Frammenti dei lirici greci: differenze tra le versioni
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{{torna a|Lirica greca}}
La pagina include la maggior parte dei '''frammenti dei [[lirica greca|lirici greci]]''', vale a dire i poeti che hanno rappresentato nell'[[antica Grecia]] la lirica monodica e corale, l'elegia in distici, i giambografi e i compositori di epinici.▼
[[File:Napoli Museo Nazionale Calliope.jpg|thumb|Statua della Musa Calliope, Museo Archeologico Nazionale di Napoli]]
Naturalmente, risulterebbe impossibile raggruppare tutta la mole di frammenti dei lirici greci dell'epoca arcaica (VII-V secolo a.C.), in un solo blocco, ma ci si limiterà a riportare, tradurre '''letteralmente''', e a commentare sul confronto di edizioni critiche, e dal punto di vista contenutistico del messaggio del poeta, soltanto i frammenti più noti dei poeti, oltre ai testi giunti in versioni quasi del tutto integrali.▼
Le edizioni principali di riferimento sono H.W. Smyth: ''Poeate Melici Graeci'' (1900), D.L. Page, ''Poeate Melici Graeci'', Oxford, Claredon Press, 1962, M. Davies, ''Poetarum Melicorum Graecorum Fragmenta'', E Typographeo Clarendoniano, 1991, M. L. West: ''The Poems and Fragments of the Greek Iambic, Elegiac, and Melics Poets (excluding Pindar and Bacchylides) Down to 450 B.C.'', Oxford University Press, 1999, e infine E.M. Voigt, ''Sappho et Alcaeus'', Amsterdam: Polak & Van Gennep, 1971 per l'analisi specifica dei testi di [[Saffo]] e [[Alceo]].▼
[[File:Apollo black bird AM Delphi 8140.jpg|thumb|Apollo e un uccello nero, vaso conservato nel Museo Archeologico di Delfi]]
▲La pagina include la maggior parte dei '''frammenti dei
▲Naturalmente
== La lirica e i poeti ==
=== I generi letterari e il dialetto ===
Per gli antichi il termine "lirica" non indicava come per noi oggi la poesia soggettiva, espressione del sentimento d'autore, ma la poesia cantata con accompagnamento della [[lira (strumento musicale)|lira]] o altri strumenti musicali a corda (kìtharis, bàrbiton, phòrmings). Era sinonimo di "melica" cioè di poesia cantata. In tale accezione tecnica, la lirica si distingueva dall'elegia e dal giambo, forme poetiche accompagnate da strumenti a fiato, in particolare dall'[[aulo]]. Nel [[Canone alessandrino]] dei Nove Lirici maggiori, furono distinte una lirica monodica, ossia nel canto da soli, e la lirica corale, eseguita da un coro danzante o da un solista "coreuta" cui rispondeva il coro, dove lo stesso poeta interveniva personalmente durante il canto, come [[Alcmane]].
I lirici monodici erano [[Saffo]], [[Alceo]], [[Anacreonte]]; i corali erano [[Alcmane]], [[Simonide]], [[Bacchilide]], [[Pindaro]], [[Stesicoro]] e [[Ibico]]. Più tardi la parola lirica passò a designare generi di poesia nei quali l'autore esprimeva in prima persona, anche se non accompagnato da strumento, come l'elegia, o non erano
[[File:Arte romana, testa di anacreonte, 130-140 dc. ca. 01.JPG|thumb|left|Busto di Anacreonte, Museo dei Marmi, Firenze]]
La poesia monodica si diffuse in [[Asia Minore]] nell'ambito del [[dialetto eolico]] ([[isola di Lesbo]]) e in quello di [[Anacreonte]]; legata strettamente all'ambiente cui apparteneva il poeta (il [[tiaso]] o l'eteria, o il circolo palaziale di Pisistrato per Anacreonte), cantò le esperienze e i sentimenti dell'io d'autore (Saffo, Anacreonte), o le vicende politiche del proprio tempo (Alceo). La poesia corale fiorì nel [[Peloponneso]] e a [[Sparta]]: il legame con queste regioni è indicato anche nella convenzione antica in base alla quale la lirica corale era scritta in dorico. Le radici di questa poesia affondano nel territorio folklorico delle feste religiose; e questo ne spiega il carattere pubblico, lo stile prevalentemente elevato, l'inclusione essenziale del mito e le sentenze moraleggianti (le frasi "gnomiche"), presenti soprattutto in Simonide, Ibico e Pindaro, la lunghezza delle composizioni, la maggiore elaborazione metrica rispetto alla monodica, la grande rilevanza data alla musica. Un altro tratto che differenzia la poesia corale dalla monodica, è il fatto di avere sempre committenti pubblici o privati; quella del lirico corale era un'attività professionale regolarmente retribuita, spesso assai lucrosa, come nel caso di Pindaro e Bacchilide.
La lirica a partire dal IV secolo a.C. fu classificata in vari
*Prima fase (VII secolo a.C.): prevalgono il giambo e l'elegia (Ipponatte, Archiloco)
*Seconda fase (VI secolo), nel quale fiorisce la lirica monodica saffica e alcaica; fiorisce anche l'elegia dai vari
*Terza fase (V secolo): dominata dai lirici corali Simonide, Pindaro, Bacchilide.
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[[Platone]] nella ''[[La Repubblica (dialogo)|Repubblica]]'' criticava la poesia perché non era stata in grado di analizzare razionalmente l'esperienza in sequenze legate da un rapporto di causa-effetto, come richiedeva la cultura filosofica della sofistica nel V secolo a.C. La nuova critica dialettica basata sulla scrittura, avanzava richieste di coerenza e razionalità, che la poesia antica fiorita al di fuori della civiltà del libro, come già era in avanzato sviluppo nell'epoca di Platone, non poteva soddisfare. Perché il messaggio della tipica cultura orale, praticata in larga parte ancora nella metà del V secolo a.C., si debba imprimere nella memoria dello spettatore, è necessario che lo spettatore venga emotivamente assorbito nella performance del coro o del poeta attraverso un'immedesimazione mimetica, che esclude il distacco critico necessario alla riflessione.
Perché ci sia riflessione, si deve poter confrontare un pensiero con un altro espresso prima, ma questo confronto richiede che il testo sia scritto, e non composto di [[parole alate|"alate" parole]] per citare [[Omero]]. Le poesie che erano composte oralmente, successivamente come i due testi omerici, vennero immortalate nella scrittura nel VI secolo a.C., molte delle quali oggi si sono salvare grazie alla citazione di storici, filosofi e commentatori, come l'anonimo del ''[[Del sublime|Sublime]]'', [[Plutarco]], [[Platone]], [[Diogene Laerzio]], [[Sant'Agostino]]. Nell'oralità il distacco dello spettatore non è possibile, la fruizione aurale implica l'identificazione stretta, empatica con la realtà proposta
[[File:Homer British Museum.jpg|thumb|Busto di Omero, il primo dei cantori rapsodici]]
Gli studiosi moderni solo in seguito a ricerche recenti, condotti attraverso il confronto con contesti poetici di altre culture orali ancora in voga nel nord della [[Grecia]] o in [[Africa]], hanno messo a fuoco questa caratteristica della poesia arcaica greca, diverso da quella moderna soprattutto per il tipo di comunicazione, che non è lettura, ma la performance pura davanti all'uditorio, affidata all'esecuzione di un singolo o di un coro con l'accompagnamento di uno specifico e relativo strumento musicale. L'oralità concerneva i tre momenti della "composizione - comunicazione trasmissione", affidata alla memoria, Questa assumeva una grande importanza per il poeta, si pensi alla figura dell'[[aedo]], riproposta anche nei poemi omerici nella figura di [[Demodoco]] alla corte di [[Alcinoo]], che allettava i commensali del palazzo reale con episodi cantati di cicli narrativi della guerra, come la [[guerra di Troia]], o i cicli del ritorno (i Nostoi), o di imprese epiche di eroi da suddividere in episodi, come le fatiche di [[Eracle]], affinché egli potesse essere invitato in più corti o nella stessa, ma a più riprese, per essere compensato con del cibo.
L'aedo è "prescelto" dalle [[Muse (divinità)|Muse]], come ricorda [[Esiodo]], e nella tradizione egli è cieco, ma dotato del dono della poesia e della veggenza, e soprattutto del dono e della capacità della memoria. Un esempio della tecnica artigianale posseduta dal poeta è offerto dalle "formule omeriche", che si riallacciano all'epiteto formulare, che sono frequenti nei due poemi dell'[[Iliade]] e [[Odissea]]. Si tratta di espressioni che ricorrono, in un termine improprio sono dette "stereotipate" in quanto ripetitive nel corso dei canti, che ricorrono invariate, con la funzione di agevolare la memorizzazione dell'episodio narrato nel canto, nell'ambito di una cultura orale arcaica; così come ad esempio ricorre la formula in Odissea (IX, vv. 103-104, 179-180, 471-472) "salirono dentro la nave, e presero posto agli scalmi, e in fila seduti, con i remi battevano l'acqua del mare spumoso", o gli epiteti "Agamennone signore di popoli - Odisseo dal multiforme ingegno - Zeus adunatore di nubi - Achille dal piede rapido".
[[File:Greek - Red-figure Pyxis and Cover with Women and Erotes - Walters 48264 - Top.jpg|thumb|left|Vaso con scena di baccanale con donne e ragazzi, Walters Art Museum, Baltimora]]
Questo procedimento lascia intuire che il poeta omerico disponeva di un certo bagaglio culturale di formule già preconfezionate metricamente e sintatticamente parlando, che egli assemblava facilmente con nuovi versi per la performance. Il termine stesso "rhapsodòs" significa cucitore di canti, non già un creatore per forza di materia nuova da cantare, ma anche semplicemente un elaboratore di materiale già esistente, in cui egli sarebbe assurto a ruolo di perfetto artigiano "demiurgo" mediante la tecnica della formula. Le formule standardizzate erano raggruppate intorno a temi ugualmente prefissati, come il consiglio, l'adunata dell'esercito, la sfida delle armi, la spoliazione dei vinti in battaglia, lo scudo dell'eroe, e così via, elementi ricorrenti nei poemi omerici,
Al di là della funzionalità rispetto alla memorizzazione, la formularità riflette il carattere aggregativo, non analitico, del pensiero orale, che tende a comporsi di gruppi di elementi: ossia nell'epos si parla non di un soldato qualunque, ma del soldato "valoroso" (ἀγαθός) e non di una fanciulla qualsiasi, ma della bella fanciulla, elementi che incarnano modelli di virtù e di qualità positive inerenti a ciascun personaggio descritto nel racconto, ognuno con una specifica qualità che immediatamente lo rende riconoscibile al pubblico, che fungono da modello da seguire, da cui le caratteristiche preliminari della "enciclopedia tribale omerica". Ciò esclude un pensiero analitico, come quello della filosofia dei tempi di Platone. Quando un'espressione formulare si è cristallizzata, è bene mantenerla intatta. La formularità è stata studiata soprattutto in Omero, ma in realtà riguarda anche la poesia, come dimostrano elementi in Saffo e Alceo, nel modo di descrivere oggetti o divinizzazioni della natura, come l'Aurora "dita di rosa"; e sotto questo riguardo di continuità, non c'è appunto una soluzione tra l'epica e la lirica: assenza di organicità e riutilizzo dei materiali del [[simposio]]: l'oralità della composizione della fruizione comporta la strutturazione paratattica del periodo.
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Un periodo, soprattutto per i versi in esametri dattilici, caratterizzato da varie subordinate, che riesce di difficile comprensione, tutta la poesia greca antica sia epica che lirica, tende a giustapporre brevi segmenti, solitamente incentrati su battute rapide o comandi, oppure in frasi gnomiche, come in Simonide (fr 541 Page) "L'oro non si corrompe, la Verità è sovrana, il fumo è senza effetto." Qui la polarità è tra valori perenni (oro e verità) e valori effimeri (fumo). Il pensiero formulaico-associativo e l'impossibilità di tornare indietro sul testo per rifletterci sopra, e apportarvi aggiustamenti e correzioni, comportano che il poeta arcaico non si poneva il problema dell'unità organica della composizione. La sola unità possibile era psicologica e tematica, basata sul ritorno degli elementi (la struttura ad anello o ciclica del tempo per i Greci), o sulla ripetizione.<br/>Inutile ricercare nella poesia arcaica e soprattutto nella lirica, che diversamente dall'epica, non è tenuta a seguire il filo della narrazione, un'unità intesa secondo criteri estetici moderni, che non può esserci.
[[File:Vinet - Théognis de Mégare - Elegies (1572).jpg|thumb|Edizione del 1572 delle ''Elegie'' di Teognide di Megara]]
Così ad esempio in [[Teognide]] (fr. Diehl) sulla sventura e il bene dell'uomo, si vede che ogni distico ha un valore gnomico, apparentemente sciolto dall'altro, unito in una sola elegia. La silloge teognidea ha conservato esempi di catene di interventi, che rivelano meccanismo di questa "crescita" della poesia su sé stessa. Ad esempio al distico di Solone: "Felice chi ha fanciulli da amare, cavalli dall'unghia compatta, / cani da caccia e ospiti lontani", qualcuno dei partecipanti al simposio ne fa seguire un secondo che riprende gli stessi elementi del precedente, intensificando il concetto "chi non ha fanciulli da amare, cavalli dall'unghia compatta, / cani da caccia non sarà mai felice". Lo spirito dell'improvvisazione era agonale, nel senso che tra i partecipanti si instaurava una competizione melodica. La rappresentazione della vita psichica, vale anche per la lirica arcaica ciò, riguardo
Dunque l'invito alla moderazione di Archiloco nel frammento "Al suo cuore". Secondo Gentili questo modo di rappresentazione si collega all'oralità, poiché si sa che Archiloco mette in campo la ''persona loquens'' per esprimere dei concetti precisi, in modo da inserirsi in diretto dialogo con l'uditore. A strutture mentali diverse dalle nostre si collega anche la questione delle visioni divine dei poeti, frequenti nella poesia arcaica, e che non sono da considerare allegorie o abbellimenti letterari, come accadrà nell'età ellenistica di [[Callimaco]] e [[Teocrito]], ma ricordi reali, esperienze vissute realmente, o vere e proprie allucinazioni simili a sogni. L'[[Afrodite]] che appare nell'inno di [[Saffo]] su un
=== Linguaggio figurato ===
Al coinvolgimento del pubblico mira anche il linguaggio, ricco di metafore, similitudini, allegorie, che alludono alla realtà, spesso decifrabili solo nell'ambito del gruppo o consorteria politica, a cui il poeta si rivolge. Questo è il caso de ''L'allegoria della nave'' di Alceo (fr. 67 a Diehl), con cui adombra in un linguaggio comprensibile solo a una stretta cerchia di aristocratici le vicende politiche di [[Mitilene]], attanagliata dalle fazioni di [[Mirsilo di Mitilene|Mirsilo]] e di [[Pittaco]]<ref>M. Vetta, ''Il simposio: la monodia e il giambo'', in "Lo spazio letterario della Grecia antica" Salerno, Roma, 1998, I, p. 210</ref><ref>B. Gentili, Op. cit., p. 67</ref> Questa allegoria della nave battuta da venti diversi e da onde, senza che abbia controllo, divenne topica nella letteratura latina, come nel Carme I di [[Orazio]], ripresa anche da Teognide, che la presenta come un'immagine volutamente oscura, decifrabile solo da pochi eletti (i valenti). Più spesso il linguaggio figurato rende oggettivandoli, sentimenti e stati d'animo, soprattutto nella lirica amorosa. "Col mantello suo grande di nuovo mi percuote Eros, come un fabbro e mi tuffa nella gelida corrente. Eros, come tagliatore di alberi mi colpì con grande scure, e mi riversò alla deriva di un torrente invernale". Molte sono le metafore luminose nel frammento di Alcmane, le metafore equestri, ornitologiche, per connotare la bellezza delle fanciulle del coro dei partenii, la levità dei loro corpi, la melodia del canto, come nel [[Partenio del Louvre]]: "Io canto la luce di Agidò; la vedo come un sole, e del sole per noi Agidò supplica lo splendore... lei infatti sembra eccellere, come in mezzo a un branco una cavalla Colassea, vittoriosa nelle gare, dal passo sonoro, visione di sogni alati [...] e la chioma di mia cugina Agesicora fiorisce come oro puro. Il suo viso d'argento..." Il linguaggio figurato rende anche tipi umani, concetti astratti, come i due frammenti di Archiloco, la rappresentazione contraddittorietà e del rischio, e in uno di Simonide resa metaforica del chiacchierone: "Ricava in una mano l'acqua, nell'altra il fuoco, l'imbrogliona" (fr. 43 D).
Alle necessità di concretezza e di esperienza partecipata, proprie dell'oralità si lega la poetica della mimesi, secondo la quale è compito della poesia imitare la natura e la vita. Le riflessioni di Alcmane sul proprio fare poetico:
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*fr. 92 D. - Alcmane trovò parole e motivo componendo in linguaggio il canto delle pernici
[[File:Mosaic Portrait of the Poet Alcman.jpg|thumb|Mosaico romano ritraente Alcmane di Sardi]]
Conoscere i canti degli uccelli significa per il poeta poter disporre di un'ampia scelta di moduli melodici naturali, da trasporre in melodie. Nell'ambito di questa poetica euristico-imitativa, il poeta "trova" parole e melodia imitando la natura, attingendo immagini semplici e schiette del cielo, della terra, dei campi, dai fiori, come nella descrizione del ''Notturno'' di Alcmane: "Dormono le cime dei monti, i dirupi e le balze, i muti letti dei torrenti; dormono gli animali quanto strisciano sopra
Alla parola spetta il compito di evocare, alla forma di sinestesia, sensazioni non solo uditive, ma anche visibili e tattili. La poesia è per Simonide una "immagine della cosa " (fr. 190b Bgk), e ha una consistenza materiale fisicamente percepibile, tanto che "aderisce alle orecchie degli uomini" (fr. 595 Page). Attraverso la resa figurativa e il ritmo, Simonide imitava anche le emozioni e gli stati d'animo come nella ''Nenia di Danae''. Ogni forma d'arte sia poetica, pittorica, musicale o coreutica, è sentita come imitazione e gli artisti sono considerati imitatori da Platone<ref>Platone, ''Repubblica'' II, 373b</ref> L'imitazione non riguardava solo il rapporto tra artista e da un lato la natura, e la vita dall'altro, ma anche quello tra l'artista e gli altri artisti della tradizione, assunti come modello. Il principio è enunciato da Bacchilide: "Il poeta deve al poeta, come nel passato così ora: non è molto facile trovare le porte di canti non mai detti".
Questa idea comporta il riutilizzo di materiali poetici del repertorio mnemonico, secondo la prassi della ''poikilìa'', ossia la capacità di variare a tempo debito in rapporto all'occasione, toni e temi del canto, soddisfacendo alle attese di chi ascolta. In virtù di quest'abilità
[[File:Tyrtaeusbook.jpg|thumb|Studi su Tirteo, di Robert e Andrew Foulis, 1759]]
Similmente in questi versi, Saffo che si riferiscono a un sacro rito, luogo non simbolico ma reale e ben presente ai destinatari del canto, i quali ne hanno una percezione immediata nel momento stesso della performance: "Venite al tempio sacro delle vergini, dove più grato è il bosco e sulle are fuma l'incenso. Qui fresca l'acqua mormora tra i rami dei meli: il luogo è all'ombra dei roseti, dallo stormire delle foglie nasce profonda quiete. Qui il prato dove meriggiano i cavalli è tutto fiori della primavera"<ref>Fr. 5 Sn trad. B. Gentili in ''Caratteri generali della lirica greca arcaica'' di B. Gentili, p. 271</ref> Il riferimento a un contesto ambientale, di cui sia il poeta che l'ascoltatore hanno in comune l'esperienza, a sentirla da Massimo Vetta, amplia il terreno sul quale istituire un rapporto di emozionalità con l'uditorio. Ciò comporta difficoltà di interpretazione per il lettore moderno, al quale sfugge il riferimento ambientale, situazionale, ma anche il contesto discorsivo. Spesso infatti le composizioni poetiche alludono alle conversazioni che precedono il canto, e si configurano come la ripresa di discorsi sospesi da poco.
Così l'invito di Alceo: "Bevi, Melanippo, con me... non avere grandi speranze"
La preghiera è eseguita di fronte a un pubblico di ragazze chiamate a partecipare emotivamente all'esperienza che viene loro proposta.
=== Committenza e pubblico ===
L'epica omerica fornisce un modello di questo rapporto, in gran parte estendibile alla lirica. In Omero l'aedo deve soddisfare le esigenze della committenza, altrimenti è allontanato, come il cantore di [[Micene]], che non volendo adeguarsi al nuovo corso politico imposto dopo la partenza di [[Agamennone]], è condannato a morire in un'isola<ref>Odissea, III, 269</ref> Nel campo della lirica, la differenza nel rapporto artista-pubblico è soprattutto nell'ufficialità della poesia corale, e il carattere relativamente privato di quella monodica. Saffo e Alceo si rivolgevano a un gruppo sociale ristretto: la prima alle ragazze del tiaso, comunità culturale tesa a realizzare un ideale di perfezione dei suoi membri; il secondo ai compagni di un'eteria, associazione aristocratica vincolata dal giuramento di fedeltà a un dato obiettivo etico-politico. Attraverso la parola, il poeta e il pubblico si riconoscevano e si confermavano nei valori che costituivano la base culturale e sociale del gruppo. Diversamente si configura il rapporto coi destinatari e la committenza nella lirica corale, che ha sempre carattere pubblico, religioso, celebrativo.
[[File:Libation Macron Louvre G149.jpg|thumb|Una [[libagione]] simposiaca in una pittura vascolare attica a figure rosse da Vulci ([[480 a.C.]]). Museo del Louvre ]]
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|[[Alceo]] fr. 346 Campbell; traduzione di [[Salvatore Quasimodo]]}}
Qui si tratta di saper trovare il mito, giacché la narrazione mitica è un elemento obbligatorio della composizione corale, che abbia una giustificazione etica e artistica, che sia appropriato alla cerimonia, all'occasione, al committente pubblico o privato. Occorre far capire all'uditorio la relazione tra muto e il fatto da festeggiare, soprattutto occorre adeguarsi alle attese e agli umori del pubblico, non urtarne la suscettibilità politica o religiosa, scegliere tra le varianti di un mito quella più in linea con le tradizioni dei committenti, come in Pindaro, che tace volutamente la fine tragica di [[Bellerofonte]], nell'Olimpica XIII, occorre tagliare gli aspetti del racconto che possono risultare non graditi all'uditorio, imponendosi una sorta di "amnesia selettiva", che obbliga a bruschi trapassi (i voli pindarici). Talora bisogna addirittura riscrivere il mito con rettifiche adeguate. Stesicoro elaborò il mito di [[Elena]] (''Palinodia di Elena''), oltre alla versione tradizionale, anche una palinodia che riabilitava l'eroina: non lei in persona ma il suo fantasma avrebbe seguito [[Paride]] a [[Troia]], scatenando la guerra.<br/>La ritrattazione era ad uso del pubblico spartano, devoto di Elena e certo maldisposto a tollerare la versione offensiva che vedeva nella regina di Sparta il paradigma della donna infedele e lussuriosa. Nel fr. 192 Page Davies, Stesicoro propone una versione completamente diversa della fuga della regina spartana a Troia, ma fu un suo simulacro.<ref>B. Gentili, C. Catenacci, ''Polinnia'', fr. 192 Page Davies di Stesicoro, cit: "No, questa storia non è vera, / sulle navi dai bei banchi tu non andasti mai, / e non giungersi alla rocca di Troia" (trad. F. Sisti)</ref> Dai frammenti dell'Orestea stesicorea, si sa che il poeta ambienta la reggia di Agamennone a Sparta anziché a Micene o Argo, dove la pone Omero. La funzionalizzazione regionale del mito si giustificava anche nel caso in cui il poeta dovesse soddisfare, invece che un singolo committente, il vasto pubblico che presenziava, nelle festività pubbliche, alle gare citarodiche, dal cui verdetto dipendeva la vittoria agonale. In particolare nell'epinicio, componimento destinato a celebrare una vittoria riportata nei giochi sportivi (Olimpia, Delfi), il poeta istituiva un rapporto diretto con il committente ricco, che mirava attraverso la poesia a migliorare la propria immagine pubblica e a questo scopo era anche disposto a patteggiare lauti compensi.
Soprattutto in Simonide la tradizione antica identifica gli aspetti negativi di una "Musa mercenaria", consapevole del valore monetario della propria prestazione professionale, e abile nell'offrirsi al miglior offerente. Si narra che Anassila di Reggio chiedesse a Simonide di cantare la sua vittoria nel carro con le mule, il poeta rifiutò adducendo a motivo la scarsa nobiltà degli animali, ma quando il tiranno alzò il compenso, scrisse l'epinicio che cominciava: "Salve, figlie delle cavalle dal piede di tempesta" (fr. 5151 Page). In altra circostanza Simonide, richiesto se preferisse la ricchezza o la virtù poetica, avrebbe risposto: "Non so, però vedo che i poeti fanno la fila alle porte dei ricchi". Bruno Gentili ha definito come "norma del
Ma questa disponibilità di adeguarsi alle richieste del committente riguardava anche poeti meno spregiudicati e venali di Simonide: così Pindaro in un'ode
=== Lirica e soggettività ===
Parlando della lirica, è inevitabile sovrapporre al significato tecnico originario di poesia cantata con accompagnamento musicale, quello moderno di "genere poetico caratterizzato dall'espressione della soggettività d'autore". Espressione dell'io poetico, contrapposta all'oggettivismo dell'epica: è una forzatura in parte, non sarà un caso che il più antico lirico greco, [[Archiloco]] esordisca in un frammento (fr. 1 Diehl): "Io sono scudiero del Dio delle battaglie e il dolce suono delle Muse conosco". Da un lato i conflitti sociali che contrappongo l'aristocrazia al demos, dall'altro l'affermarsi della polis e della democrazia, che impone l'allineamento delle opinioni in nome dell'uguaglianza, favoriscono l'emergere dell'individualità, l'affermazione orgogliosa di una particolare visione del mondo, contrapposta all'opinione dei più, la reazione del singolo alle imposizioni di potere, è significativo che proprio nella lirica arcaica si diffonda lo schema retorico della Priàmel, rassegna degli altrui generi di vita cui è contrapposto il proprio, del quale si rivendica la superiore validità. Così Saffo contrapponendosi all'opinione dominante, sostiene che la "cosa più bella non sono flotte di eserciti, di cavalieri, ma ciò che ognuno ama" (fr. 16 Loberl-Page).
Nel nuovo clima di relativismo culturale della polis, il poeta traendo spunto dall'occasione personale, propone la propria concezione di vita come paradigma di caratteri generali della lirica greca. In tal modo egli si fa maestro dell'alètheia, cioè di verità intesa come demistificazione delle opinioni dominanti (dòxai), e delle menzogne di "chi ha una lingua dal duplice pensiero" (Teognide). La Priàmel diviene così lo schema retorico più adatto a esprimere la diversità e la soggettività del poeta, e con questa funzione ricorrerà anche nella poesia latina (Carme I di Orazio).
=== Autobiografia e autoschediasma ===
La critica si è mostrata di recente inclina e ridimensionare la componente soggettiva e autobiografica della lirica. In particolare la teoria dell'impersonalità della letteratura elaborata dal ''New Criticism'' in base alla quale il poeta si spersonalizza e tra la vita reale e quella immaginaria nell'opera, si apre uno iato incolmabile, ha indotto i commentatori a interpretare gli aspetti autobiografici come topici. Così ad esempio [[Ipponatte]] non sarebbe stato davvero tanto povero come risulta nel frammento "Dai un mantello a Ipponatte: ho tanto freddo malevolo e batto i denti...
[[File:Archilochus 02 pushkin.jpg|thumb|Busto di Archiloco di Paro]]
Anche l'io della persona loquens, cioè del personaggio che nella lirica si esprime in prima persona, non è più visto come necessariamente coincidente con l'io d'autore. Scrisse M.L. West: "Non si può dare assolutamente per scontato che ogni volta che un frammento di un poeta greco arcaico contiene in prima persona singolare esso venga da un componimento biografico"<ref>M. L. West, ''The Singing of Homer and the Modes of Early Greek Music'', Journ Hell St., 1981, p. 113</ref>. I nomi di questi personaggi non sarebbero di persone reali, ma maschere fisse. Tra questa posizione spersonalizzante e quella del biografismo tradizionale, Gentili opta per una soluzione intermedia<ref>B. Gentili, ''Archiloco - frammenti'', Rizzoli, Milano 1993, p. 19</ref>. Il poeta arcaico non canterebbe fatti realmente accaduti, ma neppure estranei alla propria esperienza vissuta, dato che nel frammento, Archiloco, come in ''A Pericle'', fa riferimento alle spedizioni militari di Paro contro Taso.<br/>La questione del valore del pronome personale "io" si pone anche nella lirica corale: si riferisce alla persona del poeta che narra un fatto autobiografico, o si tratta di un io convenzionale, che esprime vedute condivisibili anche nel coro, dal committente, e nel caso di sequenze tipo gnomico. Negli epinici di Pindaro c'è continua alternanza di "io" con "noi". Nei parteni di Alcmane i participi e gli aggettivi femminili, riferite alle coreute, escludono l'identificazione del poeta con l'io narrante.
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{{vedi anche|Metrica classica}}
La metrica si occupa della composizione dei vari tipi di METRI
I più frequenti sono:
*esametro: poemi epici e poesia bucolica, usato da [[Omero]], [[Esiodo]], [[Teocrito]], [[Callimaco]], [[Apollonio Rodio]], [[Nonno di Panopoli]]
*distico elegiaco: poesia d’amore, elegia (include vari sottogeneri: politica, amore, filosofia, storia, soliloquio interiore, etica guerresca), epigramma ed epitaffi. Usato dai poeti elegiaci, e non solo, della Grecia, quali: [[Callino]], [[Tirteo]], [[Solone]], [[Mimnermo]], [[Teognide]], [[Archiloco]], [[Senofane]]
*senario giambico: tragedia (parti dialogate), come in [[Eschilo]], [[Sofocle]], [[Euripide]], ma in poesia vi è il cosiddetto "trimetro giambico", a volte anche nella variante del dimetro, usato da [[Archiloco]], [[Ipponatte]] (che avrebbe inventato la variante del trimetro scazonte), [[Anacreonte]].
*tetrametro trocaico: commedia (parti dialogate), come in [[Aristofane]] e [[Menandro]], ma a volte con varianti, tanto che esiste il metro "aristofaneo". È usato anche nella lirica, da [[Anacreonte]], [[Archiloco]] o anche Saffo.
*vari metri lirici: asclepiadeo maggiore e minore, strofe saffica, strofe alcaica……
Le strofe saffiche e alcaiche sono usate spesso, appunto, da [[Saffo]] e [[Alceo]] nelle Odi ed Inni, a volte usano anche altri metri, come dimetri, tetrametri. Le strofe saffiche a volte sono usate anche da Anacreonte.
Per quanto riguarda gli altri metri, sono tipologie molteplici, usate negli Epodi e negli Inni, Epinici, del gruppo STROFE-ANTISTROFE-EPODO, delle opere di [[Pindaro]], [[Bacchilide]], [[Simonide]], [[Ibico]], ecc..
{{vedi anche|Esametro dattilico}}
*'''ESAMETRO''' (dattilico)
È l’insieme di 6 piedi dattilici (DATTILO: - U U). Tutti i piedi prevedono la sostituzione di 2 brevi con 1 lunga tranne il 5° piede, che è fisso. Il 6° piede è tronco di una sillaba. La sillaba finale è “indifferens”, ovvero breve o lunga, in quanto non fa differenza, dato che dopo c’è la fine del verso e quindi una pausa inevitabile di lettura:
A livello di lettura sono necessarie delle pause (dette CESURE) che possono essere di due tipi:
*1. semiquinaria (traduzione dal greco: pentemimera)
*2. semisettenaria (traduzione dal greco eftemimera)
SCHEMA: -U U, - U U, - U U, - U U, - U U, - U
Il piede è tetrametro dattilico. In genere si usa in composizione con altri versi, è così chiamato perché fu introdotto dal poeta [[Alcmane]] di Sardi.
SCHEMA: -U U, - U U, - U U, - U U
{{vedi anche|Distico elegiaco}}
È un distico, cioè l’insieme di esametro + pentametro dattilico. Il secondo verso, cioè il pentametro, ha 2 “arsi” (cioè sillabe accentate) consecutive al centro del verso e la cesura coincide sempre con metà del verso:
SCHEMA:
*ESAMETRO: -U U, - U U, - U U, - U U, - U U, - U
*PENTAMETRO: - U U,- U U, - // - U U, - U U, -
{{vedi anche|Giambo}}
'''SENARIO GIAMBICO''' (in greco si chiama TRIMETRO GIAMBICO, il termine primario è per la metrica latina)
È l’insieme di 6 piedi giambici
SCHEMA: U-, U-, U-, U-, U-, U-
'''TRIMETRO GIAMBICO CATALETTICO''': come il trimetro giambico puro, ma manca della sillaba finale
SCHEMA: U-, U-, U-, U-, U-, U
'''TRIMETRO GIAMBICO IPPONATTEO''' (O SCAZONTE, O COLIAMBO)
dal latino = zoppicante, dal greco = zoppo
Usato soprattutto da Catullo, in greco da Ipponatte.<br />
Come il trimetro giambico puro, ma il “metron” finale è “invertito” (quindi è un trocheo anziché un giambo), sicché si trovano due accenti consecutivi
SCHEMA: U-, U-, U-, U-, U-, -U
{{vedi anche|Tetrametro trocaico}}
'''TETRAMETRO TROCAICO ACATALETTO''':
Formato da 4 “metra” trocaici, quindi da 8 piedi trocaici (trocheo: - U)
SCHEMA: - U, - U, - U, - U, - U, - U, - U, - U
'''TETRAMETRO TROCAICO CATALETTICO''':
Come il tetrametro trocaico puro, ma manca della sillaba finale
SCHEMA: - U, - U, - U, - U, - U, - U, - U, -
Usato soprattutto nel teatro
Formato da due tetrapodie trocaiche, la seconda delle quali catalettica<br />
SCHEMA: - U, - U, - U, - U, - U, - U, - U, - U / - U, - U, - U, - U, - U, - U, - U, -
{{vedi anche|Strofe alcaica|Endecasillabo alcaico}}
“Strofe”
Usato soprattutto da Orazio.
*ENDECASILLABO ALCAICO X – U, - U / - U U, - U U (base libera + 2 trochei + 2 dattili - nella strofe è ripetuto x 3 + adonio finale)
*ENNEASILLABO ALCAICO X – U – U – U – U (base libera + 4 trochei)
*DECASILLABO ALCAICO - U U, - U U/ - U – U ( 2 dattili + 2 trochei)
{{vedi anche|Strofe saffica|Endecasillabo saffico}}
“Strofe”
Usato soprattutto da Orazio.
*ENDECASILLABO SAFFICO - U, - U, - U U, - U, - U ( 2 trochei, dattilo in terza sede+ 2 trochei; nella strofe è ripetuto x 3 + adonio finale).
{{vedi anche|Adonio}}
*ADONIO - U U, - U (dattilo + trocheo)
Dal poeta alessandrino Falèco, fu portato a Roma dai poeti preneoterici.
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SCHEMA: XX, - U U, - U – U – U
{{vedi anche|Gliconeo}}
Dal poeta greco Glicòne, non altrimenti noto
SCHEMA: - - , - U U, - U U (spondeo + 2 dattili)
{{vedi anche|Ferecrateo}}
Dal poeta greco Ferecrate (V sec. a.C.)
è un gliconeo catalettico.
SCHEMA: - - , - U U, - U (ovvero: spondeo + dattilo + trocheo)
{{vedi anche|Asclepiadeo}}
I versi e le strofe asclepiadee prendono il nome dal poeta [[Asclepiade di Samo]], anche se l'inventore di questi versi non è certificato, perché sia l'asclepiadeo maggiore che minore sono già noti dai lirici di [[Lesbo]] Saffo e Alceo, forse Asclepiade compose carmi oggi perduti in questo verso, e dunque la tradizione ne attribuì la paternità, come sostiene [[Orazio]] nella sua ''Ars poetica''.
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*''Asclepiadeo maggiore'': è identico al minore, eccezione che il secondo antispasto è ripetuto. Negli originali greci si ha la cesura a metà della seconda, e a metà della terza dipodia. Tali cesure, usate da Catullo come i Greci in maniera facoltativa, in Orazio diventano obbligatorie, il quale ne fa lo stesso uso del minore, solo che dopo la sillaba di tre tempi, un altro dattilo di tre tempi e un'altra sillaba pure di tre tempi: quest'aggiunta rispetto all'asclepiadeo minore è compresa tra due pause.<br/>In Orazio ci sono 5 sfumature della strofe, a meno che le odi composte di soli asclepiadei minori o di soli maggiori non vogliano considerare come composizioni monostiche.
X X, - U U-, - U U-, - U U-, X X
Resterebbe dunque un sistema distico asclepiadeo, dove si alternano un gliconeo II (identico all'asclepiadeo minore con in meno l'antispasto di mezzo) con un asclepiadeo minore, e poi 2 strofe, una composta di 3 asclepiadei minori chiusi da un gliconeo II e un'altra risultante da due asclepiadei minori, seguiti da un ferecrateo II (uguale al gliconeo II con in meno l'ultima sillaba) e da un gliconeo II.
Un esempio in greco di Asclepiadeo maggiore, dal fr. 140 Lobel-Page di Saffo: ''Morte di Adone'':
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Κατθνᾴσκει, Κυθέρη', ἄβρος Ἄδωνις• τί κε θεῖμεν;<br />καττύπθεσθε, κόραι, καί κατερείκεσθε κίθονας.
Lo schema dell'asclepiadeo maggiore nella lirica latina:
*Catulliano: — — — ∪∪ — — ∪∪ — — ∪∪ — ∪ — Ū
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Àlfen‿ìmmemor àt || qu‿ùnanimìs || fàlse sodàlibùs,<br />
iàm te nìl miserèt, || dùre, tuì || dùlcis amìculì?
*Oraziano: — — — ∪ ∪ — | — ∪∪ — | — ∪∪ — ∪ — Ū
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X X, - U U-, - U U-, - U U-, X X<br />
X X, - U U-, - U U-, - U U-, X X<br />
X X, - U U-, - U U-, - U U-, X X<br />
- - , - U U, - U U
*Asclepiadeo III: da 2 asclepiadei minori + 1 ferecrateo + 1 gliconeo
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X X, - U U-, - U U-, - U U-, X X<br />
- - , - U U, - U<br />
- - , - U U, - U U
*Asclepiadeo IV: da 2 gliconei e 2 asclepiadei minori alternati (ABAB)
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'''EPODO''':
il termine “epodo” indica un “ritornello” formato da un verso più lungo e uno più corto.
In generale indica un DISTICO formato da due versi disuguali. Il più frequente è formato da un TRIMETRO giambico e un DIMETRO giambico
SCHEMA: U-, U-, U-, U-, U-, U-<br />
U-, U-, U-, U-
Il nome proviene dal poeta giambico [[Archiloco]], e sono caratteristici delle
*''Primo'': Distico formato da un esametro dattilico + 1 alcmanio (= tetrametro dattilico) però catalettico.
-U U, - U U, - U U, - U U, - U U, - U<br />
-U U, - U U, - U U, - U
*''Secondo'': Distico formato da un esametro dattilico + 1 giambelego (= dimetro giambico+ trimetro dattilico catalettico)
-U U, - U U, - U U, - U U, - U U, - U<br />
U -, U -, U -, U - / - U U, - U U, -
*''Terzo'': Distico formato da un esametro dattilico + 1 trimetro dattilico catalettico
-U U, - U U, - U U, - U U, - U U, - U<br />
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*''Quarto'': Distico formato da :
**alcmanio (con 4° piede sempre dattilico)
**trimetro giambico catalettico
-U U, - U U, - U U, - U U | - U, - U, - U<br />
U-, U-, U-, U-, U-, U
Sistema della metrica composto da πύθιος "pizio" + ἱαμβικός "giambico", usato particolarmente da Orazio negli ''Epodi'' in due tipologie (Piziambico I e II), si tratta di un esametro dattilico detto anche "pizio" e di un dimetro giambico per quanto riguarda il I, per il II si rileva la composizione di un esametro dattilico + trimetro giambico. Questo sistema metrico fu usato anche da Carducci per le ''Odi barbare''.
*''Piziambico I'': Distico formato da esametro dattilico + dimetro giambico
U U, - U U, - U U, - U U, - U U, - U<br />
U-, U-, U-, U-
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*''Piziambico II'' Distico formato da esametro dattilico + trimetro giambico
U U, - U U, - U U, - U U, - U U, - U<br />
U-, U-, U-, U-, U-, U-
Combinazioni varie per la lirica corale (strofe-antistrofe-epodo)
Sequenze di cola dattilici e giambo-trocaici; è
*D — ∪ ∪ — ∪ ∪ — (hemiepes)<ref>La sequenza — ∪ ∪ — ∪ ∪ — X si chiama ''hemiepes femminile''</ref>
▲*d I — ∪ ∪ —
*d II ∪ ∪ —
'''EOLICI ED EOLICO-GIAMBICI''' - Usati soprattutto da Saffo e Alceo, ma anche Anacreonte; il nucleo centrale è dato dal ''cholon'' — ∪ ∪ —
▲*E — ∪ — X — ∪ —
▲*e — ∪ —
▲'''EOLICI ED EOLICO-GIAMBICI''' - Usati soprattutto da Saffo e Alceo, ma anche Anacreonte; il nucleo centrale è dato dal ''cholon'' — ∪ ∪ —
*[[Gliconeo]] X X | — ∪ ∪ — | ∪ X
*[[Ferecrateo]] (forma catalettica del gliconeo) X X | — ∪ ∪ — | X
*Telesilleo (forma acefala del gliconeo)
*[[Reiziano]] (forma acefala e catalettica del gliconeo) X | — ∪ ∪ — | X
*Ipponatteo (forma ipercatalettica del gliconeo, o trimetro giambico) X X | — ∪ ∪ — | X X | X
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**A: — ∪ ∪ — ∪ — ∪ — ∪ (spesso viene — ∪ ∪ — X X X X)
**B: X X X X — ∪ ∪ —, insomma al contrario del primo
*Aristofanio: dal commediografo Aristofane, è un cholon + baccheo: — ∪ ∪ — ∪ —
*Dodrans: nome moderno che fa riferimento al "quadrante" per la composizione metrica, e trae ispirazione alla moneta repubblicana romana di [[Dodrante]], equivalente a tre quarti di asse.
**A: — ∪ ∪ — ∪ —
**B: X X — ∪ ∪ —
*Adonio: frequente nella parte finale della strofe saffica, — ∪ ∪ — X
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*'''[[pirrichio]]''': ∪ ∪
;Piedi di tre ''morae''
*'''[[giambo]]''': ∪ –
*'''[[trocheo]]''': – ∪
*'''[[tribraco]]''': ∪ ∪ ∪
; Piedi di quattro ''morae''
*'''[[dattilo (metrica)|dattilo]]''': – ∪ ∪
*'''[[anapesto]]''': ∪ ∪ –
*'''[[spondeo]]''': – –
*'''[[anfibraco]]''':
*'''[[proceleusmatico]]''': ∪ ∪ ∪ ∪
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*'''[[cretico]]''' – ∪ –
; Piedi di sei ''morae''
*'''[[digiambo]]''': ∪ – ∪ –
*'''[[ditrocheo]]''': – ∪ – ∪
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*'''[[ipodocmio]]''': – ∪ – ∪ –
*'''[[dispondeo]]''': – – – –
{{Div col end}}
Di questo ampio repertorio, alcuni piedi sono solo ipotetici o si incontrano eccezionalmente, come l'anfibraco, il peone terzo, l'antispasto, l'epitrito primo e quarto, il palinbaccheo, il dispondeo, il pirrichio o il peone secondo; alcuni piedi [[Quadrisillabo|quadrisillabici]] si possono ridurre a [[sizigia|sizigie]] di piedi bisillabi, come il digiambo, l'epitrito terzo e secondo, il ditrocheo; il pirrichio non ha esistenza propria ma costituisce parte o sostituzione di altri piedi; altri non hanno esistenza propria, ma esistono solo come risoluzione di una sillaba lunga in due sillabe brevi nei piedi più corti, come il tribraco, il proceleusmatico, il peone primo e quarto.
I dieci che restano sono detti ''prototipi'' (o anche ''archigona'' sott. ''metra'', in latino), in quanto sono i metri base per la formazione di tutti i tipi di ''cola'' e versi possibili. Essi sono
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# il docmio (che è considerato però un piede composto)
== I poeti
=== Il giambo
==== Il giambo è il metro di una forma di poesia diffusa nella Ionia d'Asia e insulare. Comunemente denominato "trimetro giambico" perché formato da tre metri, cioè tre coppie di giambi; oscura è l'etimologia del giambo, che gli antichi riconnettevano al nome della vecchia serva Iambe di [[Demetra]], che con le sue battute salaci avrebbe suscitato il riso della padrona addolorata per la perdita della figlia [[Persefone]], rapita da [[Ade (divinità)|Ade]]. Di sicuro proviene dal verbo greco che vuol dire "colpire", che allude ai contenuti aggressivi e diretti di questa forma poetica. La funzione pragmatica e il legame con l'attualità caratterizza il giambo al pari dell'elegia, al punto che l'aggettivo ''iambikòs'' indicava anche contenuti elegiaci. La differenza tra i due generi era nella modalità della performance, affidata al canto nell'elegia, a un recitativo, con accompagnamento di aulo nel giambo.<br/>Si trattava di un'esecuzione simile al "recitar" cantando, della moderna opera lirica. Secondo [[Aristotele]], caratterizzava il giambo la forte carica reattiva nei confronti di uomini e situazioni, il gusto per la beffa, lo scherno, l'invettiva. Tuttavia i contenuti del giambo sono vari, come nell'elegia, e includono spunti biografici, temi civili, didattici, morali, politici ed erotici: il tono è impudente, satirico, corrosivo, ma anche arguto, pacato, pensoso.
[[File:Cave of Archilochos, Paros, 130517.jpg|thumb|Caverna di [[Archiloco]], Paro]]
Archiloco di Paro (VII sec. a.C.) soldato di ventura e mercenario, sarebbe stato incoronato poeta giambico dalle Muse stesse. Ancora bambino mentre pascolava le vacche, le incontra in campagna sotto le sembianze di contadine e le schernisce; queste rispondono con risa e lazzi, e gli donano una lira al posto della mucca, simbolo di iniziazione poetica. La vocazione per una poesia del biasimo, dunque di stile basso, contrapposta a una poesia della lode di stile elevato, secondo la distinzione aristotelica, è confermata dall'aneddotica biografica. In particolare si racconto di un certo Licambe, che gli aveva rifiutato la figlia Neobule dopo avergliela promessa in sposa, e Archiloco davanti a questo voltafaccia indirizzò carmi così invettivi da indurre ambedue al suicidio per la vergogna.<br/>Al di là della consistenza biografica della vicenda di Licambe, poco verosimile, è vero che la diffamazione realizza in Archiloco un suo programma di vita e di arte, ispirata a un'etica di ritorsione indiscriminata, che
Forse piuttosto che di etica di ritorsione, si tratta di capacità nuova dell'uomo greco di mettersi in aperto e voluto contrasto con l'opinione corrente, sfidandola con inedito coraggio personale. Da questo punto di vista la figura di Archiloco non solo assume un significato emblematico nella nascita della poesia soggettiva, ma attesta l'avvento di un diritto nuovo, quello di pronunciare un libro giudizio sugli uomini e sulla società. E questo diritto l'individuo Archiloco esercita con schiettezza, ad esempio nei confronti di un parvenu: "Adesso Leofilo comanda e Leofilo spadroneggia e Leofilo ha in mano tutto, e Leofilo è obbedito".
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Alla tensione affettiva e all'irruenza passionale, corrispondono l'intensità e il vigore dell'espressione, sempre concentrata, limpida, costruita da un minimo di parole, senza tracce di sentimentalismo o retorica; ad Archiloco si deve la creazione di motivi che rimarranno famosi nella letteratura, come quello dello scudo abbandonato. Lo imitarono sia i poeti greci che i latini, come [[Lucilio]], [[Catullo]], [[Orazio]]. Sul rapporto tra l'opera di Archiloco e la raccolta degli ''Epodi '' di Orazio, il quale dichiara di aver ricreato a [[Roma]] i giambi del poeta di Paro, imitandone il metro e lo spirito, c'è da dire che il poeta fu molto influente nell'ambiente romano.
[[File:Pitagora da Reggio - Louvre - Statua di un suonatore di lira2.jpg|thumb|Statua di un suonatore di lira, opera di Pitagora da Reggio; alcuni vi hanno individuato la caratterizzazione del poeta Semonide]]
=== Semonide di Amorgo e Ipponatte ===▼
[[Semonide]] (seconda metà del VII secolo a.C.) è noto soprattutto per un frammento di satira contro la donna, prolisso e poco spiritoso, nel quale l'universo femminile è analizzato in 10 specie, derivanti ciascuna da un animale, la donna disordinata è la scrofa, quella astuta la volpe, ecc., tutte perniciose, tranne quella nata dall'ape: "L'indole della donna Dio la fece diversa. Una deriva dalla scrofa setosa; la sua casa / è una lordura, un caos, la roba rotola per terra. Lei non si lava; veste panni sozzi / e stravaccata nel letame ingrassa".▼
▲==== Semonide di Amorgo e Ipponatte ====
Più interessante è l'opera di [[Ipponatte]] di [[Efeso]] (metà del VI sec. a.C.) autore di coliambi, e giambi scazonti o zoppi, per la rottura ritmica provocata dall'allungamento della penultima sillaba del verso. Secondo la tradizione Ipponatte era un nobile caduto in miseria, in infatti nei frammenti appare come un pitocco che patisce il freddo e la game, e supplica il dio [[Ermes]]<ref>B. Gentili, op. cit., p. 275, fr. 24b</ref>L'irruenza archilochea è visibile nelle invettive contro lo scultore Bupalo, colpevole di aver caricaturato il poeta, ritraendolo piccolo e brutto; perseguitato dai giambi di Ipponatte, si sarebbe impiccato per la vergogna come Licambe. Il motivo del suicidio delle vittime dei giambografi è evidentemente topico, così come letterarie sono le situazioni descritte dal poeta, che certamente non conduceva un'esistenza da pezzente nei bassifondi della città, come vorrebbe farci credere. I toni da canaglia e crudi non devono ingannare: le espressioni da taverna e l'esibizione di una povertà estrema, che fanno di Ipponatte una sorta di poeta maledetto ante litteram, rientrano nelle convenzioni del genere giambico.▼
▲[[Semonide]] (seconda metà del VII secolo a.C.) è noto soprattutto per un frammento di satira contro la donna,
▲Più interessante è l'opera di [[Ipponatte]] di [[Efeso]] (metà del VI sec. a.C.) autore di coliambi, e giambi scazonti o zoppi, per la rottura ritmica provocata dall'allungamento della penultima sillaba del verso. Secondo la tradizione Ipponatte era un nobile caduto in miseria, in infatti nei frammenti appare come un pitocco che patisce il freddo e la game, e supplica il dio [[Ermes]]<ref>B. Gentili, op. cit., p. 275, fr. 24b</ref>. L'irruenza archilochea è visibile nelle invettive contro lo scultore Bupalo, colpevole di aver caricaturato il poeta, ritraendolo piccolo e brutto; perseguitato dai giambi di Ipponatte, si sarebbe impiccato per la vergogna come Licambe. Il motivo del suicidio delle vittime dei giambografi è evidentemente topico, così come letterarie sono le situazioni descritte dal poeta, che certamente non conduceva un'esistenza da pezzente nei bassifondi della città, come vorrebbe farci credere. I toni da canaglia e crudi non devono ingannare: le espressioni da taverna e l'esibizione di una povertà estrema, che fanno di Ipponatte una sorta di poeta maledetto ante litteram, rientrano nelle convenzioni del genere giambico.
Ipponatte era un poeta dotto, raffinato e padrone dei mezzi espressivi, in grado di usare le forme dello stile alto dell'epica, ora evocandole direttamente, e ora parodiandole con fine gusto caricaturale; è il caso dell'invocazione alla Musa, che contaminando le formule dell'Iliade e dell'Odissea, celebra un personaggio pomposamente nominato cl patronimico "figlio di Eurimedonte", forse Bupalo, forse un compagno di simposio: "Cantami, o Musa, il gorgo simile a Cariddi del figlio di Eurimedonte, cioè lo stomaco stritolatutto, quel mangione vergognoso, sicché di mala morte il malvagio muoia a furor di popolo, lungo la spiaggia dell'inquieto mare" (fr. 79 Diehl).
===
[[File:Greek poet Anacreon with his lover.png|thumb|Bassorilievo ritraente Anacreonte e un suo giovane amante]]
L'elegia (''élegos'' ossia lamento) era una composizione di distici elegiaci, cioè versi formati da esametro e pentametro a ripetizione, il contenuto era vario, anche se alcuni grammatici antichi attribuendo al termine il significato di "canto funebre", hanno sostenuto l'origine trenodica dell'elegia. Questa interpretazione è espressa anche nell'[[Ars poetica]] di [[Orazio]]<ref>Orazio, ''Ars poetica'', v. 75</ref> e sembrerebbe accordarsi col tono spesso mesto e malinconico delle composizioni elegiache, soprattutto latine, nelle quali il lamento è di ispirazione amorosa. Tuttavia il termine élegos probabilmente designava il flauto, lo strumento col cui accompagnamento veniva intonata l'elegia; inoltre sono rari gli esempi di threnos elegiaco, ed invece è ampia la gamma dei contenuti del genere, vari sono gli argomenti: parenetici (esortativi), amorosi, patriottici, politici, militari, gnomici, e sempre appare inseparabile, almeno nell'antichità, dall'uso simposiale, dunque faccende molto lontane dal lamento funebre.
La funzione pragmatica e parenetica connessa con i problemi attuali della comunità, oppone l'elegia alla poesia epica, dalla quale differenzia anche per il metro e per lo strumento musicale (l'aulo) escluso dall'epos. In età ellenistica si attenua nell'elegia l'elemento personale e individuale, per lasciare posto all'elemento erudito e mitologico, come in [[Callimaco]]. Nella letteratura latina l'elegia, per lo più di imitazione alessandrina e lontana da quella greca arcaica, espresse contenuti nuovi legati alla passione d'amore, al desiderio della pace e della vita semplice, conforme ai dettami della natura, raggiungendo accenti originali, al punto che [[Quintiliano]] poté scrivere che in questo genere i Romani potevano competere con i Greci<ref>Quintiliano, ''Institutio oratoria'', X, 1-93-95</ref>; i rappresentanti furono [[Ovidio]], [[Properzio]], [[Catullo]] e [[Tibullo]].
==== Callino e Tirteo ====
Nel Canone Alessandrino sono annoverati, tra i primi elegiaci, [[Callino]] e [[Tirteo]], che aprono la storia di questo genere con l'argomento della guerra. Di Callino di Efeso (prima metà del VII secolo a.C.) restano frammenti che esortano alla lotta i cittadini, in tempi nei quali Efeso e altre città coloniche degli Ioni in Asia Minore erano teatro di invasioni barbariche, dei Cimmeri e dei Treri. Il linguaggio è quello della tradizione guerresca, cioè omerico, con la differenza però che i fatti non riguardano un passato mitico, ma l'attualità. Maggiore spessore mostra Tirteo (seconda metà del VII sec. a.C.), poeta soldato cantore della virtù spartana, del valore guerresco. Forse emigrato in [[Sparta]] da [[Mileto (Asia Minore)|Mileto]] oppure dall'Attica, la leggenda narra che gli Spartani all'epoca della [[seconda guerra messenica]] su consiglio dell'oracolo di [[Delfi (città antica)|Delfi]], chiedessero un generale agli Ateniesi, e questi per dileggio inviarono Tirteo, maestro di scuola zoppo e anche esaltato, il quale però infiammò l'animo dei soldati con i suoi versi, e li condusse alla vittoria.
[[File:Spartan hoplite-1 from Vinkhuijzen.jpg|miniatura|Oplita spartano]]
Tirteo scrisse numerose elegie che celebravano il kòsmos aristocratico e guerriero della città, in particolare quella più lunga giuntaci ''Sulla virtù guerresca'' (fr. 7 Diehl), insegnavano la virtù del sacrificio per la patria, il disonore della fuga dalla lotta, l'onore divino che spetta al caduto in battaglia. S'è scritto che con Tirteo nasce l'etica della polis, in base al quale il sacrificio per la propria terra rende simili agli dei. Un giovane senza vita sul campo di battaglia è uno spettacolo edificante per i posteri, persino "bello a vedersi", mentre il corpo straziato di un anziano caduto, senza che sia stato protetto dai giovani dell'esercito, è spettacolo "turpe e miserevole".
Mentre di Callino si conservano 4 frammenti, di cui il più lungo (fr. 1 West) riguardante l'Esortazione al valore militare, di
=== Le opere di Callino e Tirteo ===▼
▲Mentre di Callino si conservano 4 frammenti, di cui il più lungo (fr. 1 West) riguardante l'Esortazione al valore militare, di Tireto si conservano più opere.
[[Platone]] ricorda che ai suoi tempi presso Sparta i canti di Tirteo erano ancora cantati a sazietà<ref>Platone, ''Leggi'', 626b.</ref>, come strumento di formazione comunitaria, i canti tirtaici erano intonati quando l'esercito si schierava in battaglia. L'opera di Tirteo fu divisa dagli alessandrini i 5 libri che comprendevano elegie e canti di guerra in ritmo anapestico, di cui si conservano 2 frammenti (fr. 856-57 Page). Un'ampia elegia o forse l'intera raccolta di elegie si chiama a''Eunomia''. Un'altra raccolta postuma fu intitolata ''Esortazioni'', per una serie di elegie che incitano al valor militare. A parte situazione di vita in guerra, Tirteo trovava il suo luogo privilegiato di esecuzione nelle occasioni di convivialità pubblica, in particolare le mense comuni nelle quali gli Spartani partecipavano, organizzati in gruppi.
I motivi dominanti della poesia di Tirteo sono la necessità gloriosa della virtù guerriera, e la celebrazione delle istituzioni spartane. Nella sua opera rievocava le origini di Sparta dagli Eraclidi (fr. 1ab Gent-Perr), e la matrice oracolare, delfico-apollinea, della costituzione non scritta di Licurgo, il legislatore spartano semi-mitico, nella cui figura la tradizione concentrava l'attività di formazione delle leggi spartane che aveva interessato il periodo dell'alto e medio arcaismo. Tirteo ricorda la prima guerra messenica, la vittoria spartana e l'umiliante schiavitù dei Messeni.
L'argomentare poetico procede attraverso la contrapposizione di idee e immagini in quadri scabri e concreti (vecchi-giovani, bello-turpe, vita-morte, resistenza-fuga). Le strutture del discorso come gran parte dell'elegia arcaica, si collocano nel solco della tradizione epica omerica, ma rivelano una loro peculiarità nell'intensa efficacia, coerentemente con il nuovo modello di eroismo collettivo, e non legato a figure chiave astratte che incarnano la forza, la virtù, il potere, quali i personaggi mitici dei poemi omerici.
La lingua è quella dell'epica del dialetto ionico, ma presenta alcune forme doriche. I dorismi originari della poesia di Tirteo sono sopravvissuti solo nei casi in cui il processo di normalizzazione ionica del testo, operata a partire dall'Atene del V secolo a.C., avrebbe compromesso il metro. [[File:Solon.jpg|thumb|Busto di Solone, Collezione Farnese, Museo Archeologico Nazionale di Napoli]]
==== La politica di Solone ====
L'elegia morale di [[Solone]] di [[Atene]] (640-560 a.C.) è quella messa al servizio della patria, più precisamente riguardante la saggezza e l'educazione dei cittadini alla virtù e alla morale. Di nobile famiglia ateniese, la figura di Solone appartiene alla storia politica non meno che alla letteratura, posto secondo la leggenda nel novero dei [[Sette Sapienti]], promuove la cultura di Atene, istituendo recitazione pubbliche di Omero, anticipa l'ideale di saggezza e misura; l'esordio politico è documentato dal frammento ''Elegia per Salamina'' (fr. 2 Diehl), letta ai concittadini per esortarli a strappare l'isola ai [[Megaresi]]: "Andiamo a Salamina, a batterci per l'isola bella e liberarci dalla grave infamia".
Da arconte nel 594 emana la costituzione timocratica (lo scuotimento dei pesi), cioè basata sul censo dei cittadini. La produzione di elegie e giambi si lega in gran parte all'attività legislativa, in particolare l'elegia del ''Buongoverno'' che celebra le virtù della moderazione e della giustizia. Di contenuto morale è ''Elegia alle Muse'' nella quale l'autore invoca per sé prosperità, buona fama e ricchezza, che però non deve essere acquistata con l'ingiustizia, se non si vuole incorrere nella punizione di [[Zeus]]. Il "benessere" disgiunto dalla moderazione genera "sazietà", talora arroganza, e autostima forsennata, che si traducono per il singolo e i discendenti o per la comunità in "
La soggettività traspare anche nel frammento che esprime nella forma della "beatitudine" i gusti personali del poeta, tradotto da [[Giovanni Pascoli]] nel poemetto ''Solon'': "Solon, dicesti che un giorno tu: Beato / chi ama, chi cavalli ha solidunghi, / cani da caccia, un ospite lontano"<ref>G. Pascoli, ''Solon'', vv. 16-18</ref> La personalità del poeta con il suo amore per la vita, con la carica di ottimismo morale, è presente anche nel frammento che ormai, vecchio, avrebbe inviato al poeta [[Mimnermo]]:
▲La soggettività traspare anche nel frammento che esprime nella forma della "beatitudine" i gusti personali del poeta, tradotto da [[Giovanni Pascoli]] nel poemetto ''Solon'': "Solon, dicesti che un giorno tu: Beato / chi ama, chi cavalli ha solidunghi, / cani da caccia, un ospite lontano"<ref>G. Pascoli, ''Solon'', vv. 16-18</ref>La personalità del poeta con il suo amore per la vita, con la carica di ottimismo morale, è presente anche nel frammento che ormai, vecchio, avrebbe inviato al poeta [[Mimnermo]]: (fr. 22) "Ma se ora almeno vuoi ascoltarmi, togli via quel verso, e riscrivilo, o prole di dolci poeti, e canta così: a 80 anni mi colga il destino di more. Invecchio sempre molte cose imparando"
A quest'ultimo verso si lega forse l'aneddoto secondo il quale l'anziano legislatore, udita dal nipote una canzone di [[Saffo]], volle impararla, e a chi gli chiedeva perché mai lo facesse, avrebbe risposto: "Per morire dopo averla appresa", dal finale del ''Solon'' pascoliano (vv. 84-85).
[[File:The Parthenon in Athens.jpg|thumb|left|Partenone, foto del 1978]]
=== Opere di Solone ===▼
Le due principali elegie conservate per intero solo l’Eunomia e l’Elegia alle Muse, le altre sono in frammenti, conservate per tradizione indiretta, o per papiri recentemente rinvenuti.
Un vero e proprio manifesto d'ispirazione aristocratica è la cosiddetta ''Elegia alle Muse'' (fr. 1 Gent-Pr), un componimento in 76 versi presumibilmente integro, che costituisce un carme elegiaco d'età arcaica tra i più estesi che si conosca della lirica arcaica in distici. In apertura Solone invoca le Muse, le figlie di Mnemosyne e Zeus, affinché gli concedano felicità e benessere da parte degli dei, e buona fama da parte degli uomini. Il poeta chiede loro di essere dolce verso gli amici e amaro verso i nemici, rispettato dai primi e temuto dai secondi, in conformità con un saldo principio della morale arcaica.<br />Egli è consapevole che l'attività di poeta direttamente impegnato nelle vicende politiche gli procurerà amici, ma anche nemici, mettendo in pericolo la sicurezza stessa della sua condizione sociale ed economica, della prosperità che legittimamente detiene.
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Forte è l'energia visiva emanata dalle metafore soloniane, come quando in riferimento alla sua posizione politica, egli si autodefinisce un "lupo tra molte cagne" (fr. 30, 27 Gent-Perr), o si pensi alla metafora del mare come il più giusto di tutte le cose, se non è sconvolto dai venti (fr. 13 Gent-Perr), dove il poeta trasferisce la sfera della vita sociale a quella della natura la nozione di reciprocità ed equilibrio, che costituì nel pensiero arcaico l'elemento comune alle varie formulazioni di giustizia. La calamità politica che incombe sulla città, è raffigurata dalla metafora naturalistica (fr 12 Gent-Perr) "erompe dalla forza di neve e grandine, / dalla fulgida folgore di tuono". Si fa riferimento alla tempesta sociale del popolo di Atene, che dopo le leggi di Solone, andrà a cadere nelle mani del tiranno [[Pisistrato]] per sua colpa.
==== Elegia amorosa e nostalgica di Mimnermo ====
[[Mimnermo]] nacque a [[Colofone]], per altri a [[Smirne]], in Asia Minore, e visse
[[File:Art grècia.jpg|thumb|Un uomo si protende ad accarezzare un ragazzo. VI secolo a.C.]]
Mimnermo è un poeta d'amore e della caducità della vita, canta con struggente malinconia lo sfiorire della giovinezza, così bella e così troppo breve, la vecchiaia incombente è sentita come un'ingiustizia anzitutto estetica, poi portatrice di malanni e disgrazie per la vita, l'ansia della corsa del tempo, il piacere sempre legato all'idea della fugacità: "Quale vita, che dolcezza senza Afrodite dorata? / Io voglio morire quando non avrò più cari gli amori segreti e il letto e le dolcissime offerte, / che di giovinezza sono i fiori fugaci per gli uomini e le donne. / Quando viene dolorosa la vecchiaia, / che rende l'uomo bello simile al brutto, / sempre nella mente lo consumano malvagi pensieri [..]"
Di questo frammento si scrisse che Mimnermo espose un modello di vita basato sul piacere e consumo dell'edonismo estenuato e decadente della "molle" Ionia. Altri hanno inteso i versi nella prospettiva del ''carpe diem'' oraziano, cioè come un invito a godere fin che si può dei doni della giovinezza, mentre altri critici hanno individuato note di pessimismo e nichilismo confrontandolo con Semonide e Teognide. Il frammento 2 Diehl ''Uomini e foglie'' è il più celebre di Mimnermo: "Siamo come le foglie nate nella stagione florida, / che crescono così rapide nel sole, / noi godiamo
Dai grammatici alessandrini, Mimnermo fu ritenuto l'inventore dell'elegia amorosa, e ciò è verso per l'elegia latina, nella quale affiorano i temi, i motivi, gli spunti mitico-narrativi della poesia di
Sotto il nome di Mimnermo gli antichi conoscevano una raccolta di elegie cui appartiene la maggior parte dei frammenti superstiti, alcuni dei quali tramandati come appartenenti alla raccolta di versi ''Nannò'', dal nome dell'amata ispiratrice delle poesie amorose di Mimnermo, e dalla ''Smirneide'', una lunga elegia che doveva raccontare i temi epici la storia della città di Smirne. Il titolo della "Nannò" deriva dall'edizione di Antimaco di Colofone (IV sec. a.C.), il quale fu il primo a intitolare col nome della donna amata da Mimnermo, Lide, la raccolta delle sue elegie di contenuto vario, prevalentemente amoroso.<br />Molto dibattuta è la questione della ripartizione dell'intera opera in libri, effettuata dagli alessandrini, nonché del rapporto tra la raccolta delle elegie simposiali di argomento mitico, amoroso ed etico-esistenziali, ossia quelle che si cono conservate, e infine la ''Smirneide''. A parte la testimonianza di Porfirione (III sec. d.C.) che dice che le opere del poeta erano divise in 2 libri, è fondamentale un passo del prologo degli ''Aitia'' di Callimaco, che conferma il dato di Porfirione. In questi versi mettendo a confronto i carmi brevi e quelli lunghi dei due poeti Mimnermo e Filia di Cos, Callimaco fa riferimento alle elegie brevi di argomento vario e alla "grande gonna", forse si riferiva alla ''Smirneide'', in riferimento alla gonna dell'amazzone Smirna che fondò la città<ref>Strabone, ''Geografia'', XIV, 1, 4</ref>
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Mimnermo è una voce non comune nella cultura arcaica, cresciuta nell'ambiente del κῶμος e dell'aulodia, disancorata dall'ufficialità della tradizione rapsodica. Il suo mondo di valori è raffinato nel simposio dei greci dell'Asia Minore; una voce nuova per i contenuti e il rilievo assunto dal motivo amoroso in funzione del quale è anche il racconto mitico.<br />Originale il modo con il quale è trattato il mito, ossia la narrazione di vicende mitiche scelte, sotto il profilo dell'amore, significanti la forza irresistibile di Afrodite nel suo duplice manifestarsi di nemica o amica dell'uomo, nel punire chi le si oppone (fr. 17 Gent-Pr), o nel favorire chi si affida al suo aiuto (fr. 10 Gent-Pr). L'amore entra trionfalmente nel mito, diviene il tema guida che conferisce unità alla narrazione episodica, e insieme l'umanizza, come nel frammento delle vicende dello sventurato Titono, e la descrizione del viaggio del Sole.
Il mito inoltre funge da introduzione e filo conduttore al tema corrente di Mimnermo, ossia la nostalgia e l'odio per la vecchiaia. L'antitesi giovinezza-vecchiaia è la cifra concettuale: il sigillo personale della tematica del poeta, in cui si allenano con successione uniforme,
Dunque in Mimnermo, dopo Callino e Tirteo, subentra all'ideale eroico-guerresco quello tipicamente umano, con le sfumature dell'amore, del piacere, una concezione della vita pessimistica, differente da quella di Solone, non aristocratica ma borghese, espressione della nascente crisi dei valori eroici omerici su cui si basò l'aristocrazia greca nella seconda metà del VII secolo a.C., per essere scalzata dalla borghesia mercantile nella Ionia, con il soccombere delle città e l'ascesa dei [[Lidi]] I valori apparentemente universali della ricchezza e del benessere sotto la protezione divina sfumano per lasciare posto a un'idea della vita più coerente con la natura fragile dell'uomo, già contestualizzata da Solone nell{{'
==== La filosofia di
Senofane di Colofone (570 a.C. ca), morto a 92 anni e maestro di [[Parmenide]], appartiene a quella schiera di personalità che con termine limitativo vengono definite filosofi "presocratici", ma anche in realtà conformemente a una concezione unitaria del sapere, sono insieme pensatori, scienziati, poeti, poiché esprimono le loro idee sulla natura con il metro della poesia (si ricordino i ''Frammenti'' di Eraclito o il poema ''Della natura'' di Parmenide). Eraclito definiva Senofane, in tono di polemica, "colui che sa molte cose"<ref>Eraclito, 22B40 D-K</ref>; il carattere distintivo dell'opera di Senofane, che compose carmi in raccolte: ''La fondazione di Colofone - La colonizzazione di Elea'' (un poema didascalico-storico), e poi la raccolta degli alessandrini ''Sulla natura'', è dunque la critica corrosiva, altera e spregiudicata delle
[[File:Xenophanes in Thomas Stanley History of Philosophy.jpg|thumb|[[Senofane]] illustrato nel saggio ''Storia della filosofia'' di Thomas Stanley]]
Senofane fu anche avverso alla committenza della lirica corale di Alcmane, Pindaro, Bacchilide, Simonide, al successo sportivo da celebrare in poesia, Senofane oppone il superbo valore della poesia stessa, da non piegarsi a convenzionali formule tematiche per sollazzare i potenti e i nobili, al di sopra della pura forza fisica<ref>P. Giannini, ''Quaderni di Urbino'', 10, 1982, p. 57</ref> Il valore della σοφία poetica è in ragione del contributo che essa può dare alla stabilità e all'equilibrio politico, e quindi alla pace e al benessere della città
L'affermazione della superiorità della sapienza poetica sulle prestazioni atletiche tendeva ad anteporre nella scala tradizionale dei valori dell'attività poetica, pertinente alla sfera demiurgica, all'attività agonistica, prerogativa dei ceti aristocratici, orientata verso l'educazione guerresca. Nel lungo fr. 1 Gent-Pr, vengono descritti i gesti e gli oggetti della cerimonia simposiale, norme e valori ai quali essa deve lietamente ispirarsi; di qui il rifiuto di Senofane di un canto che introduca nei simposi i racconti mitici della Titanomachia e della Gigantomachia, delle lotte intestine e sedizioni all'interno dell'Olimpo degli dei, dunque Senofane rifiuta di trattare qualsiasi argomento mitico della tradizione mitologica, che possa essere di cattivo esempio per i politici e nocivo alla comunità. Senofane non a caso biasimava nei suoi frammenti perfino Omero, poiché secoli dopo la sua morte, continuava a guadagnare per mano di altri rapsodi con i suoi poemi, mentre i poeti contemporanei facevano la fame.
==== Elegia "gnomica" di Teognide ====
[[File:Tanagra, 5th century kylix a symposiast sings Theognis o paidon kalliste.png|thumb|Vaso proveniente dalla Beozia (V secolo a.C.), i versi iniziali provengono da un carme di Teognide]]
Teognide di Megara Nisea visse tra la fine del VI secolo a.C. e gli inizi del successivo. Aristocratico, con la caduta dell'oligarchia fu privato dei beni, e costretto a vivere in esilio. Sotto il suo nome è giunto un ''Corpus Teognideum'' di 1400 versi in metro elegiaco distico, di tradizione manoscritta medievale, in 2 libri, dove i componimenti sono giustapposti senza un criterio, frammisti a brani di altri poeti come Solone, Mimnermo, Tirteo.
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Talora all'invettiva aspra e rancorosa, subentra un tono sconsolato, come qui: "Bene sommo per chi sulla terra vive è non essere nato, / né i raggi vedere del sole ardente, / e quando si è nati, al più presto le soglie varcare di Ade / e sotto gran massa di terra giacere".
Le elegie del II libro del ''Corpus Teognideum'' cantano l'eros del poeta per i fanciulli, ma la tematica rimane solo apparentemente muta. I motivi sono quelli della lirica erotica, la dolcezza dell'amore, la ritrosia dell'amante, l'infedeltà, visti però nella prospettiva pedagogica che caratterizza il rapporto omoerotico negli ambienti aristocratici di stirpe dorica: un rapporto che si configura essenzialmente come "educazione", trasmissione dei valori sui quali si fondano le consorterie aristocratiche. C'è chi ha supposto che il corpus originario della silloge teognidea consistesse nelle esortazioni al fanciullo Cirno figlio di Polipade (detto appunto dal poeta "Polipaide"), così come le ''[[Le opere e i giorni|Opere e i giorni]]'' di Esiodo erano una sorta di consigli a Perse.<br/>Altri ritengono che costituisse una specie di "bibbia" della nobiltà, un prontuario di norme etico-sociali espresse in massime ad uso simposiale o scolastico, dei circoli aristocratici.
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Dal punto di vista poetico, si segnalano alcune coppie agonali di distici, cioè enunciazioni elegiache a botta e risposta su un determinato argomento, da parte di due o più simposiasti che intervengono l'uno dopo l'altro riprendendo, variando o correggendo l'affermazione di base<ref>C. Calame in C. Darbo Peschanski, ''La citation dans l'antiquité'', Grenoble 2004, p. 221</ref>
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L'isola di [[Lesbo]] era abitata dal gruppo greco degli [[Eoli]], che parlavano [[dialetto eolico]]. I rapporti commerciali con il vicino Oriente ([[Persia]], [[Mesopotamia]]) avevano favorito la ricchezza, il lusso, le arti, anche se la mentalità estetizzante dei Lesbii è piuttosto il retaggio di una civiltà preindoeuropea comune ai popoli mediterranei, dato che beneficiarono del passaggio dei [[Cretesi]] e dei [[Fenici]]<ref>Erodoto, ''Storie'', V cap. "I Fenici"</ref> Al fondo culturale anellenico si riallacciano i tiasi, come quello femminile di Saffo, comunità di ragazze consacrate al culto di [[Afrodite]] che ha i tratti di una "grande madre mediterranea", cui le fanciulle dovevano essere devote, e praticare l'arte del canto, della musica, della danza, per raggiungere il livello di perfezione per essere un giorno promesse sposa ai nobili o ai facoltosi uomini della città.<br/>Differente è il tiaso di Alceo, composto da nobili, spesso come si legge dalle sue poesia in lotta sanguinosa per il potere, schierati in fazioni, o interessati alla conservazione dei loro privilegi.
[[File:Alkaios Sappho Staatliche Antikensammlungen 2416 full.jpg|thumb|Vaso greco ritraente Alceo e Saffo, da Akragas, Sicilia]]
Nel clima di faziosità politica a Lesbo nacquero queste eterie, di cui si ricorda appunto quella di Alceo; i governi dell'isola erano instabili, affidati a tiranni, che appoggiandosi al popolo inquieto, contrastavano le eterie nobiliari avverse, esiliandone i capi sovversivi, come accadde ad Alceo che si inimicò prima Mirsilo, e alla sua morte dovette subire il tradimento di Pittaco asceso al potere, che lo fece nuovamente esiliare. Prima di Mirsilo vi era un tal Melacro, il tradimento cocente per Alceo è dato da Pittaco, suo compagno, che fu scelto dopo Mirsilo per portare la pace a [[Mitilene]] (il "mitilenese" è apostrofato con disprezzo da Saffo nella poesia ''Il nastro rosso''); tuttavia Pittaco è annoverato dalla tradizione nella cerchia dei Sette Sapienti, e mantenne un buon governo, nonostante gli insulti di Alceo.
Già in antichità i Greci ritenevano che Lesbo fosse la culla della lirica monodica; una leggenda narrava come la testa tagliata del cantore [[Orfeo]] approdasse sulle spiagge dell'isola, e che ivi fosse sepolta. Anche il mitico aedo Arione, salvato in mare dai delfini ammaliati dal canto, era di Lesbo, di Metimna. Dall'isola proviene anche il citaredo [[Terpandro]], che introdusse la musica presso i [[Dori]]; secondo [[Orazio]] l'isola di Lesbo "
Caratterizzavano la lirica eolica l'isosillabismo, dovuto al fatto che nella metrica una sillaba lunga — non valga due brevi ∪ ∪, l'uso del dialetto dell'isola come lingua poetica, dialetto molto diverso dagli altri due gruppi del dorico e dello ionico-attico, la relativa scarsezza di
Visse tra il 630 e il 550 a.C., nobile della sua stirpe degli Alceidi, lottò per il predominio di Mitilene, si oppose ai tiranni che si avvicendarono nel governo dell'isola. Esiliato due volte prima da Meleacro, poi da Pittaco, andò ramingo per l'Oriente, l'[[Egitto]] e infine in [[Sicilia]]; perdonato poi da Pittaco, combatté al suo fianco contro gli Ateniesi per la conquista di un porto nella [[Troade]], in questa occasione dovette gettare lo scudo e salvarsi, proprio come nel frammento di Archiloco. Morì a Mitilene nel 550 a.C. circa; gli editori alessandrini divisero l'opera di Alceo in 10 libri; si distinguono poesie politico-guerresche (canti di sommossa), inno in onore di dei, poesia erotiche e conviviali. Rimangono poche centinaia di frammenti provenienti da papiri o da citazioni di altri autori.
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Per [[Strabone]] le composizioni di Alceo sono un esempio di propaganda poetica. Per [[Dionigi di Alicarnasso]] bastava togliere alle poesie la veste metrica per avere un discorso politico, per Orazio è da ricorda l'unione tematica della politica, dell'esilio, della guerra<ref>''Ars poetica'' II, 13, 26</ref>, ne loda la truce forza nei ritmi; per la bellicosità, [[Quintiliano]] lo considera "plurimum Homero similis"<ref>Quintiliano, ''Institutio oratoria'', X, 1</ref>, ne loda l'ispirazione alta e potente dei carmi civili.
La passione politica di Alceo, che rientrando nel discorso dell'individualità e della descrizione di fatti concreti e contemporanei
Quando il popolo scelse Pittaco come tiranno di Mitilene al posto di Alceo, grande fu il suo rammarico: "Pittaco, figlio di ignobile padre, tutti insieme grandemente elogiandolo, crearono tiranno della città inetta e sfortunata".<br/>Dato che il poeta fu tra i capi della resistenza contro i tiranni, non fa meraviglia che la sua casa "rifulga" di armi e arnesi bellici per l'uso come nel famoso frammento ''Armi per la guerra civile''. Dalla solitudine dell'esilio, in verità un esilio dorato, in un santuario dove si svolgono gare di bellezza femminile, Alceo manda un grido accorato. Gli mancano gli araldi che convocano l'assemblea e la possibilità di parteciparvi col ruolo che per tradizione spetterebbe a lui: "Povero me!
Celebre tra i canti politici è anche ''L'allegoria della nave'', considerato un ottimo esempio di linguaggio chiuso delle eterie, e come lo scudo di Archiloco, la nave di Alceo diventerà un topos letterario, ricorrente in Orazio, dove la nave è la Repubblica di Roma travagliata dalle discordie civili. Il primo dei 10 libri del ''Corpus'' conteneva gli inni agli dei, sia per la guerra che durante il simposio, gli inseriti mitici servivano per illustrare situazioni concrete, o avevano funzione d'insegnamento, istituendo omologie tra vicende divine e umane. Nell{{'
Del significato politico del simposio, delle valenze sacrali del bere insieme, un atto che sanciva la comunione degli associati dell'eteria, quasi come nell'agape cristiana, s'è scritto molto. Basti dire che per Alceo e i suoi compagni sono varie le occasioni del bere: si può brindare per la morte di un tiranno, per dimenticare tristi avvenimenti: "Non bisogna abbandonare l'animo alle sventure, poiché nulla ci gioverà l'affliggerci, o Bochis: ma il farmaco migliore e farsi portare vino e inebriarsi" (fr. 335 Lobel-Page). Si beve per sconfiggere il gelo dell'inverno, mentre un
[[File:Sappho-drawing.jpg|thumb|Disegno del 1883 ritraente Saffo]]
Nacque nell'isola di Lesbo, a Ereso, tra il 640 e il 630 a.C; di famiglia aristocratica, fu coinvolta con Alceo nelle vicende politiche del suo tempo, essendo esiliata con la famiglia in Sicilia dal tiranno Pittaco di Mitilene, tra il 604 e il 595 a.C. Sposò il ricco mercante Andro, del quale rimase vedova presto, con la figlia Cleide. Visse poi a Mitilene, quando fu riammessa dal tiranno, dove concluse la vita in tarda età. La sua produzione artistica, divisa dagli alessandrini in 9 libri in base ai criteri metrici e contenutistici, comprendeva i ''Carmi'' lirici, le ''Elegie'' e gli ''Epitalami''. A causa della distruzione delle storiche biblioteche di Alessandria d'Egitto, e del sacco di Bisanzio nel 1453, sino all'800 sopravvivevano alcuni frammenti, giunti attraverso le citazioni degli antichi, e solo con le scoperte dei [[papiri di Ossirinco]] si
Secondo la leggenda popolare la poetessa, innamorata del bel marinaio Faone, non essendo corrisposta, si suicidò disperata in età matura, gettandosi in mare dalla rupe Leucade, e tale leggenda fu ripresa anche da Leopardi nell{{'
Attraverso pratiche liturgiche incentrate sul culto di Afrodite, delle Muse e delle Cariti, si scopre qual
Nel tiaso la vicenda personale diveniva esemplare per l'educazione dei ragazzi e delle ragazze, nel caso di Alceo per i fini politici e guerreschi. Il carme ad Afrodite rappresenta dunque un manifesto dei valori della comunità saffica, valori opposti a quelli delle consorterie maschili. In un altro frammento l'universalità dell'amore, e dei voleri imprescindibili di Afrodite, inspiegabili secondo la morale umana, Saffo arriva a giustificare la scelta di Elena di Sparta di seguire Paride a Troia, scatenando l'ira del marito Menelao e la tremenda guerra, mentre per i
L'agghindarsi aveva un risvolto religioso, in ambito culturale, come quello di Afrodite e delle Cariti, dee i cui attributi erano la bellezza, l'amabilità, la
I frammenti riflettono poi tutte le complesse dinamiche affettive delle fanciulle; i rapporti di queste tra di loro con Saffo. Rapporto di gelosia, come nella celebre ''[[Ode della gelosia]]'', ripresa da Orazio, Foscolo, Pascoli, in cui Saffo descrive in mirabile maniera lo sconvolgimento psicofisico che la colpisce non appena vede che la ragazza da lei amata sta per lasciare il tiaso, essendo seduta davanti a un pretendente che la sposerà. E dunque siccome il fine dell'educazione era la grazia in virtù di Afrodite, ma ancora più il matrimonio della fanciulla che lasciava la scuola, vari sono gli epitalami composti da Saffo per le nozze, gli auguri di felicità, gli elogi dello sposo, le maliziose allusioni erotiche. E [[Saffo]] nutre per ogni ragazza, tra cui Attis e Arignota, eterno amore e ricordo, tema fondamentale dell'amore saffico, nei momenti di maggiore sconforto, come nel carme del ''Distacco'', quando descrive il triste momento della fanciulla che lascia il tiaso piangendo, e riceve gli ultimi consigli di Saffo, ossia che nei momenti in cui qualcosa è inesorabile, come l'abbandono del tiaso, l'unica fonte di gioia e di connessione tra maestra e discepola è il ricordo delle cose belle e dei momenti felici passati insieme.
==== Anacreonte ====
[[File:Anacreon - Project Gutenberg eText 12788.png|thumb|[[Anacreonte]] in un disegno di fantasia]]
Nato a Teo, di fronte
Composizioni insomma inzuccherate e frivole, che però ebbero nel XVI-XVIII secolo largo successo presso i poeti che abbracciarono la corrente letteraria dell'[[Arcadia]], e che vennero tradotte anche da poeti seri come Parini, Monti, Foscolo, Alfieri. Per lunghi anni dunque si è associata una figura melensa e sdolcinata al poeta Anacreonte, imitato già in età alessandrina, e poi bizantina, che mutarono in leziosità la grazia raffinata e il tocco lieve ma pungente della sua poesia. Il tema dell'amore, in Anacreonte raffigurato in chiave giocosa e originale, come un fabbro che tempra l'anima del poeta, o un'instancabile pugile che lo vince nelle mosse del combattimento, dai componimenti spuri e dagli imitatori fu descritto e mistificato in tutte le salse possibili, insieme ai temi della leggerezza nel partecipare al simposio, e nella descrizione di personaggi curiosi, bizzarri e comici, ispirati ai frammenti autentici sulla etera-puledra di Tracia, sul gaglioffo arricchito Artemone, sulla "nota" donna flautista che maledice la sua triste condizione, ecc..
Si venne a creare una vera e propria corrente letteraria della [[poesia anacreontica]], che fece del poeta di Teo la figura del compositore felice, fortunato per i contesti politici di committenza in cui si venne a trovare, del maestro della vita, che con la grazia amabile della sua tenue Muse può ancora insegnare agli uomini la formula della felicità, del vino, dell'amore e del canto leggero<ref>cfr. il commento introduttivo di Bruno Gentili in ''
Il tema del disimpegno è ripreso nei vari frammenti in cui umanizza e rende come un bambino dispettoso il dio Eros che gli tesse vari inganni d'amore, o nel frammento dell'etera-puledra di Tracia che falsamente finge di schermirsi al poeta, dimostrando tuttavia la sua indole volubile; anche i temi dolorosi, come la vecchiaia descritta dal poeta, sono visti con una sottile ironia e con il sorriso; mentre caratteri sociali, della nuova borghesia che ascende nella società arcaica ateniese, volta verso il classicismo della futura democrazia rappresentata, in auge, da [[Pericle]], sono espressi maggiormente nel frammento in cui Anacreonte descrive i il cambiamento di posizione sociale di Artemone, un volgare ladrone e ruffiano, che per mezzo dei soldi, o di qualche rivolgimento sociale a suo favore, ora veste come una persona d'alto rango, tradendo tuttavia per la scelta degli abiti e della sua indole, la sua natura incancellabile parvenu, ma vi sono anche il lanciatore del disco muscoloso, il profumiere calvo Stratti sempre alla ricerca della moglie vogliosa, il marito che si fa comandare dalla moglie in casa, il musicista, l'intrepido che dorme con la porta aperta, la lavandaia che sale
Fr 71: "Stratti fa il profumiere: gli chiedo se intende farsi crescere i capelli. Rivuole la moglie, Alessi testapelata."
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Primo tra i lirici corali insieme a [[Stesicoro]], sarebbe nativo di Sardi o della Lidia, come riferisce nel fr. 13, ma visse gran parte della sua vita a [[Sparta]] nel VII secolo a.C., e vi morì in età avanzata, come conferma il fr. 26 Page. Svolse l'attività di poeta e istruttore di corti in relazione alla necessità della vita civica e religiosa della città spartana, nell'ambito cultuale di alcuni santuari del territorio peloponnesiaco. Della sua opera rimangono i frammenti dei parteni, non a caso Alcmane era detto il poeta dei parteni, i canti processionali composti su committenza, ed eseguiti da un coro di fanciulle di buona famiglia in una festività pubblica.
Tra i più famosi e meglio conservati c'è il ''[[Partenio del Louvre]]'', con 100 versi leggibili, nei quali
L'omosessualità spartana, come quella del tiaso di Lesbo, aveva finali prettamente educativi, erano un rito di passaggio della pubertà al mondo maturo. Oltre ai parteni, Alcmane fu famoso per una poesia imitativa dai caratteri espressamente visivi e uditivi, fatta di immagini e di suoni, spesso di uccelli, come dimostrati nei frammenti in cui il poeta dichiara di conoscere il canto degli uccelli; mentre nel frammento del ''Notturno'', ripreso in primis da Virgilio (Eneide, IV, 522), poi da Ariosto e Tasso, Alcmane dimostra un atteggiamento di piena adesione alla natura nel descrivere un momento della notte, il sonno non solo degli animali sulla terra, degli uccelli, delle bestie del mare, ma anche degli elementi inanimati, come i monti, le forre, le balze.<br />Tale elencazione crea un'atmosfera di assorto stupore, di magica sospensione nel silenzio cosmico; noto è anche il frammento del ''Cerilio e le alcioni'', in cui il poeta in esametri si esprime, probabilmente intervenendo in un partenio, sostituendosi al coro di fanciulle, dichiara di essere troppo anziano per praticare ancora il rito della danza, e si paragona al cerilo, che quando è troppo anziano, insieme alle alcioni viene portato sopra le loro ali sopra l'acqua, quando non è più in grado di volare.
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Questo frammento fu imitato anche da Carducci in una delle ''Odi barbare'' (voglio con voi, fanciulle, volare, volare dalla danza/come il cerilo vola tratto dalle alcioni). Di Alcmane rimane dunque l'atmosfera di assorto stupore per i fenomeni della natura e dei suoi abitanti, lo stile nitido, l'elaborato spessore dei miti e dei riti per il partenio.
==== Stesicoro e Ibico ====
Furono i rappresentanti della lirica corale arcaica, in quanto provenienti dalle colonie italiche della [[Magna Grecia]], dalla fine del VII secolo a.C. sino al VI. Il nuovo epos, come visibile soprattutto in Stesicoro (Gerioneide, Orestea), immesso nelle forme della lirica corale, celebra i ritorni dei personaggi della leggenda eroica della guerra di Troia (Orestea), che al termine delle loro peregrinazioni, sarebbero approdati nelle località italiote o siceliote (Diomede nella Puglia, Nestore a Metaponto, Giasone alle foci del Sele), fondando le città.
[[File:Pincio - busti - Stesicoro 1280023.JPG|thumb|Busto di Stesicoro presso il Pincio, Roma]]
Stesicoro nacque a Metauro, e poi si trasferì a Imera in Sicilia, dove visse nel VII-VI secolo.
Fu lodato da Quintiliano, che lo giudicò capace di reggere la potenza dell'epica con la
Interessanti le forme epiche della ''Gerioneide'', in cui anche qui Stesicoro sembra dare più importanza e umanità al mostro tricefalo con tre corpi, precedendo in un certo senso già Teocrito e Callimaco, che nel concetto di metaletteratura, rielaborarono esseri mitologici giudicati dalla tradizione come mostruosi e portatori di valori negativi, di cui si ricorda Polifemo, intravisto non come un mostruoso divoratori degli ospiti che disprezza le leggi divine, ma piuttosto come un povero innamorato rifiutato dalle Ninfe per il suo aspetto brutto, che cerca solo di corteggiare una fanciulla con la sua abilità poetica. Benché il discorso in Stesicoro sia diverso, è di interesse notare come Gerione, rifacendosi a scene schematiche tipiche dei poemi omerici, venga introdotto come un eroe combattente che va incontro al suo destino per stesso volere degli dei, che per salvare le vacche da cui è stato incaricato di esserne il custode, è pronto a rifiutare le proposte di salvezza dello zio materno e della madre, e a combattere in duello con Eracle vestito d'armi come un perfetto eroe greco che si rispetti.<br />La scena del dardo di Eracle che gli trafigge la testa verrà ripresa anche da Virgilio nell{{'
'''Ibico''' nacque a Reggio Calabria nella metà del VI secolo, subì la suggestione della citarodia stesicorea, dato che nel suo lungo frammento dell{{'
==== Simonide di Ceo e l'etica della valenza ====
Nato a Iuli nell'isola di Ceo, egli visse tra il 550 a.C. e il 467 a.C., nella fase di transizione dall'età arcaica a quella classica, dalla tirannia alla democrazia, e ciò riflette molto i suoi carmi. Dopo le guerre persiane che sconvolsero la Grecia, si affermò un'identità panellenica, della quale il cosmopolitismo simonideo è certo e emblematico. Dopo un primo soggiorno ad Atene alla corte di Ipparco, fu nella Tessaglia filopersiana degli Scopadi (si ricorda l{{'
[[File:Nuremberg chronicles f 60r 3.png|thumb|Simonide di Ceo ritratto nel codice delle ''Cronache di Norimberga'']]
Infine fu a Siracusa alla corte di Ierone, trascorse gli anni finali accanto al nipote [[Bacchilide]], poeta di epinici in concorrenza col rivale [[Pindaro]], svolgendo un'azione di mediazione tra Ierone e Terone tiranni di Agrigento. Secondo gli alessandrini, Simonide si cimentò in ogni genere della lirica corale, scrisse epigrammi, elegie, inni, peani, ditirambi, encomi, epinici e lamenti funebri. La vitalità e la centralità della sua figura intellettuale nel panorama greco della polis democratica nascente, è confermata dalla ricca aneddotica intorno alla sua persona, sia dal fatto che gli furono attribuite varie invenzioni liriche, come quella della mnemotecnica e l'introduzione di nuove lettere dell'alfabeto.
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In questa pagina dei "frammenti dei lirici", si ricorda che sono mostrati solo degli esempi, dei frammenti e testi completi scelti dei vari autori, per una conoscenza base della [[metrica classica]], della traduzione letterale dei contenuti, confrontata con libere traduzioni d'autore o dei curatori delle varie sillogi dei componimenti poetici scelti. Per gli autori vari si vedano le apposite bibliografie, per le edizioni critiche con l'opera omnia dei frammenti rinvenuti e le citazioni del ''corpus'' di ciascun autore, si veda la bibliografia di riferimento.
Per lo studio approfondito e critico della traduzione letterale, si vedano i relativi frammenti qui citati nell'antologia ''Polinnia. Poesia greca arcaica'' a cura di [[Bruno Gentili (grecista)|Bruno Gentili]], Gennaro
▲Le edizioni principali di riferimento sono, comunqueː H. W. Smyth
'''''Esortazione al valore guerresco'''''
Il frammento 1 dell'edizione West è il più esteso di quelli di [[Callino]]: il tono è parenetico, tipico delle esortazioni militari, il poeta incita i cittadini a combattere per la patria contro i barbari che la minacciano. Con ogni probabilità l'elegia fu composta per esortare i cittadini di [[Efeso]] a combattere contro i [[Cimmeri]], popolo della Tracia, che il poeta in altri componimenti (fr. 3 Gentili) ricorda come gente violenta e terribile: Κιμμερίων στρατός... ὁβριμοεργῶν. Dopo l'impetuosa esortazione iniziale, marcata da efficaci proposizioni interrogative, il poeta passa ad esaltare l'eroismo guerresco: l'eroe che muore in battaglia da tutti è compianto, sia da grandi che da piccoli, l'eroe che torna in patria vittorioso è venerato da tutti come un semidio, tutti lo guardano come un salvatore.<br/>Notevoli sono i punti di contatto con l'esortazione di [[Sarpedonte (figlio di Europa)|Sarpedonte]] a Glauco nell{{'
Alcuni interpreti hanno voluto negare l'autenticità dei versi 5-21, che per alcune somiglianze stilistiche hanno attribuito a [[Tirteo]], che scrisse un'altra ''Esortazione di virtù civile'' per incitare i soldati alla battaglia; tuttavia si oppongono a questa ipotesi alcuni motivi linguistici, come per esempio l'uso di κώς, peculiarità del dialetto ionico d'Asia Minore.
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Innanzi agli occhi lor, qual torre, il veggono:<br />
Inver di molti i generosi gesti<br />
Egli
Pur se sol resti.|Traduzione di [[Achille Giulio Danesi]], 1886}}
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I frammenti in greco originale, con scansione metrica sono qui: '''''{{Cita web|http://www.poesialatina.it/_ns/Greek/testi/Tyrtaeus/Fragmenta.html|Tyrtaeus Fragmenta}}'''''
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fr. 5 West, in distici elegiaci
Si tratta di tre frammenti citati da fonti diverse<ref>[[Pausania il Periegeta]], ''Geografia della Grecia'', IV, 6, 6 (vv. 1-2); Schol. Plat. ''Leggi'' 629a; Olimpiodoro in ''Alcibiade'' 1, 162; Strabone, ''Geografia'', VIII, 5,6 (v. 3), Idem, VI, 3,3 (vv. 4-8); Pausania, IV, 15, 2 (vv. 4-6); Strabone, VIII, 4-10 (v. 6); Pausania, IV, 13,6 (vv.7-8)</ref>, che apparterrebbero a una sola elegia, ma la disposizione riportata nei testi critici non è sicura, dato che il verso 3 sembra fuori posto. [[Tirteo]] ricorda la [[prima guerra messenica]], quando il re spartano [[Teopompo]] (seconda metà dell'VIII secolo a.C.) vinse e rese schiavi i Messeni. Il ricordo e l'esaltazione del valore degli avi è per il poeta il mezzo per incitare gli Spartani a intraprendere di nuovo una guerra contro i Messeni (la seconda). La prima guerra, a detta di Tirteo, si protrasse per 19 anni, e al ventesimo l'acropoli del Monte Itome crollò, segnando la conquista del popolo.
{{Citazione|...al nostro sovrano, Teopompo caro agli dei,<br />per opera del quale noi prendemmo la vasta Messenia.<br />***<br />La bella Messenia fecondavano, per accrescerla magnifica<ref>Appare scollegato questo verso 3, il termine ἀγαθόν è stato corretto al femminile -ην dal Buttmann, ma non si sa quello che era detto nei versi precedenti. Si ipotizza che si trovasse un sostantivo maschile cui l'aggettivo si rapportava, tuttavia si segnala anche la fertilità della Messenia, descritta nel frammento, per cui gli Spartani mossero a guerra contro queste terre.</ref><br />***<br>Per quella noi combattemmo 9 e poi 10 anni incessantemente,<br> avendo il cuore impavido,<br />combattevano i padri dei nostri padri;<br />al ventesimo quelli lasciando le pingui terre,<br />fuggirono dal grande Monte Itome.|Traduzione letterale Fr. 5 West}}
'''''Schiavitù dei Messeni'''''
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Al verso 12 οὔτ' ὄπις οὔτ'ἕλεος ὀπίσω τέλος codd.: corr. Bergk, cfr. ''Odissea'', XIV, 14, 82. L'emendamento comunemente accolto è quello dell'Ahrens ὀπίσω γένεος per il confronto con il fr. 9, 30 Gentili-Perrotta γένος ἐξοπίσω. Il parallelismo degli οὔτε e altre considerazioni di ordine stilistico e concettuale rendono più persuasiva la correzione del Bergk. La sola obiezione potrebbe essere sollevata dal confronto con il passo odissiaco, dove ὅπις vale, come sempre in Omero in "vendetta divina", qui non appropriato<br />Sviluppi semantici o usi nuovi di parole omeriche sono ben documentabili in Tirteo<ref>cfr. M. Treu, ''Von Homer zur Lyrik'', Monaco 1955, p. 267</ref>. Da confrontare Pindaro, ''Olimpica II'', 6, per l'uso di ὅπις nel senso di "riguardo" verso l'ospite. L'uomo che va errando vagabondo non trova cura, né rispetto e né considerazione; la disposizione chiastica dei sostantivi è in una efficace gradazione di valori, con disposizione a carattere rafforzativo con aggettivi accompagnati confrontati con ὅπις.
Il testo proviene dalla citazione dell'oratore Licurgo, ci sono dubbi se i gruppi dei vv 1-14 e 15-32 facciano parte della stessa elegia, oppure siano le parti iniziali di due diverse elegie, la prima indirizzata ai cittadini, la seconda ai giovani guerrieri. La mossa iniziale in ambedue le parti è parenetica, la prima parte che si rivolge all'uditorio nella forma del "noi" ha inizio con affermazione vigorosa: "è bello morire per la patria", la seconda nella forma del "voi" ai giovani perché combattano per la patria. In sostanza la parenesi seconda appare come una ripresa enfatica della prima esortazione, e sono stati avanzati dubbi
Nei vv. 1-14 l'esortazione al valore si concretizza nell'immagine del guerriero vigliacco che fugge, abbandonando la patria, e portandosi la madre, il vecchio padre e i figli, mendicando tra odio e disonore collettivo. Nei vv. 15-32 l'incitamento ai giovani perché combattano valorosamente e non fuggano, abbandonando i guerrieri più anziani, si attua nell'immagine squallida del vecchio guerriero nudo "che esala la propria anima nella polvere", mentre si tiene con le mani i genitali lordi di sangue. Numerosi sono i parallelismi con espressioni, locuzioni ed emistichi omerici. I vv. 1-14 ricordano l'esortazione di Ettore in ''Iliade'' XV, 494-99, i vv. 15-32 trovano confronto con ''Iliade'', XXII, 71-76. Ciò che in Omero è descrizione, in Tirteo diventa incitamento<ref>B.
L'amore per la patria propagandato dal poeta è l'amore per l'intera comunità spartiata, nel momento critico dei vv. 14-31,32, dove si esige il sacrificio del singolo cittadini per la patria per salvare la città dalla schiavitù. L'eroismo omerico dei canti ha una sua ragione individualistica, nasce dal sentimento dell'onore e del desiderio di gloria, in Tirteo trascende i valori agonali, ha come presupposto una ragione etico-comunitaria, l'ideale della città. Chi fugge dalla guerra perde ogni valore e onore, il vero uomo valente che può aspirare all'onore supremo della gloria eterna, con la vittoria in battaglia, è chi
{{Citazione|È bello che un uomo valoroso.<br />cadendo muoia tra le prime fila combattendo<br />per la patria, e abbandonando la propria<br />città e i campi fertili; è cosa tristissima<br />fra tutte mendicare vagando con la madre<br />cara, il padre vecchio, i figli piccoli<br />e la moglie legittima. Egli sarà detestato<br />da quelli versi cui può giungere,<br />cedendo al bisogno e all'odiata povertà,<br />egli disonora la stirpe, e disdegna il nobile aspetto;<br />ogni infamia e sventura lo accompagnano.<br />Se così l'uomo va errando non<br />c'è alcun rimedio né rispetto,<br />né protezione, nessuna pietà:<br />noi combattiamo con il cuore<br />per questa terra, e per i figli<br />moriamo; non risparmiamo<br />la vita; o giovani, combattete<br />rimanendo gli unici vicini agli altri<br />e non date inizio alla vergognosa fuga,<br />e alla paura; ma rendete grande<br />e vigoroso il cuore nel petto.<br />E non siate attaccati alla vita<br />combattendo con i guerrieri anziani,<br />che non hanno più le ginocchia agili;<br />non fuggite, lasciando soli i vecchi!<br />*<br />Questo è vergognoso: che un combattente<br />anziano, che abbia già canuto il capo<br />e candido il mento, in mezzo a quelli<br />della prima fila muoia davanti ai giovani,<br />esalando la vita vigorosa nella polvere,<br />avendo nelle mani il petto insanguinato - cosa turpe e riprovevole<br />vedere questo con gli occhi - e il suo corpo denudato.<br />*<br />Ai giovani invece ogni cosa si addice,<br />finché lo splendido fiore ha una<br />giovinezza gradita egli è ammirato<br /> dagli uomini, apprezzato dalle donne<br />essendo vivo, bello quando cade in prima fila.<br />Dunque ognuno allargando bene<br />le gambe resista, essendo ben piantato a terra,<br />mordendo con le labbra i denti.|Traduzione libera di Saveriano Fogacci (1847)|È bello, è divino per l’uomo onorato
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Tal morte pel forte non è già sventura:<br />
Sventura è la vita dovuta a paura,<br />
Dovuta all’eterno de’ figli rossor.
Chi son quei meschini che vanno solinghi,<br />
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Se il chiedi a’ vicini così ti diranno:<br />
«Quei vili raminghi più patria non hanno;<br />
Fuggiron dal campo; l’infamia è con lor.»
Mirate quei padri, quei vecchi cadenti,<br />
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Non alzan quei volti dannati allo scherno:<br />
Il ciel della patria non miri in eterno<br />
Chi un cor per amarla nel petto non ha.
Ah! dunque di fuga pensier non v’alletti;<br />
Non sieda paura nei liberi petti;<br />
Ma v’arda cocente di guerra il desir.
Pugnam per la patria, pugnamo pe’ figli:<br />
L’amor della vita viltà non consigli:<br />
Se vincere è bello, pur bello è morir.
Che infamia se i vecchi lasciando sul campo,<br />
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La vita codarda correste a salvar!<br />
Ma spose, ma figli quei vecchi non hanno?<br />
Bruttate di sangue la barba, le chiome<br />
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Orrendo a vedersi! Di sangue grondante<br />
Ciascuno morendo con labbro tremante<br />
S’ascolta all’ignavia de’ suoi maledir.
Non piombi sul capo cotanta vergogna!<br />
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Fr. 11 West in distici elegiaci
Il frammento è un'utile descrizione della tattica militare della falange oplitica, comportava una partecipazione paritaria dei guerrieri alla vita collettiva, ed esigeva una subordinazione totale dell'individuo. Il frammento è stato trasmesso in maniera integrale nell{{'
Il passo riporta molte tematiche presenti già nella celebre ''Esortazione alla virtù'', l'incoraggiamento parenetico, a non rifiutare la lotta, a restare in prima fila per salvare coloro che sono nelle
{{Citazione|Siete la prole d'Eracle l'invitto. Avanti dunque,<br />fatevi forza! Zeus non torce il collo.<br />Non vi sgomenti il numero e non cedete al panico.<br />Punti ciascuno avanti, con lo scudo,<br />odi la vita, ami le Parche brune della morte<br />come raggiante chiarità del sole.<br />La guerra lacrimosa annulla tutto: lo saprete,<br />conoscete lo slancio d'aspre lotte.<br />Giovani, foste con fuggiaschi e inseguitori,<br />e d'entrambe le sorti siete sazi.<br />Quegli audaci che vanno fianco a fianco nella mischia<br />serrata, all'arma bianca, in prima fila,<br />muoiono in pochi e salvano il grosso che va dietro.<br />Quando si trema, ogni valore è spento.<br />E chi potrebbe dire uno per uno i guai<br />di colui che si macchia di vergogna?<br />È cosa così agevole dilacerare il tergo<br />di chi fugge nel vivo della mischia!<br />Ma che sconcio un cadavere che giace nella polvere,<br />trafitto il dorso da punta di lancia!<br />Resista ognuno ben piantato sulle gambe al suolo,<br />mordendosi le labbra con i denti,<br />nascondendo le cosce, gli stinchi, il petto e gli omeri<br />entro la pancia d'uno scudo immenso;<br />l'asta possente stringa nella destra e l'agiti,<br />muova tremendo sul capo il cimiero.<br />E l'azione gagliarda gli sia scuola di guerra,<br />né con lo scudo sia fuori tiro.<br />Entrando nella mischia, con la lancia o con la spada<br />ferisca e faccia del nemico preda.<br />Appoggi piede contro piede, scudo a scudo,<br />il cimiero al cimiero, l'elmo all'elmo,<br />s'accosti petto contro petto, e lotti col nemico<br />brandendo l'elsa della spada o l'asta.<br />Voi, gimneti, di qua di là, scagliate grosse pietre,<br />acquattati al riparo dello scudo, <br />dardeggiando coloro con aste lunghe, lisce,<br />collocandovi al fianco degli ospiti.|Traduzione di F.M. Pontani}}
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I testi integrali di Solone con scansione metrica: '''''{{Cita web|http://www.poesialatina.it/_ns/Greek/testi/Solon/Fragmenta.html|Solon Fragmenta}}'''''
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Frammenti 1-3 West in distici elegiaci
Le fonti: Plutarco, ''Vita di Solone'', 8, 2 (vv 1-2), Phot. ''Lexicon'', edd. Kalkridis-Kapsomenos-Politis, p.
C'è sinizesi al v. 2 ἐπέων
L'elegia per [[Salamina (isola)|Salamina]] fu composta di ritorno dai primi viaggio in Asia Minore, dove si era recato per ragioni commerciali; al tempo probabilmente Solone era membro dell'assemblea dell'Aeropago, l'elegia venne composta per gli Ateniesi per incitarli a riprendere Salamina, perduta nella guerra contro [[Megara Nisea|Megara]], poiché l'isola era un punto strategico e commerciale, di importanza vitale per Atene, come si è visto anche nella battaglia di Salamina contro i persiani di Serse II nella [[seconda guerra persiana]]. Lasciare Salamina ai Megaresi significava compromettere la storia futura della città dell'Attica. Nella versione della ''Vita di Solone'' di Plutarco, [[Solone]] si sarebbe finto pazzo, si presentò al pubblico ateniese con un berretto sul capo, e declamò sulla pietra dell'Aeropago l'elegia ai cittadini; Solone si finse pazzo perché all'epoca vigeva una legge che penalizzava con la morte chi avrebbe incitato il popolo a riscattare l'isola, e l'elegia ebbe l'effetto sperato negli animi degli Ateniesi; tuttavia si ritiene che l'aneddoto plutarcheo sulla pazzia di Solone derivi da tradizioni tarde di gente ostile al politico<ref>Masaracchia, ''Solone'', Firenze 1958, p. 243</ref> Secondo Plutarco l'elegia era lunga 100 versi, oggi se ne conservano 8.
{{Citazione|Io stesso sono venuto araldo dalla bella Salamina,<br />avendo composto invece che un discorso una poesia,<br />universo di parole.<br />*<br />Fossi io di Sicino, o di Folegandro,<br />anziché Ateniese, scambiata la patria!<br />Tra gli uomini presto correrà questa fama:<br />«Costui è Attico! Di quelli che hanno abbandonato Salamina.»<br />*<br />Andiamo a Salamina, a combattere per l'isola bella,<br />e per scrollarci di dosso la vergogna pesante.}}
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'''''Stoltezza degli Ateniesi'''''
Fr. 11 West in distici elegiaci - Fonti:Diogene Laerzio, I, 51 (vv. 1-8),
L'elegia fu composta, a detta di Diogene Laerzio, quando il tiranno Pisistrato era già salito al potere in Atene (561-60 a.C.); quello che il poeta aveva previsto nei fr. 12-13 Gent-Perr, non poté essere evitato. L'ascesa di Pisistrato e l'instaurazione della tirannide non comportarono tuttavia l'abolizione delle leggi appena create da Solone sullo "scuotimento dei pesi"; secondo De Sanctis<ref>G. De Sanctis, ''Storia dei Greci'', I, p. 483</ref> quello che Solone non seppe creare per via legale, lo istituì la tirannide: l'ideale tuttavia dello Stato fondato sulla giustizia e sul rispetto delle leggi, con tanto vigore affermato e difeso da Solone, diverrà patrimonio della cultura greca.
Al tempo dei sofisti rivive in [[Ippodamo]] e Falea, che a lui si ispirarono nella concezione di un nuovo ordine sociale, fondato sulla giustizia. Verso la fine della [[guerra del Peloponneso]] un sofista tal Anonimo di Giamblico, considerava l'obbedienza del cittadino alle leggi come la sola via che conduce alla ricostruzione dello Stato. Ma soprattutto Platone è il suo erede diretto, quando considera il problema della giustizia come problema essenziale per la realizzazione dell'ideale etico dello stato.<br />In quest'elegia Solone incolpa gli Ateniesi di aver condotto essi
Il testo nella citazione di Plutarco discorda in più luoghi da quello di Diogene, il testo di Diodoro Siculo sembra rappresentare una tradizione contaminata, concordando ora con Diogene ora con Plutarco. Le difficoltà si trovano nel v. 3 con le due lezioni ἐρύματα per Plutarco e Diodoro e ῥύσια per Diogene. La seconda lezione per criterio di ''difficilior'' rispetto alla prima, sarebbe da preferirsi nell'edizione Liddell-Scott-Jones, ma dato il valore giuridico del termine, non è chiaro che cosa in concreto possa significare l'espressione.
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'''''A Mimnermo'''''
Fr. 20, 21, 18 West, in distici. Fonti: Diogene Laerzio, I, 60 (vv. 1-4); Stob. π. πένθ. IV, 54, 3 (p.
Sono tre frammenti che dovevano comporre un'elegia sulla vecchiaia; il primo è una replica al poeta [[Mimnermo]] che aveva espresso il desiderio di morire a 60 anni; Solone risponde di cambiare il verso, e fissa la data di morte a 80 anni, perché da anziani si invecchia imparando. Due differenti scuole di pensiero, da una parte Mimnermo odiatore incallito della vecchiaia, che a suo dire porta solo mali, e impedisce all'uomo di godere dei piaceri della giovinezza, dall'altra Solone che qui però non mostra l'intento di voler fare polemica letteraria, ma solo opporre in tono bonario<ref>G. Pasquali, ''Pagine meno stravaganti'', p. 117 in "Studi italiani di filologia classica" 1923, p. 296</ref> una diversa concezione della vita, più ottimistica.
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Si tratta di un gruppo di tre frammenti che paiono appartenere alla stessa elegia per l'affinità dell'argomento e l'identità del tono e del metro. Il carme è indirizzato all'amico Foco, oppure il capo del partito popolare<ref>Masachia, ''Solone'', p. 338</ref>, ed ha tutto il tono di un'apologia politica del proprio operato da legislatore. Solone si difende dalle critiche di coloro che l'accusavano di debolezza per non aver saputo trarre profitto dal potere e instaurare la tirannide. Con profonda consapevolezza della propria superiorità morale e della propria grandezza, Solone afferma la nobiltà dei suoi intenti politici e la bontà della sua costituzione. Se egli ha risparmiato la patria, ha di fatto rinunciato alla tirannide e alla violenza, non vergognandosene. Nella prima parte Solone, alla maniera della persona loquens di Archiloco, riporta le dicerie dei suoi detrattori, parlando di sé stesso in terza persona.
{{Citazione|«Solone non è di mente profonda,<br />né uomo avveduto: le buone occasioni<br />che il dio gli offrì, lui non prese.<br />Circondata la preda lui guardò, ma non tirò<br />su la rete grande, avendo<br />perduto allo stesso tempo coraggio e senno.<br />Avrei<ref>ἥθελον imperfetto I persona singolare è l'apodosi irreale di una protasi sottintesa, si tratta di una correzione dello Xylander dai codici che riportano la III persona singolare</ref> voluto dominare, infatti,<br />prendendo ricchezze senza invidia,<br />comandando solo nella mia vita ad Atene;<br />per essere scuoiato per farne un
'''''Eunomia (il Buon Governo)'''''
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'''''Elegia alle Muse'''''
[[File:Everdingen, Caesar van - Four Muses and Pegasus on Parnassus - c. 1650.jpg|thumb|''Quattro Muse e [[Pegaso (mitologia)|Pegaso]] sul [[Parnaso]]'' di [[Caesar van Everdingen]] (1616/1617–1678), [[L'Aia]], olio su tela, circa 1650.]]
Fr. 13 West, in distici.
Si presume che l'elegia sia integra, è un susseguirsi di aforismi e sentenze in cui Solone delinea un quadro di ordinata convivenza, nella quale all'ideale competitivo e individualista dell'άρετή omerica si sostituisce un modello di convivenza civile, fondato sull'integrazione tra individuo e collettività. Il carme può essere considerato una sorta di testamento spirituale, o una summa pedagogica di Solone, in cui si riassumono le idee principali del legislatore: essere devoto agli amici, implacabile coi nemici, perseguire la ricchezza ma senza ingiustizia, seguendo il volere degli dei, affrontare il destino incerto con coraggio.
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L'andamento del discorso è alquanto disorganico, secondo il procedimento arcaico i pensieri non sono concatenati da un nesso consequenziale, ma accostati oppure contrapposti; tra la prima sezione del carme (vv. 7-32) e la seconda (vv. 33-76) esiste infatti una frattura concettuale abbastanza evidente, dal momento che l'idea di Zeus garante della Giustizia sembra accantonata a favore della concezione fatalistica, in cui il tema dominante è l'incapacità umana di padroneggiare il proprio destino, tema successivamente sviluppato nel concetto di "colpa e accecamento" nella tragedia classica. Questa contrapposizione costituisce un ponte tra le due parti dell'elegia, suggerendo l'idea di un contrasto tra il dio sereno e immobile e l'affannarsi inutile dell'uomo nel ricercare la ricchezza.
{{Citazione|Splendide figlie della Memoria e di Zeus olimpio<br />Muse della Pieria, ascoltate la preghiera.<br />Datemi la prosperità da parte degli dei beati, e di avere<br />da parte di tutti gli uomini sempre buona fama,<br />e così di essere dolce agli amici e amaro ai nemici,<br />visto con rispetto dai primi, con timore dagli altri.<br />Ricchezze desidero averne, ma essermele procurate ingiustamente<br />non lo voglio: in ogni caso, poi giustizia arriva.<br />La ricchezza che danno gli dei giunge all'uomo<br />salda dalle estreme basi fino alla cima;<br />quella invece che gli uomini ossequiano con la loro violenza<br />non viene secondo un ordine, ma controvoglia si sottomette<br />alle azioni ingiuste, e presto a essa si mescola la rovina.<br />Non durano infatti a lungo, per i mortali, i risultati della tracotanza,<br />ma
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I frammenti di [[Mimnermo]] dell'edizione West in greco sono qui '''''{{Cita web|http://www.poesialatina.it/_ns/Greek/testi/Mimnermus/Fragmenta.html| Mimnermus Fragmenta}}'''''
'''''L'aurea Afrodite'''''
Fr. 1 West in distici elegiaci, sinizesi al v. 1 χρυσέης, al v. 4 ἄνθεα, e al v. 8 προσορέων. Fonti: Giovanni Stobeo, π. Άφροδιτης IV, 20, 16 (p.
Questi versi costituiscono forse un'intera elegia, per altro apprezzata da Callimaco<ref>''Schol.'', Callimaco, fr. 1, 11 sg</ref>. Non apparteneva alla raccolta ''Nannò'', altrimenti Giovanni Stobeo che riporta il passo ne avrebbe indicato la raccolta di riferimento, e dunque essa è da considerarsi al gruppo di elegie simposiali dal carattere amoroso-nostalgico.riflessivo. L'elegia è un inno alla giovinezza, la fiorente stagione dell'amore, contrapposta alla triste e penosa vecchiaia, quattro versi sono dedicati ai piaceri della giovinezza concessi da Afrodite, dopo la demarcazione segnata dalla cesura trocaica al v. 5, altri quattro versi e mezzo sono dedicati alla vecchiaia e ai suoi mali; l'ultimo verso infine racchiude il sunto della fugace esistenza dell'uomo.
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noi simili a quelle per un attimo<br />
abbiamo diletto del fiore dell’età,<br />
ignorando degli dei il bene e il male
Ma le nere
l’una con il segno della grave vecchiaia<br />
e l’altra della morte. Fulmineo<br />
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E quando il suo tempo è dileguato<br />
è meglio la morte che la vita.|Trad. [[Salvatore Quasimodo]]|
ἡμεῖς δ’<ref>
ἔαρος, ὅτ’ αἶψ’ αὐγῇς αὔξεται ἠελίου,<br />
τοῖς ἴκελοι πήχυιον ἐπὶ χρόνον ἄνθεσιν ἥβης<br />
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ἡ μὲν ἔχουσα τέλος γήραος ἀργαλέου,<br />
ἡ δ’ ἑτέρη θανάτοιο• μίνυνθα δὲ γίγνεται ἥβης<br />
καρπός, ὅσον τ’ ἐπὶ γῆν κίδναται ἠέλιος<ref>
αὐτὰρ ἐπὴν δὴ τοῦτο τέλος παραμείψεται ὥρης,<br />
αὐτίκα δὴ τεθνάναι<ref>Alcuni studiosi propongono αὐτίκα τεθνάμεναι</ref> βέλτιον ἢ βίοτος•<br />
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Fr. 12 West, distici elegiaci, sinizesi al v. 7 χρυσέου - Fonte Athen, XI, 470a
L'episodio mitico appartiene alla raccolta di ''Nannò'', e si inserisce nel contesto di fusione di mito con le tematiche giovinezza-vecchiaia. Originale nella descrizione del fenomeno celeste non soltanto la raffinata coesistenza del naturale e del meraviglioso, dell'umano e del divino<ref>H. Fränkel, ''Poesia e filosofia'', p. 321</ref> ma anche la maniera amorosa, intimistica, con la quale è osservata, quasi come quotidiano umano, la fatica senza tregua del viaggio di un dio, Helios il Sole, nel perenne fluire dei giorni. Un compito monotono, sempre uguale, quello di far comparire il giorno e poi farlo tramontare, fatica fine a sé stessa, ma che conosce alla fine l'amorosa unione nel giaciglio
{{Citazione|Helios ebbe in sorte una perenne fatica:<br />per ogni giorno né a lui e né ai cavalli è concesso riposo,<br />quando l'Aurora dita di rosa<br />lascia l'Oceano e ascende al cielo.<br />E sull'onda lo porta l'amato giaciglio concavo, alato, opera di Efesto,<br />di oro prezioso, sul fiore dell'acqua;<br />lui mentre dorme beato, dalla terra delle Esperidi<br />a quella degli Etiopi, dove il carro veloce<br />va', i cavalli si fermano finché giunga<br />la mattutina Aurora. E qui sale sul carro il figlio di Iperione.|Traduzione libera}}
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Il testo integrale della silloge del ''Corpus Teognideum'' è qui: '''''{{Cita web|http://www.poesialatina.it/_ns/Greek/testi/Theognis/Elegiae.html| Theognis Elegiae}}'''''
Naturalmente non si può offrire la traduzione di tutti i 1389 versi, tuttavia ci si limiterà ad analizzare i passi più caratteristici dello stile e della poetica
'''''Il sigillo del poeta'''''
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VV. 19-26 dall'edizione di Williams, 1903 - distici elegiaci, sinizesi al v. 5 Μεγαρέως
Questi versi
Tuttavia c'è chi ha considerato spurio questo verso, perché Teognide, se avesse voluto davvero rendere autentica l'opera, avrebbe dovuto inserire il termine stesso del "sigillo", in modo che i suoi versi non sarebbero stati rubati o plagiati da altri poeti imitatori, che tuttavia qui non compare, secondo Welcker questo verso doveva in origine collocarsi alla fine dell'opera, come da tradizione, qui invece compare quasi poco dopo l'inizio del corpus.
▲Tuttavia c'è chi ha considerato spurio questo verso, perché Teognide, se avesse voluto davvero rendere autentica l'opera, avrebbe dovuto inserire il termine stesso del "sigillo", in modo che i suoi versi non sarebbero stati rubati o plagiati da altri poeti imitatori, che tuttavia qui non compare, secondo Welcker questo verso doveva in origine collocarsi alla fine dell'opera, come da tradizione, qui invece compare quasi poco dopo l'inizio del corpus.
{{Citazione|Cirno, da me che canto sia posto<br />un sigillo a questi versi, e mai<br />saranno rubati di nascosto, ed essendoci del buono<br />nessuno li muterà in peggio.<br />E ognuno dirà: «Di Teognide il Megarese sono questi versi,<br />famoso tra tutti gli uomini.»<br />Ma a tutti i cittadini di certo non possono piacere,<br />e ciò non deve stupire, o Polipaide, nemmeno<br />Zeus piace a tutti quando piove,<br />o quanto trattiene la pioggia.|Traduzione letterale}}
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Il passo si riferisce alle aspre lotte tra aristocratici e ceti emergenti della borghesia mercantile, che travagliarono la Grecia nel VI secolo a.C. La città di [[Megara Nisea]], patria di Teognide, è descritta come luogo di conquista di questi parvenu, che prima raccoglievano i frutti della campagna, e mercanteggiavano fuori le mura, e ora sono i nuovi governatori. Teognide verso costoro da buon aristocratico, come Solone ad Atene, è sprezzante e fustigatore, tuttavia come nel caso di Alceo per la lotta di potere a Mitilene, è ovviamente di parte, che dà la colpa di tutto alla parte avversa, per i problemi economici, sociali, politici, negli avversari vede solo la personificazione del male e della rovina, del desiderio del guadagno veloce e della ricchezza, i plebei vogliono sovvertire l'ordine quasi sacrale degli aristocratici, al potere per il favore degli dei, unici detentori della giustizia e del senso del buon governo, mentre gli altri sono solo distruttori assetati di potere e ricchezza ingiusta.
Cirno, il ragazzo amato dal poeta, di buona famiglia, definito con l'epiteto di epica tradizione "Polipaide" dal nome del padre, come nel caso di Meneziade per Patroclo di Menezio, è il destinatario dei consigli di Teognide, non dovrà mai essere amico dei plebei, farsi corrompere nei propri valori morali, ma fingere di essere d'
{{Citazione|Questa città, o Cirno, è ancora una città,<br />ma sono diversi gli abitanti, gente che prima<br />non conosceva il diritto né le leggi,<br />ma attorno ai fianchi logorava pelli di capra,<br />e fuori dalle mura, come i cervi, pascolava.<br />Ora sono loro i "buoni"<ref>Il termine ἀγαθός significato di valente, buono, aggettivo riferito in età arcaica ai nobili, agli aristocratici ritenuti i custodi della giustizia e del buon governo politico di una città; qui in Teognide si contrappone al κακός, ossia all'empio, al malvagio plebeo che essendosi arricchito, intende spodestare l'antico ordine politico aristocratico, colui che non conosce le leggi, ma le aggira, che non conosce il diritto, l'onestà, il valore, ma solo la sete di ricchezza e potere.</ref>, o Polipaide.<br />*<br />E quelli che prima erano i buoni, ora sono<br />ignobili. Chi può sopportare questo spettacolo?<br />Si ingannano l'un l'altro, tra loro si deridono,<br />nono conoscendo il bene e il male.<br />Di questi cittadini, non farti amico nessuno col cuore,<br />o Polipaide, per nessuna necessità,<br />ma a parole dimostra di essere amico a tutti,<br />ma non partecipare a nessuna faccenda seria<br />con nessuno. Conoscerai l'animo di questi miserabili:<br />come nessuna lealtà essi abbiano nelle loro azioni,<br />come amino la frode, l'inganno e il raggiro.<br />Sono uomini che ami più si salveranno.|Traduzione letterale}}
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{{Citazione|Ho udito, o Polipaide, la voce dell'uccello<br />dal grido acuto, che ai mortali viene<br />ad annunciare il tempo dell'aratura.<br />E mi ha fatto sobbalzare il cuore;<br />perché altri possiedono i miei campi fioriti<br />e non per me trascinano i muli<br />l'aratro ricurvo, a causa dell'esilio.|Traduzione letterale}}
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L'opera omnia di [[Senofane]] in greco, '''''{{Cita web|http://www.poesialatina.it/_ns/Greek/testi/Xenophanes/Fragmenta.html| Xenophanes Fragmenta}}'''''
'''''Il simposio'''''
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Fr. 2 West, in distici - Fonti Athen. X, 413f nach. 21 C 2
La revisione dei valori tradizionali da parte di Senofane investe anche il cardine della cultura arcaica, ossia l'ideale sportivo e aristocratico che vedeva nella gara atletica il momento decisivo, in cui i migliori si misurano tra loro per conseguire gloria e fama. A loro Senofane contrappone la figura del sapiente, che è il solo ad essere utile alla città, concezione ripresa in parte anche da Simonide. Le virtù atletiche volte a un'affermazione individualistica di successo e onore, e comunque effimere e precarie, vengono subordinate alle qualità interiori, grazie alle quali l'uomo procede sulla via della sapienza, poiché per Senofane l'allestimento dei giochi olimpici comportano di concreto soltanto sperpero di denaro pubblico per mantenere il vitto degli atleti.<br/>Qui si ha uno dei primi esempi di contrapposizione filosofica tra vita pratica e vita teoretica, tema
{{Citazione|Ma se uno conquista la vittoria<br />per la velocità dei piedi o nel pentatlon,<br />là dov'è il sacro recinto di Zeus,<br />presso le fonti del Pisa in Olimpia,<br />o nella lotta o per l'abilità nel doloroso pugilato,<br />o in quella terribile gara che chiamano "pancrazio",<br />più glorioso diventa agli occhi dei concittadini<br />e nei giochi ottiene il posto d'onore,<br />e il vitto a spese pubbliche della città e un dono<br />che per lui è un cimelio; ed anche vincendo<br />coi cavalli avrebbe tutti questi onori, eppure<br />non ne sarebbe degno come io lo sono.<br />Perché è meglio della forza di uomini<br />e di cavalli la nostra sapienza.<br />È davvero un'usanza irragionevole,<br />né è giusto preferire la forza al pregio della sapienza.<br />E poiché anche se c'è tra i cittadini un abile<br />pugile o qualcuno che eccelle nel pentatlon,<br />o nella lotta, o anche nella velocità dei piedi,<br />che è più onorata tra le prove di forza<br />che si fanno nelle gare degli uomini,<br />non per questo la città vive in un ordine migliore.<br />Ben poco diletto ne ha la città se qualcuno vince<br />una gara alle rive del Pisa:<br />non è così che le sue casse si impinguano.}}
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Fr. 8 West in distici - Fonti: Diogene Laerzio, IX, 18 sg., Apostol. 8, 42r (''Paroem.'' Gr.II 442, 15)
Qui Senofane ricorda la sua lunga carriera di poeta itinerante: sono 67 anni che va errando per la Grecia, quando iniziò erano già trascorsi 25 anni dalla nascita, dunque il poeta quando scrisse questa elegia aveva 92 anni. I 25 anni di Senofane coincidono con l'invasione della Ionia nel 545 a.C. circa da parte dei Persiani; Senofane dovette spostarsi in Sicilia, dove esercitò l'
{{Citazione|Già sono 67 anni che agitano<br />il mio pensiero, per la terra di Grecia;<br />dalla nascita furono 25 gli anni oltre questi<br />se riguardo a queste cose, io so parlare giusto.}}
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Qui Senofane polemizza non solo contro l'amoralità degli dei omerici, ma anche contro la rappresentazione tradizionale fisica della divinità a immagine e somiglianza dell'uomo. Senofane mette a nudo l'assurdità di un dio che soggiace alle condizioni della limitata vita umana, nascita, azione, tempo, morte, e che addirittura veste e parla come un uomo. L'infondatezza della religione antropomorfica è evidenziata nell'osservazione che l'immagine divina varia da popolazione a popolazione in base ai connotati fisici d'ogni gruppo etnico: gli dei degli Etiopi hanno il naso camuso e la veste nera, quelli dei Traci hanno occhi azzurri e capelli rossi. Il relativismo assume caratteri satirici e grotteschi, quando Senofane fa il paragone con degli animali che, se sapessero scrivere se fossero dotati di mani, disegnerebbero gli dei a loro immagine e somiglianza.
{{Citazione|Gli uomini dicono che sono generati<br />dagli dei, di avere vestimenti, struttura fisica,<br />e voce propria. Gli Etiopi dicono che i loro dei<br />sono camusi e neri, i Traci dicono di essere<br />stati generati da dei glauchi e fulvi.<br />*<br />Ma se i buoi, i cavalli, i leoni,<br />avessero mani come gli uomini in grado di fare<br />queste cose, i cavalli disegnerebbero dei simili<br />ai cavalli, i
'''''Il dio di Senofane'''''
Fr. 23 West, in esametri dattilici - Fonti: a Clemente Alessandrino, ''Strom.'', 5, 109, b Sesto Empirico, 9, 144, c-d Aristotele, ''Fisica'', 1 p.
Il frammento è tratto dal poema in esametri ''Della natura'' di Senofane, in cui agli dei antropomorfi oppone la sua concezione universale di dio, un dio unico, sommo, in nulla simile agli uomini e alle bestie nell'aspetto e nel pensiero. Un'unità che proprio perché differisce dall'uomo, pensa e sente. Il dio per Senofane muove ogni cosa senza fatica e pensiero, è fermo in sé stesso e immobile, non è sottoposto al ciclo della natura e della trasformazione delle cose viventi sulla Terra.
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Tratto dalla raccolta ''Parodie'', come dice Ateneo nel poema ''I deipnosofisti'', Senofane riprende il tema simposiale, del focolare caldo, del distendersi sul triclinio, dell'allietarsi con del vino dopo la cena, mangiando ceci, e conversando con gli amici e gli ospiti. Nella regola di buona creanza del simposio, ci si informa sul nome e sulla provenienza degli ospiti stranieri, alcuni hanno visto il riferimento al periodo in cui la Ionia con Colofone fu assoggettata ai Persiani; tale scena della domanda sulla provenienza è frequente anche in Omero e Alceo.
{{Citazione|Presso il fuoco conviene dire tali cose,<br />nella stagione invernale, disteso<br />su un morbido divano, quando
'''''Contro Pitagora e la metempsicosi'''''
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{{Citazione|Ora di nuovo passo a un altro discorso:<br />indicherò la via:<br />*<br />Dicono che una volta un cagnolino<br />veniva colpito, essendo presente [Piitagora],<br />egli provò compassione e pronunciò queste parole:<br />«Fermati, non bastonarlo! In verità è l'anima<br />di un mio amico uomo: l'ho riconosciuto<br />sentendo la sua voce.»}}
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L'opera
'''''Soldato e poeta'''''
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Fr. 1 West in distici elegiaci, sinizesi al v. 2 Μουσέων - Fonte: Athen. XIV, 627c, Plutarco, ''Phoc.'', 7, 6
Si tratta solo di due versi, tuttavia grande è l'importanza in quanto è la prima volta in cui un poeta parla apertamente di sé stesso, presentandosi con nome e luogo di provenienza. Omero non cita sé stesso, e poco attendibili risultano i "sigilli" degli ''Inni omerici'', non attribuiti al poeta (ma lo stesso Omero non si sa se fosse mai esistito); Esiodo rivela pochi autoschediasmi nelle due opere che ci sono giunte, mentre Archiloco in soli due versi si presenta completamente, elencando i suoi pregi e i suoi difetti. Si presenta come servitore del dio Ares e delle Muse, ossia soldato e poeta. Ateneo nel citarlo nei ''
Qui si presenta la traduzione letterale, e quella libera di Achille Giulio Danesi (1886) per la serie ''Frammenti'':
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Fr. 5 West, distici elegiaci. Fonti: Aristofane, ''Pace'', 1296; Sesto Empirico, 3, 216; Plutarco, ''Lacon. inst.'' 34, 239 b; Strabone, X, 457
In un combattimento contro la tribù dei Sai, Archiloco per salvarsi la vita dovette abbandonare lo scudo, motivo di vergogna e disonore, e lo stesso poeta confessa nel verso la disgrazia, l'arma incensurabile perduta per sempre, rubata da un soldato dei Sai, ma se non avesse perduto lo scudo, non si sarebbe salvato la vita. Archiloco rifiutando l'importanza quasi sacrale dello scudo, va contro il pensiero di Omero e di Tirteo, la vita è il bene supremo anche per un valoroso che viene disonorato. Infatti alla fine il poeta si consola dicendo che potrà benissimo farsi fabbricare un nuovo scudo, anche più bello di quello perso; il tono appare triste, nonostante l'atteggiamento spavaldo del poeta, e forse si è ipotizzato che Archiloco rispose a delle critiche mossegli dagli altri. Tali critiche gli verranno mosse anche dopo la morte, dal commentatore Sesto Empirico che gli dà del vigliacco<ref>Sesto Empirico, ''Pyrrhon. hypot.'' 3, 216</ref>, non valutando l'espressione del
Plutarco riporta l'aneddoto che gli Spartani cacciarono Archiloco dalla città proprio perché fautore di questa nuova concezione di tenere cara la vita piuttosto che l'onore, e dunque lo scudo, in battaglia; Archiloco infatti in vari altri frammenti dimostra di schernire e di rifiutare molte concezioni del buon costume arcaico greco; tuttavia è falso che secondo i critici posteriori, fu un vile e gozzovigliatore, perché morì in battaglia a Paro, contro gli abitanti di Nasso, uccisi da un tal Calonda.
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{{citazione|Si fa bello uno dei Sai dello scudo che vicino a un cespuglio<br />
lasciai, ed era non disonoratoǃ,
però mi son salvato. Chi se ne importa di quello scudo?<br />
Al diavoloǃ Presto ne comprerò uno non peggiore. |Trad. A. D'Andria|
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Fr. 19 West, trimetri giambici, sinizesi al v. 1 Γύγεω e al v.3 θεῶν ed ἐρέω - Fonti: Aristotele, ''Retorica'', 1418b, Plutarco, ''De tranquillitate animi'', 10, 470c
Aristotele nel citare
{{Citazione|«Non mi sta a cuore la fortuna di Gige ricco d'oro<br />e non mi prese mai invidia, e né sono<br />geloso di opere divine, né io desidero grande potere; infatti ciò è lontano dai miei occhi.»|Versione libera di Danesi|Traduzione letterale.}}
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Fr. 119 West - Fonti: Diodoro Siculo, ''Razioni'', 33, 17; Galen. ''In Hippocr. artic.'', 3
Il metro è un tetrametro trocaico catalettico, detto "archilocheo", si ammette lo spondeo e l'anapesto nelle sedi pari del primo, secondo e terzo metron; il tribraco in
Il poeta tratteggia il suo modello di comandante dell'esercito, non un uomo magari alto, di bell'aspetto, che cammina a gambe larghe, e magari incapace di condurre gli uomini alla guerra perché troppo vanaglorioso; piuttosto preferisce un uomo abile e astuto, benché brutto, piccolo, ma ben piantato sui piedi. Si tratterebbe della prima caricatura che diverrà la maschera teatrale del soldato fanfarone, ripreso nel ''[[Miles gloriosus]]'' di [[Plauto]], il soldato bell'imbusto che si gloria di imprese quasi mitiche che non ha mai compiuto, per essere adorato dalla comunità e ammirato dalle ragazze, ma che alla fine si rivela solo un vigliacco pusillanime.
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rialzati, resisti contro chi ti tratta male, opponi<br />
il petto, piazzato accanto alle tane dei nemici<br />
con
o, se perdi, non crollare, messoti a lutto in casa,<br />
ma rallegrati per i beni e per i mali soffri<br />
non
θυμέ, θύμ᾽ ἀμηχάνοισι κήδεσιν κυκώμενε,<br />
ἄνα δέ, δυσμενέων δ᾽ ἀλέξευ προσβαλὼν ἐναντίον<br />
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'''''[[Epodo di Colonia]]'''''
Fr. 196a West, epodo formato da trimetro giambico + asinarteto (hemiepes maschile + dimetro giambico acataletto) - Fonti: ''P. Col.'' 7511 edd. R. Merkelbach-M.L.West, 1974, pp.
Nel papiro l'hemiepes e il dimetro sono posti su uno stesso stichio, come un vero e proprio asinarteto, ma la presenza dello iato ai vv.4-55 e 25-26, e dalla silla brevis in longo (vv.1,10,31,49) alla fine del primo elemento induce a preferire la disposizione per strofe tristiche, privilegiata da alcuni editori moderni (Page, West). Probabilmente la disposizione dell'asinarteto su una sola linea rispondesse nella prassi editoriale degli antichi alessandrini all'esigenza di risparmiare spazio nella messa in colonna. Ci sono fenomeni di allungamento della vocale dinanzi a sibilante, liquida e nasale e ϝ, che sul piano fonetico possono valere come consonanti doppie.
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Papiro di Ossirinco 69, 4708, distici elegiaci. – Testo: ''''[http://oro.open.ac.uk/40720/1/telephus%20on%20paros%20final%20version.pdf/ Telephus on Paros (P. Oxy. 4708)] ''''
Nel 2004 è stato pubblicato un frammento elegiaco che l'editore [[Dirk Obbink]] ha attribuito ad Archiloco, sulla base di un'analisi paleografica che ha mostrato come il testo facesse parte di un rotolo di papiro con altri frammenti archilochei. Si è pensato dunque che il papiro di Ossirinco, rinvenuto nel 1897, contenesse una copia delle ''Elegie'' di Archiloco in distici. In tutto sono pienamente leggibili 25 versi, con le dovute integrazioni filologiche. Nella prima parte (vv.1-14) si narra un episodio dei prodromi della [[guerra di Troia]], quando l'esercito di [[Agamennone]] sbarcò per errore a Misia, presso l'Asia Minore, e credendo che la città di Troia fosse Teutrania, l'attaccò; l'attacco però andò a vuoto, l'esercito fu respinto da Telefo, ferito però da Achille. Il seguito della vicenda è noto per le citazioni in Eschilo ed Euripide: un oracolo aveva predetto che la ferita di Telefo sarebbe stata guarita solo dalla stessa arma che aveva inferto il colpo; Telefo si recò ad Argo, prese in ostaggio il piccolo Oreste, figlio di Agamennone, e in cambio della guarigione avvenuta, Telefo si impegnò in seguito a guidare gli Achei a Troia.
Nel carme Archiloco sottolinea che per volere del destino, anche in più valenti guerrieri e gli eroi figli di dei, durante la guerra possono essere feriti. L'alternanza tra vittoria e sconfitta in battaglia è un tema caro al soldato poeta Archiloco, l'io parlante propone al pubblico un'identificazione con i Greci respinti, sostenendo l'inevitabilità della fuga in un'azione disperata; non si tratta di viltà ma di pragmatismo e di tener cara la pelle: i Greci furono respinti da Telefo, ma come si sa, con il loro valore in una seconda occasione riusciranno a conquistare Troia. Al v.15 il tono cambia, l'accento si sposta sul valore dei Misi vittoriosi, è
{{Citazione|...per la possente necessità che viene da un dio,<br />non dobbiamo chiamarla debolezza o viltà:<br />abbiamo voluto evitare dolori crudeli, c'è anche il momento della fuga!<br />Un giorno anche da solo Telefo l'Arcade<br />gettò lo sgomento sopra un grande esercito acheo, e quelli fuggirono,<br />i valorosi, tanto potente fu il fato divino che li spaurò<br />benché fossero gagliardi guerrieri. Il Caico dalla bella corrente<br />si riempì di cadaveri, e la pianura di Misia.<br />Verso la riva del mare dal forte riflusso<br />massacrati dalle mani di quell'implacabile eroe<br />confusamente fuggirono gli Achei dai begli schinieri<br />e lieti risalirono sulle navi dal veloce cammino,<br />figli e fratelli di immortali, che Agamennone<br />aveva condotto a Troia per fare la guerra.<br />Allora, sbagliando la rotta giunsero alla riva<br />e assalirono l'amabile città di Teutrante<br />dove, spirando l'ardore guerriero al pari dei loro cavalli,<br />soffrirono molto per un abbaglio dell'anima:<br />credevano di essere presso le mura di Troia dalle alte porte,<br />ma calpestavano il suolo della Misia portatrice di messi.<br />Eracle li affrontò, gridando verso il coraggioso figliolo,<br />difensore spietato nella mischia selvaggia,<br />Telefo, che diffuse tra i Danai una terribile fuga<br />lottando in prima fila, grato a suo padre.|Traduzione di Giulio Guidorizzi}}
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Il testo dei frammenti in versione integrale: '''''{{Cita web|http://www.poesialatina.it/_ns/Greek/testi/Hipponax/Fragmenta.html| Hipponax Fragmenta}}'''''
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Fr. 19 West, trimetri giambici ipponattei
I due versi sono rivolti contro Bupalo, il nemico che il poeta nomina in vari altri frammenti (1,84,95,95a, 120 West). Alcuni identificarono il personaggio con lo scultore Bupalo figlio di Archermo di Chio, vissuto a Clazomene, che avrebbe realizzato un ritratto imbruttito di Ipponatte, insieme all'amico Atenide. Ipponatte si vendicò con giambi virulenti, e i due scultori si impiccarono per la vergogna; infatti questi due versi hanno un piglio
{{Citazione|Quale tagliatrice di ombelichi, o maledetto da Zeus,<br />ti allevò, e ti deterse mentre sgambettavi?|Traduzione letterale}}
'''''
Fr. 42a West, trimetri scazonti, il v. 1 è un trimetro giambico normale - Fonti: Eliodoro, ''ap.'' Pisciano III p. 428 Keil (vv.1-2); Tzez. in Lycophr. ''Alex.'' 855 (vv.1,4.6); Plutarco, ''Absurd. Stoic. opin.'' 6, 1058 d-e (vv.2-4)▼
▲Fr. 42a West, trimetri scazonti, il v. 1 è un trimetro giambico normale - Fonti: Eliodoro, ''ap.'' Pisciano III p.
Si tratta di tre frammenti che componevano un unico carme della preghiera al dio Ermes, dio del guadagno, dei commercianti, e dei ladri. Ipponatte si presenta come un miserabile in estrema povertà, che trema dal freddo, batte i denti, e ha i geloni ai piedi, e chiede babbucce e una tunica, oltre al denaro. Appare per la prima volta il tema del canto del pitocco, ripresa da Aristofane negli ''Uccelli'' (v. 904).
[[File:Theatre slave Louvre CA7249.jpg|thumb|
{{citazione|
ti scongiuro, ché veramente tremo
dai
e sandaletti e pantofoline e dei soldi:<br />
Ἑρμηῆ, φιλ'Ἑρμηῆ, Μαιαδεῦ, Κυλλήνιε,<br />
ἐπεύχομαι τοι, κάρτα γάρ κακῶς ριγῶ<br />
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στατῆρας ἑξήκοντα τοὐτέρου τοίχου|lingua=grc}}
La continuazione della preghiera:
{{Citazione|
|Traduzione di Francesco Sisti}}
'''''[[Preghiera a Pluto]]'''''
[[File:Eirene Ploutos Glyptothek Munich 219 n4.jpg|thumb|upright=1.3|Statua di [[Eirene]] con Pluto del [[370 a.C.]] in una copia romana]]
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{{citazione|Da me Pluto - però è veramente ciecoǃ -<br />
non venne mai a casa a
ti regalo trenta mine d'argento<br />
e molto altro. Eh, sì, è veramente un vigliaccoǃ |Trad. A. D'Andria|
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καὶ πόλλ'ἔτ'άλλα". Δείλαιος γὰρ τὰς φρένας.|lingua=grc}}
Il tetrastico, sempre in [[scazonte|scazonti]], è, più che altro, una sconsolata e canagliesca constatazione di una preghiera fallita al dio [[Pluto (mitologia)|Pluto]], patrono della
'''''Epodo di Strasburgo'''''
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{{Citazione|Per i miei mali renderò la mia anima gemente,<br />se non mi mandi di corsa un medimno<br />d'orzo, che con farina me ne faccia<br />un ciceone, da bere per mendicare la miseria.<br />*<br />A me, o Musa, la prole di Eurimedonte, quella Cariddi che ingoia il mare,<br />quel coltello nel ventre che divora senza misura,<br />canta,<br />perché un voto funesto sorte funesta patisca,<br />per volontà civica presso la riva del mare infecondo.<br />*<br />Uno di loro infatti, con calma e senza pause,<br />giorno dopo giorno tonno e salsetta<br />divorando come un eunuco di Lampsaco<br />si mangiò tutto il patrimonio; e così si trovò a dovere zappare<br />e pane e orzo, roba da schiavi.<br />*<br />Non mangia né pernici né lepri,>br<non immerge le frittelle nel sesami,<br />né intinge le focacce nel miele.|Traduzione di Antonio Aloni}}
===
Una trentina di frammenti sono pervenuti, per un totale di circa 200 versi, relativi alla produzione in giambi; il
Il giambo di [[Semonide di Amorgo]] è privo di elementi personali, come quello di Archiloco e Ipponatte, inoltre la tensione stilistica rispetto a questi è attenuata, manca l'invettiva personale, ma semplicemente la narrazione è un catalogo di tipi burleschi.
Fr. 7 West, trimetri giambici - Fonti: Giovanni Stobeo - Testo: '''''{{Cita web|http://www.poesialatina.it/_ns/Greek/testi/Semonides/Fragmenta.html| Semonides Fragmenta}}'''''
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{{Citazione|L'indole della donna, il dio la fece<br />diversa. Una deriva dalla scrofa<br />setosa; la sua casa è una lordura,<br />un caos, la roba rotola per terra.<br />Lei non si lava; veste panni sozzi<br />e stravaccata nel letame ingrassa.<br />Un'altra il dio la fece dalla volpe<br />matricolata: è quella che sa tutto;<br />non c'è male, né bene che le sfugga.<br />Dice "sì" bene al bene, e male al male,<br />ma si adegua agli eventi e si trasmuta.<br />Come sua madre è quella che deriva<br />dalla cagna: curiosa di sentire<br />e di sapere, vagola, perlustra;<br />anche se non c'è un'anima, si sgola,<br />e non la calmi né con le minacce<br />né se ti arrabbi e le fracassi i denti<br />con un sasso,<br />né a furia di blandizie,<br />neppure stando in casa di altri: insiste<br />quell'eterno latrato senza scopo.<br />Una gli dei la fecero di terra<br />e la diedero all'uomo<ref>Come l'esempio di Pandora plasmata da Zeus e data ad Epimeteo cfr. ''Teogonia'' v. 223</ref>: minorata,<br />non ha idea né di bene né di male.<br />Una cosa lei sa: mangiare. E basta.<br />Se il dio manda un dannato inverno, bubbola,<br />ma lo sgabello al fuoco non l'accosta.<br />Viene dal mare un'altra, ha due nature<br />opposte: un giorno ride, tutta allegra,<br />sì che a vederla in casa uno l'ammira<br />«non c'è al mondo una donna più simpatica,<br />non c'è donna migliore.» Un altro giorno<br />non la sopporti neppure a vederla<br />o ad andarle vicino: fa la pazza,<br />e a chi s'accosta, guai! Pare la cagna<br />coi cuccioli, implacabile: scoraggia<br />nemici e amici alla stessa maniera.<br />Come il mare che sta sovente calmo,<br />non fa danno e rallegra i marinai<br />nell'estate, e sovente un fragore<br />di cavalloni s'agita e s'infuria.<br />Tal umore di una donna simile:<br />anche il mare ha carattere cangiante.<br />Una viene dall'asina, paziente<br />alle botte. Costretta e strapazzata,<br />il lavoro lo tollera. Sennò<br />mangia, rincantucciata, accanto al fuoco;<br />avanti notte, avanti giorno, mangia.<br />Così, come si prende per amante<br />chiunque venga per fare l'amore.<br />Genia funesta quella della gatta:<br />non ha nulla di bello o di piacevole,<br />non ha nessuna grazia, nessun fascino.<br />Ninfomane furiosa, sta con uno<br />e finisce col dargli il voltastomaco.<br />E rubacchia ai vicini, e spesso ingoia<br />le offerte prima di sacrificarle.<br />Nasce dalla cavalla raffinata,<br />rutta criniera, un'altra. Ed ecco, schiva<br />i lavori servili e la fatica<br />la macina, lo staccio, l'immondizia<br />e la cucina - teme la fuliggine -<br />Anche all'amore si piega per obbligo.<br />Si lava tutto il giorno la sporcizia,<br />due, tre volte, si trucca, si profuma.<br />Sempre pettinatissima la chioma<br />fonda, fluente, ombreggiata di fiori.<br />Una simile donne è uno spettacolo<br />bello per gli altri: per lo sposo un guaio.<br />A meno che non sia principe o re,<br />che di simili cose si compiaccia.<br />La prole della scimmia: è questo il guaio<br />più grave che dal dio fu dato agli uomini.<br />Bruttezza oscena: va per la città<br />una tal donna e fa ridere tutti.<br />È senza collo, si muove a fatica,<br />niente natiche, tutta rinsecchita.<br />Povero chi l'abbraccia, un mostro simile.<br />Ma la sa lunga, ha i modi della scimmia.<br />La gente la deride? Se ne infischia.<br />Certo bene non fa: non mira ad altro<br />né pensa ad un altro tutta la giornata<br />che a far del male e a farne più che può.<br />Una viene dall'ape: fortunato<br />chi se la prende. È immune da censure<br />lei sola: è fonte di prosperità;<br />invecchia col marito in un amore<br />mutuo; è madre di figli illustri e belli.<br />E si distingue fra tutte le donne,<br />circonfusa d'un fascino divino.<br />Non le piace di stare con le amiche<br />se l'argomento dei discorsi è il sesso.<br />Fra le donne che il dio elargisce agli uomini<br />ecco qui le più sagge, le migliori [...]}}
=== Saffo ===
Il testo integrale dell'edizione di Voigt per i frammenti di [[Saffo]] e Alceo: '''''{{Cita web|http://www.poesialatina.it/_ns/Greek/testi/Sappho/Fragmenta.html| Sappho Fragmenta}}'''''
'''''[[Inno ad Afrodite (Saffo)|Ode ad Afrodite]]'''''
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[[Ippolito Pindemonte]], nella sua mirabile traduzione<ref>In "Giornale de' letterati", Tomo XLII (1781), Anno MDCCLXXXI, pp. 257-258.</ref>, è riuscito a cogliere e a rappresentare lo stato d'animo che la poetessa ha trasfuso nell'[[ode]], mantenendo al contempo la potenza della passione e la soavità del tono poetico.
{{Citazione|Afrodite eterna, in variopinto soglio,<br />Di Zeus fìglia, artefice d'inganni,<br />O Augusta, il cor deh tu mi serba spoglio,<br />Di noie e affanni.<br /><br />E traggi or
Una traduzione più letterale e moderna:
{{Citazione|O Afrodite, dal trono adorno, immortale<br />figlia di Zeus, che tessi inganni, ti prego:<br />non piegarmi, o signora, con tormenti<br />e affanni il cuore.<br /><br />Vieni qui, come altre volte,<br />udendo la mia voce da lontano,<br />tu mi esaudisti; e lasciata la casa d'oro<br />del padre venisti.<br /><br />Aggiogato il carro, belli e veloci<br />passeri ti conducevano intorno<br />la terra bruna, con battito fitto di ali,<br />dal cielo attraverso l'aere.<br /><br />E presto quelli giunsero. Tu beata<br />sorridevi nel tuo volto immortale,<br />e mi chiedevi del mio soffrire,<br />perché di nuovo ti invocavo,<br /><br />e cosa mai io desiderassi, che accadesse<br />al mio animo folle:<br />«Chi di nuovo io devo persuadere a rispondere al tuo amore?<br />Chi ti offende, Saffo? Se fugge, presto
L'inno, composizione in onore di una divinità, recitata davanti alla sua statua in quanto considerata sua incarnazione terrena, è da dividersi in tre parti: la prima parte, ''epìklesis'', nella quale la poetessa invoca la divinità ed esprime le sue principali invocazioni utilizzando l'imperativo e forme esortative; la seconda parte, ''omphalòs'', la parte narrativa dell'inno, in cui la divinità viene presentata nel contesto di un'azione della quale è protagonista, di solito di carattere mitico; la terza parte, ''euchè'', la preghiera vera e propria, la cui metrica è simile alla epiclesi.
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'''''Tormento d'amore, ovvero [[Ode della gelosia]]'''''
Fr. 31 Voigt, strofe saffica - Fonti: pseudo-Longino, ''Del sublime'', 10, 1,
Forse è l'ode d'amore più famosa dell'antichità, citata già nel I secolo d.C. dall'anonimo autore del trattatello ''Del sublime'', che la annovera tra i massimi stili che provocano questo sentimento nel lettore. Il componimento non è un epitalamio, benché la critica abbia cercato di trovarvi un collegamento, e dunque si è pensato all'amore omosessuale di Saffo per una fanciulla del tiaso: sente amore per lei, descrive lo sconvolgimento psico-fisico che la presenza e il desiderio di lei le scatenano, prova dolore per la situazione che già all'inizio si profila, in quanto la ragazza un giorno dovrà lasciare il tiaso di Lesbo per andare in sposa. Il carme vive della polarità tra assenza-presenza, contatto-distanza; riflette con forza la tensione del distacco, riferendo all'uomo che sta seduto vicino di lei, e la guarda mentre "amorosamente sorride".<br />La sofferenza d'amore è psicofisica, soprattutto fisica, una delle prime poesie in cui appare questo tema, la descrizione minuta delle sensazioni provate: stordimento, ansia, sudore, impossibilità di parlare, la pelle che brucia, sconvolgimenti che sembrano farla svenire. L'ode non è citata tutta dall'autore ''Del sublime'', e quindi si pensa che dopo la descrizione prorompente dei sentimenti provati per il distacco, ne segua una più pacata.
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φαίνομ’ ἔμ᾽ αὔτᾳ•<br />
<br />
ἀλλὰ πὰν τόλματον, ἐπεί κ[†]<ref>Molte le proposte di integrazione di quella che, probabilmente, era l'ultima strofe, in cui Saffo si rassegnava al suo amore
'''''Plenilunio di stelle'''''
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. . . . . ]ι.|lingua=grc}}
Secondo [[Erodoto]]<ref>II 135.</ref>, Carasso di [[Mitilene]], figlio di Scamandronimo e fratello (più anziano) di Saffo<ref>Cfr. T. 252-254 V.</ref>, comprò la famosa cortigiana tracia [[Rodopi (fiaba)|Rodopi]], giunta a [[Naucrati]]: i pagamenti costarono a Carasso una fortuna e alla sua famiglia notevole imbarazzo. Saffo, per riportare il fratello al pudore perduto, non mancò di deplorare questo evento, come si nota da questa poesia in strofe saffiche, accusando nel contempo di circonvenzione Rodopi<ref>Che Saffo, nel fr. 15b V., 9-12, chiama Dorica, forse con il suo vero nome.</ref>, colpevole di aver ingannato un onesto commerciante di vino di [[Lesbo]].<br />
Il componimento è, di fatto, un propemptico, un canto augurale con un'invocazione a [[Cipride]], la vera ''patrona virgo'' di Saffo e alle [[Nereidi]], particolarmente venerate a Lesbo: due divinità, dunque, lesbie, ma anche tipicamente femminili, alle quali la poetessa si rivolge per riportare sano e salvo Carasso, anche a livello morale. Questo è il senso delle ultime due strofe, assai mutile nel papiro, in cui, probabilmente, la poetessa alludeva al biasimo in cui Carasso era incorso non solo in famiglia, ma anche a Mitilene. Anzi, è probabile che con l'invocazione finale a Cipride la poesia si chiudesse, secondo il consueto modulo saffico della ''Ringkomposition''.
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πεσδομ]άχεντας.|lingua=grc}}
Saffo, secondo una composizione tipica della lirica arcaica (il cosiddetto ''[[Priamel]]'')<ref>Tipica della poesia gnomica.</ref>, enuncia una opinione di tipo generale, ossia quale possa essere la cosa più
'''''Tu morta giacerai'''''
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Fr. 55 Voigt, asclepiadei maggiori - Fonti: Plutarco, ''Praec. coniug.'' 48. 146; Clemente Alessandrino, II, 8, 72
Plutarco riferisce che il carme era dedicato a una donna ricca e ignorante, vanagloriosa; Saffo le dice che quando morirà, nessuno si ricorderà di lei, perché non coglie le rose della Pieria, non ama le Muse e la poesia, e sarà un'anonima ombra oscura tra i morti nell'Ade. Saffo dunque vede dopo la morte una possibilità di riscatto per le anime, in contrapposizione all'immaginario comune del vortice di anime
{{Citazione|Quando sarai morta giacerai, né più<br />si ricorderanno di te, mai più per sempre:<br />non conosci le rose della Pieria.<br />Oscura invece ti aggirerai anche nelle case di Ades<br />aleggiando tra i morti neri|Traduzione di Giulio Guidorizzi}}
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FR. 96 Voigt, strofa monostica, composta da solo verso trimembre (cretico gliconeo + gliconeo + falecio)
Saffo si rivolge ad Atties, ragazza del tiaso. Arignota era una ragazza che frequentò il tiaso di Lesbo, ora è a Sardi, sicuramente sposa di un facoltoso, e dalla Lidia penserà spesso, come Saffo dice, a Lesbo e alla sua maestra. Ritorna dunque attraverso il ricordo, il gruppo dei momenti felici passati insieme nel tiaso; anche gli elementi naturali, come la rugiada, i fiori, sono da ricollegare al tiaso, in quanto facevano parte del corredo femminile
{{Citazione|Da Sardi, avendo spesso l'animo qui rivolto,<br />ricordando come vivevamo insieme, simile<br />alle dee, che ben si distingue,<br />si considerava Arignota, e godeva<br />molto del tuo canto.<br /><br />Tra le donne di Lidia ora lei spicca<br />come la luna dalle dita di rosa,<br />quando il sole è tramontato, vincendo tutte le stelle.<br /><br />E la luce si posa sul mare salato,<br />e sui campi pieni di fiori, e la bella rugiada<br />è sparsa: sono germogliate le rose<br />e i cerfogli teneri e il melito fiorito[...]<br />Molto si aggira, ricordandosi<br />della dolce Attis con amoroso desiderio.}}
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Fr. 98 a-b Voigt, strofe monostica (2 gliconei + cretico gliconeo)
Il frammento a Voigt è troncato all'inizio, e non si capisce il
Nel passo, Saffo di riferisce alla figlia Cleide che vuole una mitra di Lidia per adornare i capelli, anche se Saffo replica che sua nonna, sempre di nome Cleide, si accontentava di portare un nastro di porpora, che al suo tempo era un grande ornamento, soprattutto per le ragazze bionde. Ora che la figlia vuole la mitra, Saffo dichiara che non sa come esaudirla, perché Pittaco di Mitilene ha proibito di far venire ornamenti così lussuosi dalla Lidia, e dunque Cleide potrà accontentarsi della coroncina di fiori.
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Frr. 47, 130, 48, 102 Voigt - I e III sono pentametri eolici, il II e IV dimetri giambici
Nella concezione di Saffo l'amore appare come una forte passione inevitabile, come un'esperienza positiva, psicologica che totalizza l'innamorato, ponendola in conflitto con sé stesso. I versi dedicati all'amore possiedono per questo un timbro drammatico, ma non dal piglio
{{Citazione|Squassa Eros il mio animo<br />, come il vento sui monti che investe le querce.<br /><br />Eros che scioglie le membra mi scuote<br />nuovamente:<br />dolceamara invincibile belva[...]<br />Attis, ora rifiuti<br />di pensare a me<br />e voli via, da Andromeda.<br /><br />Sei giunta, ti bramavo,<br />hai dato ristoro alla mia anima<br />bruciante di desiderio.<br /><br />Dolce madre, non posso più tessere la tela<br />domata nel cuore, dall'amore di un giovane:<br />colpa della soave Afrodite|Traduzione di Giulio Guidorizzi}}
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Ideo, e apparve, rapido nunzio<br />
(''lacuna'')<br />
e dal resto dell'Asia quest'inconsumabile
"Ettore e i suoi compagni scortano la occhi splendenti,<br />
da Tebe e dalla sacra Plakia dall'acque perenni,<br />
la dolce Andromaca, con le navi, sul salso
e molti bracciali d'oro, e vesti multicolori<br />
e belle porpore e troni e fregi multiformi<br />
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Subito le donne d'Ilio ai carri preziosi, ampie ruote,<br />
aggiogavan le mule e saliva tutta la folla<br />
di donne e insieme di vergini dall'agili
e, un po' discoste, le figlie di Priamo pure partivan;<br />
ma gli uomini aggiogavano cavalli ai lor carri<br />
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π[άντ]ες ἠίθεοι• μεγάλω[σ]τι δ᾽ [^ – ^ –]<br />
δ[ίφροις] ἀνίοχοι φ[ ^ ^ – ^ ^ – ^ –<br />
π[^ ^ –]ξαλο[ν. . . . . . . . . . . . . . .<br />
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .<br />
[. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ἴ]κελοι θέοι[ς<br />
[. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ] ἄγνον ἀόλ[λεες<br />
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Il canto, in distici di [[pentametri eolici]] ([[Gliconeo|gliconei]] con doppio inserto dattilico), forse faceva parte di un [[epitalamio]], come indicherebbero il tema ed il metro.
Esso si riferisce ad un argomento inusuale e, a quanto sappiamo, trattato solo da
'''''La vecchiaia'''''
Tetrametri trocaici "a maiore" - Fonti Papiro di Ossirinco 1787 edito da M. Gronewald-R.W. dANIEL, 2004, PP.
Anche Saffo, come Mimnermo e
[[File:Sappho-and-phaon.jpg|thumb|
Il carme è stato ricostruito da un Papiro di Ossirinco, e da un papiro di Colonia del III secolo a.C., che è il più antico papiro contenente poesie di Saffo.
{{Citazione|Praticate, o fanciulle, i bei doni delle Muse<br />dal grembo di viola e la lira melodiosa e sonora:<br /><br />a me già la vecchiaia ha ghermito il corpo, un tempo<br />delicato, e le chiome da nere sono ormai bianche:<br /><br />il mio animo è oppresso e non mi reggono più le gambe,<br />che un tempo erano leggere alla danza, come cerbiatti.<br />Io spesso lamento questo stato: ma cosa potrei fare?<br />Non è possibile all'essere umano sfuggire alla vecchiaia.<br /><br />E infatti si narra che un tempo l'Aurora dalle braccia di rosa<br />per amore rapì Titono e lo portò ai confini del mondo,<br /><br />lui che era allora giovane e bello, ma tuttavia con il tempo<br />la canuta vecchiaia lo colse, benché avesse una sposa immortale|Traduzione di Giulio Guidorizzi}}
===
I testi in greco, in versione integrale, dell'edizione Voigt: '''''{{Cita web|http://www.poesialatina.it/_ns/Greek/testi/Alcaeus/Fragmenta.html| Alcaeus Fragmenta}}'''''
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Dell'inno resta solo la I strofe in endecasillabo saffico - Fr. 308 Voigt, Fonti: Hephaest. XIV, 1
Dallo scolio del filologo Efestione, si sa che l'inno era il carme del II libro degli ''Inni'' agli dei, e di esso si conserva la riduzione in prosa dello stesso. Altri inni del libro erano per Dioniso, Apollo, i Dioscuri, e pare che Orazio si ispirò ad essi, come nel carme I dove canta le lodi di Mercurio (Ermes)<ref>Porfirione, ''Ad Hor. Carm'', 1, 10, 9</ref> La formula è convenzionale, il saluto del poeta e la riverenza al dio,
{{Citazione|
'''''Allegoria della nave'''''
Fr. 208a Voigt, strofe alcaica - Fonti: Eraclito, ''Quest. hom.'', 5, Cocond. ''De figur.'', III, p.
Il grammatico Eraclito nelle ''Allegorie omeriche'' citò per la prima volta il carme, di carattere simposiale, per l'eteria politica di Alceo. La nave è solo un'allegoria della situazione politica di Mitilene e dell'isola di Lesbo, sballottata dai flutti violenti delle fazioni politiche avverse che si contendono il potere, tra cui la dinastia di Mirsilo e di Pittaco, con quella di Alceo. Il poeta farebbe riferimento al momento in cui Pittaco, dapprima alleato di Alceo, ruppe il patto di alleanza, e si alleò con Mirsilo per conquistare Mitilene; [[Alceo]] spera soltanto di aver salva la vita, come si allude nell'imminente naufragio della nave-città alla fine del passo. Il papiro di Ossirinco del II secolo d.C. contiene un commento che testimonia quello che dice Eraclito sull'allegoria. La poesia è portatrice di altri significati, che solo i compagni della stretta cerchia di Alceo possono ben capire,
L'allegoria della nave-città fu usata anche da Orazio, e da Dante nel ''Purgatorio'' VI, vv 76-78.
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Fr. 140 Voigt, disposizione in cola (trimetro ipponatteo + gliconeo digiambo) - Fonti: Athen. XIV, 627a-b; Papiro di Ossirinco fr. 1 2295
[[File:Hoplit.png|thumb
Nell'edizione critica, accolta anche da Gentili<ref>B. Gentili, ''Metrica e ritmica'', pp. 34-163</ref>, si riporta la disposizione colometrica dei due papiri che contengono i frammenti del carme, che dispongono i versi in due cola, anche in sinafia, dividendo dopo la nona sillaba: ipponatteo, gliconeo acefalo, digiambo. La presenza di sinafia in tempo debole tra il primo e il secondo colon è ammissibile dal momento che intendiamo il fenomeno della ''brevis in longa'' limitato all'ultima sillaba indifferente in tempo forte.
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Fr. 332 Voigt, endecasillabi alcaici - Fonti: Athen., X, 430 c
Ateneo nei ''Deipnosofisti'' cita alcuni frammenti di Alceo riguardo
{{Citazione|Adesso
'''''Maledizione contro Pittaco'''''
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Fr. 129 Voigt, strofe alcaica - Fonti: Papiro di Ossirinco 2165 fr. 1 col. I, vv. 1-32; Oxy 2166 c6, vv. 1-15
Si sa che Alceo, per contrastare Mirsilo di Mitilene, si alleò in giuramento con Pittaco e altri compagni. Ora che Alceo è in esilio per il tradimento di Pittaco, nella poesia fa riferimento al santuario di Era Eolia dove trovò rifugio, e innalzò una preghiera agli dei Era, Zeus, e Dioniso, con lo scopo di liberare dagli affanni i compagni del giuramento morti per mano del traditore, e invocò le Erinni per punire il traditore Pittaco.<br/>Mirsilo faceva parte della dinastia dei Cleanattidi<ref>Mazzarino, ''Athenaeum'', 1943, p. 62</ref>, che instaurò con Meleacro un governo oligarchico, e contro cui Alceo e Pittaco stabilirono un giuramento per ucciderli e prendere il potere. L'invocazione alle Erinni, vendicatrici dei
{{Citazione|Questo sacro recinto, grande,<br />comune, sul colle assolato, <br />i Lesbi posero; e qui innalzarono altari<br />agli dei beati;<br /><br />e Antiao chiamarono Zeus,<br />ed Eolia te, la dea gloriosa<br />genitrice di tutto; e questo terzo<br />denominarono Kemelios,<br />Dioniso crudivoro. Con animo<br />benigno, suvvia, il nostro voto<br />ascoltate: da questi affanni<br />liberateci e dall'esilio penoso:<br /><br />il figlio di Irra sia perseguitato<br />dalle Erinni di quelli; ché una volta giurammo,<br />dopo il sacrificio, di non tradire mai<br />nessuno degli amici:<br /><br />o morti, rivestiti di terra,<br />giacere per mano di quelli che allora comandavano,<br />o dopo averli uccisi noi,<br />liberare dalle pene il popolo.<br /><br />Fra tutti il pancione non parlò<br />con il cuore; ma calpestò facilmente<br />i giuramenti, e adesso divora<br />la nostra città.|Traduzione di Francesco Sisti}}
Riga 1 847 ⟶ 1 859:
Il tema del vino ha largo sviluppo nella poesia di Alceo, il vino è motivo di svago, di consolazione da tristi pensieri, di unione tra i compagni di eteria, come osserva Ateneo nel citare i frammenti. Orazio si ispirò largamente nei suoi ''Carmi'' alle frasi alcaiche, soprattutto dal frammento III del "Simposio invernale", ripreso in ''Vides ut alta stet nive candidum''; nel XV secolo anche Lorenzo il Magnifico per la ''Canzona di Bacco e Adriana'', riprese il tema alcaico del cogliere l'attimo del giorno, già usato da Orazio nel ''Carpe diem''. Le traduzioni sono di Gennaro Perrotta e Francesco Sisti.
{{Citazione|Non
'''''Elena distruttrice di Troia'''''
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'''''Dall'inno ai Dioscuri'''''
Fr. 34 Voigt, strofe saffica
Fa parte del gruppo degli '''Inni'' agli dei; Alceo descrive Castore e Polluce come i protettori dei naviganti in pericolo durante la tempesta. Forse l'inno era destinato alla pubblica festa, forse era un'invocazione prima di un viaggio.
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{{Citazione|Abbandonata l'isola di Pelope,<br />figli di Zeus e Leda, forti eroi,<br />apparite con animo benigno,<br />Polluce e Castore,<br /><br />voi che su velocissimi cavalli<br />l'ampia terra correte e tutto il mare,<br />voi che salvate dalla triste morte i naviganti,<br /><br />balzando sulle cime delle navi<br />di lontano, correndo per le sartie,<br />nella triste notte alla nera nave<br />portando luce|Traduzione di Gennaro Perrotta}}
===
[[File:Artemis (Diana) from the %22Rospigliosi type%22, Roman copy of the 1st%E2%80%932nd centuries AD after a Hellenistic original, Louvre Museum (7462745206).jpg|thumb|left|Statua di Artemide, copia romana di originale ellenistico, [[Museo del Louvre]]]]
Il testo integrale dei frammenti: '''''{{Cita web|http://www.poesialatina.it/_ns/Greek/testi/Anacreon/Fragmenta.html|Anacreon Fragmenta}}'''''
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Metro: strofe tristica (in tre stichi) composta da 3 gliconei + ferecrateo finale
Il frammento è l'inizio dell'[[inno cletico]] ad Artemide Leucophryene di Magnesia, al Meandro, la celebre dea nata dalla fusione della Gran Madre barbara con l'Artemide greca. Non si conosce la storia e il mito che doveva essere cantata nei versi appresso l'introduzione, che consta delle classiche formule dell'inno a un dio, anche ricorrente in Omero. La dea non è presentata con i motivi tipici della Leucophryene, ma con quelli di una normale Artemide di tradizione greca, dopo la menzione della sede primitiva della dea, il poeta enfatizza con letizia le qualità della dea, di essere la protettrice di uomini giusti e coraggiosi, e non più barbari. Si pensa che Anacreonte volle compiacere i cittadini di Magnesia per ragioni politiche, forse perché prima i cittadini erano dei barbari, o perché non erano nativi del luogo; infatti all'epoca i Persiani conquistarono la Lidia; presso l'isola di Samo patria di Anacreonte Orete intendeva uccidere il tiranno Policrate, e vi strinse alleanze contro il re Cambise di Persia, proprio mentre Anacreonte era alla corte del tiranno<ref>Erodoto, ''Storie'', III, 121-123</ref>
{{Citazione|Ti supplico, cacciatrice di cervi,<br />bionda figlia di Zeus, selvaggia<br />Artemide padrona, che indossa<br />pelli, che ora non ti aggiri più<br />vorticosa presso il Letteo, ma getti<br />gli occhi sulla città più coraggiosa di uomini:<br />sei guida di uomini non più selvaggi.}}
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Fr. 428 Page - dimetri giambici - Fonti: Efestione, V, 2; Schol. Aristoph., ''Pluto'', 253 (v.2)
L'amore anacreontico non conosce la passionalità, la drammaticità, l'estasi; il dio dolceamaro di Saffo in [[Anacreonte]] si risolve nel singolare parallelismo di affermazione e negazione dell'impulso amoroso, e non dell'essere della dominazione amorosa padrona totalizzante dell'io poetico. Questo frammento fu ripreso anche da Catullo, con caratteri ben diversi dal tono scherzoso di Anacreonte per il simposio.
{{Citazione|Amo e non amo;<br />smanio e non smanio.}}
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Vi sono il fr. 358 Page "La ragazza di Lesbo" riguardante la palla variopinta che lancia Eros contro Anacreonte, invitandolo a divertirsi con una ragazza di Lesbo, che però disdegna l'aspetto del poeta, e guarda verso un altro giovanotto. Strofa tetrastica (2 gliconei + ferecrateo), segue il fr. 360 Page sul desiderio del poeta verso un fanciullo, descritto come l'auriga della sua anima, senza che lui se ne accorga, motivo convenzionale dell'amore non corrisposto del ragazzino verso il poeta (metro: strofe tetrastica); e infine la "Ragazza puledra di Tracia" (fr. 417 Page), la descrizione della ragazza fa parte alla serie di bozzetti dei tipi della società borghese tratteggiati da Anacreonte, la ragazza è un'etera, rappresentata come una puledra che potrebbe farsi cavalcare dal poeta senza schermirsi troppo, a rappresentare l'indole volubile della ragazza, nonostante tenti di apparire come una donna pudica (metro: tetrametro trocaico catalettico).
{{Citazione|Ancor Eros chiomadoro<br />mi colpisce con una palla scarlatta,<br />e mi invita a giocare<br />insieme a una fanciulla<br />dal sandalo adorno.<br />Ma lei viene dalla ben costruita Lesbo:<br />disprezza la mia chioma grigia,<br />e guarda un altro a bocca aperta.<br /><br />O ragazzo che mi guardi con occhi<br />di vergine, io ti desiderio, ma tu<br />tu non mi ascolti. Non sai che<br />tu tieni le redini del mio spirito.<br /><br />Perché mai, puledra di Tracia,<br />mi guardi di traverso e spietata mi sfuggi?<br />Come se io fossi un buono a nulla?<br /><br />Sappi che con destrezza ti saprei gettare<br />il morso, e con le redini in pugno<br />farti girare la meta.<br /><br />Ora ti pasci dell'erba dei prati, giochi<br />e saltelli leggera: un esperto cavaliere<br />abile non ancora ti cavalca.}}
'''''A Dioniso'''''
Fr. 357 Page - strofe tetrastica (2 gliconei + ferecrateo) al v. 5 responsione del dimetro polischematico (gliconeo) - Fonti: Dione Crisostomo, 2, 62; Erodiano, 3 (I, p.
Dioniso è il dio del vino e dell'ebbrezza, celebrato nel simposio, soprattutto a partire dal periodo della tirannia di Pisistrato ad Atene<ref>A. Andrews, ''The Greek Tyrants, p. 113''</ref>; il dio entra trionfalmente nel repertorio poetico anacreontico insieme ad Eros e Afrodite. La preghiera nella prima parte è ancora impostata nel tono classico degli inni, dal tono serio, con l'elencazione delle qualità del dio, nella seconda parte traspare la modifica semiseria anacreontica, in cui si raccomanda al dio affinché un suo fanciullo da lui amato corrisponda nei sentimenti.
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Fr. 356 Page, dimetri anaclomeni (ossia dimetro ionico puro) - Fonti: Athen. X, 427a.
Ateneo, dopo la citazione dei vv. 1-6, e prima dei vv. 7-11 lascia dei dubbi sull'
Il tema del convito per Anacreonte è banchettare e bere vino in tranquillità e leggerezza, e come descritto già in Omero, si parla della mescolanza di 10 parti di acqua e 5 di vino, per non cadere subito in ebbrezza come fanno gli Sciiti della Beozia, tra gozzoviglie e chiassi.
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Fr. 347 Page, strofe tetrastica (2 dimetri trocaici + dimetro trocaico catalettico o lecizio) - Fonte dal Papiro di Ossirinco 2322 fr- 1
Nel papiro compare un primo frammento, da non considerarsi parte di questo passo, poiché si parla della chioma tosata di un ragazzo di nome Smerdies<ref>B. Gentili, ''Anacreonte'', p. 206</ref> Con le tonalità della "nota donna", senza specificarne il nome, Anacreonte si riferisce a una ragazza appartenente ai bassifondi della società di Atene, una flautista, della sottocategoria delle etere, presente nei conviti nelle case dei signori; in Anacreonte queste donne sono varie: Leucippe (fr. 6 Gent), Gastrodora, Callicrite (fr. 132 Gent). La persona loquens di Anacreonte, dal primo tono di comicità che traspare dall'argomento di trattare una flautista nella poesia, assume caratteristiche drammatiche, da tipico tono umoristico pirandelliano, che in un certo senso nella letteratura latina venne ripresa dal commediografo Terenzio Afro; anche le prostitute di basso rango hanno un'anima, dei pensieri, dei sentimenti, e qui la ragazza, che disprezza e maledice la sua condizione, prorompe in un triste sfogo.
{{Citazione|Percepisco che la nota donna<br />volge in sé tristi pensieri, accusando<br />la propria cattiva scelta, essa è solita<br />esclamare:«Madre, come esulterei<br />se tu mi precipitassi nell'inesorato<br />mare, gonfio di cupi flutti!»}}
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Fr. 395 Page, strofa esastica (4 dimetri anaclomeni + dimetro ionico puro + dimetro anaclomeno) - Fonte: Giovanni Stobeo, IV, 51, 12
Anche Anacreonte rivolge il suo personale pensiero sulla vecchiaia e il timore della morte, benché parodiato da Stratone di Sardi nell'epigramma dell'Antologia Palatina (12, 240); la cantilena patetica ritmico-espressiva dei monotoni anaclomeni, appena rotta dal raffrenato ritmo degli ionici puri prima della clausola strofica, più che un atteggiamento commosso e rassegnato sembrano tradire una velata ironia, da contrapporre con il tono del disincanto all'inevitabilità della vecchiaia, in cui ci si sofferma a ricordare quello che si è fatto
{{Citazione|Sono già grigie le mie tempie,<br />tutta bianca è la mia testa,<br />e già tremoli sono i miei denti,<br />non più mi arride l'amabile giovinezza,<br />non mi avanza ancora molto tempo<br />della vita dolce.<br /><br />Per questo spesso io ho paura del Tartaro<br />e singhiozzo, terribile è il recesso<br />dell'Ade, e in esso è funesta<br />la discesa: perché è destino che<br />chi scenda giù, non torni più sopra.}}
===
Il testo integrale in frammenti di Stesicoro: '''''{{Cita web|http://www.poesialatina.it/_ns/Greek/testi/Stesichorus/Fragmenta01a.html| Stesichorus Fragmenta I}}''''' e '''''{{Cita web|http://www.poesialatina.it/_ns/Greek/testi/Stesichorus/Fragmenta01.html| Stesichorus Fragmenta II suppl.}}'''''
Dalla '''Tebaide'''
Un papiro di età tolemaica ha restituito un brano in cui
Fr. 76abc P. Lille + Lille 73. Si propone il testo ricostruito da P.J. Parsons in "Zeictschr. f. Papyr.u. Epigr" 26, 1977, pp.
Metro:
*Strofe-antistrofe:
*Epodo: hemiepes; prosodiaco + reiziano; dimetro trocaico; hemiepes + enoplio; reiziano; hemiepes + enoplio; molosso + baccheo.
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Fonte: Papiro di Ossirinco 2617 ff. 4+5 col - ed. 5-17 Page-Davies
Il papiro fu pubblicato nel 1976, e consiste nel frammento più lungo di
La struttura paratattica dei versi è molto simile ai poemi omerici, vengono presentate anche le divinità Atena e Poseidone che parteggiano per i due eroi semidivini che combattono, l'appassionata allocuzione della madre al figlio Gerione, come in Omero per Ettore e sua madre Ecuba (Iliade, XXII, vv. 79-89). Interessante anche notare nella parte del combattimento finale, Gerione presentato come un eroe, dotato di corazza, elmo e scudo, viene ucciso dalla freccia di Eracle; per gli antichi greci la falange oplitica era molto più preferita all'arco, arma considerata vile, anche se dal V secolo a.C. l'arco venne ampiamente rivalutato; dunque Stesicoro si dimostrerebbe fortemente di parte per la triste fine del mostro Gerione, custode delle vacche, suo malgrado costretto a soccombere per un volere divino, affinché si compiano le imprese di Eracle.<br />Sembra che Virgilio per l{{'
Metro:
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{{Citazione|'''a'''<br />Quasi di fronte<br />alla famosa Eritrea,<br />presso le sorgenti innumerevoli, dalle radici d'argento,<br />del fiume Tartesso, nella caverna di una roccia<br />ella partoriva.<br />'''b'''<br />Attraverso le onde del mare profondo giunsero<br />all'isola bellissima degli dei.<br />Qui le Esperidi hanno case<br />tutte d'oro.[...]<br />'''c'''<br />...con le mani... A lui<br />rispondendo,<br />disse il forte figlio<br />di Crisaore immortale e di Calliroe:<br />«Non impaurite l'animo mio audace,<br />ponendo davanti ai miei occhi la morte agghiacciante;<br />né...<br />se la mia stirpe è immune da morte<br />e da vecchiezza, così da prendere parte<br />alla vita degli dei nell'Olimpo,<br />è meglio[...]<br />[...]<br />Ma se, o caro, bisogna ch'io giunga<br />all'odiosa vecchiaia,<br />se vivere devo tra gli uomini effimeri,<br />lontano dagli dei beati,<br />molto meglio è, ora, per me sopportare<br />il destino mio.<br /><br />e vergogne...<br />alla stirpe intera...<br />il figlio di Crisaone:<br />questo non vogliano gli dei<br />immortali.<br />'''d'''<br />...io, infelice e madre e figli<br />maledetti, io che ho sofferto pene indimenticabili,<br />io ti imploro Gerione,<br />se mai la mammella io ti porsi...<br />'''e'''<br />...rimaneva Zeus<br />signore di tutto.<br /><br />Atena occhi azzurri, allora,<br />con aperte parole parlò allo zio materno<br />potente, guidatore di cavalli:<br />«Suvvia, memore della promessa<br />che mi hai fatto,<br />(non cercare di salvare) Gerione dalla morte».<br />'''f'''<br />...il dardo che nella punta<br />aveva il destino di morte, intriso<br />nel sangue...e nella bile,<br />per i dolori dell'Idra, che gli uomini uccide,<br />dal collo screziato. In silenzio,<br />furtivamente, nella fronte si conficcò:<br />e lacerò la carne e le ossa<br />per volere di un dio.<br />In cima alla testa rimase<br />infisso il dardo,<br />e di sangue purpureo contaminava<br />la corazza e le membra insanguinate.<br /><br />Reclinò Gerione il collo<br />di lato, come a volte un papavero<br />quando, deturpando il corpo tenero,<br />lascia cadere i petali.[...]<br />'''g'''<br />Quando la forza del figlio di Iperione<br />sulla coppa d'oro saliva,<br />perché, verso l'Oceano<br />giungesse al profondo della sacra<br />notte e oscura,<br />dalla madre e dalla moglie legittima,<br />e i cari figli,<br />egli a piedi, nel bosco ombroso<br />di allori andò, il figlio di Zeus[...]|Traduzione di Francesco Sisti}}
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Il testo integrale dei frammenti '''''{{Cita web|http://www.poesialatina.it/_ns/Greek/testi/Alcman/Fragmenta.html| Alcman Fragmenta}}'''''
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'''''Partenio del Louvre'''''
Metro:
Il '''Partenio I''' (detto anche ''Grande Partenio'' o ''Partenio del Louvre'') è un componimento di lirica corale di [[Alcmane]]<ref>Fr. 3 Garzya = 3 Calame.</ref>. Esso proviene da un papiro ritrovato da [[Auguste Mariette]] nel [[1855]]<ref>''P. Louvre'' E 3320.</ref>, di cui la parte meglio leggibile è costituita dai vv. 36-
[[File:Cratère de Derveni 0010.jpg|thumb|left|upright=1.2|Menadi danzanti, che portano un agnello o capretto sacrificale]]{{Citazione
|C'è un castigo che viene dagli dei.<br/> Felice chi è sereno<br/> e trascorre il giorno<br/> senza pianto. Io canto,<br />la luce di Agido. La scorgo come<br /> un sole, e così a noi Agido rivela<br/> il suo splendore. Io non lodo o rimprovero<br/> la famosa corifea<br/> in alcun modo. Essa spicca<br/> come, in mezzo all'armento<br/> che pascola, un cavallo<br/> dal piede sonante, uso a vincere,<br/> veloce più dei sogni, nelle gare.<br/>
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Il partenio è stato interpretato da alcuni come la celebrazione di un vero e proprio matrimonio tra le ragazze<ref>F. Ferrari, note, in ''Lirici greci dell'età arcaica'', Milano, BUR, 1994, pp. 422-423.</ref>, anche se non mancano altri temi ispiratori, quali allusioni mitiche<ref>Vv. 1-34, assai mutili, con la vendetta di [[Eracle]] contro [[Ippocoonte (figlio di Ebalo)|Ippocoonte]] e i suoi figli, che avevano tolto il regno a [[Tindaro]].</ref>, sentenze morali, spunti conviviali ed erotici, descrizione di spettacoli naturali.<ref name="M">''Le Muse'', Novara, De Agostini, 1964, Vol. I, pp. 107-108.</ref>
Il papiro fu trovato a [[Saqqara]] in [[Egitto]] nel [[1855]]. Si tratta della più antica composizione lirico-corale giunta in forme più o meno complete, e documenta l'alto livello artistico oltre la discontinuità tematica, la compresenza del mito, attualità e una tecnica compositiva ermetica e sussultoria. Il partenio è stato composto per esecuzione civile davanti a un pubblico, da eseguirsi da parte di un coro di fanciulle. Esso è composto nella
'''''Dormono le cime dei monti''''' è il titolo comunemente assegnato<ref>Anche il titolo di '''Notturno''' è molto usato.</ref> al '''Fr. 49 Garzya'''<ref>Alcmane, ''I Frammenti'', a cura di A. Garzya, Napoli 1954, pp. 126 ss.</ref> di [[Alcmane]].
Il metro è vario: enoplio ditrocheo + dimetro trocaico + ferecrateo dimetro giambico catalettico + prosodiaco itifallico + trimetro giambico + prosodiaco hemiepes
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καὶ κνώδαλʼ ἐν βένθεσσι πορφυρέας ἁλός•<br />
εὕδουσι δʼ οἰωνῶν γένος τανυπτερύγων.|lingua=grc}}
In questo frammento<ref>Peraltro, nella sua apparente semplicità, complesso da
Ogni parola e ogni immagine del brano di Alcmane ha precisi antecedenti in [[Omero]], come, peraltro, in tutta la lirica
A livello stilistico, a parte l'uso del dialetto [[dori]]co, si nota la duplice [[Anafora (figura retorica)|anafora]] di εὕδουσι<ref>Vv. 1 e 6.</ref> e la ''variatio'' φῦλά ... γένος ... γένος, che mira a dare sacralità alla descrizione della notte con una ripetizione variata del termine indicante le specie.
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{{Citazione|Non più, o fanciulle dolcecanore e altisonanti,<br />
le mie membra mi posson
che sul fior dell'onda vola con l'alcioni,<br />
avendo un cuore puro, sacro uccello d'ali purpureeǃ
Riga 2 041 ⟶ 2 053:
Quello che Alcmane si augura con le vergini del coro è che, debole per la vecchiaia e incapace di danzare con i cori e balli delle ragazze, vorrebbe, in un ultimo, malinconico slancio<ref>Sottolineato dall'anafora al v. 2: βάλε δὴ βάλε.</ref>, essere trasportato da loro.
===
Testo integrale dei frammenti di [[Ibico]], dall'edizione Page-Davies: '''''{{Cita web|http://www.poesialatina.it/_ns/Greek/testi/Ibycus/Fragmenta1.html| Ibycus Fragmenta}}'''''
'''''Frammenti su Eros'''''
Frr. 286-87 Page-Davies, metro I composto da 3 ibicei, 3 alcmanii, decasillabo alcaico, ibiceo, hemiepes, 2 alcmanii,
Fonte: Athen. XIII, 601b.
Riga 2 059 ⟶ 2 071:
Metro:
*Strofe-Antistrofe: alcmanio x 2,
*Aepodo: enoplio x 3, pentametro eolico, coriambo dimetro dattilico
Nella strofe al v. 1/2 è ammessa la sinafia verbale, ai vv. 23/24 non ci può essere ''brevis in longo'' e quindi -μέναι | εὖ deve essere spiegato con l'abbreviamento in iato.
Il papiro del 1922 ha
La guerra di Troia (e altri temi bellici) è presentata, come nell'espediente della ''recusatio'', dal punto di vista negativo, è triste cantare della distruzione di una storica e sacra città, del rapimento delle mogli e dei bambini fatti schiavi, della morte di eroi valenti, ma come si è detto, al momento dell'ode in cui si elenca il catalogo delle navi, subito Ibico intende celebrare la talassocrazia di Policrate, della sua famiglia, e l'importanza dei Sami quanto al dominio del mare, la cui fama era nota già prima della tirannide. Il carme appartiene al genere della παιδικά, ossia della celebrazione della bellezza e della virtù dei fanciulli; il genere erotico e simposiale pare tradire un'esecuzione monodica del carme, oppure dato che si tratta di lirica corale, un'esecuzione da parte di un coro in una cerchia ristretta del tiranno; Ibico oltre a tratteggiare le qualità morali del tiranno, ne tratteggia anche il nobile e piacevole aspetto. La lingua è il dorico corale, molte sono le formule di tradizione omerica ed epica, come epiteti, frasi e moduli poetici arcaici.
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{{Citazione|Mossero da Argo e distrussero<br />la grande e famosa opulenta<br />città di Priamo erede di Dardano,<br />per sommo volere di Zeus.<br /><br />Per la bellezza di Elena la bionda<br />ebbero contesa celebrata nei canti<br />nella guerra lacrimosa,<br />e rovina raggiunse la sventurata<br />Pergamo; causa fu Cipride<br />dall'aurea chioma.<br /><br />Ma ora non voglio cantare<br />il traditore degli ospiti: Paride,<br />né Cassandra dalle caviglie sottili,<br />o gli altri figli di Priamo,<br /><br />e il giorno innominabile<br />della presa di Troia dalle porte<br />alte, e neppure narrare l'insolente<br />valore degli eroi,<br /><br />che le concave navi<br />dai molti cavicchi portarono<br />a Troia come malanno, nobili<br />eroi che il possente Agamennone<br />condusse, re condottiero figlio<br />della stirpe di Plistene<br />, figlio del nobile Atreo.<br /><br />In queste imprese le Muse<br />di Elicona esperte nel canto<br />potrebbero imbarcarsi; un uomo<br />vivente, un mortale, non può dire<br />le singole vicende,<br /><br />quante navi dall'Aulide<br />varcarono l'Egeo, da Argo,<br />venendo a Troia nutrice<br />di cavalli, e con esse gli eroi<br /><br />dagli scudi di bronzo,<br />figli di Achei, fra questi<br />eccellente nella lancia[...]<br />Achille dal piè veloce, e il grande<br />Aiace Telamonio[...]<br /><br />(e venne pure) a Ilio da Argo<br />il bellissimo Cianippo[...]<br /><br />e Zeuxippo, che Illide dalla cinta d'oro<br />generò; a lui Troilo eguagliavano<br />i Troiano ed i Danai per l'amabile aspetto,<br /><br />e come eguale all'oricalco<br />è il fino oro. Insieme ad essi, Danai e Troiani,<br />per la tua bellezza, tu avrai pure,<br />o Policrate, gloria perenne, come anche<br />perenne nel canto sarà la mia gloria|Traduzione letterale}}
===
Le opere di [[Simonide]] in frammenti, testo in greco integrale: '''''{{Cita web|http://www.poesialatina.it/_ns/Greek/testi/Simonides/Fragmenta.html| Simonides Fragmenta}}'''''; per gli ''Epigrammi'': '''''{{Cita web|http://www.poesialatina.it/_ns/Greek/testi/Simonides/Epigrammata.html| Simonide Epigrammata}}'''''
'''''Encomio a Scopas, ovvero La valenza umana'''''
Riga 2 078 ⟶ 2 090:
Metro:
*Strofe: encomiologico (
*Epodo: baccheo + dimetro coriambico; 2 cliconei; digiambo + coriambo + digiambo; ditrocheo ionico; gliconeo ditrocheo; gliconeo ditrocheo; ferecrateo itifallico
Riga 2 090 ⟶ 2 102:
Fr. 541 Page - Fonte Papiro di Ossirinco 2432
Metro: cretico + dimetro giambico catalettico; docmio ripetuto; cretico baccheo docmio (oppure docmio + 2 cretici); cretico digiambo; ditrocheo digiambo; hemiepes + docmio; encomiologico; 2 cretici baccheo (cretico
Come nell'encomio a Scopas, il tema è la valenza dell'uomo, e della sua facile corruttibilità. Nella contrapposizione iniziale
L'attribuzione del frammento a Simonide, accettato da Gentili, Page e Treu, ha trovato l'opposizione in Lloyd-Jones, che lo avrebbe assegnato a Bacchilide, tuttavia il contenuto è prettamente caro a Simonide, anche la struttura del tipico encomiologico simonideo è una buona prova per attribuire il carme all'autore di Ceo.
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'''''Cos'è la Virtù'''''
Fr. 579 Page -
Metro: ipodocmio; coriambo digiambo + reiziano; prosodiaco + dimetro giambico coriambo catalettico (lecizio); cretico coriambo reiziano; enoplio; ipodocmio; dimetro giambico
Si tratta di uno dei più bei esempi di virtù, resa come una divinità o una creatura nascosta, che è da cercare e da guadagnare. Per Omero la virtù era necessità ed eccellenza dell'eroe, per il poema sulle peregrinazioni di Odisseo, la virtù diventa l'abilità dell'eroe di guardarsi dai pericoli, e di rimanere fedele alla sua patria e alla moglie, nonostante le insidie. L'areté omerica verrà ripresa dai sofisti Platone e Aristotele; Simonide
{{Citazione|Vi è un detto:<br />che la Virtù abiti su rocce<br />inaccessibili, e presso quelle la dea<br />custodisca l'aspro arcano.<br />Non è visibile agli occhi<br />di tutti i mortali, ma solo<br />a chi non versi sudore, che morde<br />l'animo, e che giunga al vertice<br />dell'ardimento.}}
Riga 2 144 ⟶ 2 156:
Il frammento è tratto dalla saga di Danae, l'eroina moglie di Acrisio re di Argo, che concepì Perseo con Zeus che si tramutò in pioggia d'oro per penetrare nella torre inaccessibile entro cui il marito l'aveva confinata, essendo troppo bella, e attirando l'attenzione di molti. Acrisio quando si accorse dell'adulterio divino, rinchiuse Danae in una cassa insieme al figlioletto, e la gettò in acqua, dipoi lei morirà, ma Perseo si salverà, adottato da dei pescatori presso Serifo. Il carme rappresenta molto bene il momento dello sconforto totale di Dane in balia delle onde, dentro la cassa, mentre consola il bambino, cercando di farlo dormire, il carme è rappresentato da potenti contrasti di situazioni, la disperazione della madre, che tuttavia sacrifica le sue forze per consolare e cullare nel sonno il bambino Perseo. Al linguaggio narrativo-lirico si sostituisce un linguaggio figurativo-emozionale.
{{Citazione|Quando in una cassa<br />di eccelsa fattura il vento<br />e le onde agitate del mare la prostrarono nella paura,<br />con le gote bagnate di pianto<br />su Perseo pose la mano, e disse:<br />«O figlio, quale pena soffro!<br /><br />Ma tu dormi, dormi con cuore<br />di
[[File:(Grecia) Leonidas I de Esparta.gif|thumb|Ritratto di fantasia di Leonida di Sparta]]
'''''Per i caduti alle Termopili'''''
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Fr. a-b 5-45 e 15-16 West - Fonti: a dal Papiro di Ossirinco 2327 (edizione Lobel), e Papiro di Ossirinco 3965 (edizione Parsons), pubblicato nel 1992
Il frammento riguarda l'ode per la [[battaglia di Platea]] combattutasi tra Greci e Persiani nel 479 a.C., decisiva per la vittoria contro l'invasione di Serse II. Il merito della vittoria fu soprattutto degli Spartani. A questa impresa Simonide paragona le imprese degli eroi
Si può dunque notare che il carme segue la successione di: esempio mitico della guerra di Troia per celebrare un fatto vero, contemporaneo; il congedo innodico dalla celebrazione del semidio mitologico, l'invocazione alla Musa e il ritorno definitivo all'attualità per celebrare in finale il risultato dello sforzo bellico, in questo caso la vittoria di Platea. La seconda guerra persiana raggiunse per la Grecia proporzioni tali da essere paragonata nei canti poetici alla lunga ed estenuante guerra di Troia, durata 10 anni, la Grecia si dava per sconfitta, tuttavia l'immane sforza fece assumere a vittoria esemplari, come Maratona, Platea, Salamina, connotati prettamente epici degno di Omero.<br />Si è discusso sulla presenza nel carme della figura di Achille, che forse sarebbe stata di esempio per il sovrano spartano Pausania, usato come modello di riferimento per avere coraggio nella battaglia. Molte descrizioni delle tattiche di guerra, corrispondono inoltre perfettamente con il passo delle ''Storie'' di Erodoto (IX, 9, 28, 3; 31, 3).
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== Note ==
{{note strette}}
==
Il testo integrale dell'edizione [https://archive.org/details/PoetaeMeliciGraeciEd.Smyth1900/page/n5/ ''Poetae Melici Graeci''] a cura di H.W. Smyth, 1900▼
*[[Denys Page|D.L. Page]], ''Poetae Melici Graeci'', 1962.▼
▲'''Testi critici'''
▲*D.L. Page, ''Poetae Melici Graeci'', 1962.
*D.L. Page, ''Supplementum lyricis Graecis'', 1974.
*
*
*
*
*
*B. Gentili, G. Perrotta, C. Catenacci, ''Polinnia. Poesia greca arcaica'', Casa editrice G. D'Anna, Messina-Firenze, III ed. 2007
*G. Guidorizzi, ''Letteratura greca. Cultura, autori, testi. L’età arcaica'', I, Einaudi scuola, 2009
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* [[Nove poeti lirici]]
* [[Poesia lirica]]
== Collegamenti esterni ==
▲Il testo integrale dell'edizione [https://archive.org/details/PoetaeMeliciGraeciEd.Smyth1900/page/n5/ ''Poetae Melici Graeci''] a cura di H.W. Smyth, 1900
{{letteratura greca}}
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