Regno delle Due Sicilie: differenze tra le versioni
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{{Nota disambigua|la regione storico-politica|Due Sicilie}}
{{Stato storico
|nomeCorrente = Regno delle Due Sicilie
|nomeCompleto = Regno delle Due Sicilie
|nomeUfficiale = {{it}} ''Regno delle Due Sicilie''<br />{{la}} ''Regnum Utriusque Siciliae''
|linkBandiera = Flag of the Kingdom of the Two Sicilies (1738).svg
|paginaBandiera = Bandiera del Regno delle Due Sicilie
|linkStemma =
|paginaStemma = Stemma del Regno delle Due Sicilie
|linkLocalizzazione =
|didascaliaLocalizzazione = Il Regno delle Due Sicilie nel 1839
|linkMappa = Regno delle Due Sicilie con città 2.svg
|inno = [[Inno al Re]]<br /><small>([[Giovanni Paisiello]])</small>
[[File:Giovanni Paisiello - Inno al Re — Inno nazionale del Regno delle Due Sicilie.ogg]]
|motto =
|lingua ufficiale = [[Lingua italiana|italiano]]<ref>{{Cita web|url=https://accademiadellacrusca.it/it/contenuti/il-napoletano-in-tribunale-con-linterprete-e-i-piemontesi-a-napoli-con-litaliano/7414 |titolo=Il napoletano in tribunale con l’interprete, e i piemontesi a Napoli con l’italiano |autore=[[Claudio Marazzini]] |sito=Accademia della Crusca |data=25 luglio 2017 |accesso=21 aprile 2024}}</ref>, [[lingua latina|latino]]
|lingua = [[
[[Minoranza linguistica greca d'Italia|greco]], [[Minoranza francoprovenzale in Puglia|francoprovenzale]], [[Arbëreshë|albanese]], [[Guardiolo|occitano]], [[Lingua croata molisana|croato di Molise]], [[Dialetti galloitalici di Sicilia|galloitalico di Sicilia]], [[Dialetti galloitalici di Basilicata|galloitalico di Basilicata]] <small>(minoritarie)</small>
|capitale principale = [[Napoli]]
|capitaleAbitanti = {{formatnum:484026}}
|capitaleAbitantiAnno = 1861
|altre capitali = [[Palermo]] <small>(1816 - 1817)</small>
|
|governo = [[monarchia assoluta]] <br />[[monarchia costituzionale]] <small>(1848)</small>
|
|elenco capi di stato = [[Re delle Due Sicilie|vedi elenco]]
|titolo capi di governo = Presidente del Consiglio dei ministri del Regno delle Due Sicilie
|elenco capi di governo = [[Presidenti del Consiglio dei ministri del Regno delle Due Sicilie|Vedi elenco]]
|inizio = 8 dicembre [[1816]]
|primo capo di stato = [[Ferdinando I delle Due Sicilie|Ferdinando I]]
|evento iniziale = Unione dei
|fine = 21 febbraio [[1861]]
|ultimo capo di stato = [[Francesco II delle Due Sicilie|Francesco II]]
|evento finale = [[
|area geografica = Le attuali regioni di [[Abruzzo]], [[Molise]], [[Puglia]], [[Basilicata]], [[Calabria]], [[Sicilia]] per intero, [[Campania]] (eccetto [[Benevento]]), il [[Lazio]]
|territorio originale = [[
|superficie massima = {{
|periodo massima espansione =
|popolazione = {{formatnum:
|periodo popolazione =
|voce suddivisione amministrativa = [[Suddivisione amministrativa del Regno delle Due Sicilie|22 province, 76 distretti, 684 circondari]]
|moneta = [[
|produzioni = zolfo, olio d'oliva, vino, agrumi, zafferano, liquirizia, grano, prodotti edibili, sapone, tessuti in seta, cotone, lino, prodotti conciari, prodotti di gioielleria, porcellana, ceramica, manufatti in ferro, opere in ghisa, materiale rotabile.
|commerci con = [[Impero britannico]], [[Impero austriaco]], [[Impero ottomano]], [[Impero russo]], [[Impero del Brasile]], [[Regno di Francia]], [[Regno di Isabella II di Spagna|Regno di Spagna]], [[Regno del Portogallo]], [[Indie orientali olandesi|Indonesia]], [[Stati Uniti d'America]], [[Stati Uniti delle Isole Ionie]], [[Lega anseatica|Stati della Lega Anseatica]], [[Antichi Stati italiani|Stati italiani]]
|esportazioni = zolfo, olio d'oliva, vino, agrumi, zafferano, liquirizia, grano, prodotti edibili, sapone, tessuti in seta, cotone, lino, prodotti conciari, pelli.
|importazioni = ferro, carbone, legno, prodotti edibili, prodotti conciari, prodotti coloniali.
|religioni preminenti = [[Chiesa cattolica|cattolicesimo]]
|religione di stato = [[Chiesa cattolica|cattolicesimo]]
|altre religioni = [[Chiesa ortodossa|ortodossia]], [[ebraismo]]
|classi sociali = [[nobiltà]], [[clero]], [[borghesia]], [[contadini]], [[proletariato]]
|stato precedente = {{simbolo|Bandera de Nápoles - Trastámara.svg}} [[Regno di Napoli]]<br />{{simbolo|Bandiera del Regno di Sicilia 4.svg}} [[Regno di Sicilia (1735-1816)|Regno di Sicilia]]
|stato successivo = {{Bandiera|ITA 1861-1946}} [[Regno d'Italia (1861-1946)|Regno d'Italia]] {{sp}}
* [[Dittatura di Garibaldi|Governo dittatoriale della Sicilia]]
|stato attuale = {{Bandiera|ITA}} [[Italia]]
{{Bandiera|CRO}} [[Croazia]]<ref>In base al "Portolano del Mare Adriatico, compilato sotto la direzione dell'I.R. Istituto Geografico Militare da Giacomo Marieni, Tenente-Colonnello, Direttore della Triangolazione e dell'Ufficio dei Calcoli, Seconda Edizione, Vienna, Tipografia PP. Mechitaristi, 1845, p. 495", l'Arcipelago delle Pelagose, oggi parte della Croazia, apparteneva al Regno delle Due Sicilie. Si segnala però che sul punto si pone in netta antitesi la "Nuovissima Guida dei Viaggiatori in Italia, pubblicata da L. Zucoli, Milano, 1840, p. 285".</ref>
|portale =
|Patroni = [[Immacolata Concezione]], [[san Luigi Gonzaga]], [[sant'Agostino d'Ippona]], [[san Vincenzo Ferreri]], [[sant'Alfonso Maria de' Liguori]], [[san Francesco De Geronimo]], [[san Francesco Caracciolo]], [[san Giovan Giuseppe della Croce]], [[san Pasquale Babylon]], [[san Rocco di Montpellier]].
}}
Il '''Regno delle Due Sicilie''' fu
Prima della [[Rivoluzione francese]] del [[1789]] e delle successive [[età napoleonica|campagne napoleoniche]], la dinastia dei [[Borbone delle Due Sicilie|Borbone]]
== Origine del termine Due Sicilie ==
{{vedi anche|Due Sicilie|Rex utriusque Siciliae}}
[[Giovanni Antonio Summonte]], storico vissuto a cavallo tra il XVI e il XVII secolo, all'interno del secondo volume della sua ''Historia della città e Regno di Napoli'' (i cui primi due volumi furono pubblicati negli anni 1601-1602 e gli altri due postumi),<ref>{{cita news |autore=Aurelio Musi |url=https://www.treccani.it/enciclopedia/la-storiografia-napoletana-tra-umanesimo-e-barocco_(altro)/ |titolo=La storiografia napoletana tra Umanesimo e Barocco |pubblicazione=Il Contributo italiano alla storia del Pensiero - Storia e Politica |città=Roma |editore=[[Istituto dell'Enciclopedia Italiana]] |anno=2013 |accesso=13 dicembre 2023}}</ref> inserisce un trattato dal titolo ''Dell'Isola di Sicilia, e de' suoi Re; e perché il Regno di Napoli fu detto Sicilia''. In questo scritto l'origine della distinzione tra due «Sicilie» separate dal [[Faro di Messina]] viene individuata nella [[bolla pontificia]] con cui [[papa Clemente IV]] investì [[Carlo I d'Angiò]] del [[Regno di Napoli]] nel 1265:
{{citazione|Papa Clemente IV, il quale investì, e coronò Carlo d'Angiò di questi due Regni, chiamò quest'Isola, e il Regno di Napoli con un sol nome, come si può vedere in quella Bolla, ove dice, Carlo d'Angiò Re d'amendue le Sicilie, Citra, e Ultra il Faro: e questo eziandio osservarono gli altri Pontefici, che a quello successero, e si servirono degl'istessi nomi. Imperciocchè 7 altri Re, che al detto Carlo successero […] che solo del Regno di Napoli, e non di Sicilia padroni furono, chiamarono il Regno di Napoli, Sicilia di qua dal Faro. Il Re [[Alfonso V d'Aragona|Alfonso]] poi, ritrovandosi Re dell'Isola di Sicilia, per essere egli successo a [[Ferdinando I d'Aragona|Ferrante]] suo padre, e avendo anco con gran fatica, e forza d'armi guadagnato il Regno di Napoli da mano di [[Renato d'Angiò|Renato]], si chiamò anch'egli con una sola voce, Re delle Due Sicilie, Citra, e Ultra; E questo per dimostrare di non contravenire all'autorità de' Pontefici. Ad Alfonso poi successero 4 altri Re […] i quali furono Signori solo del Regno di Napoli, e si intitolarono, come gli altri, Re di Sicilia Citra. Ma [[Ferdinando il Cattolico]], [[Giovanna di Castiglia|Giovanna]] sua figlia, [[Carlo V d'Asburgo|Carlo V]] imperadore e [[Filippo II di Spagna|Filippo]] nostro re, e Signore, i quali anno [sic] avuto il dominio d'amendue i Regni, si sono intitolati, e chiamati Re delle due Sicilie Citra, e Ultra: la verità dunque è, che questi nomi vennero da' Pontefici romani, (come s'è detto) i quali cominciarono ad introdurre, che 'l Regno di Napoli si chiamasse Sicilia.<ref>{{Cita libro |autore=Giovanni Antonio Summonte |titolo=Historia della città e Regno di Napoli |volume=2 |url=https://archive.org/stream/historiadellacit02summ#page/278/mode/2up |capitolo=Dell'Isola di Sicilia, e de' suoi Re; e perché il Regno di Napoli fu detto Sicilia |città=Napoli |editore=Raffaele Gesari, Domenico Vivenzio & Giuseppe Raimondi |anno=1748 |p=279 |accesso=13 dicembre 2023}}</ref>}}
La stessa tesi è sostenuta da [[Pietro Giannone]] nella sua ''Istoria civile del Regno di Napoli'' (1723), in cui si citano vari stralci della bolla pontificia, con la quale Clemente IV concesse l'investitura a Carlo d'Angiò «''pro Regno Siciliae, ac Tota Terra, quae est citra Pharum, usque ad confiniam Terrarum, excepta [[Benevento|Civitate Beneventana]]'' [...]». In un altro passo la bolla proclamava: «''Clemens IV infeudavit Regnum Siciliae citra, et ultra Pharum''». Secondo Giannone è dunque questa l'origine del titolo ''rex utriusque Siciliae'', che tuttavia Carlo d'Angiò non usò mai nei suoi atti ufficiali, preferendo gli antichi titoli dei sovrani normanni e svevi.<ref>{{Cita libro |autore=Pietro Giannone |url=http://books.google.it/books?id=y6OlfyB91T0C&pg=PA574 |titolo=Istoria civile del Regno di Napoli |volume=1 |città=Milano |editore=Nicolò Bettoni & Compagnia |anno=1833 |p=574 |accesso=13 dicembre 2023}}</ref>
== Storia ==
=== Genesi ===
{{vedi anche|Due Sicilie|Rex utriusque Siciliae}}
[[File:Pisanello - Codex Vallardi 2307.jpg|thumb|[[Alfonso il Magnanimo]]|150px|left]]
Il [[Regno di Sicilia]], nato nel [[1130]], iniziò ad essere indicato come ''Regno di Sicilia al di là del faro'' (o ''ulteriore'') e ''Regno di Sicilia al di qua del faro'' (o ''citeriore''), in riferimento al [[faro di Messina]] e quindi all'[[stretto di Messina|omonimo stretto]]
La prima menzione ufficiale del [[toponimo]] "Due Sicilie" si ebbe invece quando [[Alfonso V d'Aragona]] nel [[1442]]
==== Il XVIII secolo ====
{{Vedi anche|Regno di Napoli|Regno di Sicilia (
[[File:Constitutiones regum regni utriusque Siciliae, 1786 – BEIC 15134785.jpg|thumb|upright|left|''Constitutiones regum regni utriusque Siciliae'', 1786]]
[[File:Koenigreich beider Sizilien.jpg|upright=1.4|thumb|Mappa del XIX secolo del Regno delle Due Sicilie]]
Nel [[1734]] [[Carlo III di Spagna|Carlo di Borbone]], figlio di [[Filippo V di Spagna|Filippo V]] [[re di Spagna]] e di [[Elisabetta Farnese]], portò a termine con successo la [[conquista borbonica delle Due Sicilie|conquista militare del Regno di Napoli e del Regno di Sicilia]], facendo il suo ingresso a [[Napoli]] il 10 maggio; il 25 maggio sconfisse gli austriaci a [[Battaglia di Bitonto|Bitonto]] e il 2 gennaio [[1735]] assunse il titolo di re di Napoli "''senza numerazione specifica''". Quindi completò la conquista della [[Sicilia]] e nel luglio 1735 venne incoronato a [[Palermo]] [[re di Sicilia]].
Mantenne quindi la separazione tra i due regni: a Napoli regnò con sovranità assoluta come [[Dispotismo illuminato|despota illuminato]], in Sicilia come [[Monarchia parlamentare|monarca parlamentare]], e mantenne e convocò il [[Parlamento siciliano]]<ref>[[Francesco Renda]], ''Storia della Sicilia'', 2006, Sellerio, secondo volume, pagina721</ref>. Le capitali restarono due, ma mantenne la corte a Napoli. Carlo non ebbe un'effettiva autonomia dalla Spagna fino alla [[Trattato di Vienna (1738)|pace di Vienna]] del [[1738]], con la quale si concluse la [[guerra di successione polacca]]. Secondo gli accordi stipulati, l'[[Austria]] cedeva a [[Carlo III di Spagna|Carlo di Borbone]] lo [[Stato dei Presidii]], il [[Regno di Napoli]] nonché il [[Regno di Sicilia]], che essa aveva scambiato con la Sardegna nel [[1720]] a seguito della [[Trattato dell'Aia (1720)|Pace dell'Aia]].
Nel [[1759]], alla partenza di Carlo, divenuto re di Spagna, salì al trono all'età di soli 8 anni suo figlio [[Ferdinando I delle Due Sicilie|Ferdinando]]. Principali esponenti del Consiglio di Reggenza furono [[Domenico Cattaneo]] Della Volta, principe di San Nicandro, e il marchese [[Bernardo Tanucci]]. Durante la reggenza, come nel periodo successivo, fu principalmente il Tanucci ad avere in mano le redini dei due regni ed a continuare le riforme iniziate in età carolina.
==== Il periodo napoleonico ====
{{Vedi anche|Regno di Napoli|Invasione di Napoli (
==== Giuseppe Bonaparte ====
[[File:Coat of Arms of the Kingdom of Naples.svg|miniatura|[[Stemma del Regno di Napoli]] al tempo di [[Giuseppe Bonaparte]] (1806-1808).]]
Il successivo quinquennio vide il Regno seguire una politica altalenante nei confronti della [[Primo Impero francese|Francia napoleonica]] che, per quanto ormai egemone sul continente, rimase sostanzialmente sulla difensiva sui mari: questa situazione non consentì al regno napoletano, strategicamente posizionato nel [[Mar Mediterraneo|Mediterraneo]], di mantenere una stretta neutralità nel conflitto a tutto campo fra francesi e inglesi, i quali a loro volta minacciavano di invadere e conquistare la [[Sicilia]].
Dal 1805 i francesi tornarono ad occupare la parte continentale del regno, stanziando in [[Puglia]] un presidio militare.<ref>Rao A. M., ''La prima restaurazione borbonica'' in «Storia del Mezzogiorno», in particolare pp. 543-560, vol. IV, tomo II, ''Il Regno dagli Angioini ai Borboni'', [[Roma]] 1986.</ref>
Il Regno di Napoli borbonico l'11 settembre 1805 era entrato nella [[terza coalizione]] antifrancese. Dopo la vittoria di [[Battaglia di Austerlitz|Austerlitz]] del 2 dicembre 1805, [[Napoleone Bonaparte]] regolò definitivamente i conti con Napoli. Il 27 dicembre emise un proclama da [[Schönbrunn]] dichiarando decaduta la dinastia borbonica, che Ferdinando aveva perso il suo regno e che "il più bello dei paesi è sollevato dal giogo del più infedele degli uomini".
Dopo la vittoria di [[Battaglia di Austerlitz|Austerlitz]] del 2 dicembre [[1805]], [[Napoleone Bonaparte]] regolò definitivamente i conti con Napoli: promosse l'[[Invasione di Napoli (1806)|occupazione del napoletano]], condotta con successo dal [[Laurent de Gouvion-Saint-Cyr|Gouvion-Saint-Cyr]] e dal [[Jean Reynier|Reynier]], e dichiarò quindi decaduta la dinastia borbonica, che l'11 aprile dello stesso anno era entrata nella [[terza coalizione]] antifrancese, palesemente ostile a Napoleone. Ferdinando con la sua corte se ne tornò a Palermo, sotto la protezione inglese. L'imperatore dei francesi nominò quindi il fratello [[Giuseppe Bonaparte|Giuseppe]] "Re di Napoli". Intanto nelle province del [[Mezzogiorno (Italia)|Mezzogiorno]] (soprattutto in [[Basilicata]] e [[Calabria]]) tornò ad organizzarsi la [[Insurrezione calabrese|resistenza antinapoleonica]].
Fra i vari capitani degli insorti filoborbonici (tra cui vi erano sia militari di professione che banditi comuni) si distinsero, in [[Calabria]] e [[Terra di Lavoro]], il brigante di [[Itri]] [[Michele Pezza]], detto ''Fra Diavolo'', e in [[Basilicata]] il colonnello [[Alessandro Mandarini]] di [[Maratea]]. La repressione del moto antifrancese fu affidata, principalmente, ai generali [[André Massena]] e [[Jean Maximilien Lamarque]] i quali riuscirono a frenare la ribellione, anche se con espedienti estremamente crudeli, come accadde ad esempio nel cosiddetto [[massacro di Lauria]], perpetrato dai soldati di Massena.Lo stesso anno fra Diavolo venne catturato dai francesi ed impiccato a Napoli.
Sotto un'amministrazione prevalentemente straniera, composta dal [[Corsica|còrso]] [[Antoine Christophe Saliceti]], [[André-François Miot]] e [[Pierre-Louis Roederer]], furono tentate, ancora una volta, e finalmente per buona parte attuate, riforme radicali quali l'[[Leggi eversive della feudalità|eversione della feudalità]] e la soppressione degli [[ordine religioso|ordini regolari]]; in più furono istituiti l'[[latifondo|imposta fondiaria]] e un nuovo catasto onciario.
{{Citazione|La feudalità con tutte le sue attribuzioni resta abolita. Tutte le giurisdizioni sinora baronali, ed i proventi qualunque che vi siano stati annessi, sono reintegrati alla sovranità, dalla quale saranno inseparabili|legge di eversione della feudalità del 2 agosto [[1806]]}}
La lotta alla feudalità fu efficace anche grazie al contributo di [[Giuseppe Zurlo]] e dei giuristi componenti l'apposita [[Commissione Feudale|Commissione]], che, presieduta da [[Davide Winspeare]] (già al servizio dei Borboni in veste di mediatore fra la corte di Palermo e le truppe francesi nel [[Mezzogiorno (Italia)|Mezzogiorno]]), ebbe l'incarico di dirimere le controversie tra municipi e [[Barone|baroni]], e alla fine riuscì a produrre un taglio netto col passato e dunque la nascita della proprietà borghese anche nel Regno di Napoli, sostenuta poi dallo stesso Gioacchino Murat.
A fianco di una serie di riforme che coinvolsero anche il sistema tributario e giuridico, il nuovo governo istituì il primo sistema di province, distretti e [[Suddivisione amministrativa del Regno delle Due Sicilie#Circondari|circondari]] del regno, ad organizzazione civile, con a capo rispettivamente un [[intendenza|intendente]], un sottintendente e un governatore, poi [[giudice di pace]]. Le nuove province erano [[Abruzzo Ulteriore Primo|Abruzzo Ultra I]], [[Abruzzo Ulteriore Secondo|Abruzzo Ultra II]], [[Abruzzo Citra]], [[Contado di Molise|Molise]] (con capoluogo [[Campobasso]]), [[Capitanata]] (con capoluogo [[Foggia]]), [[Terra di Bari (provincia)|Terra di Bari]], [[Terra d'Otranto]], [[Giustizierato di Basilicata|Basilicata]], [[Calabria Citeriore|Calabria Citra]], [[Calabria Ulteriore|Calabria Ultra]], [[Principato Citra]], [[Principato Ultra]], [[Provincia di Terra di Lavoro (1806-1860)|Terra di Lavoro]] (con capoluogo [[Capua]]), [[Provincia di Napoli (1806-1860)|Napoli]].<ref>{{Cita web|url=http://www.cnr.it/commesse/Allegato_100881.pdf?LO=01000000d9c8b7a6090000000900000060b000000a7d9c53000000000100000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000000&type=application/pdf|titolo=Archivio storico per le province napoletane (decennio francese).|urlmorto=sì}}</ref>.
Infine l'alienazione dei beni dei monasteri e dei feudatari attirò a Napoli un cospicuo numero di investitori francesi, gli unici in grado, insieme ai vecchi nobili locali, di disporre dei capitali necessari per acquistare terreni e beni immobili. Sull'esempio della [[Legion d'onore]] in [[Francia]], Giuseppe Bonaparte istituì a [[Napoli]] l'[[Ordine Reale delle Due Sicilie]] per conferire riconoscimenti ai meriti delle nuove personalità che si distinguevano nello Stato riformato<ref name="Villani">Villani P., ''Il Decennio francese'' in «Storia del Mezzogiorno», vol. IV, tomo II, ''Il Regno dagli Angoini ai Borboni'', [[Roma]] 1986.</ref>.
==== Gioacchino Murat ====
{{Vedi anche|Esercito del Regno di Napoli|Guerra austro-napoletana|Esercito delle Due Sicilie}}
[[File:Murat2.jpg|thumb|[[Gioacchino Murat]], [[re di Napoli]].]]
[[File:Neapolitan War.jpg|left|thumb|La campagna militare del Murat nell'[[Italia settentrionale]].]]
[[File:Coat of Arms of the Kingdom of Naples (1808).svg|miniatura|[[Stemma del Regno di Napoli]] sotto [[Gioacchino Murat]] (1808-1815).]]
{{Citazione|Ottantamila Italiani degli Stati di Napoli, marciano comandati dal loro Re, e giurano di non dimandare riposo, se non dopo la liberazione d'[[Italia]]|Gioacchino Murat, ''[[Proclama di Rimini]]'', 30 marzo [[1815]]}}
A Giuseppe Bonaparte, nel 1808 destinato a regnare sulla Spagna, succedette [[Gioacchino Murat]], che fu incoronato da [[Napoleone Bonaparte|Napoleone]] il 1º agosto dello stesso anno, col nome di Gioacchino Napoleone, ''re delle [[Due Sicilie]]'',<ref>{{cita web|url=http://bp3.blogger.com/_24klMrIuq58/Rl6iFe3-oZI/AAAAAAAAANE/Ys2vdy9W3rA/s1600-h/Murat1.jpg|titolo=Documento ufficiale con il titolo di Gioacchino Murat|accesso=6 gennaio 2008|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20130130184951/http://bp3.blogger.com/_24klMrIuq58/Rl6iFe3-oZI/AAAAAAAAANE/Ys2vdy9W3rA/s1600-h/Murat1.jpg|urlmorto=sì}}</ref> ''par la grace de Dieu et par la Constitution de l'Etat'', in ottemperanza allo [[Statuto di Baiona]] che fu concesso al regno di Napoli da [[Giuseppe Bonaparte]]. Il nuovo sovrano catturò immediatamente la benevolenza dei cittadini [[Invasione di Capri|liberando]] [[Capri (Italia)|Capri]] dall'occupazione inglese, risalente al [[1805]].
Aggregò poi il distretto di [[Larino]] alla [[provincia di Molise]]. Fondò, con decreto del 18 novembre [[1808]], il ''Corpo degli ingegneri di Ponti e Strade'' e avviò opere pubbliche di rilievo non solo a Napoli (il [[ponte della Sanità]], [[via Posillipo]], nuovi scavi ad [[Scavi archeologici di Ercolano|Ercolano]], il Campo di Marte, area dove oggi sorge l'[[Aeroporto di Napoli-Capodichino]]), ma anche nel resto del Regno: l'illuminazione pubblica a [[Reggio Calabria|Reggio di Calabria]], il progetto del [[Murat (Bari)|Borgo Nuovo]] di [[Bari]], l'istituzione dell'[[ospedale San Carlo]] di [[Potenza (Italia)|Potenza]], [[Guarnigione|Guarnigioni]] dislocate nel [[Distretto di Lagonegro]] con monumenti e illuminazioni pubbliche, più l'ammodernamento della viabilità nelle montagne d'[[Abruzzo]]. Fu promotore del ''[[Codice Napoleone]]'', entrato in vigore nel regno il 1º gennaio [[1809]], un nuovo sistema legislativo civile che, fra le altre cose, consentiva per la prima volta in [[Italia]] il [[divorzio]] e il [[matrimonio civile]]: il codice suscitò subito polemiche nel clero più conservatore, che vedeva sottratto alle parrocchie il privilegio della gestione delle politiche familiari, risalente al [[1560]]<ref>''«[[Codice Napoleone]]»,'' articoli 220-301.</ref><ref>Tallarico M. A., ''Il vescovo Bernardo della Torre e i rapporti Stato-Chiesa nel Decennio francese (1806-1815)'', in ''Annuario dell'Istituto Storico Italiano per l'Età Moderna e Contemporanea'', XXVII-XXVIII, 1975-1976, pag. 316</ref>. Nel [[1812]], grazie alle politiche del Murat, fu impiantata la prima cartiera del regno a sistema di produzione moderno presso [[Isola del Liri]], nell'edificio del soppresso convento dei [[Ordine dei Carmelitani Scalzi|carmelitani]], ad opera dell'industriale francese Carlo Antonio Beranger<ref>Pinelli V., ''L'occupazione francese'', in ''Quaderni di ricerche su Isola del Liri'', XI, pagg 44-45, Isola del Liri 1988</ref>.
Nel [[1808]], il sovrano incaricò di soffocare la recrudescenza del [[brigantaggio]] nel Regno il generale [[Charles Antoine Manhès]], che si distinse per metodi talmente feroci da essere soprannominato "lo Sterminatore" dai calabresi.<ref>Alexandre Dumas, ''I Borboni di Napoli, Volumi 7-8'', Stabilimento Tipografico del Plebiscito Chiaia 63, 1863, p.324</ref> Dopo aver domato con poche difficoltà le rivolte nel [[Cilento]] e negli [[Abruzzi]], Manhès pose il suo quartier generale a [[Potenza (Italia)|Potenza]], proseguendo con successo l'attività repressiva nelle restanti zone meridionali, soprattutto in [[Basilicata]] e [[Calabria]], province più vicine alla [[Sicilia]], da cui i briganti ricevevano sostegno dalla corte borbonica in esilio.<ref>Francesco Saverio Nitti, ''Scritti sulla questione meridionale'', Laterza, 1958, p.67</ref> Napoleone rifiutò qualsiasi concessione e pretese invece che i dazi di importazione sui tessuti e altri prodotti francesi a Napoli fossero dimezzati. {{Senza fonte|Murat rispose sconvolto: «Se le intenzioni di Sua Maestà fossero messe in pratica, si determinerebbe la rovina totale del mio Regno».}}
{{Senza fonte|I rapporti con Parigi divennero nuovamente tesi. Il 30 gennaio il duca di Bassano pretese che Napoli fornisse in breve tempo 16.000 fanti, 2.500 cavalieri e 20 pezzi di artiglieria per la Grande Armée. Il ministro plenipotenziario napoletano a Parigi, il duca di Carignano, osservò che era impossibile soddisfare tali richieste, visto che le coste del regno erano minacciate e non si poteva rischiare di impiegare truppe su altri fronti. Era possibile, al massimo, ordinare una nuova coscrizione. Le truppe rimaste per difendere il Sud e mantenere l’ordine erano meno della metà rispetto alle stime e c’era bisogno di acquistare moschetti, armi corte e cavalli dalla Francia. Anche le difese marittime erano rimaste senza mezzi militari per mancanza di fondi.
Il generale Tugny, il ministro napoletano della Guerra, calcolò che, entro dicembre del 1812, Napoli avrebbe fornito 11.971 fanti, 2.050 cavalieri e 1.994 cavalli agli eserciti impegnati in Spagna ed Europa centrale, sottolineando anche che il contributo complessivo per le guerre dell’Imperatore a partire dal 1808 era stato di 19.501 uomini e 2.471 cavalli.}}
Nell'[[estate]] del [[1810]] Murat tentò uno sbarco in [[Sicilia]] per riunire politicamente l'isola al continente; giunse a [[Scilla (Italia)|Scilla]] il 3 giugno dello stesso anno e vi restò sino al 5 luglio, quando fu completato un grande accampamento presso [[Piale]], frazione di [[Villa San Giovanni]], dove il re si stabilì con la corte, i ministri e le più alte cariche civili e militari. Il 26 settembre poi, constatando impresa difficile la conquista della [[Sicilia]], Murat dismise l'accampamento di Piale e ripartì per la capitale.
Grazie allo statuto di Baiona, la costituzione con cui Murat era stato proclamato da [[Napoleone Bonaparte|Napoleone]] re delle due Sicilie, il nuovo sovrano si considerava svincolato dal vassallaggio nei confronti dell'antica gerarchia francese, rappresentata a [[Napoli]] da molti funzionari nominati da [[Giuseppe Bonaparte]], e forte di questa linea politica, trovò maggior sostegno nei cittadini napoletani, che videro pure di buon occhio la partecipazione del Murat a diverse cerimonie religiose e la concessione regia di alcuni titoli dell'[[Ordine Reale delle Due Sicilie]] a vescovi e sacerdoti cattolici<ref>Spinosa A., ''Murat. Da stalliere a Re di Napoli'', Mondadori ed., Milano 1984.</ref>. Re Gioacchino prese parte fino al [[1813]] alle [[guerre napoleoniche|campagne napoleoniche]]<ref>Pierre-Marie Delpu, ''Les répercussions de la campagne de Russie dans le royaume de Naples (1812-1815) : origine ou révélateur d'une crise politique?'', Annales historiques de la Révolution française 2016/2 (nº 384).</ref> ma la crisi politica del [[Napoleone Bonaparte|Bonaparte]] non fu un ostacolo alla sua politica internazionale. Cercò fino al [[congresso di Vienna]] il sostegno delle potenze europee, schierando le truppe napoletane anche contro la [[Francia]] ed il [[Regno d'Italia (1805-1814)|Regno napoleonico d'Italia]], sostenendo invece l'esercito [[Impero austriaco|austriaco]] che scendeva a sud per la conquista della [[Val Padana]]: con l'occasione occupò le [[Marche]], l'[[Umbria]] e l'[[Emilia-Romagna]] fino a [[Modena]] e [[Reggio Emilia]], bene accolto dalle popolazioni locali<ref>{{Cita web |url=http://www.gianfrancoronchi.net/foto/forli/MURAT/1814-_18-aprile_-Ultimo-periodo-Napoleonico |titolo=Un documento del governo Murat a Forlì |accesso=30 novembre 2015 |urlarchivio=https://web.archive.org/web/20151208075407/http://www.gianfrancoronchi.net/foto/forli/MURAT/1814-_18-aprile_-Ultimo-periodo-Napoleonico |urlmorto=no }}</ref>.
Conservò più a lungo la corona, ma non si liberò dell'ostilità [[Gran Bretagna|britannica]] e della nuova Francia di [[Luigi XVIII]], inimicizie che impedirono l'invito di una delegazione napoletana al Congresso, e così ogni sanzione alla occupazione napoletana di Umbria, Marche e Legazioni, risalenti alla campagna del [[1814]].
Tale incertezza politica spinse il re ad una mossa azzardata: prese contatto con Napoleone all'[[isola d'Elba]] e si accordò con l'imperatore in esilio, in vista del tentativo dei [[Cento giorni]]. Murat diede inizio alla [[guerra austro-napoletana]], attaccando gli stati alleati dell'[[Impero austriaco]]; a seguito di questa seconda svolta militare, Murat lanciò il famoso ''[[Proclama di Rimini]]'',<ref>{{Cita web |url=http://www.roth37.it/COINS/Murat/rimini.gif |titolo=Il testo e l'immagine del proclama di Rimini |accesso=17 gennaio 2008 |urlarchivio=https://web.archive.org/web/20060605053653/http://www.roth37.it/COINS/Murat/rimini.gif |urlmorto=no }}</ref> un appello all'unione dei popoli italiani, convenzionalmente considerato l'inizio del [[Risorgimento]]. La campagna unitaria però naufragò il 4 maggio [[1815]], quando gli austriaci lo sconfissero nella [[battaglia di Tolentino]]: col [[trattato di Casalanza]] infine, firmato presso [[Capua]] il 20 maggio [[1815]] dai generali austriaci e murattiani, il regno di Napoli tornava alla corona borbonica.<ref>Tra le clausole del trattato, in cui [[Pietro Colletta]] rappresentò la parte napoletana, c'era la possibilità per Murat, che sembrava avesse manifestato l'intenzione di abdicare, di far ritorno in [[Francia]], suo paese natale.</ref> L'epopea murattiana terminò con l'ultima spedizione navale che il generale tentò dalla [[Corsica]] verso [[Napoli]], dirottata poi verso la [[Calabria]] dove, a [[Pizzo Calabro]], Murat fu catturato e fucilato sul posto.<ref name= Villani /><ref>Valente A., ''Gioacchino Murat e l'Italia meridionale'', Einaudi, Torino 1976</ref>
==== Ferdinando in Sicilia e la restaurazione ====
{{Vedi anche|Costituzione siciliana del 1812}}
[[File:Casina Reale Ficuzza 0162.JPG|thumb|upright=1.4|Palazzo reale della [[Ficuzza]], nei [[Monti Sicani]], dove [[Ferdinando III di Sicilia|Ferdinando]] visse alcuni anni]]
Ferdinando, rifugiatosi per la seconda volta a Palermo nel [[1806]] a causa dell'invasione francese, trovò un'atmosfera tutt'altro che festosa, non volendo il popolo siciliano sottostare al suo predominio. Il re, nel [[1810]], riunì il [[Parlamento siciliano]], domandando personalmente aiuti adeguati per la salvaguardia del regno minacciato dai francesi, ma la rivolta esplose nell'isola. Il 12 luglio [[1812]] il re promulgò la [[Costituzione siciliana del 1812|Costituzione siciliana]], mentre il figlio Francesco venne nominato reggente, e un nuovo governo fu insediato con i notabili siciliani. Solo nel [[1815]] poterono tornare a Napoli.
Il secondo ritorno di Ferdinando a Napoli non fu caratterizzato da repressioni. Il sovrano mantenne gran parte delle riforme attuate dai francesi (fu però, ad esempio, abolito il [[divorzio]]), incluse le norme del [[Codice Napoleonico]] adottato durante il decennio francese, che venne ribattezzato "Codice per lo Regno delle Due Sicilie". Unico taglio di rilievo con il periodo napoleonico si ebbe nei rapporti con la chiesa, che tornò ad occupare un ruolo di primo piano nella vita civile del regno.<ref>Severino Caprioli, Codice Civile - strutture e vicende, Giuffrè Editore, Milano 2008, pag. 54</ref> Questo processo di "amalgama" venne gestito dal primo ministro [[Luigi de' Medici di Ottajano]], nominato nel giugno [[1816]], il quale mirava a fondere in un unico ceto il personale politico e burocratico di epoca murattiana con quello borbonico, volendo guadagnare il primo alla causa della monarchia restaurata.<ref name=autogenerato3>Gabriele De Rosa, Storia Contemporanea, Minerva Italica</ref>
=== Nascita del Regno delle Due Sicilie ===
[[File:Dominii citra et ultra Pharum.jpg|thumb|Pubblicazione ufficiale del Regno delle Due Sicilie]]
La politica di assolutismo riformistico condotta dal governo napoletano del Medici portò inoltre all'effettiva unificazione delle province napoletane con quelle siciliane. Dopo il [[congresso di Vienna]] ed il [[trattato di Casalanza]] (20 maggio 1815), l'8 dicembre [[1816]], Ferdinando IV riunì in un unico Stato i regni di Napoli e di Sicilia con la denominazione di ''Regno delle Due Sicilie'', abbandonando per sé il nome di Ferdinando IV di Napoli e III di Sicilia ed assumendo quello di [[Ferdinando I delle Due Sicilie]]. Tale atto ebbe
[[File:Diploma carboneria 1820.png|thumb|Diploma da carbonaro, 1820|250px|left]]
Sino al Congresso di Vienna, il Regno di Sicilia, rappresentato dal [[Parlamento siciliano]], aveva mantenuto una propria formale indipendenza, nonostante l'unione personale (ovvero unico re per due regni) con il Regno di Napoli.
L'atto di unificazione venne visto dalla classe politica e nobiliare siciliana come un affronto verso quello che ininterrottamente, e da circa 600 anni, era stato un regno indipendente a tutti gli effetti.<ref name="Salvatore Bottari 2002">Salvatore Bottari, Rosario Romeo e il Risorgimento in Sicilia: bilancio storico e prospettive di ricerca, Rubbettino 2002, pag. 59</ref> Quasi immediatamente ebbe inizio una campagna anti-borbonica, accompagnata da una propaganda dell'identità siciliana, soprattutto per azione delle élite aristocratiche di Palermo. Anche la capitale del nuovo regno fu spostata a Napoli, mentre il principe Francesco diventava Luogotenente generale di Sicilia. Come privilegi furono mantenuti per i siciliani il [[Porto franco (economia)|porto franco]] a Messina, l'esclusione dalla leva militare, la non applicazione dalle tasse sul sale e la libera coltivazione del tabacco. Nel governo fu istituito dal 1820 un Ministero per gli Affari di Sicilia.
La restaurazione, {{
[[File:Guglielmo Pepe Illustration.jpg|thumb|left|[[Guglielmo Pepe]], figura di spicco dei moti del '20 e successivamente [[Repubblica di San Marco|difensore di Venezia]].]]
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Anche nel napoletano questa crescente richiesta di rinnovamento portò, nella notte tra il 1° ed il 2 luglio 1820, al pronunciamento a [[Nola]] di un gruppo di militari di cavalleria, capeggiato dai sottotenenti [[Michele Morelli]] e [[Giuseppe Silvati]]. L'iniziativa del moto rivoluzionario nel napoletano fu presa in seguito al successo della [[Moti del 1820-1821|rivolta costituzionale spagnola]] del gennaio 1820. Il colpo di Stato nel Regno delle Due Sicilie fu attuato con l'ausilio dalla Carboneria e degli alti ufficiali delle Forze Armate, tra cui [[Guglielmo Pepe]], che assunse il comando delle forze rivoluzionarie.
Re [[Ferdinando
Il 16 luglio ci fu intanto l'insediamento a Palermo di un governo provvisorio dichiaratamente indipendentista, che chiese al governo rivoluzionario di Napoli il ripristino del [[Regno di Sicilia]], seppur sempre a guida borbonica, e un proprio parlamento.
Il governo napoletano in un primo momento inviò il 30 agosto in Sicilia il generale [[Florestano Pepe]], che, con l'accordo di Termini Imerese del 22 settembre, concesse ai siciliani la possibilità di eleggere una propria [[parlamento siciliano|assemblea di deputati]], accordo che non fu ratificato dal neoeletto parlamento di Napoli<ref>
Tuttavia la borghesia dell'isola vide in questo gesto il tradimento delle proprie aspirazioni indipendentistiche, il che costrinse il governo napoletano ad inviare il 14 ottobre nell'isola il generale [[Pietro Colletta]], con l'ordine di imporre con la forza ai siciliani la volontà unitaria del governo centrale. La mancata coordinazione delle forze delle varie città siciliane portò all'indebolimento del governo provvisorio (Messina e Catania osteggiarono la rivendicazione di Palermo a voler governare l'Isola), che ben presto cadde sotto i colpi della repressione borbonica<ref name="Salvatore Bottari 2002"/>. Il 22 novembre così la Sicilia tornò sotto il controllo del governo costituzionale di Napoli.
Le novità introdotte nel Regno Due Sicilie con i moti del [[1820]] non furono però gradite dai governi delle grandi potenze europee, specie dall'Austria di [[Klemens von Metternich|Metternich]] che, dopo il [[congresso di Troppau]] del 27 ottobre 1820, convocò Ferdinando I a [[Congresso di Lubiana|Lubiana]] perché chiarisse il suo atteggiamento riguardo alla costituzione che aveva concesso. {{Senza fonte|Alla partenza del re si oppose, tra gli altri, il principe ereditario Francesco}}. Metternich, preoccupato delle conseguenze che il moto napoletano avrebbe potuto suscitare negli altri stati italiani, organizzò col favore di Ferdinando un intervento armato austriaco con lo scopo di sopprimere il governo costituzionale napoletano, nonostante i pareri discordi di altre potenze europee.
Il governo napoletano, che sperava invano in una difesa della Costituzione da parte
Nel marzo [[1821]] il Regno delle Due Sicilie fu attaccato dalle truppe austriache, le quali sconfissero l'esercito costituzionale napoletano, comandato da [[Guglielmo Pepe]] nella [[battaglia di Rieti-Antrodoco]]. A fiaccare lo spirito combattivo delle altre truppe dell'[[Esercito delle Due Sicilie|esercito napoletano]] valse anche un ''proclama'' di re Ferdinando che, al seguito degli austriaci, invitava a deporre le armi e a non combattere «coloro che venivano a ristabilire l'ordine nel Regno».
[[File:Famiglia di Francesco I.jpg|thumb|[[Francesco I delle Due Sicilie|Francesco I]] e famiglia reale]]
Il 23 marzo [[1821]] Napoli venne occupata, la costituzione venne ''sospesa'' e cominciarono le repressioni: si contarono alla fine 13 ergastoli e 30 condanne a morte, tra cui si ricordano quelle di Morelli e Silvati
=== Francesco I delle Due Sicilie ===
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Il governo di Francesco I ottenne un importante successo politico nel 1827, quando riuscì a far sgomberare il regno dalle truppe austriache che lo occupavano dal 1821. Allo stesso tempo si provvide a riorganizzare il [[Esercito delle Due Sicilie|Real Esercito]], affidando il suo comando al principe ereditario Ferdinando e portandolo alla consistenza che aveva prima del 1820. Questa volta si cercò di fare della forza armata un valido puntello della monarchia, escludendo quindi tutti quei militari con precedenti esperienze carbonare o murattiane e reclutando 4 reggimenti svizzeri.
Nonostante l'introduzione di metodi duramente repressivi {{senza fonte| e la nascita di influenti movimenti culturali cattolico-reazionari}}, non si riuscì a domare l'opposizione settaria e ad impedire lo sviluppo di un pensiero politico liberale. Nel Regno delle Due Sicilie l'insurrezione settaria esplose nuovamente nel giugno [[Moti del Cilento (1828)|1828 nel Cilento]], capeggiata da elementi del Parlamento del 1820, con la proclamazione della costituzione secondo il modello francese. Tuttavia questa rivolta fu rapidamente stroncata dalla Gendarmeria Reale guidata dal colonnello [[Francesco Saverio
=== Ferdinando II, le riforme e il 1848 ===
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[[File:Statua ferdinando II.JPG|thumb|left|Statua in ghisa di Ferdinando II]]
[[File:Re galantuomo.jpg|thumb|Il [[Re Galantuomo (pirovascello)|Monarca]], vascello dell'[[Real Marina del Regno delle Due Sicilie|Armata di Mare]]. Al momento del varo (1850) era la più potente nave da guerra italiana<ref>Lamberto Radogna, Storia della Marina Militare delle Due Sicilie, Mursia 1978, pag. 130</ref>]]
Alla morte di Francesco I, l'8 novembre [[1830]], il regno passò al figlio [[Ferdinando II delle Due Sicilie|Ferdinando II]], allora solo ventenne. Il giovane sovrano dimostrò subito idee più liberali e un atteggiamento affabile verso il popolo<ref name="Harold Acton 1861">Harold Acton, Gli ultimi Borboni di Napoli (1825-1861), Giunti 1997</ref>: provvide a richiamare in patria e a reinserire negli incarichi numerosi esuli (tra i quali il generale [[Guglielmo Pepe]], chiamato per sedare i moti scoppiati in Sicilia, ed il Carrascosa) e reintegrare nelle loro funzioni i più meritevoli, non solo tra gli ufficiali che avevano servito sotto [[Gioacchino Murat|Murat]],
Il suo governo fu caratterizzato da riforme volte a migliorare l'[[economia]] al fine di eliminare gradualmente il deficit formatosi tra il '21 e il '30. Furono abolite le tenute di caccia e ridotte le spese della corte e di alcuni ministeri<ref>{{Cita web|url=https://www.treccani.it/enciclopedia/ferdinando-ii-di-borbone-re-delle-due-sicilie_(Dizionario-Biografico)|titolo=FERDINANDO II di Borbone, re delle Due Sicilie in "Dizionario Biografico"|lingua=it|accesso=22 gennaio 2022}}</ref>.
In [[politica estera]] Ferdinando cercò di mantenere il regno fuori dalle sfere di influenza delle potenze dell'epoca: "''la sua parola d'ordine era «Indipendenza»''"<ref name="Harold Acton 1861"/>. Tale indirizzo era concretamente perseguito pur favorendo l'iniziativa straniera nel reame, ma sempre in un'ottica di acquisizione di conoscenze tecnologiche che consentissero, in tempi relativamente brevi, l'affrancamento da [[Monarchia di luglio|Francia]]
A tal proposito bisogna ricordare che nel 1816 il [[Governo del Regno Unito|governo britannico]] si era fatto concedere da Ferdinando I il monopolio dello sfruttamento dello [[Zolfo di Sicilia|zolfo siciliano]]<ref>{{Cita web |url=http://www.irsap-agrigentum.it/miniera6.htm |titolo=Agli inglesi il monopolio dello zolfo siciliano - 24 settembre 1816 |accesso=18 marzo 2010}}</ref> a prezzi molto bassi (va ricordato che lo zolfo era una materia d'importanza strategica per l'industria del tempo). Ferdinando II, deciso a ridurre la tassazione attraverso l'abolizione della tassa sul macinato, decise di affidare il monopolio ad una società francese che concedeva un pagamento più che doppio rispetto agli inglesi: questa misura innescò la cosiddetta "[[questione degli zolfi]]". Il primo ministro britannico [[Henry John Temple, III visconte Palmerston|Lord
==== I moti rivoluzionari ====
Nel gennaio del 1848, con la riaffermazione di movimenti regionalistici risvegliati dalla recente crisi europea, il Regno delle Due Sicilie vide scoppiare una nuova [[Rivoluzione siciliana del 1848|insurrezione in Sicilia]], avvenimento che innescò moti similari nel resto del reame e di conseguenza nel resto d'Italia, con risvolti decisivi per la successiva storia nazionale. La rivoluzione siciliana scoppiò il 12 gennaio [[1848]] in [[Fieravecchia|Piazza della Fieravecchia]] a Palermo, capitanata da Giuseppe La Masa. In un primo momento la rivolta vide la partecipazione massiccia dei popolani palermitani a cui seguì l'adesione della borghesia liberale, mossa soprattutto dalla volontà di ripristinare il [[Regno di Sicilia (1735-1816)|Regno insulare di Sicilia]] e la [[Costituzione siciliana del 1812|Costituzione del 1812]]. Dopo sanguinosi scontri, La Masa, al comando di un esercito popolare, riuscì a scacciare la luogotenenza generale e gran parte dell'esercito borbonico dalla Sicilia, costituendo un «comitato generale rivoluzionario». Il comitato generale istituì un governo provvisorio a Palermo; tra le felicitazioni generali e l'ottimismo, [[Ruggero Settimo]], un liberale moderato appartenente alla nobiltà siciliana, venne nominato presidente.
[[File:Ferdinando II giura la Costituzione Napoli 24 febbraio 1848.png|thumb|Ferdinando II giura
[[File:Napoli 15 maggio 1848.png|thumb|Barricate a Napoli (15 maggio 1848)]]
L'estensione del movimento insurrezionale alla Campania e al resto del regno fu immediato. Il re, dopo alcuni tentativi di frenare il movimento con
Concessa la Costituzione Ferdinando II, avallando le richieste del nuovo governo, si fece promotore di nuove riforme di stampo schiettamente liberale. Tra le molte riforme progettate dal governo costituzionale del '48 si ricorda ad esempio quella della Pubblica Istruzione, che venne affidata dal re a [[Francesco de Sanctis]]. La Costituzione tuttavia non intaccava in modo sostanziale il potere regio, in quanto al re spettava il potere esecutivo, mentre condivideva quello legislativo
Intanto in Sicilia, l'11 febbraio, venne promulgata la Costituzione, giurata il 24 febbraio, nel medesimo giorno della fuga di Luigi Filippo da Parigi. Il 25 marzo del 1848 si riunì il [[Parlamento Siciliano|Parlamento Generale di Sicilia]], con un governo rivoluzionario presieduto da [[Ruggero Settimo]] e composto da ministri eletti dallo stesso presidente, che proclamò l'indipendenza dell'isola ricostituendo il [[Regno di Sicilia (1848-1849)|Regno di Sicilia]].
All'ottimismo tuttavia seguì ben presto la disillusione; le forze politiche in coalizione apparvero infatti assai in contrasto: vi era nutrita presenza di liberali moderati, contrapposta a democratici e a qualche mazziniano.
I campi che accesero la miccia delle rivalità furono soprattutto l'istituzione di una Guardia Nazionale e del [[suffragio universale]], entrambe sostenute soprattutto da [[Pasquale Calvi]], membro democratico del governo. Scarse prese di posizione vi erano su che linea di comportamento intraprendere verso il governo di Napoli e la possibilità di prendere o meno parte alla formazione dello Stato Italiano, quest'ultima sostenuta solo dalla minoranza mazziniana<ref>[http://www.ninnigiuffrida.it/public/sc1_dir/docs/doc_Storia_della_Sicilia_moderna---Materiali/L.%20Riall%20%20Il%20Risorgimento%20in%20Sicilia.pdf , L. Riall, Il Risorgimento in Sicilia, in F. Benigno - G. Giarrizzo (a cura di) Storia della Sicilia. Dal Seicento ad oggi, Roma-Bari, Laterza, 2003, p. 38.]</ref>. Intanto, nonostante l'appoggio concreto delle città siciliane al governo provvisorio di Settimo, le aree rurali divennero scarsamente controllate e agitazioni contadine misero in serie difficoltà le amministrazioni locali.
Le elezioni nel Regno delle Due Sicilie continentale invece si tennero nel mese di aprile. Il superamento di questa delicata fase non pose termine ad una disputa fra il sovrano, che considerava la Costituzione appena concessa come base del nuovo ordinamento rappresentativo, e la parte più radicale dei neoeletti che, al contrario, intendeva "svolgerla" (come si diceva con terminologia apparentemente neutra), ovvero il primo atto del Parlamento avrebbe dovuto essere la modifica della Costituzione appena promulgata.
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[[File:Carlo Filangieri busto.jpg|thumb|left|[[Carlo Filangieri, principe di Satriano]]. Protagonista delle guerre napoleoniche, soffocò la rivoluzione siciliana del 1848, fu successivamente primo ministro e ideatore della Costituzione del 1860]]
Ferdinando II in seguito ai fatti del 15 maggio decise di intraprendere una risoluta restaurazione assolutistica. Nel settembre 1848, dopo aver richiamato in patria l'armata napoletana [[Prima guerra di indipendenza italiana|schierata in Lombardia]] ed aver sospeso le attività parlamentari, il re decise di reprimere con la forza anche il separatismo siciliano. Già con il cosiddetto decreto di [[Gaeta]] Ferdinando II di Borbone riconquistò il possesso della Sicilia grazie alle azioni militari guidate del Generale [[Carlo Filangieri]], sciogliendo l'assise e bombardando le piazzeforti della città di [[Messina]] (azione che fece guadagnare a Ferdinando II l'appellativo di "''re bomba''").
La dura repressione borbonica dell'estate del 1849 contro un governo provvisorio ormai instabile, decretava la fine dell'esperienza rivoluzionaria del 1848-1849 e l'ulteriore allargamento del preesistente divario tra la classe politica siciliana e quella napoletana.
[[File:Carlo Poerio viene tradotto in carcere.png|thumb|''[[Carlo Poerio]] condotto all'ergastolo'', esce dalla Vicaria di Castel Capuano ammanettato con un comune detenuto ([[Nicola Parisi]])]]
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Anche se non vi fu una formale revoca della Costituzione, ma una sua "sospensione" a tempo indeterminato, dopo l'insurrezione siciliana e quella napoletana Ferdinando II decise di non intraprendere più alcuna riforma politica nel regno. Anche in questo caso vi fu un seguito di processi e condanne, tra cui quelle di [[Luigi Settembrini]] (illustre figura di filosofo ed educatore, già autore dalla ''Protesta del popolo delle Due Sicilie''), [[Filippo Agresti]] e [[Silvio Spaventa]]. Al ristabilimento dell'assolutismo seguì una decisa repressione del movimento liberale e dei tentativi insurrezionali (F. Bentivegna, [[Carlo Pisacane]]).
Domate le fiamme divampate nel [[1848]], per far ritornare all'ombra della corona le amministrazioni locali, in tutto il regno furono sottoscritte delle petizioni con le quali i cittadini, rappresentati dai sindaci, richiedevano l'abolizione dello Statuto. Gli esponenti del mondo liberale sostennero che, per riconciliare la borghesia alla corona, fosse stato l'allora [[Presidenti del Consiglio del Regno delle Due Sicilie|ministro segretario di stato]] [[Giustino Fortunato (1777-1862)|Giustino Fortunato]] a concepire l'ingegnoso espediente legislativo della petizione<ref name="DeCesare11">Raffaele de Cesare, La fine di un regno (Napoli e Sicilia), S. Lapi, 1900, p. 11</ref>. L'iniziativa della petizione, che suscitò polemiche da parte della stampa liberale,
[[File:Paolo Ruffo di Bagnaria, Prince of Castelcicala by William Salter.jpg|thumb|left|Il principe [[Paolo Ruffo di Bagnara|Paolo Ruffo di Castelcicala]], ambasciatore napoletano a Londra e poi successore di Filangieri in Sicilia]]
Con gli eventi del biennio
Ad aggravare ulteriormente l'ostilità del re verso le aperture politiche contribuì l'attentato compiuto da [[Agesilao Milano]] alla sua persona nel 1856. Questi, soldato calabrese mazziniano, nel giorno 8 dicembre 1856, approfittando della vicinanza del re (intento a passare in rassegna le truppe), colpì Ferdinando II con la baionetta procurandogli una profonda ferita all'addome che non ebbe esiti fatali.
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Ferdinando II morì il 22 maggio 1859 a soli 49 anni in seguito ad una setticemia le cui cause sono tuttora controverse. Egli fu colpito da un'infiammazione all'inguine durante il viaggio da Napoli a Bari, città dove sarebbe sbarcata la giovane sposa bavarese del [[Francesco II di Borbone|duca di Calabria]]; questa infiammazione non fu curata per tempo e gli ultimi tentativi di cura avvennero ormai in fase avanzata di [[sepsi]], dopo un travagliato viaggio in nave da Bari a Napoli.
La reazione assolutistica, intrapresa da Ferdinando II per ristabilire l'ordine nel reame dopo le rivoluzioni del 1848, inaugurò nel Regno delle Due Sicilie quello che fu definito come un vero e proprio "decennio di immobilismo". Questo decennio fu caratterizzato da un crescente isolamento
=== Francesco II
{{Vedi anche|Storia del Regno delle Due Sicilie nel 1860|
{{Approfondimento
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[[File:PALERMO PANORAMA 1860.jpg|thumb|upright=1.4|Palermo nel 1860]]
Da quel giorno il [[Distretto di Palermo]] venne posto in stato di assedio e i Consigli di Guerra del Real Esercito eseguirono 13 fucilazioni tra i giovani cospiratori, contribuendo ad esasperare gli animi nella capitale siciliana.
=== La spedizione dei Mille === {{Vedi anche|Spedizione dei Mille|Dittatura di Garibaldi}} Garibaldi quindi, preceduto da [[Rosolino Pilo]] e supportato dagli esuli siciliani a Torino [[Francesco Crispi]] e [[Giuseppe La Farina]], decise di sbarcare in Sicilia per guidare l'insurrezione dell'isola, con l'ambigua copertura diplomatica e militare del [[Regno di Sardegna|governo sabaudo]]. La polizia borbonica anche in questo caso venne a sapere anticipatamente del progetto di Garibaldi, e subito si organizzò un piano di pattugliamento delle coste siciliane da parte dell'Armata di Mare e dell'Esercito. Tuttavia, in modo del tutto fortunoso, le due navi piemontesi su cui erano imbarcati i Mille di Garibaldi, riuscirono ad attraversare il tratto di costa presieduto dalla pirofregata ''Stromboli'' e, nelle prime ore dell'11 maggio 1860, i garibaldini iniziarono tranquillamente le operazioni di [[Sbarco a Marsala|sbarco nel porto di Marsala]]. Lo ''Stromboli'', che quel giorno aveva dovuto fermarsi per alcune ore al porto di Trapani, arrivò a Marsala solo a sbarco avvenuto, insieme alle navi Partenope e Capri, e non poté fare altro che effettuare un tardivo quanto inefficace bombardamento. Il ritardo decisivo con cui venne aperto il fuoco contro i Mille fu causato innanzitutto della presenza di navi inglesi nel porto siciliano, le quali rischiavano di essere bersagliate dalle granate borboniche con gravissime conseguenze politiche. Nel frattempo l'ufficio telegrafico di [[Marsala]] aveva già spedito a Palermo la notizia dello sbarco, ed il giorno successivo il governo napoletano emise una nota ufficiale in cui si deplorava duramente il governo di Torino per aver permesso un simile atto di pirateria.<ref name="ReferenceB"/>
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Il principe Filangieri, capendo che la situazione stava precipitando, propose al giovane sovrano una soluzione diplomatica alla crisi: egli, facendosi portavoce delle intenzioni di [[Napoleone III di Francia|Napoleone III]], esortò caldamente Francesco II ad abbandonare la fallimentare linea politica austriaca e ad avvicinarsi alla causa francese (da sempre cara al principe di Satriano), concedendo la Costituzione ed occupando lo [[Stato Pontificio]] al posto delle truppe francesi: solo così l'[[Secondo Impero francese|Impero Francese]] avrebbe potuto supportare i diritti delle Due Sicilie in Italia, contrastando al contempo gli interessi inglesi nel Mediterraneo. Francesco II rifiutò decisamente questo piano, parendogli cosa indegna occupare i territori del papa, e si limitò a promulgare una nuova Costituzione di tipo francese. L'atteggiamento di Francesco II causò le dimissioni del Filangieri, il quale si ritirò dalla vita politica e militare.<ref name="ReferenceB"/>
L'impresa di Garibaldi stupì i contemporanei per le capacità di comando dimostrate dal condottiero nizzardo e dai suoi ufficiali e per la rapidità con cui i ''Mille'', aumentati progressivamente a 50.000<ref>George Macaulay Trevelyan, Garibaldi e i mille, Bologna, Zanichelli, 1909, pag. 170.</ref>, riuscirono a conquistare il regno, nonostante l'iniziale disparità delle forze in campo. Dopo la decisiva occupazione della Sicilia, nel reame avvennero insurrezioni guidate dai numerosi liberali di nuova e vecchia data (coordinati da [[Silvio Spaventa]]) che, non soddisfatti dagli ordinamenti costituzionali concessi dal governo borbonico, si schierarono decisamente a favore dell'[[Unità d'Italia|unificazione]]<ref name="ReferenceB"/>. Il movimento unitario nelle Due Sicilie pescava a piene mani nella borghesia meridionale: l'apporto di questa classe sociale fu importantissimo in quel periodo.
[[File:Petit, Pierre (1832-1909) - Francesco di Borbone crop.jpg|thumb|left|[[Francesco II delle Due Sicilie|Francesco II]] in uniforme, in una foto di [[Pierre Petit]]]]
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Non erano certo bande di straccioni, perché la borghesia più eletta vi dava largo contingente. La rivoluzione si compiva in nome dell'idea morale; e i ricordi storici, e le poesie patriottiche infiammavano di ardore lirico quei cospiratori e quei soldati. Disfarsi dei Borboni, conseguire la libertà durevolmente, tradurre in atto il pensiero di Dante e di Machiavelli e confidare in una rigenerazione morale ed economica di un nuovo stato di cose, che non fosse Repubblica, ritenuta sinonimo di disordini, ma Monarchia costituzionale e nazionale, con un Re, divenuto anche lui una leggenda: ecco l'ideale che sfuggiva alle analisi e alle riflessioni, e mutava la conservatrice e ricca borghesia in forza rivoluzionaria; ideale non fumoso, anzi in via di realizzazione per un provvidenziale concorso di circostanze.|[[Raffaele de Cesare]], ''La fine di un Regno'', Volume II, pag. 350}}
[[File:Garibaldi ricevuto a Napoli da Liborio Romano - IMDMSR pag. 835.JPG|thumb|upright=1.25|[[Liborio Romano]] riceve Garibaldi alla [[stazione di Napoli]]|alt=]]
La prima insurrezione fu quella della [[provincia di Basilicata]], iniziata a [[Corleto Perticara]] il 16 agosto e culminata con la presa di [[Potenza (Italia)|Potenza]] del 18 agosto e successiva proclamazione di un [[Insurrezione lucana|governo provvisorio]] in nome di [[Garibaldi]] e [[Vittorio Emanuele II]].<ref>Tommaso Pedio, ''La borghesia lucana nei moti insurrezionali del 1860'', in «Archivio storico delle provincie napoletane», n.° 40, anno 1960.</ref> Ne seguirono altre, con o senza proclamazioni ufficiali, in [[Terra di Bari (territorio storico)|Terra di Bari]] con l'insurrezione di [[Altamura]] del 21 agosto, in [[Calabria Citeriore]] con [[Cosenza]] il 24 agosto, in [[Calabria Ulteriore Prima]] con [[Catanzaro]] il 26 agosto<ref>Gaetano Cingari, ''La Calabria nella rivoluzione del 1860'', in «Archivio storico delle provincie napoletane», n.° 40, anno 1960.</ref> e nel [[Principato Citeriore]] con [[Auletta]] il 31 agosto.<ref>Antonio Saladino, ''Il tramonto di una capitale'', in «Archivio storico delle provincie napoletane», n.° 40, anno 1960.</ref> Con la città di [[Benevento]], [[enclave]] dello [[Stato Pontificio]], che aveva costretto alla fuga i soldati bavaresi che la tenevano già dal 22 luglio, insorse il [[Principato Ulteriore]] il 2 settembre.<ref>Alfredo Zazo, ''Il Sannio e l'Irpinia nella rivoluzione unitaria'', in «Archivio storico delle provincie napoletane», n.° 40, anno 1960.</ref> In [[Abruzzo]] un governo provvisorio fu proclamato il 9 settembre.<ref>R. Colapietra, ''L'Abruzzo nel 1860'', in «Archivio storico delle provincie napoletane», n.° 40, anno 1960.</ref>
Le armate borboniche sulle prime non riuscirono ad organizzare un'efficace resistenza, sebbene in ciò ebbero parte anche numerosi episodi documentati di insubordinazione e di corruzione<ref>{{cita libro|
L'esasperazione dei soldati del [[Esercito delle Due Sicilie|Real Esercito]] raggiunse il culmine in Calabria: qui il generale Briganti (già fautore del bombardamento di Palermo nei giorni dell'[[Insurrezione di Palermo (1860)|Insurrezione]]), dopo aver dato alle truppe l'ennesimo ordine di ritirarsi senza combattere di fronte ai garibaldini, fu fucilato dai suoi stessi uomini che, credendolo un traditore, non tollerarono l'ulteriore rifiuto da parte del proprio comandante di attaccare un nemico tanto più debole<ref>{{Cita|Giuseppe Buttà, ''Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta'', Edizioni Trabant 2009|p. 152|Trabant}}.</ref>. Decisivo fu anche il ruolo svolto dagli alti ufficiali dell'[[Real Marina del Regno delle Due Sicilie|Armata di Mare]] che {{
L'inazione degli ufficiali superiori borbonici, a ragione o a torto sospettati di tradimento dai posteri, è però parzialmente spiegabile se si considera che in quel periodo, tra i vertici dei ministeri napoletani, era diffusa la convinzione che ci sarebbe stata una rapida reazione diplomatica da parte delle potenze straniere contro quella che a Napoli si considerava un'invasione del tutto illegittima o, più semplicisticamente, un atto di pirateria. Effettivamente l'attività diplomatica in quei giorni fu frenetica, ma il re si accorse troppo tardi di essere stato ormai abbandonato al proprio destino da parte delle principali potenze, soprattutto a causa delle politiche di isolamento attuate dal padre Ferdinando II dopo il 1848/49.<ref name="Rivista Militare 1859">Rivista Militare, Esercito delle Due Sicilie (1856-1859), Quaderno n. 5/87.</ref>
[[File:FrancescoIIrassegnapezzo.png|thumb|left|Castello di Gaeta, Francesco II passa in rassegna una postazione d'artiglieria del [[Esercito delle Due Sicilie|Real Esercito]] durante l'assedio]]
Secondo [[Raffaele de Cesare]] il problema era costituito dal fatto che i generali, sospettosi e gelosi l'uno dell'altro e con tendenza a schivare le responsabilità, non avevano nessuna intenzione di rischiare la vita o la reputazione per un re che non era amato, né temuto.<ref>La fine di un Regno - vol. II, pagg. 211-212</ref>.
Lo storico borbonico [[Giacinto de' Sivo|de' Sivo]] così descriveva la situazione delle forze armate del Regno delle Due Sicilie nel 1860;
{{Citazione|''... Adunque se togli i gendarmi, gli invalidi, i collegiali, i mancanti e molti altri scritti sì né ruoli, ma inabili al servizio, consegue che l'esercito napolitano effettivo pronto a combattere non passava i sessantamila, su tutta la superficie del Regno'' » . <br/>
''«... Gli uffiziali in gran parte né onesti, né sapienti, surti per favori, beneficiati oltre misura, avean grosse mercedi, croci cavalleresche, percettorie, collegi gratis a' figliuoli, e a' figliuoli e nepoti uffizii per grazia in magistratura, in amministrazioni, nelle finanze e nell'esercito. Fatto i Sardanapali<ref>sardanapalo = espressione per indicare persone abituate a vivere nel lusso e nelle smodate comodità</ref> all'ombra de' gigli, presero la croce sabauda piuttosto per iscansar fatiche, che per congiurazione. Non che congiuratori vi mancassero, ma i più subirono la congiurazione per codardia.'' » .<br/>
''«… Da più anni si sussurrava di furti grandi nella costruzione di legni, negli arsenali, sulle mercedi agli operai, sulle tinte de' bastimenti, e su vettovaglie, polvere e carbone.'' ...[ ]...''Ma il male interno era la mancanza di nesso tra gli uffiziali, i pensieri diversi, le avidità, le malizie, l'ignavia di ciascuno. Pochi eran buoni.''|Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, vol. III, p.122<ref>{{cita libro|autore=[[Giacinto de' Sivo]]|titolo=Storia delle Due Sicilie in 5 volumi|editore=Tipografia Salviucci vol.III|città=Roma-Verona-Viterbo|anno=1863-1867|p.122}}</ref>}}
Solo nella parte conclusiva della campagna, con la [[battaglia del Volturno]], il regno ritrovò la dignità di un'ultima resistenza. Il re Francesco II decise di non combattere nella città di Napoli (seppur ben munita e fortificata), ma di attestarsi nelle piazzeforti della pianura campana per tentare la controffensiva e la successiva riconquista del reame. Le Truppe Reali si batterono valorosamente sul [[Battaglia del Volturno|Volturno]]<ref>{{Cita|Giuseppe Buttà, ''Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta'', Edizioni Trabant, 2009|p. 248|Trabant}}.</ref>, mettendo in difficoltà le schiere garibaldine. Tuttavia l'intervento delle [[Armata Sarda|armate sarde]], in fase di congiunzione ai garibaldini<ref name="Rivista Militare 1859" />, e soprattutto gli errori strategici commessi dallo Stato Maggiore, decretarono la decisiva sconfitta. La volontà di non arrendersi fu dimostrata anche dalla fortezza assediata di Gaeta, dove si rifugiò la famiglia reale e nella quale circa 13.000 soldati, ciò che rimaneva dell'[[Esercito delle Due Sicilie|esercito napoletano]], si trovarono a fronteggiare in un logorante assedio le armate del [[Regno di Sardegna]], che sostituirono in parte l'[[esercito meridionale]], in fase di scioglimento per volontà dello stato maggiore piemontese.
Circondata, [[Gaeta]] fu sottoposta ad un blocco navale e pesantemente bombardata dal mare e da terra, sino alla resa ([[Assedio di Gaeta (1860)|Assedio di Gaeta]]), la fortezza poté resistere cento giorni anche perché per settanta giorni fu protetta dal mare dalla flotta francese.
=== Fine del regno ===
{{Vedi anche|Unità d'Italia|Brigantaggio postunitario italiano|Questione meridionale}}
La fine del regno si articolò in una serie di momenti distinti successivi alla spedizione dei Mille, tra l'ottobre del 1860 e il marzo del 1861.
Il 13 febbraio [[1861]] [[Francesco II delle Due Sicilie|Francesco II di Borbone]] si arrese a Gaeta, ultimo baluardo del suo regno capitolando dopo 102 giorni di resistenza ai bombardamenti e all'assedio delle truppe sabaude del generale [[Enrico Cialdini]] ([[Assedio di Gaeta (1860)|assedio di Gaeta 1860-1861]]): cessò così di esistere il Regno delle Due Sicilie.
Formalmente, le Due Sicilie furono annesse a larga maggioranza al [[Regno di Sardegna (1720-1861)|Piemonte-Sardegna]] dopo l'esito dei due [[Plebisciti risorgimentali|plebisciti d'annessione]] tenutisi [[Plebiscito delle province napoletane del 1860|nelle province napoletane]] e [[Plebiscito delle province siciliane del 1860|nelle province siciliane]] il 21 ottobre 1860, i cui risultati furono formalizzati con i regi decreti 17 dicembre 1860, nn. 4498 e 4499 («''Le province napoletane fanno parte del Regno d'Italia''» e «''Le province siciliane fanno parte del Regno d'Italia''»). La decisione dell'annessione immediata ed incondizionata delle Due Sicilie
[[File:Civitelladeltronto flickr04.jpg|thumb|Panorama della [[fortezza di Civitella del Tronto]] oggi]]
Il Regno Delle Due Sicilie cessò formalmente di esistere con l'[[elezioni politiche italiane del 1861|elezione]] del [[VIII legislatura del Regno d'Italia|nuovo parlamento italiano]] il 27 gennaio 1861, successiva ai plebisciti d'annessione. Al nuovo parlamento italiano, comprendente anche i deputati dei territori di recente annessione, fu quindi presentato un progetto di legge del 21 febbraio per la [[proclamazione del Regno d'Italia|proclamazione del nuovo Regno d'Italia]], che divenne [[atto normativo]] il 17 marzo 1861. La guerra contro le forze dei Borbone era intanto formalmente terminata con la conclusione dell'[[assedio di Gaeta (1860)|assedio di Gaeta]] e la resa di Francesco II, il 17 febbraio; la [[cittadella di Messina]] si arrese solo il 12 marzo e la fortezza di [[assedio di Civitella|Civitella del Tronto]], ultima roccaforte borbonica, con 400 uomini, il 20 marzo.
I governi della nuova Italia furono ben lontani dall'assicurare la realizzazione di quegli ideali di unità della patria e di eguaglianza dei cittadini adombrati dall'idealismo di [[Giuseppe Mazzini]] e della generazione protagonista delle lotte risorgimentali<ref>{{Cita libro |autore = Costanzo Maraldi |titolo = Documenti francesi sulla caduta del regno meridionale |editore = Società napoletana di Storia Patria |città = Napoli |anno = 1935 |pagina = 188 |sbn = SBL0477548}}</ref>. [[Raffaele de Cesare]], nella sua opera ''[[La fine di un Regno]]'', giudicò così le conseguenze dell'annessione:
{{Citazione|''…La vita delle province del continente napoletano, col suo male e col suo bene, rispondeva ad una condizione sociale e morale, storica ed economica, che poteva venirsi modificando via via, ma non era lecito mutare di punto in bianco. E la rivoluzione violentemente la mutò nella sua parte esteriore, con un diritto pubblico, il quale non fu inteso altrimenti, che come una reazione meccanica a tutto il passato. Il nuovo diritto non rifece l'uomo, anzi lo pervertì. La vecchia società si ritrovò come ubriacata da una moltitudine di esigenze e pregiudizi nuovi, onde ciascuno vedeva nel passato tutto il male e nelle così dette idee moderne tutto il bene, e quindi la sciocca frenesia di por mano a tante cose ad un tempo, utili ed inutili. (…) Una quantità di tempo, anzi il maggior tempo, sottratto ad occupazioni più utili, e quel che fu peggio, un fatale strascico di odi che parevano spenti, ma rinascevano, di gelosie, di ambizioni, di vanità, di volgarità, di doppiezze e di interessi particolari da far prevalere: una nuova forma di guerra civile in permanenza, e una nuova tirannide, quella delle maggioranze d'occasione coi relativi deputati, servi e padroni ad un tempo, ma più servi dei peggiori elettori e dei peggiori ministri; e quel ch'è più triste, la completa distruzione del carattere. Come nella Camera dei deputati, così nei Consigli comunali e provinciali, i nemici di ieri diventavano gli amici di oggi e viceversa, non in nome di princìpi, ma d'interessi, di vanità e d'ambizioni di rado confessabili. Si mutano gli odi in amori e gli amori in odi, e si smarrisce la coscienza del bene e del male. A farlo apposta non si sarebbe potuto immaginare un sistema peggiore per guastare la gente.''
''Nei primi anni del nuovo regime, gli odi locali furiosamente riscoppiarono, e i maggiori ricchi furono bollati per retrivi ed esclusi dalla vita pubblica, si sfogarono vecchi rancori e si compirono non poche vendette, soprattutto nel periodo della legge Pica del 1863, e della legge Crispi del 1866. Poi si fecero le paci in apparenza, ma in sostanza gli odi non si prescrissero. (…) Le province dell'antico regno ebbero leggi e ordinamenti contrari al loro carattere e alle loro tradizioni. Anche i piccoli comuni della Sicilia, della Basilicata, dell'Abruzzo e delle Calabrie sono governati dalle stesse leggi che regolano le maggiori città d'Italia. Non si tenne conto di nulla; ma tutto fu confuso in un'unità meccanica, che, a considerarla bene, è la causa dei presenti malanni e dei pericoli che minacciano il regno. Se le leggi politiche dovevano essere uguali per tutto il paese, le leggi organiche dovevano tener conto della storia e della geografia: due cose le quali non si possono offendere impunemente''|[[Raffaele de Cesare]], ''[[La fine di un Regno]]'', volume II, capitolo VI}}
Il politico e meridionalista [[Giustino Fortunato]] sottolineava invece le profonde differenze con cui il Regno delle Due Sicilie faceva il suo ingresso nel Regno d'Italia: {{citazione|''Insomma, l'Italia meridionale entrò disgraziatamente a far parte del nuovo Regno in condizioni assai diverse da quelle che il Nitti lascia credere. Essa viveva di una economia primitiva, in cui quasi non esisteva la divisione del lavoro, e gli scambi erano ridotti al minimo: si lavorava più spesso per il proprio sostentamento, anziché per produrre valori di scambio e procurarsi, con la vendita di prodotti, quello di cui si aveva bisogno. In moltissimi comuni ben più della metà della popolazione non mangiava mai pane di grano, e «i contadini vivevano lavorando come bruti», poi che « il sostentamento di ognun di loro costava meno del mantenimento di un asino »: questo ha lasciato scritto [[Lodovico Bianchini|Ludovico Bianchini]], uno dei ministri di Ferdinando II.''|Il Mezzogiorno e lo Stato Italiano, vol. II, [[Giustino Fortunato]], pag. 340}}
[[File:Antica fonderia ferdinandea.jpg|thumb|Resti delle fonderie di [[Ferdinandea (Calabria)|Ferdinandea]]|235px|left]]
[[File:Italian GDP PerCapita NS.PNG|thumb|PIL pro-capite di Nord e Sud (celeste) dal 1861 al 2004 secondo Daniele-Malanima<ref>{{cita pubblicazione |autore=Vittorio Daniele |autore2=Paolo Malanima |anno=2007 |mese=marzo-aprile |titolo=Il prodotto delle regioni e il divario Nord-Sud in Italia (1861-2004) |rivista=Rivista di Politica Economica |url=http://www.paolomalanima.it/default_file/Articles/
Perduta l'indipendenza i settori produttivi dell'ex reame borbonico entrarono in una profonda crisi<ref>{{Cita libro |autore = Egidio Sterpa |titolo = Anatomia della questione meridionale |pagine = 6-7 |editore = Editrice Le Stelle |città = Milano |anno = 1978 |sbn =
==
=== Evoluzione demografica ===
=== Lingue ===
Le lingue del Regno delle Due Sicilie riflettono la ricca diversità culturale e storica di questo stato dell'Italia meridionale. La lingua ufficiale era l'italiano, utilizzato per la burocrazia, l'istruzione e le comunicazioni formali. Tuttavia, le lingue parlate quotidianamente dalla popolazione erano varie. Nei territori continentali, come la Campania e la Calabria, predominavano i dialetti napoletani e calabresi, che fanno parte del gruppo delle lingue meridionali intermedie.<ref>{{Cita libro |titolo=Storia della lingua italiana |url=https://archive.org/details/storiadellalingu0000migl |autore=Bruno Migliorini |editore=Bompiani |anno=1994 |isbn=8845221539}}</ref>
In Sicilia, si parlava principalmente il siciliano, una lingua con una storia e una letteratura proprie. Inoltre, nei vari territori del regno, erano presenti minoranze linguistiche, come i grecofoni in Calabria e Puglia, e gli albanesi in Sicilia e Calabria, che parlavano rispettivamente il greco e l'albanese. Questa pluralità linguistica era un riflesso della storia di colonizzazione e dominazione di diverse culture che caratterizzava il Regno delle Due Sicilie.<ref>{{Cita libro |titolo=Lingue e dialetti d'Italia |autore=Francesco Avolio |anno=2009 |isbn=8843052039}}</ref>
Come spesso accade, l'evoluzione dei vari dialetti del regno non è facilmente percorribile, dal momento che i dialetti praticamente mai venivano trascritti e venivano utilizzati in modo esclusivo il [[Lingua latina|latino]] e l'italiano per la comunicazione scritta. Nel regno, la comunicazione scritta era essa stessa assai rara considerato l'elevato tasso di analfabetismo che ha da sempre caratterizzato l'Italia meridionale. Cionondimeno, in modo residuale si rinvengono a volte delle tracce dei dialetti in alcune espressioni utilizzate dalle persone istruite, ad esempio nella corrispondenza; anche alcune metodologie come la [[linguistica comparativa]] consentono di rintracciare alcune caratteristiche dell'evoluzione storica dei dialetti.
Una delle poche testimonianze relative alla lingua in uso nel Medioevo nel Regno di Napoli è quella di [[Salimbene de Adam]] (XIII sec. d. C.) il quale, nella sua ''Cronaca'', nota la totale assenza dell'uso dei pronomi di cortesia nelle lingue dei pugliesi e dei siciliani i quali, secondo quanto riportato dall'autore, darebbero del "tu" anche all'imperatore mentre, al contrario, i Lombardi darebbero del "voi" anche a un "ragazzo solo". Tali differenze regionali si ritrovano anche nell'italiano contemporaneo.<ref>{{Cita|Salimbene2|pp. 243-244}}.</ref>
=== Religioni ===
Le religioni nel [[Regno di Napoli]] e, successivamente, nel Regno delle Due Sicilie erano principalmente il cattolicesimo romano, che era la religione di stato e profondamente intrecciata con la vita politica, sociale e culturale del regno. La Chiesa cattolica aveva una forte influenza e gestiva molte istituzioni educative e caritative. Nonostante la predominanza del cattolicesimo, erano presenti anche altre comunità religiose e piccole comunità ebraiche vivevano principalmente nelle città maggiori come [[Napoli]] e [[Palermo]], dove godevano di una relativa tolleranza e partecipavano attivamente alla vita economica. Inoltre, vi erano minoranze di rito greco-cattolico, soprattutto in Calabria e in Sicilia, dovute alla storica presenza bizantina e all’immigrazione di comunità albanesi. Queste comunità mantenevano le loro tradizioni religiose e culturali, pur rimanendo in comunione con la Chiesa di Roma.
Molto più variegato era, invece, il panorama delle religioni del Regno di Napoli nel corso del [[Medioevo]]. La maggior parte delle città e dei borghi aveva delle comunità ebraiche e musulmane (i cosiddetti "mori"); tali comunità si ridussero sensibilmente nei secoli successivi. In particolare, le varie comunità ebraiche si ridussero con gli editti di espulsione emanati nel corso del [[Cinquecento]] a partire da [[Ferdinando il Cattolico]] (1510). Con l'editto di espulsione di [[Carlo V d'Asburgo]] (1541), ebrei e cristiani novelli divennero una realtà insignificante nel Regno di Napoli.<ref>{{Cita pubblicazione |autore=[[Cesare Colafemmina]] |titolo=Ebrei e cristiani novelli ad Altamura |giornale=Altamura - Bollettino dell'[[Archivio Biblioteca Museo Civico]] |anno=1979-1980 |numero=21-22 |cid=Colafemmina |p=17-20 |url=http://www.internetculturale.it/jmms/iccuviewer/iccu.jsp?id=oai%3Awww.internetculturale.sbn.it%2FTeca%3A20%3ANT0000%3ARML0022100_189601&mode=all&teca=MagTeca+-+ICCU&fulltext=1}}</ref>
== Politica ==
=== Cronologia dei regnanti ===
{{Vedi anche|Sovrani del Regno delle Due Sicilie}}
* [[Ferdinando I delle Due Sicilie]] [[1816]]-[[1825]] <small>(già Ferdinando IV di Napoli 1759-1806 e 1815-1816 e Ferdinando III di Sicilia 1759-1816)</small>
* [[Francesco I delle Due Sicilie]] [[1825]]-[[1830]]
* [[Ferdinando II delle Due Sicilie]] [[1830]]-[[1859]]
* [[Francesco II delle Due Sicilie]] [[1859]]-[[1861]]
=== Suddivisioni amministrative ===
{{vedi anche|Suddivisione amministrativa del Regno delle Due Sicilie}}
[[File:Suddivisione amministrativa del Regno delle Due Sicilie.png|thumb|Suddivisione amministrativa del Regno delle Due Sicilie]]
[[File:Terra otranto targa.png|thumb|Targa del Circondario di [[Martina Franca|Martina]]]]Il regno comprendeva le attuali [[Regioni d'Italia|regioni]] [[Abruzzo]], [[Basilicata]], [[Calabria]], [[Campania]], [[Molise]], [[Puglia]] e [[Sicilia]], oltre a gran parte dell'odierno [[Lazio meridionale]] (distretti di [[Distretto di Sora|Sora]] e [[Distretto di Gaeta|Gaeta]]) e all'area orientale dell'attuale [[provincia di Rieti]] ([[distretto di Cittaducale]]). Al reame inoltre apparteneva, incluso amministrativamente nella provincia di Capitanata, l'arcipelago di [[Pelagosa]], oggi parte della [[Croazia]].
Le città di [[Benevento]] (oggi in [[Campania]]) e [[Pontecorvo]] (oggi nel [[Lazio]]) erano invece delle [[enclave|enclavi]] [[Stato Pontificio|pontificie]]. Il confine tra il Regno e lo Stato Pontificio, definito una volta per tutte nel 1840 da un accordo bilaterale, correva dalla foce del fiume Canneto (sul Tirreno, tra Fondi e Terracina) fino a Porto d´Ascoli sulla foce del fiume Tronto (sull´Adriatico, al confine tra l'Abruzzo e le Marche). La linea fu tracciata apponendo tra il 1846 e il 1847 una serie di 686 cippi confinari (cd. "Termini") che recavano da un lato la data e le chiavi di San Pietro e dall´altro il giglio borbonico ed il numero progressivo. Alcuni dei cippi si conservano tuttora in loco, mentre altri sono stati spostati o perduti.<ref>[https://reteduesicilie.blogspot.de/2011/08/il-confine-tra-regno-delle-due-sicilie.html Regno Delle Due Sicilie: Il Confine Tra Regno Delle Due Sicilie E Stato Della Chiesa<!-- Titolo generato automaticamente -->]</ref>
La principale suddivisione del regno (sebbene non avesse carattere amministrativo) era fra la sua parte continentale, i ''Reali Dominii al di qua del Faro'', e la Sicilia, i ''Reali Dominii al di là del Faro'', con riferimento al [[Faro di Messina]]. Dal punto di vista amministrativo invece il regno nel 1816 fu suddiviso in 22 province, di cui 15 nella Sicilia citeriore (ex Regno di Napoli) e 7 nella Sicilia ulteriore (ex Regno di Sicilia), a loro volta suddivise in distretti (unità amministrative di secondo livello) e circondari (unità amministrative di terzo livello)<ref>Mappa del 1842 riprodotta in [http://www.eleaml.org/immagini/due_sicilie/carta2sicilie_marzolla_1842_1858.jpg Eleaml-Fora!]</ref>.
==== ''Reali Dominii al di qua del Faro'' ====
Comprendevano le seguenti province:
* I [[Provincia di Napoli (1806-1860)|Provincia di Napoli]] <small>(capoluogo: [[Napoli]])</small>
* II [[Provincia di Terra di Lavoro (1806-1860)|Terra di Lavoro]] <small>(capoluogo: [[Caserta]], fino al [[1818]] [[Capua]])</small>
* III [[Principato Citra]] <small>(capoluogo: [[Salerno]])</small>
* IV [[Principato Ultra]] <small>(capoluogo: [[Avellino]])</small>
* V [[
* VI [[Capitanata]] <small>(capoluogo: [[Foggia]])</small>
* VII [[Terra di Bari (
* VIII [[Terra d'Otranto]] <small>(capoluogo: [[Lecce]])</small>
* IX [[Calabria Citeriore]] <small>(capoluogo: [[Cosenza]])</small>
* X [[Calabria Ulteriore Prima]] <small>(capoluogo: [[Reggio
* XI [[Calabria Ulteriore Seconda]] <small>(capoluogo: [[Catanzaro]])</small>
* XII [[Contado di Molise]] <small>(capoluogo: [[Campobasso]])</small>
* XIII [[Abruzzo Citra|Abruzzo Citeriore]] <small>(capoluogo: [[Chieti]])</small>
* XIV [[Abruzzo Ulteriore Primo]] <small>(capoluogo: [[Teramo]])</small>
* XV [[Abruzzo Ulteriore Secondo]] <small>(capoluogo: [[L'Aquila|Aquila]])</small>
==== ''Reali Dominii al di là del Faro'' ====
Comprendevano le seguenti province:
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* XVIII [[Provincia di Catania (Regno delle Due Sicilie)|Provincia di Catania]] <small>(capoluogo: [[Catania]])</small>
* XIX [[Provincia di Girgenti (Regno delle Due Sicilie)|Provincia di Girgenti]] <small>(capoluogo: [[Agrigento|Girgenti]])</small>
* XX [[Provincia di Siracusa (Regno delle Due Sicilie)|Provincia di Noto]] <small>(capoluogo: [[Noto (Italia)|Noto]], fino al [[1837]] [[Siracusa]])</small>
* XXI [[Provincia di Trapani (Regno delle Due Sicilie)|Provincia di Trapani]] <small>(capoluogo: [[Trapani]])</small>
* XXII [[Provincia di Caltanissetta (Regno delle Due Sicilie)|Provincia di Caltanissetta]] <small>(capoluogo: [[Caltanissetta]])</small>
=== Istruzione ===
Tra le accademie più importanti del Regno delle Due Sicilie si ricordano l'[[Accademia Pontaniana]], la Società Reale Borbonica, i [[Reale Istituto d'Incoraggiamento di Napoli|Reali Istituti d'Incoraggiamento]], l'Accademia Medico-chirurgica, la Regia Scuola di Veterinaria ed Agricoltura ed il [[Conservatorio di San Pietro a Majella|Real Collegio di Musica di San Pietro a Majella]]. Anche l'[[Università degli Studi di Napoli Federico II|Università di Napoli]] si distingueva per i suoi meriti scientifici. Di quel periodo si ricorda [[Michele Tenore]], direttore dell'[[Orto botanico di Napoli]] ed uno dei padri della moderna sistematica botanica, il chimico [[Raffaele Piria]], scopritore dell'[[acido salicilico]] e l'ingegnere [[Luigi Giura]], autore di diverse opere architettoniche, tra le più note il [[Ponte Real Ferdinando sul Garigliano]] e il [[Ponte Maria Cristina]].[[File:Chimicapiria.jpg|thumb|left|Manuale di Chimica scritto da [[Raffaele Piria]], Napoli 1840]]
[[File:Francesco De Sanctis.jpg|thumb|[[Francesco de Sanctis]] da giovane, insegnante alla Scuola Militare ed alla [[Scuola militare "Nunziatella"|Reale Accademia Militare]]]]
[[File:Verbale esame elementare calabria 1859.jpg|thumb|Verbale di un esame elementare (1859)|200px|right]]
Nel Regno delle Due Sicilie l'istruzione pubblica era strutturata su Scuole Primarie, Scuole Secondarie, Reali Collegi, Reali Licei e Regie Università degli Studi, sotto la supervisione del Ministero degli Affari Ecclesiastici e dell'Istruzione Pubblica. In Sicilia la gestione dell'istruzione pubblica era affidata al Luogotenente Generale per conto del Dipartimento dell'Interno.
L'istruzione primaria, nonostante fosse disciplinata da norme minuziose varate durante il ''decennio francese'', era erogata in maniera ineguale sul territorio, soprattutto nelle zone rurali del reame. Secondo le statistiche del periodo successivo alla Restaurazione, la [[Basilicata]] risultava la provincia con il più basso indice di scolarizzazione del regno<ref>Angelo Massafra, ''Il Mezzogiorno preunitario: economia, società e istituzioni'', [[Edizioni Dedalo]], Bari, 1988, p.434</ref>, mentre la città di Napoli quella col più alto numero di scuole elementari pubbliche (circa 2 per quartiere). Un aspetto positivo riguardava l'applicazione di criteri meritocratici nel sistema scolastico, ove un'inadeguata preparazione culturale e una scarsa etica professionale, che potessero compromettere il funzionamento dell'istruzione pubblica, portavano alla destituzione di un determinato docente.<ref>Angelo Massafra, ''Il Mezzogiorno preunitario: economia, società e istituzioni'', [[Edizioni Dedalo]], Bari, 1988, p.443</ref> A partire dal [[1850]] si iniziarono ad intravedere lievi miglioramenti: il governo borbonico attuò riforme che permisero l'inserimento di nuovo personale in molte scuole del regno, che fino ad allora erano rimaste sotto organico.<ref>Angelo Massafra, ''Il Mezzogiorno preunitario: economia, società e istituzioni'', [[Edizioni Dedalo]], Bari, 1988, p.447</ref> I sindaci (Decurioni) dovevano provvedere (assieme agli Intendenti di Provincia ed ai vescovi) a comporre una terna di insegnanti per le scuole primarie, che si cercò di collocare in tutti i comuni del reame in strutture preesistenti (soprattutto presso monasteri soppressi). L'istruzione pubblica elementare era gratuita, soggetta a regolari ispezioni e condotta secondo il metodo del [[mutuo insegnamento]] (o [[Joseph Lancaster|lancasteriano]]), ma, nonostante i miglioramenti degli ultimi anni, essa era ancora riservata ai soli maschi e non aveva carattere obbligatorio. L'istruzione elementare femminile gratuita invece era gestita in grandissima parte e con scarsa efficacia dalle [[Diocesi italiane suddivise per province ecclesiastiche|diocesi]]. I bambini appartenenti alle classi sociali più agiate venivano generalmente istruiti in istituti privati, presenti in buon numero nelle principali aree urbane.<ref>Raffaele de Cesare, La fine di un Regno</ref> Degni di nota furono inoltre i due istituti pubblicii per [[Sordomutismo|sordomuti]] fondati dal sac. Benedetto Cozzolino (Napoli) e da Ignazio Dixitdominus (Palermo) e quello per [[Cecità|ciechi]] a Napoli, i primi del genere in Italia.<ref>Giuseppe Sacchi, Intorno all'attuale stato dell'istruzione elementare in Lombardia, Milano 1834</ref>
L'istruzione secondaria era posta su basi più solide. Le scuole superiori, distinte in "Reali Collegi" e "Scuole Secondarie", erano situate nei capoluoghi di provincia e nelle città principali.
Nel 1860 si potevano contare almeno un Collegio Reale per ogni capoluogo di Provincia e 58 Scuole Secondarie, queste ultime erano scuole superiori che a differenza dei Reali Collegi impartivano anche insegnamenti di tipo tecnico e professionale<ref name="Statistiche">Statistiche dell'Italia del Conte Luigi Serristori, Firenze, 1842</ref>. Anche per quanto riguarda l'istruzione secondaria esistevano collegi (per gran parte religiosi) ed istituti tecnici privati, principalmente in Sicilia.<ref name="autogenerato9">Giuseppe De Luca, Il Reame delle Due Sicilie, Napoli 1860</ref>
A Napoli era situata l'[[Università degli Studi di Napoli Federico II|Università della capitale]], la principale del regno. Dall'Università di Napoli dipendevano inoltre i "Reali Licei", situati a [[L'Aquila]], [[Chieti]], [[Bari]], [[Salerno]], [[Cosenza]] e [[Catanzaro]], abilitati a rilasciare i titoli di studio per esercitare le professioni liberali (principalmente mediche e giuridiche)<ref name="Statistiche" />.
Le università siciliane erano tre: [[Università degli Studi di Palermo|quella di Palermo]], [[Università degli Studi di Catania|quella di Catania]] e [[Università degli Studi di Messina|quella di Messina]]. In Sicilia erano presenti inoltre tre Licei Reali.<ref name="autogenerato4" />
A riguardo dell'istruzione pubblica nel Regno delle Due Sicilie post-restaurazione, occorre ricordare che il 10 gennaio del 1843 l'allora re Ferdinando II sancì la rinuncia completa dello Stato ad ogni intervento e controllo sulla scuola, che venne totalmente affidata all'autorità dei [[vescovo|vescovi]]. I vescovi ottennero la facoltà di nominare, rimuovere, trasferire, sospendere i maestri comunali e quella di prescrivere la durata e l'orario dell'insegnamento. «Non rimaneva, dopo quel decreto, quasi nulla dell'organizzazione di Gioacchino».<ref>{{Cita libro|autore=Dina Bertoni Jovine|titolo=Storia dell'educazione popolare in Italia|anno=1954|editore=Einaudi|città=|p=pg. 26}}</ref>
A seguito dei [[Moti del 1848|moti antiborbonici]] avvenuti nelle province del Regno, il 29 gennaio 1848 Ferdinando II concesse la costituzione (promulgata il 10 febbraio). Il breve periodo che vide il Regno sotto la guida del governo costituzionale (febbraio-maggio 1848) accese ancora una volta speranze di riorganizzazione dello Stato e della scuola in senso liberale, e dunque di tornare ad un sistema di istruzione pubblica. Infatti, il 6 marzo venne istituito il Ministero della Pubblica Istruzione. Il decreto del 29 marzo istituì una Commissione incaricata di presentare un progetto di legge per il riordinamento dell'istruzione primaria. Un decreto del 19 aprile 1848 abrogò la legge che metteva l'istruzione primaria alla dipendenza dei vescovi; un altro datato 27 aprile aumentò nuovamente i fondi del Ministero della Pubblica Istruzione. Con la caduta del governo costituzionale ed il ritorno all'[[Assolutismo monarchico|assolutismo]], però, anche la scuola del Regno delle Due Sicilie tornò ad essere gestita con «criteri da ancien régime e sotto il monopolio ecclesiastico».<ref>{{Cita libro|autore=Giovanni Genovesi|titolo=Storia della scuola in Italia dal Settecento a oggi|anno=2007|editore=Laterza|città=|p=p.58}}</ref>
Dopo la sconfitta della rivoluzione del 1848, il Regno delle Due Sicilie non fu praticamente più in grado di alimentare né di rendere perseguibile nessuna speranza di rinnovamento, se non tramite un pesante filtro ecclesiastico. Nel 1859 si contavano appena 2.010 scuole primarie con 39.881 allievi, 27.547 allieve e 3.171 maestri, su una popolazione di oltre 9.000.000 di abitanti. Al momento dell'Unità, se il tasso medio di analfabetismo nel Regno d'Italia era del 78% (72% tra la popolazione maschile, 84% tra quella femminile), nel Mezzogiorno tale tasso saliva fino al 90%.<ref>{{Cita web|url=http://www.treccani.it/lingua_italiana/speciali/italiano_dialetti/Trifone.html|titolo=Italiano e dialetto dal 1861 a oggi|autore=Enciclopedia Treccani|data=|accesso=}}</ref><ref>{{Cita libro|autore=Sandra Chistolini|titolo=Comparazione e sperimentazione in pedagogia|anno=2001|editore=Franco Angeli|città=Milano|p=46}}</ref> [[Leopoldo Franchetti]], nella sua celebre inchiesta sulle ''Condizioni economiche ed amministrative delle province napoletane'' pubblicata nel 1875, scriveva: «ad eccezione di poche città, vi trovammo un popolo confinato in un paese selvaggio, racchiuso nei suoi luridi borghi e nei campi circostanti, senza strade per allontanarsene, ignorante e laborioso, diretto da preti poco più civili di lui e da signori, una parte dei quali ignoranti quanto lui, ma più corrotti; i buoni in galera o sorvegliati o cacciati, segregati tutti dal resto d'Italia e d'Europa da un sistema di proibizioni commerciali, di passaporti e di esclusioni di libri».<ref>{{Cita libro|autore=Giovanni Genovesi|titolo=Storia della scuola in Italia dal Settecento a oggi|anno=2007|editore=Einaudi|città=|p=58}}</ref>
=== Forze armate e pubblica sicurezza ===
{{vedi anche|Esercito delle Due Sicilie|Real Marina del Regno delle Due Sicilie}}
Le forze armate del Regno delle Due Sicilie si suddividevano in Real Esercito ed Armata di Mare di Sua Maestà, coordinate dal Ministero della Guerra e della Marina. Il [[Esercito delle Due Sicilie|Real Esercito]] (ramo Guerra del ministero) nel 1860 contava circa 70.000 soldati di professione e a ferma prolungata, 20.000 soldati di leva e circa 40.000 riservisti (ultime 5 classi di leva pronte al richiamo), al comando diretto del sovrano che ricopriva il grado di Capitano Generale. L'[[Real Marina del Regno delle Due Sicilie|Armata di Mare]] (ramo Marina del ministero) invece poteva fare affidamento su circa 6.500 marinai di professione, 2.000 marinai di leva, più di 90 navi a vela e 30 navi a vapore, al comando del conte d'Aquila [[Luigi di Borbone-Due Sicilie (1824-1897)|Luigi Di Borbone]].<ref>Lamberto Radogna, Storia della Marina Militare delle Due Sicilie, Mursia</ref>
Gli uffici del Ministero di Guerra e Marina presentavano annualmente lo "stato discusso" dell'esercizio finanziario successivo (ossia il bilancio di previsione), che veniva in seguito sottoposto all'attenzione del re. Le spese militari negli anni cinquanta ammontarono in media a quasi 13 milioni di ducati annui, cifra corrispondente a più di un terzo degli investimenti pubblici totali annui. Tale rilevanza delle spese militari nel bilancio pubblico era sintomo non solo della grande attenzione per le forze armate dimostrata dagli ultimi governi borbonici, ma anche dell'importanza dell'indotto militare nel tessuto economico del reame. Infatti, oltre ai molti stabilimenti statali per la produzione di armamenti, era necessario avere un adeguato indotto che fornisse materiali ed equipaggiamenti di vario genere alle forze armate. Le spese e la qualità dei materiali poi venivano controllate da organi preposti a questa funzione (Intendenza e Amministrazione di Esercito e Marina).<ref>Rivista Militare, L'Esercito delle Due Sicilie (1856-1859), Quaderno n. 5/87</ref>.
==== Sicurezza nelle strade e brigantaggio ====
[[File:Piazzaforte pescara.jpg|miniatura|La [[fortezza di Pescara]], al cui interno i Borbone istiuirono un carcere per detenuti politici.]]
Riguardo al problema del [[brigantaggio]], il Regno delle Due Sicilie aveva approvato leggi speciali come il Decreto di Re Ferdinando I n. 110 del 30 agosto 1821 ed il Decreto di Re Francesco II n. 424 del 24 ottobre 1859.
Tuttavia viaggiare per le strade del regno era spesso pericoloso, come descrive lo storico [[Raffaele de Cesare]] alle pagine 114-115 del suo libro ''[[La fine di un Regno]]'' e la gendarmeria non di rado era connivente con i malfattori che rapinavano i viaggiatori:<ref>[https://archive.org/stream/lafinediunregnon02deceiala#page/114/mode/2up La fine di un Regno pagg. 114-115]</ref>:
{{citazione| […] Ma ciò che rendeva difficile e pericoloso il viaggiare, era l'insicurezza delle strade. Il vallo di Bovino per i pugliesi, il piano di Cinquemiglia per gli abruzzesi, la Sila, il Cilento e lo Scorzo, per quelli che venivano dalle Calabrie e dalla Basilicata, erano tradizionali e paurosi nidi di malandrini. Sovente gli stessi proprietari di taverne, lungo le strade, fiutata una buona preda inerme, mettevano su prestamente uomini loro e ne formavano una piccola banda, la quale, bendandosi il volto e puntati i fucili contro i viandanti, gridava forte il tradizionale: faccia a terra e li spogliava d'ogni avere. La gendarmeria del vicinato non di rado teneva mano a questi ladri di occasione. Erano noti fra i più celebri organizzatori di piccole bande improvvisate, i tavernari dello Scorzo sulla via delle Calabrie, e del Passo di Mirabella sulla via delle Puglie; anzi si affermava che costoro fossero vecchi avanzi delle bande di Ruffo. Si preferiva perciò viaggiare in molti, con tre o quattro carrozze, portare il fucile carico a palla e scendere nei luoghi più pericolosi, coll'arma tra le mani, per istornar qualche agguato. Vero è che negli ultimi anni del regno di Ferdinando c'era una discreta sicurezza nell'attraversare quei luoghi, ma la fama antica accendeva le fantasie e le paure.
Avanti che si costruissero le strade rotabili, cioè fino ai primi anni di questo secolo, si aveva l'abitudine di far testamento prima d'intraprendere il viaggio dalle provincie a Napoli. }}
[[Francesco Saverio Nitti]] nel suo libro ''Eroi e briganti'' (edizione 1899) pag. 9 spiega come il brigantaggio fosse un fenomeno endemico nel sud preunitario:
{{citazione|Ogni parte d'Europa ha avuto banditi e delinquenti, che in periodi di guerra e di sventura hanno dominato la campagna e si sono messi fuori della legge […] ma vi è stato un solo paese in Europa in cui il brigantaggio è esistito si può dire da sempre […] un paese dove il brigantaggio per molti secoli si può rassomigliare a un immenso fiume di sangue e di odi […] un paese in cui per secoli la monarchia si è basata sul brigantaggio, che è diventato come un agente storico: questo paese è l'Italia del Mezzodì.}}
=== Spese sociali e igiene pubblica ===
Il meridionalista lucano [[Giustino Fortunato]] osservava ciò che risulta sui bilanci dello stato borbonico: le spese erano rivolte in stragrande maggioranza alla corte od alle forze armate, incaricate di proteggere la ristrettissima casta dominante del regno, lasciando pochissimo agli investimenti per opere pubbliche, sanità ed istruzione e la natura veramente classista della politica economica borbonica risalta dalle seguenti cifre relative ai bilanci dello stato.
Nel 1854 la spesa governativa borbonica contava 31,4 milioni di ducati dei quali 1,2 milioni erano quelli per istruzione, sanità, lavori pubblici, mentre erano ben 14 milioni i ducati spesi per le forze armate e 6,5 milioni per il pagamento degli interessi sul debito pubblico, oltre alle ingenti spese per la corte regale.<ref>{{cita libro|autore=[[Alfonso Scirocco]]|titolo=''L’Italia del Risorgimento''|editore=[[Il Mulino]]|città=Bologna|anno=1993}}</ref>.
Il giornalista e parlamentare [[Raffaele de Cesare]], a pagina 117 del suo libro [[La fine di un Regno]], descrive le trascurate condizioni d'[[igiene]] pubblica, particolarmente nelle province del Regno delle Due Sicilie, dove c'era scarsità di impianti di scarico fognario e spesso anche di acqua<ref name="autogenerato10">[https://archive.org/stream/lafinediunregnon02deceiala#page/116/mode/2up La fine di un Regno pag. 117]</ref>:
{{citazione| … Quasi non si sentiva nessun bisogno pubblico.
L'igiene si trascurava in modo che le condizioni della maggior parte dei comuni, ma singolarmente dei più piccoli, erano orribili addirittura.
Non fogne, non corsi luridi, non cessi nelle case, scarso l'uso
di acqua, dove c'era naturalmente; quasi nessun uso, dove non
c'era. Poche le strade lastricate o acciottolate, pozzanghere e
fanghiglia nelle altre, e in questo gran letamaio razzolavano polli,
e grufolava il domestico maiale. Bisogna ricordare che nei paesi
meridionali, generalmente, i contadini vivono nell'abitato, nella
parte vecchia, ch'è quasi sempre più negletta e fomite di malattie
infettive. Ma tutto ciò sembrava così naturale, che nessuno se ne
maravigliava; e se, di tanto in tanto, si compiva qualche opera
pubblica, era piuttosto un abbellimento o una superfluità. La povera gente era abbandonata a sé stessa, mentre il galantuomo, aveva le case sulla strada principale, ovvero innanzi al suo portone si faceva costruire un metro di lastricato, per suo uso personale. I municipii, come si è detto, non avevano mezzi. }}
Continua [[Raffaele de Cesare]] (pag. 117 del libro [[La fine di un Regno]]) illustrando anche la scarsa attenzione da parte della monarchia per le disparità sociali e le misere condizioni di vita del popolo provinciale<ref name="autogenerato10" />:
{{citazione| Non il principe, non le autorità si maravigliavano di un simile stato di cose. Ferdinando II aveva percorse più volte le provincie, e le condizioni moralmente e socialmente miserrime, le vedeva, ma non le intendeva. Se non rivolse mai le sue cure alla capitale, non era sperabile che le rivolgesse alle Provincie. Certi bisogni erano superfluità per lui; gli bastava ordinare la costruzione di una nuova chiesa o convento, per credere di aver così appagato il voto delle popolazioni. Negli ultimi tempi manifestò una certa energia nel volere la costruzione dei cimiteri; ma in tanta parte del Regno, di qua e di là dal Faro, anche dopo di averli costruiti, si seguitò a seppellire i galantuomini nelle chiese e a buttare la povera gente nelle ‘'fosse carnarie‘'<ref>fosse carnarie = fosse comuni</ref>. Anche innanzi alla morte l'eguaglianza civile era una parola senza significato ! }}
== Economia ==
{{D|Economia del Regno delle Due Sicilie|commento=La pagina è estremamente pesante, è necessario uno scorporo della sezione "Economia"}}
=== Patrimonio e finanza ===
{{vedi anche|Ducato delle Due Sicilie}}
[[File:30 Ducati d'oro (Regno delle Due Sicilie, 1850).png|thumb|30 Ducati, 1850]]
[[File:Moneta d'argento da 120 Grana - 1859.png|thumb|120 Grana (piastra), 1859]]
[[File:Ferdnando-II-tornesi-dieci-1859.png|thumb|10 Tornesi, 1859]]
La legge del 20 aprile 1818 fissò l'unità monetaria del regno nel [[ducato delle Due Sicilie]] d'argento del peso di grammi 22,943, con 833,33 millesimi di fino. Un ducato corrispondeva a 100 grana, un grana corrispondeva a 2 tornesi. A partire dal
Il Regno delle Due Sicilie aveva a tutti gli effetti un regime monetario monometallico a base d'argento, formato, oltre che dalle monete di quel metallo (cioè la gran parte delle monete circolanti), anche dalle fedi di credito del Banco delle Due Sicilie, considerate anche all'estero valuta di prim'ordine.<ref name="Cesare p. 14">Raffaele de Cesare, La fine di un Regno, I volume, cap. 14</ref>
Nel saggio "Nord e Sud", [[Francesco Saverio Nitti]] rileva che, al momento dell'introduzione della [[lira italiana|lira]], nel Regno delle Due Sicilie furono ritirate 443,3 milioni di monete di vario conio<ref>{{cita libro |
Sia Nitti che Fortunato concordavano nel sostenere che la gestione finanziaria dello Stato borbonico fosse caratterizzata da una spesa pubblica estremamente esigua ed oculata, in particolare a livello infrastrutturale<ref>Francesco Saverio Nitti, ''L'Italia all'alba del secolo XX'', Casa Editrice Nazionale Roux e Viarengo, Torino-Roma, 1901, p.112</ref><ref>[[Giustino Fortunato]], ''Il Mezzogiorno e lo stato italiano; discorsi politici (1880-1910)'', vol.2, Laterza, 1911, p.337</ref>. [[Francesco Saverio Nitti|Nitti]] in sintesi così descriveva la situazione finanziaria delle Due Sicilie nel 1860:
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5. La quantità di moneta metallica circolante, ritirata più tardi dalla circolazione dello Stato, era in cifra assoluta due volte superiore a quella di tutti gli altri Stati della penisola uniti insieme.|F. S. Nitti, Nord e Sud, 1900<ref>F. S. Nitti, Nord e Sud, Torino, 1900, pag. 44-45</ref>}}
Di diverso avviso invece il grande meridionalista lucano [[Giustino Fortunato]], che attribuiva le cause dei problemi del meridione ai secoli di storia antecedenti all'unità, precisando che nel 1860 la situazione economica del Regno delle Due Sicilie non era migliore di quella degli altri stati preunitari, né le imposte sempre minori, criticando il sistema doganale, definito “medievale” e l'enorme spesa militare borbonica, mentre nel regno mancavano scuole, strade, approdi marittimi ed un sistema moderno di trasporti, come dalla sua opera “Il Mezzogiorno e lo Stato Italiano - Discorsi Politici (1880-1910) - (pagg. 336-337)<ref>[https://archive.org/stream/ilmezzogiornoelo02fortuoft#page/336/mode/2up Giustino Fortunato,
{{citazione|''Quali i dati, secondo cui le due Sicilie sarebbero state, al 1860, superiori alle altre regioni d'Italia, in particolar modo al Piemonte ?''
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''E, del resto, se le imposte erano quaggiù più lievi, non tanto lievi da non indurre il [[Luigi Settembrini|Settembrini]], nella famosa «Protesta» del 1847, a farne uno dei principali capi di accusa contro il Governo borbonico, assai meno vi si spendeva per tutti i pubblici servizi: noi, con 7 milioni di abitanti, davamo via trentaquattro milioni di lire, il Piemonte, con 5, quarantadue. ''
''L'esercito, e quell'esercito!, che era come il fulcro dello Stato, assorbiva presso che tutto; le città mancavano di scuole, le campagne di strade, le spiagge di approdi; e i traffici andavano ancora a schiena di [[Animale da soma|giumenti]], come per le plaghe dell'Oriente.''
''Secoli di miseria e di isolamento, non i Borboni, ultimi venuti e, come un giorno sarà chiaro allo storico imparziale, non essi — di fronte al paese — unici responsabili del poco o nessun cammino fatto dal '15 al '60, durante quei tre o quattro decenni di fortunata tregua economica non mai avveratasi per lo innanzi: lunghi e tristi secoli di storia avevano compressa ogni forza, inceppato ogni moto, spento ogni lume, perché, suonata l'avventurosa ora del Risorgimento, noi avessimo potuto essere qualche cosa dippiù di quel niente che eravamo.''
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''De' due terribili malanni — secondo il Cavour — del Mezzogiorno, la grande povertà, e, frutto di questa, la grande corruttela, i Borboni furono la espressione, non la causa: essi trovarono, forse aggravarono, non certo crearono il problema meridionale, che ha cause ben più antiche e profonde...''}}
<SMALL>Giustino Fortunato - IL MEZZOGIORNO E LO STATO ITALIANO - Discorsi Politici (1880-1910)- Laterza & Figli - Bari – 1911- pag. 336-337</SMALL><ref>{{cita libro|autore=[[Giustino Fortunato]]|titolo='' IL MEZZOGIORNO E LO STATO ITALIANO - DISCORSI POLITICI (1880-1910)''|editore=LATERZA & FIGLI|città=Bari|anno=1911|
Il divario economico era già allora evidente considerando il dato statistico riferito alle società in accomandita italiane al momento dell'Unità, in base ai dati relativi alle società commerciali e industriali tratti dall'Annuario statistico italiano del 1864. Le società in accomandita erano 377, di cui 325 nel centro-nord, escludendo dal computo quelle esistenti nel Lazio, nel Veneto,
Le sole società in accomandita del Regno di Sardegna avevano un capitale totale che era quasi doppio di quello dello stato borbonico: 755,776 milioni contro 443,200 milioni di liquidi.
[[File:Timbro secco banco due sicilie.png|thumb|Timbro del Banco delle Due Sicilie]]
[[File:Fede credito bari 1858 001.png|thumb|Fede di credito da 630 ducati rilasciata dalla Cassa di Corte di Bari nel 1858]]
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Nella Borsa di Napoli, situata presso [[palazzo San Giacomo]], si concentravano i più rilevanti movimenti economici del regno. Tra i valori più importanti si avevano la rendita, i cereali e gli oli. Il Ministero delle Finanze approvava ogni anno un calendario di Borsa, che permetteva agli agenti di poter suddividere la loro attività in turni. Esistevano inoltre delle "Camere consultive di commercio", di cui erano presidenti gli Intendenti delle province, che raccoglievano i commercianti impegnati nel tracciare le strategie da adottare in Borsa.
Nella rendita negoziavano banchieri come i [[Rothschild di Napoli]] (con la loro unica filiale italiana), Forquet, [[Meuricoffre]] e Sorvillo, Gunderschein ed altri.
[[File:Banche 1860 - Ann. Stat. Ital. 1864 pag. 582.JPG|upright=0.7|thumb|Banche nel 1860,<ref>Annuario Statistico Italiano 1864, pag.582</ref>]]
La Borsa di Napoli era all'epoca una delle più attive d'Europa nel settore agricolo, caratterizzata da giochi al rialzo o al ribasso su raccolti ancora in erba gestiti mese per mese da appositi sensali.<ref name="Cesare p. 14"/>
Gli oli ed i cereali avevano un posto di primo piano nelle operazioni di Borsa: il grano delle Due Sicilie (benché subisse la forte concorrenza di quello russo e polacco) era uno dei più apprezzati all'epoca e gli oli di Puglia e Calabria erano largamente venduti all'estero per usi alimentari ed industriali (dato che allora non si impiegavano ancora gli oli minerali). Le case di commercio specializzate operanti in Borsa avevano magazzini nelle città costiere (in particolare a Manfredonia, Barletta, Gallipoli, Gioia Tauro e Crotone), messi a disposizione dei proprietari terrieri locali che vi depositavano i propri prodotti, ottenendo adeguati compensi fissati da listini di Borsa giornalieri. I commercianti quindi spedivano i prodotti raccolti nei magazzini via mare, per raggiungere i rispettivi mercati di consumo (principalmente Russia, Inghilterra, Belgio e Francia). Le case di commercio avevano generalmente sede a Napoli, e succursali nelle varie province ed all'estero. Le case più importanti venivano dette anche "firme di piazza", tra queste si ricordano quelle dei Rocca, dei Cardinale, dei Piria, dei Perfetti, dei Pavoncelli, dei De Martino e la Minasi & Arlotta. Quest'ultima in particolare si rese protagonista di una significativa operazione di borsa nel 1856, che portò all'esclusione dei Rothschild dal mercato degli oli nel regno<ref name="Cesare p. 14"/>.
[[File:Casse di Risparmio del Regno - Annuario Stat. Ital. pag. 698.JPG|upright=1.0|thumb|Casse di risparmio nel 1861,<ref>Annuario Statistico Italiano 1864, pag.698</ref>]]
Tutti questi commerci crebbero sensibilmente negli anni cinquanta, anche grazie alla leggerezza delle imposte. I maggiori guadagni permisero agli imprenditori agricoli di migliorare la qualità delle produzioni e di reggere la concorrenza estera (principalmente quella dei grani russi). Negli anni cinquanta si ebbe anche un certo risveglio industriale, spesso applicato all'agricoltura, favorito dalle innovazioni tecniche registrate dal Real Istituto d'Incoraggiamento e dai concorsi a premi banditi dalle Società Economiche delle province (che dopo l'unità divennero [[Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura|Camere di commercio]]). Lavoro degno di nota delle Società Economiche fu l'opera di Guglielmo Ludolf (pubblicata nel 1856) sullo sfruttamento del [[Canale di Suez]], allora in costruzione. Si prevedeva con la sua apertura un forte sviluppo dell'economia delle Due Sicilie, in quanto nazione essenzialmente produttrice e non consumatrice, con vasti orizzonti commerciali aperti sul resto del mondo.<ref name="Cesare p. 14"/>
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(*)<small>Sotto il dominio austriaco</small>
Come raccontato dall'economista [[Luca de Samuele Cagnazzi]], lo scopo della maggior parte delle banche del Regno delle Due Sicilie era quello di commettere un qualche tipo di "[[bancarotta fraudolenta]]" (con grave pregiudizio per l'economia del regno) e, in tale contesto, Cagnazzi fu consultato in qualità di esperto nella costituzione di una nuova banca denominata [[Banca del Tavoliere di Puglia]] il cui scopo era di favorire lo sviluppo agricolo del [[Tavoliere delle Puglie]]. I principali investitori di tali banca erano dei banchieri belgi e olandesi rappresentati da un procuratore chiamato Van-Aken e l'investimento totale ammontava a due milioni di ducati. Cagnazzi sconsigliò l'investimento in quanto i rendimenti prospettati erano irrealistici; ciononostante, l'investimento fu concluso e la banca fallì dopo pochissimo tempo. Tale evento generò anche un incidente diplomatico tra il Regno delle Due Sicilie da una parte e il [[Belgio]] e [[Paesi Bassi]] dall'altra e fu chiesto al re [[Ferdinando II delle Due Sicilie]] di intervenire nella questione. Fu anche emesso un avviso ai naviganti a prestare attenzione per eventuali ritorsioni da parte di belgi e olandesi.<ref>{{Cita|Cagnazzi|p. 222}}.</ref><ref>{{Cita|Societadiscrittori|pp. 424-425}}.</ref>
=== Agricoltura, allevamento e pesca: condizioni economiche e sociali ===
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''Bullettino delle leggi del Regno di Napoli'', Napoli 1807-1815, pag. 257.}}
[[File:Giuseppe Pavoncelli.png|thumb|[[Giuseppe Pavoncelli]], ministro del [[Regno d'Italia (1861-1946)|Regno d'Italia]], apparteneva ad una delle famiglie più importanti dell'imprenditoria agraria italiana|200px|left]]
[[File:Debourcard oliandolo.png|thumb|Venditore d'olio ([[Francesco De Bourcard]]<ref name=debourcard>{{cita libro|titolo=[[Usi e costumi di Napoli e contorni descritti e dipinti]]|autore=[[Francesco De Bourcard]]|sbn=
[[File:Friggitricenap.png|thumb|Massaia venditrice di [[zeppole]] ([[Francesco De Bourcard]]<ref name=debourcard />, 1853)|200px|right]]
Nel regno borbonico, come negli altri stati preunitari, l'agricoltura costituiva il settore predominante<ref name="zitararchimede1">{{cita web |
La pesca era un'attività tradizionalmente diffusa su tutte le coste del regno. Essa assunse carattere industriale soprattutto grazie all'opera di [[Vincenzo Florio (senatore)|Vincenzo Florio]], che in Sicilia fu molto attivo anche in questo campo (oltre a quelli dell'industria chimica, siderurgica, tessile e dei trasporti marittimi), costruendo tonnare e stabilimenti per la lavorazione e la conservazione del pescato.
L'agricoltura delle Due Sicilie aveva i suoi punti forti nelle pianure campane e pugliesi. Nelle fertili pianure campane venivano applicate colture spesso di carattere intensivo (in particolare di ortaggi, alberi da frutto, [[tabacco]] e altre produzione per l'industria come la [[Canapa (tessile)|canapa]], il [[linum usitatissimum|lino]] ed il [[gelso]]). Le pianure e le colline rocciose delle [[Puglia|Puglie]], invece, erano suoli adatti alla produzione di oli e grani di qualità, in alcuni casi prodotti con soluzioni tecniche innovative<ref>{{Cita libro |autore=Ornella Bianchi |titolo=L'impresa agro-industriale: una economia urbana e rurale tra XIX e XX secolo |editore=[[Edizioni Dedalo]] |città=Bari |anno=2000 |
Per ampliare la superficie agricola furono intraprese opere di bonifica: tra le più importanti si ricordano le bonifiche del [[Vallo di Diano]], del [[Tavoliere delle Puglie]] e del piano del [[Fucino]], in [[Abruzzo Ulteriore Secondo]], quest'ultima decisa dall'ingegnere [[Carlo Afan de Rivera]]. Analoghi provvedimenti vennero presi per contrastare i problemi legati al dissesto idrogeologico, come per esempio la costruzione di canali artificiali, dell'[[Alveo comune nocerino]] e della rettifica del basso [[Sarno (fiume)|Sarno]].
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L'eversione della feudalità, però, secondo [[Tommaso Pedio]], nonostante la grande importanza avuta nell'imprimere una svolta in senso moderno nell'amministrazione dello Stato e nel consolidamento della proprietà borghese, rese in molti casi più precarie le condizioni economiche dei contadini nelle aree rurali del reame (condizioni già misere se si considera che le uniche proprietà di questi contadini erano generalmente la casa di famiglia e minuscoli appezzamenti di terreno)<ref name = "Tommaso Pedio, Latifondo e usi civici"/>. Nel provvedimento adottato dal governo di [[Giuseppe Bonaparte]] per debellare il feudalesimo, le quote di terreno assegnate ai braccianti non tenevano conto della composizione del nucleo familiare, costringendo molti di questi ad indebitarsi con i possidenti ricchi per comprare altro terreno<ref name = "Tommaso Pedio, Latifondo e usi civici"/>. Con la seconda restaurazione il governo borbonico adottò la legislazione entrata in vigore nel decennio napoleonico, e così gran parte dei problemi legati alla compravendita di terreni nelle province rurali, nonostante l'abolizione del feudo, rimasero irrisolti, tanto da sfociare in rivolta in seguito agli avvenimenti del [[1848]]. La questione demaniale si aggravò ulteriormente dopo l'[[unità d'Italia]], in quanto il nuovo governo sabaudo non solo si rifiutò di risolvere i problemi legati alla spartizione dei vecchi latifondi ma concesse anche alla borghesia agricola del sud, in cambio del suo sostegno politico, di occupare le vecchie proprietà e le terre demaniali su cui si basava il sostentamento del ceto contadino più povero<ref name = "Tommaso Pedio, Latifondo e usi civici"/>.
Nelle aree meno fertili e più periferiche del regno (come ad esempio nell'interno della [[Sicilia]] e nell'entroterra peninsulare) l'isolamento contribuiva alla persistenza di alcuni gravi lasciti del feudalesimo (abolito nel 1806 nei domini continentali e nel 1813 in Sicilia<ref>{{Cita libro |autore=Domenicantonio Vacca |titolo=Indice generale-alfabetico della collezione delle leggi e dei decreti per il Regno delle Due Sicilie |editore=Stamperia dell'Ancora, Napoli 1837 |
=== Industria e imprenditoria ===
{{vedi anche|
[[File:Nicola buonanno 1855.png|thumb|[[Francesco Buonanno]], industriale conciario di [[Solofra]] (1855)|200px|right]]
Il settore industriale, anche se meno rilevante dell'agricoltura, costituiva un campo in via di sviluppo e venne sostenuto dal governo borbonico<ref>Elenco di saggi de' prodotti della industria napolitana 1844 [http://books.google.it/books?id=04ZaAAAAQAAJ&pg=PA21&dq=elenco+saggi&hl=it&ei=cUsbTYbqLo3zsga8kaD6DQ&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=1&ved=0CDIQ6AEwAA#v=onepage&q&f=false Elenco di saggi de' prodotti della industria napolitana presentati nella
[[File:Fabbrica d'armi torre annunziata progetto ampliamento.jpg|thumb|Fabbrica d'Armi di Torre Annunziata|200px|left]]
[[Napoli]] era, in campo industriale, la città più significativa del regno e già negli anni trenta si era deciso di incanalare la sua espansione industriale verso la periferia orientale e lungo la costa vesuviana. Tra le attività più importanti dell'area urbana napoletana si ricordano la lavorazione delle pelli (principalmente per la produzione di guanti e scarpe), la produzione di stoviglie, i mobilifici, le fabbriche di materiali da costruzione, di cristalli (rinomato era quello di [[Posillipo]]), di strumenti musicali, le distillerie. Una notevole consistenza aveva l'industria cartaria e quella tessile, sia a livello artigianale sia a livello propriamente industriale. I progressi in campo tessile furono testimoniati anche dalla [[Royal Statistical Society|Statistical Society]] di [[Londra]] agli inizi degli anni quaranta dell'Ottocento: il console della regina britannica, Gallwey, nell'ottobre del [[1841]] redasse un rapporto sull'efficienza delle fabbriche tessili del litorale tirrenico napoletano.<ref>Tommaso Pedio, ''Economia e società meridionale a metà dell'Ottocento'', Capone, 1999, p.52, 61</ref> La siderurgia e la metalmeccanica rappresentavano il ramo industriale più consistente, con stabilimenti dislocati tra la zona del Mercato e Pietrarsa<ref name="Tutela e riuso dei monumenti industriali">Associazione per l'archeologia industriale - Centro documentazione e ricerca per il Mezzogiorno, Bollettino "Tutela e riuso dei monumenti industriali", n. 2-3, 1982</ref>.
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Tra le più importanti e moderne industrie metalmeccaniche private si ricordano le officine [[Cantiere Pattison|Guppy]] e gli stabilimenti [[Opificio Zino & Henry|Zino & Henry]] nel napoletano.
Poco lontano da Napoli si trovava il [[Cantiere navale di Castellammare di Stabia]], il quale impiegava circa 1.800 operai.<ref name=bevilacqua>[[Piero Bevilacqua]] ''Breve storia dell'Italia meridionale: dall'Ottocento a oggi'', Roma, 1993, p. 54</ref>
[[File:Occupazione nelle grandi industrie metallurgiche e meccaniche 1864 - R.S. Eckauss p. 367.JPG|thumb|Addetti occupati nelle grandi industrie metallurgiche e meccaniche nel 1864]]
A causa di un sistema prettamente accentrato, Napoli era sede di una maggior aggregazione industriale: ciò comportò nei primi anni di questo processo di industrializzazione massicci spostamenti di lavoratori, che, provenienti dalle altre province del regno, aspiravano a migliori condizioni di vita; non sempre però l'occupazione era garantita a tutti<ref name=autogenerato5>Tommaso Pedio, ''Industria, società e classe operaia nelle province napoletane nella prima metà dell'Ottocento'', Archivio Storico Pugliese, Bari, 1977, p.320</ref>. Con l'evoluzione della società indotta dalla crescita industriale tuttavia il fenomeno della migrazione interna andò sempre più scemando, fino a scomparire quasi del tutto negli ultimi decenni di vita del regno. Al di fuori dei grandi centri economici come [[Napoli]], [[Palermo]] e [[Bari]], alcune realtà industriali sorsero gradualmente in altre province del reame<ref name=autogenerato5 />.
In [[Calabria Ulteriore]]<ref>Studi statistici sull'industria agricola e manifatturiera della Calabria Ultra II, Luigi Grimaldi, Napoli 1845 [http://books.google.it/books?id=DjZKAAAAYAAJ&printsec=frontcover&dq=studi+statistici+sull'industria&hl=it&ei=S00bTdOfEc2Lswby-czwDA&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=1&ved=0CCsQ6AEwAA#v=onepage&q&f=false Studi Statistici Sull'Industria Agricola E Manifatturiera Della Calabria
In [[Sicilia]], non emerse un'industria, così come invece nel napoletano. Si dovrà attendere il [[1832]] con [[Vincenzo Florio (senatore)|Vincenzo Florio]] perché si sviluppassero iniziative industriali nei settori siderurgici, dei trasporti marittimi, della conservazione del pescato e vinicola<ref>http://www.treccani.it/enciclopedia/vincenzo-florio_(
Nelle zone di [[Enna]], [[Caltanissetta]] e [[Agrigento]], era presente da secoli l'industria mineraria basata sulla estrazione dello [[zolfo di Sicilia|zolfo siciliano]], a quel tempo fondamentale per la produzione di [[polvere da sparo]] (che nel regno avveniva nel moderno polverificio di [[Scafati]]) e [[acido solforico]], produzione che soddisfaceva 4/5 della richiesta mondiale<ref>[[Harold Acton]], ''Gli ultimi Borboni di Napoli (1825-1861)'', Firenze, 1997, p.140</ref> e del [[salgemma]].
Attiva la tradizionale produzione e il commercio del sale marino e, in campo agricolo, degli agrumi e del grano. Un commerciante inglese John Woodhouse, infine, aveva iniziato la commercializzazione del [[vino Marsala]].
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{{Approfondimento |larghezza = 350px |titolo = La comunità svizzera delle Due Sicilie
|contenuto = [[File:Federico Wenner 1860.png|thumb|[[Federico Wenner]], industriale svizzero operante nel Regno (1860)|200px|center]]{{clear}}
La [[Svizzera|comunità svizzera]] nel Regno delle Due Sicilie fu tra le più cospicue comunità estere presenti nel territorio del reame. I primi flussi migratori risalgono alla seconda metà del [[XVIII secolo]], quando soldati di ventura elvetici si spostarono nelle [[Due Sicilie]] per essere assoldati dai [[Borbone delle Due Sicilie|Borbone]]<ref name="il Denaro"/>.<br />Allo stesso tempo, però, un'altra tipologia di migranti discendeva la [[Penisola italiana|penisola]]. Si trattava di famiglie svizzere che andavano ad occupare, sia in qualità di imprenditori, sia in qualità di lavoratori, interi comparti economici del regno. Ad attirare il grosso degli investitori e della forza lavoro, furono il [[Settore secondario|secondario]] ed il [[Settore terziario|terziario]]: in particolare l'[[industria tessile]], ma anche l'industria alberghiera, il comparto [[bancario]] ed il [[commercio]]<ref name="il Denaro">{{cita web |
{{citazione|[…] il Meridione d'Italia rappresentò un vero e proprio [[Giardino dell'Eden|Eden]] per tanti svizzeri, che vi emigrarono, spinti soprattutto da ragioni economiche, oltre che dalla bellezza dei luoghi e dalla qualità di vita. Luogo di principale attrazione: Napoli, verso cui, ad ondate, tanti Svizzeri, soprattutto svizzeri tedeschi di tutte le estrazioni sociali emigrarono con diversi obiettivi personali. Verso la metà dell'Ottocento, nella capitale del Regno delle Due Sicilie, quella svizzera era tra le più numerose comunità estere.|Claude Duvoisin, [[Agente consolare|console]] svizzero a Napoli, 10 luglio [[2006]]<ref name="il Denaro"/>}}
A comporre la comunità elvetica nelle Due Sicilie, non vi furono solo imprenditori ed operai, ma anche una schiera di uomini di cultura, composta da intellettuali, artisti e scrittori che fecero di Napoli la fonte di ispirazione di alcune delle loro opere<ref name="il Denaro"/>.<br />Ancora oggi a Napoli vive un'ampia comunità svizzera, discendente, in parte, degli emigranti ottocenteschi<ref name="il Denaro"/>.}}
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[[File:Salerno 1840vonwiller.jpg|thumb|Stabilimento tessile nella valle dell'Irno (Salerno, 1840)|200px|left]]
[[File:Isola liri cartiere meridionali.jpg|thumb|Cartiera a [[Isola del Liri]]|200px|left]]
Nel salernitano e nella [[valle del Sarno]] esisteva una sorta di polo tessile<ref>{{cita web|url=http://amato.blogautore.repubblica.it/2011/06/08/quando-salerno-era-la-terza-provincia-italiana/|Quando Salerno era la terza provincia italiana…|data=8 giugno 2011}}</ref>, gestito in prevalenza da imprenditori facenti parte della cospicua comunità svizzera campana (Von Willer, Meyer & Zottingen, Zublin & Co., Schlaepfer, Wenner & Co., Escher & Co.). Queste industrie tessili, dotate di stabilimenti meccanizzati, avevano in quell'epoca potenzialità superiori a quelle presenti nel distretto di [[Biella]] (che successivamente diventerà il principale polo tessile italiano)<ref>Ornella Bianchi, L'impresa agro-industriale, [[Edizioni Dedalo]], Bari 2000, p. 16-20 [http://books.google.it/books?id=PChjSDRlgBoC&pg=PA4&dq=lindemann+bari&hl=it&ei=z1qlTeHHM4qMswaj6e3RAg&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=5&ved=0CDoQ6AEwBA#v=onepage&q&f=false L'impresa agro-industriale: una economia urbana e rurale tra XIX e XX secolo - Ornella Bianchi - Google Libri]</ref>. In quest'area, assieme al settore tessile, sorse anche un cospicuo indotto, in alcuni casi sopravvissuto fino ai nostri giorni.
Il nucleo più antico della comunità elvetica in Campania si fa risalire alla nascita degli stabilimenti Egg a [[Piedimonte d'Alife]]. La migrazione di tessitori svizzeri in Campania fu causata dalla ristrettezza di materie prime di cui soffriva il settore tessile elvetico durante il "blocco continentale" napoleonico, che impediva le esportazioni di filati dall'Inghilterra (fondamentali per la nascente industria tessile svizzera). Tra i primi svizzeri ad intraprendere la produzione tessile nel reame napoletano si ricordano in particolare i [[Meuricoffre]] (futuri banchieri) e
Impianti tessili gestiti da imprenditori autoctoni si trovavano anche in altre province del regno, come gli stabilimenti tessili dei Sava, Zino, Manna e Polsinelli in Terra di Lavoro: in particolare nella [[valle del Liri]] erano presenti oltre 15 lanifici i quali soddisfacevano gran parte dei bisogni del mercato meridionale. Nelle valli del [[Liri]] e del [[Fibreno]] era inoltre concentrata la rilevante industria cartaria, che tuttavia operava anche in altri centri vallivi del reame.<ref>Francesco Durelli ''Cenno storico di Ferdinando II re del regno delle due Sicilie'', Napoli, 1859, p. 347</ref> Manifatture significative erano situate a [[San Leucio (Caserta)|San Leucio]] ([[Caserta]]), dove avveniva ed avviene tuttora la produzione di seta pregiata.
L'industria alimentare era legata, in particolar modo, alla produzione di olio, vino e grano duro ed i pastifici erano diffusi su tutto il territorio del regno (in particolare nella [[Provincia di Napoli (1806-1860)|provincia di Napoli]] tra [[Torre Annunziata]] e [[Gragnano]])<ref>{{cita web |
Con il passare del tempo si ebbe uno sviluppo delle strutture industriali già esistenti in [[Campania]], [[Calabria]] e [[Sicilia]] ed una diffusione di modesti opifici e piccole o medie fabbriche anche in altre aree continentali del regno, in particolare in [[Abruzzo]], [[Puglia]] e, in maniera molto esigua, in [[Molise]] e [[Basilicata]].<ref>Tommaso Pedio, ''Industria, società e classe operaia nelle province napoletane nella prima metà dell'Ottocento'', Archivio Storico Pugliese, Bari, 1977, pp. 335-342.</ref>
[[File:Commercio Import Export prima del 1859 - Ann. Stat. It. 1864, pag.478 .jpg|upright=0.7|thumb|Commercio Import-Export 1859<ref>Annuario Statistico Italiano 1864, pag.478</ref>]]
In [[Terra di Bari (territorio storico)|Terra di Bari]] e nelle altre province pugliesi, nella prima metà dell'Ottocento, si ebbe un processo di industrializzazione che coinvolse numerosi centri urbani<ref name="Bianchi">Ornella Bianchi, L'impresa agro-industriale, [[Edizioni Dedalo]], Bari 2000, pp. 26-28.</ref>. Tra le aziende di maggior rilievo nel settore tessile sono da ricordare i lanifici [[Nickmann]] (1848) e le filande [[Marstaller]], le quali, oltre a produrre tessuti, si occupavano dell'esportazione di olii, vini e mandorle in [[Germania]]. Nel settore metallurgico si ricordano le officine Lindemann (fondate da Guglielmo Lindemann a Salerno nel 1836) situate a Bari dal 1850, che, oltre alla produzione metallurgica (lavorazioni dello zolfo, gasometri, macchine agricole, infissi per grandi edifici, caldaie e motori navali), assunsero anche il ruolo di fabbrica agro-chimica nei processi di estrazione degli olii e nella fabbricazione di saponi. In quell'epoca, infine, nelle città pugliesi, per iniziativa locale sorsero piccole industrie legate soprattutto alla produzione agricola: vi si costruivano molini, macchinari per la lavorazione dei filati, per la produzione degli olii, del vino e vi si producevano saponi<ref name="Bianchi"/>.
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Dopo il [[1824]], molte piccole fabbriche manifatturiere si trasformarono in veri e propri complessi industriali che resero alcune zone del Regno delle Due Sicilie all'avanguardia nella fase iniziale dell'industrializzazione della penisola.<ref>Tommaso Pedio, ''Industria, società e classe operaia nelle province napoletane nella prima metà dell'Ottocento'', Archivio Storico Pugliese, Bari, 1977, p. 335.</ref>
[[File:Debourcard nastri.png|thumb|Tessitrice domestica ([[Francesco De Bourcard]]<ref name=debourcard />, 1853)|200px|left]]
Negli anni cinquanta i salari degli operai del settore privato ammontavano in media ad una paga giornaliera di 40/50 [[Grano (moneta)|grana]] (per poter fare un valido paragone col settore pubblico basti pensare che un Aiutante di Battaglione, il sottufficiale di grado più alto nel [[Esercito delle Due Sicilie|Real Esercito]], percepiva una paga giornaliera di 54 grana, che tra l'altro corrispondeva a oltre il 20% in più rispetto alla paga del parigrado dell'[[Esercito piemontese]])<ref name=autogenerato7>Rivista Militare, L'Esercito delle Due Sicilie (1856-1859), Quaderno n. 5/87, p. 51.</ref>. I capi-operaio invece ricevevano
[[Tommaso Pedio]] ci ricorda come non vi fossero ancora norme a tutela delle condizioni lavorative: l'operaio non aveva il diritto di protestare per ottenere migliori condizioni di lavoro e lo sciopero poteva essere punito dalla legislazione borbonica come "atto illecito tendente al disturbo dell'ordine pubblico": ciò contribuì a creare negli anni successivi al '48 un certo fermento tra la classe operaia del reame, il cui malcontento si manifestò poi con grande vigore negli anni successivi all'unità in seguito al nascere di nuove problematiche<ref>Tommaso Pedio, ''Industria, società e classe operaia nelle province napoletane nella prima metà dell'Ottocento'', Archivio Storico Pugliese, Bari, 1977, pp. 319; 353-356.</ref>. Intorno al 1848 si ebbe la nascita di alcuni nuclei socialisti tra gli operai napoletani e salernitani e tra gli intellettuali della capitale (il cui esponente più celebre fu [[Carlo Pisacane]], morto in seguito alla [[spedizione di Sapri]] nel 1857).<ref>Tommaso Pedio, ''Industria, società e classe operaia nelle province napoletane nella prima metà dell'Ottocento'', Archivio Storico Pugliese, Bari, 1977, p.357</ref>
Secondo alcuni storici<ref>Angelo Massafra, ''Il Mezzogiorno preunitario: economia, società e istituzioni'', [[Edizioni Dedalo]], Bari, 1988, p. 234.</ref> l'imprenditoria nelle province meridionali era esiguamente sviluppata rispetto al resto d'Italia, tranne alcune notevoli eccezioni come i [[Florio]] siciliani, a causa delle deficienze strutturali dell'economia del Mezzogiorno, evidenziate principalmente nella scarsezza di materie prime quali il [[carbon fossile]] e [[ferro]], la mancanza di capitali (principalmente investiti in rendite fondiarie e titoli di stato), la mancanza di una educazione tecnica degli operai che relegava l'attività manifatturiera principalmente all'ambito artigiano e casalingo (al primo censimento del [[1861]], delle 1.179.499 unità censite come "popolazione artigiana" nelle Province Napoletane, 764.350 erano donne, di cui, a sua volta, 118.626 avevano meno di 15 anni d'età<ref>MAIC, ''Statistica del Regno d'Italia. Censimento Generale (31 dicembre 1861)'', Firenze 1866, vol. III, p. XIV.</ref>) e alla scarsezza del mercato interno del regno stesso.<ref>D. Demarco, ''Il crollo delle Regno delle Due Sicilie. La struttura sociale'', ESI 2000, pagg. 93-101.</ref>
[[File:Società 1860 - Ann. Stat. Ital. 1864, pag. 541.JPG|upright=0.8|thumb|Società anonime ed in accomandita nel 1860 -<ref>Annuario Statistico anno 1864, pag. 541</ref>]]
Tuttavia, i dati riportati da uno studio del [[2010]] della [[Banca d'Italia]] "''tendono a confermare alcune delle ipotesi revisioniste''"<ref name="bankitalia">[http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/pubsto/quastoeco/quadsto_04/Quaderno_storia_economica_4.pdf Carlo Ciccarelli, Stefano Fenoaltea. ''Quaderni di storia economica n.4''. Banca d'Italia, 2010] {{webarchive|url=https://web.archive.org/web/20110125043653/http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/pubsto/quastoeco/quadsto_04/Quaderno_storia_economica_4.pdf |data=25 gennaio 2011 }}. pag. 8</ref>: i dati esposti dimostrano come, nel 1871, l'indice di industrializzazione delle principali province campane e siciliane fosse allo stesso livello delle province del [[Triangolo industriale]]. Lo stesso studio sottolinea come nella seconda metà dell'Ottocento l'industria italiana avesse carattere principalmente artigianale<ref name="bankitalia" /> ed evidenzia come fosse concentrata a ridosso delle grandi aree urbane.
Oltre allo studio Bankitalia, vi è anche un dossier degli economisti Vittorio Daniele (Università di Catanzaro) e Paolo Malanima (Istituto ISSM - [[Consiglio Nazionale delle Ricerche|CNR]]) che, ricostruendo il [[Reddito pro capite|Prodotto pro-capite]] delle regioni italiane sulla base dei dati del 1891 e successivi, concludono che al 1860 non esistesse alcun reale divario in termini di reddito individuale medio tra nord e sud, divario che incomincia invece a crearsi nell'ultimo decennio dell'Ottocento.<ref name="paolomalanima.it">
{| class="wikitable"
|+Indice di industrializzazione delle principali province italiane
!Provincia
!1871
!1881
!1901
!'''1911'''
!'''Popolazione maschile'''
'''con più di 15 anni (1871)'''
!'''Area [km²]'''
|-
|[[Provincia di Milano|Milano]]
|1,69
|1,78
|2,23
|2,26
|351.000
|3.163
|-
|[[Provincia di Napoli (1806-1860)|Napoli]]
|1,44
|1,59
|1,42
|1,32
|312.000
|908
|-
|[[Provincia di Torino|Torino]]
|1,41
Riga 513 ⟶ 673:
|329.000
|10.236
|-
|[[Provincia di Venezia|Venezia]]
|1,37
Riga 529 ⟶ 681:
|117.000
|2.420
|-
|[[Provincia di Firenze|Firenze]]
|1,22
Riga 537 ⟶ 689:
|268.000
|5.867
|-
|[[Provincia di Palermo|Palermo]]
|1,21
Riga 561 ⟶ 697:
|210.000
|5.047
|-
|[[Provincia di Roma|Roma]]
|0,96
|0,99
|0,85
|0,85
|318.000
|12.081
|}
Tuttavia, gli autori dello studio da cui si citano i dati sopraindicati, tengono a far notare come «le province sono meno omogenee delle regioni, e gli indici vanno valutati con maggiore prudenza», poiché, ad esempio, «gli indici per Napoli e soprattutto Livorno tendono a superare la media semplicemente perché le province erano piccole, con poca terra agricola, e dunque relativamente pochi agricoltori.»<ref>Carlo Ciccarelli, Stefano Fenoaltea. ''Quaderni di storia economica n.4''. Banca d'Italia, 2010. pag. 7-8</ref>
Nel sito istituzionale per il 150° dell'unità è esposta la tesi che considera il divario Nord-Sud preesistente all'Unità e provocato principalmente dalla diversa storia dei due territori, già a partire dalla caduta dell'impero romano, differenza che sarebbe aumentata a partire dal 1300<ref>[https://www.150anni.it/webi/index.php?s=37&wid=103 Il problema del Mezzogiorno, il divario di partenza]</ref>. Secondo altri studi al momento dell'unificazione la differenza in termini di reddito pro-capite sarebbe stata stimata nel 15-20% maggiore nel nord rispetto al sud<ref>LEPORE, La questione meridionale prima dell’intervento straordinario, prefazione di R. VILLARI, Amedeo Lepore, pag.20</ref>, dato che si ricava non solo dall'analisi del numero degli occupati, bensì anche delle dimensioni e delle capacità competitive degli stabilimenti industriali. Altri studi stimano la differenza del reddito pro-capite del 25% maggiore nella parte nord-ovest rispetto a quella meridionale.<ref>In ricchezza e in povertà, il benessere degli italiani dall’Unità a oggi, a cura di Vecchi p. 221</ref>
=== Marina mercantile e commercio internazionale ===
[[File:Ferdinando I, Prima nave a vapore nel Mediterraneo.jpg|thumb|left|Il "Ferdinando I", prima nave a vapore del Mediterraneo (1818)]]
[[File:Sommer, Giorgio (1834-1914) - n. 8740 - Messina - Panorama da S. Salvatore.jpg|thumb|[[Messina]], importante porto commerciale, come appariva prima di essere distrutta dal [[Terremoto di Messina del 1908|sisma del 1908]]]]
[[File:Messaggieramar 001.png|thumb|Avviso pubblicitario della compagnia "Messaggiera Marittima", 8 ottobre 1857]]
[[File:
Il regno era dotato di un'importante [[marina mercantile]]. Sia il commercio che l'industria infatti, concentrati principalmente nelle città costiere, si servivano dei trasporti marittimi forniti dalle numerose compagnie di navigazione e dallo stesso Stato che, oltre a solcare il [[Mediterraneo]], compivano anche rotte oceaniche (soprattutto per raggiungere i paesi dell'Europa del nord)<ref>Raffaele de Cesare, La fine di un Regno, Vol. 1</ref>. Ad esempio, la società ''Sicula Transatlantica'', dagli armatori palermitani De Pace, si dotò del ''[[Sicilia (piroscafo)|Sicilia]]'', un piroscafo a vapore di costruzione scozzese, che collegò [[Palermo]] a [[New York]] in 26 giorni, divenendo la prima nave a vapore italiana a giungere nelle Americhe<ref>{{cita web|url=http://www.ilportaledelsud.org/ss_sicilia.htm|titolo=Il piroscafo Sicilia |autore=Alessandro Arseni |editore=Il Brigantino - Il portale del Sud|accesso=5 gennaio 2011}}</ref>.
Nel 1734, anno in cui [[Carlo III di Spagna|Carlo di Borbone]] assunse il titolo di re delle Due Sicilie dopo l'epoca vicereale, le marine mercantili napoletana e siciliana versavano in pessime condizioni. I porti minori erano chiusi al traffico e le esportazioni ridotte al minimo. Per far fronte a questa situazione re Carlo fece emanare una serie di norme e disposizioni atte a rendere finalmente efficace la navigazione mercantile nel suo Stato. Furono stabiliti regolamenti moderni per i marinai ed i padroni e fu incrementata la cantieristica e l'istruzione professionale nelle aree di più lunga tradizione marinara (come nella [[penisola sorrentina]] e nell'[[arcipelago Campano]]). Il nuovo corso della marineria mercantile napoletana e siciliana fu determinato inoltre dal potenziamento della [[Real Marina del Regno delle Due Sicilie|Marina Militare]]ed inoltre dall'eliminazione dei privilegi doganali per i legni inglesi, francesi, spagnoli e olandesi che procuravano problemi all'erario nazionale. A metà Settecento i legni delle Due Sicilie ripresero a commerciare con i principali porti del [[Mediterraneo]], con occasionali viaggi oltre le [[Colonne d'Ercole]].<ref name="Lamberto Radogna 1860">Lamberto Radogna, Storia della Marina Mercantile delle Due Sicilie (1734-1860), Mursia 1982</ref>
Con l'avvento al trono di [[Ferdinando I delle Due Sicilie|Ferdinando IV]] sul trono di Napoli si consolidarono le norme introdotte sotto il regno di Carlo di Borbone, furono potenziate le strutture al servizio della marineria mercantile e furono sottoscritti nuovi trattati di commercio con i paesi nordafricani, gli [[Lega anseatica|stati anseatici]] del [[Mar Baltico|Baltico]] e con l'[[Impero russo]], permettendo alle navi delle Due Sicilie di poter transitare per i [[Dardanelli]] ed il [[Bosforo]] per raggiungere i porti del [[Mar Nero]]. In quegli anni inoltre furono consolidati i rapporti commerciali con tutti gli Stati del Mediterraneo, con il [[Regno Unito]], il [[Portogallo]], i [[Paesi Bassi]], la [[Danimarca]] e la [[Svezia]].<ref name="Lamberto Radogna 1860"/>
La seconda metà del XVIII secolo segnò per il Regno delle Due Sicilie la ripresa di una coscienza marinara, contrassegnata dal sorgere di tutte quelle attività che decretarono l'inizio dell'evoluzione verificatasi dopo il [[Congresso di Vienna]], in cui il processo di trasformazione della società napoletana impresse alla sua economia una spinta in senso borghese. Durante il decennio francese le strutture economiche e sociali del regno si rafforzarono, si consolidò la borghesia, erede del baronaggio feudale ormai abolito, e soprattutto si formò una nuova coscienza politica. Tornato sul trono Ferdinando I di Borbone si conservarono le normative di epoca napoleonica, si diedero premi ai legni che esportavano nei mari più lontani, nacquero le prime compagnie di assicurazione e si incrementarono le costruzioni navali nazionali. Negli anni dieci dell'Ottocento la bandiera delle Due Sicilie, la prima in assoluto di uno Stato italiano, cominciò a sventolare regolarmente anche nei porti americani del nord e del sud (è da ricordare a questo proposito l'apertura della prima [[ambasciata]] degli Stati Uniti in Italia, avvenuta a Napoli il 16 dicembre del [[1796]]), nelle Antille e nelle Indie.<ref name="Lamberto Radogna 1860"/>
Nel 1817 il principe di Ottajano [[Luigi de' Medici di Ottajano]], ministro delle finanze, decise che il reame avrebbe dovuto dotarsi di [[nave a vapore|navi a vapore]] per la navigazione mercantile. Così si commissionò al cantiere di Stanislao Filosa, presso il forte di Vigliena a est di Napoli, la prima nave a vapore del Mediterraneo: il ''Ferdinando I'', di 213 tonnellate, varato il 24 giugno 1818 e affidato all'alfiere di vascello Giuseppe Libetta. Il primo viaggio fu tra Napoli e [[Marsiglia]], passando per [[Genova]], [[Livorno]] e [[Civitavecchia]]: fu il primo viaggio in mare aperto di una nave a vapore in Europa.<ref name="Lamberto Radogna 1860"/>
Con il regno di [[Francesco I delle Due Sicilie|Francesco I]] si ebbe un ulteriore consolidamento della flotta mercantile delle Due Sicilie: furono aumentati i vantaggi per chi esportava in [[America]], fu incrementata la costruzione di navi a vapore (si organizzò anche un servizio postale e di collegamenti su navi a vapore, il primo di questo genere in [[Italia]]) e furono contratti nuovi accordi commerciali. In particolare si ricorda l'accordo con la [[Sublime
Morto Francesco I, salì sul trono delle Due Sicilie il figlio [[Ferdinando II delle Due Sicilie|Ferdinando II]], il sovrano che diede l'impulso maggiore al potenziamento della marina mercantile nel reame. Sotto il suo regno si registrarono molti primati: la prima nave da crociera a vapore del Mediterraneo (il ''Francesco I'', 1832), la prima nave a vapore in ferro con propulsione a elica (il ''[[Giglio delle Onde]]'', 1847), il primo transatlantico a vapore tra Napoli e New York (il ''Sicilia'', dei fratelli palermitani De Pace, nel 1854), il primo moderno sistema di fari in Italia (a partire dal 1841). Inoltre furono ampliati ed ammodernati quasi tutti i porti delle Due Sicilie, tra cui quello di Napoli (in cui fu costruito nel 1852 il secondo [[Bacino di carenaggio|bacino di raddobbo in muratura]] italiano dopo quello di Genova<ref>Cfr. sulla memoria redatta per il Parlamento nazionale dal colonnello del Genio e deputato [[Damiano Sauli]] in [https://books.google.it/books?id=YUGARZIuiJYC&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false ''Dei bacini di carenaggio e particolarmente di quello costruito nel porto di Genova dal 1847 al 1851''], Genova, Fratelli Ferrando, 1852.</ref><ref>Cfr. il lemma [http://www.treccani.it/enciclopedia/arsenale_%28Enciclopedia-Italiana%29/ "''arsenale"''] sull'Enciclopedia Italiana Treccani.</ref>), furono costruiti nuovi porti (come quello di [[Nisida]] e di [[Bari]]) ed istituite nuove scuole nautiche ed ospedali.
Anche le esportazioni videro un significativo aumento. Aumentarono i traffici attraverso l'Atlantico, il Mar Nero, il Baltico, l'[[America Latina]], la [[Scandinavia]], il nord-Africa, si consolidarono le esportazioni nel Regno Unito. Il capitano [[Vincenzo di Bartolo]], al comando
Le rivolte del 1848 segnarono una battuta d'arresto per i traffici del regno, tuttavia dopo qualche anno la marineria delle Due Sicilie riprese la sua crescita.
Nel 1852 i bastimenti napoletani iniziarono a commerciare anche con [[Calcutta]], e gli eventi della successiva [[Guerra di Crimea]] furono sfruttati dalle compagnie di navigazione regnicole, che aumentarono notevolmente i propri capitali mettendo a disposizione le proprie flotte per i trasporti militari. Nel corso degli anni cinquanta la consistenza della flotta mercantile delle Due Sicilie raggiunse il suo apice, nei cantieri della penisola sorrentina furono costruiti i primi bastimenti da 1.000 tonnellate, i quali conquistarono un altro primato per uno Stato italiano preunitario: raggiunsero il [[Madagascar]] e le isole minori dell'Oceano Indiano. Si ebbe poi un susseguirsi di trattati commerciali: nel [[1845]] con la [[Impero russo|Russia]], nel [[1846]] con il [[Regno di Sardegna]], [[Stati Uniti d'America]] e [[Danimarca]], nel [[1847]] con la [[Prussia]], nel [[1848]] con il [[Belgio]] e [[Paesi Bassi]], nel [[1851]] con l'[[Impero
==== Tonnellaggio e numero di imbarcazioni ====
[[File:Corriere siciliano 001.png|thumb|left|Il "Corriere siciliano" di [[Vincenzo Florio (senatore)|Vincenzo Florio]] (1852)]]
[[File:Floreletr 001.png|thumb|L'"Elettrico" di [[Vincenzo Florio (senatore)|Vincenzo Florio]] (1859)]]
Nonostante i progressi evidenziati in campo tecnologico, tra il 1818 ed il 1824, si registrò, per tonnellaggio e numero di imbarcazioni, una esigua crescita della marina mercantile del regno: ciò è imputabile al "''privilegio di bandiera''" concesso ad Inghilterra, Francia e Spagna<ref name="Tullio306">{{Cita|Giuseppina Tullio|p. 306}}.</ref>. In base a tale privilegio, le merci trasportate su vascelli battenti bandiere di questi paesi beneficiavano di una riduzione sui dazi, pari al 10%, che, influendo sul prezzo finale delle merci, faceva in modo che tali bastimenti fossero preferiti per gli scambi commerciali<ref>{{Cita libro|autore=Ernesto Pontieri |titolo=Il riformismo borbonico nella Sicilia del sette e dell'Ottocento |anno=1961 |editore=Edizioni scientifiche italiane|città=Napoli|p=274|capitolo=Sul trattato di commercio anglo-napoletano del 1845|isbn=no}}</ref>. A partire dal 1823, però, il governo varò alcuni provvedimenti normativi i cui risultati divennero evidenti negli anni successivi: tali disposizioni, infatti, ebbero un effetto propulsivo per l'industria cantieristica. Quest'ultima, inoltre, poté beneficiare anche della disponibilità, sul territorio dello Stato, delle [[materie prime]] di cui necessitava e di un basso [[costo del lavoro]]. Così, tra il 1825 ed il 1855, si registrò una forte crescita della marina mercantile, tanto da risultare raddoppiata rispetto al 1824. In particolare, tra il 1834 ed il 1860, fatta salva una interruzione avutasi nel quinquennio 1851-1855, tale crescita fu costante<ref name="Tullio306"/>: nelle province continentali, si passò dalle 5.328 unità per 102.112 tonnellate del 1834 alle 9.847 unità per 259.917 tonnellate del 1860, con un incremento del 148,80% per le unità ed un incremento del 254,50% per il tonnellaggio. Fino al 1850, poi, tale crescita costante, per il naviglio, fu estremamente regolare e si tradusse in incremento annuo del 10%. La crescita del tonnellaggio, invece, sempre fino al 1850, crebbe in maniera irregolare, facendo registrare valori compresi in una forbice tra lo 0,50% ed il 12,50%, poiché condizionata dalle differenti tendenze nella produzione delle diverse tipologie di naviglio<ref name="Tullio308">{{Cita|Giuseppina Tullio|p. 308}}.</ref>.
Dal punto di vista amministrativo, il litorale del regno era organizzato in diciassette ''Commissioni marittime''; undici erano quelle dei dominii al di qua del Faro: Napoli, Gaeta, Salerno, [[Paola (Italia)|Paola]], [[Pizzo Calabro|Pizzo]], [[Reggio Calabria|Reggio]], [[Taranto]], Barletta, [[Manfredonia]], Pescara e [[Giulianova|Giulia]]; sei erano quelle dei dominii al di là del Faro: Palermo, Messina, Catania, [[Siracusa]], [[Agrigento|Girgenti]] e [[Trapani]]<ref>{{Cita|Giuseppina Tullio|pp. 306-307}}.</ref>. Dalle commissioni dipendevano le [[Dogana|dogane]], presso le quali dovevano essere registrate le imbarcazioni, e le ''marine di allestimento'' (queste ultime, che ammontavano a 91, distribuite lungo le coste dello Stato, erano siti in cui erano costruiti i natanti o, comunque, custoditi)<ref name="Tullio307">{{Cita|Giuseppina Tullio|p. 307}}.</ref>.
{| class="wikitable"
|-
|+ Imbarcazioni registrate presso le Commissioni Marittime siciliane al 1859
|-
! Commissione marittima
! Numero
! Tonnellaggio (t)
|-
|[[Palermo]]
|256
|20.492
|-
|[[Messina]]
|279
|14.036
|-
|[[Catania]]
|254
|11.551
|-
|[[Noto (Italia)|Noto]]
|136
|2.512
|-
|[[Agrigento|Girgenti]]
|313
|2.765
|-
|[[Caltanissetta]]
|69
|1.129
|-
|[[Trapani]]
|517
|8.970
|-
! Totale
|}
Alla Commissione marittima di Napoli era iscritta la massima parte del naviglio di tutto il reame; a tale commissione, dalla quale dipendeva tutto il litorale della provincia partenopea, le sue isole e l'[[isola di Ponza]], benché quest'ultima fosse inclusa nella provincia di [[Terra di Lavoro]], facevano capo 17 marine d'allestimento, suddivise in tre classi di rilevanza<ref name="Tullio307"/>.
{| class="wikitable"
|-
|
|-
!Classe
!Località
|-
|1
|[[Napoli]], [[Castellammare di Stabia|Castellammare]]
|
|2
|[[Pozzuoli]], [[Procida]], [[Piano di Sorrento]]
|-
|3
|[[Sorrento]], [[Torre del Greco]], [[Torre Annunziata]], [[Portici|Portici-Granatello]], [[Massa Lubrense|Massa]], [[Vico Equense|Vico]], [[Capri (Italia)|Capri]], [[Isola d'Ischia|Ischia]], [[Forio]], [[Casamicciola Terme|Casamicciola]], [[Ventotene (comune)|Ventotene]], [[Ponza]]
|}
Nei dominii al di qua del Faro, per tonnellaggio, alla commissione di Napoli, seguivano le commissioni di Barletta, Gaeta, Salerno e Reggio; mentre, per quanto concerne la portata media dei legni registrati presso ciascuna commissione (dato ottenuto rapportando il tonnellaggio complessivo con il numero delle unità di naviglio), le commissioni di Napoli, Barletta e Gaeta risultavano sempre le più rilevanti, seguite, però, da Manfredonia e Pescara. Considerando i singoli porti, invece, quello di Napoli faceva registrare il tonnellaggio maggiore, mentre il porto di Procida era quello con il maggior numero di navi di grande stazza destinate alla navigazione di lungo corso. I legni presso il porto di Torre del Greco, invece, erano composti prevalentemente da battelli destinati alla pesca del [[corallo]]<ref name="Tullio308"/>.
[[File:
[[File:Articolo Ferdinando I 1818 001.png|thumb|verticale|Notizie sul bastimento a vapore "Ferdinando I" a [[Genova]] (1818)]]
{| class="wikitable"
|-
|+ Tipologia e tonnellaggio di tutte le imbarcazioni registrate nei Reali Dominii al di qua del Faro al 31 dicembre 1860<ref>Lamberto Radogna, Storia della Marina mercantile delle Due Sicilie (1734-1860), Mursia 1978, pag. 111</ref>
|-
! colspan=3|Bastimenti di maggior portata
|-
!Tipo
!Numero
!Tipo
!Numero
!Tonnellaggio (t)
|-
|[[Piroscafo|Piroscafi]]
|17
|3.748
|[[Cutter (imbarcazione)|Cutter]]
|6
|123
|-
|[[Brigantino a palo|Barks]]
|23
Riga 780 ⟶ 830:
|12
|1.124
|-
|[[Brigantino a palo|Brigantini]]
|380
Riga 787 ⟶ 837:
|17
|1.251
|-
|[[Brigantino|Brick-schooners]]
|211
Riga 794 ⟶ 844:
|120
|4.678
|-
|[[Navi]]
|6
Riga 801 ⟶ 851:
|1.332
|29.860
|-
|[[Goletta|Golette]]
|13
Riga 808 ⟶ 858:
|8
|379
|-
|[[Polacche]]
|2
Riga 815 ⟶ 865:
|33
|1.131
|-
|[[Mistico (nave)|Mistici]]
|113
Riga 822 ⟶ 872:
|2
|23
|-
|[[Traboccoli]]
|30
Riga 829 ⟶ 879:
|98
|7.831
|-
|[[Pielaghi]]
|231
Riga 836 ⟶ 886:
|13
|551
|-
|[[Brigantino|Feluconi]]
|108
Riga 843 ⟶ 893:
|8
|719
|-
|[[Pinco|Pinchi]]
|3
Riga 850 ⟶ 900:
|1
|18
|-
|[[Martingane]]
|180
Riga 857 ⟶ 907:
|2
|355
|-
|
|
Riga 864 ⟶ 914:
|3.586
|14.782
|-
|
|
Riga 871 ⟶ 921:
|3.292
|5.083
|-
! Totale
! Totale
|}
Sulla effettiva consistenza della flotta mercantile borbonica lo storico meridionale [[Raffaele de Cesare]], nel suo libro “[[La fine di un Regno]]” (pp. 165–166)<ref>[https://archive.org/stream/lafinediunregnon01deceiala#page/164/mode/2up La fine di un Regno]</ref> scrive, fra l'altro, testualmente: {{citazione|''“La marina mercantile era formata quasi interamente di piccoli legni, buoni al cabotaggio e alla pesca e la montavano più di 40.000 marinari, numero inadeguato al tonnellaggio delle navi. La navigazione si limitava alle coste dell'Adriatico e del Mediterraneo, e il lento progresso delle forze marittime non consisteva nel diminuire il numero dei legni ed aumentarne la portata, ma nel moltiplicare le piccole navi. La marina mercantile a vapore era scarsissima, non ostante che uno dei primi piroscafi, il quale solcasse le acque del Mediterraneo, fosse costruito a Napoli nel 1818. Essa apparentemente sembrava la maggiore d'Italia, mentre in realtà alla sarda era inferiore, e anche come marina da guerra, era scarsa per un Regno, di cui la terza parte era formata dalla Sicilia e gli altri due terzi formavano un gran molo lanciato verso il Levante. La marina e l'esercito stavano agli antipodi: l'esercito era sproporzionato al paese per esuberanza, la marina per deficienza.”''|}}
==== Relazioni commerciali ====
[[File:Porto Gallipoli 1790.png|thumb|left|Il [[porto di Gallipoli]] nel 1790]]
L'aumento del numero di imbarcazioni componenti la marineria del regno, il contestuale incremento del loro tonnellaggio (in particolare per le navi di maggiore portata) e la crescita del movimento complessivo delle navi napoletane nei porti del reame, in particolare nel ventennio 1838-58, si configurano come indicatori dello sviluppo fatto registrare dai commerci nelle Due Sicilie<ref name="Tullio317">{{Cita|Giuseppina Tullio|p. 317}}.</ref>. Inoltre, a partire dal 1830, grazie al miglioramento delle condizioni economiche del regno, si intensificarono ulteriormente le relazioni commerciali, stabilite dopo la Restaurazione, tra il regno ed i mercati esteri<ref>{{Cita|Giuseppina Tullio|p. 305}}.</ref>.
Nello specifico, il commercio internazionale del Regno delle Due Sicilie avveniva quasi esclusivamente via mare e gli unici scambi via terra con altri stati erano rappresentati da quelli con lo Stato pontificio. Nel periodo 1837-1855, ad esempio, i traffici marittimi in entrata rappresentarono il 99,5% del totale delle importazioni ed il 96% del totale delle esportazioni<ref name="Tullio313">{{Cita|Giuseppina Tullio|p. 313}}.</ref>. I maggiori partner commerciali del regno erano Gran Bretagna, Francia ed Impero austriaco: il commercio estero del reame, per inciso, era caratterizzato dalla concentrazione di un gran numero di scambi verso pochi paesi. Per quanto concerneva le importazioni, la Gran Bretagna si attestava come maggior fornitore, mentre per le esportazioni, fino al 1847, il primato spettò alla Francia, seguita dall'Austria; successivamente, questi due stati furono scavalcati, in diverse occasioni, dal regno britannico che si attestava come il principale importatore di prodotti delle Due Sicilie<ref name="Tullio313"/>. In particolare, gli stati più industrializzati, come, appunto, Inghilterra e Francia, importavano dal regno borbonico materie prime e prodotti agricoli<ref name="Tullio318">{{Cita|Giuseppina Tullio|p. 318}}.</ref>. Per quanto concerne, invece, i flussi economici per il trasferimento di beni e servizi, la [[bilancia dei pagamenti]] faceva rilevare saldi attivi, che erano determinati per la maggiore dai servizi, in particolare [[turismo]] e [[Nolo|noli]], e dalle esportazioni dai dominii insulari. Se, infatti, per le province continentali, le esportazioni erano inferiori alle importazioni, per la Sicilia, invece, erano le esportazioni a superare le importazioni: l'isola, dunque, aveva una [[bilancia commerciale]] attiva che dava un contributo rilevante al saldo positivo della bilancia dei pagamenti<ref>{{Cita|Giuseppina Tullio|pp. 312-313}}.</ref>.
{| class="wikitable" style="float:right"
|-
|
|-
! Stato
! Numero<br />di porti
! Stato
! Numero<br />di porti
! Stato
! Numero<br />di porti
|-
|[[Stato pontificio]]
|34
|[[Impero
|8
|[[Danimarca]]
|2
|-
|[[Impero austriaco]]
|29
Riga 907 ⟶ 963:
|[[Svezia]]
|2
|-
|[[Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda|Regno Unito]]
|21
Riga 914 ⟶ 970:
|[[Prussia]]
|2
|-
|[[Stati Sardi]]
|21
Riga 921 ⟶ 977:
|[[Ducato di Modena]]
|2
|-
|[[Secondo Impero francese|Francia]]
|15
Riga 928 ⟶ 984:
|[[Principato di Moldavia]]
|1
|-
|[[Granducato di Toscana]]
|13
Riga 935 ⟶ 991:
|[[Confederazione germanica]]
|1
|-
|[[Regno di Grecia|Grecia]]
|9
|[[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]]
|3
|
|
|}
I traffici commerciali avvenivano in gran parte attraverso navi battenti bandiera borbonica e ciò in special modo per le esportazioni. I dati rilevati nel periodo 1837-1855 evidenziano, per le importazioni, un andamento irregolare della preminenza dei battelli regnicoli, mostrando un picco del 74%, nel 1839, ed una punta minima del 49,3%, nel 1849. Per le esportazioni, invece, i dati sono nettamente favorevoli alle navi meridionali, oscillando essi tra un minimo del 57,6% dei traffici in uscita avvenuti a mezzo battelli napoletani, nel 1841, ed un massimo dell'80,4% dei traffici in uscita avvenuti a mezzo navi regnicole, nel 1845<ref name="Tullio313"/>. Per gli scambi con Francia ed Austria, invece, i vascelli napoletani, prevalevano sia nei commerci in entrata, sia nei commerci in uscita: in particolare, nel ventennio 1838-1858, vi fu un graduale calo che avvantaggiò ulteriormente i bastimenti del Regno: i movimenti commerciali con legni austriaci passarono rispettivamente, per importazioni e per esportazioni, dal 5,7% e 5,1% all'1,9% e all'1,6%; mentre le transazioni avvenute a mezzo vascelli francesi calarono dal 2,3% e 2,2% allo 0,2% e allo 0,1%<ref name="Tullio311" />.
Nel 1852, le navi battenti bandiera napoletana approdarono nei porti di 22 diversi stati per un totale di 192 porti<ref name="Tullio311"/>. Più in generale e, quindi, prescindendo dalla nazionalità delle imbarcazioni, il numero di legni che entravano vuoti (per caricare merci) o uscivano vuoti (dopo aver scaricato merci) dai porti del regno era considerevole, ad esempio, anche nel 1848, anno in cui si verificò in [[Europa]] un'apprezzabile flessione dei commerci, dovuta ai moti della [[primavera dei popoli]], vennero mantenuti, grossomodo, valori che poco si discostavano da quelli registrati l'anno precedente: nei porti delle Due Sicilie, infatti, entrarono vuoti 588 vascelli per 41.006 tonnellate ed uscirono vuoti 631 legni per 38.987 tonnellate<ref>{{Cita|Giuseppina Tullio|p. 312}}.</ref>.
Secondo gli studi di Augusto Graziani, immediatamente prima dell'[[Unità d'Italia|Unità]], il commercio estero del Regno delle Due Sicilie era, per l'ammontare complessivo del controvalore di importazioni ed esportazioni, il secondo tra gli stati preunitari italiani, ma, nel dato ''pro capite'', il più basso (anche nel raffronto con gli stati coloniali e con la parte europea dell'Impero Ottomano). Nel quadro italiano, le province napoletane e siciliane commerciavano, infatti, per 60.000.000 di ducati (il saldo della [[bilancia commerciale]] era generalmente attivo)<ref name="Tullio318"/>, superando in valori assoluti lo [[Stato Pontificio]], con 28.320.000 ducati, e la [[Toscana]], con 57.600.000 ducati; e seguendo il [[Regno di Sardegna]], con 202.320.000 ducati (il regno sabaudo era il maggiore acquirente di prodotti del Regno delle Due Sicilie tra gli stati italiani del tempo<ref>Angelo Massafra, Il Mezzogiorno preunitario: economia, società e istituzioni, [[Edizioni Dedalo]], pag. 317</ref>), e, con 434.000.000 ducati, l'[[Impero austriaco]] (che includeva anche il [[Lombardo-Veneto]])<ref name="Graziani 1" />.
{| class="wikitable" style="float:right"
|-
|
|-
! Stato
! Commercio<br>per abitante
|-
|[[Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda|Regno Unito]] e colonie
|2.004.000.000
|71,18
|-
|[[Francia]] e sue colonie
|1.278.960.000
|35,48
|-
|[[Impero austriaco]]<ref>Incluso il [[Lombardo-Veneto]]</ref>
|434.000.000
|11,03
|-
|[[Regno di Sardegna (1720-1861)|Regno di Sardegna]]
|202.320.000
|40,13
|-
|[[Impero
|192.000.000
|12,39
|-
|[[Spagna]] e sue colonie
|153.000.000
|9,58
|-
|Regno delle Due Sicilie
|60.000.000
|6,52
|-
|[[Granducato di Toscana]]
|57.600.000
|31,70
|-
|[[Stato Pontificio]]
|28.320.000
Riga 990 ⟶ 1 051:
|-
|}
Gli scambi commerciali con il [[Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda|Regno Unito]], tra il 1816 ed il 1845, furono condizionati dal ''privilegio'', riconosciuto alla marineria inglese, di una riduzione del 10% del dazio sulle merci trasportate da navi britanniche. Per effetto di ciò, la marina inglese, da sola, muoveva circa tre quarti di tutte le merci importate nelle Due Sicilie su navi non regnicole. Il grosso delle importazioni dalla Gran Bretagna, infatti, era rappresentato da minerali di rame, ferro, lana, velluto e pesce secco e salato, ovvero merci sulle quali gravavano forti dazi; di conseguenza, il ''privilegio'' di cui godevano le navi inglesi favoriva il ricorso a tali battelli per gli scambi commerciali tra i due stati, incluse le esportazioni; anche per queste ultime, infatti, si registrò in quel periodo il primato dei vascelli anglosassoni<ref name="Tullio314">{{Cita|Giuseppina Tullio|p. 314}}.</ref>. A partire dal 1845, con la stipula del Trattato anglo-napoletano, il ''privilegio'' britannico su dazi fu soppresso in applicazione dell'articolo 7 del trattato stesso. L'abolizione della disparità di trattamento fiscale comportò un forte incremento delle esportazioni verso la Gran Bretagna, tanto che tale stato divenne, per gli anni 1849-50 e 1854-55, il primo importatore di merci dalle Due Sicilie, superando Austria e Francia. Grano, seta, semi, robbia ed oli erano i prodotti maggiormente esportati verso il regno britannico. In particolare, il [[porto di Gallipoli]] si affermò come il più importante del Regno per quel che concerneva l'esportazione dell'olio, principale produzione agroalimentare della provincia di Terra d'Otranto<ref name="Tullio314"/>.
[[File:Odessa 1853.jpeg|thumb|left|verticale|Notizia dell'arrivo a [[Odessa]] dei brigantini napoletani "La Stella" e "La nuova Pietà" il 26 giugno 1853]]
Le esportazioni verso la Francia avevano come destinazioni diversi porti transalpini e riguardavano perlopiù oli, grano, pollame, zafferano e canapa. Al fine di eludere i dazi doganali, però, molte esportazioni destinate alla Francia passavano per il porto franco di [[Genova]]. In sostanza, approfittando delle riduzioni di dazio accordate alle flotte nazionali, le merci erano trasportate con vascelli napoletani sino al porto della città ligure e, poi, prese in carico da navi francesi giungevano a [[Marsiglia]], loro effettivo porto di arrivo. Le importazioni dalla Francia, invece, avevano come destinazione principalmente il [[porto di Napoli]] e riguardavano "lavori di moda", tessuti vari, cuoi, medicinali e porcellane. Nel 1845, il governo di Napoli concesse a diverse produzioni francesi consistenti riduzioni daziarie: le importazioni dalla Francia si mantennero su valori intorno ai 5 e i 6 milioni di ducati, per, poi, aumentare nel biennio 1856-58, quando lo Stato d'oltralpe si attestò come principale fornitore delle Due Sicilie<ref>{{Cita|Giuseppina Tullio|p. 315}}.</ref>.
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Gli scambi commerciali tra le Due Sicilie e gli stati italiani incidevano in maniera sempre minore sul totale del commercio estero del Regno di ''Sua Maestà Siciliana''. In particolare, le esportazioni, che nel periodo 1837-41 incidevano per il 20% sul totale nazionale, calarono al 15% nel periodo 1854-58. Il dato, poi, dovrebbe essere ulteriormente ridimensionato se si considera che molte merci trasportate, a mezzo di battelli napoletani, dai porti franchi di Genova, [[Livorno]] e [[Civitavecchia]] erano, in realtà, di provenienza estera e facevano scalo in quei porti esclusivamente per usufruire delle riduzioni daziarie<ref name="Tullio316"/>: così, ad esempio, dalla [[Granducato di Toscana|Toscana]], oltre alla locale "vena ferrea", venivano importati principalmente prodotti coloniali<ref name="Tullio317"/>. Lo Stato toscano, comunque, era l'unico Stato italiano a vantare, nei confronti delle Due Sicilie, un'eccedenza di esportazioni rispetto alle importazioni. Inoltre, quantunque, le navi napoletane, sia per le importazione che per le esportazioni, assorbivano la maggioranza dei traffici commerciali con gli stati italiani, il Granducato era tra essi quello che partecipava in misura maggiore con navi proprie ai traffici con lo Stato borbonico. Fino al 1858, il [[Regno di Sardegna (1720-1861)|regno sabaudo]] si attestò, tra gli stati italiani del tempo, come il maggiore acquirente di prodotti del Regno delle Due Sicilie. Lo Stato Pontificio, invece, partecipava ai traffici commerciali con il Regno delle Due Sicilie, sia via terra, sia via mare, in quest'ultimo caso, i trasferimenti avvenivano quasi esclusivamente a mezzo di legni napoletani<ref name="Tullio317"/>.
== Cultura ==
[[File:Composer Rossini G 1865 by Carjat - Restoration.jpg|miniatura|verticale|[[Gioachino Rossini]], direttore del Teatro San Carlo dal 1815 al 1822.]]
[[File:Teatro San Carlo large view.jpg|thumb|left|Il [[Real Teatro di San Carlo]] di Napoli]]Il Regno delle Due Sicilie ereditava le secolari tradizioni dei regni di [[Regno di Napoli|Napoli]] e [[Regno di Sicilia|Sicilia]], ed il loro patrimonio culturale. Vivace era la vita culturale e artistica nelle maggiori città del reame, numerosi erano i teatri e le istituzioni culturali (in particolare i teatri avevano un ruolo di primissimo piano nella vita mondana). A Napoli era situato il [[Real Teatro di San Carlo]], uno dei più grandi e antichi d'Europa, il cui si esibirono [[Vincenzo Bellini]], [[Saverio Mercadante]], [[Gaetano Donizetti]], [[Gioachino Rossini]], [[Giuseppe Verdi]], e le più acclamate voci dell'epoca. Figura di spicco di questo ambiente fu [[Vincenzo Torelli]], giornalista ed impresario teatrale, proprietario della rivista [[Omnibus (1833)|Omnibus]], noto al tempo per il ruolo che rivestì nella gestione dei teatri napoletani e per le relazioni che intraprese con numerosi attori, compositori e musicisti.
[[File:Analfabeti 1861 - Ann. Stat. Ital. 1864 pag. 386.JPG|upright=1|thumb|Tabella alfabetizzati ed analfabeti nel 1861<ref>Annuario Statistico Italiano anno 1864, pag. 388</ref>]]
Le bellezze del [[Golfo di Napoli|Golfo partenopeo]] (una delle mete principali del [[Grand Tour]]) furono di ispirazione in quegli anni a pittori napoletani, come [[Giacinto Gigante]], e stranieri, come [[Anton Sminck van Pitloo|Pitloo]], che furono tra i fondatori della "[[scuola di Posillipo]]". Nella formazione artistica svolse un ruolo importante l'[[Accademia di belle arti di Napoli]].
La ricchezza di testimonianze archeologiche diede vita ad uno dei musei archeologici più importanti del mondo, il [[Museo archeologico nazionale di Napoli]], allora chiamato "Real Museo Borbonico". Nel regno si formarono anche esimi intellettuali, come umanisti come [[Carlo Troja]] e [[Francesco de Sanctis]].
== Scienza e tecnologia ==
Il Regno delle Due Sicilie, al pari dell'antecedente Regno di Napoli, ebbe sempre un ruolo assai marginale in ambito culturale e scientifico. Come testimoniato da [[Luca de Samuele Cagnazzi]] (1764-1852) nel suo ''[[Saggio sopra i principali metodi d'istruire i fanciulli]]'' (1818), erano molto comuni nel regno (ma anche altrove) i pregiudizi nei confronti della conoscenza matematica e scientifica così come sull'istruzione in generale (e, in particolare, l'istruzione femminile).<ref name="Cagnazzi1819">{{Cita|Cagnazzi1819|pp. 10-19}}.</ref>
In ambito scientifico vi erano stati dei tentativi di diffondere la conoscenza scientifica del regno e, già dalla seconda metà del Settecento, vi erano stati alcuni timidi progressi da parte di istituzioni come l'[[Università degli Studi di Napoli Federico II|Università degli Studi di Napoli]] e l'[[Università degli Studi di Altamura]]. Cionondimeno lo stesso Cagnazzi, all'interno della sua autobiografia, riconosce in più occasioni lo scarso senso critico e, in generale, la scarsa qualità delle pubblicazioni scientifiche e dello stesso ambiente culturale del Regno delle Due Sicilie.<ref name="Cagnazzi">{{Cita|Cagnazzi|p. 6 e p. 304, nota 22}}.</ref>
In tale contesto ci furono, però, alcune eccezioni di accademici del regno che ottennero alcuni importanti risultati; ''in primis'', il matematico [[Annibale Giordano]] (1769-1835) che divenne noto in Europa (seppur chiamato erroneamente ''Ottajano'') per la sua dimostrazione della generalizzazione del problema di Pappo e scienziati come [[Stanislao Cannizzaro]] (1826-1910) e [[Ferdinando Palasciano]] (1815-1891), molti dei quali diedero un contributo fondamentale agli avvenimenti del 1848.<ref>Raffaele de Cesare, La fine di un Regno, vol. I</ref> Anche il naturalista [[Molfetta|molfettese]] [[Giuseppe Maria Giovene]] (1753-1837) si tenne in contatto con scienziati europei e ottenne alcune citazioni in ambito europeo per delle sue pubblicazioni; lo stesso accademico [[altamura]]no [[Luca de Samuele Cagnazzi|Cagnazzi]] diede alcuni contributi in molti ambiti scientifici e tecnologici.
Nonostante siffatte eccezioni, l'ambiente scientifico e tecnologico del regno rimase marginale e poco sviluppato per motivi culturali nonché a causa degli elevati tassi di analfabetismo. Esemplificative, in tale ambito, furono le critiche all'agronomo dell'[[Università di Napoli]] [[Nicola Onorati]] da parte del compilatore milanese della ''Biblioteca Italiana'' (1818):
{{Citazione|Non è che nel Regno delle Due Sicilie non v'abbiano libri, e non se ne pubblichino di tratto in tratto sopra argomenti interessanti la pubblica prosperità. Egli è che codesti libri sono cattivi e di tal carattere ne ha stampati parecchi il P. Columella, de i quali tutti basta a far prova quello, a cui abbiamo estratte le poche indicazioni qui esposte relativamente al governo dei bachi.|{{Cita|LetteraPNC|p. 9}}}}
Si ebbe, inoltre, una pressocché totale assenza di partecipanti dell'Italia meridionale alle varie "riunioni degli scienziati italiani", a testimonianza dello scarso interesse alle questioni prettamente scientifiche. In particolare, Cagnazzi sempre nella sua autobiografia fornisce un resoconto puntuale della sua partecipazione alla [[Terza riunione degli scienziati italiani]] (1841) e in tale occasione la [[Maria Antonia di Borbone-Due Sicilie (1814-1898)|Granduchessa di Toscana]] (originaria del Regno delle Due Sicilie) si congratulò con Cagnazzi per aver presenziato alla riunione essendo l'unico proveniente dall'Italia meridionale.<ref>{{Cita|Cagnazzi|pp. 206 e succ.}}</ref>
== Trasporti e comunicazioni ==
[[File:Strade 1861 - Ann. Stat. 1864 pag. 696.JPG|thumb|Strade nel 1861, nei dati della Lombardia non è inclusa la provincia di Mantova ancora non annessa.<ref>Annuario Stat. Ital. 1864, pag. 696</ref>]]
Sul finire del [[XVIII secolo]] il reame doveva far fronte alla scarsità di vie di comunicazione terrestri, in particolar modo nelle zone più continentali. Tale situazione rendeva difficili i trasporti via terra e quindi gli scambi commerciali all'interno dello Stato delle Due Sicilie. Ferdinando II si interessò in modo particolare della costruzione di nuove opere pubbliche, similmente a quanto fece il suo avo Carlo di Borbone. La posizione del reame nel Mediterraneo favorì inoltre la creazione di una considerevole flotta mercantile, tale flotta era, tuttavia, destinata principalmente al cabotaggio, contando su un numero di bastimenti superiore in numero a quelli di tutti gli altri stati preunitari, mentre il tonnellaggio si fermava a circa il 29% del totale<ref>https://www.storiaeconomica.it/pdf/2011.2.207.pdf</ref>. Molti dei tecnici che contribuirono allo sviluppo infrastrutturale del territorio delle Due Sicilie si formarono alla "Scuola di applicazione di ponti e strade", fondata a Napoli per volere di [[Gioacchino Murat]] nel [[1811]].
=== Ferrovie ===
{{vedi anche|Storia delle ferrovie nel Regno delle Due Sicilie|Ferrovia Napoli-Portici|Officine di Pietrarsa|Rete ferroviaria della Calabria}}
[[File:Planapnoc 001.png|thumb|Planimetria della linea Napoli-Castellammare-Nocera]]
[[File:Planapnoc 001 - Copia.png|thumb|Azione per la costruzione della linea Bayard]]
[[File:Ducalabria 001.png|thumb|left|La "Duca di Calabria", ideata dal macchinista Coppola e costruita nelle Officine delle Stazioni di Napoli nel 1847 è da considerarsi la prima locomotiva interamente italiana<ref name="Ogliari" />]]
[[File:Berlin 001.png|thumb|Uno dei primi vagoni di produzione napoletana]]
[[File:Galleria scarrupata vietri.png|thumb|left|Galleria a Vietri sul Mare (sullo sfondo Salerno)]]
[[File:Stazioni napoli 1860 001.png|thumb|left|Le due stazioni di Napoli nel 1860: la "Regia" e la "Bayard"]]
All'inizio del [[XIX secolo]] molti tecnici ferroviari si interessarono alla situazione napoletana e fra tutti spiccò l'ingegnere francese [[Armando Bayard de la Vingtrie]] che "fissò il suo sguardo sulla florida e popolosa città di Napoli concependo l'idea di stabilire una strada di ferro che da questa città" si dirigesse "verso le tre province di Puglia, le tre della Calabria e quelle di Basilicata, ecc.".<ref name="Ogliari">Francesco Ogliari, Storia dei trasporti italiani, vol. 21° "Terra di primati", Cavallotti Editore, Milano 1975</ref>
[[Ferdinando II delle Due Sicilie|Ferdinando II]] il 19 giugno [[1836]] rispose ufficialmente alle richieste del Bayard dandogli le concessioni per la costruzione di una prima linea ferroviaria tra Napoli, [[Castellammare di Stabia|Castellammare]] e [[Nocera Inferiore|Nocera]], "con facoltà di prolungarla verso Salerno, Avellino e altri siti". Per indennizzare il Bayard dei costi della costruzione, il governo borbonico concesse all'ingegnere francese per 80 anni il diritto di riscuotere le somme derivanti dall'utilizzazione della strada ferrata, allo scadere dei quali sarebbe subentrato lo Stato.
Il 27 marzo [[1838]] Bayard presentò il progetto per la costruzione del [[Ferrovia Napoli-Portici|tratto Napoli–Portici]], il quale venne immediatamente approvato e messo in costruzione. Il 3 ottobre [[1839]] ci fu l'inaugurazione della nuova "strada di ferro" alla presenza del re e dello stesso ingegner Bayard che, assieme alla corte e circondati da una folla plaudente, parteciparono al viaggio inaugurale riportando entusiastiche impressioni del nuovo mezzo. Così nacque la prima linea ferroviaria italiana, sulla quale in un solo mese viaggiarono circa 60.000 persone<ref name="Ogliari" />.
La grande frequenza di utenti rese necessario l'immediato ampliamento delle strade ferrate ai comuni contigui, che insieme formavano un bacino di quasi un milione di abitanti. Il 6 novembre [[1840]] venne decretata l'apertura del [[Officine di Pietrarsa|Real opificio di Pietrarsa]] il cui compito iniziale era quello di produrre per conto dello Stato rotaie, locomotive e tutto quanto fosse necessario alla costruzione delle nuove ferrovie. Il 1º maggio [[1841]] la ferrovia "Bayard" raggiunse [[Torre del Greco]] ed il 1º agosto [[1842]] venne inaugurato il tronco ferroviario per [[Torre Annunziata]] e [[Castellammare di Stabia]]. Il 18 maggio 1844 fu inaugurata la diramazione da [[Torre Annunziata]] per [[Pompei (comune)|Pompei]], [[Scafati]], [[Angri]], [[Pagani (Italia)|Pagani]] e [[Nocera Inferiore|Nocera]].
Arrivati a questo punto si ritenne opportuno raggiungere anche [[Salerno]]. Nel [[1845]] l'ingegner Bayard presentò a Ferdinando II il progetto del prolungamento della sua linea ferroviaria da Nocera fino al capoluogo del [[Principato Citeriore]]. Questo progetto, ardito, in quanto prevedeva il superamento di pendenze accentuate e la rimozione di ostacoli in ambiente montano (compresa la costruzione di trafori), ottenne la concessione dal re, ma i cantieri rimasero fermi a causa di un contenzioso con un'altra società francese che venne risolto solo nel [[1853]]. Al momento dell'unificazione la linea Bayard era arrivata, superando gli ostacoli naturali, fino a [[Vietri sul Mare]] e si apprestava a raggiungere la vicina Salerno per poi proseguire fino ad [[Eboli]] in un tratto pianeggiante<ref name="Ogliari" />.
Nel frattempo si era provveduto a costruire, questa volta totalmente a spese dello Stato, una prima linea ferroviaria diretta verso nord. L'11 giugno [[1843]] la linea [[Ferrovia Roma-Cassino-Napoli|Napoli–Cancello–Caserta]] fu aperta al pubblico. Il 25 maggio [[1844]] la linea venne prolungata fino a [[Capua]], attraversando gran parte della fertile pianura campana e servendo quasi tutte le sue grandi città. Napoli, con il funzionamento delle due ferrovie (quella dell'ingegner Bayard e la Regia) assunse un nuovo volto: i traffici si fecero più intensi e il movimento delle persone fu incrementato. Il 3 giugno [[1846]] sulla linea "Regia" Napoli–Caserta si aprì la [[Ferrovia Cancello-Avellino|diramazione Cancello–Nola]], che nel [[1856]] venne prolungata fino a [[Sarno]]<ref name="Ogliari" />.
Nel 1853 a Napoli fu inaugurato il primo telegrafo elettrico del regno, in comunicazione con [[Terracina]], [[Ariano Irpino|Ariano]] e Salerno. Negli anni successivi i telegrafi elettrici, presenti in tutte le stazioni napoletane, vennero collegati alle altre linee telegrafiche che si estendevano dall'alta Italia fino alla Sicilia<ref name="Ogliari" />. All'inizio degli [[Anni 1850|anni cinquanta]] cominciarono a nascere progetti per scavalcare l'Appennino, in quanto si riteneva necessario congiungere la capitale alle regioni del mar Adriatico e Ionio. Nel 1855 Ferdinando II rilasciò al barone [[Panfilo De Riseis]] le concessioni per la costruzione della ferrovia tra Napoli e la frontiera del [[Tronto]] fino al confine pontificio, che avrebbe dovuto essere ultimata in 10 anni. Questa linea avrebbe dovuto attraversare [[Aversa]], [[Piedimonte d'Alife]], [[Isernia]], [[Castel di Sangro]], [[Lanciano]], [[Ortona]], [[Pescara]], fino al Tronto (con diramazioni per [[Ceprano]] e [[Popoli Terme]]). Al momento dell'unità il tratto fino a Ceprano (al confine pontificio in direzione [[Roma]]) era quasi del tutto ultimato<ref name="Ogliari" />.
Nello stesso anno (1855) l'ingegnere pugliese [[Emmanuele Melisurgo]] ottenne dal re le concessioni per la costruzione della "Strada Ferrata delle Puglie" tra Napoli e [[Brindisi]], a doppio binario, i cui lavori sarebbero dovuto cominciare l'11 marzo 1856. A causa di alcune difficoltà burocratiche generate da una società britannica i cantieri restarono chiusi per un anno, per questo motivo nel 1857 Ferdinando II decise di costruire direttamente per conto dello Stato la strada ferrata delle Puglie, facendo immediatamente cominciare i lavori tra [[Sarno]] e [[Avellino]] e tra [[Foggia]] e [[Barletta]] (lavori da ultimarsi entro 5 anni). La costruzione di questa notevole infrastruttura iniziò con il completamento del tratto Sarno-[[Mercato San Severino]], tramite la [[galleria dell'Orco]] (inaugurata nel [[1858]]). Da San Severino la ferrovia avrebbe dovuto dirigersi verso [[Montoro (Italia)|Montoro]] e Avellino. Da Avellino avrebbe percorso la valle del [[Sabato (fiume)|Sabato]] tra [[Taurasi]] e [[Grottaminarda]] per poi entrare nella [[valle dell'Ufita]] fino ad Ariano, proseguendo per [[Orsara di Puglia|Orsara]], [[Troia (Italia)|Troja]] e [[Foggia]]. Da Foggia la linea progettata avanzava in direzione sud per [[Cerignola]], [[Canosa di Puglia|Canosa]] e [[Barletta]], quindi per [[Trani]], [[Bisceglie]], [[Molfetta]], [[Giovinazzo]], [[Bitonto]], [[Modugno (Italia)|Modugno]] e [[Bari]]. Da Bari poi si estendeva fino a [[Conversano]], [[Monopoli (Italia)|Monopoli]], [[Ostuni]] e infine Brindisi. Questa linea doveva essere interamente costruita con materiali e mezzi di provenienza nazionale (principalmente Pietrarsa e Zino & Henry)<ref name="Ogliari" />.
[[File:Carta delle province meridionali d'Italia 1861.png|thumb|Carta delle province meridionali d'Italia (1861) in cui sono rappresentate le tappe militari, i rilievi postali, le strade e le ferrovie esistenti nel 1861]]
Negli ultimi anni di vita del reame arrivarono all'attenzione del governo borbonico altri progetti che prevedevano la costruzione di ferrovie dagli Abruzzi alle Calabrie, dalla Basilicata al [[Salento]] e della rete ferroviaria in [[Sicilia]], totalmente assente. Nonostante fosse intenzione di Francesco II accelerare la costruzione della rete ferroviaria nazionale, tutti questi progetti rimasero solo sulla carta in quanto andarono incontro alla fine del regno avvenuta nel 1860, in seguito alla perdita dell'indipendenza. L'11 febbraio 1860 così ordinava Francesco II al Consiglio di Stato:
{{Citazione|Che il prolungamento della ferrovia da Cancello per Nola, Palma e Sarno venga aperto nel minor tempo possibile sino a Sanseverino; che siano anche di più accelerati i viaggi da Capua al confine del Regno; che si ponga mano al gran ponte sul Volturno nella prossima primavera; che sia subito definito il punto della frontiera dove dovrà aver termine la Regia Ferrovia; che si studii il terreno con l'intendimento di formare il progetto di diramare la Real Ferrovia per le Province degli Abruzzi; che il Direttore del Ministero dei Lavori Pubblici presenti alla M.S. un rapporto sullo stato in cui trovasi i lavori delle ferrovie concesse ai privati, cioè, da Nocera per Cava e Salerno, da Salerno per Eboli e Basilicata e Taranto, da Napoli per Avellino in Puglia, tenendo presenti i rispettivi articoli di concessione; che si presentino pure alla M.S. i varii studii già fatti per le altre diramazioni necessarie per la intera rete delle ferrovie nei Dominii Continentali; che si spediscano alla Commissione delle ferrovie tutte le domande per concessione di altre ferrovie finora riunite in Ministero, per discuterle subito|[[Francesco Ogliari]], "Terra di Primati" Storia dei trasporti italiani in Campania, Puglia, Basilicata, Calabria}}
Tuttavia, dopo l'[[unità d'Italia]], a livello infrastrutturale la [[rete ferroviaria]] nel [[mezzogiorno d'Italia]] continuava ad essere molto modestamente sviluppata, basti pensare che la [[ferrovia Napoli-Portici]] era lunga solo 7,25 km, a fronte dei 13 della [[Ferrovia Milano-Monza]].<ref>[http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/arte_e_cultura/2011/21-marzo-2011/borbone-regno-ferrovie-falso-mito-dimostrano-dati-svimez-190270470409.shtml ''Borbone, il regno delle ferrovie?Falso mito, lo dimostrano i dati Svimez'' da corrieredelmezzogiorno.corriere.it, 21 marzo 2011]</ref> Così, partire dal 1862, i progetti borbonici furono, in parte, ripresi e portati a termine dall'industriale mazziniano [[Pietro Bastogi]]. Al momento dell'unificazione italiana, nel territorio del Regno delle Due Sicilie le strade ferrate erano presenti solo in [[Terra di Lavoro]]<ref name="Ogliari" /> in quanto erano utilizzati, al 1860, solo i 128 km già completati negli anni precedenti tra [[Capua]] e [[Salerno]] (la cui costruzione fu eseguita con criteri in linea con gli standard europei dell'epoca e per il cui esercizio vennero utilizzati veicoli prodotti dapprima all'estero e poi nelle officine del Regno<ref>Raffaele de Cesare, La fine di un Regno, vol. II, pag. 86</ref><ref>[[Uberto Bajocchi]], ''Tre ottobre 1839'', in ''Rivista tecnica delle ferrovie italiane'', a. 29, 57 (1940), n. 5, pp. 193–214 e tavv. f. t. XIV-XVI. Rist. in ''La tecnica professionale'', n. s. 16 (2009), n. 9, pp. 7–30</ref><ref>Luigi De Rosa, ''Iniziativa e capitale straniero nell'industria metalmeccanica del Mezzogiorno. 1840-1904'', Napoli, Giannini, 1968</ref><ref>Nicola Ostuni, ''Iniziativa privata e ferrovie nel Regno delle Due Sicilie'', Napoli, Giannini, 1980</ref><ref>Antonio Gamboni, Paolo Neri, ''Napoli-Portici. La prima ferrovia d'Italia. 1839'', Napoli, Fausto Fiorentino, 1987</ref>.
[[File:Strade ferrate 1859-1863 - Ann. Stat. Ital. pag. 88 tavola I.JPG|thumb|Strade ferrate nel periodo 1859-1863 -<ref name="ReferenceD">Annuario Statistico Italia 1864, pag. 88</ref>]]
Tutti gli altri progetti approvati dopo il 1855 erano ancora per gran parte in fase iniziale di realizzazione: al momento dell'unità potevano dirsi ultimate circa 60 [[miglio italiano|miglia]] (110 km circa) di nuove strade ferrate sulle linee degli Abruzzi e delle Puglie, le quali tuttavia non erano ancora aperte al traffico ferroviario<ref name="Ogliari" />.
Bisogna sottolineare d'altronde come la realizzazione di queste costruzioni fosse all'epoca difficoltosa, dato che le ferrovie campane (a differenza di quelle contemporaneamente costruite nell'area padana) dovevano giocoforza estendersi per grandi distanze in territori montuosi e geologicamente instabili prima di raggiungere le città della sponda adriatica e ionica<ref name="Ogliari" />.
Solo nel 1863 furono posti i primi chilometri di binari in Sicilia, con la Palermo-Bagheria<ref>Alessandro Crisafulli, ''Un problema ancora aperto: quali locomotive inaugurarono la Palermo–Bagheria?'' in ''I treni'', 42 (2021), n. 448, pp. 22-24.</ref>.
Dopo il 1861 il Regno d'Italia avviò nel Meridione la costruzione di una grande rete ferroviaria, che passò in soli 10 anni da 124 km a 1.900 km.<ref name="ReferenceD"/>
=== Strade rotabili ===
[[File:Ponte Angitola Calabria 1841.jpg|thumb|left|Ponte sull'[[Angitola (fiume)|Angitola]] (1842), oggi facente parte della [[Strada statale 110 di Monte Cucco e Monte Pecoraro|SS 110]]]]
[[File:Ponte di ferro sul Calore - Salvatore Fergola (1835).jpg|thumb|left|Il [[Ponte Maria Cristina|ponte sospeso "Maria Cristina]]" sul [[Calore Irpino|Calore]]]]
[[File:Il mer1.jpg|thumb|Il [[ponte Real Ferdinando sul Garigliano]], primo ponte a catenaria d'acciao in Italia|250px|right]]
Al momento dell'insediamento della dinastia borbonica il giovane [[Carlo III di Spagna|re Carlo]] intraprese una politica volta alla completa ristrutturazione delle opere pubbliche trascurate nel periodo vicereale. Tra queste si diede rilevanza all'apertura di nuove strade, di cui le parti continentali del regno avevano grande bisogno. A partire dal 1734 vennero costruite nuove strade che, seguendo in parte il tracciato delle antiche [[strade consolari]], collegavano la [[Campania antica|Campania]] con il confine [[Stato Pontificio|pontificio]], le Puglie, la Basilicata, gli Abruzzi ed il Molise. Di grande importanza economica era in particolare la [[Regia strada delle Puglie]] (oggi suddivisa in [[Strada statale 7 bis di Terra di Lavoro|SS 7 bis]], [[Strada statale 90 delle Puglie|SS 90]], [[Strada statale 16 Adriatica|SS 16]], [[Strada statale 100 di Gioia del Colle|SS 100]] ed [[Strada statale 7 ter Salentina|SS 7 ter]]), che collegava la Campania alla costa pugliese<ref name="autogenerato2">Mauro Musci, Storia civile e militare del Regno delle Due Sicilie dal 1830 al 1849, Napoli 1855, Vol. I, pag. 418</ref>.
Sotto l'occupazione napoleonica si diede nuovo impulso alla costruzione di strade rotabili, alla ristrutturazione delle vecchie strade e alla pavimentazione delle carraie militari non più rotabili. Tra queste nuove opere venne progettata anche la [[Strada statale 19 delle Calabrie|strada delle Calabrie]] che fu ultimata solo dopo il ritorno della dinastia borbonica sul trono di Napoli. Quest'opera, tra le più importanti del regno, percorreva per centinaia di chilometri territori aspri, instabili e montuosi, e richiese per la sua costruzione considerevoli sforzi sia economici, sia a livello progettuale che nelle costruzioni.<ref name="autogenerato2" />
Nell'Ottocento Ferdinando I e Francesco I con l'ausilio della Direzione de' Ponti e Strade si impegnarono nella costruzione di nuovi collegamenti per tutti i capoluoghi delle province del regno, costruendo diramazioni che dalle strade principali si dirigevano verso le città principali, in modo da collegarle con la capitale, i mari ed i confini terrestri.<ref name="autogenerato2" />
Durante il regno di Ferdinando II furono costruite numerose nuove strade (come la [[Strada statale 18 Tirrena Inferiore|Tirrena Inferiore]], l'[[Strada statale 163 Amalfitana|Amalfitana]], la [[Strada statale 145 Sorrentina|Sorrentina]], la [[Strada statale 84 Frentana|Frentana]], l'[[Strada statale 17 dell'Appennino Abruzzese e Appulo Sannitica|Appula]], la [[Strada statale 87 Sannitica|Sannitica]], l'[[Strada statale 86 Istonia|Aquilonia]], la Ferdinandea Salentina Gallipoli-Otranto, ecc. e numerosi ponti tra cui i due celebri ponti sospesi in ferro sul [[Ponte Real Ferdinando sul Garigliano|Garigliano]] e sul [[Ponte Maria Cristina|Calore]], i primi del genere in Italia) e furono rimodernate, anche con la costruzione di numerosi nuovi tratti, le 5 grandi strade "Regie" che univano la capitale con gli Abruzzi, le Puglie, la Basilicata, le Calabrie e lo Stato Pontificio. Queste strade furono inoltre dotate di un servizio postale quotidiano che, grazie all'assenza di fermate durante le corse e ai frequenti cambi di cavalli presso le stazioni di posta, permetteva di raggiungere in poco tempo la meta prestabilita.<ref name="autogenerato1">Raffaele de Cesare, La fine di un Regno, Vol. II</ref> Per comprendere l'impegno del governo ferdinandeo nella costruzione di nuove strade basti pensare che nel reame al 1828 erano in funzione complessivamente 1.505 [[Miglio italiano|miglia]] (circa 2.800 km) di strade rotabili, mentre al 1855 la loro estensione totale arrivava a 4.587 miglia (circa 8.500 km)<ref>Egidio Sterpa, Anatomia della questione meridionale, pag. 73, ediustrice Le Stelle, Milano 1978</ref>. Nello stesso periodo (1851) [[Carlo Filangieri]], luogotenente del re in Sicilia dopo la rivoluzione del 1848/49, predispose la costruzione di una nuova rete stradale siciliana, di concezione moderna (parzialmente attuata nel primo decennio del regno ferdinandeo), con una lunghezza complessiva di 625 miglia e con 8 ponti sospesi, che avrebbe dovuto collegare tutte le principali città siciliane. Tuttavia per quanto il Filangieri disponesse di tutte le risorse e dei mezzi necessari per la costruzione della nuova rete viaria, la sua realizzazione venne sempre rimandata a causa della diffidenza del Cassisi, ministro di Sicilia a Napoli, nei confronti di questo progetto. La riforma organica della viabilità siciliana fu quindi molto rallentata dal governo di Ferdinando II, tuttavia il Filangieri, negli ultimi anni del suo mandato in Sicilia, fece comunque costruire di propria iniziativa alcune importanti strade (come quella da Palermo a Messina). Questa politica infrastrutturale fu continuata dal suo successore in Sicilia, il principe Ruffo di Castelcicala.<ref>Raffaele de Cesare, La fine di un Regno, Vol. I</ref>
{{Senza fonte|Al momento dell'[[Unità d'Italia|Unità]] esisteva un sistema efficiente ed organico di strade Regie e Provinciali (rispettivamente a lunga e media percorrenza) che collegavano i capoluoghi ai centri economicamente più rilevanti ed alle aree strategiche del regno}}. Per quanto riguarda le strade rotabili comunali invece la situazione appariva molto meno omogenea. Gli storici che si sono occupati dell'argomento hanno sottolineato come molti dei comuni rurali e dei villaggi del reame, specialmente quelli situati nelle aree montuose dell'entroterra, fossero nel 1860 ancora privi di collegamenti rotabili con il sistema viario nazionale (la relazione [[Giuseppe Massari|Massari]] del 1863 parla di 1.321 comuni su 1.848 nel Mezzogiorno continentale, la maggior parte dei quali situati in Basilicata, negli Abruzzi e nelle Calabrie<ref>Vedi pag 34 Giuseppe Massari, ''Il brigantaggio nelle province napoletane: relazione della Commissione d'inchiesta parlamentare'', Fratelli Ferrario, 1863</ref>). Tuttavia ciò era una conseguenza dei criteri e delle strategie adottate dalla Direzione dei Ponti e Strade nella costruzione della rete viaria delle Due Sicilie. Gli obiettivi degli ingegneri napoletani erano infatti essenzialmente due: innanzitutto ridurre il più possibile le distanze e, di conseguenza, i tempi (ed i costi) di percorrenza per i traffici sulle lunghe distanze (principalmente tra la costa adriatica e quella tirrenica), favorendo la costruzione di strade in linea retta ed evitando deviazioni o inutili prolungamenti (quando non imposti dalla struttura oroidrografica dei territori attraversati). L'altro obiettivo era quello di evitare pendenze eccessive, dato che anche minime variazioni di pendenza avrebbero reso estremamente difficoltoso il transito ai mezzi di trasporto a trazione animale in uso all'epoca.<ref name="autogenerato8">Angelo Massafra, Campagne e territorio nel Mezzogiorno fra settecento ed ottocento, [[Edizioni Dedalo]], pag. 189</ref>
Ciò comportava che le costruzioni stradali avvenissero quasi esclusivamente in aree pianeggianti o, per le zone montuose, nei fondivalle e sui costoni (evitando l'attraversamento dei numerosi centri abitati situati in cima alle alture). I comuni situati nelle aree montuose dovevano perciò provvedere a proprie spese a costruire bretelle rotabili comunali che collegassero i propri centri abitati all'asse viario presente nel fondovalle. Questa soluzione suscitò spesso le proteste dei comuni nei confronti dell'Amministrazione di Ponti e Strade, istituzione che tuttavia non antepose mai gli interessi dei singoli centri abitati all'efficienza complessiva delle costruzioni.<ref name="autogenerato6" />
Nel complesso la scarsità di infrastrutture stradali si faceva sentire molto nel Sud preunitario, che poteva contare su una rete stradale di soli 14.000 km, mentre la Lombardia, quattro volte più piccola aveva già una rete stradale di 28.000 km<ref>http://www.150anni.it/webi/index.php?s=37&wid=103 | Il problema del Mezzogiorno - Il divario di partenza</ref>.
=== Poste e telegrafi ===
[[File:Palazzo ministeri borbonici anni '50.jpg|thumb|left|Anni '50: il Largo di Castello con il Palazzo dei Ministeri Reali ([[Palazzo San Giacomo]]). Al centro della piazza si può notare l'orologio elettrico di città, collegato ai cavi dell'adiacente Officina dei Telegrafi Elettrici<ref>[http://www.comune.napoli.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/7469 Comune di Napoli - Cultura - I segreti del Palazzo - Aneddoti e curiosità - l'orologio di città<!-- Titolo generato automaticamente -->]</ref>]]
[[File:StampSicilia1859Micel2.jpg|thumb|verticale|[[Francobollo]] da 1 [[grano (moneta)|grano]] della ''Posta di Sicilia'' ([[1859]])]]
[[File:Telegrafo henley napoli.png|thumb|left|Il telegrafo Henley a due aghi impiegato nelle Due Sicilie, dotato di generatore magneto-elettrico]]
[[File:Benedetto Marzolla - Regno delle Due Sicilie (1841).jpg|thumb|Mappa disegnata nel 1842 dal cartografo [[Benedetto Marzolla]] riportante le Strade Regie percorse dal servizio postale in quell'epoca]]
Al contrario di quanto accadde per la costruzione delle nuove strade ferrate al di fuori della Campania, la costruzione di nuove linee telegrafiche fu fortemente voluta da Ferdinando II in tutto il regno. Nel regno l'uso del telegrafo ottico di tipo [[Claude Chappe|Chappe]] era attestato fin dal 1802, tuttavia la prima linea telegrafica elettrica napoletana fu costruita e messa in funzione solo nel 1853 tra Napoli e [[Terracina]]. Nei primi mesi del 1858 il sovrano fece redigere un nuovo regolamento per l'impianto ed il servizio dei [[telegrafo|telegrafi]] elettromagnetici, adottando i più moderni sistemi di [[William Thomas Henley|Henley]] e [[Samuel Morse|Morse]]. Inoltre furono notevolmente incrementate le stazioni telegrafiche aperte ai privati, in quanto la maggior parte delle stazioni erano fino a quel momento impiegate per le sole comunicazioni istituzionali e con l'estero.
Il territorio del regno fu ripartito in sette divisioni telegrafiche, suddividendo gli uffici che vi operavano in tre classi.
La tassa minima si applicava ai telegrammi da 25 parole, il prezzo aumentava dopo altre 25 parole, poi ogni 50 parole, senza calcolare gli indirizzi. Questo sistema venne poi in parte ripreso dal [[Poste italiane|servizio telegrafico del Regno d'Italia]].
Il 25 gennaio 1858 venne inaugurata la [[Cavo sottomarino|linea telegrafica elettrica sottomarina]] tra Reggio Calabria e Messina, ed il 27 fu messa a disposizione dei privati. Nel 1859 vennero posizionati inoltre i cavi sottomarini tra [[Modica]] e [[Malta]] e tra [[Otranto]] e [[Valona]], in collegamento con le linee telegrafiche dell'Europa centro-orientale. Seguirono numerose inaugurazioni di nuove stazioni e linee telegrafiche fino alla fine del regno, che trovò le Due Sicilie dotate di 86 stazioni e di 2.874 km di linee.<ref name="Cesare p. 12">Raffaele de Cesare, La fine di un regno, vol. I, cap. 12</ref>
I francobolli postali furono istituiti con un decreto del re del 9 luglio 1857. Il decreto imponeva di affrancare i giornali, le stampe e la corrispondenza in generale, con la facoltà di far pagare le spese postali e l'affrancatura al destinatario.
Furono create sette serie di francobolli: da mezzo grana, da uno, da due, da cinque, da dieci, da venti e da cinquanta grana. I fogli erano soggetti a bolli di uno o due grana, a seconda della destinazione della lettera. I bolli si annullavano con un timbro nero, riportante la parola "annullato". La prima emissione di francobolli per le Poste Napoletane avvenne il 1º gennaio 1858. I nuovi francobolli erano di vari colori e generalmente riportavano incisioni su filigrana rappresentanti il busto di Ferdinando II o i simboli del reame (3 gigli, cavallo sfrenato e trinacria). Con decreto del 28 febbraio 1858 la circolazione dei francobolli fu estesa anche alle Poste Siciliane.<ref name="Cesare p. 12" />
[[File:Statistica postale 1862 - Ann. Stat. Ital. 1864 pag. 109.jpg|thumb|Statistica lettere e stampe inviate nel 1862<ref>Annuario Stat. Ital. 1864, pag. 109</ref>]]
Tradizionalmente le spedizioni postali via terra avvenivano 4 volte alla settimana da Napoli per le regioni continentali (e viceversa) e sei volte per l'estero (confine pontificio). L{{'}}''Officina Centrale'' della Posta nel Regno delle Due Sicilie era situata a [[Palazzo Orsini di Gravina|palazzo Gravina]] (Napoli). Con il decreto del 1857 furono istituite anche delle spedizioni postali "rapide" tra Napoli e [[Lecce]], Napoli-[[Teramo]] e Napoli-[[Campobasso]] (e viceversa). Con ordinanza del 19 gennaio 1858 si stabilirono nuovi orari per le 6 linee principali: il tragitto per le Puglie doveva compiersi in 50 ore all'andata e al ritorno, quello per le Calabrie in 80 ore, quello per gli Abruzzi in 28 ore, quello per il Molise in 13, quello per Sora in 15 e quello per Terracina (confine pontificio) in 14 ore. Generalmente questi tragitti per l'interno del regno avvenivano sulle grandi Strade Regie, o in alcuni casi su strade provinciali minori, contemplando ben precise fermate per il cambio dei cavalli e stazioni di sosta per i passeggeri. È da ricordare infatti che il metodo più usato per viaggiare all'interno delle Due Sicilie era quello delle corse postali, che quindi contemplavano anche il trasporto di passeggeri.<ref name="Cesare p. 12" />
Si faceva largo uso dei trasporti via mare: era impiegato un buon servizio postale su navi a vapore per raggiungere le isole e l'estero.
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== Note ==
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== Bibliografia ==
* {{Cita libro |autore=[[Luca de Samuele Cagnazzi]] |titolo=Saggio sopra i principali metodi d'istruire i fanciulli |url=https://books.google.it/books?id=BUdCqC_j9z8C&pg=PP1&hl=vi&sa=X&ved=0ahUKEwiS8aLc_7ncAhVN1xoKHcYBAswQ6AEIKjAA#v=onepage&q&f=false| città=Napoli |editore=Tipografia di Angelo Trani |anno=1819 |cid=Cagnazzi1819}}
* {{Cita libro |titolo=Lettera del P.N.C. Onorati al signor compilatore della Biblioteca Italiana che si pubblica in Milano |autore= |città=Napoli |anno=1820 |editore=Tipografia di Domenico San Giacomo |cid=LetteraPNC |url=https://books.google.it/books?id=GNQkwu2VBggC&printsec=frontcover#v=onepage&q&f=false}}
* {{Cita libro |titolo=La mia vita |curatore=[[Alessandro Cutolo]] |città=Milano |editore=Ulrico Hoepli |anno=1944 |cid=Cagnazzi |url=https://it.scribd.com/document/425645662/Luca-de-Samuele-Cagnazzi-La-mia-vita}}
* {{Cita libro |titolo=Cronaca italiana dal 1814 al 1850 |autore=Società di scrittori |volume=2 |anno=1853 |città=Firenze |editore=Massimo Dini Editore |cid=Societadiscrittori |url=https://www.google.it/books/edition/Cronaca_italiana_dal_1814_al_1859/azBNAQAAMAAJ?hl=it&gbpv=0}}
* {{Cita libro |titolo=Leges in Catholica Ecclesia vigentes apto ordine digestae}}
* {{Cita libro |titolo=Cronaca di Fra Salimbene Parmigiano volgarizzata da Carlo Cantarelli |autore=Fra Salimbene de Adam |città=Parma |editore=Luigi Battei Editore |anno=1882 |volume=1 |cid=Salimbene1 |url=https://books.google.it/books?id=vb0pAAAAYAAJ&newbks=1&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false}}
* {{Cita libro |titolo=Cronaca di Fra Salimbene Parmigiano volgarizzata da Carlo Cantarelli |autore=Fra Salimbene de Adam |città=Parma |editore=Luigi Battei Editore |anno=1882 |volume=2 |cid=Salimbene2 |url=https://books.google.it/books?id=8XwNAAAAQAAJ&printsec=frontcover#v=onepage&q&f=false}}
* [[Giustino Fortunato]], ''Il Mezzogiorno e lo Stato Italiano - Discorsi politici (1880-1910)'', LATERZA & FIGLI, Bari, 1911
* [[Francesco Barbagallo]],''Mezzogiorno e questione meridionale (1860-1980)'', Guida, 1980
* [[Carlo Alianello]], ''La conquista del Sud'', Rusconi 1972
* Antonio Boccia, ''A sud del Risorgimento'', ediz. Tandem, Lauria 1998
* Antonio Boccia, Carmine Cassino, ''Francesco I delle Due Sicilie e lo statuto costituzionale del 1812'', Gruppo Editoriale L'Espresso, Roma 2012
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* John Davis, ''Societa e imprenditori nel Regno borbonico, 1815-1860'', Biblioteca di Cultura Moderna Laterza, Bari, 1979
* Nicola Ostuni, ''Finanza e economia nel Regno delle Due Sicilie'', Liguori Editore, Napoli, 1992, ISBN 88-207-2193-7
* {{Cita libro |
* {{cita libro|autore=[[Raffaele de Cesare]]|titolo=''[[La fine di un Regno]]''|editore=S. Lapi|città=Città di Castello|anno=1900, 1908-1909}}
* {{cita libro|autore=[[Alfonso Scirocco]]|titolo=''L'Italia del Risorgimento''|editore=
* [[Carlo Afan de Rivera]], ''Considerazioni su i mezzi da restituire il valore proprio ai doni che la natura ha largamente conceduto al Regno delle Due Sicilie'', Napoli 18332 II, pp. 35–38, 40-45, 52-55 - riprodotto in D. Mack Smith, ''"Il risorgimento italiano. Storia e testi"'', Bari, Laterza, 1968, pp. 152–155.
* [[Luciano Cafagna]], Dualismo e sviluppo nella storia d'Italia, Venezia, Marsilio, 1989.
* {{cita libro|autore=[[Edward C. Banfield]]|titolo=''Le basi morali di una società arretrata''|editore=
* {{cita libro|autore= [[Giovanni Carano Donvito]]|titolo='' L'economia meridionale prima e dopo il Risorgimento ''|editore=
* [[Emanuele Felice]], ''Perché il Sud è rimasto indietro'', Il Mulino, Bologna, pagg. 258, 2013.
* [[Salvatore Agresta]], [[Caterina Sindoni]], ''Scuole, Maestri e Metodi nella Sicilia borbonica (1817-1860)'', Lecce-Rovato, PensaMultimedia, 2013, 4 voll.
* {{Cita libro|autore=|titolo=Almanacco etrusco cronologico statistico mercantile|url=https://books.google.it/books?id=aBIuAAAAcAAJ&hl=it&source=gbs_navlinks_s|anno=1859|editore=Tipografia di G. Mariani|città=Firenze|volume=4|cid=Almanacco, 1859}}
;Costituzioni
* {{Cita libro|autore=[[Andrea d'Isernia]]|titolo=Constitutiones regum regni utriusque Siciliae|editore=[s.n.]|città=Venezia|anno=1580|lingua=la|url=https://gutenberg.beic.it/webclient/DeliveryManager?pid=15154880}}
* {{Cita libro|titolo=In utriusque Siciliae Neapolisque sanctiones et constitutiones novissima praelectio|volume=1|editore=Giovanni Varisco & C.|città=Venezia|anno=1588|lingua=la|url=https://gutenberg.beic.it/webclient/DeliveryManager?pid=14860558}}
* {{Cita libro|titolo=In utriusque Siciliae Neapolisque sanctiones et constitutiones novissima praelectio|volume=2|editore=Giovanni Varisco & C.|città=Venezia|anno=1588|lingua=la|url=https://gutenberg.beic.it/webclient/DeliveryManager?pid=14861129}}
* {{Cita libro|curatore=Jacopo Anello De Bottis|titolo=Utriusque Siciliae constitutiones, capitula, ritus, et pragmaticae.|editore=Niccolò De Bottis|città=Venezia|anno=1590|lingua=la|url=https://gutenberg.beic.it/webclient/DeliveryManager?pid=15143760}}
* {{Cita libro|titolo=Constitutiones regum regni utriusque Siciliae|editore=Stamperia reale|città=Napoli|anno=1786|lingua=la|url=https://gutenberg.beic.it/webclient/DeliveryManager?pid=15134785}}
== Voci correlate ==
{{Div col|cols=2|small=no}}
* [[Amministrazione della Navigazione a Vapore nel Regno delle Due Sicilie]]
* [[Bandiera del Regno delle Due Sicilie]]
* [[Borbone delle Due Sicilie]]
* [[Collezione Borbone-Due Sicilie]]
* [[Congresso di Vienna]]
* [[Due Sicilie]]
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* [[Storia della Sicilia borbonica]]
* [[Rex utriusque Siciliae]]
* [[Regno di Sicilia (
* [[Regno di Napoli]]
* [[Repubblica Napoletana (1799)]]
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* [[Sbarco a Marsala]]
* [[Sovrani del Regno delle Due Sicilie]]
* [[Storia delle ferrovie nel Regno delle Due Sicilie]]
* [[Trattato di Casalanza]]
* [[
* [[Antiche unità di misura del circondario di Napoli]]
* [[Unità di misura storiche della Sicilia]]
* [[Chiesa cattolica nel Regno delle Due Sicilie]]
* [[Polizia borbonica]]
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== Collegamenti esterni ==
* ''[https://archive.org/stream/codiceperloregn05kingoog#page/n7/mode/2up Codice per lo Regno delle Due Sicilie]'', Napoli 1848
* ''[https://books.google.it/books?id=he8_AAAAcAAJ&printsec=frontcover&dq=inauthor:%22Gabriello+de+Sanctis%22&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwi3p5mzkIjUAhWsK8AKHWwlChwQ6AEIODAD#v=onepage&q&f=false Elenco alfabetico delle
{{Regno delle Due Sicilie}}
{{Province del Regno delle Due Sicilie}}
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{{Stati italiani al Congresso di Vienna}}
{{Stati italiani nel 1831}}
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{{Spedizione dei Mille}}
{{Controllo di autorità}}
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