Sarcofago di Melfi: differenze tra le versioni
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Il '''''Sarcofago di
==Storia==
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Sin dalla pubblicazione della scoperta - dovuta allo studioso napoletano [[Giulio Minervini]] in uno scritto dello stesso anno del rinvenimento del sarcofago<ref>Giulio Minervini, ''Breve notizia sopra un insigne sarcofago di marmo rinvenuto presso Rapolla'', in ''Bullettino archeologico Napoletano'', n. 96, 1856, pp. 171-175.</ref> - apparve chiara l'eccezionalità del ritrovamento che infatti già da inizio Novecento fu oggetto di numerosi studi da parte di molti autorevoli studiosi, italiani e non.
La prima analisi sistematica dell'opera è quella pubblicata nel 1913 dall'archeologo tedesco [[Richard Delbrueck]], scritto che per vari aspetti è tuttora un punto di riferimento nella storiografia sulla tomba del castello di Melfi<ref>Richard Delbrueck, ''Der römische Sarkophag in Melfi
Lo studioso tedesco tuttavia ipotizzava per il sarcofago lucano una provenienza [[attica]], conclusione poco dopo corretta da Charles Rufus Morey (1877-1955), storico dell'arte e archeologo statunitense
Il Morey presumeva che il sarcofago fosse stato realizzato in un atelier di [[Efeso]] (odierna Turchia), ma studi più recenti - anche in considerazione della tipologia del marmo utilizzato - tendono a situare il luogo di fabbricazione dell'opera nell'area di Docimium, antica città [[Frigia]] (sempre nell'attuale territorio turco), che anticamente fu celebre per le sue cave di marmi pregiati e per la presenza di botteghe lapicide capaci di produrre manufatti di grande raffinatezza, esportati in tutto l'impero romano.
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==Descrizione==
===Architettura ed elementi decorativi===
[[File:Sarcofago di Rapolla - fronte anteriore.png|left|thumb|Veduta frontale del sarcofago di
Il sarcofago di
La tomba
[[File:Sarcofago di Melfi - Erote.jpg|right|thumb|L'erote della ''kline'']]
Più in dettaglio questo tipo di manufatto (come nell'esemplare di
Le nicchie che non hanno coronamento ad edicola sono definite da un architrave dall'andamento concavo (concavità che consente l'inserimento di una statua) che poggia sul colonnato corinzio<ref name= Ghiandoni_2/>.
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Nelle nicchie, tanto in quelle ad edicola quanto in quelle degli [[intercolunni]], compaiono delle statue in alto rilievo: si tratta di divinità ed eroi che nel caso melfitano restano in parte di dubbia identificazione. Nella nicchia centrale del lato breve è raffigurata la porta dell'[[Ade (regno)|Ade]], l'oltretomba del mondo greco-romano<ref name= Ghiandoni_2/>.
[[File:Celsus-Biblio.jpg|left|thumb|Facciata della [[biblioteca di Efeso]]]]
La struttura architettonica che circonda la cassa funebre sin qui descritta probabilmente riproduce illusionisticamente e in piccolo formato un ''[[Heroon]]'', cioè un tempietto sepolcrale che nell'antica Grecia ospitava la tomba di un eroe. Nell'uso orientale questa tipologia di sarcofagi, proprio per il richiamo allusivo ad un tempio, era destinata ad una collocazione all'aperto per lo più sul ciglio della strada. In occidente, come dimostrano proprio le circostanze di ritrovamento di quello di
Completano l'ornato
La cassa funebre è infine sormontata da un coperchio che generalmente - e il caso di
Spesso infatti questi sarcofagi erano utilizzati per la sepoltura di più persone dello stesso gruppo familiare: anche quello di
===La ''kline''===
Sul letto del sarcofago di
La posizione completamente sdraiata del giacente è piuttosto peculiare: di solito nei sarcofagi della medesima classe di quello di
Ai piedi della donna v'era un cane di piccola taglia di cui oggi restano solo i piedi. Alla testa del letto vi è invece un [[erote]] alato, in stato di conservazione frammentario, privo di testa e braccia. Si rileva comunque che l'amorino teneva con la destra una ghirlanda e con l'altra mano una fiaccola rovesciata: di entrambe se ne vedono i resti sul coperchio del sarcofago in corrispondenza di ciò che resta delle braccia dell'erote.
<gallery " widths=150px heights=150px perrow=4>▼
Come spiega [[Erwin Panofsky]], il sonno della giacente, in quanto condizione reversibile e non implicante il definitivo annullamento dell'essere, è una sublimazione della morte. Lo stesso grande storico dell'arte, tra i non molti esempi coevi di sarcofagi ove il defunto è dormiente, scorge in quello di Rapolla l'esemplare nel quale la pietosa edulcorazione del trapasso in un sereno riposo è espressa nel modo più nobile<ref>Erwin Panofsky, ''La scultura funeraria dall'antico Egitto a Bernini'', Torino, 2011, p. 41.</ref>. La fiaccola capovolta dell'erote tuttavia, allegoria dello spirare della vita, rivela la ferale natura del sonno della donna distesa<ref name= Ghiandoni_K/>.
File:Sarcofago di Rapolla - dettaglio della giacente (2).png|La donna del sarcofago di Melfi▼
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▲File:Sarcofago di Rapolla - dettaglio della giacente (2).png|La donna del sarcofago di
File:INC-2034-a Ауреус. Фаустина Младшая. Ок. 161—176 гг. (аверс).png|Moneta di [[Faustina Minore]]
File:Aureo di marco aurelio per lucilla, 161-169 dc., roma.jpg|Moneta di [[Annia Aurelia Galeria Lucilla|Lucilla]]
Particolarmente significativa è l'acconciatura della
Anche la ''kline'', come la cassa, è elegantemente decorata. Spicca in questo senso il fregio della parte anteriore, posto sotto il letto, su cui compare un corteo di animali marini fantastici che lottano tra loro<ref name= Ghiandoni_K/>.
===La decorazione della cassa: interpretazione iconografica===
Sulla cassa funeraria sono scolpite quindici figure: cinque su ognuno dei lati lunghi, tre nel lato breve sinistro, corrispondente ai piedi della ''kline'' e due sul lato breve opposto, al centro delle quali vi è la già menzionata porta dell'Ade.
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File:Sarcofago di Rapolla - fronte anteriore (dettaglio).png|Lato frontale
File:Sarcofago microasiatico del Museo di Melfi - Lato breve 1 (dettaglio).png|Lato destro
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File:Sarcofago microasiatico del Museo di Melfi - Lato breve 2 (dettaglio).png|Lato sinistro
File:Sarcofago di Rapolla - fronte posteriore (dettaglio).png|Lato posteriore
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L'individuazione di quale sia il personaggio raffigurato in ogni singola statua dei lati lunghi è piuttosto incerta e sono state proposte diverse ipotesi identificative. Sulla base dei soggetti che si è ritenuto di riconoscere in queste sculture si è tentato altresì di fornire delle interpretazioni circa il significato allegorico ed escatologico della decorazione della cassa.
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[[File:Il ratto del Palladio.jpg|left|thumb|Affresco pompeiano con Ulisse e Diomede che trafugano il Palladio con l'aiuto di Elena]]
La donna al centro del lato sinistro è invece individuata in Elena in quanto l'intera composizione di questa faccia della cassa raffigurerebbe l'episodio della [[guerra di Troia]] del ratto del [[Palladio (mitologia)|Palladio]]. A sinistra della donna compare infatti [[Ulisse]], identificato dalla barba e dal caratteristico [[pileo]], mentre il personaggio maschile di destra è [[Diomede]], cioè l'eroe greco che materialmente si impossessò del Palladio con l'aiuto di Ulisse e di Elena<ref>Pur nella frammentarietà della figura si riconosce infatti la
Per il Delbrueck le tre figure muliebri centrali - ed è questo per lo studioso il significato ultimo dell'apparato scultoreo della cassa - sarebbero altrettante eroizzazioni della defunta giacente sulla ''kline''<ref name= Delbrueck />.
Circa le restanti figure, nella visione dello studioso tedesco, esse avrebbero una funzione secondaria, sostanzialmente sarebbero dei riempitivi decorativi, forse derivanti da celebri prototipi scultorei classici. Cionondimeno anche per alcune di queste sculture vengono formulate delle ipotesi identificative. E così nella prima figura del fronte (leggendo da sinistra), sotto l'edicola ad arco, è da individuarsi [[Apollo]], riconoscibile perché raffigurato nell'atto di suonare la cetra, quindi un [[Apollo citaredo]]. Nell'edicola a destra del fronte sarebbe invece raffigurato [[Ade (divinità)|Ade]], cioè il dio dell'oltretomba. Le due figure maschili intermedie (la seconda e la quarta della faccia frontale, cioè un guerriero nudo e l'uomo che indossa l'[[himation]]) restano invece senza nome in quanto prive di univoci attributi qualificativi<ref name= Delbrueck />.
[[File:Sarcofago di Rapolla - lato sinistro.jpg|right|thumb|Il ratto del Palladio]]▼
Quanto al lato posteriore, le due figure alla destra di Venere sono identificate in [[Meleagro]], nella nicchia ad arco - individuato dalla protome a testa di cinghiale ai suoi piedi, ovvio riferimento al mito del [[cinghiale calidonio]] - e,
Infine nel lato breve destro Delbrueck scorge una raffigurazione di senso più strettamente escatologico: affiancano la porta dell'Ade un'offerente (la figura femminile), che svolge una funzione votiva ed [[Psicopompo|Hermes psychopompos]], la figura maschile, cioè [[Hermes]] nel ruolo di accompagnatore delle anime dei defunti nell'aldilà<ref name= Delbrueck />.
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Secondo questa tesi, Persefone, che viveva metà anno nel mondo terreno e l'altra metà negli inferi, è da leggersi quale elemento di congiunzione tra il regno dei vivi e quello dei morti, cioè tra la luce e le tenebre rispettivamente simboleggiate da Apollo, dio del sole, a sinistra, e da Ade, signore dell'oltretomba, a destra<ref name= Wiegartz >Hans Wiegartz, ''Kleinasiatische Säulensarkophage: Untersuchungen zum Sarkophagtypus und zu den figürlichen Darstellungen'', Berlino, 1965, pp. 73-75.</ref>.
[[File:Sarcofago di Melfi - Atalanta e Meleagro.jpg|right|thumb|Atalanta e Meleagro]] ▼
Le figure intermedie poste negli
Il significato escatologico del lato principale, la cui chiave è il mito di Kore, rinvia in ultima analisi alla ciclicità tra la vita e la morte<ref name= Wiegartz />.
Anche per il lato posteriore è accolta l'individuazione della figura al centro, cioè Venere, ma, in questa seconda visione si ritiene di affiancare a Meleagro, non già Artemide, bensì [[Atalanta (mitologia)|Atalanta]], cui parimenti si confanno gli attributi relativi alla caccia, ma che con Meleagro ha un più significativo legame dato il tragico amore che unì i due, a causa del quale Meleagro morì. Wiegartz, per la mancanza di segni distintivi, non formula un'ipotesi identificativa delle restanti due figure del retro del sarcofago (a sinistra di Afrodite), ma altri studi, seguendo la stessa linea interpretativa, hanno supposto che possa trattarsi di [[Laodamia]] e [[Protesilao]], che come Atalanta e Meleagro furono legati da un amore tragico causa, questa volta, della morte dell'elemento femminile della coppia, Laodamia, in una sorta di simmetria inversa alla coppia di destra (Atalanta-Meleagro) dove la passione sventurata porta alla morte del principe calidonio<ref>Ipotesi avanzata da Hedwig Kenner nel saggio ''Zum Sarkophag in Melfi'', contenuto in, di AA. VV., ''Lebendige Altertumswissenschaft. Festgabe zur Vollendung des 70. Lebensjahres von Hermann Vetters'', Vienna, 1985.</ref>.
Wiegartz inoltre ipotizzò che alcune figure della cassa fossero derivazioni di modelli pittorici piuttosto che scultorei. Una decisa conferma a questa intuizione si è poi trovata nella evidente vicinanza tra il Meleagro del sarcofago e la raffigurazione del medesimo eroe in un affresco pompeiano che con ogni probabilità è una ripresa dello stesso prototipo pittorico da cui deriva anche la figura di Melfi.
====L'interpretazione di Volker Michael Strocka====
[[File:Achilles Lycomedes Louvre Ma2120.jpg|left|thumb|Achille a Sciro, III secolo, Parigi, [[Louvre]]. La figura seduta sulla parte destra del rilievo è Agamennone]]
Molto diversa è la lettura fornita successivamente da un altro autorevole archeologo tedesco, Volker Michael Strocka. Questi ritenne insoddisfacenti le precedenti ipotesi interpretative partendo dalla considerazione che esse trascuravano un elemento viceversa accentuato nella decorazione del sarcofago di Melfi, come la frequente apparizione di armi che sembrerebbero poco attinenti ad alcune delle ipotesi sin lì formulate circa l'identità di varie figure della cassa<ref name= Strocka >Volker Michael Strocka, ''Sepulkral-Allegorien auf dokimeischen Sarkophagen
Sul lato anteriore in primo luogo apparirebbe poco comprensibile l'attributo di una spada per la figura che si è pensato di identificare in Ade e lo stesso per la figura di giovane che lo affianca (il presunto dio eleusino) che ha alle spalle scudo ed armi e ai suoi piedi un elmo. Anche la figura centrale ha dietro di sé uno scudo (tra due alberelli), attributo che non sembra coerente con l'ipotesi che costei sia Persefone.
Sulla scorta di queste osservazioni, Strocka rilesse in profondità il sarcofago melfitano. La figura dell'edicola centrale del lato frontale non sarebbe, come sino ad allora ritenuto, Kore, bensì [[Teti (Nereide)|Teti]] madre di [[Achille]]. A destra di costei sarebbe raffigurato proprio Achille, ancora ragazzo, e, nella nicchia all'estrema destra della faccia frontale, non già Ade, ma [[Agamennone]]. Le figure a sinistra di Teti, infine, andrebbero individuate in Apollo (nell'edicola) e Marte, (il guerriero nell'intercolumnio)<ref name= Strocka />.
Secondo questa lettura a destra dell'edicola centrale del fronte si farebbe allusione all'episodio di [[Achille a Sciro]], dove Teti, per sottrarre suo figlio alla guerra di Troia, aveva voluto che l'eroe ancora adolescente si nascondesse: la figura di Agamennone, capo dei Greci nella lotta contro i Troiani, simboleggerebbe quindi la scelta che a Sciro Achille, una volta scoperto<ref>Il giovane Achille, travestito da fanciulla, a Sciro è scoperto da Ulisse, inviato da Agamennone a cercarlo, che si finge un mercante. Al contrario delle vere ragazze della corte di Licomede, Achille si disinteressa ai vestiti e ai monili - la finta mercanzia di Ulisse - e dirige invece le sue attenzioni alle armi che lo stesso re di Itaca ha astutamente nascosto tra le merci proprio come esca che faccia uscire allo scoperto l'eroe fuggitivo. Le armi ai piedi della figura che Strocka identifica nell'imberbe Achille alluderebbero quindi a questo episodio.</ref>,
▲[[File:Sarcofago di Rapolla - lato sinistro.jpg|right|thumb|Il ratto del Palladio]]
Conforterebbe questa lettura la circostanza che in alcuni sarcofagi dedicati all'episodio di Achille a Sciro - tra i quali particolarmente eloquente è un sarcofago della metà del III secolo conservato al Louvre - è presente anche Agamennone raffigurato in termini molto vicini alla figura melfitana.
Il senso dell'allegoria del fronte rimanderebbe pertanto, secondo la lettura di Strocka, alla scelta tra ''bíos theôrêtikós'' (la vita contemplativa) - rimanere a Sciro - e ''bíos pragmáticos'' (vita attiva) - partire per la guerra di Troia. Apollo - colui cui sono consacrate le muse - e Marte - dio della guerra - sono le rispettive epitomi di queste scelte<ref name= Strocka />.
{{doppia immagine|destra|Achilles Lycomedes Louvre detail.jpg|120|Sarcofago di Rapolla - lato anteriore (dettaglio).png|130|A sinistra Agamennone sul sarcofago del Louvre e a destra la figura di Melfi}}
Lo scudo alle spalle di Teti sarebbe dunque quello che ella chiese ad [[Efesto]] di forgiare per Achille: benché Teti avesse cercato di sottrarre suo figlio alla guerra, il destino per il quale l'eroe è nato è ineluttabile e la nereide infine non può che assecondarlo come simboleggiano sia il dono dello [[Scudo di Achille|scudo divino]], ma anche i due piccoli arbusti sullo sfondo della nicchia centrale che sarebbero delle fronde di alloro, simbolo di gloria.
La rilettura dello Strocka investe anche il retro della cassa: lo studioso condivide l'identificazione in Venere della figura centrale e della coppia Atalanta e Meleagro alla destra di lei, ma propone di individuare nella coppia a sinistra di Afrodite ancora Achille (che quindi comparirebbe due volte nella decorazione del sarcofago) e [[Briseide]]. Saremmo di nuovo di fronte ad un dilemma esistenziale: la scelta tra un amore
====L'interpretazione di Olivia Ghiandoni====
[[File:Sracofago di Melfi - Disegno.jpg|left|thumb|Il disegno del 1856 pubblicato da Olivia Ghinadoni]]
Il più recente tentativo di lettura del sarcofago è quello formulato da Olivia Ghiandoni in un approfondito studio monografico sul monumento funebre di Melfi pubblicato nel 1995. L'assunto di base di questa ulteriore analisi è che l'attuale allestimento del sarcofago non sia corretto, nel senso che quello che ora si presenta come il lato frontale sarebbe in realtà il retro della cassa (e viceversa); parimenti invertita sarebbe anche la posizione
In effetti, il dubbio che potesse esservi stato questo errore nella ricomposizione del monumento si era già affacciato negli studi precedenti, soprattutto in considerazione del fatto che in tutti gli esemplari noti di sarcofagi dello stesso genere di quello melfitano il lato breve con la porta dell'Ade si trova ai piedi del giacente, mentre a Melfi è sul lato che corrisponde alla testa della defunta. Inoltre, anche la descrizione del monumento fatta da Giulio Minervini nel 1856 sembra indicare quale lato principale (cioè quello frontale) il lato lungo che oggi appare come posteriore<ref>In effetti così si esprime il Minervini: «''Noi cominceremo a darne la descrizione da quelle del lato principale [...]. Sotto la prima arcata a destra è un giovine diademato di belle forme con capelli largamente pendenti, e con la clamide: egli siede quasi di fronte ed a' suoi piedi è un cane accovacciato e parte di un cinghiale''». Chiaramente si fa riferimento alla figura di Meleagro che oggi è invece sul retro. Giulio Minervini, ''Breve notizia'', cit., p. 172.</ref>. Cionondimeno nella letteratura anteriore di fatto si prese per buono l'allestimento col quale tuttora il monumento si presenta.
La Ghiandoni viceversa sposa con decisione la tesi del rovesciamento, aggiungendo agli argomenti già noti la pubblicazione di uno schizzo sino ad allora inedito buttato giù durante le prime ricognizioni del sito di ritrovamento del sarcofago. Nel disegnino ottocentesco il lato frontale è per l'appunto quello che oggi vediamo sul retro della cassa. Inoltre la studiosa ritiene che l'assunto sia dimostrato anche da una considerazione di carattere iconografico: la figura di Venere ha la stessa pettinatura della donna della ''kline'' e ai suoi piedi vi è un erote con la fiaccola capovolta che ricalca quello posto alla testa del letto funebre. Queste corrispondenze implicano che la giacente si identifichi prima di tutto con tale dea e che quindi il lato principale sia proprio quello su cui insiste questa divinità (che oggi invece appare sul retro)<ref name= Ghiandoni_3/>.
[[File:Marcus Aurelius and Faustina the Younger as Mars and Venus - Palazzo Nuovo - Musei Capitolini - Rome 2016.jpg|right|thumb|''Faustina Minore e Marco Aurelio come Venere e Marte'', II secolo, Roma, [[Musei Capitolini]]. La statua di Venere-Faustina riprende il tipo [[Venere di Capua|Capua]]]]
[[File:Sarcofago di Rapolla -ipotesi ricostruttiva.png|left|thumb|Ricostruzione grafica di quello che secondo Olivia Ghinadoni dovrebbe essere il corretto allestimento del sarcofago, con il lato lungo avente Venere al centro posto davanti (mentre ora è sul retro della cassa)]]
Una variante del mito di Meleagro narra, infatti, che questi sia ritornato in guerra per la sua patria, trovando la morte, perché implorato da sua moglie [[Cleopatra Alcione|Cleopatra]]<ref name= Ghiandoni_3/><ref>In questa versione Meleagro abbandona la lotta tra Etoli e Cureti, dove egli combatteva con i primi, per poi tornare in guerra indottovi dalle suppliche di sua moglie. In battaglia però è ucciso da Apollo che parteggiava per i suoi nemici. In effetti sarebbe più coerente a questa lettura interpretativa che accanto a Meleagro vi fosse per l'appunto sua moglie Cleopatra, tuttavia gli attributi della figura femminile a fianco dell'eroe, che la caratterizzano come cacciatrice, non consentono di identificarla con la legittima consorte del principe di Calidone. Cfr. Edmund Thomas, ''Houses of the dead? Columnar sarcophagi as micro-architecture'', op. cit., p. 410, nota n. 141. </ref>. ▼
Quanto all'altra coppia
▲Una variante del mito di Meleagro narra infatti che questi sia ritornato in guerra per la sua patria, trovando la morte, perché implorato da sua moglie [[Cleopatra Alcione|Cleopatra]]<ref name= Ghiandoni_3/><ref>In questa versione Meleagro abbandona la lotta tra Etoli e Cureti, dove egli combatteva con i primi, per poi tornare in guerra indottovi dalle suppliche di sua moglie. In battaglia però è ucciso da Apollo che parteggiava per i suoi nemici.</ref>.
Al centro vi è quindi
▲Quanto all'altra coppia l'autrice osserva che nelle [[Eroidi]] di [[Ovidio]] è Briseide che con una lettera esorta Achille a riprendere la lotta contro i Troiani<ref name= Ghiandoni_3/>.
Quanto al significato dell'altro lato lungo, che
▲Al centro vi è quindi Venere che trionfa in quanto è l'amore la causa prima della morte di questi eroi. Trionfo suggellato dall'atto della dea di scrivere il suo nome nello scudo secondo la consolidata iconografia della Venere vincitrice.
Achille che anche
Infine, le tre donne nelle edicole centrali di ogni lato, Venere, Teti ed Elena, sono tra loro connesse in quanto tutte coinvolte nell'antefatto della guerra di Troia. È durante il matrimonio di Teti e [[Peleo]] che sorge la contesa tra [[Atena]], [[Era (divinità)|Era]] ed Afrodite per il pomo d'oro della bellezza. Disputa rimessa al [[giudizio di Paride]], principe troiano cui Venere, per ottenere la vittoria, offre l'amore della più bella della mortali, cioè Elena regina di Sparta. Concatenazione di eventi che per l'appunto ha come esito la guerra di Troia. Il richiamo al fatale conflitto potrebbe ulteriormente alludere ai miti sulla nascita di Roma: fuggendo da Troia, ormai devastata dagli Achei, [[Enea]] approderà nel Lazio e porrà il seme della stirpe che fonderà la Città<ref name= Ghiandoni_3/>.
==Ipotesi sulla committenza==
[[File:Venus and Mars Museum delle Terme.jpg|left|thumb|''Crispina e Commodo come Venere e Marte'', II secolo, Roma, [[Terme di Diocleziano]]. Anche in questo caso la statua dell'imperatrice è una ripresa dell'[[Afrodite di Capua]]]]
Nello studio del 1995 Olivia Ghiandoni prova a formulare anche un'ipotesi circa l'identificazione dei committenti del sarcofago di Rapolla. Si è osservata la pregnante connessione iconografica evidenziata in quel contributo tra la figura della giacente e la Venere con lo scudo al centro del lato che si presume frontale. Come costantemente rilevato negli studi archeologici sul manufatto, la Venere del monumento funebre lucano è una derivazione della Venere di Capua, tipo scultoreo del quale alcune imperatrici antonine fecero uso con scopi propagandistici.
▲Quanto al significato dell'altro lato lungo, che in questa lettura è quello posteriore, è condivisa la visione dello Strocka per le figure principali - quelle nelle edicole -, cioè Apollo, Teti e Agamennone, ma Febo e il re di Micene starebbero lì in quanto acerrimi nemici di Achille<ref>Si nota in questo senso che Apollo poggia i piedi su uno scudo che potrebbe identificarsi con quello divino del guerriero mirmidone di cui il dio ha determinato la morte.</ref>.
▲Achille che anche questa ipotesi interpretativa vede presente pure su questo lato della cassa, oltre che su quello opposto, ma che è individuato nel guerriero nudo a fianco di Apollo (che Strocka ritiene sia Marte). Quanto alla restante figura, il giovane con l'himation, esso è indicato come [[Efesto]], cioè la divinità che per volere di Teti forgiò le armi di Achille<ref>Questa identificazione delle figure dei lati lunghi comporta peraltro l'individuabilità di nessi intercorrenti tra le sculture delle due facce che si trovano lungo lo stesso asse: Apollo e Meleagro: il primo uccise il secondo; Achille e Atalanta: entrambi erano dotati di sovrumana velocità nella corsa; Teti e Venere: entrambe compaiono nell'antefatto della guerra di Troia; Efesto ed Achille: sono fratellastri, avendo Teti, madre ''biologica'' di Achille, adottato Efesto; Agamennone e Briseide: il primo sottrasse prepotentemente la seconda ad Achille.</ref>.
I ''Bruttii'' erano infatti di origini lucane, ne sono documentati possedimenti nei pressi di Venosa (zona prossima al luogo di ritrovamento del reperto) e alcuni suoi esponenti avevano avuto incarichi politico-amministrativi in area mediorientale, quindi vicino alla regione di produzione del monumento funerario<ref name= Ghiandoni_3/>.
▲Infine le tre donne nelle edicole centrali di ogni lato, Venere, Teti ed Elena, sono tra loro connesse in quanto tutte coinvolte nell'antefatto della guerra di Troia. È durante il matrimonio di Teti e [[Peleo]] che sorge la contesa tra [[Atena]], [[Era (divinità)|Era]] ed Afrodite per il pomo d'oro della bellezza. Disputa rimessa al [[giudizio di Paride]], principe troiano cui Venere, per ottenere la vittoria, offre l'amore della più bella della mortali, cioè Elena regina di Sparta. Concatenazione di eventi che per l'appunto ha come esito la guerra di Troia. Il richiamo al fatale conflitto potrebbe ulteriormente alludere ai miti sulla nascita di Roma: fuggendo da Troia, ormai devastata dagli Achei, [[Enea]] approderà nel Lazio e porrà il seme della stirpe che fonderà la Città<ref name= Ghiandoni_3/>.
Si tratta
▲Inoltre, la Venere con lo scudo, qui fulcro dell'apparato iconografico del sarcofago, stante l'utilizzo propagandistico di questo modello fatto da alcune imperatrici antonine, potrebbe avere anche una pregnante valenza politica, ipoteticamente indice di uno stretto legame della committenza del sarcofago melfitano con la dinastia imperiale. In questo senso è formulata la supposizione che la commissione del prezioso manufatto possa essere provenuta da appartenenti alla '' gens Brutia''. I ''Bruttii'' sono infatti di origini lucane, ne sono documentati possedimenti nei pressi di Venosa (zona molto vicina al luogo di ritrovamento del reperto) e alcuni suoi esponenti avevano avuto incarichi politico-amministrativi in area mediorientale. Questa ''gens'' era inoltre molto legata agli Antonini al punto che in epoca di poco successiva a quella di realizzazione del sarcofago una rampolla della famiglia, [[Bruzia Crispina|Crispina]], sposò [[Commodo]], l'ultimo imperatore di quella dinastia<ref name= Ghiandoni_3/>.
Negli anni settanta del Ventesimo secolo una spedizione archeologica britannica trovò proprio in contrada Albero in Piano i resti di una villa romana databili in modo compatibile al sarcofago di Melfi. Anche se il rinvenimento di una dimora magnatizia nella stessa area di ritrovamento del costoso manufatto potrebbe far inferire l'esistenza di un nesso tra i due eventi, dal punto di vista archeologico però non emersero collegamenti più significativi e probanti tra la scoperta di questo sito e il sarcofago, né si rinvennero elementi che consentissero di identificare i proprietari della ''domus''.
▲Si tratta ovviamente solo di ipotesi, dichiaratamente tali: a chi sia appartenuto questo raffinatissimo e prezioso manufatto resta allo stato attuale delle conoscenze un mistero, salvo che per l'ovvio ma generico aspetto che non possa che trattarsi della sepoltura di una persona di censo molto alto. A rendere quanto mai ardua la possibilità di identificare la donna del sarcofago vi è anche il fatto che il luogo esatto di rinvenimento del reperto non è più noto. Infatti, quando l'opera fu spostata a Melfi, nessuno si preoccupò di lasciare precisa traccia del sito di ritrovamento. Resta quindi solo la vaga indicazione della località rapollese Albero in Piano, area però vasta molti ettari<ref>In merito alla committenza del sarcofago ha avuto una certa diffusione la singolare affermazione - non avallata da nessun archeologo o storico dell'arte antica - che la donna della ''kline'' sarebbe [[Emilia Scaura]], patrizia romana sposa di [[Gneo Pompeo Magno]]. Basterebbe a confutare la ''teoria'' rilevare che Emilia Scaura è morta nell'anno 82 avanti Cristo, cioè ben due secoli e mezzo prima della fabbricazione del sarcofago di Melfi (secondo la datazione di [[Richard Delbrueck]], accettata da tutti gli altri, numerosi, studi archeologici sul monumento). Oltretutto periodo in cui la produzione di tale tipologia di sarcofagi è ben lontana dall'affermarsi (che anzi proprio in quello di Melfi ha uno dei suoi primissimi prototipi). Resta peraltro inspiegato perché Emilia Scaura avrebbe dovuto essere seppellita in Lucania posto che ella, come ci dice [[Plutarco]], dopo le nozze «''morì subito in casa di Pompeo sopra parto''», quindi a Roma (''[[Vite parallele]]'', Pompeo, IX). Più di fondo, appare poi improbabile che una patrizia dell'epoca tardo-repubblicana sia stata inumata piuttosto che incinerata, essendo l'incinerazione l'uso assolutamente prevalente delle classi magnatizie romane di quell'epoca (che adotteranno l'inumazione, allora praticata dai ceti sociali più bassi, solo molto dopo). Sia come sia, l'identificazione della giacente con la Scaura si basa essenzialmente (e piuttosto confusamente) sull'asserzione che nel luogo di rinvenimento del reperto sarebbe stata scoperta anche l'iscrizione ''Veneri Erycinae Vicitrici L. Corenlius Sulla Spolia de. Hostib Voto Dicavit''. Essendo Emilia Scaura figliastra di [[Lucio Cornelio Silla|Silla]], cioè colui che avrebbe apposto l'iscrizione in discorso, se ne dedurrebbe (sic!) che la donna di Melfi sarebbe per l'appunto la seconda moglie di Pompeo. Sul punto - anche tralasciando l'evidente carattere non funerario dell'epigrafe - è però agevole constatare che l'iscrizione ''Veneri Erycinae Vicitrici ecc.'' è già documentata da [[Francesco Maria Pratilli]] nello scritto ''Della Via Appia riconosciuta e descritta da Roma a Brindisi'', pubblicato nel 1745, cioè più di un secolo prima della scoperta del sarcofago, avvenuta nel 1856! Su questa stessa iscrizione torna anche l'erudito [[Angelo Calogerà]] che la menziona nella sua ''Nuova Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici'' (Vol. XIX, p. 125), data alle stampe nel 1771, affermando che essa sarebbe stata scoperta (nel 1733) nei pressi di [[Monteverde (Italia)|Monteverde]], comune in provincia di Avellino. Quindi non solo la data di (presunto) ritrovamento di questa iscrizione è del tutto incompatibile con qualsivoglia nesso con il monumento funebre di Melfi, ma altrettanto inconciliabile, stando al Calogerà, è il luogo in cui sarebbe stata rinvenuta l'epigrafe, essendo stato il sarcofago trovato nelle vicinanze di [[Rapolla]]. Per completezza vi è da aggiungere che il grande [[Theodor Mommsen]], padre dell'epigrafia, nel suo testo ''Inscriptiones Regni neapolitani latinae'' del 1852 concluse, a proposito dell'iscrizione riportata dal Pratilli e dal Calogerà, che essa oltretutto sia falsa. Un'altra epigrafe venne invece certamente rinvenuta nei pressi del sarcofago e recita: ''Fausto Fusca Filia Posuit''. Essa è infatti menzionata nei resoconti borbonici sulla scoperta del reperto (che ovviamente tacciono sull'immaginaria ''Veneri Erycinae''). Non v'è però alcun elemento per stabilire se tale iscrizione abbia un collegamento (e quale) con il sarcofago melfitano.</ref>.
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