Pasque veronesi: differenze tra le versioni
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{{
|Tipo = Rivolta
|Nome del conflitto = Pasque veronesi
|Immagine = Pasque Veronesi - Case Mazzanti.jpg
|Didascalia = Illustrazione di [[Lodovico Pogliaghi]] dei primi scontri delle Pasque veronesi
|Data = 17 - 25 aprile [[1797]]
|Luogo = [[Verona]]
|Casus = Soprusi e tentativi di rovesciamento dell'amministrazione locale da parte dei soldati francesi.
|Esito = Vittoria finale francese
|Schieramento1 = {{FRA 1792-1804}}
|Schieramento2 = {{simbolo|Flag of Verona.svg}} [[Verona]]
|Comandante1 = Antoine Balland<br />Jean Landrieux
|Comandante2 = Francesco Battaia
|Effettivi1 =
|Effettivi2 = Sconosciuti
|Perdite1 = 500 soldati morti<br />
|Perdite2 = Sconosciute
|Parte_di = della [[caduta della Repubblica di Venezia]]
}}
Le '''Pasque veronesi''' furono un episodio
La ricostruzione dell'esatto andamento degli eventi ha dato vita
== Quadro storico ==
{{
Le Pasque veronesi furono un episodio del più vasto movimento delle [[Insorgenze antifrancesi in Italia|insorgenze antifrancesi e antigiacobine]], che scoppiarono in tutta la penisola italiana dal 1796 al 1814, assieme alla lotta dell'[[Esercito della Santa Fede|Armata della Santa Fede]] che, guidata dal [[Fabrizio Ruffo|cardinale Ruffo]], riuscì nella riconquista del [[Regno di Napoli]], le azioni delle bande [[Viva Maria]] in [[Toscana]] e [[Liguria]], e le vittorie di [[Andreas Hofer]] in [[Trentino]] e [[Provincia autonoma di Bolzano|Alto Adige]].<ref>{{cita|Agnoli 1998|p. 13}}.</ref> Questi moti furono numerosi, si trattò quindi di un fenomeno vasto: le stime, da parte di storici di area cattolica, parlano di almeno {{formatnum:280000}} insorti e {{formatnum:70000}} morti.<ref>{{cita libro|autore= Massimo Viglione|titolo=La Vandea Italiana: le insorgenze controrivoluzionarie dalle origini al 1814|anno=1995|editore=Effedieffe|città=Milano|pp=304-306|ISBN=88-85223-13-3}}</ref>
Queste rivolte contro la dominazione francese, secondo la storiografia di parte cattolica italiana, ebbero come principale miccia la politica religiosa francese di ispirazione giacobina, contraria dunque ai valori sentiti come fondamentali dalla componente più legata alla [[Chiesa cattolica]] nella società italiana di quel periodo.<ref>{{cita|Agnoli 1998|p. 19}}.</ref>
== Antefatti ==
[[File:Delaroche - Bonaparte franchissant les Alpes.jpg|
L'obiettivo di Napoleone, già dalla primavera del 1796, era completare la conquista della [[Lombardia]],<ref>{{cita|Agnoli 1998|p. 81}}.</ref> annettendo le [[Reggimenti veneziani#Bergamasco|province di Bergamo]] e [[Reggimenti veneziani#Bresciano|Brescia]] (all'epoca parte della [[Repubblica di Venezia]]). In effetti le truppe francesi, inizialmente accolte con l'impegno di una breve sosta, erano già presenti alla fine dell'anno a [[Brescia]] e Verona: in tal modo nelle due città, ancora sotto il dominio veneto, si crearono le premesse per gli eventi dell'anno successivo. A Verona in particolare i francesi giunsero il 1º giugno 1796, occupando i forti militari e alcuni edifici per il ristoro delle truppe, nonostante la Repubblica di Venezia avesse dichiarato la propria [[neutralità]].<ref>{{Cita|Stella 1992|pp. 141, 142}}.</ref> I rapporti tra la popolazione e i reparti veneti da una parte, e le truppe francesi dall'altra, si dimostrarono difficili sin dall'inizio. [[Bergamo]] invece resisteva ancora all'irruenza francese.
=== I francesi a Bergamo ===
[[File:Bergamo, Porta San Giacomo, 2016-06 CN-01.jpg|miniatura|[[Porta San Giacomo (Bergamo)|Porta San Giacomo]], situata lungo le [[mura veneziane di Bergamo]]]]
[[Alessandro Ottolini]], [[podestà (medioevo)|podestà]] di Bergamo e patriota che aveva offerto 10
All'arrivo delle milizie francesi Ottolini fece chiudere l'accesso al castello, ma Baraguey d'Hilliers riferì che aveva ricevuto l'ordine di presidiare il castello e la [[Rocca di Bergamo|fortezza]], e che di conseguenza avrebbe dovuto concedere ai suoi soldati l'ingresso in quegli edifici: come già i podestà di Brescia e Verona, anche Ottolini fu obbligato ad acconsentire. Il generale francese comunque non tolse i vessilli di San Marco, dato che ufficialmente anche questa città permaneva sotto il controllo veneto.<ref>{{cita|Agnoli
La fase successiva del piano di Napoleone prevedeva il cambiamento di regime in tutta la regione tramite l'affidamento dell'amministrazione ai [[giacobini]] lombardi, che avrebbero dovuto successivamente creare una repubblica (che avrebbe compreso i territori sino a Verona, o addirittura sino a [[Padova]]) legata alla Francia.<ref>{{cita|Agnoli
L'opera di "democratizzazione"<ref group=N>Per "democratizzazione" si intende, in riferimento al periodo rivoluzionario, l'insieme dei cambiamenti istituzionali introdotti dai repubblicani: produzione di codici normativi, organizzazione territoriale retta dai prefetti, costituzione di un potere pubblico laico distinto da quello della Chiesa, obbligo di assistenza sanitaria non più della Chiesa ma della municipalità. Il termine è utilizzato da diversi autori, ad esempio
=== I francesi a Brescia ===
[[File:Brescia Castello
Il passo successivo doveva essere la democratizzazione di Brescia. In questo caso, anche se la città era già sotto il parziale controllo francese, l'operazione avrebbe dovuto essere condotta, almeno in apparenza, dai giacobini, dato che nel caso bergamasco l'azione francese era stata troppo evidente. Il 16 marzo colonne di soldati composte in parte da giacobini lombardi e in parte da soldati francesi partirono alla volta di Brescia. Il podestà, [[Giovanni Alvise Mocenigo]], avrebbe voluto portare un attacco alla colonna nemica, ma venne fermato dal Battaia, preoccupato dall'eventuale uso della forza.<ref name="cita-Agnoli-2013a-pp89-90">{{cita|Agnoli 2013|pp. 89-90, tomo I}}.</ref>
Due giorni dopo duecento uomini entrarono a Brescia e, con l'aiuto dei giacobini locali, vinsero le poche resistenze. Il primo provvedimento fu la cacciata di Battaia, che si rifugiò a Verona.<ref name="cita
=== Le insurrezioni e la campagna veronese ===
Il provveditore Battaia giunse a Verona il 22 marzo e subito fece riunire il consiglio, al quale parteciparono anche alcuni capi militari (il conte Pompei, Ernesto Bevilacqua, Antonio Maffei, Marcantonio Miniscalchi, Ignazio Giusti, [[Francesco Emilei]]) e Alessandro Ottolini. Durante il consiglio Maffei, Ottolini ed Emilei si batterono per convincere gli altri membri dell'importanza della riconquista dei territori perduti, senza rendersi conto che in quel momento era più importante provvedere alla difesa della Nazione Veronese,<ref name=Nazione group=N/> prevedibile obiettivo dei giacobini. Battaia invitò alla prudenza, ma il conte Emilei gli ricordò che la resistenza passiva aveva già portato alla perdita di Brescia e che i cittadini veronesi erano pronti a prendere le armi contro i giacobini lombardi. Battaia, appena comprese che i presenti erano dell'opinione di Emilei, cambiò idea: venne quindi deciso all'unanimità di provvedere alla difesa dei confini veronesi.<ref>{{cita|Agnoli 1998|p. 94}}.</ref>
Si passò subito all'opera: Miniscalchi assunse il comando delle difese lungo la linea del [[lago di Garda]], mentre a Bevilacqua fu assegnato quello della linea tra [[Villafranca di Verona]] e il confine con [[Ferrara]]. Tra le due linee venne posizionato Maffei.<ref>{{cita|Agnoli 1998|p. 95}}.</ref>
[[File:Milizie venete a Verona bis.jpg|miniatura|verticale|Rievocazione storica: in divisa azzurra e oro la Guardia Nobile Veronese e in divisa rossa gli [[Schiavoni]].<ref name= Schiavoni group=N>Gli Schiavoni erano milizie di fanteria regolare reclutate in Istria e Dalmazia, soprattutto tra la componente slava della popolazione. Esse erano utilizzate prevalentemente per scopi di presidio e difesa di Venezia, del [[Dogado]] e dello [[Stato da Mar]].</ref>]]
Nel contempo era tornato a Verona il conte Augusto Verità, il quale era sempre stato in ottimi rapporti con i francesi e quindi propose di assicurarsi la neutralità francese prima dello scontro con i giacobini. Venne quindi scritta e consegnata al generale Antoine Balland (comandante delle truppe francesi a Verona) la seguente lettera:<ref>{{cita|Agnoli 1998|p. 96}}.</ref>
{{Citazione|La Nazione Veronese,<ref name=Nazione group=N/> in data 20 marzo 1797, per bocca dei legittimi rappresentanti i corpi della stessa, rappresenta al Cittadino Comandante le truppe francesi in questa che attrovandosi pienamente felice sotto il paterno ed amoroso Veneto Governo, non può che raccomandarsi alla magnanimità della Nazione Francese, onde nelle attuali circostanze sia preservata nella sua presente costituzione, dal quale sincero e costante sentimento ritirar giammai non la potrà che la forza.}}
In sostanza si chiedeva l'autorizzazione a difendere i confini veronesi dagli aggressori; il generale fu quindi costretto ad acconsentire poiché, in caso contrario, sarebbe stato come ufficializzare la venuta meno dell'autorità della Serenissima sui suoi territori. Bonaparte, che condivideva la scelta di Balland, informò il [[Consiglio dei Pregadi|Senato veneziano]] che le truppe francesi non si sarebbero immischiate e che si doleva di quanto successo a Bergamo e Brescia. La risposta di Balland suscitò grande approvazione tra i veronesi per la difesa del proprio territorio.<ref>{{cita|Agnoli 1998|p. 97}}.</ref>
Inizialmente i capi militari furono mandati a difendere i confini con un numero esiguo di soldati, però le [[cernida|cernide]] poterono offrire {{formatnum:6000}} uomini, inoltre si unirono numerosi volontari, in particolare dalla [[Valpolicella]].<ref>{{cita|Agnoli 1998|p. 99}}.</ref>
Il 23 marzo giunse a Verona la notizia che era partita da Brescia una spedizione di 500 soldati giacobini diretti a [[Peschiera del Garda]] o [[Valeggio sul Mincio]]: gli ufficiali e le truppe si affrettarono così a prendere le posizioni. Miniscalchi si recò a Colà, piccolo borgo sopra le colline di [[Lazise]], Giusti a [[Povegliano Veronese]] e Bevilacqua a [[Cerea]], mentre Maffei raggiunse Valeggio, da dove poté constatare che i nemici non erano ancora in vista, e poté quindi rischierare con più ordine le sue truppe. A lui si unirono anche 24 fanti provenienti da Brescia e 40 cavalleggeri croati arrivati da Verona (insieme a due cannoni). Il 27 marzo decise di inviare un corpo di esplorazione mentre, nel frattempo, a [[Castelnuovo del Garda]] si erano riuniti {{formatnum:1500}} volontari.<ref>{{cita|Agnoli 1998|pp. 100-101}}.</ref>
[[File:Napoleon Polish troops by Bellange.jpg|miniatura|sinistra|verticale|Divisa e armamento delle truppe polacche prestanti servizio per la Francia, le quali il 29 marzo si scontrarono con gli insorti a Villanova, vicino a Salò.]]
La notizia dei movimenti delle truppe nel veronese arrivò sino nelle valli bergamasche, dove scoppiarono numerose rivolte contro gli occupanti. Il 29 marzo si sollevò pressoché tutta la zona montuosa bergamasca, tanto che gli insorti, cacciati i francesi, decisero di puntare su Bergamo. Negli stessi giorni, nel bresciano, insorse la popolazione di [[Salò]], esortata alla resistenza dallo stesso Battaia, che assicurò per lettera l'invio di munizioni e di 80 [[dragone|dragoni]]. La lettera ebbe l'effetto di entusiasmare la popolazione, che riuscì a ricollocare le insegne del [[Leone di San Marco]] e a far fuggire i giacobini dalla città. Poco dopo insorsero anche gli abitanti di [[Maderno (Toscolano Maderno)|Maderno]] e [[Toscolano Maderno|Toscolano]], sulla sponda bresciana del Benaco e [[Vobarno]] in Valle Sabbia. Mille uomini tra giacobini lombardi, soldati polacchi e francesi<ref>{{cita|Agnoli 1998|p. 106}}.</ref> radunati a Brescia furono inviati a Salò. Questi si scontrarono con gli insorti a [[Villanuova sul Clisi|Villanova]], poco lontano dalla cittadina gardense, ma di fronte allo scarseggiare delle munizioni dovettero ben presto ritirarsi a Salò. Un secondo scontro fu vinto dai salodiani grazie all'attacco su tre lati dei montanari della Valle Sabbia: tra le truppe nemiche ci furono 66 morti e numerosi prigionieri, tra cui alcuni capi dei giacobini. Anche le popolazioni della Val Trompia, in particolare quelle dell'alta valle delle comunità di [[Bovegno]], [[Collio (Italia)|Collio]] e [[Pezzaze]], erano insorte armate e i francesi con i loro alleati giacobini furono fermati a [[Carcina]], alle porte della Val Trompia, dove si combatté accanitamente e con numerosi morti da ambo le parti.
Battaia, come aveva promesso, il 30 marzo inviò 80 dragoni; nel frattempo gli insorti di [[Calcinato]] e [[Bedizzole]] cacciavano i giacobini locali, sbloccando così la strada per Salò ai dragoni, che quindi raggiunsero la cittadina catturando numerosi giacobini in fuga.<ref>{{cita|Agnoli 1998|pp. 107-108}}.</ref>
Nel frattempo un attacco veronese a [[Desenzano del Garda|Desenzano]] non ebbe fortuna: le notizie delle fortunate insorgenze nelle valli bergamasche e bresciane, a [[Lonato del Garda|Lonato]] e a Salò portarono eccitazione nei territori della Repubblica di Venezia. Lo stesso giorno, però, i francesi attaccarono gli insorti che avevano circondato Bergamo e il giorno successivo si svolsero altre due battaglie: una vinta dai francesi e una dagli insorti, che dovettero comunque ritirarsi sulle montagne e arrendersi, data la evidente superiorità francese.<ref>{{cita|Agnoli 1998|pp. 111-113}}.</ref>
Maffei era deciso a marciare su Brescia ma venne fermato da Battaia poiché la Francia, secondo lui, poteva utilizzare l'azione come pretesto per dichiarare guerra alla Serenissima. Avendo, il Maffei, l'appoggio dei rappresentanti del governo veneto in città, Iseppo Giovannelli e Alvise Contarini, ebbe il via libera ad avanzare, ma con l'ordine di fermarsi a dieci miglia da Brescia: le truppe marciarono superando il [[Mincio]] sino ad avvicinarsi alla città che, insieme agli insorti, fu bloccata su tre lati.<ref>{{cita|Agnoli 1998|pp. 113-116}}.</ref>
Il generale [[Charles Edward Kilmaine]] (di origini irlandesi ma prestante servizio per la Francia) radunò a [[Milano]] {{formatnum:7000}} uomini e partì alla volta di Brescia, attaccando lungo il tragitto i borghi insorti e costringendoli alla resa. Intanto a Brescia il generale Landrieux minacciò Maffei di raggiungere Verona a colpi di cannone se egli non avesse sgomberato il campo, così, dopo due brevi scontri tra truppe venete e francesi l'8 e il 9 aprile, Maffei decise di ritirarsi verso Verona.<ref>{{cita|Agnoli 1998|pp. 117-118}}.</ref>
== Gli ultimi giorni prima dell'insurrezione ==
[[File:Peschiera 1856.jpg|miniatura|Planimetria della [[fortezza di Peschiera]], occupata definitivamente dall'esercito francese il 15 aprile.]]
Napoleone era convinto che le ultime forze della Repubblica
Nel frattempo venivano soppresse dai francesi le ribellioni di Lonato e Salò, mentre Contarini e Giovanelli il 6 aprile mandarono Nogarola alla difesa del confini
A Castelnuovo truppe francesi chiesero accoglienza, vigendo ancora, almeno virtualmente, la neutralità. Quando però i soldati veneti si recarono in chiesa i francesi requisirono le armi lasciate fuori dall'edificio, e alla loro uscita furono fatti prigionieri, violando così ancora una volta la neutralità. Fu allora che Maffei ricevette l'ordine di abbandonare il Mincio, dato il notevole rischio di essere colti alle spalle.<ref>{{cita|Agnoli 1998|pp. 133-134}}.</ref>
A Verona il clima iniziava
== Cronologia dell'insurrezione ==
=== 17 aprile ===
{{Doppia immagine verticale|left|15, Via Mazzanti, Verona.jpg|15, Via Mazzanti, Verona, lapide.jpg|180|Il luogo in cui ebbero inizio le Pasque veronesi e la lapide che celebra l'episodio
Nella notte fra il 16 e il 17 aprile 1797 fu affisso per le vie della città un [[manifesto (stampato)|manifesto]]
Nel manifesto si poteva leggere:<ref name= {{Citazione|Noi Francesco Battaia,<br />Per la Serenissima Repubblica di Venezia Provveditor Estraordinario in Terra Ferma.<br />Un fanatico andare di alcuni briganti nemici dell'ordine e delle leggi, eccitò la facile Nazione Bergamasca<ref name=Nazione group=N/> a divenir ribelle al proprio legittimo Sovrano, ed a stendere un'orda di facinorosi prezzolati in altre città e provincie dello Stato, per sommuovere anche quei popoli. Contro questi nemici del Principato noi eccitiamo i fedelissimi sudditi a prendere in massa le armi e dissiparli e distruggerli, non dando quartiere e perdono a chichessia, ancorché si rendesse prigioniero, certo che sì tanto gli sarà dal Governo dato mano e assistenza con denaro e truppe Schiavone regolate,<ref name= Schiavoni group=N/> che sono già al soldo della Repubblica, e preparate all'incontro. Non dubiti alcuno dell'esito felice di tale impresa, giacché possiamo assicurare i popoli che l'Armata Austriaca ha inviluppato e completamente battuto i Francesi nel Tirolo e Friuli, e sono in piena ritirata i pochi avanzi di quelle orde sanguinarie e irreligiose, che sotto il pretesto di far la guerra a nemici devastarono paesi e concussero le Nazioni della Repubblica,<ref name=Nazione group=N/> che gli si è sempre dimostrata amica sincera, neutrale; e vengono perciò i Francesi ad essere impossibilitati di prestar mano e soccorso ai ribelli, anzi aspettiamo il momento favorevole d'impedire la stessa ritirata, alla quale di necessità sono costretti. Invitiamo inoltre gli stessi Bergamaschi, rimasti fedeli alla Repubblica, e le altre Nazioni<ref name=Nazione group=N/> a cacciare i Francesi dalla città e castelli, che contro ogni diritto hanno occupato e dirigersi ai Commissari nostri Pico Girolamo Zanchi e Dott. Fisico Pietro Locatelli, per avere le opportune istruzioni e la paga di Lire 4 al giorno per ogni giornata in cui rimanessero in attività.<br />La città e il territorio sono pronti alla difesa, e ognuno sparga il suo sangue per la Patria, pel sovrano e per la buona causa. Viva San Marco! Viva la Repubblica! Viva Verona!}}
L'impostura sarebbe stata facilmente smascherabile, infatti il manifesto era già stato pubblicato a marzo da alcuni giornali, come il ''Termometro Politico'' e il ''Monitore Bolognese'', inoltre Battaia in quel momento si trovava a Venezia. I rappresentanti veneti lo fecero rimuovere, e al suo posto venne pubblicato un nuovo manifesto che smentiva il precedente ed esortava la popolazione alla calma.<ref group="N">Il nuovo manifesto avvertiva
[[File:Popolo Pasque Veronesi.jpg|miniatura|Rievocazione storica: il popolo veronese fu il grande protagonista delle Pasque veronesi, portando attacchi di propria iniziativa.]]
La situazione degenerava di ora in ora: verso le
Verso le 17, per ordine del generale Balland, venne aperto il fuoco dei cannoni di [[castel San Felice]] (quartier generale francese) e [[castel San Pietro (Verona)|castel San Pietro]],
Il primo episodio dell'insurrezione si ebbe nella piazza d'Armi (piazza Bra), dove i 600 soldati francesi erano in sosta presso l'ospedale (dove oggi sorge [[palazzo Barbieri]]), mentre
[[File:Rivolta antifrancese - sant'anastasia.png|miniatura|sinistra|Illustrazione dei combattimenti lungo [[corso Santa Anastasia]] tratta dal testo ''France militaire'' del 1835.]]
Lo storico Bevilacqua scrive che «a misura che cresceva il rimbombo delle artiglierie, uscivano gli abitanti dalle proprie case correvano mal armati ad affrontare le pattuglie francesi, che con le baionette abbassate scorrevano la città, le quali si videro ben presto obbligate a cercare la loro sicurezza dandosi precipitosa fuga verso i castelli». Il popolo si accanì contro le truppe francesi sparse in tutta la città e a guardia dei ponti. Numerosi soldati furono uccisi o fatti prigionieri, mentre quelli messi in fuga andarono a nascondersi negli alloggi dei compagni, dove barricarono le entrate: i popolani, per penetrare in quelle abitazioni, arrivarono a salire sui tetti,<ref>{{cita|Solinas 1981|p. 385|}}.</ref> mentre continuava il cannoneggiamento della città dai forti circostanti e da Castelvecchio.
Francesco Emilei in quei momenti era accampato vicino a [[Lugagnano (Sona)|Lugagnano]], pochi chilometri fuori dalla città, e appresa la notizia della rivolta mosse verso Verona con i suoi soldati. Le porte urbane erano però difese dai francesi, che la mattina avevano raddoppiato i presidi. [[Porta Vescovo]] venne facilmente conquistata da Coldogno, mentre con più fatica Nogarola conquistò [[Porta San Giorgio (Verona)|porta San Giorgio]]. Emilei dall'esterno della città conquistò [[porta San Zeno (Verona)|porta San Zeno]]<ref name="cita-Agnoli-2013a-p140">{{cita|Agnoli 2013|p. 140, tomo I}}.</ref> e poté entrare con {{formatnum:2500}} volontari delle cernide, 600 soldati e due cannoni, che divise in quattro corpi<ref>{{cita|Agnoli 1998|p. 148}}.</ref> mandati in luoghi diversi dell'abitato: di questi, un corpo venne mandato fuori [[porta Nuova (Verona)|porta Nuova]] per impedire la fuga dei francesi, un altro presso il [[bastione dei Riformati]].<ref name="cita-Agnoli-2013a-p140"/>
[[File:inferriata cannoneggiata.jpg|miniatura|verticale|Inferriata deformata di palazzo Pindemonte in via Francesco Emilei, recante ancora oggi i segni di un colpo di cannone sparato dalle truppe napoleoniche.]]
I popolani armati di fucili, pistole, sciabole, ma anche di forconi e bastoni, erano scesi per le strade a dare la caccia ai francesi, uccidendone, ferendone e catturandone numerosi. Uno dei primi atti fu l'apertura delle carceri da cui numerosi soldati austriaci, una volta liberati, si unirono alla rivolta.<ref>{{cita|Agnoli 2013|p. 142, tomo I}}.</ref>
Nel tardo pomeriggio i rappresentanti del governo veneto in città, [[Iseppo Giovannelli]] e [[Alvise Contarini]], pensavano ancora di poter tornare al precedente stato di neutralità, mentre Emilei, appena conquistata porta Nuova, decise di partire per Venezia per chiedere il soccorso dell'esercito veneto. I due rappresentanti invece tentarono un compromesso con l'autorità militare francese, interrompendo il suono delle campane e issando sulla [[torre dei Lamberti]] una bandiera bianca. Balland fece interrompere il bombardamento (anche se attorno a Castelvecchio la battaglia continuava, essendo isolato dai castelli di collina e non potendo quindi avere informazioni su quanto stava accadendo). Iniziarono così le trattative, che Balland cercava di tenere per le lunghe, poiché aspettava i rinforzi.<ref>{{cita|Agnoli 1998|p. 153}}.</ref>
La trattativa fallì e i governatori veneti cercarono allora inutilmente di calmare la popolazione. I governatori, spaventati per l'evolversi della situazione, nella riunione tra il 17 e il 18 aprile decisero di ritirarsi a Vicenza e ordinarono, prima della partenza, che le truppe non prendessero parte alla battaglia.<ref>{{cita|Agnoli 1998|pp. 161-162}}.</ref> Da qui, il 18 aprile, Giovannelli e Contarini, secondo il piano esposto in riunione, si sarebbero diretti a Venezia, per chiedere aiuto al Senato. L'ordine venne eseguito, inizialmente, da Nogarola, Berettini e Allegri, mentre Antonio Maria Perez continuò le operazioni. Nel frattempo la popolazione continuò ad assaltare gli edifici in cui vi erano, o si credeva vi fossero, i soldati francesi, che venivano sistematicamente uccisi, mentre «non si sentiva altro che un continuo gridare per ogni angolo della città [[Viva San Marco!]]»<ref name="conserv-azione.org">{{cita web|url=http://www.conserv-azione.org/documenti/pasque%20veronesi.htm|titolo=Tratto da conserv-azione.org|accesso=14 gennaio 2008|urlmorto=sì|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20080422032228/http://www.conserv-azione.org/documenti/pasque%20veronesi.htm}}</ref><ref>{{cita|Agnoli 2013|p. 141, tomo I}}.</ref>
Lo stesso giorno veniva firmato l'[[armistizio di Leoben]] tra Napoleone e l'Austria, nelle cui clausole segrete l'Austria cedeva la Lombardia e il [[Belgio]] alla Francia, prendendo a sua volta possesso dei rimanenti territori della Repubblica di Venezia.
=== 18 aprile ===
{{Doppia immagine
Il 18 i rettori erano già partiti per Vicenza, intanto Emilei si apprestava a raggiungere Venezia per contattare il Senato, mentre a Verona Maffei e gli altri capi militari cercavano di organizzare l'esercito e i popolani, poiché il provveditore Bartolomeo Giuliari non riusciva da solo a sostenere il peso della situazione. Appena scaduta la tregua i cannoni dei castelli di San Felice e San Pietro ripresero a sparare; dai due forti, inoltre, iniziarono veloci sortite in città (che venivano puntualmente respinte) con l'obiettivo di alleggerire la pressione su Castelvecchio.<ref>{{cita|Agnoli 1998|pp. 161-163}}.</ref>
La notizia della fuga dei due provveditori irritò la popolazione, che continuò ad agire senza coordinazione, mentre dal Contado accorrevano numerosi i contadini e i montanari, in parte già armati. Giuliari ordinò ai comandanti di fornire armi a chi ne fosse sprovvisto, inoltre provvide alla costituzione di una reggenza provvisoria,<ref>{{cita|Agnoli 1998|p. 162}}.</ref> che si mise in contatto con il generale Balland stipulando così una tregua di tre ore, anche se la battaglia presso Castelvecchio continuava. Intanto alcuni cittadini riuscirono a portare dei pezzi di artiglieria sul colle San Leonardo da dove, essendo più alto rispetto a [[colle San Pietro]] e alle altre [[Torricelle]], era più facile sparare contro i forti collocati sulle alture circostanti. Poco dopo venne deciso l'invio di truppe regolari a sostegno dei popolani sul colle.<ref>{{cita|Agnoli 1998|pp. 164-165}}.</ref>
[[File:Rivolta antifrancese - castelvecchio.png|miniatura|verticale|Litografia raffigurante i combattimenti fuori da Castelvecchio, pubblicata dal ''Journal pour tous: magasin littéraire illustré'' nel 1862.]]
L'obiettivo principale divenne la conquista di
Dai paesi della provincia
Arrivò poi in città il
=== 19 aprile ===
[[File:Assalto Castel Vecchio.jpg|
Il 19 Bevilacqua venne sconfitto a Legnago dalle truppe francesi
Dopo l'inutile tentativo di mediazione, Contarini e Giovannelli organizzarono il popolo
[[File:Milizie venete Pasque Veronesi.jpg|
Continuava così la battaglia, in particolare a
Presso il [[lazzaretto di Sanmicheli]], che era occupato da un ospedale francese, passò una schiera di contadini armati diretti verso la città, quando dall'ospedale partirono alcuni colpi di fucile: i contadini, infuriati, abbatterono le porte e massacrarono i sei soldati che si trovavano all'interno.<ref>{{cita|Solinas
Nel pomeriggio Neipperg lasciò Verona insieme ai suoi soldati, dato che la tregua tra Francia
=== 20 e 21 aprile ===
Maffei la mattina seguente uscì con gli uomini disponibili da porta San Zeno per cercare di rompere la linea nemica e aiutare la ritirata in città delle truppe venete comandate da Ferro, ancora tagliate fuori. L'attacco di Maffei venne però respinto da Landrieux, mentre nel frattempo Ferro, che tra le sue truppe aveva 500 fanti del IV reggimento di Treviso, 400 schiavoni,<ref name= Schiavoni group=N/> 250 cavalleggeri e otto cannoni, poté rafforzarsi con oltre {{Formatnum:4000}} volontari (i quali si erano spontaneamente riuniti a Sommacampagna dopo l'accerchiamento), che però non potevano essere utilizzati in un'eventuale battaglia, poiché non erano addestrati né ben armati.<ref>{{cita|Agnoli 1998|p. 175}}.</ref>
[[File:Colpo di cannone Pasque Veronesi.jpg|miniatura|sinistra|Rievocazione storica: l'artiglieria francese fu fondamentale durante tutta la rivolta, impiegata principalmente dai forti per bombardare la città dall'alto.]]
L'attacco di Ferro ebbe inizio a Santa Lucia, dove il comandante veneto riuscì a battere i francesi spingendoli a nord, prima sino a [[San Massimo (Verona)|San Massimo]], poi sino alla Croce Bianca, dove riuscirono a resistere al contrattacco. Per un fatale errore, però, a un certo punto venne suonata la ritirata, per cui la cavalleria invece che caricare si ritirò, causando così la sconfitta della fanteria, che poté però a ritirarsi dentro le mura. Alla fine della battaglia tra fanti e schiavoni<ref name= Schiavoni group=N/> erano sopravvissuti in 400, mentre i cavalleggeri non subirono grandi perdite. I francesi tornarono così a rioccupare le posizioni precedenti e si avvicinarono a [[Porta Nuova (Verona)|porta Nuova]] e [[porta Palio]], dove furono però respinti dai cannoni.<ref>{{cita|Agnoli 2013|pp. 163-165, tomo I}}.</ref>
Ripresero allora le trattative tra veneti e francesi, che richiedevano la resa senza condizioni, mentre nel frattempo altri volontari giungevano dalla bassa Veronese e, oltre a Verona, anche [[Pescantina]] respingeva gli assalti francesi, che non riuscivano così a oltrepassare l'[[Adige]].<ref>{{cita|Agnoli 1998|p. 179}}.</ref>
Il 21 aprile i francesi riuscirono a passare l'Adige poco più a monte di Pescantina. Intanto a Verona continuava l'assedio a Castelvecchio, mentre la batteria del colle San Leonardo veniva catturata. Iniziarono nuove trattative cui parteciparono Giovanelli, Emilei, Giusti, Chabran, Chevalier (la cui presenza indicava che la città era ormai circondata) e Landrieux, ma non si giunse a nessuna conclusione. Ormai però non c'erano più speranze di vittoria, nonostante fossero giunte da Vicenza al comando del conte Erizzo 400 fanti e circa {{Formatnum:1000}} cernide, poiché l'abitato era ormai circondata da {{Formatnum:15000}} soldati francesi.<ref>{{cita|Solinas 1981|p. 389|}}.</ref>
=== 22 e 23 aprile ===
[[File:CastelSanPietro.jpg|
I francesi la mattina del 22 aprile portarono alcuni cannoni presso porta San Zeno con l'intenzione di abbatterla, ma furono fermati grazie a dei fortunati colpi di cannone sparati dalle mura da alcuni cittadini, che li obbligarono nuovamente, così, a ritirarsi; nel frattempo i militari ancora all'interno di Castelvecchio erano in grave difficoltà.<ref>{{cita|Agnoli 1998|p. 185}}.</ref> Ci fu anche un tentativo mal riuscito di riconquistare il colle San Leonardo. La polvere da sparo e le munizioni stavano però scarseggiando e pure il cibo cominciava a non essere più sufficiente per la popolazione, dato che la città si era riempita di volontari e soldati. Lo stesso giorno arrivò una lettera del Senato, che invitava la città ad arrendersi; le maggiori autorità a Verona si dovettero così riunire per decidersi sul da farsi. Durante il vertice si giunse alla conclusione che non sarebbero mai giunti rinforzi, per cui si rendeva necessario prepararsi per la resa. I capi militari andarono per le strade invitando a fermare i combattimenti: «molti ufficiali Veneti uscirono e così influenzati dalle Venete Cariche, scorsero le contrade tutte di Verona proclamando una tregua conclusa, ed esortando tutti gli abitanti a desistere da qualunque atto di ostilità, poiché trattavasi di pace, né tardarono i migliori tra i cittadini ad unirsi a loro onde calmare il popolo, infruttuosi non furono i loro consigli e la moltitudine si lasciò persuadere dalle voci della ragione e delle necessità: paga di non abbandonare i suoi posti di difesa, vi si tenne tranquilla, e non tirò più un colpo di cannone o di fucile. Così ebbe fine una battaglia, la quale principata entro le nostre mura alle ore ventuna italiane<ref group= N >Ovvero alle ore 17.</ref> del giorno 17 aprile era durata senza interruzione sino presso alle ore parimenti ventuna del giorno 23. Allo strepito delle armi, al clamore delle voci, al movimento continuo di una numerosa popolazione, successero un cupo silenzio, un nesto riposo, una ferale immobilità».<ref>{{cita libro|autore=Antonio Maffei|titolo=Memorie concernenti l'insurrezione di
Verona provocata dai Francesi l'anno 1797|posizione=manoscritto n. 3038 della Biblioteca Civica di Verona, vol. III}}</ref>
Oramai era chiaro che i veronesi, nonostante fossero riusciti a contrastare le incursioni di pattuglie francesi e a sopportare il cannoneggiamento della città, non avrebbe potuto resistere
Alla fine degli scontri, le morti francesi ammontarono a 500 soldati,<ref>{{cita libro|titolo=Memorie di V. Alberti
rivoluzione di Verona nel 1797|posizione=manoscritto n. 2089 della Biblioteca Civica di Verona, p. 146}}</ref> Dunque dei {{formatnum:3000}} soldati francesi di guarnigione<ref>{{cita|Solinas 1981|p. 386|}}.</ref> circa {{formatnum:2000}} (tra morti, feriti e prigionieri) furono messi fuori combattimento.
== La resa ==
[[File:Ufficiali Pasque Veronesi.jpg|
Il 24 aprile, verso mezzogiorno, il capitano Emilei
Ai due rappresentanti, Contarini e Giovanelli, venne affidato il compito
Un'assemblea convocata da Giuliari elesse provvisoriamente dieci rappresentanti di Verona e del contado
Alle 8 di mattina del 25 aprile
== Conseguenze ==
Il primo atto dei francesi, appena entrati in città, fu affiggere un manifesto in cui si poteva leggere che era stato ordinato ai soldati il rispetto delle persone e delle proprietà.
[[File:Pala di San Zeno by Andrea Mantegna - San Zeno - Verona 2016 (3).jpg|miniatura|La ''[[Pala di San Zeno]]'' di [[Andrea Mantegna]], una della numerose opere d'arte trafugate dai francesi. I tre pannelli principali furono successivamente restituiti, mentre le tre [[predelle]] in basso sono rimaste in Francia.]]
Il 1º maggio gli abitanti di Verona furono obbligati a versare il denaro e l'argenteria a loro disposizione:<ref>{{cita|Bevilacqua 1897|p. 356}}.</ref> la stessa richiesta venne posta anche il 5 e il 15 maggio, con in più la minaccia di perquisizione delle abitazioni nel caso i cittadini non avessero adempiuto al loro "dovere". Ma l'atto più ostile fu il saccheggio del Monte di Pietà della città, che in questo caso vide Napoleone, venuto a conoscenza dell'accaduto, ordinare la restituzione dei pegni di minor valore e ordinare l'arresto dei principali responsabili del saccheggio, Bouquet e Landrieux, che furono mandati in [[Francia]] per essere processati. Al sacco del Monte fece seguito anche quello delle chiese, delle abitazioni degli aristocratici e dei musei: furono così trafugati dalla [[biblioteca capitolare di Verona]] manoscritti databili dal VII al XV secolo e incunaboli del XV secolo, dal [[museo lapidario maffeiano]] lapidi greche, romane e medaglie antiche, le chiese furono depredate di numerose opere d'arte (non furono risparmiati neanche il [[Duomo di Verona|Duomo]] e la [[basilica di San Zeno]]) così come le collezioni private, da cui furono requisite persino collezioni di fossili:<ref>Lista completa in {{cita|Agnoli 2013|pp. 252-256, tomo II}}.</ref> la quasi totalità di questi oggetti non furono più restituiti. Tra le tele più importanti ci furono la ''[[Pala di San Zeno]]'' di [[Andrea Mantegna]],<ref>{{cita libro|curatore=Marco Ciatti|curatore2=Paola Marini|titolo=Andrea Mantegna. La Pala di San Zeno: studio e conservazione|città=Firenze|editore=Edifir|anno=2009|isbn=978-88-7970-454-0|pp=25-26}}</ref> il ''[[Martirio di San Giorgio]]'' del [[Paolo Veronese|Veronese]], l{{'}}''[[Assunzione della Vergine (Tiziano)|Assunzione della Vergine]]'' di [[Tiziano Vecellio|Tiziano]] e i bassorilievi in bronzo della [[chiesa di San Fermo Maggiore]]: tutto il bottino che venne fatto sfilare nel corteo di [[Parigi]] il 27 e il 28 luglio 1798 e le opere furono poi portate al [[museo del Louvre]].<ref>{{cita|Agnoli 1998|pp. 231-232}}.</ref>
Il 4 maggio venne inoltre richiesto alle sessanta famiglie più facoltose un esborso compreso tra i {{Formatnum:3000}} e i {{Formatnum:15000}} ducati.<ref>{{cita|Bevilacqua 1897|p. 358}}.</ref> Due giorni più tardi arrivò poi il generale [[Pierre François Charles Augereau]], che tenne un discorso in piazza Bra nel quale affermò che era venuto per punire chi aveva fomentato la rivolta; fece inoltre piantare l'[[albero della libertà]], che fu più volte oggetto di vandalismi.<ref>{{cita|Agnoli 1998|p. 214}}.</ref>
Il 9 maggio lo stesso generale liberò i prigionieri, provenienti dal contado, che erano stati arrestati nei momenti successivi all'entrata dei soldati a Verona perché sospettati di aver preso parte all'insurrezione, mentre iniziarono gli arresti dei protagonisti. Furono arrestati Emilei, Garavetta, Maffei, il vescovo [[Giovanni Andrea Avogadro]], Giovanni e Francesco Giona, Contarini e la moglie, Leonardo Foscarini, il conte Rocco San Fermo, i dottori Vincenzo Aureggio e Francesco Pandini, Giacomo Augusto Verità, ma anche molti popolani. A questi si aggiunsero successivamente il conte Nogarola, il canonico Morasini, i tre fratelli Miniscalchi, e altri popolani.<ref>{{cita|Agnoli
[[File:Verona-Lapide ai martiri del 1797.jpg|miniatura|sinistra|Lapide commemorativa, dedicata ai cittadini veneti giustiziati.]]
La loro condanna a morte fu eseguita il 16 maggio: la mattina una pattuglia di soldati li prese dalla prigione e li scortò per le strade silenziose della città, fino presso porta Nuova. Su uno dei bastioni, a mezzogiorno, nonostante le persone presenti chiedessero la grazia al generale Augereau,<ref>{{cita libro|autore=Antonio Maffei|titolo=1797, Istoria di Verona al tempo della Rivoluzione|posizione=manoscritto n. 2584 della Biblioteca Civica di Verona, c. 275}}</ref> vennero fucilati i quattro condannati; il supplizio dei familiari non si fermò lì, poiché le loro case furono saccheggiate dagli stessi soldati che avevano fatto parte del plotone d'esecuzione.<ref>{{cita libro|autore=Antonio Maffei|titolo=1797, Istoria di Verona al tempo della Rivoluzione|posizione=manoscritto n. 2584 della Biblioteca Civica di Verona, c. 277}}</ref> In seguito furono eseguite altre condanne a morte, decise con processi sommari. I corpi dei quattro uomini furono dissotterrati al ritorno delle truppe austriache in città, quando, dopo una processione funebre, furono posti nelle tombe di famiglia nel [[Duomo di Verona|Duomo]], nella [[chiesa di Santa Maria in Chiavica]] e nella [[Chiesa di Sant'Eufemia (Verona)|chiesa di Sant'Eufemia]].<ref>{{cita|Agnoli 1998|p. 224}}.</ref>
{{Doppia immagine verticale|right|Lion of St. Mark - Piazza delle Erbe - Verona 2016.jpg|leone marciano scalpellato.jpg||In alto il [[leone di San Marco]] collocato in [[piazza delle Erbe (Verona)|piazza delle Erbe]], ripristinato solo nel 1886. In basso quello scalpellato e tuttora visibile in [[Piazza dei Signori (Verona)|Piazza dei Signori]]}}
Nella città furono quindi numerose le condanne a morte (per un solo voto al processo si risparmiò il vescovo della città)<ref>{{cita|Agnoli 1998|p. 225}}.</ref>, ma anche le requisizioni dei giacobini, tanto che Bevilacqua, a proposito, afferma che «occorreva adunque studiare e apparecchiare un piano di saccheggio ordinato e sapiente, una specie di congegno a torchio sotto la cui enorme pressione dovesse spremere la città tutto quanto il succo che potea dare». I giacobini fecero distruggere tutte le insegne del Leone di San Marco, compreso quello posto sulla colonna in piazza delle Erbe, che sarebbe stato ripristinato solo nel 1886, e gli stemmi degli aristocratici. Venne limitato in città il suono delle campane, mentre gli orologi pubblici vennero impostati per battere le ore alla francese (un sistema diverso da quello italiano di computare le ore).<ref>{{cita|Agnoli 1998|pp. 230-231}}.</ref>
A causa delle requisizioni giacobine e della distruzione di parte dei raccolti vi fu anche una carestia per cui lo stesso Napoleone, giunto in città, esortò il club giacobino alla moderazione.<ref>{{cita|Agnoli 1998|p. 232}}.</ref> Il 2 luglio 1797 gli occupanti francesi indissero le elezioni del Governo centrale veronese, che avrebbe dovuto sostituire la municipalità provvisoria: per la prima volta a Verona i cittadini potevano votare e scegliere i propri rappresentanti. L'occasione vide però l'elezione dei protagonisti delle Pasque veronesi, pertanto il generale Augereau si riservò di scegliere ventitré dei quaranta uomini che avrebbero formato il governo, che si rivelarono essere tutti giacobini.<ref>{{cita|Agnoli 1998|pp. 20-236}}.</ref>
Quattro mesi dopo, con il [[trattato di Campoformio]], l'Austria riconobbe la [[Repubblica Cisalpina]] e prese possesso di tutti i territori della Repubblica di Venezia a est dell'Adige che, dopo molti secoli di indipendenza, vennero assoggettati al dominio straniero.
== Controversie ==
Nell'analisi storica delle Pasque veronesi non sono mancate prese di posizione a favore di
Il dibattito storico sugli avvenimenti che investirono la città di Verona nell'aprile 1797 è tornato di attualità nei primi anni 2000 a seguito di alcune prese di posizione di gruppi politici locali
== Note ==
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=== Bibliografiche ===
{{note strette}}
== Bibliografia ==
* {{cita libro|autore=Francesco Mario Agnoli|titolo=Le Pasque veronesi: quando Verona insorse contro Napoleone|anno=1998|editore=Il Cerchio|città=Rimini|cid=Agnoli
* {{cita libro|autore=Francesco Mario Agnoli|titolo=Le Pasque veronesi: quando Verona insorse contro Napoleone|edizione=II edizione accresciuta|anno=2013|editore=Il Cerchio|città=Rimini|cid=Agnoli
* {{cita libro|autore=Francesco Mario Agnoli|titolo=I processi delle Pasque veronesi: gli insorti veronesi davanti al tribunale militare rivoluzionario francese|anno=2002|editore=Il Cerchio|città=Rimini|isbn=88-8474-008-8|cid=Agnoli
* {{cita libro|autore=Enrico Bevilacqua|titolo=Le Pasque veronesi. monografia storica documentata|anno= 1897|editore=Remigio Cabianca Libraio|città=Verona|
* {{cita libro|autore=
* {{cita pubblicazione|autore=Giacomo Girardi|titolo=Il mito della neutralità violata. Lotta politica e rivolta in armi nelle Pasque veronesi|rivista=[[Il Risorgimento. Rivista di storia del Risorgimento e di storia contemporanea]]|editore=FrancoAngeli|città=Milano|anno=2016|sbn=VEA1215032}}
* {{cita libro
* {{cita libro|autore=Antonio Maffei|titolo=Dalle Pasque veronesi alla pace di Campoformido|curatore= Nicola Cavedini|anno=2005|editore=Il Cerchio|città=Rimini|isbn=88-8474-101-7
* {{cita libro|autore=
* {{cita libro|autore=
== Voci correlate ==
* [[Verona]]
* [[Storia di Verona]]
* [[Dedizione di Verona a Venezia]]
* [[Repubblica di Venezia]]
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== Collegamenti esterni ==
* {{EI|nome=Pasque veronesi|nomeurl=pasque-veronesi|autore=[[Luigi Simeoni (storico)|Luigi Simeoni]]|anno=1937|accesso=20 novembre 2018}}
{{Controllo di autorità}}
{{Portale|
{{vetrina|15|aprile|2008|Wikipedia:Vetrina/Segnalazioni/Pasque veronesi|arg=storia}}
[[Categoria:Insorgenze antifrancesi in Italia]]
[[Categoria:Rivolte dell'era contemporanea]]
[[Categoria:Storia di Verona]]
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