Francesco Beccuti: differenze tra le versioni

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L'interesse della sua produzione poetica, che non si discosta dai moduli [[Francesco Petrarca|petrarchisti]] o al più berneschi dell'epoca, non risiede tanto nella pur pregevole qualità formale, quanto in quella dei contenuti. Coppetta approfittò infatti dell'enorme tolleranza verso l'[[omosessualità]] esistente in [[Italia]] poco prima dell'inizio della [[Controriforma]], per discutere dei propri amori omosessuali con una schiettezza che pochi decenni dopo sarebbe divenuta impensabile: basterà dire che fra le sue poesie si annoverano due lunghe composizioni sui "pro" e "contro" della [[sodomia]] omosessuale.
 
Così, ad esempio, la composizione edita col titolo non originale "''Contro la pederastia''" ([[1547]]-[[1553]]) è indirizzata a [[Francesco Colombo]]Colombi (o Colombi) detto "[[il Platone]]" ([[1515]]-1553), che insegnava all'[[università di Perugia]], per convincerlo ad abbandonare i rapporti sessuali con uomini (ma senza gran convinzione, a giudicare dai due versi conclusivi: "''e 'l mio dir è narrar favole al sordo / e mi butto l'inchiostro e questo foglio''").
 
La composizione edita col titolo "''In lode della pederastia''" si rivolge invece a un messer Bino (uomo d'arme che Chiòrboli, identifica col capitano [[Baldino Baldineschi]]): Beccuti intende far "rinsavire" da un amore che, contro la sua "natura", lo lega a una donna. Per convincerlo descrive quanto valgano le bellezze dei ragazzi perugini: Boncambio, Crispoltino, Contino, Valeriano, Turno, Alcide, e quel Francesco Bigazzini di cui Beccuti stesso è innamorato. Pensando a loro, ammonisce Beccuti, non bisogna deporre le armi in questo campo, come ha fatto il capitano Scala Villani.