita la più esposta al pericolo. Cfr. [[Eugenio Alberi]], ''Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato'', 1858, p. 484; {{Cita|Carpinteri, 1983|p. 15}}.</ref>|Liliane Dufour, Henri Raymond, ''Siracusa tra due secoli'', 1998, p. 54.}}
Il problema consisteva nel fatto, principalmente, che la città si trovava in quegli anni in considerevoli disagi economici, e poiché, per legge, il costo della difesa cittadina gravava sulle spalle dei siciliani e non della corte spagnola, l{{'}}''urbs'' aretusea non riusciva a fare avanzare, nei tempi stretti desiderati dall'imperatore, le numerose opere difensive richieste. Fu così che si decise di utilizzare in parte ciò che dell'epoca [[Storia di Siracusa in epoca greca|greca]] e [[Storia di Siracusa in epoca romana|romana]] era rimasto intatto.<ref>''Palladio'', vol. 23, 1973, p. 75.</ref> Come nel caso del [[teatro greco di Siracusa]] che, sparito dalle fonti per tutta l'epoca medievale, fu proprio sotto Carlo V che fece la sua riapparizione: esso era ormai seminascosto dalla vegetazione e in disuso, poiché i siracusani non vi recitavano più da diversi secoli, e gli ingegneri militari del sovrano spagnolo lo utilizzarono a mo' di cava per l'approvvigionamento della preziosa pietra.<ref>Carlo Anti, ''Guida per il visitatore del Teatro Antico di Siracusa'', 1948, p. 10.</ref>
Carlo, per assicurarsi che i siracusani non gli disobbedissero nel compito affidatoli, inviò presso di loro il viceré di Sicilia, Ettore, a osservare l'esecuzione dei lavori. La città ottenne però di farsi aiutare nelle spese belliche dai paesi della sua [[comarca]].
Il 30 novembre del [[1527]] Carlo infine si compiacque dell'operato dei siracusani, lodandoli per la loro fedeltà e bravura.<ref name="Carpinteri15" /> Vennero tirati su due [[bastione|bastioni]] difensivi. Tuttavia questo sarebbe stato solo l'inizio dell'ambizioso progetto di fortificazione che il sovrano di Spagna aveva in serbo per Siracusa: non a caso egli, con la sua volontà e meticolosità nel voler trasformare la città aretusea in una roccaforte sorvegliata e isolata, sarà paragonato dagli studiosi moderni al [[Tiranni di Siracusa|tiranno siracusano]] [[Dionisio I]], poiché simili opere di fortificazioni Siracusa le vide solamente al tempo dell'intrigato [[Età dionigiana|regno dionigiano]], nel [[IV secolo a.C.]]<ref>{{Cita|Lucia Trigilia, 1981, p. 8}}; Banco di Sicilia, ''Kókalos'', vol. 16, 1970, p. 203.</ref><ref group=N>Vi sono diversi paragoni su Carlo V e Dionisio I (alcuni sorti già in epoca spagnola); ad esempio alcuni ne mettono a confronto le conquiste, definite di eguale tirannicità; altri il pensiero politico e altri ancora i loro numerosi affanni che si ripercorsero infine sulla loro salute fisica: {{Citazione|''Cominciarono a non parer più Nazarei li Spagnuoli, tosto che in una malatia, occorsagli in Barcellona, caddero a Carlo Quinto i capelli. Da che mancò la vista al Tiranno Dionisio, tutti in Sicilia faceano il cieco, affermando di non arrivare nemmeno a distinguere su la tavola i piatti''.|Luigi Giuglaris, ''La scuola della verità aperta a' prencipi'', 1670, p. 49}}.</ref>
{{Citazione|Sempre nel '500 gli architetti militari di Carlo V si servirono pure ed ampiamente di questi materiali pronti all'uso, senza rendersi conto che se avessero fabbricato lì dove smantellavano avrebbero ricostruito l'antica sistemazione portuale e fortificata della Siracusa classica.|''Kókalos'', vol. 16, 1970, p. 203.}}
[[File:Gagini - Madonna Gesù bambino - Galleria regionale Siracusa, 1500.jpg|miniatura|upright=1.2|sinistra|Madonna con Bambino scolpita da [[Antonello Gagini]] nel [[XVI secolo|XVI sec.]] ([[museo di palazzo Bellomo]], [[isola di Ortigia]])]]
Non era tuttavia solamente l'espansione dell'impero ottomano a preoccupare Carlo V. Egli infatti in quel periodo si trovava anche in [[Carlo V e i papi#Clemente VII (1523-1534)|forte contrasto con papa Clemente VII]] (nel 1527 Carlo comandò di [[Sacco di Roma (1527)|mettere a sacco Roma]]), il quale aveva fatto una lega contro di lui ([[Guerra della Lega di Cognac|guerra della lega di Cognac]]), annoverando il [[Maestà cristianissima|re Cristianissimo]], ovvero [[Francesco I di Francia]], e il [[doge della repubblica di Venezia]] (entrambi [[Guerra d'Italia del 1521-1526|da tempo in guerra contro Carlo]], poiché non ne avevano mai accettato l'incoronazione imperiale).
Mentre sia a corte sia in Sicilia si viveva aspettandosi da un momento all'altro un assedio bellico (o da parte dei Turchi o da parte della lega di Cognac), in Siracusa faceva il suo ritorno Almerigo Centelles (Carlo V lo autorizzò a tornare nel gennaio del [[1528]] e gli diede il compito di far fortificare, oltre la capitale, le altre città della Camera reginale di Germana) e avvenne uno scontro interno con il nuovo vescovo di Siracusa, [[Ludovico Platamone]]; costui (eletto nel 1518, si vide confermati da Carlo V, nell'anno successivo, tutti i privilegi della chiesa aretusea<ref>Società Siracusana di Storia Patria, ''Archivio storico siracusano'', 1991, p. 42.</ref>), appartenente a una nobile famiglia patrizia di siracusani, i [[Platamone]],<ref>{{Cita|Russo, 2004|p. 11}}.</ref> nel 1526 commissionò al noto scultore palermitano, [[Antonello Gagini]], numerose opere per ornare i luoghi sacri della città<ref>Giampiero Leostello, ''Documenti per la storia: le arti e le industrie delle provincie napoletane'', vol. 5, 1891, p. 246; [[Giulio Bollati]], [[Paolo Fossati]], [[Federico Zeri]], ''Storia dell'arte italiana'', vol. 11, 1978, p. 396; [[Giuseppe Agnello]], Santi Luigi Agnello, ''Il Duomo di Siracusa ed i suoi restauri: discorso letto il 14 gennaio 1927 nel Salone Torres del Palazzo Arcivescovile di Siracusa'', 1996.</ref> e nel 1528, per via del suo carattere, definito autoritario, si scontrò con Centelles: tra Ludovico e Almerigo vi fu una lotta di potere (tra clero e politica) che venne tenuta a bada sia da Carlo V e sia dal papa Clemente VII:
Platamone, in contrasto anche con altri ecclesiastici della città, dovendo affrontare un processo in Sicilia a suo carico, preferì recarsi direttamente alla Santa Sede, dove il papa lo riconobbe come innocente ma, a sua volta, lo mandò da Carlo V. Fu infine il viceré Ettore a ricevere la facoltà di esiliarlo da Siracusa per tre anni (in seguito però sarà reintegrato nella sua carica).<ref>Sulla vicenda vd. ''Archivio storico siracusano'' (Società Siracusana di Storia Patria), 1991, p. 42; Francesco Guglielmo Savagnone, ''Contributo alla storia dell'apostolica legazia in Sicilia'', p. 155; {{Cita|Russo, 2004|p. 12}}.</ref> Per quanto concerne Centelles, invece, sia la regina Germana sia il re Carlo V lo invitatorno a comportarsi adeguatamente nel compito assegnatogli (Carlo lo sollecitò inoltre a rispettare i diritti che aveva Germana su quelle terre).
Il 1528 fu anche l'anno in cui arrivarono le temute incursioni: dapprima accadde un episodio ambiguo con i Veneziani, i quali, capitanati dal futuro doge [[Pietro Lando]], vennero a reclamare i granai siracusani di Augusta, affermando che [[Venezia]] stava subendo una dura carestia e che ciò le occorreva per sfamarsi, e quando il castellano della rocca li nego il permesso di prelevare, essi lo fecero ugualmente con la forza (anche se Pietro Lando sosterrà di aver pagato ai siciliani un prezzo onorevole per quanto preso dai granai).<ref>{{Treccani|pietro-lando_(Dizionario-Biografico)/|LANDO, Pietro}}.</ref>. Non è chiaro se essi tentarono dopo un approccio diretto contro Siracusa (il re di Francia li attendeva a [[Assedio di Napoli (1528)|Napoli, per porla d'assedio]]). La milizia dell'isola rimase in allerta, aspettandosi un loro ritorno<ref>[[Isidoro La Lumia]], ''Studi di Storia Siciliana'', 1870, p. 220.</ref> Effettivamente pare che la Francia avesse intenzioni di attaccare la Siiclia in quei mesi, ma uno dei suoi migliori ammiragli, il [[Genova|genovese]] [[Andrea Doria]], in estate, mentre Pietro Lando approdava ad Augusta, decise di cambiare alleanza e passare dalla parte di Carlo V,<ref>[[Tommaso Fazello]], ''Le due deche dell'historia di Sicilia.'', ed. 1628, p. 581.</ref> quindi, con una forte eloquenza, convinse le forze anti-imperiali a lasciare in pace i siciliani e a dirigersi verso la [[Sardegna]]; essi accettarono, ancora inconsapevoli del cambio di Doria, nella speranza che dopo aver preso quest'isola, la conquista della Sicilia sarebbe risultata meno ardua<ref>[[Francesco Guicciardini]], ''Della historia d'Italia libri 20'', 1580, p. 549.</ref> (sarà tra l'altro Andrea Doria, nel giugno dell'anno successivo, a prendersi la premura di avvisare i siracusani sull'imminente arrivo di flotte nemiche che si dirigevano verso la loro città, dandoli il tempo di organizzare una difesa<ref>{{Cita|Russo, 2004|p. 13}}.</ref>).
{{Doppia immagine|destra|San Giovanni Evangelista (Syracuse) - Facade.jpg|220|Pista ciclabile SR 03.JPG|220|La chiesa che i Turchi bruciarono nel 1528 (nel quartiere Neapolis) e il loro luogo di sbarco sotto Scala Greca (Tiche, Siracusa nord)}}
Sempre nell'estate del 1528 a Siracusa avvenne lo sbarco, ben più cruento di quello dei Veneziani, di una ciurma ottomana: sbarcati presso [[Scala Greca]], nella zona aretusea detta Stentino (dove sorgono i resti dell'[[Stentinello|omonimo sito archeologico]]), i Turchi giunsero alle spalle dell'abitato, percorsero e devastarono gli antichi quartieri che in epoca greca furono popolati: Tiche e Neapolis (qui misero a sacco e diedero fuoco a una delle più vetuste chiese siracusane: la [[chiesa di San Giovanni alle catacombe]], che custodiva un tempo le reliquie di [[Marciano di Siracusa]], considerato il «primo [[vescovo]] dell'Occidente»<ref>Amore, ''Marciano vescovo'', col. 693; Rizzo, ''Sicilia cristiana dal I al V secolo'', vol. 2, parte 2, 2006, p. 80.</ref>). Tuttavia non si spinsero fino al centro della città, Ortigia, dove si trovavano gli abitanti.<ref>Teresa Carpinteri, ''Siracusa, città fortificata'', 1983, p. 14.</ref>
Dopo l'attacco turco, in città si verificò pure una ribellione dei militari Spagnoli, nel mese di agosto: essi esigevano la loro paga, e scagliandosi contro la città (facilmente, poiché nel 1512, su ordine del re Cattolico, era stato buttato giù il muro che divideva i soldati di castel Maniace dalla popolazione, per consentire loro un maggiore controllo), protestarono contro Almerigo, ma crearono gran danno soprattutto agli archivi generali aretusei (essi appiccarono il fuoco al [[Palazzo Arcivescovile (Siracusa)|palazzo vescovile]], sede di importanti documenti).<ref>Alessandro Loreto, Biblioteca alagoniana, ''I libretti musicali della Biblioteca alagoniana di Siracusa'', 2006, p. XXI.</ref> A seguito di ciò, Centelles fu richiamato nuovamente alla corte di Spagna, dove lo attendevano i sovrani, per sapere nei dettagli quanto accaduto.<ref>Cesare Gaetani, ''Annali di Siracusa'', vol. II, f. 15; {{Cita|Privitera, 1879|pp. 145-146}}.</ref>
== La città e la nascita dell'Ordine dei cavalieri di Malta ==
Carlo V aveva accordato al Senato siracusano il permesso di tenere, e all'occorrenza mandare, propri ambasciatori a corte,<ref>Emanuele de Benedictis, ''Siracusa sotto la mala signoria degli ultimi Borboni'', 1861, p. 205; {{Cita|Russo, 2004|p. 16}}.</ref> per cui la città, molto preoccupata dall'avanzare della potenza turca, decise di inviare alcuni dei suoi rappresentanti a [[Madrid]], per informarlo personalmente della grave situazione in cui versavano le fortificazioni aretusee (dopo il conseguimento dei due bastioni difensivi, Carlo aveva richiesto altre fortificazioni, sollecitando più volte i siracusani, ma essi si erano momentaneamente arrestati di fronte alle spese belliche).
A palazzo reale, il 10 luglio 1528, s'incontrarono con il loro concittadino [[Claudio Mario Arezzo]]: egli aveva ricevuto da Carlo il titolo di «''chronista et creado de Vostra Maestà Cesarea''»<ref name=rm/> (figlio del militare siracusano che due decenni dopo tali avvenimenti ordinerà che sotto l'[[Arma (araldica)|arma della città]] venga apposta la scritta «''Nisi fidelitas''»<ref group="N">[[Enrico Arezzo]], barone della [[Targia]], ve la fece incidere con il seguente significato: {{Citazione|''Nisi fidelitas'' per significare che il tempo aveva potuto cancellare tutto in Siracusa, la grandezza, i templi, le mura, ma giammai la fedeltà.|''Miscellanea'' (a cura di), 1903, p. 5.}}
</ref>) e aveva dimorato con il sovrano in [[Germania]] e nelle [[Fiandre]], lo aveva difeso dalle accuse che si erano scatenate contro di lui dopo il sacco di Roma e quando nel maggio del 1527 era stato [[Battesimo|battezzato]] il primo figlio dell'imperatore, [[Filippo II di Spagna|Filippo II]], Claudio aveva già dedicato al futuro re numerosi [[Epigramma|epigrammi]].<ref>Giuseppe (mons.) Cannarella, ''Profili di Siracusani illustri'', 1958.</ref> Quindi, data la vicinanza tra i due, i siracusani decisero di eleggerlo come loro ambasciatore, affidandogli il compito di «implorare il restauro delle mura e delle fortificazioni».<ref name=rm>{{Cita|Russo, Minnella, 1992|p. XI}}.</ref>
Ma Carlo V, cosciente da tempo del pericolo al quale andavano incontro particolarmente Siracusa e la costa della [[Sicilia orientale]], aveva pianificato a breve termine altre mosse per la difesa della città aretusea, cosicché, quando i siracusani giunsero alla sua corte, egli aveva già preso accordi con i [[stato monastico dei Cavalieri di Rodi|cavalieri di Rodi]] - ancora erranti{{#tag:ref|Dopo che il sultano Solimano li sconfisse a Rodi nel gennaio 1523, i cavalieri ospitalieri si rifugiarono dapprima a [[Candia]] e poi a [[Messina]], in seguito lasciarono la città dello [[Stretto di Messina|Stretto]] e cercarono rifugio a [[Napoli]]; lasciata anche la città partenopea approdarono a [[Civitavecchia]], da qui si diressero - sempre in cerca di un luogo definitivo dove stare - a [[Viterbo]]; ancora non appagati nella loro ricerca, navigarono verso Corneto e, successivamente, verso [[Nizza]]. Infine, giunti all'anno 1529, ritornarono in Sicilia e si acquartierarono in un primo momento nel porto di Augusta e infine approdarono nella città di Siracusa.<ref>[[Alberto Elli (egittologo)|Alberto Elli]], ''Storia della Chiesa Ortodossa Tawāhedo d'Etiopia'', 1997, p. 421, n. 196; Alessandro Barbero, Andrea Merlotti, ''Cavalieri: dai Templari a Napoleone'', 2009, p. 121.</ref>|group=N}} - affinché questi venissero nel siracusano, per meglio difendere i confini dell'impero dagli attacchi del sultano turco [[Solimano il Magnifico]].
[[File:ColegioDeSanGregorio20110906182112P1130018.jpg|miniatura|upright=0.9|Busto di Carlo V negli anni '20 del '500 ([[museo nazionale di scultura]], Spagna, [[Valladolid]])]]
{{Citazione|Durante questo tempo il gran maestro visitò diverse corti e nel 1525 venne in Spagna, dove ricevette i maggiori ossequi da Carlo V e Francesco I, in quel periodo prigioniero a Madrid. Vedendo il suo ordine errante e senza sicuro asilo, [[Philippe de Villiers de L'Isle-Adam|Filippo di Villiers]] supplicò Carlo V affinché cedesse le isole di Malta e Gozo, con il fine di farvi stabilire in esse i cavalieri di Rodi; però, l'imperatore, temendo un'irruzione in Italia da parte di Solimano, li chiamò a Siracusa.|Tiron, abate, ''Historia y trajes de las Ordenes Religiosas'', vol. II, 1854, p. 8.|Durante este tiempo visitó el gran maestre diferentes cortes y en 1525 vino a España, donde recibió las mayores distinciones de Carlos V e de Francisco I, á la sazon prisionero en Madrid. Viendo a su órden errante y sin asilo cierto, suplicó Felipe de Villers á Carlos V cediera las islas de Malta y Gozo á fin de que pudiesen establecerse en ellas los caballeros de Rodas; pero temiendo el emperador una irrupcion en Italia por parte de Soliman, los llamó á Siracusa.|lingua=es}}
Il 4 dicembre 1524<ref name=ordinedimalta>''Storia dei Gran Maestri e cavalieri di Malta con note e documenti giustificativi dall'epoca della fondazione dell'ordine a' tempi attuali: Epoca terza dalla cacciata dell'ordine da Rodi, suo stabilimento in Malta fino all'ultimo Gran Maestro'', vol. 3, 1853, pp. 54-58</ref>, quindi ancor prima della petizione del 1525 fatta a Carlo dal Gran Maestro in persona, i cavalieri erranti di Rodi avevano mandato all'imperatore due ambasciatori straordinari, con il compito di convincerlo a «prestare o affittare<ref name=ordinedimalta/>» la città di Siracusa, e il suo porto, con ogni sua giurisdizione all'Ordine giovannita, fino a quando [[Malta]] e [[Gozo]] (che, su proposta di papa Clemente VII, erano state ritenute un buon sito per farvi stabilire l'Ordine) non fossero state meglio munite.<ref name=ordinedimalta/> Tuttavia, Carlo V negò loro la, se pur temporanea, cessione di Siracusa, ed anzi li disse che, al suo posto, includeva con Malta e Gozo (le quali, specificò, rimanevano comunque parte del [[regno di Sicilia]]) la rocca di [[Tripoli]], in [[Africa]], che però era circondata da nemici, esortandoli ad accettare quanto lui stava proponendoli.
{{Citazione|In quanto poi al concedere la città e il porto di Siracusa, non pareva a S. M. [Sua Maestà] conveniente, posciacché essendo Tripoli assai forte, intendeva che quivi e in Malta quanto prima i cavalieri si ritirassero.|[[Giacomo Bosio]], P. III, lib. 2, p. 27.<ref>Cit. in ''Storia dei Gran Maestri e cavalieri di Malta [...]'', vol. 3, p. 56.</ref>}}
Il [[Gran maestro]] [[Philippe de Villiers de L'Isle-Adam]] non fu soddisfatto delle risposte ricevute a corte, e per lungo tempo meditò di provare a riprendere l'isola di Rodi, nella quale egli e i suoi cavalieri sarebbero stati sovrani assoluti e non [[vassallo|vassalli]] di Carlo V. Il papa Clemente VII, però, li convinse a non rifiutare subito quanto offerto da Carlo, aspettando l'evolversi degli eventi (ancora nel 1528 il Gran Maestro spediva messi all'imperatore chiedendogli d'aiutarlo a riprendere in armi la dimora di Rodi<ref>Cit. in ''Storia dei Gran Maestri e cavalieri di Malta [...]'', vol. 3, p. 85.</ref>).
[[File:Veduta di Siracusa e dell'Etna.jpg|miniatura|upright=1.9|sinistra|La città di Siracusa vista dall'interno della baia del suo [[Porto di Siracusa|porto Grande]]; sullo sfondo il [[monte Etna]]]]
Fu così che, mentre erano in pieno corso le trattative finali sul futuro dell'Ordine gerosolimitano, tutti i cavalieri, il 12 luglio del [[1529]], lasciarono solennemente la [[Francia]],<ref name="Castanos363">Cátedra General Castaños, ''El emperador Carlos y su tiempo: actas, IX Jornadas Nacionales de Historia Militar, Sevilla, 24-28 de mayo de 1999'', 2000, p. 363.</ref> loro ultimo ricovero in linea temporale, e (vi è chi dice su consiglio<ref>Giovanni Pozzi, ''Polizia degli spedali '', vol. 18, 1830, p. 180.</ref> o volere di Carlo V e chi dice che fu una loro iniziativa<ref>Isidoro Escagües, ''La Huella de España en Sicilia'', 1951, p. 107; ''La Orden de Malta en España (1113-2013)'', vol. I (a cura di), 2015, pp. 339-340.</ref>) si diressero verso Siracusa.<ref group=N>Poco prima di partire, il Gran Maestro aveva mandato i suoi ambasciatori dal papa, che era in viaggio verso il Nord Italia per andare a incontrare Carlo V, in modo da avvisarlo che la Religione accettava quanto proposto da Carlo V (ancora non ufficializzato) e che si stavano dirigendo verso Matla. Vd. cronista dell'Ordine Bosio in ''Storia dei Gran Maestri e cavalieri di Malta [...]'', vol. 3, p. 90.</ref>
La loro prima sosta su questa rotta fu [[Augusta (Italia)|Augusta]], nella quale approdarono il 13 settembre 1529<ref name="Castanos363" /> (o secondo altri documenti il 27 settembre<ref>Ubaldino Mori Ubaldini, ''La marina del Sovrano militare ordine di San Giovanni di Gerusalemme, di Rodi e di Malta'', 1971, p. 125.</ref>). Il Gran Maestro voleva però prendere dimora, insieme a tutta la Religione, nel capoluogo aretuseo<ref name=archivioso>''Archivio storico per la Sicilia orientale'', vol. 30-31, 1934, p. 38.</ref> quindi, saputo ciò, i siracusani si riunirono nel loro Senato il 23 settembre per discutere della delicata faccenda e decidere come comportarsi; data la particolarità e importanza degli ospiti che volevano entrare in città.<ref name=archivioso/> Infine si diede loro risposta ampiamente positiva e l'Ordine crociato di Gerusalemme si trasferì a Siracusa il 7 ottobre del 1529, di giovedì.<ref name="Russo15">{{Cita|Russo, 2004|p. 15}}.</ref>
[[File:Villiers de l Isle-Adam.jpg|miniatura|upright=0.9|Ritratto del Gran Maestro Philippe de Villiers de L'Isle-Adam; egli fu l'ultimo dei cavalieri a lasciare Siracusa]]
L'armata che approdò era composta da 12 [[Galea|galee]] (nelle quali viaggiavano anche le [[Reliquia|reliquie]] che avevano custodito a Rodi, un tempo appartenute ai [[Templari]]<ref>Cátedra General Castaños, ''El emperador Carlos y su tiempo: actas, IX Jornadas Nacionales de Historia Militar, Sevilla, 24-28 de mayo de 1999'', 2000, p. 363; ''La Orden de Malta en España (1113-2013)'', vol. I (a cura di), 2015, p. 343; Alessandro Barbero, Andrea Merlotti, ''Cavalieri: dai Templari a Napoleone: storie di crociati, soldati, cortigiani'', 2009, pp. 76, 96.</ref>), ornate di nero in segno di lutto, a causa della sconfitta subita. Sul molo si radunò la popolazione, ammutolita,<ref name="Carpinteri15" /> e i suoi rappresentanti politici e religiosi: Almerigo Centelles con tutto il Senato e Ludovico Platamone<ref group=N>Così sostengono numerose fonti; si tenga però conto che Ludovico risulta esiliato da Ettore almeno fino al 1531 (anche se continuò comunque a governare la chiesa siracusana) e ciò non esclude un suo momentaneo ritorno per accogliere i cavalieri. Al riguardo vd: {{Cita|Russo, 2004|p. 15}}; Società siciliana per la storia patria, ''Archivio storico siciliano'', 1969, p. 95; Nunzio Agnello, ''Il monachismo in Siracusa: cenni storici degli ordini religiosi soppressi dalla legge 7 luglio 1866'', 1891, p. 22.</ref> con il clero. I cavalieri, in atteggiamento e vesti da penitenti, vennero accolti benevolmente.<ref name="Russo15" /> Ai siracusani erano note le gesta dei cavalieri di Rodi; essi, tra l'altro, erano presenti in città, con chiese e immobili di loro appartenenza, fin dal [[XIII secolo]].<ref>Angela Scandaliato, Nuccio Mulè, ''La sinagoga e il bagno rituale degli ebrei di Siracusa'', 2002, p. 50; {{Cita|Russo, 2004|p. 14}}.</ref>
Un siracusano fu inoltre legato proprio alla nascita di questo antico Ordine: [[Simeone di Siracusa|Simeone da Siracusa]] (primo santo a essere [[canonizzazione|canonizzato]]<ref group=N>In quanto il suo fu il primo processo apostolico di canonizzazione svolto e poi attuato; verificatosi tra la [[Diocesi di Treviri|sede ecclesiastica tedesca di Treviri]] e la Santa Sede (pontefice [[Benedetto IX]]). Vd. Società siciliana per la storia patria, ''Archivio storico siciliano'', 1969, pp. 67-68; ''Studi meridionali'', vol. 13-14, 1980, p. 211.</ref>), quando tutto il territorio aretuseo era sotto la dominazione musulmana, nell'[[XI secolo]], lasciò la patria e divenne monaco a [[Betlemme]], e per sette anni guidò e scortò i [[Pellegrinaggio|pellegrini]] che volevano visitare la [[Terra santa]]. Divenuto primo duce o capo-ospitaliere, a Gerusalemme egli fu il rifondatore della [[Ordine di San Benedetto|benedettina]] Sacra Domus Hospitalis; lo stesso ospedale che, durante la sua reggenza, prese il nome di [[San Giovanni Battista]] e divenne l'emblema dell'appena nata confraternita ospitaliera, guidata da [[Gerardo Sasso]] e formata da un gruppo di frati ospitalieri e da alcuni [[Laico|laici]] [[amalfi]]tani, che da quel luogo presero il nome (cavalieri Ospitalieri di San Giovanni in Gerusalemme; in seguito meglio noti come cavalieri di Rodi, dal nome dell'isola dove si trasferirono). Gerardo, dopo la morte di Simeone, sostituì il siracusano nella reggenza dell'ospedale gerosolimitano<ref>Bruno d'Aragona, ''Archivum Historicum Mothycense, n. 1'', 1995 pp. 5-20; Giovanni Battista Caruso, ''Storia di Sicilia'', vol. 3, p. 390; Società siciliana per la storia patria, ''Archivio storico siciliano'', 1969, p. 124.</ref> (l'ordine, militarizzato, ereditò nel [[1312]] tutti i beni dei soppressi cavalieri Templari, su volontà di [[papa Clemente V]]<ref>[[Francesco Ceva Grimaldi]], ''Articolo storico d'Italia diviso in otto epoche riportato nel R. Dizionario enciclopedico di Lipsia ridotto dal tedesco in italiano'', 1853, p. 101.</ref>). A Simeone si attribuisce anche l'inizio dell'opera di predicazione per la liberazione della Sicilia dal potere arabo e quindi il principio delle [[Crociate]].<ref group=N>''Roma e l'Oriente'', rivista criptoferratense per l'unione delle chiese, vol. VII, 1914, p. 141: {{Citazione|ebbe il suo apogeo con le Crociate, promosse da Simeone, gloria dell'Ordine Basiliano e figlio d'Italia, nato a Siracusa verso la metà del sec. X, che a [[Costantinopoli]], al [[Monte Sinai (Egitto)|Sinai]], nella [[Normandia]], dovunque, precorreva di oltre mezzo secolo con la parola accesa di religione e di amor patrio l'opera di [[Pietro l'eremita|Pier l'Eremita]]|}}</ref><ref>Giovanni Battista Caruso, ''Storia di Sicilia'', vol. 3, p. 390.</ref>
[[File:Chevaliers de Rhodes, XVIe siecle.jpg|miniatura|upright=1.0|sinistra|Cavalieri Ospitalieri gerosolimitani del 1500 (dal museo della [[Sacra Infermeria]] de [[La Valletta]], [[Malta]])]]
La sacra milizia rimase un anno nella città d'Aretusa: dall'ottobre del 1529 all'ottobre del [[1530]]. Come prima cosa si diede loro ospitalità: il Gran Maestro prese alloggio presso il palazzo del governatore Almerigo Centelles, ovvero [[palazzo Beneventano del Bosco]], mentre il resto dei cavalieri rodesi vennero sistemati nel [[convento]] [[San Francesco|francescano]] (appartenente all'[[Ordine dei frati minori conventuali]], denominazione nata nel 1517).<ref>Alessandro Musco (a cura di), ''Francescani e la politica: atti del convegno internazionale di studio, Palermo, 3-7 dicembre, 2002'', vol. 2, 2007, p. 95.</ref> S'instituì il loro Ospedale (Sacra Infermeria), e la loro sede principale, nel palazzo di Centelles, di proprietà all'epoca degli Arezzo (e passato in seguito al ramo siracusano dei [[Borgia]], fondatori nel medesimo palazzo della [[Commenda]] aretusea dell'Ordine<ref group=N>Dove attualmente risiede la delegazione [[siracusa]]na-[[ragusa]]na (delegazione Granpriorale) di quel che è diventato in epoca contemporanea il [[Gran priorato di Napoli e Sicilia del sovrano militare ordine di Malta]]. Vd. {{Cita web|url=https://ordinedimaltaitalia.it/gran-priorato-di-napoli-e-sicilia/siracusa-e-ragusa/article/storia-della-delegazione-di-siracusa-e|titolo=Storia della Delegazione di Siracusa e Ragusa|accesso=19 febbraio 2019|urlmorto=sì}}</ref>).<ref>{{Cita|Russo, 2004|p. 15}}; Società siciliana per la storia patria, ''Archivio storico siciliano'', 1969, p. 96.</ref>
All'epoca a Siracusa la gente, spesso, abbandonava i figli per la troppa povertà (i cosiddetti trovatelli o esposti) e i cavalieri, durante la loro permanenza, formarono presso [[Duomo di Siracusa|piazza del Duomo]] un punto di raccolta sanitario dove le madri siracusane potevano affidare a loro i bambini (detto l'ospedale delle donne): essi si facevano carico delle spese necessarie alla crescita del neonato, allevandoli nello stile di vita cavalleresco dell'Ordine (i cavalieri giovanniti erano infatti noti per raccogliere i bambini in Europa, da famiglie in difficoltà economiche, e insegnare loro l'esercizio delle armi e della religione cristiana, senza tuttavia negare alle madri di continuare a vederli<ref>Giuseppe Manara, ''Storia dell'ordine di Malta ne' suoi gran maestri e cavalieri'', 1846.</ref>); circa 60 bambini siracusani li vennero affidati in meno di un anno (il loro ospedale rimarrà operativo in città fino al [[XIX secolo]]<ref group=N>Passando all'[[Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio]].</ref>).<ref>Cfr. Renata Russo Drago, ''I figli dello stato: l'infanzia abbandonata nella provincia di Siracusa dal secolo XIV al fascismo'', 2000, p. 13; Società siciliana per la storia patria, ''Archivio storico siciliano'', 1969, p. 96.</ref> Oltre ciò, i cavalieri edificarono, sempre nel 1529 e a loro spese, un [[Oratorio (architettura)|Oratorio]] dedicato a santa [[Eulalia di Barcellona]]<ref>''Per l'arte sacra rivista bimestrale illustrata'', 1936, p. 30; [[Biagio Pace]], ''La chiesetta della Madonna della Misericordia detta di San Sebastiano'' in ''Mitica Aretusa'', anno I, n. 52.</ref> (secondo altri invece fu dedicato alla Madonna della [[Misericordia]]<ref>Lucia Trigilia, ''Siracusa: architettura e città nel periodo vicereale, 1500-1700'', 1981, p. 131.</ref>), che divenne il luogo delle loro riunioni. Il Gran Maestro concesse anche un prestito finanziario alla città di Siracusa, la quale si trovava a corto di denaro e rischiava di non poter garantire ai propri cittadini il necessario rifornimento di cereali.<ref>{{Cita|Russo, 2004|pp. 14, 16}}.</ref>
Quando i cavalieri presero dimora a Siracusa, Carlo V era in viaggio verso l'[[Italia]] per adempiere alla sua [[Incoronazione di Carlo V|seconda incoronazione imperiale]] (la prima, ufficiale, avvenne nel 1519 e il papa che allora gli mise la corona imperiale sul capo fu Leone X), voluta per sancire la pace appena fatta con il papa Clemente VII ([[pace di Barcellona]]), gli stati italiani del Nord, che in precedenza non lo avevano voluto riconoscere, e il re di Francia Francesco I ([[pace di Cambrai]]), in modo tale che la Cristianità d'Occidente potesse unire le forze e combattere in maniera più efficace la Sublime Porta.
Dopo la solenne cerimonia, svoltasi il 24 febbraio 1530 nella città di [[Bologna]], Carlo un mese dopo si trovava ancora nei confini [[Emilia-Romagna|emiliani]], e fu quindi nel centro urbano bolognese di [[Castelfranco Emilia]] che, il 24 di marzo, consegnò agli ambasciatori dell'Ordine giovannita, diretti a Siracusa, il documento che attestava il loro perpetuo [[feudo|infeudamento]] nelle isole di Malta e di Gozo.<ref>{{Cita|Russo, 2004|p. 14}}; ''La Orden de Malta en España (1113-2013)'', vol. I (a cura di), 2015, p. 347.</ref>
[[File:Ritratto di Carlo V, Valencia.jpg|miniatura|upright=0.9|Carlo V al principio delle [[Guerre ottomano-asburgiche|guerre turco-asburgiche]] (anni '30 del '500)]]
Giunto in terra aretusea il foglio imperiale, i cavalieri lo lessero e riunendosi in capitolo il 15 aprile 1530, decisero di accettare ufficialmente la concessione così come voleva Carlo. Il 25 maggio di quello stesso anno, anche il papa ufficializzò la nuova sede dei cavalieri di Gerusalemme. Gli ambasciatori dei cavalieri, a nome della Religione, andarono a giurare in giugno (o secondo altri il 29 maggio<ref>''Giornale cattolico intitolato Le conversazioni di Filoteo'', 1841, p. 171.</ref>), prima nelle mani del [[viceré di Sicilia]], Ettore Pignatelli, a Messina, e in seguito a Malta.
Nel contempo, i Maltesi, gli abitanti originari dell'antica isola, spedirono a Siracusa, per l'Ordine, le loro volontà: essi al principio avevano visto la cessione della loro isola ai cavalieri come un atto di prepotenza e usurpazione da parte di Carlo V (si trattava pur sempre di un Ordine religioso a regime militaresco, che oltre alla protezione avrebbe anche attratto molti nemici nella loro sede), ma quando videro che l'imperatore s'impegnava a tutelare gli interessi della popolazione, decisero di accettare pacificamente i nuovi venuti, rendendo loro omaggi con la carta di Siracusa.<ref>Giuseppe Maria De Piro, ''Squarci di storia e ragionamenti sull'isola di Malta, in confutazione di una gran parte di ciò che alla stessa si riferisce nel 1. volume dell'opera inglese intitolata Turkey, Grece, and Malta by Adolphus Slade'', 1839, p. 56.</ref>
Inoltre, il 15 luglio 1530, essi mandarono ambasciatori in città (Paolo de Nasia, Giovanni Cavalar, Francesco Platamone e Pietro Magnare) per compiere l'atto di obbedienza ai cavalieri a nome del Senato e del popolo maltese.<ref>Eugenio Casanova, ''Archivi: Archivi D'Italia E Rassegna Internazionale Degli Archivi'', 1959, p. 274.</ref> Il Gran Maestro, il giorno dopo, 16 luglio 1530, rilasciò loro la [[Bolla (documento imperiale)|bolla]] che confermava l'inviolabilità dei privilegi dei Maltesi da parte dei cavalieri:
{{Citazione|Comandiamo nello stesso tempo a tutti e singoli fratelli del nostro Convento, qualunque autorità, dignità, ed officio si godessero, presenti e futuri, che non presumano fare giammai cosa in contrario alle presenti nostre confermazioni e ratifiche, anzi ne procurino inviolabile osservanza. In attestazione delle quali cose, è a l'atto presente appesa la nostra bolla di piombo. Dato a Siracusa, nel nostro Convento, il dì 16 luglio, 1530.|Gran Maestro [[Philippe de Villiers de L'Isle-Adam]], ai Maltesi, Siracusa, 16 luglio 1530.<ref>Cit. in Giovanni Antonio Vassallo, ''Storia di Malta'', 1854, p. 339.</ref>}}
Poco alla volta, la "Religione" iniziò a lasciare il capoluogo aretuseo per prendere possesso di Malta. Rimaneva ancora il Gran Maestro a Siracusa, poiché egli stava aspettando che Carlo V risolvesse alcune questioni fiscali pendenti con il viceré Ettore, che rischiavano di far saltare l'accordo. Egli era disposto a rimanere a oltranza in città, fino a quando non fosse stato ascoltato. Quando finalmente gli ultimi problemi si risolsero, il Gran Maestro ordinò che venisse spedito a Palermo il [[falco]]ne annuale richiesto da Carlo come simbolo (e unico pegno) del loro vassallaggio nei suoi confronti, poi fece caricare nelle galee le reliquie, gelosamente custodite, e lasciò Siracusa il 26 ottobre 1530, approdando nella vicina Malta<ref>''La Orden de Malta en España (1113-2013)'', vol. I (a cura di), 2015, p. 349.</ref>. Da allora l'Ordine dei cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, fu comunemente conosciuto come [[Ordine dei cavalieri di Malta]].
== La guerra contro l'impero ottomano ==
=== Nuove fortificazioni ===
[[File:Siracusa, Ortigia, Porta Marina.jpg|miniatura|upright=0.8|sinistra|Ortigia, la [[porta della Marina]] (detta dell'Aquila). Durante il regno di Carlo V vennero nuovamente alzate le mura di Siracusa e in essa si entrava e si usciva solo attraverso tali porte]]
Il re di Sicilia temeva che Solimano il Magnifico stesse tramando di attaccare i suoi domini nell'isola maggiore del [[Mar Mediterraneo|Mediterraneo]], e che l'accanita lotta che stava conducendo il sultano per entrare nel [[Nord Europa]] (vi erano già stati degli scontri in Germania, quindi Carlo disponeva difese per l'[[Austria]] e l'[[Ungheria]]) potesse improvvisamente spostarsi in terra siciliana. Per tale motivo egli, il 17 maggio del [[1531]], ordinò al viceré Ettore di aprire una seduta speciale del parlamento isolano, durante la quale, oltre all'ordinario donativo regio di 300.000 fiorini annui, ne chiedeva altri 100.000 da adoperarsi specificatamente solo per [[Siracusa]], [[Trapani]] e [[Milazzo]], giocando queste tre realtà geografiche un forte ruolo per la difesa del Regno.<ref>Giovanni Evangelista di Blasi e Gambacorta, ''Storia civile del regno di Sicilia'', 1817, pp. 67-68.</ref>
Il parlamento diede esito positivo alla richiesta di Carlo, e i 100.000 fiorini sarebbero stati pagati con rate annue da 20.000 fiorini ciascuna. Le città della Camera reginale però (che, come in passato, ne volevano sapere molto poco delle faccende economiche del capoluogo) protestarono, anche se la parte di donativo che si esigeva da esse poteva dirsi modesta, rispetto a quella concessa da diverse altre città siciliane.
[[File:Ottoman Empire 16-17th century-fr.svg|miniatura|upright=1.1|I confini dell'impero ottomano nel secolare periodo del suo apogeo]]
La situazione bellica peggiorò e da [[Costantinopoli]] arrivarono notizie allarmanti su una grossa flotta che il sultano aveva intenzione di spedire contro la Sicilia. Quindi Carlo, il 7 marzo del [[1532]], chiamò un altro parlamento straordinario, stavolta per richiedere un aumento di soldati, ancora a spese dei siciliani. I soldati dovevano essere nativi dell'isola - i soldati spagnoli formavano un altro tipo di conteggio - e dovevano raggiungere le 10.000 unità.
Solimano il Magnifico divenne un'ossessione per Carlo, e lo fu anche per Siracusa, poiché più l'imperatore temeva che i suoi domini potessero essere attaccati, e più i siracusani venivano rinchiusi nella loro città: ben presto il libero commercio navale dell'area aretusea si bloccò e si aprì piuttosto alla servitù militare, anche se Carlo pare s'impegnasse affinché i siracusani subissero il meno possibile gli inevitabili abusi che comportava l'avere in seno una numerosa guarnigione di soldati.<ref>Isidoro Escagües, ''La Huella de España en Sicilia'', 1951, p. 107.</ref>
l'11 dicembre 1532 morì Almerigo Centelles e i siracusani elessero il loro ultimo governatore della Camera: [[Lluís Gilabert]], il quale però fu inviso ai cittadini e venne in un periodo teso, dove tutte le attenzioni erano rivolte alla causa bellica, per cui il suo ruolo veniva spesso scavalcato dagli altri senatori della Camera, che preferivano rivolgersi direttamente all'imperatore.
Nel novembre del [[1533]] il viceré Ettore scrisse a Sua Mestà rendendolo partecipe del fatto che stava spedendo a Siracusa l'ingegnere militare [[Bergamo|bergamasco]] [[Antonio Ferramolino]], per fargli studiare e sviluppare le fortificazioni aretusee (il Ferramolino era diretto da Carlo ma si trattenne in città per via delle costruzioni).<ref>''Documenti per servire alla storia di Sicilia'', 1896, p. 18.</ref> Il 1533 fu l'anno in cui il sovrano di Spagna diede l'avvio al restauro delle antiche mura siracusane, per far circondare con esse, e con i bastioni, tutta l'isola di Ortigia, in modo tale da non dare nessun punto scoperto al nemico.<ref>''Storia della città'' (a cura di), vol. 1-5, 1976, p. 12; Silvio Govi, ''L'Universo'', vol. 81, ed. 5-6, 2001, p. XI; {{Cita|Carpinteri, 1983|pp. 55-56}}.</ref>
Carlo V fece inoltre interrare il porto Marmoreo dei Greci, il ''Lakkios'' (odiernamente detto anche il porto Piccolo), poiché troppo difficile da difendere con le forze a disposizione, cosicché le navi avversarie non vi si potessero annidare<ref>[[Gaetano Moroni]], ''[[Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica]]'', vol. 66, 1854, p. 304.</ref> (non risulta invece veritiera la notizia secondo la quale Carlo V diede l'ordine di guastare il porto Grande di Siracusa, a causa della sua preoccupante vastità,<ref>Guglielmo Capozzo, ''Memorie su la Sicilia tratte dalle più celebri accademie e da distinti libri di societa letterarie'' [...], 1842, vol. 3, p. 385.</ref> dato che figura invece nell'elenco dei soli 5 porti siciliani che l'imperatore voleva si mantenessero a pieno ritmo militare<ref group=N>Per non dare troppi rifugi ai pirati e agli Ottomani, Carlo V ordinò che si guastassero i porti secondari della Sicilia, salvando solo i principali di Siracusa, Augusta, Palermo, Trapani e Messina. Vd. [[Società di studi geografici|Società di studi geografici di Firenze]], ''Rivista geografica italiana'', vol. 17, 1910, p. 587.</ref>).
=== I soldati Spagnoli giunti da Corone e la venuta di Carlo V in Sicilia ===
Nella primavera del [[1534]], dopo che l'[[Armada spagnola]] (la stessa che l'anno successivo sarà impegnata a Tunisi) subì una sconfitta per opera degli Ottomani [[Assedio di Corone|nella greca Corone]] (1534), le navi, con a bordo alcuni marinai affetti dalla peste e per questo tenuti separati dal resto delle ciurme, vennero in Sicilia, a Messina, per pretendere dal viceré Ettore il loro stipendio da soldato al fedele servizio dell'imperatore. Ma avendo il viceré timore di un contagio, divise l'Armada e (dopo aver tentato invano di convincere gli Spagnoli a ritirarsi presso l'[[isola di Favignana]]) assegnò quei capitani con i relativi soldati e marinai a diverse città, quasi tutte della costa orientale, dove sarebbero dovuti stare quaranta giorni in isolamento ([[quarantena]]) prima di poter circolare tra le popolazioni siciliane. Ettore quindi ordinò che la nave del capitano Francisco Sarmiento approdasse ad Augusta e quella di [[Luis Picaño]] e di Alonso Carrillo a Siracusa.
Il resto dell'Armada riuscì a entrare e a prendere l'alloggio assegnato senza difficoltà (tra [[Cefalù]], [[Taormina]] e Catania); anche ad Augusta si riuscì a trovare una soluzione dopo un momento di iniziale tensione, facendo sbarcare l'equipaggio spagnolo presso [[Megara Iblea]], sita sempre nel perimetro [[Augusta (Italia)|augustano]] (qui gli Spagnoli si costruirono degli alloggi di fortuna con le pietre raccolte tra le vie dell'antica città distrutta in epoca greca<ref name="Cerezeda">[[Martín García Cerezeda]], ''Tratado de las campañas y otros acontecimientos de los ejércitos del emperador Carlos V en Italia, Francia, Austria, Berberia y Grecia: desde 1521 hasta 1545'', ed. 1873, pp. 433-449.</ref>), ma dove la situazione apparve critica, per i soldati dell'Armada, fin dal principio, fu Siracusa: questa città (la quale era già stata visitata dall'intera Armada un paio di giorni prima, per rifornirsi di viveri, dopo che aveva provato ad attraccare a Malta) non ne volle sapere di accogliere la nave militare, possibilmente infetta, e se anche i due capitani mostrarono al governatore della Camera il foglio di accesso rilasciato dal viceré, ciò non servì a permettere loro la discesa a terra.<ref name=Cerezeda/>
Quando i capitani, spazientiti, accusarono i siracusani di essere indisponenti nei confronti dell'imperatore, per tutta risposta si videro puntate velocemente le armi addosso, decisero quindi di ritornare momentaneamente a bordo della nave, visto il dieciso rifiuto. La situazione peggiorò e intervenne anche il capitano della guarnigione spagnola della città, [[Hernando de Vargas]], con il compito di mediatore tra le due parti. Il Senato siracusano impose allora agli Spagnoli di consegnargli le armi, se volevano restare dentro le mura della città per la quarantena:
{{Citazione|I capitani e i soldati, vedendo ciò, si meravigliarono molto di come il comune di Siracusa avesse l'ardire di domandare quello che nessuno mai li aveva domandato.<ref>Martín García Cerezeda, ''Tratado de las campañas y otros acontecimientos de los ejércitos del emperador Carlos V... desde 1521 hasta 1545'', ed. 1873, p. 437.</ref>||Viendo esto los capitanes y soldados, fueron muy meravillados como el comun de Zaragoza tuviese tanta osadìa de demandar lo que jamas nadie le demandò.|lingua=es}}
[[File:Castello della Targia.png|miniatura|Il [[castello della Targia]] (nel feudo [[XIII secolo|Duecentesco]])]]
[[File:Santa Panagia.jpg|miniatura|left|L'area della Targia, dove i militari spagnoli, unitisi con quelli di Megara, volevano ingaggiare lo scontro armato contro i siracusani che giungevano da Ortigia]]
I capitani, sdegnati, infine risposero che «''siendo tan buenos soldados, nunca rindieron sus armas á otra ninguna persona, y que ántes perderian las vidas cada uno por sí que rendir sus armas á persona ninguna de ninguna condicion que fuese''<ref group=N>Martín García Cerezeda: {{Citazione|Essendo degli ottimi soldati, mai consegnarono le loro armi, a nessuno, e che prima di fare una cosa del genere si toglierebbero la vita uno dopo l'altro, tra essi stessi, anziché consegnare le loro armi ad altra persona, qualsiasi fosse la condizione|''Tratado de las campañas y otros acontecimientos de los ejércitos del emperador Carlos V en Italia, Francia, Austria, Berberia y Grecia: desde 1521 hasta 1545'', ed. 1873, p. 436.}}</ref>».
Il 4 maggio, senza trovare un accordo, i capitani e i soldati vennero fatti sbarcare fuori dalla città, ma sempre nel territorio comunale («''en el señorío de Zaragoza''»<ref name=Cerezeda/>), presso la [[Geografia antropica di Siracusa#Targia|Targia]], dove sorgeva l'omonimo castello (oltre la «''punta de Santa Panaya''», ovvero [[Capo Santa Panagia]]). Alcuni siracusani, però, volendoli allontanare definitivamente dai loro domini, li seguirono e lanciarono loro qualche colpo di [[artiglieria]]. I capitani dell'Armada spagnola, a questo punto oltremodo contrariati e sorpresi,<ref name=Cerezeda/> si riunirono con i loro vicini di Megara Iblea, per decidere che fare con i siracusani.
Dopo aver stabilito di voler «''dalles tal castigo á los de Zaragoza que otros no pudiesen hacer otro tanto como aquéllos habian hecho''» («dare ai siracusani un castigo tale che altri non potrebbero fare tanto come quello che loro avevano fatto»),<ref name=Cerezeda/> si prepararono ad assalirli, ma fortunatamente intervenne il signore di [[Melilli]] (la cui altura padroneggiava l'area sottostante e poté vedere lo spettacolo che i soldati stavano dando alle popolazioni limitrofe), [[Antonio Branciforte (signore di Melilli)|Antonio Branciforte]], che prese le difese dei siracusani, dando loro ragione (Siracusa era una città che, proprio per avere vocazione mercantile, aveva patito più e più volte per le devastanti epidemie della peste, per cui adesso diffidava profondamente), e li convinse a non attaccare coloro che invece avrebbero dovuto proteggere.<ref name=Cerezeda/> Gli Spagnoli acconsentirono e si calmarono, anche se il capitano alloggiato a Megara, Francisco Sarmiento, rimase del parere che l'Armada avrebbe dovuto «castigare gente talmente ribelle, come avevano dimostrato di essere i siracusani» e che la prossima volta non avrebbero dovuto ascoltare le preghiere di nessuno.<ref name=Cerezeda/>
Passarono i quaranta giorni richiesti (durante i quali i soldati progettarono l'ammutinamento contro il viceré Ettore che non voleva pagarli nella maniera che essi ritenevano più opportuna) e alla fine, dato che gli Spagnoli risultarono essere non affetti dalla peste, venne permesso loro di sbarcare dentro la città, il 4 luglio 1534.<ref name=Cerezeda/>
Il mese successivo di quell'anno (agosto 1534) la Sublime Porta riuscì a conquistare una pericolosa base navale presso [[Tunisi]], grazie all'operato del suo nuovo ammiraglio [[Khayr al-Din Barbarossa]] (la cui ultima azione da pirata libero fu proprio contro le navi di Siracusa, nel luglio del 1533, prima che Solimano il Magnifico lo ingaggiasse tra le sue schiere, quello stesso mese<ref>[http://www.archiviostoricoeoliano.it/sites/www.archiviostoricoeoliano.it/files/vita%20di%20Ariadeno%20Barbarossa.pdf ''La vita di Kheir-ed-Din, Hayreddin, Haradin, Ariadeno Barbarossa'' in Archivio storico eoliano].</ref>).
Carlo V, che nel medesimo periodo inviava una lettera al viceré Ettore chiedendogli di provvedere «ai bisogni particolari di Siracusa»<ref>Cesare Gaetani, ''Annali di Siracusa'', vol. 2, f. 19;</ref> (in quanto la città sentiva che i propri privilegi non venivano rispettati), ricevette la richiesta d'aiuto da parte del legittimo re di Tunisi, [[Muley Hassan]], il quale sperava che l'imperatore potesse aiutarlo a riprendersi il suo regno. Carlo acconsentì, in modo tale da riuscire a far allontanare la Sublime Porta dai confini siciliani.
Alla [[conquista di Tunisi (1535)]] partecipò l'imperatore in persona. I capitani che in precedenza erano stati protagonisti del tentato sbarco a Siracusa, vennero chiamati da Carlo a guidare le truppe spagnole in terra africana, al suo fianco. La guarnigione siracusana venne chiamata anch'essa in questa impresa, per cui Hernando de Vargas raggiunse il resto della numerosa Armada imperiale che, giungendo da più parti d'Europa, si riunì nelle acque della [[Sicilia occidentale]] e da lì passò, sotto la guida di Carlo, nei domini di Barbarossa. Ai suoi soldati l'imperatore tenne un discorso sull'ammutinamento; su quanto egli detestasse tale pratica e la trovasse da vili. Li esortò quindi a non tradire la sua fiducia, dimostrando quanto egli tenesse al servizio che gli offrivano, dato che era disposto a morire lì, con loro, nella terra di ''Barbería''.<ref>Martín García Cerezeda, ''Tratado de las campañas y otros acontecimientos de los ejércitos del emperador Carlos V en Italia, Francia, Austria, Berberia y Grecia: desde 1521 hasta 1545'', vol. II, ed. 1873, pp. 10-11.</ref>
La spedizione spagnola contro il pirata al servizio di Solimano infine andò bene: Carlo V, dopo aver espugnato [[La Goletta]], prese Tunisi e vi cacciò il Barbarossa. Approdò quindi trionfante in Sicilia.
L'itinerario siciliano di Carlo, solenne e celebrativo, non comprese una tappa a Siracusa; del resto troppo distante dal taglio tutto settentrionale che il suo ''entourage'' organizzò per fargli attraversare l'isola internamente (egli prese la via delle montagne) fino allo [[Stretto di Messina|Stretto]], lontano dalle coste, dove vi era il pericolo d'incursioni piratesche e turche (approdò in Sicilia il 20 di agosto del 1535 e la lasciò il 3 novembre dello stesso anno). Mentre Carlo si trovava ancora nella loro isola, i siracusani si sentirono in dovere di fargli dei doni<ref name=donativo/>, per cui inviarono dei loro rappresentanti per raggiungerlo e incontrarlo nei luoghi dove egli aveva preso dimora:
{{Collage | Storie della Genesi La Creazione dell'uomo.jpg | Storie della Genesi La Creazione degli animali.jpg | Storie della Genesi Il Creatore che separa la luce dalla tenebre.jpg | Storie della Genesi Il Creatore che divide il giorno dalla notte.jpg | 240 | right | Quattro delle sette tavole siracusane raffiguranti la Storia della [[Genesi]], risalenti al [[XVI secolo]] e attribuite al pittore [[Creta (Grecia)|cretese]] [[Emanuele Lampardo]] ([[museo di Palazzo Bellomo]], [[Ortigia]])}}
Fu mandato al suo cospetto il patrizio [[Giovanni Bellomo]], con il compito di consegnargli un donativo regio (volontario, poiché la città era esentata dal compiere tale pratica, per il suddetto privilegio confermatole dallo stesso Carlo nel 1519) che non sfigurasse se comparato alla ricchezza, ben più evidente, di cui godevano le maggiori città siciliane (d'altronde i siracusani avevano puntato tutto sulla fedeltà da mostrare ai loro monarchi di Spagna, piuttosto che su una floridezza economica ormai non più possibile da tempo<ref name=gargallo>[[Tommaso Gargallo]], ''Memorie Patrie Per Lo Ristori Di Siracusa'', 1791, vol. 1, p. 148, n. 1.</ref>).
Carlo V accolse e accettò benignamente (o graziosamente<ref name=donativo>''La Fiera letteraria'' (a cura di), vol. 2, 1973, p. 9.</ref>) il dono fattogli dai siracusani.<ref>{{Cita|Privitera, 1879|p. 148 }}.</ref> I quali però non dissero all'imperatore che per mettere insieme i soldi il loro comune aveva dovuto vendere ai privati uno degli unici due feudi che gli erano rimasti (fu venduto il feudo del Pantano).<ref name=gargallo/> Oltre ciò, il comune di Siracusa volle fare incidere una lapide per ricordare ai posteri l'impresa che Carlo quell'anno aveva compiuto: «''Carolo V Caesare et Isabella regnantibus | Post captum Tuneta | Respublica Syracusana | Mense Augusto 1535''».<ref>[[Giuseppe Maria Capodieci]], ''Iscrizioni Siracusane'', foglio 97 in {{Cita|Privitera, 1879|p. 144}}; ''Archivio storico siciliano'', 1922, p. 238.</ref>
La città di [[Caltagirone]] mandò allo stesso tempo come suo ambasciatore a Carlo il patrizio [[Filippo Bonanno]], barone di [[Canicattì]] (erede di una [[Bonanno (famiglia siciliana)|famiglia toscana]] trasferitasi prima a Palermo e poi nel centro [[Monti Erei|ereo]]-[[Monti Iblei|ibleo]]), il quale, avendo sposato la siracusana [[Eleonora Platamone]], divenne per diritto [[More uxorio|uxorio]] cittadino siracusano<ref>{{Cita|Russo, 2004|p. 51}}.</ref> e, per fare cosa gradita all'imperatore (essendo divenuto «amatissimo di quel Sire»<ref name=bonanno>Ulisse Diligenti, ''Storia delle famiglie illustri italiane'', vol. 5, 1890, cap. ''Bonanno di Palermo''.</ref>), come segno di devozione si impegnò a mantenere a sue spese una compagnia di 200 uomini armati da piè per tre mesi nella città aretusea, per meglio difenderla in quei frangenti concitati. E visto che per la corte spagnola Siracusa aveva sempre bisogno di soldati e fortificazioni, il suo fu un dono elogiato (Filippo fu il capostipite dei Bonanno siracusani, con lui gli averi di questa famiglia vennero amministrati da Siracusa, dove nasceranno i primi duchi di [[Montalbano Elicona|Montalbano]] e i principi di [[Linguaglossa]], [[Cattolica Eraclea]] e [[Principato di Roccafiorita|Roccafiorita]]).<ref name=bonanno/>
=== Il viceré Gonzaga, Andrea Doria e l'ammutinamento dei soldati ===
Il 7 marzo 1535 era morto il viceré Ettore, e Carlo durante la sua permanenza in Sicilia aveva nominato come suo successore [[Ferrante I Gonzaga]]; ebbe l'ordine di preparare le difese cruciali dell'isola, per questo motivo egli venne fin da subito a Siracusa e ad Augusta (la quale preoccupava non poco l'intera corte spagnola, avendo grandi spazi costieri accoglienti e abbandonati<ref>Martín García Cerezeda, ''Tratado de las campañas y otros acontecimientos de los ejércitos del emperador Carlos V... desde 1521 hasta 1545'', ed. 1873, p. 430-432.</ref><ref>Antonio Sánchez-Gijón, ''Fortalezas y castillos españoles de Italia. La fortificación como Arte Real'', 2012, p. 120.</ref>).
[[File:Sebastiano Ricci 035.jpg|miniatura|upright=0.9|sinistra|La pace momentanea tra Francesco I e Carlo V, sancita da [[papa Paolo III]] nel 1538 (la Francia seguiterà con l'alleanza ottomana anche in seguito alla breve tregua con la Spagna)]]
Gonzaga, dopo aver perlustrato tutta la Sicilia orientale, definì Siracusa come l'unica vera fortezza tirata su in questa grossa fetta del Regno (che poi era la parte più esposta al pericolo, perché, come disse all'imperatore, era la più fertile e quella di più facile accesso<ref name=gonzaga>Fernand Braudel, ''El Mediterráneo y el mundo mediterráneo en la época de Felipe II'', vol. 2, 2015, cap. ''Por el centro del mar''.</ref>), mentre Catania e Messina vennero da egli bellicamente definite «''abandonate et senza alcuno pensamento di defenderle''<ref name=gonzaga/>», per cui avvertì che: «''Ritrovasi una sola fortezza che è quella di Syracusa''<ref>Gozaga cit. in Russo, Mela, ''Siracusa medioevale e moderna'', 1992, p. XI.</ref>».<ref>Sulla relazione di Gonzaga vd. anche: Antonio Sánchez-Gijón, ''Fortalezas y castillos españoles de Italia. La fortificación como Arte Real'', 2012, pp. 119-120.</ref>
Il viceré rimase a lungo nel siracusano. Il suo fu un governo travagliato, poiché capitò nel mezzo della guerra di Carlo alla potenza turca: era incaricato di chiedere sempre più denaro a una Sicilia già stremata, per sostenere le spese belliche. Al principio del suo vicereame i siracusani furono costretti a pagare 5.000 [[Scudo (moneta)|scudi]] per proseguire con le fortificazioni (ma arriveranno a versare per la difesa di quel periodo fino a 22.000 scudi).<ref>[[Giuseppe Giarrizzo]], ''La Sicilia moderna dal vespro al nostro tempo'', 2004, p. 32.</ref>
[[File:Castello Maniace dal mare.jpg|miniatura|upright=1.3|Il castello Maniace visto dal suo lato frontale, quello delle bocche dei cannoni. Esso ospitò sia Ferrante Gonzaga sia Andrea Doria nel 1540-41]]
Nel [[1538]] si verificò un grave ammutinamento di soldati Spagnoli: essi erano giunti dalle fortezze dell'Africa, dove si sentivano dimenticati e senza l'adeguata paga, e approdarono in Sicilia nel [[val Demone]] (lato nord-orientale) in cerca di denaro. Gonzaga faticò a sedare la vasta ribellione, poiché i soldati Spagnoli avevano la peculiarità di non perdere l'ordine militare anche quando non rispondevano più a un loro superiore regio (essi piuttosto eleggevano un capo tra i soldati stessi e rimanevano compatti; un esempio di ciò che gli Spagnoli erano capaci di fare è il cinquecentesco sacco di [[Anversa]], detto la [[furia spagnola]], avvenuto nei [[Paesi Bassi]], che contribuì a far nascere la ''[[Leggenda nera spagnola|leyenda negra española]]''). Il viceré temeva quindi grandemente le conseguenze del loro ammutinamento. Dopo essere riuscito a corromperli, nel [[1539]], facendoli credere che sarebbero stati perdonati se si fossero arresi, li divise tra Siracusa, Augusta, Lentini, Caltagirone e altri luoghi vicini, e infine li condannò a morte. La sua vendetta fu così decisa e cruenta che «''da Messina fino a Siracusa si vedeano le spiagge piene di cadaveri''<ref>[[Francesco Aprile]], ''Della cronologia universale della Sicilia libri tre'', 1725, p. 284.</ref>» (egli li mandò alla forca e i loro corpi rimasero insepolti<ref>{{Cita|Carpinteri, 1983|p. 18}}; {{Cita|Privitera, 1879|p. 150}}.</ref>).
La Spagna si sdegnò dell'azione del viceré di Sicilia,<ref>{{Cita|Privitera, 1879|p. 150}}.</ref> ma Ferrante Gonzaga non era toccabile poiché aveva agito a quel modo con il consenso dell'imperatore. Nel frattempo, fervevano i preparativi di Carlo V per una nuova spedizione di persona in Africa: si apprestava stavolta a navigare per [[Spedizione di Algeri|conquistare Algeri]] (altra [[Presa di Algeri (1529)|roccaforte di Barbarossa]] e territorio vassallo di Solimano il Magnifico).
Gonzaga aveva il compito di lasciare il Regno ben munito prima della sua imminente partenza con l'imperatore; per tale motivo nel [[1540]] si trovava di nuovo a Siracusa, per controllare lo stato delle fortificazioni, ma, mentre egli camminava tra i siracusani, dovette affrontare un nuovo ammutinamento: in questa occasione furono i soldati Spagnoli del presidio aretuseo ad aggredirlo; essi volevano ucciderlo (dopo i fatti del '39 Gonzaga era detto nella milizia iberica, segretamente, «''lo inhumano, cruel enemigo de Españoles, y desseoso de derramar su sangre''<ref group=N>«L'inumano, crudele nemico degli Spagnoli, desideroso di far scorrere il loro sangue». Cit. [[Paolo Giovio]], ''Historia general de todas las cosas succedidas en el mundo en estos 50 anos de nuestro tiempo'', 1563, p. 255.</ref>») e mentre essi si sfogavano portando scompiglio in città (in questa occasione distrussero con un grave incendio la documentazione relativa all'antico monumento che ospitava la curia vescovile), pretendendo le paghe arretrate, Ferrante Gonzaga riuscì a salvarsi per un soffio, essendosi rifugiato nella sicura fortezza del castello Maniace.<ref name=gonzagauno/>
[[File:Palazzo Arcivescovile di Siracusa - Piazza Duomo.jpg|miniatura|upright=1.2|sinistra|Il [[Palazzo Arcivescovile (Siracusa)|palazzo arcivescovile siracusano]], il cui interno venne saccheggiato e incendiato dai soldati Spagnoli durante le rivolte contro Centelles e Gonzaga]]
Venne in soccorso del viceré l'ammiraglio [[Andrea Doria]], che era giunto in Sicilia per andare insieme a Ferrante in Africa, dove dovevano aiutare, per ordine di Carlo V, il re di Tunisi (il quale, dopo l'impresa del '35, era circondato da nemici). Doria venne a Siracusa con 80 galee e con Gonzaga riuscì a sedare la rivolta della milizia spagnola. I tumultuosi finirono le loro vite nelle forche e sulle navi.<ref name=gonzagauno>{{Cita|Privitera, 1879|p. 150}}; {{Cita|Carpinteri, 1983|p. 25}}; [[Giuseppe Agnello]], ''L'architettura sveva in Sicilia'', 1935, p. 36.</ref>
Poco tempo dopo, al principio della primavera del [[1541]], la città subì un altro ammutinamento; stavolta si trattava di [[Fanteria|fanti]] iberici giunti da [[Monastir (Tunisia)|Monastir]]: Gonzaga e Doria li avevano chiamati in Sicilia dalla fortezza tunisina, conquistata l'anno precedente. Tuttavia, una volta giunti sull'isola, ci si rese conto che erano in troppi e che non si disponeva del denaro necessario per pagarli tutti, così, essendosi già sparsa la voce dei loro malumori (incominciati a Monastir), il viceré li divise e ne affidò 5 compagnie a Siracusa. Nella città d'Aretusa, però, diedero origine a una rivolta, a causa del mancato compenso. Gonzaga riuscì a farli imbarcare per la Spagna, ma essi rimasero intorno alla Sicilia per un po' e infine sbarcorono in [[Calabria]] e s'inoltrarono nella regione montuosa del Regno di Napoli<ref>Società siciliana per la storia patria, ''Archivio storico siciliano'', vol. 31, 1906, pp. 369-370.</ref> (il loro ammutinamento finì comunque al tribunale della corte di Spagna e venne emessa una sentenza<ref group=N>«''Relación del motín sucedido en Zaragoza de Sicilia por las compañías de D. Alonso de Vivero, D. Francisco Pérez, D. Francisco de Rojas, D. Diego García de Paredes y D. Gaspar Muñoz que regresaban de Monastir; sentencia dictada''» (Ricardo Magdaleno Redondo, ''Papeles de estado Sicilia: virreinato Español'', 1951, p. 18).</ref>).
Nel contesto della missione di Algeri, per evitare il ripetersi di simili esperienze, il viceré raccolse più soldi da dare ai soldati destinati a Siracusa: Caltagirone, ad esempio, offrì 5.000 ducati, e il viceré versò anche i suoi 1.000 per tale causa (che gli erano stati donati sempre dalla città erea-iblea).<ref>Società siciliana per la storia patria, ''Archivio storico siciliano'', vol. 31, 1906, p. 403.</ref> Ma il ruolo chiave di Siracusa, la sua capacità di attirare nemici alle porte del Regno di Sicilia, spaventava; la città iblea di [[Noto (Italia)|Noto]], a tal proposito, si fece riconoscere un privilegio dal viceré Ferrante Gonzaga che l'autorizzava a non soccorrere i siracusani in caso di invasione nemica.<ref>Società Siracusana di Storia Patria, ''Archivio storico siracusano'', vol. 10, 1964, p. 69.</ref><ref>''Archivio storico siciliano pubblicazione periodica per cura della Scuola di paleografia di Palermo'', 1906, p. 403.</ref> A Siracusa venne inoltre fabbricata la [[polvere da sparo]] da utilizzare contro Barbarossa: fu [[Carlo d'Aragona Tagliavia]] a scrivere a tutte le terre vicine del Regno, sollecitandole a inviare il [[salnitro]] necessario affinché nella città aretusea si potessero preparare le armi da guerra.<ref name="gonzagadue" /><ref group="N">La città aveva la propria fabbrica di salnitro presso la [[latomia]] che dal minerale [[Latomia del Salnitro|prendeva il nome]] (ma in stato di guerra Siracusa diveniva un punto di rifornimento primario per intere schiere belliche e quindi le occorreva più concentrazione di materiale): {{Citazione|Le grotte sono attualmente abitate da alcuni uomini che vivono dedicandosi alla fabbricazione del salnitro. Le fornaci, il fuoco, il fumo, le rendono simili all'ingresso degli Inferi.|Georges Vallet, Laura Vallet Mascoli, ''Siracusa antica: immagini e immagine'', 1993, p. 117}}
</ref> Alla città occorreva anche molto grano, problema considerevole dato il periodo di forte [[carestia]] che dal '39 (dopo quella del '24) flagellava l'isola.
[[File:Palazzo montalto siracusa big.JPG|miniatura|upright=1.2|Il [[palazzo Montalto]], tra i vicoli di Ortigia, appartenente alla famiglia dell'esponente che servì l'imperatore Carlo V]]
Per tale ragione, il viceré Gonzaga nel giugno di quell'anno aveva già sollecitato con dispaccio gli ufficiali regnicoli, maggiori e minori, e in particolare quelli di Noto, [[Buccheri]], [[Buscemi]], [[Palazzolo Acreide]], [[Mineo (Italia)|Mineo]], [[Sortino]], Augusta e Lentini, affinché dessero l'ordine a tutti i [[Barone|baroni]], la cui patria era la città di Siracusa, di inviare vettovaglie,<ref name=gonzagadue>Società siciliana per la storia patria, ''Archivio storico siciliano'', 1979, p. 42.</ref> poiché la carestia non le dava tregua, e trovandosi Ortigia «''in lo frontispizio de lo mari''<ref name=gonzagadue/>», rinchiusa la sua popolazione entro le mura difensive, non aveva possibilità di approvvigionarsi dei frutti della terra in tempi di crisi. Gonzaga fece quindi valere per lei il privilegio che il re Alfonso IV d'Aragona le aveva concesso per far fronte alla penuria di cibo (farlo trasportare dentro la città in maniera coatta).<ref name=gonzagadue/>
La spedizione di Carlo V nell'antica ''[[Libia|Libye]]'' ebbe infine esito disastroso: egli, partito troppo tardi, si ritrovò contrastato da violente tempeste autunnali, e quando riuscì finalmente ad approdare, dopo aver perso numerose navi, venne costretto alla ritirata.
Doria lo mise in salvo, portandolo a [[Utica (città antica)|Utica]], per poi scortarlo fino in Spagna. Carlo incassò un grave colpo con questa sconfitta (anche perché gli era stato sconsigliato più volte di dirigersi nuovamente in Africa, dato che l'impero ottomano stava attaccando con vigore i confini germanici, e in qualità di loro imperatore i Germani volevano che combattesse lì con loro, ma Carlo aveva insistito per frenare ulteriormente i gravi saccheggi di Barbarossa e Solimano nel Mediterraneo).
La sconfitta di Algeri creò lo stato di allerta a Siracusa: Carlo temeva infatti che il vassallo di Solimano potesse vendicarsi del suo attacco andando a sua volta ad aggredire i punti focali del suo impero. Ferranre Gonzaga lasciò momentaneamente l'incarico di viceré di Sicilia nel [[1542]] (nominò presidente del Regno, suo sostituto, [[Alfonso Cardona]]<ref>[[Giovanni Evangelista Di Blasi]], ''Storia cronologica dei viceré, luogotenenti, e presidenti del regno di Sicilia'', 1842, p. 136.</ref>) e prima di andare incaricò [[Simone I Ventimiglia]] (anch'egli in passato eletto alla presidenza siciliana) capitano d'armi della città di Siracusa (per difenderla in caso di attacco turco, dato che circolava la voce che Solimano avesse fatto partire da Costantinopoli una flotta di 200 navi per attaccare la Sicilia), inoltre gli affidò anche la pienezza dei poteri civili (oltre a quelli militari), non avendo più la città un proprio governatore (data la soppressione della Camera reginale).<ref>Orazio Cancila (a cura di), ''I Ventimiglia di Geraci (1258-1619)'', vol. II, 2016, p. 258.</ref>
In questo stesso periodo, al di là del contesto bellico che stava vivendo, Siracusa venne sollecitata dalle altre città demaniali a mandare a Messina i propri rappresentanti e sedere con i siciliani in parlamento. Infatti, la città aretusea nel 1540 si era rifiutata di partecipare alla classica edizione triennale del parlamento isolano, nella quale si offriva al re il donativo regio: essa aveva fatto presente a chi la richiamava, che per privilegio datole dal re [[Federico III di Sicilia]], fin dal [[1298]], non era obbligata a dare donativi regi.<ref>[[Francesco Benigno (storico)|Francesco Benigno]], ''Il Governo della città: patriziati e politica nella Sicilia moderna'', 1990, p. 72.</ref>
Essendo venuto a mancare il vescovo dei siracusani, Ludovico Platamone (morto il 30 maggio del 1540<ref>[[Giuseppe Cappelletti]], ''Le chiese d'Italia dalla loro origine sino ai nostri giorni,'' vol. 21, 1870, p. 624.</ref>), Carlo V presentò a [[papa Paolo III]], per la carica ecclesiastica aretusea, il canonico della [[cattedrale di Palermo]], nonché suo cappellano d'onore, [[Girolamo Beccadelli di Bologna]] (agli Spagnoli noto come Jerónimo Beccatelli o Gerónimo de Bolonia), il quale venne eletto vescovo di Siracusa il 29 aprile 1541.<ref>{{Treccani|beccadelli-di-bologna-girolamo_(Dizionario-Biografico)/|BECCADELLI DI BOLOGNA, Girolamo}}</ref>
=== Il terremoto del 1542 ===
{{Vedi anche|Terremoto del Val di Noto del 1542}}
{{...|storia}}
=== Il nuovo viceré Juan de Vega e i suoi figli ===
Nel 1546 Carlo V aveva esonerato Ferrante Gonzaga dal ruolo di vecerè siciliano (mandandolo a combattere in suo nome i [[Guerra d'Italia del 1542-1546|disordini anti-spagnoli nel nord Italia]]) e aveva eletto al suo posto l'ex [[Regno di Navarra|viceré di Navarra]], nonché suo ambasciatore a Roma, [[Juan de Vega]].
[[File:Vendicari - La torre - panoramio.jpg|miniatura|left|La torre di Vendicari, faceva parte del sistema difensivo messo su da [[Juan de Vega]]]]
Non appena arrivò, Juan diede l'avvio a un ingegnoso sistema difensivo che prevedeva la costruzione e l'utilizzo di una «cintura di torri<ref name=vega>Antonino Giuffrida, ''La fortezza indifesa e il progetto del Vega per una ristrutturazione del sistema difensivo siciliano'' in In R. CANCILIA (a cura di), ''Mediterraneo in armi (secc. XV-XVIII)'' (pp. 227-288). Palermo: Associazione Mediterranea, 2007.</ref>» costiere per far scorrere una silenziosa ma rapida comunicazione sui movimenti marittimi del nemico: dai baluardi dovevano sollevarsi dei segnali di fumo diurni e fiamme durante la notte, stabilendo un particolare linguaggio visivo per quantificare il pericolo che si approssimava<ref>Pippo Lo Cascio, ''Comunicazioni e trasmissioni: la lunga storia della comunicazione umana dai fani al telegrafo'', 2001, pp. 86-87.</ref> (essi erano detti ''fani'', dal greco ''phanos'': fuoco, segnale<ref>Nunzio Famoso, ''Mosaico Sicilia: atlante e racconti di paesaggi'', 2005, p. 77; Pippo Lo Cascio, ''Comunicazioni e trasmissioni: la lunga storia della comunicazione umana dai fani al telegrafo'', 2001, p. 54.</ref>).
Juan inoltre si spese per la formazione della ''nova militia'' (militari autoctoni, ovvero siciliani): gli abitanti di Siracusa erano però esentati da questa [[coscrizione]] bellica<ref>Valentina Favarò, '' Dalla “Nuova Milizia” al tercio spagnolo: la presenza militare nella Sicilia di Filippo II'', p. 238 («''Mediterranea. Ricerche storiche''», anno II, Agosto 2005).</ref> (la città aretusea era comunque quella in cui dimorava al suo interno il maggior numero di soldati durante i periodi di massima allerta<ref>Vd. es. Archivio di Stato di Palermo, ''Tribunale del Real Patrimonio, Lettere e dispacci viceregi'', vol. 635 c. 324 in {{Cita|Salvatore Andrea Galizia, 2012|p. 179}}.</ref>).
Il viceré Juan aveva numerosi figli, tra i quali [[Hernando de Vega]] e [[Suero de Vega]], che egli portò con sé in Sicilia nel 1547 e nominò entrambi, in periodi differenti, vicari e capitani d'armi ''ad guerram'' per la città di Siracusa. Hernando, che era il maggiore dei due, resse le redini dell'area in questione in un momento particolarmente delicato: nel [[1544]] l'[[isola di Lipari]] era stata brutalmente saccheggiata da Barbarossa<ref>''La terra di Archimede'' (a cura di Vincenzo Consolo, Giuseppe Voza, Giuseppe Russo, Mimmo Jodice), 2001, p. 29. Vd. anche Giuseppe Restifo, ''[https://www.academia.edu/37510360/Il_sacco_di_Lipari_1544_ Il 'sacco' di Lipari (1544)]'' (in [[academia.edu]]).</ref>, ciò destava preoccupazione a Carlo V, uscito da poco sconfitto da Algeri (1541), e alla fortezza aretusea, uscita a sua volta parecchio malmessa dal devastante terremoto del 1542.
[[File:Sbarcatore dei Turchi 1.jpg|miniatura|[[Augusta (Italia)|Augusta]]: [[Capo Sbarcatore dei Turchi]], località costiera odierna che prende il nome dagli eventi lì verificatesi nel Cinquecento]]
Nel 1547 Carlo V aveva firmato un armistizio con il sultano ([[tregua di Adrianopoli (1547)|tregua di Adrianopoli]]), cedendogli territori nel nord Europa, ma nel [[1550]] gli Ottomani lo considerarono violato, poiché Carlo conquistò la città africana di [[Presa di Mahdia (1550)|Mahdia]], togliendola a [[Dragut]] (erede di Barbarossa) e riportandola sotto la sua influenza. Quindi il sultano si vendicò ordinando di far [[Sacco di Augusta|saccheggiare Augusta]]; ciò accadde nel luglio del [[1551]] (per fermarsi Dragut aveva intimato a de Vega di restituire a Solimano le città africane, tra le quali Monastir e Mahdia, ma de Vega non poteva prendere una decisione che spettava solo a Carlo V<ref name=blasi>[[Giovanni Evangelista Di Blasi]], ''Storia cronologica dei viceré, luogotenenti e presidenti del Regno di Sicilia'', 1842, pp. 143-144.</ref>). Dragut tuttavia, dopo aver bruciato Augusta, non attaccò il capoluogo aretuseo, ritenendolo ben fortificato per provare a prenderlo in quel momento.<ref name=blasi/>
Hernando mise in primo piano il potenziamento difensivo di Siracusa: chiamò da tutto il val di Noto, e fece alternare a ritmo serrato, migliaia e migliaia di operai che, coscritti, ovvero obbligati, dovevano quotidianamente recarsi nel capoluogo aretuseo e lavorare per tirare su le fortificazioni necessarie a respingere un eventuale attacco del sultano (a numerare le presenze vi erano i militari, i quali controllavano che nessuno fuggisse).<ref name=giuffridauno>{{Cita|Giuffrifa, 2007|pp. 250-252}}.</ref> Chi non si presentava in città doveva giustificarsi di fronte a Hernando, il quale non esitò a infliggere anche punizioni corporali.<ref name=giuffridauno/>
Ciascun comune aveva un numero di operai prefissato da mandare a Siracusa, in base al risultato del ''revelo'' (censimento della popolazione) effettuato dal padre di Hernando nel '48.<ref>{{Cita|Giuffrifa, 2007|p. 250}}.</ref> Chi invece faceva parte della ''nova militia'' era esentato dai cantieri aretusei (aveva però l'obbligo di presentarsi alla "mostra" della milizia e l'obbligo di combattere in caso di invasione). Nel [[1552]] Hernando de Vega dichiarò inoltre l'allevamento e il commercio dei cavalli come affare di primaria importanza per la difesa militare del Regno.<ref>{{Cita|Giuffrifa, 2007|p. 254}}.</ref>
Militarizzò anche il commercio del [[carbone]], dello [[zolfo]] e del [[salnitro]]; quest'ultimo in particolare, essendo utilizzato per la creazione della polvere da sparo e scarseggiando in natura, venne requisito e indirizzato totalmente a Siracusa: tutte le fabbriche di salnitro del val di Noto avevano l'obbligo di venderlo esclusivamente alla regia corte, che a sua volta l'adoperava per preparare le armi nel capoluogo aretuseo (i salanitrari, cioè i fabbricatori di salnitro, erano persino esentati dal servizio militare pur di garantire la produzione del richiesto minerale).<ref>{{Cita|Giuffrifa, 2007|pp. 253-254}}.</ref>
=== Il sistema difensivo delle città nel siracusano ===
Nel 1551 nacque nel siracusano la seconda città dedicata o edificata per un imperatore: dopo Augusta (fondata da [[Federico II di Svevia]])<ref>Mario Bernabò Silorata, ''Federico II di Svevia: saggezza di un imperatore'', 1993, p. 119.</ref> Juan de Vega, con l'approvazione di Carlo V (o secondo altri studiosi direttamente sotto suo ordine<ref name=salomone/><ref>[[Emanuele Greco]], [[Mario Torelli]], ''Il mondo greco'', 1983, p. 562.</ref>), fondò [[Carlentini]] (la Lentini di Carlo<ref>Salvatore Agati, ''Carlo V e la Sicilia: tra guerre, rivolte, fede e ragion di Stato'', 2009, p. 97.</ref> o la Carlo Lentini<ref name=salomone>Sebastiano Salomone, ''Le provincie siciliane studiate sotto tutti gli aspetti'', 1884, p. 45.</ref>), che in teoria doveva servire da nuova dimora per i lentinesi, sorgendo sulle pendici iblee alle loro spalle (le motivazioni ufficiali furono aria più salubre per gli abitanti della zona, che soffrivano di [[malaria]] a causa delle [[Lago di Lentini|acque del grande lago]],<ref>[[Francesco Aprile]], ''Della cronologia universale della Sicilia'', 1725, p. 291; [[Giorgio Cosmacini]], ''Storia della medicina e della sanità in Italia: Dalla peste nera ai giorni nostri'', 2016, cap. ''Una età di crisi: 1550-1650''.</ref> un sito non distrutto dal terremoto del '42 e l'allontanamento dalle incursioni barbaresche).
In realtà, Carlentini doveva essere la nuova fortezza militare della Spagna installata nel siracusano, che andava a sostituire Lentini e soprattutto Augusta, definita indifendibile<ref>''La terra di Archimede'' (a cura di Vincenzo Consolo, Giuseppe Voza, Giuseppe Russo, Mimmo Jodice), 2001, p. 29.</ref> per la sua vasta area portuale priva di sufficienti fortificazioni e popolazione (convinzione aumentata in Juan, già radicata in Gonzaga, e in Carlo V dopo il terremoto del '42 e le incursioni di Dragut).
[[File:Noto-antica-stadttor.jpg|miniatura|upright=1.0|Ingresso di [[Noto Antica|Netum]], affacciata su uno dei numerosi dirupi del [[monte Alveria]], nei piani di Juan doveva sostituire Siracusa se questa fosse caduta nelle mani della [[Sublime porta]]]]
Carlentini insieme a [[Noto (Italia)|Noto]] (altra città che gli spagnoli andarono a fortificare proprio in quel periodo)<ref>Per approfondire il ruolo di Noto, in correlazione a quello di Siracusa, vd. Maria Mercedes Bares, ''[https://www.academia.edu/29882413/El_gran_obrador_de_las_fortificaciones_de_Noto_en_Sicilia_durante_los_virreinatos_de_Ferrante_Gonzaga_y_Juan_de_Vega_1542-1552 El gran obrador de las fortificaciones de Noto en Sicilia durante los virreinatos de Ferrante Gonzaga y Juan de Vega (1542- 1552)]'' {{es}} (in [[academia.edu]]).</ref> avevano il compito, non semplice, di resistere a un'eventuale invasione dell'[[impero ottomano]]: dovevano correre in difesa dei centri costieri e, in caso essi fossero caduti tutti - compresa Siracusa<ref>{{Cita|Rusoo, 2004|p. 37}}.</ref> che ne rappresentava il perno più forte -, prendere il loro posto e non permettere l'avanzata del nemico all'interno del Regno.
Noto, inoltre, era stata scelta dalla Spagna per accogliere gli abitanti della città di Siracusa una volta che questi non avessero più avuto un posto dove stare (in modo tale da non farli vagare nelle campagne, come di solito accadeva alle popolazioni superstiti di guerra).
Tuttavia i lentinesi si rifiutarono di abbandonare la loro prima città, facendo penare non poco il viceré Juan che cercava numerosi abitanti per mettere in funzione la fortezza collinare e istituirvi un popolo-esercito (con il tempo le speranze riposte in questo nuovo progetto si rivelarono fallimentari).<ref>[[Vito Amico]], ''Dizionario topografico della Sicilia'', vol. 1, 1858, p. 587; Rome (City). Università. Istituto di fondamenti dell'architettura, ''Storia della città'', vol. 1-5, 1976, p. 8.</ref><ref>Sul ruolo e destino di Carlentini vd. anche Nicola Aricò, ''La fondazione di Carlentini nella Sicilia di Juan De Vega'', 2016.</ref> Noto invece venne inserita efficacemente nel sistema difensivo che proteggeva la costa da Siracusa a [[Spaccaforno]] (l'antica [[Ispica]]): i corrieri netini dovevano coprire la distanza da Noto a Spaccaforno o da Noto ad Avola, in base al punto di provenienza del segnale di pericolo; gli avolesi poi avrebbero fatto giungere il loro corriere a Siracusa (si trattava di un sistema collegato alle torri di avvistamento costiere).<ref>{{Cita|Giuffrida, 2007|p. 263}}.</ref>
=== La nascita della Compagnia di Gesù e l'arrivo dei frati Cappuccini ===
La fine degli anni '40 e l'inizio dei '50 rappresentarono per la città l'arrivo di nuovi ordini religiosi e la costruzione delle loro rispettive dimore: il viceré Juan aveva conosciuto presso il papa il fondatore dell'[[Ordine gesuita]], [[Ignazio di Loyola]] (il cui movimento, pur basandosi su una gerarchia di stampo militare, non imbraccerà mai le armi, come invece accadde con i giovanniti), e ne aveva quindi agevolato l'ingresso in Sicilia. Già nel 1549 il rettore spagnolo dell'appena fondato [[Collegio dei gesuiti (Messina)|collegio gesuitico di Messina]], [[Jerónimo Nadal]], aveva scritto a Ignazio di Loyola (futuro Sant'Ignazio) manifestandogli la volontà di fare approdare anche nella città d'Aretusa questo nuovo Ordine (tuttavia bisognerà attendere ancora un quinquennio prima che de Vega riesca a farveli dimorare).<ref>Giovanni Bonanno, ''Cattedrali di Sicilia'', 2000, p. 209.</ref>
Nel frattempo, il 10 giugno [[1549]], fecero il loro ingresso i [[frati Cappuccini]] «''con quel ruvido sacco di lana cinto ai lombi di corda, con quell'esteriore venerando, mansueto, penitente''<ref>Cit. {{Cita|Privitera, 1879|p. 158}}.</ref>», ma non li fu permesso di permanere all'interno delle mura cittadine, cosicché essi dovettero fabbricare il loro convento nei pressi dell'[[anfiteatro romano di Siracusa|anfiteatro romano]] (nel quartiere ''[[extra moenia]]'' di Neapolis).<ref>{{Cita|Russo, 2004|p. 136}}; ''Da Beirut a Noto. Patrimonio archeologico e pianificazione urbanistica. Studi e ricerche nei paesi del Mediterraneo'' (a cura di Giuseppe Dato), 2005, p. 296.</ref> Vennero tuttavia accolti dal vescovo della [[diocesi di Siracusa]] [[Girolamo Beccadelli di Bologna]].
Nel [[1554]] Suero de Vega (nominato capitano d'arme di Siracusa nel 1553) coinvolse il vescovo e le cariche politiche della città affinché accogliessero finalmente i l'Ordine dei gesuiti (in quel momento presenti a Messina dal '48, a Palermo dal '49 e a [[Monreale]] dal '53<ref>Pietro Tacchi Venturi, Mario Scaduto, ''Storia della Compagnia di Gesù in Italia'', vol. 3, 1950, p. 248.</ref>). Scriveva a tal proposito il fondatore dell'Ordine, Ignazio di Loyola, nella sua lingua, riferendosi alle imminenti impiantazioni della Compagnia a Siracusa e a [[Bivona]] (dove vi risiedeva un'altra figlia del viceré, la duchessa [[De Luna d'Aragona|de Luna]], grazie al cui operato i gesuiti entreranno nel '55):
{{Citazione|[...] nella buona volontà per le cose della nostra Compagnia, e ha progettato un altro Suero de Vega, suo fratello [della duchessa Luna] a Siracusa: e questo settembre, come abbiamo capito, s'invierà gente nell'uno e nell'altro [collegi di Siracusa e Bivona].|[[Sant'Ignazio di Loyola]], ''Monumenta Ignatiana, ex autographis vel ex antiquioribus exemplis collecta, series prima'', vol. 22, 1966, p. 254.|[...] en la buena voluntad para las cosas de nuestra Compania, y ha concertado un otro Suero de Vega, su hermano, en Siracusa: y este Septiembre, como entendemos, se embiará gente al vno y al otro.|lingua=es}}
Anche Hernando, oltre a suo fratello Suero, era in costante contatto con i gesuiti siciliani.<ref>''Archivio storico per la Sicilia orientale'', vol. 12-13, 1915, p. 53.</ref> La Compagnia di Gesù aretusea venne definita la «più dissita geograficamente (era l'ultima del lungo lato [[mar Ionio|ionico]]) e anche la più autonoma<ref name=compagniadigesù/>» (i gesuiti siracusani non interagivano con il resto dei gesuiti della Sicilia orientale, ma non potevano fare nemmeno grandi cose, essendo Siracusa una città già all'epoca fortemente militarizzata, con molta poca concessione per ciò che riguardava il libero scambio e la vita intellettuale<ref name=compagniadigesù>Pietro Tacchi Venturi, Mario Scaduto, ''Storia della Compagnia di Gesù in Italia'', vol. 4, 1974, p. 353.</ref>).
== Abdicazione di Carlo V e ascesa di Filippo II ==
=== L'inondazione del 1558 ===
[[File:Abdication de charles quint Louis Gallait.jpg|miniatura|upright=1.2|L'abdicazione di Carlo V a favore del figlio Filippo II]]
Nel 1555 Carlo V firmò la [[Pace di Augusta|pace con la Germania protestante]] (curioso è tuttavia il fatto che proprio a partire da questo periodo, e fino al '61, si svilupparono nel siracusano ribellioni religiose a favore dei protestanti, con Noto e Siracusa che divennero punti di ritrovo principali per questi intensi focolai, mentre, all'opposto, nel resto della Sicilia tali ribellioni si placarono<ref>Salvatore Caponetto, ''Il calvinismo del Mediterraneo'', 2006, p. 52; ''La Riforma protestante nell'Italia del Cinquecento'', 1992, p. 422.</ref>).
L'imperatore nel [[1556]] era però stanco delle continue guerre che scoppiavano nel nome della Spagna. Inoltre egli era deluso perché non era riuscito a realizzare il sogno spagnolo di una [[monarchia universale]]: gli spagnoli si aspettavano ben presto di veder sventolare le loro insegne reali in tutto il mondo, culminando a [[Gerusalemme]], unendo le terre nel loro nome sotto la [[religione cattolica]], dopodiché la storia sarebbe finita e sarebbe giunto il giorno del [[giudizio universale]].<ref>José Álvarez Junco, Gregorio De la Fuente, ''El relato nacional: Historia de la historia de España'', 2017, cap. V: ''El protagonismo europeo. Los reyes católicos''.</ref> Così egli maturò la decisione di [[Abdicazione|abdicare]] dal trono, e lo fece passando la corona a suo figlio [[Filippo II di Spagna]].
Nel 1547 Carlo aveva insistito affinché suo figlio si legasse all'[[Inghilterra]] tramite il matrimonio con [[Maria I d'Inghilterra|Maria Tudor]], celebratosi nel '54 (questo fu il primo passo verso la secolare guerra che sarebbe esplosa nel Seicento tra Inglesi e Spagnoli e che avrebbe portato infine le armi del futuro [[impero britannico]] anche sul suolo aretuseo, ai danni della Spagna). Carlo cedette a Filippo tutti i suoi regni, eccetto la Germania, che passò al proprio fratello [[Ferdinando I d'Asburgo]], sottraendo il Sacro romano impero al diretto controllo della Spagna. Carlo V nel settembre di quell'anno si ritirò nel [[monastero di Yuste]], in Spagna, dove morì appena due anni dopo, il 21 settembre del [[1558]], probabilmente a causa di [[malaria]].
Nello stesso anno, [[1558]], l'area del siracusano venne colpita da una violentissima [[alluvione]] che fece ingrossare i fiumi iblei, portando allo straripamento del fiume che attraversava il comune montano di [[Sortino]], l'[[Anapo]], il quale ruppe i suoi argini e riversò con furia le sue acque anche alle porte di Siracusa: si salvò chi era dentro Ortigia, ma il fiume sommerse le case e le vite di chi stava fuori.<ref>{{Cita|Privitera, 1879|p. 164}}.</ref>
[[File:Panorama of Pantalica from San Micidario.jpg|miniatura|upright=1.6|sinistra|[[Pantalica]], dove nasce l'Anapo; il fiume che recò distruzione a Sortino e Siracusa nel 1558]]
Questa inondazione ebbe conseguenze serissime per un bene primario della città: la [[farina]], poiché l'Anapo aveva distrutto i [[Mulino ad acqua|mulini ad acqua]] con i quali i siracusani si fabbricavano da mangiare.
La calamità ebbe due soluzioni destinate a durare per secoli: anzitutto, trovandosi la città prossima alla guerra (gli Spagnoli erano sicuri che le forze ottomane si sarebbero riversate prima o poi su di essa) si risolse di costruire dentro le mura, su proposta di uno spagnolo di nome Peralta, 100 mulini a secco, detti [[centimoli]], ma poi, vedendo che questi caddero in inutilità a causa della miseria e della morte dei privati cittadini che li dovevano possedere<ref>{{Cita|Privitera, 1879|p. 175}}.</ref> (essi tuttavia torneranno in auge nel Settecento<ref>[[Tommaso Gargallo]], ''Memorie patrie per lo ristoro di Siracusa'', vol. 1, pp. 86-88.</ref>), ci si vendette al [[Baronia di Sortino|barone di Sortino]], [[Pietro Gaetani (XVI secolo)|Pietro Gaetani]]<ref>{{Cita|Russo, 2004|p. 46}}; {{Cita|Privitera, 1879|p. 175}}.</ref><ref>Vd. inoltre ''Ragioni del Signor Marchese di Sortino contro il Regio Demanio'', 1842, pp. 12, 61, 62.</ref> (futuro sposo di [[Margherita Siracusa]],<ref>''Della Sicilia nobile opera di Francesco Maria Emanuele e Gaetani... Parte prima [- terza]: Parte seconda, nella quale si ha la storia del baronaggio di questo regno di Sicilia, distinto ne' principi, duchi, marchesi, conti e baroni...'', 1754, p. 100.</ref> appartenente alla potente famiglia spagnola che volle dirsi [[Siracusa (famiglia)|omonima della città di Siracusa]]).
Pietro, possedendo il feudo sortinese, era infatti proprietario delle acque iblee che gli antichi Siracusani avevano un tempo collegato fino alla loro città marittima; se quindi gli odierni siracusani volevano sfruttarne le potenzialità per alimentare i nascenti mulini, dovevano affidarsi interamente alla figura feudale.
[[File:Mulino di Galerme (Teatro greco di Siracusa).jpg|miniatura|La casa del mulino sopra la cavea del teatro greco; sola superstite del sistema messo in opera da Pietro a seguito dell'evento del 1558]]
Per evitare ciò (che un'unica persona disponesse del dominio delle loro acque dolci) i siracusani avevano progettato di far scavare presso [[Pantalica]] nuovi liberi [[acquedotto|acquedotti]], ma il costo di tutto ciò risultò eccessivo per una città ridotta in miseria come lo era a quel tempo Siracusa<ref>''Ragioni del Signor Marchese di Sortino contro il Regio Demanio'', 1842, p. 10-14.</ref>; né si poteva fare affidamento sul governo regio: la Spagna si mostrava efficace e prodiga quando si trattava di questioni militari (il complesso taglio dell'istmo e i nuovi bastioni, tirati su in fretta e furia nel '52, non li pagò Siracusa, che non avrebbe avuto la possibilità finanziaria per permettersi simili fortificazioni, bensì il denaro pervenne dall'intera Sicilia orientale, costretta sotto le armi degli Spagnoli a dedicarsi all'opera difensiva siracusana<ref>{{Cita|Giuffrida, 2007|pp. 256-257, 286-287}}.</ref>), tuttavia altre questioni erano quelle civili: la Spagna non se ne interessava più di tanto (si consideri, a tal proposito, che i cittadini di Siracusa, 14 anni dopo il devastante terremoto del '42, mandavano ancora suppliche al viceré affinché si interessasse del loro ''status'' sociale, stremato<ref>Cfr. Liliane Dufour, Henri Raymond, ''Siracusa tra due secoli: le metamorfosi dello spazio, 1600-1695'', 1998, p. 103.</ref>).
Trovandosi quindi da soli, i siracusani cedettero e acconsentirono al progetto di Pietro Gaetani, che fece costruire [[Mulini di Galerme|dodici mulini ad acqua sulla cavea del teatro greco]], inondandolo (la vicenda ebbe risoluzione definitiva nel [[1576]], circa un ventennio dopo dalla morte di Carlo V e dalla suddetta inondazione).<ref>{{Cita|Russo, 2004|p. 46}}; ''Ragioni del Signor Marchese di Sortino contro il Regio Demanio'', 1842, p. 14.</ref>
== Il prosieguo della guerra ==
=== La spedizione per Tripoli ===
Proseguendo con la politica africana cominciata da suo padre, il re Filippo prese la decisione di voler riconquistare [[Tripoli]] (che Dragut aveva sottratto ai cavalieri giovanniti e integrato totalmente alla persona di Solimano il Magnifico).
[[File:Felipe II, rey de España (Museo del Prado).jpg|miniatura|upright=0.7|Ritratto del re [[Filippo II di Spagna]], in abiti da Gran Maestro dell'[[Ordine del Toson d'oro]] ([[Museo del Prado]], [[XVI secolo]])]]
In maniera non usuale, gli Spagnoli optarono per mettere in atto la loro spedizione bellica nei mesi invernali; correva l'anno [[1559]] e poiché Filippo si era premurato di coinvolgere il nuovo papa, [[Pio IV]], formò con esso una Lega Santa che fece approdare nel porto di Siracusa (città scelta per far riunire le truppe e rifornirle di viveri) un quantitativo enorme di mezzi navali e uomini: 113 navi in totale, di cui 54 galee<ref>Alfonso de Ulloa, ''La historia dell'impresa di Tripoli di Barbaria'', 1566, pp. 4-6.</ref> e 14.000 soldati<ref>Charles Monchicourt, ''L'Expédition espagnole de 1560 contre l'Île de Djerba'', 1913, p. 124.</ref> (appartenenti a diverse nazionalità europee). Questa poderosa armata, rimase tuttavia bloccata a lungo nel porto aretuseo, a causa delle avverse condizioni meteorologiche.
La comandava il nuovo viceré di Sicilia, il duca di [[Medinaceli]], lo spagnolo [[Juan de la Cerda]] (che aveva sostituito de Vega nel 1557), e vi partecipavano, ovviamente, anche i cavalieri di Malta: fu questa la prima volta che il Gran Maestro [[Jean de la Valette]] interagì con i siracusani (essi avrebbero avuto modo di stringere i rapporti durante la venuta del sultanato), desiderando sostare fino alla primavera del [[1560|'60]] in città, in attesa della fine delle tempeste; piano tuttavia rigettato dal duca di Medinaceli, che pur di adempiere fedelmente a quanto richiesto da Filippo II, preferì fare uscire con la forza le navi dal porto aretuseo e dirigerle verso le coste della Libia.
Più e più volte l'armata venne respinta indietro dal mare grosso. Solamente a Siracusa perirono 4.000 uomini, ancor prima che incominciasse la guerra, a causa delle infermità subentrate a bordo delle numerose navi. Con il passare del tempo, nel porto aretuseo si verificarono «''tumultos, excesos y deserciones''<ref>Eduardo Zamora y Caballero, ''Historia general de España y de sus posesiones de Ultramar desde los tiempos primitivos hasta el advenimiento de la república'', vol. 4, {{es}} 1874, p. 526.</ref>» (tumulti, eccessi e diserzioni), per i quali i siracusani - intimoriti dalle dimensioni di quell'apparato bellico - si chiusero in loro stessi e rifiutarono di accogliere tra i civili chi si ammalava:
{{Citazione|Corrales dice che, durante il mese di dicembre, la gente incominciò ad ammalarsi e morire a Siracusa "con molta più rapidità che nel mese passato". In città non volevano soccorrere i malati, per gli eccessi che le truppe avevano causato. Dice che si ebbero navi e bandiere che rimasero con non più di 20 uomini.|''Historia de Felipe II, Rey de España'' (a cura di), 1998.|Corrales dice que, durante el mes de diciembre, la gente comenzo a enfermar y morir en Siracusa "a más furia que el mes pasado". En la ciudad no querìan recoger enfermos por los desmanes que las tropas habian causado. Dice que hubo naves y banderas que quedaron con no más de 20 hombres.|lingua=es}}
Non potendo più contare sull'effetto sorpresa (ormai tutta l'Europa sapeva di questa spedizione e Solimano ebbe il tempo di preparare accuratamente le sue difese), il viceré di Sicilia, comandante supremo della missione, fece attaccare la roccaforte dell'[[Gerba|isola di Gerba]], per indebolire Tripoli: la ''[[Battaglia di Gerba|batalla de Los Gelves]]'', che si risolse infine in un grave disastro militare per le forze imperiali occidentali (morirono quasi tutti a Gerba, per mano del nemico).
In quel luogo i musulmani eressero la [[piramide di teschi]] (detta ''Buij-er-Rus'' e «fortezza dei teschi»), fatta con le ossa dei soldati cristiani (tale piramide verrà distrutta solamente nel [[XIX secolo]]<ref>[[Noel Malcolm]], ''Agenti dell'Impero: Cavalieri, corsari, gesuiti e spie nel Mediterraneo del Cinquecento'', 2015, cap. 6: ''Galee e geopolitica''.</ref>).<ref>''[[Nuova Antologia|Nuova antologia di lettere, scienze ed arti]]'', n. 240, 1911, p. 464; ''Rivista Marittima della Marina Militare'', vol. 25, par. 2, 1892, p. 48.</ref> Persino il viceré venne dato per catturato o per morto.<ref>[[Fernand Braudel]], ''El Mediterráneo y el mundo mediterráneo en la época de Felipe II'' {{es}}, vol. 2, 2015, cap. ''La expedición de Yerba''.</ref><ref>''El buscador de gloria: guerra y magia en la vida de un hidalgo castellano del siglo XVI (a cura di) {{es}}, 1998, p. 81.''</ref>
=== L'incursione del sultanato ===
Nel frattempo, arrivati a maggio del 1560, Solimano ordinò la sua vendetta contro le coste di coloro che avevano attaccato i suoi domini: Filippo si aspettava un'incursione in Spagna, ma i pirati dell'impero orientale vennero mandati, per la terza volta, nel siracusano (che del resto aveva rappresentato il fulcro, ovvero il punto centrale, per la dislocazione dell'offensiva imperiale). Incominciarono assalendo Augusta.
[[File:Baia di Ognina (Syracuse).jpg|miniatura|upright=1.6|Mentre [[Piyale Paşa]] devastava a nord della città di Siracusa, Dragut si occupava di devastarne il [[contado]] a sud (in foto la baia di Ognina, nella quale Dragut approdò nel 1561)]]
Stavolta l'incursione avvenne per opera di [[Piyale Paşa]] (Piali Pascià), il quale tentò d'incendiarla ancora (ma i suoi abitanti si difesero, ingaggiando con i Turchi una lotta armata).<ref>Sebastiano Salomone, ''Storia di Augusta'', 1905, p. 239 = ''Augusta illustrata'', 1876, p. 72.</ref> Secondo alcune fonti spagnole, invece, Paşa, da Tripoli, sarebbe riuscito a entrare direttamente a Siracusa, saccheggiandola<ref name=serafin>Serafín María De Soto Y Abbach Clonard (conde de), ''Historia organica de las armas de infanteria y caballeria...,'' vol. 4, Madrid, 1853, p. 17.</ref> e incendiandola<ref name=antonio>Antonio de Bofarull y Brocá, ''Historia crítica (civil y eclesiástica) de Cataluña'', vol. 7, 1878, p. 146.</ref>, il che è improbabile, dato che un simile evento sarebbe stato un grave colpo inflitto alle milizie di Spagna, che continuavano a vegliare scrupolosamente sull'opera di fortificazione del capoluogo aretuseo e vi sarebbe quindi come testimonianza un carteggio, tuttavia inesistente.
Più probabile appare la cronaca secondo la quale Piali Pascià venne in quell'anno a recare distruzione nel circondario di Siracusa (piuttosto che tentare di prendere la città stessa), dopo aver tentato uno sbarco a Malta<ref>[[Ettore Rossi (orientalista)|Ettore Rossi]], ''Storia di Tripoli e della Tripolitania: Dalla conquista araba al 1911'', 1968, p. 151.</ref>: alcune cronache sostengono, inoltre, che il braccio di Solimano fosse giunto nel siracusano non di sua spontanea volontà ma sospinto dal forte vento, e poiché la corrente contraria non lo lasciava ripartire, decise di sfogarsi contro Augusta.<ref>E. Loescher, ''Rivista degli studi orientali'', 1941, p. 232.</ref> Le fonti sono però concorde nel dire che dopo l'esperienza nel siracusano egli se ne tornò trionfalmente a Costantinopoli.<ref name=serafin/><ref name=antonio/>
Intanto che si finiva di consumare la dolorosa disfatta della spedizione africana ([[1561]]), veniva a sostituire Piyale Paşa l'altro famoso capitano del sultanato: [[Dragut]], il quale dedicò le sue attenzioni non più al nord del siracusano ma bensì al sud: anzitutto s'insinuò dentro la baia naturale di [[Ognina (Siracusa)|Ognina]] (a pochissimi chilometri dalla città), portando terrore tra i siracusani, e l'anno successivo, nel [[1562]], ritornò, accampandosi con i suoi uomini presso [[Fontane Bianche]] e qui fece scavare un pozzo d'acqua dolce per permettersi una lunga permanenza (i siracusani continueranno a utilizzare il pozzo di Dragut anche in epoca contemporanea), assediando la città-fortezza e minandone l'unica fonte di commercio rimastole (quello con il suo entroterra).<ref>Società Siracusana di Storia Patria, ''Archivio storico siracusano'', 1995, p. 67 = vol. 9, 1963, pp. 22, 28.</ref><ref>{{Cita|Carpinteri, 1983|p. 33}}; {{Cita|Privitera, 1879|p. 165}}.</ref>
=== La nascita del quartiere militare ===
La venuta del braccio destro di Solimano il Magnifico, ovvero Turgut Reis (alias Dragut), nel contado di Siracusa, creò grave agitazione, a tal punto che la Spagna decise di intervenire mandando altri soldati - che si riveleranno essere non di passaggio, ma con fissa dimora - all'interno della città aretusea, in modo tale da renderla più sicura nel caso in cui le azioni di Dragut e del sultanato fossero divenute più audaci.<ref>{{Cita|Privitera, 1879|pp. 165-166}}.</ref>
Ciò comportò una faccenda molto seria per i siracusani, che, contro un loro antico privilegio, si ritrovarono a dover dare «letto e tetto<ref>{{Cita|Carpinteri, 1983|p. 33}}; [[Giuseppe Maria Capodieci]], ''Antichi monumenti di Siracusa'', vol. 2, 1816, p. 188.</ref>» ai numerosi soldati: fu il re iberico [[Alfonso V d'Aragona]] a esonerare, dall'aprile del [[1435]], la città di Siracusa dall'obbligo di ''pasada'' militare (l'alloggiamento nei siti di passaggio); solamente se vi fosse stato il sovrano in loco allora le truppe avrebbero potuto pernottare<ref group=N>Insieme a Siracusa, anche Noto e [[Piazza Armerina]] avevano ottenuto, molto tempo prima e da differenti sovrani ([[1392]] e [[1347]]), lo stesso privilegio, mentre altre città siciliane lo otterranno anni dopo Siracusa, ma quasi sempre ciò avverrà in cambio di denaro. Cfr. Valentina Favarò, ''Sugli alloggiamenti militari in Sicilia tra Cinque e Seicento: alcune riflessioni'', 2010, in Mediterranea, n. 20, p. 470.</ref> Questo ovviamente non le aveva mai impedito di avere al suo interno una nutrita guarnigione fissa di soldati, che però di norma non interagiva con i cittadini, essendo da tempo comodamente dislocata all'interno del castello Maniace. Tuttavia i tempi erano cambiati, e se pur fino ad allora i siracusani, con «varii dispacci viceregii<ref>{{Cita|Privitera, 1879|p. 166, n. 1}}.</ref>» erano riusciti a far rispettare il loro esonero, non poterono nulla contro le disposizioni date da Filippo II e dovettero accogliere, in nome della loro difesa e di quella del Regno, rappresentandone la piazzaforte più munita, i nuovi soldati giunti dalla Spagna, i quali vennero sistemati nelle case dei cittadini meno facoltosi (dal momento che i più benestanti trovavano spesso il modo di farsi esentare dall'ospitalità a titolo privato; come avveniva ad esempio con gli ecclesiastici<ref>Valentina Favarò, ''Sugli alloggiamenti militari in Sicilia tra Cinque e Seicento: alcune riflessioni'', 2010, in Mediterranea, n. 20, p. 472.</ref>).
[[File:Syrakus 2017-04-23z.jpg|miniatura|upright=1.0|left|Il tempio di Apollo di Siracusa nel '500 divenne la casa dei [[Ejército de Tierra|soldati Spagnoli]], che lo modificarono profondamente]]
[[File:Soldados españoles.jpg|miniatura|upright=1.0|Raffigurazione del ''[[Tercio|Tercio español]]'' del '500 con le varie armi da esso utilizzate: asce, picche, spade, archibugi e moschetti]]
Non volendo tuttavia sottostare a una simile situazione, il comune aretuseo, ovvero l{{'}}''universitas'', propose alle alte cariche la costruzione di un quartiere dentro la città da destinare esclusivamente ai soldati (ormai divenuti troppi per risiedere tutti nel castello), separandoli così dai civili (proposta che poi sarà riportata nel resto della Sicilia militare; non tutta l'isola aveva la necessità di questi alloggi<ref group=N>Come nel caso di</ref>).
Si diede così l'avvio al cantiere militare nel [[1563]] (secondo altre fonti nel 1562), e poiché la Spagna ci teneva che la difesa del Regno fosse affidata primariamente ai suoi uomini, esso prese il nome dai suoi soldati: il [[Quartiere spagnolo di Siracusa]],<ref>{{Cita|Liliane Dufour, Henri Raymond, 1998|p. 59}}.</ref> detto anche del Trabocchetto (da un'antica catapulta che vi era in zona: il [[Trabucco (arma)|trabucco]] o trabocco).<ref>Angela Scandaliato, Nuccio Mulè, ''La sinagoga e il bagno rituale degli ebrei di Siracusa'', 2002, p. 56.</ref> Il [[Tempio di Apollo (Siracusa)|tempio di Apollo]] fu l'edificio scelto per fungere da dimora unica e centrale per i soldati: l'antico tempio greco, in passato consacrato alla divinità solare, venne quindi totalmente distrutto per mutare la sua forma e servire adesso da casa per la ''milicia española''<ref group=N>Bisognerà attendere la fine delle [[Prima guerra mondiale|due guerre]] [[Seconda guerra mondiale|mondiali]] (e degli scavi affettuati in quegli anni) per riportare nuovamente alla luce il tempio, potendo osservarne solamente le due uniche colonne superstiti e un tratto della base perimetrale, con le colonne rase quasi al suolo. Vd. Fernanda Cantone, ''Pietra e intonaco: Stone and plaster'', 2012, p. 39.</ref>, sorgendo esso di fronte alla «Porta di Terra» voluta da Carlo V, quando separò Ortigia dal resto della Sicilia.<ref>{{Cita|Carpinteri, 1983|p. 34}};</ref>
Per la Corona di Spagna, il soldato era divenuto molto importante; esso, nei reami come la Sicilia, doveva rappresentare la monarchia, per questo motivo il re si preoccupava che «''el tercio no cometiese ningún agravio contra la población de los lugares en los que se alojase, que sus hombres estuvieran bien disciplinados y ejercitados en las armas''<ref group=N>''III Encuentro de Jóvenes Investigadores en Historia Moderna'' (''Familia, cultura material, y formas de poder en la España Moderna'') {{es}}, Valladolid 2 y 3 de julio del 2015, pp. 889-898 ({{pdf}}): {{Citazione|Il Tercio non commettesse alcun danno contro la popolazione dei luoghi nei quali esso veniva alloggiato, che i suoi uomini rimanessero ben disciplinati e allenati con le armi.|}}</ref>». Ciononostante, non mancarono le prepotenze del corpo militaresco,<ref>{{Cita|Privitera, 1879|p. 161}}; Alessandro Loreto, Biblioteca alagoniana, ''I libretti musicali della Biblioteca alagoniana di Siracusa'', 2006, p. XIV.</ref> motivo per il quale il comune aretuseo decise di farsi carico egli stesso del mantenimento delle forze spagnole e tolse i soldati dalle abitazioni dei civili (sia ricchi sia poveri), donando loro delle case private (pagate a spese dell{{'}}''universitas''); ciò fino a quando la caserma non sarebbe stata pronta (il suo funzionale avvio e completamento avrebbe richiesto infine dei decenni).<ref>{{Cita|Carpinteri, 1983|p. 34}}.</ref>
=== L'intellighenzia ottomana in città e la minaccia del controllo totale ===
Non essendo cosa semplice prendere Siracusa dall'esterno, il sultanato provò a farla cadere dall'interno, tramite il tradimento dei suoi stessi cittadini, o almeno questo era il concetto del quale si convinse la Spagna, che in quegli anni divenne estremamente sospettosa, vedendo nemici ovunque.
Uno dei motivi principali che portò al blocco del commercio marittimo di Siracusa, fu il timore dei re di Spagna che se i suoi abitanti fossero stati catturati dai corsari dei Turchi, nel mentre della navigazione, questi li avrebbero usati per estorcerli con la forza informazioni preziose riguardanti i punti deboli della difesa del Regno: «''tomar lengua de ellos''» si soleva dire nei documenti ufficiali. Inoltre vi era il desiderio di poter controllare completamente gli abitanti: furono questi per loro gli anni del cosiddetto «controllo totale».<ref>Salvatore Santuccio, ''Governare la città: territorio, amministrazione e politica a Siracusa (1817-1865)'', 2010, p. 137; Salvatore Russo, ''I Moti del 1837 a Siracusa e la Sicilia degli anni trenta'', 1987, p. 134.</ref>). Costruendo una fortezza che non guardava l'esterno ma bensì l'interno, sorvegliando i movimenti dei cittadini; progetto al quale il re Filippo II dovette rinunciare a un certo punto, essendo sorti dei disdicevoli malumori tra il comune aretuseo e i militari che avevano il compito di edificarla.<ref>Maria Sapio, ''Mario Minniti: l'eredità di Caravaggio a Siracusa'', 2004, p. I.</ref>
[[File:Pantoja de la Cruz Copia de Antonio Moro.jpg|miniatura|upright=0.8|Ritratto di Filippo II di Spagna ([[Juan Pantoja de la Cruz]], XVII sec.)]]
I timori della Spagna non sarebbero tuttavia stati del tutto infondati: le sue spie ritenevano che alcuni degli esponenti della nobile famiglia dei [[Bellomo (famiglia)|Bellomo]] (d'origine patrizia [[roma]]na, il cui capostipite si trasferì a Siracusa nel medioevo, sposando la figlia di un notabile della città; divennero favoriti dei re Federico II di Svevia e Federico III di Sicilia<ref>''Bollettino d'arte del Ministero della pubblica istruzione'', vol. 5, 1911, p. 183.</ref>) avevano consegnato a un uomo del sultano la mappa di Siracusa, in modo tale da permettere ai Turchi la conquista della stessa.<ref name=spie>Romano Canosa, Isabella Colonnello, ''Spionaggio a Palermo: aspetti della guerra segreta turco-spagnola in Mediterraneo nel Cinquecento'', 1991, pp. 75, 76.</ref> Tra le altre cose, i Bellomo avrebbero detto al sultanato anche come superare l'ostacolo rappresentato dai tanti canali d'acqua che gli Spagnoli avevano scavato prima di poter entrare nell'isola di Ortigia.<ref name=spie/>
[[File:Deposizione rinnegato di Candia (impero turco, spagnoli), 1562, 1563.jpg|miniatura|upright=0.9|left|Il documento dello spionaggio ottomano all'interno di Siracusa (''Çaragoça'') scritto dall'ufficio spagnolo nell'inverno del 1562-63]]
Il rapporto sui «traditori di Siracusa» veniva poi inviato dettaglitamente dal viceré a Madrid, poiché alla corte di Spagna nulla doveva essere taciuto su quel che riguardava le sue terre.<ref name=spie/> Un altro interessante rapporto venne redatto in quegli anni dagli Spagnoli sull'interrogatorio fatto a una spia turca catturata nel capoluogo aretuseo: costui, un rinnegato (nato Cristiano ma passato all'Islam) era un greco e si chiamava Costantino (ma Dragut lo conosceva con il nome di Mahamet) ed era stato mandato a Siracusa dal sultanato con il compito di raccogliere dentro la città più informazioni possibili e poi riferirle a Dragut:
L'uomo di Solimano il Magnifico aveva il compito di far conoscere a Dragut l'esatta fattezza delle muraglie aretusee e i luoghi in cui gli Spagnoli tenevano le armi della città; in cambio di ciò, il sultanato concedeva al rinnegato la libertà e molto denaro. Ma quando Costantino giunse di notte alle porte di Siracusa, benché egli fosse travestito (i Turchi alle volte si facevano passare per Spagnoli, vestendo come loro) venne riconosciuto da un soldato che tempo prima era stato catturaro e fatto schiavo a Tripoli, per cui venne imprigionato nelle carceri della città e il piano concertato con Dragut fallì.<ref>{{Cita web|url=http://www.archivodelafrontera.com/wp-content/uploads/2015/09/Archivo-de-la-Frontera-Emrah-Safa-G%C3%BCrkan_An-Ottoman-Spy-in-Syracuse-1562-o-Un-esp%C3%ADa-otomano-en-Siracusa-1562.pdf|titolo=An Ottoman Spy in Syracuse (1562): Constantino/Mehmed from Candia Un espía otomano en Siracusa (1562): Constantino/Mehmed de Candía, Emrah Safa Gürkan|sito=[http://www.archivodelafrontera.com www.archivodelafrontera.com]|accesso=16 aprile 2019|urlmorto=sì}}</ref> Costantino, tuttavia, sembra essere solamente uno delle molte spie che Solimano aveva mandato nell'isola mediterranea: un rinnegato genovese, ad esempio, confessò a un capitano spagnolo di Sicilia che i Turchi dentro Siracusa avevano «molte intelligenze».<ref name=spiedue>Romano Canosa, Isabella Colonnello, ''Spionaggio a Palermo: aspetti della guerra segreta turco-spagnola in Mediterraneo nel Cinquecento'', 1991, pp. 166, 174.</ref>
Le ''intellighenzie'' ottomane nel siracusano erano, stando alle stesse parole delle spie al servizio dei Turchi, molte e «''muy buenas''» (molto professionali)<ref name=spiedue/>; esse affermavano di essere a conoscenza degli spostamenti delle truppe spagnole, al tal punto da mettere in ansia la corte spagnola, riferendo che un'armata dei Turchi sarebbe stata mandata a Siracusa non appena gli Spagnoli si fossero distratti dirigendo le loro forze verso Malta e [[La Goletta]].<ref name=spiedue/>
=== L'arrivo dei Turchi e il Grande assedio di Malta ===
{{vedi anche|Storia di Siracusa in età spagnola (1565 - 1693)}}
Solimano decise di voler conquistare la base dei [[cavalieri ospitalieri|cavalieri di Malta]], che continuavano a intralciare i suoi piani di conquista nel Mediterraneo centrale. Per fare ciò spedì una gigantesca forza militare contro la piccola isola posta appena sotto la Sicilia; suo estremo baluardo.
[[File:JPDV.jpg|miniatura|upright=0.7|sinistra|Il Gran Maestro Jean de la Valette, che voleva trasferire tutta la Religione a Siracusa dopo l'assedio del sultano]]
L'assedio maltese, passato alla storia come il [[Grande assedio di Malta]] del [[1565]], tenne con il fiato sospeso per molti mesi l'intera cristianità: persino la [[regina d'Inghilterra]] (in quegli anni vicina alla Spagna; preludio di una lunga guerra) disse che se Malta fosse caduta, allora il destino dei Cristiani sarebbe stato estremamente incerto.
[[File:Sailing to Siracusa.jpg|miniatura|upright=1.0|L'isola di Ortigia vista da alto mare]]
La città di Siracusa, data la sua vicinanza con i maltesi (enfatizzata proprio dagli Spagnoli), visse tutto ciò con enorme ansia e trepidazione (poiché tutti sapevano che una volta capitolata Malta, Solimano avrebbe marciato vittorioso contro di essa).
Il ruolo chiave della città aretusea lo conosceva bene anche il viceré di Sicilia, [[García Álvarez de Toledo y Osorio]], che si trasferì a Siracusa e dal suo campanile (ricostruito molti anni dopo il terremoto del '42) aspettava di scorgere la flotta ottomana; pronto ad affrontarla come poteva, nel caso i cavalieri avessero fallito.
Gli aiuti sperati dal Gran Maestro (che partirono dal siracusano) tardarono ad arrivare, e quando infine i cavalieri giovanniti ebbero la meglio sui Turchi, si creò del dissapore tra il viceré siciliano e l'Ordine di Malta.
Siracusa a quel punto fu nuovamente a un passo dal divenire la nuova sede dei cavalieri di Gerusalemme: [[Jean de la Valette]] era infatti stanco; stremato, e considerava perduta l'isola di Malta. Manifestò quindi la volontà di lasciarla per sempre e di approdare con tutta la religione a Siracusa, poiché, disse, Malta non avrebbe resistito a nuovo cruento assedio (che sarebbe arrivato, lo si dava per certo). Ma, per la seconda volta, i cavalieri trovarono nel compimento del loro progetto l'ostacolo della Spagna: per la seconda volta, infatti, Siracusa venne loro negata dal re spagnolo (prima Carlo V poi Filippo II).
Saputo il desiderio del Gran Maestro francese la Valette, gli Spagnoli, per convincerlo a restare a Malta, gli offrirono molto denaro, in modo tale da poter riparare le fortificazioni distrutte e resistere a oltranza (alle suppliche di rimanere nell'arcipelago maltese si aggiunse anche il papa). Si dirà poi che Jean de la Valette aveva bleffato; che in realtà aveva annunciato ciò solo per ottenere fondi dall'Europa, ma non tutti gli storici sono concordi con tale affermazione.
== Note ==
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;Riferimenti
{{Note strette}}
== Bibliografia ==
* {{cita libro| Bartolomeo Dal Pozzo | 1715 | Historia della sacra religione militare di S. Giovanni gerosolimitano detta di Malta | ISBN =no |cid =}}
* {{cita libro| Matheo Garviza | 1725 | Comentarios de la guerra de España e historia de su Rey Phelipe el Animoso | lingua=es | ISBN =no |cid =}}
* {{cita libro| [[Giovanni Evangelista Di Blasi]] | 1842 | Storia cronologia dei vicere luogotenenti e presidenti del regno di Sicilia | ISBN =no |cid =}}
* {{cita libro| Santi Luigi Agnello (Biblioteca comunale di Siracusa - BCS) | | II Liber privilegiorum et diplomatum nobilis et fidelissimae Syracusarum urbis (LP), III volumi| cid =BCS, LP}}
* {{cita libro| Modesto Lafuente, Juan Valera | 1877 | Historia general de España: desde los tiempos primitivos hasta la muerte de Fernando VII| lingua=es | volume=1, p. II|ISBN=no |cid =}}
* {{cita libro| Serafino Privitera| 1879 | Storia di Siracusa antica e moderna | volume= 2 e 3||ISBN =88-271-0748-7 |cid =Privitera, 1879}}
* {{cita libro| Teresa Carpinteri | 1983 | Siracusa, città fortificata | ISBN =no |cid =Carpinteri, 1983}}
* {{cita libro| Salvatore Russo| 2004 | Siracusa nell'età moderna: dal viceregno asburgico alla monarchia borbonica | ISBN =978-88-7260-145-7 |cid =Russo, 2004}}
* {{cita libro| [[Domenico Ligresti]]| 2002 | Dinamiche demografiche nella Sicilia moderna: 1505-1806 | ISBN=978-88-464-3995-6|cid =}}
* {{cita libro| Antonio Giuffrida | 2007 | La fortezza indifesa e il progetto del Vega per una ristrutturazione del sistema difensivo siciliano | ISBN=978-88-902393-3-5 |cid =Giuffrida, 2007}}
{{Storia di Siracusa}}
{{Portale|Sicilia|Siracusa|Spagna|Storia d'Italia}}
[[Categoria:Casa d'Asburgo]]
[[Categoria:Impero ottomano]]
[[Categoria:Storia di Siracusa in epoca moderna]]
[[Categoria:Storia della Sicilia spagnola]]
[[Categoria:Storia di Malta]]
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