Castello di Melegnano: differenze tra le versioni

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{{Infobox struttura militare
|Nome = Castello di Melegnano
|Nome originale =
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|Immagine = Melegnano castello Visconteo.JPG
|Didascalia = Il castello di Melegnano, vista frontale
|Stato =
|Stato attuale = ITA
|Suddivisione = {{IT-LOM}}[[Lombardia]]
|Città = [[Melegnano]]
|LatGradi =
|LatPrimi =
|LatSecondi =
|LatNS =
|LongGradi =
|LongPrimi =
|LongSecondi =
|LongEW =
|Tipologia = Castello medievale - rinascimentale
|Utilizzatore =
|Primo proprietario = [[Visconti]]
|Stile =
|Funzione strategica = Difesa della campagna esterna a Milano
|Termine funzione strategica = XVII secolo
|Inizio costruzione = [[XIII secolo]]
|Termine costruzione = [[XVII secolo]]
|Costruttore =
|Materiale =
|Armamento =
|Altezza =
|Demolizione =
|Condizione attuale =
|Proprietario attuale = [[Città metropolitana di Milano]]<br/>Comune di [[Melegnano]]
|Visitabile = Sì, mediante visite guidate
|Presidio = Sede del Museo Comunale
|Comandante attuale =
|Comandanti storici =
|Occupanti =
|Azioni di guerra = [[BattagliaAssedio di MelegnanoMarignano]]
|Eventi =
|Note =
|Sito web =
|Ref = fonti citate nel testo della voce
}}
 
Il '''castello di [[Melegnano]]''', situato nell'[[Melegnano|omonima città]]in [[Lombardia|lombarda]], è il risultato architettonico di una serie di stratificazioni dovute al susseguirsi di diverse dinastie al potere, succedutesi dall'dal [[XIII secolo]] al [[XVII secolo]].
 
== Storia ==
[[ImageFile:Medeghino.jpg|thumbminiatura|leftsinistra|[[Gian Giacomo Medici]] detto ''Medeghino'', celebre condottiero che divenne feudatario di Melegnano e del suo castello e la cui famiglia detenne il possesso di quelle terre per oltre quattro secoli''<ref name=":06232">{{cita|F. Bartolini|p. 40|Bartolini}}.</ref>''.]]
Il primo ''receptum'' su cui poi sorse il castello attuale, venne edificato a partire dal [[1243]] per volontà di Cattellano Carbone, podestà di Milano, incaricato dalla città della difesa anche delle campagne circostanti il capoluogo. Il castello esistente in quest'epoca era del tipo antico [[Motta castrale|a motta castrale]], con fossato e torrette, come riportato da [[Galvano Fiamma]] nella sua cronaca della città di Milano, ma venne edificato a sua volta su una precedente fortificazione presente nel medesimo luogo e distrutta nel [[1239]]. La necessità di edificare una fortezza a Melegnano era stata necessaria per Milano per contrastare le continue scorribande dell'imperatore [[Federico II del Sacro Romano Impero|Federico II]], nipote di [[Federico Barbarossa]]. Nel 1279, i guelfi e i ghibellini di Milano vi sottoscrissero un trattato di pace.<ref>L. Zucoli, ''Nuovissima guida dei viaggiatori in Italia e nelle principali parti d'Europa'', Milano, 1844</ref>
 
Il primo ''receptum'' su cui poi sorse il castello attuale, venne edificato a partire dal [[1243]] per volontà di Cattellano Carbone, podestà di Milano, incaricato dalla città della difesa anche delle campagne circostanti il capoluogo. Il castello esistente in quest'epoca era del tipo antico [[Motta castrale|a motta castrale]], con fossato e torrette, come riportato da [[Galvano Fiamma]] nella sua cronaca della città di Milano, ma venne edificato a sua volta su una precedente fortificazione presente nel medesimo luogo (forse nel [[X secolo]]<ref name=":1">{{cita|A. Contino|Castello di Melegnano|Perogalli}}.</ref>) e distrutta nel [[1239]]. La necessità di edificare una fortezza a Melegnano era stata necessaria per Milano per contrastare le continue scorribande dell'imperatore [[Federico II del Sacro Romano Impero|Federico II]], nipote di [[Federico Barbarossa]]. Nel 1279, i guelfi e i ghibellini di Milano vi sottoscrissero un trattato di pace.<ref>L. Zucoli, ''Nuovissima guida dei viaggiatori in Italia e nelle principali parti d'Europa'', Milano, 1844</ref>
La struttura venne poi fortemente ampliata per iniziativa di [[Matteo I Visconti]] prima e di [[Bernabò Visconti]] poi, assumendo la classica struttura a quadrilatero con torri quadrate angolari. Il 3 settembre [[1402]] al castello di Melegnano morì il primo duca di Milano, [[Gian Galeazzo Visconti]], e nel [[1468]] vi morì la duchessa [[Bianca Maria Visconti]], moglie del primo duca sforzesco [[Francesco Sforza|Francesco I]]. Nel [[1512]] il castello venne passato ai marchesi Brivio che nel [[1532]] lo vendettero con l'intero feudo di Melegnano e con approvazione dell'imperatore [[Carlo V]], nuovo duca di Milano, alla famiglia dei Medici di Nosigia (nello specifico a [[Gian Giacomo Medici]]) che assunsero il cognome di Medici di Marignano (antico nome di Melegnano). La famiglia dei Medici rimase proprietaria della struttura sino al [[1981]] quando gli ultimi eredi della famiglia decisero di vendere il castello alla [[provincia di Milano]] che due anni più tardi, tramite una permuta, decise di lasciare alcune sale in uso all'amministrazione comunale di Melegnano. Nel [[1998]] venne avviato il restauro completo degli esterni del castello, passando poi alle sale interne che riportano affreschi della metà del XVI secolo. Nel [[2001]] quando il complesso è stato riaperto ai visitatori, è stata inaugurata anche la "Civica raccolta don Cesare Amelli", parroco e storico locale.
[[File:Castello di Melegnano 0328.JPG|miniatura|destra|Particolare degli affreschi nella sala degli stemmi, si può vedere la differenza fra la parte restaurata e il rombo lasciato nello stato originario]]
 
La struttura venne poi fortemente ampliata per iniziativa di [[Matteo I Visconti]] prima e di [[Bernabò Visconti]]<ref name=":1" />''<ref name=":06232" />'' poi (1350 c.ca<ref name=":1" />''<ref name=":06232" />''), assumendo la classica struttura a quadrilatero con torri quadrate angolari. Alla morte di Berbabò, il castello passò per lascito testamentario a una concubina di lui, chiamata Donnina de'Porri''<ref name=":06232" />''.
==Struttura==
 
[[Image:Melegnano castello cortile.JPG|thumb|left|Il castello di Melegnano visto dal retro con la possibilità di vedere anche i porticati interni dopo le distruzioni dell'[[Assedio di Marignano|assedio del 1449]].]]
Il 3 settembre [[1402]] al castello di Melegnano morì il primo duca di Milano, [[Gian Galeazzo Visconti]], e nel [[1468]] vi morì la duchessa [[Bianca Maria Visconti]], moglie del primo duca sforzesco [[Francesco Sforza|Francesco I]]. Nel [[1512]] il castello venne passato ai marchesi [[Brivio (famiglia)|Brivio]] che nel [[1532]] lo vendettero con l'intero feudo di Melegnano e con approvazione dell'imperatore [[Carlo V]], nuovo duca di Milano, alla famiglia dei Medici di Nosigia (nello specifico a [[Gian Giacomo Medici]]) che assunsero il cognome di Medici di Marignano (antico nome di Melegnano). Dopo un investimento di oltre 30000 scudi in lavori per opere murarie,''<ref name=":06232" />'' Gian Giacomo Medici e i suoi discendenti rimasero proprietari della struttura sino al [[1981]], quando gli ultimi eredi della famiglia decisero di vendere il castello alla [[provincia di Milano]]. Due anni più tardi, tramite una permuta, l'amministrazione provinciale decise di lasciare alcune sale in uso all'amministrazione comunale di Melegnano, ove venne allestita una biblioteca pubblica<ref name=":1" />. Nel [[1998]] venne avviato il restauro completo degli esterni del castello, passando poi alle sale interne che riportano affreschi della metà del XVI secolo. Nel [[2001]] quando il complesso è stato riaperto ai visitatori, è stata inaugurata anche la "Civica raccolta don Cesare Amelli", parroco e storico locale.
Il castello di Melegnano si presenta attualmente con una atipica pianta a forma di "U" dal momento che una parte (quella sul retro, è andata perduta, distrutta per volere del duca [[Francesco Sforza]] nella settimana dal 25 aprile al 1º maggio [[1449]] quando, [[Assedio di Marignano|attaccando Melegnano]], con le proprie macchine da guerra atterrò le torri e le mura che si trovavano su questo lato. È realizzato completamente in laterizi col fronte principale verso l'attuale piazza della Vittoria che è l'unica parte conservatasi come in origine con l'eccezione dei finestroni di forma rettangolare che sono stati alterati rispetto agli originali archiacuti di cui ancora si può intravedere la forma: tale modifica apparirebbe essere la testimonianza più evidente del passaggio del complesso da fortezza militare a residenza signorile, avvenuta nel Cinquecento. Al termine delle mura, appena sotto l'attuale tetto, sono ancora visibili le merlature di stile guelfo.
 
[[Image:Paolo Monti - Servizio fotografico (Melegnano, 1980) - BEIC 6339131.jpg|thumb|La scalinata per cavalli del castello di Melegnano in un servizio fotografico di [[Paolo Monti]], 1980.]]
== Struttura ==
Agli angoli della struttura, ancora oggi si possono vedere due delle quattro torri originarie che hanno di lati di circa 10 metri di ampiezza. I lati del castello sono invece lunghi 75 metri. Internamente la corte appare porticata ad archi a tutto sesto con bugnato, dove un tempo si trovavano delle abitazioni oltre alle stalle e ai depositi del fieno per gli animali presenti nel complesso.<ref name="LazzaMazzi"/>
[[File:Melegnano castello cortile.JPG|miniatura|sinistra|Il castello di Melegnano visto dal retro con la possibilità di vedere anche i porticati interni dopo le distruzioni dell'[[Assedio di Marignano|assedio del 1449]].]]
 
Il castello di Melegnano si presenta attualmente con una atipica pianta a forma di "U" dal momento che una parte (quella sul retro, è andata perduta, distrutta per volere del duca [[Francesco Sforza]] nella settimana dal 25 aprile al 1º maggio [[1449]] quando, [[Assedio di Marignano|attaccando Melegnano]], con le proprie macchine da guerra atterrò le torri e le mura che si trovavano su questo lato.<ref>J. C. L. Simonde de Sismondi, ''Histoire des republiques italiennes du Moyen Age'', vol. 6, Parigi, 1807-08, p.223</ref> È realizzato completamente in laterizi col fronte principale verso l'attuale piazza della Vittoria che è l'unica parte conservatasi come in origine con l'eccezione dei finestroni di forma rettangolare che sono stati alterati rispetto agli originali archiacuti di cui ancora si può intravedere la forma: tale modifica apparirebbe essere la testimonianza più evidente del passaggio del complesso da fortezza militare a residenza signorile, avvenuta nel Cinquecento. Al termine delle mura, appena sotto l'attuale tetto, sono ancora visibili le merlature di stile guelfo.<ref name="LazzaMazzi"/>
[[File:Paolo Monti - Servizio fotografico (Melegnano, 1980) - BEIC 6339131.jpg|miniatura|La scalinata per cavalli del castello di Melegnano in un servizio fotografico di [[Paolo Monti]], 1980.]]
 
Agli angoli della struttura, ancora oggi si possono vedere due<ref name=":1" /> delle quattro torri originarie che hanno di lati di circa 10 metri di ampiezza. I lati del castello sono invece lunghi 75 metri. Internamente la corte appare porticata ad archi a tutto sesto con bugnato, dove un tempo si trovavano delle abitazioni oltre alle stalle e ai depositi del fieno per gli animali presenti nel complesso.<ref name="LazzaMazzi"/>
 
Di originale del castello visconteo si può ancora oggi vedere (seppur parzialmente) il fossato, un tempo particolarmente profondo e in comunicazione col fiume [[Lambro]]. Il fossato divenne noto col nome di "Fossa Medici". Sul fronte sono visibili inoltre le tracce dell'antico rivellino difensivo, di cui oggi però sono rimaste le due pareti laterali con alcune feritoie e buche per ospitare dei cannoni. Il ponte levatoio originariamente presente all'ingresso, è stato sostituito nel tempo con un ponte stabile. Varcato il portone centrale in cotto, si accede allo scalone d'onore che conduce ai piani superiori: esso è composto da scaglioni di mattoni disposti a spina di pesce, separati tra loro con cordoni di sasso, di modo da permettere la salita anche tramite i cavalli.<ref name="LazzaMazzi"/>
 
== Cicli pittorici ==
L'intero castello di Melegnano, presenta una serie di cicli pittorici risalenti al Cinquecento, perlopiù di mano ignota, volti a celebrare la famiglia dei Medici di Marignano che ne furono i fondatori ede a lungo proprietari ed in particolare la figura di [[Gian Giacomo Medici]], condottiero e comandante militare tra i più valorosi del suo secolo. Le decorazioni, che rivestono completamente le sale al primo piano del castello, sono una pregevole testimonianza delle diverse scuole artistiche operanti in Lombardia nel XVI secolo, nell'ambito del cosiddetto [[manierismo]] lombardo. Tutte le pitture sono ad affresco con alcune rifiniture a secco. Gli anni di abbandono e di trascuratezza della struttura, però, hanno in parte compromesso alcuni di questi, in particolare quelli posti sulle pareti verso l'esterno dell'edificio e generalmente nella parte inferiore delle stanze a causa dell'umidità.<ref name="LazzaMazzi">P. Lazza e C. Mazzi, Il castello di Melegnano: indagine storica e proposta di riuso, Milano, 1996</ref>
 
Molti di questi affreschi hanno tema mitologico ed eroico, come pure rimandi ed attinenza alla contemporaneità del Cinquecento. In particolare il salone di [[Ercole]], quello di Enea e quello degli Argonauti, rappresentano tutti le vicende di semidei che dovettero lottare per raggiungere la loro posizione privilegiata tra le divinità dell'Olimpo, il che può essere visto come un rimando alle vicende personali dei Medici di Marignano, di umili origini, che grazie alla forza, all'astuzia ed alla fortuna, riuscirono a raggiungere le più alte vette in campo militare e civile, nonché ecclesiastico con l'elevazione del cardinale Giovanni Angelo al soglio pontificio.<ref name="Amelli">C. Amelli, ''Il castello di Melegnano. La storia e l'arte'', Melegnano 1977</ref>
 
=== Atrio e scalone di accesso al piano nobile ===
L'atrio del castello è dipinto con una serie di motivi floreali, mentre sullo scalone è dipinto ad affresco sulla volta il mito di [[Fetonte]] che guida il carro del sole, accompagnato dallo stemma di Giangiacomo Medici. Sulle pareti, inquadrati da una finta balaustra, trovano spazio una serie di paesaggi.
 
Nella medesima area è presente anche la figura di Marte, ritenuto il mitico fondatore della città di [[Firenze]], accompagnato dallo stemma dei [[Medici]] di Firenze. La sua figura è posta al centro in posizione giudicante tra la pace e la guerra, simboleggiate rispettivamente da una donna che tiene tra le mani il ventilabro, l'oggetto con cui venivano sparse al vento le biade per separarne la [[Lolla|pula]] (simbolo del lavoro nei campi e quindi del periodo di pace) e un comandante affiancato da un gruppo di donne in agitazione (la guerra). L'affresco è affiancato dallo stemma della famiglia [[Borromeo]]<ref group="N">Margherita Medici, sorella del Medici, sposò Giberto Borromeo, conte di Arona, e fu madre di [[San Carlo Borromeo|San Carlo]]</ref> e da quello dei Medici di Marignano. Sulla parete opposta si trova raffigurato il mito di [[Ganimede (mitologia)|Ganimede]] rapito dall'aquila di Giove per la sua troppa bellezza. Ai lati l'affresco presenta due stemmi nobiliari, l'uno di Augusto Medici, fratello di Gian Giacomo, e l'altro appartenente alla famiglia [[Von Ems zu Hohenems]] di cui Wolfgang Theodoric aveva sposato Clara Medici, altra sorella di Giangiacomo.
 
Sovrastante gli affreschi si trova invece la figura di un [[brigantino]] appartenuto a Giangiacomo ed affiancato dal motto "Salva nos vigilantes" ("Salva noi vigilanti"). Opposto a questo si trova un affresco raffigurante la glorificazione del valore con il motto "Non frangitur pondere virtus" ("Il peso non spezza la virtù").
 
=== Sala del camino di Siena ===
La sala si presenta contraddistinta dalla presenza di un monumentale camino di pietra cinquecentesco, inquadrato in una cornice decorativa contraddistinta dalla presenza di [[telamoni]] in [[altorilievo]], come pure nella medesima tecnica sono realizzati gli episodi che riguardano la [[battagliaguerra di Siena]] la quale, voluta da [[Carlo V del Sacro Romano Impero|Carlo V]] che si pose ad arbitro tra i differenti partiti che guerreggiavano in città, occupandola, consentì a Giangiacomo Medici di avere una delle maggiori vittorie della sua carriera militare.
 
=== Sala dell'Imperatore ===
[[ImageFile:Castello di Melegnano 0276.JPG|thumbminiatura|leftsinistra|Il monumentale camino della Sala dell'Imperatore: la figura del nocchiero sulla nave è un'allegoria di Giangiacomo Medici, fautore della fortuna della sua casata]]
Questa grande sala (20 x 7,30 metri) venne dedicata dai Medici interamente alla figura degli imperatori del Sacro Romano Impero, ed in particolare di [[Carlo V del Sacro Romano Impero|Carlo V]] che fu particolarmente vicino alla figura di Giangiacomo Medici di Marignano. Al centro della parete più lunga si trova un camino in pietra arenaria di dimensioni colossali con una cappa sostenuta da due cariatidi.
 
Questa grande sala (20 x 7,30 metri) venne dedicata dai Medici interamente alla figura degli imperatori del Sacro Romano Impero, ed in particolare di [[Carlo V del Sacro Romano Impero|Carlo V]] che fu particolarmente vicino alla figura di Giangiacomo Medici di Marignano. Al centro della parete più lunga si trova un camino in pietra arenaria di dimensioni colossali con una cappa sostenuta da due cariatidi.
Le pareti presentano degli affreschi suddivisi in due fasce: quella superiore presenta la raffigurazione di una serie di vedute di città tedesche intervallate da figure femminili allegoriche, mentre la parte inferiore è decorata con motivi architettonici. Nella fascia superiore, partendo dalla porta d'ingresso, si incontra la città di [[Basilea]], collocata tra l'allegoria della Medicina (rappresentata da una donna che si toglie una spina dal piede), e la Carità (una donna che allatta un bambino). [[Image:Castello di Melegnano 0275.JPG|thumb|right|350px|La raffigurazione della città imperiale di [[Worms]], affiancata dalle allegorie della Fortezza e della Fede]]
Segue poi l'allegoria della Musica (una donna che suona un'arpa) ed un'altra figura di difficile lettura a causa dei pesanti danni subiti nei secoli: entrambe affiancano la veduta della città di [[Spira]] con la caratteristica cattedrale, seguita poi dalla raffigurazione allegorica della Prudenza (con lo specchio, un compasso ed un libro). A destra del camino proseguono le rappresentazioni con la raffigurazione dell'allegoria della Fortezza (una donna affiancata da una colonna) e la veduta della città di [[Worms]], nota per le molte assemblee storiche di carattere religioso e politico che vi si tennero.<ref>Qui ebbe luogo tra l'altro la famosa "dieta" indetta da Carlo V nel [[1521]] con la quale le tesi di [[Martin Lutero]] e dei protestanti vennero messe al bando in tutto l'Impero.</ref> Seguono le allegorie della Fede (una donna che regge una croce, un'ostensorio, un panno bianco e con un libro ai piedi) e della Giustizia (una donna che sorregge una spada e una bilancia). Di fianco si trova la raffigurazione della città di [[Colonia]] dove appare chiaramente distinguibile la figura della cattedrale cittadina che, iniziata nel [[1248]], a metà Cinquecento appariva ancora incompleta (verrà completata solo nell'Ottocento). Si distinguono poi le allegorie della Temperanza (una donna che versa dell'acqua da un recipiente all'altro) e della Pace (una donna che tiene una [[cornucopia]]). La raffigurazione successiva è quella della città di [[Erfurt]], seguita dalla virtù della Speranza (una donna che medita davanti ad un vaso) e quindi la veduta della città di [[Fulda]]. Segue quindi la raffigurazione allegorica della Grammatica (una donna che tiene per mano due bambini) affiancata alla città di [[Francoforte sull'Oder]] ove si trovava una dogana istituita da Carlo V come città di confine. Segue infine l'allegoria della Caccia (raffigurata nella persona di [[Diana]] cacciatrice con arco e frecce).
 
Le pareti presentano degli affreschi suddivisi in due fasce: quella superiore presenta la raffigurazione di una serie di vedute di città tedesche intervallate da figure femminili allegoriche, mentre la parte inferiore è decorata con motivi architettonici. Nella fascia superiore, partendo dalla porta d'ingresso, si incontra la città di [[Basilea]], collocata tra l'allegoria della Medicina (rappresentata da una donna che si toglie una spina dal piede), e la Carità (una donna che allatta un bambino).
L'anonimo pittore che realizzò questo ciclo di affreschi si servì certamente di una serie di [[xilografie]] delle varie città tedesche derivate dall'opera di [[Sebastian Munster]], noto geografo e cosmografo dell'epoca che proprio nel [[1544]] aveva dato alle stampe la sua ''Cosmographia Universalis'' che aveva conosciuto ampia diffusione anche in Italia.
[[File:Castello di Melegnano 0275.JPG|miniatura|destra|La raffigurazione della città imperiale di [[Worms]], affiancata dalle allegorie della Fortezza e della Fede]]
 
Segue poi l'allegoria della Musica (una donna che suona un'arpa) ed un'altra figura di difficile lettura a causa dei pesanti danni subiti nei secoli: entrambe affiancano la veduta della città di [[Spira (Germania)|Spira]] con la caratteristica cattedrale, seguita poi dalla raffigurazione allegorica della Prudenza (con lo specchio, un compasso ed un libro). A destra del camino proseguono le rappresentazioni con la raffigurazione dell'allegoria della Fortezza (una donna affiancata da una colonna) e la veduta della città di [[Worms]], nota per le molte assemblee storiche di carattere religioso e politico che vi si tennero.<ref group="N">Qui ebbe luogo tra l'altro la famosa "dieta" indetta da Carlo V nel [[1521]] con la quale le tesi di [[Martin Lutero]] e dei protestanti vennero messe al bando in tutto l'Impero.</ref> Seguono le allegorie della Fede (una donna che regge una croce, un ostensorio, un panno bianco e con un libro ai piedi) e della Giustizia (una donna che sorregge una spada e una bilancia). Di fianco si trova la raffigurazione della città di [[Colonia (Germania)|Colonia]] dove appare chiaramente distinguibile la figura della cattedrale cittadina che, iniziata nel [[1248]], a metà Cinquecento appariva ancora incompleta (verrà completata solo nell'Ottocento). Si distinguono poi le allegorie della Temperanza (una donna che versa dell'acqua da un recipiente all'altro) e della Pace (una donna che tiene una [[cornucopia]]). La raffigurazione successiva è quella della città di [[Erfurt]], seguita dalla virtù della Speranza (una donna che medita davanti ad un vaso) e quindi la veduta della città di [[Fulda]]. Segue quindi la raffigurazione allegorica della Grammatica (una donna che tiene per mano due bambini) affiancata alla città di [[Francoforte sull'Oder]] ove si trovava una dogana istituita da Carlo V come città di confine. Segue infine l'allegoria della Caccia (raffigurata nella persona di [[Diana]] cacciatrice con arco e frecce).
===Sala delle Quattro Stagioni===
Questa sala, contraddistinta dal tema delle Quattro Stagioni, presenta degli affreschi con diverse divinità greche e romane come tutelari delle diverse stagioni dell'anno. La parete dedicata all'inverno rappresenta il carro del dio [[Giano]], quella dedicata alla primavera raffigura [[Venere]], quella dedicata all'estate la dea [[Cerere]] che sovrintende alle coltivazioni nei campi e sull'ultima è raffigurata la dea [[Pomona]], tutelare dell'autunno.
 
L'anonimo pittore che realizzò questo ciclo di affreschi si servì certamente di una serie di [[xilografie]] delle varie città tedesche derivate dall'opera di [[Sebastian Münster]], noto geografo e cosmografo dell'epoca che proprio nel [[1544]] aveva dato alle stampe la sua ''Cosmographia Universalis'' che aveva conosciuto ampia diffusione anche in Italia.
Nel primo affresco, Giano è raffigurato bifronte con in mano una chiave (che rappresenta il passaggio tra l'anno vecchio e quello nuovo, stagione in cui si trova l'inverno).<ref>Il nome latino di Giano è inoltre ''Ianus'' che ha chiara attinenza non solo con la parola ''ianua'' (porta) ma anche col mese ''ianuarius'' (gennaio).</ref>Nel medesimo affresco è raffigurato sullo sfondo anche uno dei colli di Roma, il [[Gianicolo]], dove i romani ritenevano vi fosse la sede del dio. Nell'affresco si trova anche la figura di [[Saturno]] con la falce in mano (dio dei campi e che rappresenta l'anno passato), affiancato dalla figura di un uomo seduto su una catasta di legni mentre è intento a prendere tra le mani un vaso per versare del vino in una brocca, simbolo delle festività antiche in onore del dio Giano che si tenevano proprio nella stagione invernale. Questa scena è accompagnata da un'altra scena raffigurante una giovane donna seduta su un cavallo dal manto marrone, raffigurata senza braccia, mentre un'altra sta seduta sul dorso di un maiale (animale questo sacrificato un tempo a Giano) con un vaso ed una lancia tra le mani. A fianco di queste trova posto la raffigurazione di un'altra donna avente in una mano un vaso dal quale fuoriesce la figura di un animale, mentre nell'altra porta una lancia terminante con un rospo infilzato. Sullo sfondo sono visibili due corvi, animali tradizionalmente sacri a [[Giunone]].
 
=== Sala delle stagioni ===
Sulla parete dedicata all'autunno, si trova un affresco rappresentante una festività in onore di [[Bacco]] con la figura evidente del satiro [[Sileno]], celebrato da [[Ovidio]], col capo ornato di foglie di vite ed a cavallo di un asino agghindato a festa, il tutto seguito da un corteo di persone. Al centro della composizione troneggia la figura di [[Pomona]] seduta su un carro trainato da due capre, mentre porta nelle mani delle mele. Dietro di lei, su un tronetto, si trova la figura di un uomo decorato con dei rami verdi e dietro di lui un satiro che suona una piccola tromba. Davanti alla dea si trova la figura di una donna con una veste chiara nell'atto di agitare un ramo. A destra della dea si trova un ampio paesaggio di campagna contraddistinto da una vasta area alberata di sfondo. A sinistra si trovano due donne che portano sul capo un cesto di foglie e di frutti autunnali, mentre a destra si trova un uomo con un bastone ed una donna che porta tra le mani un [[fuso]].
Questa sala, contraddistinta dal tema delle quattro stagioni, presenta degli affreschi con diverse divinità greche e romane come tutelari delle diverse stagioni dell'anno. La parete dedicata all'inverno rappresenta il carro del dio [[Giano]], quella dedicata alla primavera raffigura [[Venere (divinità)|Venere]], quella dedicata all'estate la dea [[Cerere]] che sovrintende alle coltivazioni nei campi e sull'ultima è raffigurata la dea [[Pomona]], tutelare dell'autunno.
 
Nel primo affresco, Giano è raffigurato bifronte con in mano una chiave (che rappresenta il passaggio tra l'anno vecchio e quello nuovo, stagione in cui si trova l'inverno).<ref group="N">Il nome latino di Giano è inoltre ''Ianus'' che ha chiara attinenza non solo con la parola ''ianua'' (porta) ma anche col mese ''ianuarius'' (gennaio).</ref> Nel medesimo affresco è raffigurato sullo sfondo anche uno dei colli di Roma, il [[Gianicolo]], dove i romani ritenevano vi fosse la sede del dio. Nell'affresco si trova anche la figura di [[Saturno (divinità)|Saturno]] con la falce in mano (dio dei campi e che rappresenta l'anno passato), affiancato dalla figura di un uomo seduto su una catasta di legni mentre è intento a prendere tra le mani un vaso per versare del vino in una brocca, simbolo delle festività antiche in onore del dio Giano che si tenevano proprio nella stagione invernale. Questa scena è accompagnata da un'altra scena raffigurante una giovane donna seduta su un cavallo dal manto marrone, raffigurata senza braccia, mentre un'altra sta seduta sul dorso di un maiale (animale questo sacrificato un tempo a Giano) con un vaso ed una lancia tra le mani. A fianco di queste trova posto la raffigurazione di un'altra donna avente in una mano un vaso dal quale fuoriesce la figura di un animale, mentre nell'altra porta una lancia terminante con un rospo infilzato. Sullo sfondo sono visibili due corvi, animali tradizionalmente sacri a [[Giunone]].
Presso il camino monumentale della sala inizia la parete dedicata alla primavera dove la prima scena raffigurata e quella dell'amore tra Marte e [[Venere]], di fronte ai quali si trovano le figure di due donne, una col compasso tra le mani e l'altra nell'atto di suonare una tromba, simboleggianti rispettivamente le virtù della Discrezione e della Fama, accompagnate da due animali, il lupo (sacro a Marte) ed il cigno (sacro a Venere). Al centro della parete si trova la raffigurazione del trionfo di Venere, dea tutelare della primavera, la quale è seduta su un carro lavorato che porta davanti un cesto di frutta col satiro [[Pan]] che suona la [[siringa]]. Dietro alla figura di Venere si trova quella di un suonatore di [[liuto]]. Sopra tutti i personaggi si trova la raffigurazione di [[Eros]], un bimbo alato, armato di arco e di frecce. A destra di Venere si trova la figura di [[Mercurio]], protettore dei viaggiatori e del commercio oltre che della furbizia propria dei commercianti, il quale è raffigurato nell'episodio delle mandrie di Admeto: la leggenda greca narra che mentre Ermes (questo era il nome greco di Mercurio) si trovava in viaggio, si imbatté in una delle mandrie che [[Admeto]] aveva affidato alla custodia di [[Apollo]]; riuscì a farsi seguire da quelle bestie, rubandole, dopo aver loro astutamente ribattuto i ferri dei piedi all'incontrario di modo che non se ne potessero seguire le orme. [[Apollo]], accortosi del furto e del responsabile, fece pace con Ermes e gli donò un verga d'oro (il [[caduceo]]), mentre Mercurio donò ad Apollo la sua famosa lira.
 
Sulla parete dedicata all'autunno, si trova un affresco rappresentante una festività in onore di [[Bacco]] con la figura evidente del satiro [[Sileno]], celebrato da [[Ovidio]], col capo ornato di foglie di vite e a cavallo di un asino agghindato a festa, il tutto seguito da un corteo di persone. Al centro della composizione troneggia la figura di [[Pomona]] seduta su un carro trainato da due capre, mentre porta nelle mani delle mele. Dietro di lei, su un tronetto, si trova la figura di un uomo decorato con dei rami verdi e dietro di lui un satiro che suona una piccola tromba. Davanti alla dea si trova la figura di una donna con una veste chiara nell'atto di agitare un ramo. A destra della dea si trova un ampio paesaggio di campagna contraddistinto da una vasta area alberata di sfondo. A sinistra si trovano due donne che portano sul capo un cesto di foglie e di frutti autunnali, mentre a destra si trova un uomo con un bastone ed una donna che porta tra le mani un [[Fuso (strumento)|fuso]].
La parete dedicata all'estate è incentrata sulla raffigurazione del trionfo di [[Cerere]] la quale, seduta su di un carro rustico mentre tiene tra le mani delle spighe di grano. Il suo carro è trainato da due cigni e guidato da due uomini, uno nell'atto di bere (rappresentante la gioia dell'estate) e l'altro che porta un vassoio di frutta (atto che ricorda l'offerta delle primizie dei campi alla dea come sacrificio). Dietro la dea si trova la figura di un servo con un ramo tra le mani e quella di un [[satiro]] che suona. Sullo sfondo si trovano le raffigurazioni di un paesaggio con dei monti, una spiaggia, il mare, alcune abitazioni ed alcune figure come quella del dio [[Nettuno]], divinità fluviale, e di [[Trittolemo]], maestro di agricoltura. La fisionomia dei due personaggi, però, ricalcano fedelmente rispettivamente quella di Giangiacomo e di suo fratello Giovanni Angelo, futuro papa [[Pio IV]]. Le due donne che li accompagnano portano il correggiato, uno strumento agricolo per battere la [[biada]]. Sulla parete di fianco si trova la figura di [[Apollo]] raffigurato qui come dio del Sole con una chioma di raggi splendenti, portando tra le mani la propria lira tetracorda a ricordare il suo essere anche dio protettore della musica, delle arti e della poesia. Sulla parte sinistra dell'affresco si trova la [[sibilla]] italica [[Deifobe]], sacerdotessa di Apollo, affiancata da un piccolo rastrello. A destra si trova invece la raffigurazione del mito di [[Asteria]], personificazione della notte serena e stellata. La giovane, amata da Giove, quando invecchiò non piacque più al dio che decise di trasformarla in una [[quaglia]] e la pose a vivere nell'isola di Ortigia.
 
Presso il camino monumentale della sala inizia la parete dedicata alla primavera dove la prima scena raffigurata e quella dell'amore tra Marte e [[Venere (divinità)|Venere]], di fronte ai quali si trovano le figure di due donne, una col compasso tra le mani e l'altra nell'atto di suonare una tromba, simboleggianti rispettivamente le virtù della Discrezione e della Fama, accompagnate da due animali, il lupo (sacro a Marte) ed il cigno (sacro a Venere). Al centro della parete si trova la raffigurazione del trionfo di Venere, dea tutelare della primavera, la quale è seduta su un carro lavorato che porta davanti un cesto di frutta col satiro [[Pan]] che suona la [[Flauto di Pan|siringa]]. Dietro alla figura di Venere si trova quella di un suonatore di [[liuto]]. Sopra tutti i personaggi si trova la raffigurazione di [[Eros]], un bimbo alato, armato di arco e di frecce. A destra di Venere si trova la figura di [[Mercurio (divinità)|Mercurio]], protettore dei viaggiatori e del commercio oltre che della furbizia propria dei commercianti, il quale è raffigurato nell'episodio delle mandrie di Admeto: la leggenda greca narra che mentre Ermes (questo era il nome greco di Mercurio) si trovava in viaggio, si imbatté in una delle mandrie che [[Admeto (mitologia)|Admeto]] aveva affidato alla custodia di [[Apollo]]; riuscì a farsi seguire da quelle bestie, rubandole, dopo aver loro astutamente ribattuto i ferri dei piedi all'incontrario di modo che non se ne potessero seguire le orme. [[Apollo]], accortosi del furto e del responsabile, fece pace con Ermes e gli donò una verga d'oro (il [[caduceo]]), mentre Mercurio donò ad Apollo la sua famosa lira.
===Sala di Ercole===
[[Image:Castello di Melegnano 0292.JPG|thumb|right|350px|Scena di battaglia nella Sala di Ercole]]
Il terzo salone è dedicato al mito del dio [[Ercole]], di notevoli dimensioni (14.40 x 7.30 m) e questo aveva la funzione di vasta anticamera che immetteva nelle altre stanze del piano superiore. Nella parte superiore è contraddistinto da 18 affreschi che rappresentano degli episodi della vita di Ercole, il dio che per eccellenza nell'antichità rappresentava il vigore e la robustezza fisica oltre alla generosità ed all'altruismo.
 
La parete dedicata all'estate è incentrata sulla raffigurazione del trionfo di [[Cerere]] la quale, seduta su di un carro rustico mentre tiene tra le mani delle spighe di grano. Il suo carro è trainato da due cigni e guidato da due uomini, uno nell'atto di bere (rappresentante la gioia dell'estate) e l'altro che porta un vassoio di frutta (atto che ricorda l'offerta delle primizie dei campi alla dea come sacrificio). Dietro la dea si trova la figura di un servo con un ramo tra le mani e quella di un [[satiro]] che suona. Sullo sfondo si trovano le raffigurazioni di un paesaggio con dei monti, una spiaggia, il mare, alcune abitazioni ed alcune figure come quella del dio [[Nettuno (divinità)|Nettuno]], divinità fluviale, e di [[Trittolemo]], maestro di agricoltura. La fisionomia dei due personaggi, però, ricalcano fedelmente rispettivamente quella di Giangiacomo e di suo fratello Giovanni Angelo, futuro [[papa Pio IV]]. Le due donne che li accompagnano portano il correggiato, uno strumento agricolo per battere la [[biada]]. Sulla parete di fianco si trova la figura di [[Apollo]] raffigurato qui come dio del Sole con una chioma di raggi splendenti, portando tra le mani la propria lira tetracorda a ricordare il suo essere anche dio protettore della musica, delle arti e della poesia. Sulla parte sinistra dell'affresco si trova la [[sibilla]] italica [[Deifobe]], sacerdotessa di Apollo, affiancata da un piccolo rastrello. A destra si trova invece la raffigurazione del mito di [[Asteria]], personificazione della notte serena e stellata. La giovane, amata da Giove, quando invecchiò non piacque più al dio che decise di trasformarla in una [[quaglia]] e la pose a vivere nell'isola di Ortigia.
La parete di destra, raffigura nel primo episodio Ercole allattato da una donna, seguito dal mito di [[Iole]], da quello di [[Eurito]], di [[Ifilo]] e della lite con [[Apollo]]; l'episodio in cui Ercole uccide il mostro marino che stava per divorare [[Esione]], figlia di [[Laomedonte]], re di Troia; poi l'uccisione del centauro [[Nesso]], che si offrì di portare [[Deianira]], moglie di Ercole, attraverso il fiume [[Eveno]], salvo poi tentare di rapirla. Segue poi l'affresco della lotta col leone di [[Nemea]]; l'incendio del bosco per bruciare le teste dell'[[Idra]] di [[Lerna]]; l'uccisione di [[Orto]], un mostruoso cane bicipite che custodiva le mandrie di [[Gerione]], oltre all'episodio dell'uccisione dello stesso Gerione per poterne rubare le preziose mandrie. Proseguendo sulla parete di sinistra si incontra l'episodio dell'uccisione di [[Anteo]]; Ercole che dà sepoltura al corpo di [[Icaro]] sulla riva del mare; Ercole appena nato che strozza i due serpenti mandati dalla moglie di [[Zeus]] verso la sua culla per ucciderlo, invidiosa del tradimento coniugale del marito. Segue poi l'episodio in cui Ercole indossa la tunica di Nesso (che gli darà poi la morte tra dolori strazianti); la figura di una divinità che sottrae Ercole dalla persecuzione di [[Giunone]]; Ercole che prende a sassate una lupa; la lotta per la cintura di [[Ippolita]] ed infine un ulteriore episodio di Ercole bambino.
 
=== Sala deglidelle Battaglie Argonauti===
La sala, immediatamente successiva a quella dell'Imperatore, è contraddistinta dalla presenza nel fascione superiore affrescato di nove scene di battaglia dirette da [[Gian Giacomo Medici]], nei luoghi dove egli operò come condottiero (prevalentemente il [[lago di Como]]) prima di divenire marchese (prima del 1532). È risaputo infatti che la carriera del Medici ebbe origini oscure e criminali sino a quando non entrò in una banda di volontari al seguito di [[Francesco II Sforza]] che stava lottando per riottenere il trono del ducato di Milano e riuscì a schierarsi coi vincitori, scacciando i francesi, prendendo subito dopo parte alla lenta ma progressiva riconquista di tutte le fortezze ducali nel territorio: la prima di esse fu [[Castello di Musso|quella di Musso]], presso il [[lago di Como]]. Ottenne dal duca il permesso di risiedere in quel castello da dove poteva facilmente dominare buona parte del lago, e li trascorse dieci anni della sua vita.
Attiguo a quello di Ercole si trova la sala degli Argonauti. Essa era lo studio privato del marchese di Melegnano e luogo dove egli riceveva gli amici più intimi. La stanza misura 8.10 x 7.10 metri ed ha alle pareti degli affreschi che descrivono il mito di [[Giasone]] e degli Argonauti. Gli affreschi vennero certamente realizzati attorno al [[1565]], anno in cui venne dato alle stampe il libro con le xilografie di questi dipinti, attribuiti a [[Bernardino Campi]], il quale già aveva lavorato a Milano presso [[Ferrante Gonzaga]], il cui figlio Ottavio sposò Cecilia Medici di Marignano, figlia del marchese Agosto. L'attribuzione degli affreschi al campi, per quanto non certa, si riscontra anche nell'influsso qui presente dei medesimi motivi decorativi ripresi poi nel [[Palazzo Te]] a [[Mantova]] dove lavorò [[Giulio Romano]] di cui il Campi era particolarmente amico e di cui risentì dell'influsso.<ref name="Amelli"/>
 
Le scene sono, come in altre sale, inquadrate all'interno di finte architetture nelle quali sono inquadrati armi e trofei, tamburi e stendardi. Alte colonne scanalate dipinte a ''trompe l'oeil'' sostengono un architrave sopra la quale si trova una finta tappezzeria gialla arabescata ed ornata a sua volta di festoni. La sala misura 16 x 9.70 metri e riceve luce da ben quattro finestre che danno sia sulla piazza del castello che sul cortile interno.
Il primo affresco della sala rappresenta la nave [[Argo]] che diede il nome all'intera compagnia di Giasone che navigò verso la [[Colchide]] per rubare il [[vello d'oro]]. La nave è accompagnata alle divinità tutelari del mare che soffiano con le loro trombe d'aria per facilitare la navigazione agli eroi. Sulla parete presso il camino, è raffigurato l'episodio dell'incontro tra gli Argonauti ed il re [[Fineo]], liberato dagli eroi dalla persecuzione delle [[arpie]] inviate dagli dei contro di lui per tormentarlo. Segue poi oltre il camino marmoreo l'episodio del mito di [[Medea]] raffigurata in diversi episodi: nella parte superiore è raffigurata vicino al carro della [[Luna]], poi nell'atto di pregare per ringiovanire il padre dell'amato Giasone, facendo arretrare il carro della notte con dei filtri magici. Successivamente la si vede squarciare la gola del vecchio con una spada, lasciando che ne uscisse il sangue ormai vecchio e riempiendo le sue vene con sangue limpido. Sopra le finestre gli affreschi proseguono con la raffigurazione dell'arrivo di Giasone e dei compagni presso il re [[Eeta]], sovrano della Colchide e padre di Medea, il quale aveva ricevuto la custodia e la tutela del vello d'oro, il cui possesso gli avrebbe inoltre garantito il trono. L'affresco a destra rappresenta Medea, figlia di Eeta, che si reca al tempio di Ecate, la dea della notte, ed a fianco di questo dipinto si vedono le prove a cui Giasone venne sottoposto da Eeta per ottenere il vello d'oro: Medea, innamorata di Giasone, si offrì di aiutarlo a soggiogare i due tori di bronzo con fiammeggianti con cui avrebbe dovuto arare un campo. Al termine dell'aratura, Giasone dovette seminare i denti di un drago da cui, quasi improvvisamente, nacquero dei guerrieri con intenzioni minacciose. Medea è raffigurata ancora una volta nell'atto di intervenire a favore dell'amato, inducendo una lotta reciproca tra i guerrieri che li spinse ad uccidersi l'un l'altro. Nell'ultimo affresco, Giasone è raffigurato nell'atto di prendere tra le mani il [[vello d'oro]] dopo che l'amata Medea ne aveva addormentato il drago posto a custodia. Nell'ultimo affresco di questo ciclo si vedono le figure del re Eeta e dei suoi soldati che inseguono Medea, fuggita con Giasone, dopo aver scoperto che proprio lei lo aveva tradito. Sulla parte sinistra del dipinto si vedono invece gli Argonauti raggiungere in tutta fretta la nave Argo per ripartire. Il re della Colchide è raffigurato nel momento straziante in cui tiene in mano una mano umana appartenuta al figlio minore con cui Medea era fuggita assieme a Giasone; la ragazza, sentendosi ormai braccata dal padre, aveva uccise il fratello e lo smembrò in più pezzi così che il padre, attardandosi a raccoglierne i pezzi, non riuscì a raggiungerla.
 
Una delle prime scene che si incontrano nella sala rappresenta l'occupazione del castello di [[Chiavenna]] che il Medici, non potendo ricorrere alla forza, conquistò con l'astuzia affidando l'impresa al fidato Mattiolo Riccio, un valoroso soldato che, prendendo in ostaggio il castellano dei grigioni Valfio Silvestri, riuscì a penetrare nel castello col favore della notte, aprendo il mattino seguente le porte al Medici. L'affresco in questione rappresenta proprio quest'ultima parte della scena con l'arrivo trionfale di Gian Giacomo. Sulla sinistra dell'affresco si può notare il monte Dalò con delle case di un centro abitato cinto da mura.
 
A sinistra di questa scena si trova il camino, di forme imponenti, la cui cappa è affrescata col tema mitologico della fucina di [[Vulcano]].
 
La parete frontale ad esso presenta tre affreschi di cui quello centrale rappresenta l'assedio di [[Lecco]] il quale fu condotto da Gian Giacomo de Medici dal 1526 sino al 1528 per conto dei francesi ai quali si era posto come mercenario. Gian Giacomo attaccò dunque le principali fortezze spagnole nel comasco e nel lecchese con l'ausilio di quattromila soldati mercenari svizzeri. A Lecco giunse a comporre una flottiglia per assaltare la città anche via acqua, ma fu in quel momento che il governatore spagnolo di Milano, [[Antonio de Leyva]], gli fece la controproposta di occupare liberamente Lecco purché permettesse il passaggio delle vettovaglie destinate alle truppe spagnole, firmando così non solo una tregua col Medici, ma attirandolo dalla propria parte coi titoli di marchese di [[Musso (Italia)|Musso]] e conte di [[Lecco]] (convenzione di Pioltello). centro della parete del suo castello di Melegnano. L'affresco presenta nella parte sinistra le mura di difesa con la torre eretta dai Visconti, mentre a destra si trova il ponte fatto costruire da [[Azzone Visconti]] (distinguibile per il biscione al centro).
[[File:Castello di Melegnano 0288.JPG|miniatura|destra|La battaglia di Bellagio]]
 
L'affresco di sinistra rappresenta invece la conquista di [[Morbegno]], in [[Valtellina]], seguito poi dalla battaglia navale di [[Bellagio]], sul [[lago di Como]]. Ben visibile sullo sfondo, al centro, si distingue il borgo di [[Varenna]]. In primo piano, invece, sulla destra, si nota il borgo di [[Bellagio]]. Come ricordano i resoconti dell'epoca, la flotta del Medici era solitamente composta da sette imbarcazioni a tre vele e quarantotto remi ciascuna, munite di cannoni con proiettili da 39 libbre. L'episodio rappresentato è proprio uno dei più noti della cosiddetta [[guerra di Musso]] (aprile 1531 - gennaio 1532) dove Gian Giacomo Medici si scontrò col duca di Milano [[Francesco II Sforza]] per non aver voluto riconsegnare i territori da lui faticosamente conquistati.<ref group="N">Questo era inoltre in palese contraddizione con quanto stabilito dal convegno di Bologna del 23 dicembre 1529 stipulato tra l'Imperatore e [[papa Clemente VII]]</ref> Il Medici uscì trionfante dallo scontro, il cui momento culminante è rappresentato nella parte centrale: le navi del Medici e quelle ducali sono come aggrovigliate tra loro al centro del dipinto. Come simbolo di audace ferocia bellica, in cielo volteggiano nervosamente quattro falchi in cerca di preda.
[[File:Castello di Melegnano 0282.JPG|miniatura|sinistra|Il tentativo di conquista del [[castello di Musso]] da parte degli svizzeri dei Grigioni]]
 
Gli affreschi presenti nella parete a destra, invece, rappresentano uno un episodio della guerra di Musso, dove è ben visibile non solo il castello locale e le sue fortificazioni, ma anche il terribile fossato fatto realizzare dal Medici, come pure una scena di combattimento visibile sul monte in alto a sinistra dove si scontrano tra loro le truppe dei Grigioni con quelle di Gian Giacomo Medici (1531). Gli svizzeri, intenzionati a privare il Medici della sua potenza in loco, giunsero faticosamente sulle montagne attorno a Musso con pesanti obici per poter bombardare le sue fortificazioni ma, notati i movimenti, Gian Giacomo riuscì a sorprenderli risalendo agevolmente la montagna da sentieri secondari, cogliendo di sorpresa i Grigioni, gettando la loro artiglieria nel lago e riuscendo ad ingaggiare con loro un combattimento a mano armata.
 
L'affresco a destra rappresenta Bellagio e il borgo di Varenna. Durante la guerra di Musso, la cittadina di Bellagio si trovò al centro di pesanti combattimenti per la sua posizione strategica all'interno del [[lago di Como]]. Il suo promontorio fu conteso lungamente tra le truppe del duca, comandate da Ludovico Vistarini, e i soldati di Gian Giacomo. Dopo un anno di combattimenti infruttuosi per ambo le parti, il Medici decise di abbandonare il lago di Como e la rocca di Musso, ottenendone in cambio il castello ed il marchesato di Melegnano. L'altro affresco presente raffigura un'altra visione del [[castello di Musso]], assediato questa volta dai Grigioni e da altri soldati svizzeri che tentarono invano di conquistarlo. Il Medici riuscì a sconfiggere i nemici sotto l'abitato di Musso. A destra, una scena di battaglia navale riconduce ancora a un'impresa del Medici per la conquista di [[Malgrate]].
 
=== Sala di Ercole ===
Il terzo salone è dedicato al mito del dio [[Ercole]], di notevoli dimensioni (14.40 x 7.30 m) e questo aveva la funzione di vasta anticamera che immetteva nelle altre stanze del piano superiore. Nella parte superiore è contraddistinto da 18 affreschi che rappresentano degli episodi della vita di Ercole, il dio che per eccellenza nell'antichità rappresentava il vigore e la robustezza fisica oltre alla generosità ed all'altruismo.
 
La parete di destra, raffigura nel primo episodio Ercole allattato da una donna, seguito dal mito di [[Iole (mitologia)|Iole]], da quello di [[Eurito]], di [[Ifilo]] e della lite con [[Apollo]]; l'episodio in cui Ercole uccide il mostro marino che stava per divorare [[Esione]], figlia di [[Laomedonte]], re di Troia; poi l'uccisione del centauro [[Nesso (mitologia)|Nesso]], che si offrì di portare [[Deianira]], moglie di Ercole, attraverso il fiume [[Eveno]], salvo poi tentare di rapirla. Segue poi l'affresco della lotta col leone di [[Nemea]]; l'incendio del bosco per bruciare le teste dell'[[Idra di Lerna]]; l'uccisione di [[Orto]], un mostruoso cane bicipite che custodiva le mandrie di [[Gerione (mitologia)|Gerione]], oltre all'episodio dell'uccisione dello stesso Gerione per poterne rubare le preziose mandrie. Proseguendo sulla parete di sinistra si incontra l'episodio dell'uccisione di [[Anteo (gigante)|Anteo]]; Ercole che dà sepoltura al corpo di [[Icaro]] sulla riva del mare; Ercole appena nato che strozza i due serpenti mandati dalla moglie di [[Zeus]] verso la sua culla per ucciderlo, invidiosa del tradimento coniugale del marito. Segue poi l'episodio in cui Ercole indossa la tunica di Nesso (che gli darà poi la morte tra dolori strazianti); la figura di una divinità che sottrae Ercole dalla persecuzione di [[Giunone]]; Ercole che prende a sassate una lupa; la lotta per la cintura di [[Ippolita]] ed infine un ulteriore episodio di Ercole bambino.
 
=== Sala degli Argonauti ===
[[File:Castello di Melegnano 0292.JPG|miniatura|destra|Scena di battaglia nella Sala degli Argonauti]]
 
Attiguo a quello di Ercole si trova la sala degli Argonauti. Essa era lo studio privato del marchese di Melegnano e luogo dove egli riceveva gli amici più intimi. La stanza misura 8.10 x 7.10 metri ed ha alle pareti degli affreschi che descrivono il mito di [[Giasone (mitologia)|Giasone]] e degli Argonauti. Gli affreschi vennero certamente realizzati attorno al [[1565]], anno in cui venne dato alle stampe il libro con le xilografie di questi dipinti, attribuiti a [[Bernardino Campi]], il quale già aveva lavorato a Milano presso [[Ferrante I Gonzaga]], il cui figlio Ottavio sposò Cecilia Medici di Marignano, figlia del marchese Agosto. L'attribuzione degli affreschi al campi, per quanto non certa, si riscontra anche nell'influsso qui presente dei medesimi motivi decorativi ripresi poi nel [[Palazzo Te]] a [[Mantova]] dove lavorò [[Giulio Romano]] di cui il Campi era particolarmente amico e di cui risentì dell'influsso.<ref name="Amelli"/>
 
Il primo affresco della sala rappresenta la nave [[Argo (nave)|Argo]] che diede il nome all'intera compagnia di Giasone che navigò verso la [[Colchide]] per rubare il [[vello d'oro]]. La nave è accompagnata alle divinità tutelari del mare che soffiano con le loro trombe d'aria per facilitare la navigazione agli eroi. Sulla parete presso il camino, è raffigurato l'episodio dell'incontro tra gli Argonauti ed il re [[Fineo (figlio di Agenore)|Fineo]], liberato dagli eroi dalla persecuzione delle [[arpie]] inviate dagli dei contro di lui per tormentarlo.
[[File:Castello di Melegnano 0297.JPG|miniatura|sinistra|Scena di combattimento da [[Giasone (mitologia)|Giasone]] e [[Nesso (mitologia)|Nesso]].]]
 
Segue poi oltre il camino marmoreo l'episodio del mito di [[Medea]] raffigurata in diversi episodi: nella parte superiore è raffigurata vicino al carro della [[Luna]], poi nell'atto di pregare per ringiovanire il padre dell'amato Giasone, facendo arretrare il carro della notte con dei filtri magici. Successivamente la si vede squarciare la gola del vecchio con una spada, lasciando che ne uscisse il sangue ormai vecchio e riempiendo le sue vene con sangue limpido. Sopra le finestre gli affreschi proseguono con la raffigurazione dell'arrivo di Giasone e dei compagni presso il re [[Eeta]], sovrano della Colchide e padre di Medea, il quale aveva ricevuto la custodia e la tutela del vello d'oro, il cui possesso gli avrebbe inoltre garantito il trono. L'affresco a destra rappresenta Medea, figlia di Eeta, che si reca al tempio di Ecate, la dea della notte, e a fianco di questo dipinto si vedono le prove a cui Giasone venne sottoposto da Eeta per ottenere il vello d'oro: Medea, innamorata di Giasone, si offrì di aiutarlo a soggiogare i due tori di bronzo con fiammeggianti con cui avrebbe dovuto arare un campo. Al termine dell'aratura, Giasone dovette seminare i denti di un drago da cui, quasi improvvisamente, nacquero dei guerrieri con intenzioni minacciose. Medea è raffigurata ancora una volta nell'atto di intervenire a favore dell'amato, inducendo una lotta reciproca tra i guerrieri che li spinse ad uccidersi l'un l'altro. Nell'ultimo affresco, Giasone è raffigurato nell'atto di prendere tra le mani il [[vello d'oro]] dopo che l'amata Medea ne aveva addormentato il drago posto a custodia. Nell'ultimo affresco di questo ciclo si vedono le figure del re Eeta e dei suoi soldati che inseguono Medea, fuggita con Giasone, dopo aver scoperto che proprio lei lo aveva tradito. Sulla parte sinistra del dipinto si vedono invece gli Argonauti raggiungere in tutta fretta la nave Argo per ripartire. Il re della Colchide è raffigurato nel momento straziante in cui tiene in mano una mano umana appartenuta al figlio minore con cui Medea era fuggita assieme a Giasone; la ragazza, sentendosi ormai braccata dal padre, aveva uccise il fratello e lo smembrò in più pezzi così che il padre, attardandosi a raccoglierne i pezzi, non riuscì a raggiungerla.
 
Se ripensato in tono allegorico, l'intero tema della lotta per l'ottenimento del vello d'oro può essere ripensata come la vita di Giangiacomo Medici il quale, sul letto di morte, ricevette la visita di [[Fernando Álvarez de Toledo]], duca d'alba e governatore di Milano nonché generale di Carlo V, il quale gli annunciò l'onore di essere stato insignito della prestigiosissima insegna imperiale dell'[[Ordine del Toson d'oro]]. L'insegna di tale onorificenza è ancora oggi il [[vello d'oro]] di Giasone.<ref name="Amelli"/>
 
=== Sala degli Stemmi ===
[[ImageFile:Castello di Melegnano 0313.JPG|thumbminiatura|right|250pxdestra|Stemma della famiglia degli Orsini di Pitigliano]]
[[ImageFile:Castello di Melegnano 0308.JPG|thumbminiatura|right|250pxdestra|Stemma della famiglia Altemps (von Hohenems)]]
La sala degli Stemmi, immediatamente successiva a quella degli Argonauti, è contraddistinta nella parte superiore delle quattro pareti da sedici dipinti di stemmi di importanti famiglie nobili, imparentate od alleate dei Medici di Melegnano. Nei secoli la sala venne successivamente adattata a cappella privata ad uso della famiglia. Questo dato è tutt'altro che irrilevante se pensiamo che la tradizione medievale voleva che i cavalieri appendessero le loro insegne all'interno delle cappelle o delle chiese dove erano soliti riunirsi<ref>Si veda a tal proposito l'esempio anglosassone della [[Cappella di San Giorgio]] nel [[Castello di Windsor]].</ref> per esprimere un legame ancora più profondo tra chiesa e cavalleria e soprattutto tra i valori cristiani e quelli propri della cavalleria. Vi si trovano gli stemmi delle famiglie Visconti, Morone, Sforza, Calvi, Balsamo, Castaldi, Del Maino, Crivelli, Altemps (von Hohenems), Medici, Gonzaga, Serbelloni, Borromeo, Medici di Firenze, Orsini di Pitigliano, Rainoldi.<ref>A. Balzarotti, ''Studio sugli stemmi del castello di Melegnano - La "genealogia dipinta" dei Medici di Melegnano'', Corbetta, 2019</ref>
 
La sala degli Stemmi, immediatamente successiva a quella degli Argonauti, è contraddistinta nella parte superiore delle quattro pareti da sedici dipinti di stemmi di importanti famiglie nobili, imparentate od alleate dei Medici di Melegnano. Nei secoli la sala venne successivamente adattata a cappella privata ad uso della famiglia. Questo dato è tutt'altro che irrilevante se pensiamo che la tradizione medievale voleva che i cavalieri appendessero le loro insegne all'interno delle cappelle o delle chiese dove erano soliti riunirsi<ref group="N">Si veda a tal proposito l'esempio anglosassone della [[Cappella di San Giorgio (castello di Windsor)|Cappella di San Giorgio]] nel [[Castello di Windsor]].</ref> per esprimere un legame ancora più profondo tra chiesa e cavalleria e soprattutto tra i valori cristiani e quelli propri della cavalleria. Vi si trovano gli stemmi delle famiglie Visconti, Morone, Sforza, Calvi, Balsamo, Castaldi, Del Maino, Crivelli, Altemps (von Hohenems), Medici, Gonzaga, Serbelloni, Borromeo, Medici di Firenze, Orsini di Pitigliano, Rainoldi.<ref>A. Balzarotti, ''Studio sugli stemmi del castello di Melegnano - La "genealogia dipinta" dei Medici di Melegnano'', Corbetta, 2019</ref>
Coi Borromeo intercorrevano legami di parentela, mentre i Morone nella figura del cardinale [[Giovanni Morone]], erano famiglia particolarmente stimata da papa [[Pio IV]] che incaricò proprio Giovanni di preziose missioni diplomatiche in Francia ed in Germania. Lo stemma degli Sforza è un chiaro rimando alla figura di [[Francesco II Sforza]], amico personale della famiglia dei Medici di Melegnano, che lo stesso Giangiacomo aiutò durante la [[battaglia di Pavia]], tenendo impegnato n contingente di soldati mercenari svizzeri che [[Francesco I di Francia]] aveva richiesto sul campo di battaglia e che, non giungendo a destinazione per merito del Medici, consegnarono la vittoria al duca di Milano. Fu proprio Francesco II Sforza, a fronte di questi atti di valore, a nominare Giangiacomo primo marchese di Melegnano, titolo poi trasmesso anche ai suoi discendenti, titolo riconfermatogli poco dopo da [[Carlo V]] che succedette a Francesco II come duca di Milano non avendo questi lasciato eredi.<ref>M. Scardigli e A. Santangelo, ''Le armi del Diavolo - Anatomia di una battaglia: Pavia, 24 febbraio 1525'', De Agostini, Novara, 2015, ISBN 978-88-511-3551-5</ref>
 
Coi Borromeo intercorrevano legami di parentela, mentre i Morone nella figura del cardinale [[Giovanni Morone]], erano famiglia particolarmente stimata da [[papa Pio IV]] che incaricò proprio Giovanni di preziose missioni diplomatiche in Francia ed in Germania. Lo stemma degli Sforza è un chiaro rimando alla figura di [[Francesco II Sforza]], amico personale della famiglia dei Medici di Melegnano, che lo stesso Giangiacomo aiutò durante la [[battaglia di Pavia (1525)]], tenendo impegnato n contingente di soldati mercenari svizzeri che [[Francesco I di Francia]] aveva richiesto sul campo di battaglia e che, non giungendo a destinazione per merito del Medici, consegnarono la vittoria al duca di Milano. Fu proprio Francesco II Sforza, a fronte di questi atti di valore, a nominare Giangiacomo primo marchese di Melegnano, titolo poi trasmesso anche ai suoi discendenti, titolo riconfermatogli poco dopo da [[Carlo V]] che succedette a Francesco II come duca di Milano non avendo questi lasciato eredi.<ref>M. Scardigli e A. Santangelo, ''Le armi del Diavolo - Anatomia di una battaglia: Pavia, 24 febbraio 1525'', De Agostini, Novara, 2015, ISBN 978-88-511-3551-5</ref>
Gli stemmi dei Calvi, dei Balsamo e dei Crivelli ricordano legami di amicizia con la casata dei Medici di Melegnano.
 
Gli stemmi dei Calvi, dei Balsamo e dei Crivelli ricordano legami di amicizia con la casata dei Medici di Melegnano.
Segue poi lo stemma della famiglia Orsini di Pitigliano di cui Marzia fu la moglie del primo marchese di Melegnano, Giangiacomo. Lo stemma è dedicato non solo alla famiglia Orsini che era una delle più potenti a Roma sin dal medioevo, ma anche indirettamente a Marzia stessa tramite i due putti che affiancano lo scudo e che portano tra le mani una cuffia, segnale inequivocabile del riferimento ad una donna.
 
Segue poi lo stemma della famiglia Orsini di Pitigliano di cui Marzia fu la moglie del primo marchese di Melegnano, Giangiacomo. Lo stemma è dedicato non solo alla famiglia Orsini che era una delle più potenti a Roma sin dal medioevo, ma anche indirettamente a Marzia stessa tramite i due putti che affiancano lo scudo e che portano tra le mani una cuffia, segnale inequivocabile del riferimento ad una donna.
Lo stemma della famiglia Castaldi si lega al fatto che Livia sposò Giangiacomo II Medici, figlio di Agosto e di Barbara Del Maino (altro stemma raffigurato nella sala).
 
Lo stemma della famiglia Castaldi si lega al fatto che Livia sposò Giangiacomo II Medici, figlio di Agosto e di Barbara Del Maino (altro stemma raffigurato nella sala).
Seguono poi gli stemmi della famiglia Altemps (un caprone [[saliente]] su sfondo azzurro), imparentata con i Medici dal momento che Wolfgang Teodoric Sittich von Hohenems (italianizzato in Altemps) aveva sposato Clara Medici, sorella del primo marchese. Lo stemma seguente è quello del cardinale Giovanni Angelo, divenuto poi papa col nome di [[Pio IV]], a cui l'intera comunità di Melegnano fu grata per l'istituzione del privilegio della "Festa del Perdono" nel 1563, seguito da quello della famiglia Gonzaga, amica e imparentata coi Medici di Melegnano. Lo stemma dei Serbelloni raffigurato di seguito è un riferimento alla nobile famiglia milanese, anch'essa imparentata coi Medici di Melegnano e che, grazie all'appoggio di Pio IV, si inserì anche nel collegio cardinalizio. Cecilia Serbelloni fu inoltre la madre del primo marchese di Melegnano, avendo sposato Bernardino Medici.
 
Seguono poi gli stemmi della famiglia Altemps (un caprone saliente su sfondo azzurro), imparentata con i Medici dal momento che Wolfgang Teodoric Sittich von Hohenems (italianizzato in Altemps) aveva sposato Clara Medici, sorella del primo marchese. Lo stemma seguente è quello del cardinale Giovanni Angelo, divenuto poi papa col nome di [[Pio IV]], a cui l'intera comunità di Melegnano fu grata per l'istituzione del privilegio della "Festa del Perdono" nel 1563, seguito da quello della famiglia Gonzaga, amica e imparentata coi Medici di Melegnano. Lo stemma dei Serbelloni raffigurato di seguito è un riferimento alla nobile famiglia milanese, anch'essa imparentata coi Medici di Melegnano e che, grazie all'appoggio di Pio IV, si inserì anche nel collegio cardinalizio. Cecilia Serbelloni fu inoltre la madre del primo marchese di Melegnano, avendo sposato Bernardino Medici.
 
Lo stemma dei Rainoldi è raffigurato per ragioni di parentela dal momento che Clara Rainoldi fu la nonna del primo marchese di Melegnano, madre di Bernardino.
 
=== Sala di Enea ===
Nella sala di Enea, si riprende il mito dell'eroe greco in Italia che, dopo la distruzione di [[Troia]], partì con alcune navi alla ricerca di fortuna sbarcando nel Lazio e dando vita ad una nuova civiltà, quella Romana, secondo il mito. Gli affreschi sono inquadrati in finte architetture affrescate e da figure di putti.
 
L'affresco centrale rappresenta Enea a bordo della propria nave, il cui albero maestro porta una vela con la scritta ''Post tot discrimina rerum'', col significato di "dopo tante pericolose avventure": questo simboleggia chiaramente la vita di Giangiacomo Medici il quale, dopo tante avventure, era giunto al "porto sicuro" di Melegnano, alla ricchezza ed all'agiatezza dell'infeudazione. Nella parte destra dell'affresco si distingue la figura di [[Venere (divinità)|Venere]], madre di Enea, la quale è intenta a parlare col figlio. Ancora più a destra si trova la figura di un dio minaccioso che scaglia fulmini e guida una coppia di cavalli seduto all'interno di una grossa conchiglia: è questi Eolo, il re dei venti, come pure vi è rappresentato [[Giove (divinità)|Giove]] il quale invia Mercurio a placare l'ira di Eolo contro la nave di Enea, impietosito dalle parole di Venere. Nella scena successiva affrescata si distingue la dea Artemide con Cupido e la figura di Venere assisa in trono ed accompagnata da due amorini, uno con in mano una palma e l'altro con due colombe bianche.
 
L'affresco successivo rimanda ancora una volta direttamente al mito dell'Eneide e precisamente all'episodio in cui Enea rincuora i compagni d'avventura dopo la tempesta e poi il momento in cui l'eroe troiano, accompagnato da [[Acate]], riesce ad incontrarsi nuovamente con la madre Venere, travestita da fanciulla spartana con arco e frecce. Acate è raffigurato mentre con la mano sinistra fa il gesto del numero tre per indicare di aver scorto in lontananza tre dei loro compagni, anch'essi scampati alla tempesta, [[Anteo]], [[Sergesto]] e [[Cloanto]]. Il terzo affresco della parete mostra due uomini che stanno ammirando le sculture sulle pareti, di cui uno è certamente Enea: il rimando della scena è relativo alla costruzione della città di Cartagine da parte del popolo dei Tiri, governato da [[Didone]], futura moglie dell'eroe. Sull'ultima parete è infatti raffigurata Didone assisa in trono, stanza dove avviene l'incontro tra Enea ede i suoi amici dispersi dalla tempesta e creduti perduti. L'ultimo affresco della stanza rappresenta il banchetto offerto dalla regina [[Didone]] agli eroi greci, dove l'atteggiamento di serenità domestica dell'ambientazione è dato in primo piano dalla figura del cane sazio e dormiente.
 
=== Saletta di Pio IV ===
Questa sala prende il nome dal fatto che su una parete vi è affrescato il ritratto di [[Pio IV]], pontefice della casata dei Medici di Melegnano. In realtà il resto degli affreschi della sala è tratto dal testo poetico dellede ''[[MetamorfosiLe metamorfosi (Ovidio)|Le metamorfosi]]'' di [[Ovidio]]: la separazione dal Caos degli elementi di natura; la creazione dell'uomo da parte di [[Prometeo]]; l'assalto dei Giganti all'Olimpo; il banchetto di Licaone; il diluvio universale; [[Deucalione (figlio di Prometeo)|Deucalione]] e [[Pirra]]; l'uccisione del pitone; la trasformazione di [[Dafne (naiade)|Dafne]] in alloro. In questa stessa parete è affrescato un ritratto di [[Carlo V del Sacro Romano Impero]] e poco dopo quello di [[Ferdinando I del Sacro Romano Impero|Ferdinando I]], suo successore al trono imperiale.<ref name="Amelli"/>
 
A separare la raffigurazioni classiche si trovano una serie di allegorie che rappresentano le arti come la Retorica, l'Astronomia, l'Aritmetica e la Dialettica. Sotto la Grammatica si trova la scritta ACITAMARG che altro non è che il nome dell'arte raffigurata scritto al contrario.
 
== Note ==
=== Note al testo ===
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<references group="N"/>
 
==Bibliografia= Fonti ===
<references/>
*C. Amelli, ''Il castello di Melegnano. La storia e l'arte'', Melegnano 1977
 
*P. Lazza e C. Mazzi, ''Il castello di Melegnano: indagine storica e proposta di riuso'', Milano, 1996
== Bibliografia ==
*L. Boschini, ''Castelli d'Europa'', Hoepli, Milano, 2000
* C. Amelli, ''Il castello di Melegnano. La storia e l'arte'', Melegnano 1977
* {{Cita libro|autore=Carlo Perogalli|autore2=Enzo Pifferi|autore3=Angelo Contino|titolo=Castelli in Lombardia|annooriginale=1982|editore=Editrice E.P.I.|città=Como|cid=Perogalli}}
* P. Lazza e C. Mazzi, ''Il castello di Melegnano: indagine storica e proposta di riuso'', Milano, 1996
* L. Boschini, ''Castelli d'Europa'', Hoepli, Milano, 2000
* {{Cita libro|autore=Franco Bartolini|titolo=I segreti del Lago di Como e del suo territorio|annooriginale=2006|anno=2016|editore=New Press Edizioni|città=Cermenate|p=|capitolo=Il corsaro Medeghino - Delitti, battaglie e onori|cid=Bartolini}}
 
== Voci correlate ==
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== Collegamenti esterni ==
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* {{Collegamenti esterni}}
 
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