Dialetto tergestino: differenze tra le versioni

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Il '''tergestino''' era il dialetto{{ISO 639}} romanzo parlato a [[Trieste]] fino all'[[XIX secolo|Ottocento]], estintosi in favore dell'attuale [[dialetto triestino]] di tipo [[dialetto veneto|veneto]]. Il tergestino era un idioma di tipo [[lingue retoromanze|retoromanzo]] con una forte correlazione col [[Lingua friulana|friulano]], specie con le varietà [[Friulano occidentale|friulane occidentali]], e ancor più con il vicino [[dialetto muglisano]]<ref>{{Cita libro|nome = Sabine|cognome = Heinemann|nome2 = Luca|cognome2 = Melchior|titolo = Manuale di linguistica friulana|url = https://books.google.com/books?id=zm3yCQAAQBAJ|accesso = 28 gennaio 2016|data = 16 giugno 2015|editore = Walter de Gruyter GmbH & Co KG|ISBN = 978-3-11-031077-1}}</ref>. Il tergestino, ridotto a lingua di una chiusa aristocrazia, si è estinto prima del muglisano, che non ha avuto questa rigida specializzazione di classe<ref>{{Cita libro|nome = Günter|cognome = Holtus|titolo = Die einzelnen romanischen Sprachen und Sprachgebiete von der Renaissance bis zur Gegenwart: Rumänisch, Dalmatisch / Istroromanisch, Friaulisch, Ladinisch, Bündnerromanisch|url = https://books.google.com/books?id=oQmqFUqTyi0C|accesso = 28 gennaio 2016|data = 1º gennaio 1989|editore = Walter de Gruyter|lingua = de|ISBN = 978-3-11-096611-4}}</ref>.
 
== Storia ==
Il tergestino era parlato a Trieste dalla maggior parte della popolazione fino alla fine del [[XVIII secolo|Settecento]]. A partire dallada finetale del [[XVIII secolo|Settecento]]periodo iniziò un rapido processo di sostituzione linguistica che portò alla scomparsa del tergestino ede al prevalere di una parlata veneta di tipo coloniale, il [[dialetto triestino]]. La sostituzione avvenne quando Trieste, [[Casa d'Asburgo|asburgica]] dal [[1382]], divenne un importante porto commerciale (a partire dal [[1719]]) e la sua popolazione passò rapidamente da 6.000{{formatnum:6000}} abitanti circa a più di 200.000 abitanti{{formatnum:200000}}. Tale incremento demografico, dovuto alla massiccia immigrazione da zone di lingua diversa, stravolse il tessuto linguistico di Trieste e portò alla scomparsa del tergestino. Esso sopravvisse fino alla prima metà dell'Ottocento come lingua delle famiglie aristocratiche più antiche della città (chiamate ''lis tredis ciasadis''<ref>I nomi delle tredici casate sono: Argento, Baseggio, Belli, Bonomo, Burlo, Cigotti, Giuliani, Leo, Padovino, Pellegrini, Pettazzi, Stella, Toffani</ref>, espressione che dimostra la notevole somiglianza dell'antico tergestino con il friulano).
 
Muovendosi nel solco di una tradizione inaugurata da Pier Gabriele Goidanich<ref name="ReferenceA">{{cita pubblicazione | autore= P. G. Goidànich |titolo= Intorno alle reliquie del dialetto tergestino-muglisano |rivista= Atti della Accademia scientifica veneto-trentino-istriana. Classe di scienze storiche, filologiche e filosofiche | volume= I| anno= 1903 | pp= 39-52}}</ref> e ripresa più di recente da Mario Doria<ref>{{cita libro | autore= Mario Doria |titolo= Introduzione a “I dialoghi piacevoli in dialetto vernacolo triestino, edizione critica a cura di Mario Doria” |editore= Italo Svevo |città=Trieste|anno= 1972 | pp=VII-XII}}</ref>, nella storia del Tergestinotergestino si individuano due fasi: una più antica che va dal [[1300]], periodo a cui risalgono le prime attestazioni, fino alla prima metà del diciottesimo secolo, e una “moderna” che si conclude nella prima metà dell'800Ottocento con la sua estinzione.
 
=== Fase antica ===
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=== Fase moderna ===
 
La seconda fase inizia con il periodo in cui la città, in seguito alla concessione della prerogativa di porto franco da parte dell'imperatore d'AustraAustria Carlo VI avvenuta nel 1719, conosce un periodo di rapida espansione demografica e una parallela restrizione dell'ambito di diffusione del Tergestinotergestino, che finisce per essere confinato a un gruppo ristretto di persone appartenenti perlopiù al vecchio patriziato Triestino (lis tredis ciasadis) che lo custodiscono gelosamente.
 
Si potrebbe in qualche modo parlare quindi di una fase caratterizzata all'inizio da resistenza della parlata originaria (fino a fine ‘700) e poi da un rapido cedimento (primi decenni dell'800).
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A questi testi si possono aggiungere diverse testimonianze indirette, che coprono un periodo piuttosto ampio e, partendo dalla metà del '700, arrivano fino alle soglie della sistematizzazione scientifica inaugurata dall'Ascoli.
 
Nella relazione allegata al rapporto del console Hamilton a Maria Teresa del 25 luglio 1761<ref>{{cita pubblicazione | autore= P.Marz |titolo= Dalla nascita e fortificazioni del porto teresiano di Trieste alla guerra dei sette anni. Sulla questione della difesa del Litorale austriaco alla metà del secolo XVIII | rivista= Archeografo triestino| volume= LVI| anno= 1996 | ppp=422}}</ref>, Tomaso Ustia afferma che a Trieste ''"esistono abbitanti di tre differenti linguaggi, val'a dire Italiano, Triestino e Slavo: chi non sa, che il particolare linguaggio Triestino, usato particolarmente dalla Plebe, dà qualsisia buon italiano in moltissime parole necessarie d'esser intese non sarà capito, e che la maggior parte della Plebe stessa non sa esprimersi in italiano…"'', confermando così la vitalità settecentesca del tergestino.
 
In una nota ad un sonetto scritto in italiano da Pietro Bachiocco (''All'ingresso della Milizia imperiale regia in Muggia – Castello distante cinque miglia da Trieste'') nel 1797, compare la frase: ''"La vernacola favella triestina e muglense si assomigliano moltissimo"''<ref>{{cita pubblicazione | autore=Baccio Ziliotto |titolo= Tergestino e muglisano : noterelle storiche |rivista= Ce Fastu?| volume= 20 | anno= 1944 | ppp= 232}}</ref>.
 
Antonio Cratey nella “Perigrafia di Trieste”<ref>{{cita libro | autore= Antonio Cratey |titolo= Perigrafia dell' origine dei nomi imposti alle androne, contrade e piazze di Trieste, che puo servir d'aggionta alla "cronica" del P. Ireneo Della Croce |editore= Tipografia di G. Weis |città=Trieste|anno= 1808 | ppp= 147}}</ref>, pubblicata nel 1808, scrive: ''“si dirà, che Trieste confina col Friuli e Stato fu veneto, e che perciò il proprio dialetto, benché da pochi oggidì usitato, sia un misto friulano e veneziano.”''. L'autore registra inoltre nella toponomaticatoponomastica della città forme tergestine come ''Baudariu'', ''Chiadino'', ''Chiarbola'', ''Ciauchiara'', ''Pondares''.
 
Nella nota sui dialetti italiani aggiunta da Francesco Cherubini alla traduzione del “Prospetto nominativo di tutte le lingue note e dei loro dialetti” di Federico Adelung, pubblicata nel 1824, si legge ''“Anche nel triestino (Illiria) parlasi un dialetto italiano che trae al friulano”''.
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''"un dialetto italiano il quale originariamente aveva molte sue proprietà e si scostava alquanto dal dialetto veneto a cui però e andato a poco a poco avvicinandosi, di modo che, al presente, si può dire che sia il medesimo vernacolo veneziano"''<ref>{{cita libro | autore= Diomiro Zudini|autore2= Pierpaolo Dorsi |titolo= Dizionario del dialetto muglisano |editore= Casamassima |città=Udine|anno= 1981 | pp= XIV}}</ref>.
 
Il 22 giugno del 1845 la rivista “Il Caleidoscopio”<ref>{{cita pubblicazione | autore=G.M.B. |titolo=Sonetto |rivista= Il Caleidoscopio | volume= 4 | numero=XXVI| anno= 1845| ppp=246}}</ref> pubblica un sonetto risalente al 1796 (Il sonet del ver Triestin di cui si è detto poco sopra). Il redattore del giornale, Adalberto Thiergen (celato sotto lo pseudonimo di Tito Delaberrenga), annota: ''"L'antico dialetto triestino, omai pressoché perduto negli scritti, e adulterato nella favella comune, era composto in gran parte di veneziano, con qualche frase o desinenza del limitrofo Friuli e dell'Istria"''.
 
Un'attenzione particolare merita la posizione di [[Pietro Kandler]], sia per l'autorevolezza del personaggio che per l'evoluzione nel tempo della sua opinione sul Tergestinotergestino. Kandler parte infatti da una visione molto scettica: nel numero del 28 marzo 1846 del giornale “L'Istria”<ref>{{cita pubblicazione | autore=Pietro Kandler |titolo= Saggio di dialetti istriani |rivista= L’Istria| volume= 1 | numero=16-17| anno= 1846| ppp=61 | url=http://books.google.it/books?id=sMNeAAAAcAAJ&pg=PA61&dq=kandler+istria+volume+1&hl=it&sa=X&ei=cVV7VMO3GsP6PJHLgeAF&ved=0CE0Q6AEwCQ#v=onepage&q&f=false}}</ref> si legge ''“Invalse credenza che il dialetto già parlato in Trieste fosse friulano, e citavasene in appoggio la consuetudine di qualche nobile famiglia, qualche scritto occasionale, la non nuova opinione che Trieste appartenesse fisicamente al Friuli. L'uso del dialetto friulano non fu mai del volgo, né della generalità, ma di singoli individui”''. Una posizione in qualche modo più sfumata si trova sempre sull'Istria, nel numero del 16 maggio dello stesso anno<ref>{{cita pubblicazione | autore=Pietro Kandler |titolo=Dialetto di Muggia |rivista= L’Istria| volume= 1 | numero=28-29| anno= 1846| ppp=115 | url=http://books.google.it/books?id=sMNeAAAAcAAJ&pg=PA115&dq=kandler+istria+volume+1&hl=it&sa=X&ei=cVV7VMO3GsP6PJHLgeAF&ved=0CE0Q6AEwCQ#v=onepage&q&f=false}}</ref>: trattando del dialetto di Muggia, Kandler scrive ''“Il dialetto che vi si parlava e che vi si parla ancora da molti, scostavasi in qualche parte dal veneto; vuolsi da qualcuno che il dialetto di Muggia sia quello stesso che in tempi addietro parlavasi a Trieste; opinione che ha bisogno di migliore verificazione di quella che possa oggidì farsi nella lingua parlata dal popolo”''. Questo punto di vista muterà significativamente nei decenni successivi. In una nota manoscritta apposta sulla sua copia personale della prima edizione della “Storia del Consiglio dei Patrizi di Trieste e quindi collocabile fra il 1858 (data della pubblicazione) e il 1872 (data della morte del Kandler), trascrivendo un poemetto satirico risalente al 1689, Kandler appunta ''“In questo poema abbiamo un saggio del dialetto ferrarese, che il Quinto parlava, e del dialetto volgare triestino posto in bocca a patrizio che alle cure pubbliche anteponeva i campi, dei quali dirigeva la coltivazione.”'', e qualche riga più sotto ''“Il porre in canzone un patrizio perché parlava il gergo plebeo, avverte ciò che per altre vie ci era noto, cioè che due dialetti si parlavano in Trieste: il plebeo che deve essere comune a Muggia secondo che abbiamo udito; ed il nobile, il quale era il veneto alzato fino a dignità di lingua parlata, non però di lingua scritta”''<ref>Le note manoscritte sono state pubblicate nella seconda edizione: {{cita libro | autore= Pietro Kandler | |titolo= Storia del Consiglio dei Patrizi di Trieste dall'anno 1382 al 1809. Con documenti. |editore=Cassa di Risparmio di Trieste|città=Trieste|anno= 1972 | ppp= 147}}</ref>.
 
Nel 1859 [[Jacopo Pirona]], nelle sue “Attenenze della lingua friulana date per chiosa ad una iscrizione del MCIII” scrive<ref>{{cita libro | autore= Jacopo Pirona | titolo= Attenenze della lingua friulana date per chiosa ad una iscrizione del MCIII |editore=Vendrame|anno= 1859|città=Udine| p= 8}}</ref>: ''Parrà strano alla massima parte degli abitatori di Trieste il trovarsi compresi sotto l'aspetto etnografico nella regione del Friuli. Egli è però certo che a memoria nostra nelle famiglie triestine originarie si parlava il Friulano; e chi nol creda vegga il libro del triestino Mainati "Dialoghi piacevoli in dialetto vernacolo triestino", Trieste 1828. Gli abitatori originarj però sono ormai pochi e i non originarj usando la comune lingua italiana, non si accorgono pure di essere in terra friulana''.
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Nel 1867 Michele Leicht, nella "Terza centuria di canti popolari friulani",<ref>{{cita libro | autore= Michele Leicht | titolo= Terza centuria di canti popolari friulani. Saggi di dialetto |editore=Naratovich |anno= 1867| città=Venezia| pp= 78-80}}</ref> pubblica l'intero quarto dialogo del Mainati.
 
Nel 1869 il capodistriano Carlo Combi, in una missiva diretta a Jacopo Cavalli<ref>Lettera datata Venezia, 7 luglio 1869 e pubblicata in {{cita pubblicazione | autore= Piero Sticotti |titolo= Il carteggio di Jacopo Cavalli |rivista= Archeografo Triestino | serie=IV |volume= XX| anno= 1955-1956 | ppp=185 }}</ref>, scrive "''a cui tennero fermo anche i parrucconi delle tredis casadis''", ricorrendo ad un'espressione evidentemente di uso corrente.
 
=== Gli ultimi tergestini ===
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Emerge inoltre che, sorprendentemente, il tergestino sopravviveva ancora nella seconda metà dell'800, in anni in cui anche l'Ascoli lo dava per estinto: l'ultimo parlante, Giuseppe de Jurco, che lo aveva utilizzato correntemente in famiglia fino al 1833 e ne aveva trasmesso la memoria ai propri figli, è infatti deceduto nel 1889. Emblematico è anche il caso di Stefano de Conti (detto Sciefin), podestà di Trieste dal 1861 al 1863 e deceduto nel 1872, che lo parlava abitualmente con il fratello Giusto (morto nel 1876) e con i vecchi triestini. Stando ad una delle testimonianze raccolte dal Cavalli lo aveva utilizzato con i suoi interlocutori friulani in occasione di una visita a Cormons come podestà di Trieste, suscitando stupore fra i presenti.
 
A queste testimonianze si può aggiungere una lettera inviata da Roma il 18 dicembre 1893 a Jacopo Cavalli dall'archeologo [[Dante Vaglieri]] (1865-1913), in cui si legge “''Posso dire ancora che nelle nostre famiglie, presso tutti i parenti, si possedeva il Mainati e a nessuno è venuto in mente di chiamarlo – per l'opera sul dialetto – un falsario. Un esemplare, poi sparitoci, se ne possedeva pure noi ed era una delle mie letture nella mia fanciullezza''”<ref name="ref_A">{{Cita pubblicazione | autore= Piero Sticotti |titolo= Il carteggio di Jacopo Cavalli |rivista= Archeografo Triestino | serie=IV |volume= XXI| anno= 1957-1958 | ppp=196 }}</ref>.
 
In realtà le ultime tracce del tergestino potrebbero essere ancora più recenti: nel 2008 il linguista [[Pavle Merkù]] ha riferito di aver scoperto che una singola famiglia contadina alla periferia della città ha continuato ad utilizzare l'antico dialetto fino alle soglie della prima guerra mondiale<ref>Pavle Merkù ha citato questo fatto in più occasioni durante le presentazioni pubbliche del libro di poesie in tergestino “D'Arzent zu” di Ivan Crico, si veda ad esempio: {{cita web|url= http://ricerca.gelocal.it/messaggeroveneto/archivio/messaggeroveneto/2008/08/18/GO_16_SPEA21.html|titolo= Messaggero Veneto – 18 agosto 2008, pagina 11}}.</ref>. Inoltre, sempre secondo Merkù, alla fine dell'Ottocento ci sarebbero state, oltre a quelle censite da Cavalli, altre persone che in città continuavano ad utilizzare l'antico dialetto, tra cui la baronessa Economo.
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Nel XXI secolo c'è stato un tentativo di rivitalizzazione del tergestino, con scopi puramente poetico-letterari, da parte di [[Ivan Crico]], che ha composto alcune liriche in tergestino raccolte nel 2008 nel volume ''De arzént zù'' ("D'argento scomparso") edito dall'[[Istituto Giuliano di Storia, Cultura e Documentazione]] con contributi di Gianfranco Scialino e [[Pavle Merkù]].
 
== Gli studi sul Tergestinotergestino ==
 
Il termine “Tergestino”"tergestino" per indicare il dialetto friulaneggiante parlato a Trieste viene introdotto da [[Graziadio Isaia Ascoli]] nei ''Saggi Ladini'' del 1873<ref>{{cita pubblicazione | autore=G.I. Ascoli |titolo=Saggi Ladini |rivista= Archivio Glottologico Italiano | volume= 1| anno= 1873 | ppp= 479}}</ref>. Ascoli individua un ramo sud-orientale del ladino, rappresentato appunto dal Tergestinotergestino (''“ora spento”'') e dal contiguo dialetto di Muggia ("''“ormaiormai sullo spegnersi”spegnersi''") e indica come unica fonte per il Tergestinotergestino i dialoghi del Mainati. Segnala inoltre che entrambe le varietà hanno subito una forte erosione da parte del veneto. L'affermazione di Ascoli suscita parecchia incredulità e una vivace polemica in ambito locale (si vedano ad esempio gli scritti di Paolo Tedeschi sulla Provincia d'Istria). Anche nella comunità dei glottologi sorgono parecchi dubbi, legati soprattutto alla presenza di un'unica fonte e al fatto che apparentemente nessuno a Trieste conservava memoria dell'antico dialetto. Negli anni successivi però una serie di ritrovamenti documentali porta gradualmente gli studiosi più autorevoli ad accettare la tesi ascoliana.
 
In una lettera del 6 ottobre 1877<ref>{{cita web|url= http://schuchardt.uni-graz.at/korrespondenzid/briefeletter/korrespondenzpartner/929/briefe/028-B76_541101|titolo= Hugo Schuchardt Archiv - Brief 6. Okt. 1877|urlmortoaccesso=19 agosto 2021}}</ref> l'illustre romanista tedesco [[Hugo Schuchardt]] invia ad Ascoli un nuovo testo segnalatogli da Vincenzo Joppi, dichiarando esplicitamente ''“Quei dubbi si sono dileguati, avendo io dietro all'indicazione del Joppi letto e copiato un altro saggio dell'antico triestino”''. Il breve componimento, conosciuto come ''Sonet del ver triestin'', descrive la consacrazione del vescovo Ignazio Gaetano de Buset di Fraistemberg avvenuta a Trieste il 23 ottobre del 1796.
 
Sempre nel 1877 esce “La storia di Trieste raccontata ai giovanetti” di Jacopo Cavalli, con una sezione dedicata agli aspetti linguistici<ref>{{cita libro | autore= Jacopo Cavalli | titolo= La storia di Trieste raccontata ai giovanetti |editore= B. Appolonio – Municipio di Trieste | città=Trieste | anno= 1877 | pp= 155-162}}</ref> in cui vengono riportati alcuni estratti degli Archivi Comunali. Gli spogli vanno dal XIV al XVI secolo e mostrano diverse forme riconducibili a un dialetto di tipo ladino. Il Cavalli in precedenza si era mostrato piuttosto scettico sul testo del Mainati al punto da scrivere, sulla Provincia dell'Istria del 16 aprile 1873, “''Comunque sia, e lasciando stare, per ora, se nel 1828 si parlasse davvero a Trieste quel dialetto che è nel Mainati, di che, in verità, abbiamo forti motivi a dubitare, e su cui ritorneremo quandochessia;''”<ref>{{cita pubblicazione | autore= Jacopo Cavalli |titolo= Bibliografia. Il Cicerone Satirico, Considerazioni umoristiche di Giuseppe Rota. |rivista= La provincia dell’Istria | città= Capodistria | giorno= 16 | mese = 4 | anno= 1873 | pp= 11-12 | url= http://www.dlib.si/details/URN:NBN:SI:DOC-7WDCJYZO}}</ref> e anche nella "Storia di Trieste" sembra in qualche modo situare il declino del tergestino alla fine del XVI secolo: “''Venezia, che portò e diffuse sulle coste orientali del Mediterraneo la lingua italiana, modificò e trasformò a poco a poco il volgare triestino; e già dai documenti della seconda metà del 1500 si vede, come fin d'allora egli avesse ceduto non poco a quel dialetto veneto, che lo soppiantò, e che è dell'uso presente.''”.
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L'intervento di Ascoli, per quanto autorevole, non chiude tuttavia la polemica (si veda ad esempio la Provincia d'Istria del 16 settembre 1889)<ref>{{cita pubblicazione | autore= Paolo Tedeschi |titolo= Il dialetto tergestino |rivista= La provincia dell’Istria | città= Capodistria | giorno= 16 | mese = 9 | anno= 1889 | pp= 137-140 | url= http://www.dlib.si/details/URN:NBN:SI:DOC-19JUTFUD}}</ref> che prosegue anche negli anni successivi: non a caso nel volumetto ''“Avanzi dell'antico dialetto triestino cioè i sette dialoghi piacevoli pubblicati dal Mainati: un sonetto ed altri cimeli linguistici con prefazione”'' pubblicato nel 1891 da Emilio Schatzmayr, compare anche, accanto ad un sunto dell'articolo di Ascoli, uno scritto di Giovanni Loser in cui vengono riprese le posizioni di Zenatti.
 
Nel 1893 Jacopo Cavalli, in appendice alle ''Reliquie ladine raccolte a Muggia d'Istria''<ref>{{cita pubblicazione | autore= J. Cavalli |titolo= Reliquie ladine raccolte a Muggia d’Istria con un’appendice sul dialetto tergestino |rivista= Archeografo Triestino (estratto dall’Archivio Glottologico Italiano vol. XII 1893 con aggiunta) | volume= XIX| anno= 1894 | pp= 5-208}}</ref> pubblica una nuova serie di spogli documentali, avuti da Attilio Hortis, che coprono il periodo compreso fra il 1550 (epoca a cui giungevano i cimeli del 1878) e il 1796 (anno di pubblicazione del sonetto). Cavalli ha inoltre la fortuna di poter raccogliere alcune preziose testimonianze di persone viventi che avevano ancora memoria del tergestino e che forniscono, oltre alla conferma del fatto che il Tergestinotergestino era ancora parlato da alcune famiglie nella prima metà dell'800, ulteriori elementi lessicali che si riveleranno preziosi per gli studi linguistici successivi. Lo stesso Paolo Tedeschi, sulla Provincia d'Istria del 16 luglio 1893<ref>{{cita pubblicazione | autore= Paolo Tedeschi |titolo= Appunti bibliografici |rivista= La provincia dell’Istria | città= Capodistria | giorno= 16 | mese = 7 | anno= 1893 | ppp= 113 | url= http://www.dlib.si/details/URN:NBN:SI:DOC-XG9INL59}} ''Rilevo la nota a pagina 469, nella quale si ha il seguente passo in lettera del Muzio a Pietro Paolo Vergerio. "Questa città (Nizza) ha una sua propria favella, la quale non è nè Italiana, nè Francese, nè Provenzale,ma pur sua particolare, secondo che hanno Muggia e Tergeste, ne' nostri paesi." E quale altra può essere questa favella, se non il ladino affine al friulano di Muggia e di Trieste come sostiene l'illustre Ascoli? Tanto più volentieri lo noto, perché mi dà occasione a ritrattarmi di quanto ho scritto altra volta in contrario''</ref>, riconosce l'autorevolezza della testimonianza di Gerolamo Muzio riportata dal Cavalli chiudendo in qualche modo la diatriba che era divampata negli anni precedenti (Tedeschi tornerà in parte sulla questione, sulla Provincia d'Istria del 16 gennaio 1894, esprimendo qualche altro dubbio<ref>{{cita pubblicazione | autore= Paolo Tedeschi |titolo= Questione Cameraro-Mainati |rivista= La provincia dell’Istria | città= Capodistria | giorno= 16 | mese = 1 | anno= 1894 | ppp= 13 | url= http://www.dlib.si/details/URN:NBN:SI:DOC-ZAWBTRS6}} ''Lo ripeto: lis soluta; Trieste e Muggia avevano una parlata affine alla friulana. Non per voglia di litigare, nè per l'istinto di attaccarmi ad ogni spino, come chi sta per affogare, mi sia lecito però di manifestare qui un mio dubbio. Tale parlata a Trieste, ed a Muggia l'hanno poi conservata quasi fino ai nostri giorni, come vuole il Cavalli? Per Muggia non ho alcun dubbio, per Trieste sì, e domando schiarimenti, pronto sempre ad arrendermi all'evidenza.''</ref>).
 
Gli studi degli anni successivi, che danno ormai per assodata la veridicità dei Dialoghi del Mainati e degli altri reperti, si muoveranno in due direzioni: la ricerca di ulteriori prove documentali, dirette o indirette, e una sistematizzazione degli elementi noti.
 
Nel primo filone si muove [[Giuseppe Vidossi]] che nei suoi studi sul dialetto triestino del 1899<ref>{{cita pubblicazione | autore= G. Vidossich |titolo= Studi sul dialetto triestino |rivista= Archeografo Triestino | volume= XXIII| anno= 1899-1900 | pp= 239-304}}</ref> riepiloga brevemente le testimonianze citate dal Cavalli e aggiunge alcuni elementi nuovi tra cui una citazione del 1824 dovuta al dialettologo [[Francesco Cherubini]] che, nella sua traduzione del “Prospetto nominativo di tutte le lingue note e dei loro dialetti” di [[Friedrich Adelung]]<ref>{{cita libro | autore1= F.Adelung | autore2= F.Cherubini |titolo= Prospetto nominativo di tutte le lingue note e dei loro dialetti. Opera del Federico Adelung tradotta e corredata di una nota sui dialetti italiani di Francesco Cherubini |editore= G.B. Bianchi|città=Milano|anno= 1824 | ppp= 114}}</ref>, aggiunge una nota sui dialetti italiani in cui scrive (pag. 114) ''“Anche nel triestino (Illiria) parlasi un dialetto che trae al friulano”''.
 
Al secondo filone appartiene invece il lavoro di [[Pier Gabriele Goidanich]] che nel 1903 pubblica ''Intorno alle reliquie del dialetto tergestino-muglisano''<ref name="ReferenceA"/>, in cui si tenta per la prima volta di tracciare la storia del tergestino e del contiguo muglisano (il termine viene introdotto per la prima volta in questo articolo per distinguerlo dal muggese, di stampo veneto), distinguendo fra una fase antica, testimoniata dai frammenti raccolti negli archivi, e una moderna delineata dai Dialoghi di Mainati e dal sonetto del 1796. Goidanich analizza anche i rapporti fra queste due varietà, il friulano e le altre parlate ladine.
 
Nel 1908 i Rendiconti dell'Istituto Lombardo di Scienza e Letteratura ospitano un breve scritto di [[Carlo Salvioni]]: ''Nuovi documenti per le parlate muglisana e tergestina''<ref>{{cita pubblicazione | autore= C. Salvioni |titolo= Nuovi documenti per le parlate muglisana e tergestina |rivista= Rendiconti dell’Istituto Lombardo di Scienza e Letteratura | volume= XLI| anno= 1908 | ppp= 573}}</ref>. Il dialettologo lombardo, spulciando fra le carte di Bernardino Biondelli conservate presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano, ha trovato una raccolta di versioni della parabola del figliol prodigo nelle diverse parlate italiane, collezionate fra il 1835 e il 1846. Tra queste compare una versione in tergestino (Parabula del fi prodigh) dovuta al Mainati che risale con tutta probabilità al 1841-1842 (anno della morte del Mainati) ed è quindi posteriore ai Dialoghi. Il testo è corredato da una breve nota sulla pronuncia che risulterà preziosa per la ricostruzione della fonetica.
 
Qualche anno dopo, nel 1911, [[Giuseppe Vidossi]] pubblica un nuovo documento<ref>{{cita pubblicazione | autore= G.Vidossich |titolo= Un nuovo cimelio tergestino illustrato da Giuseppe Vidossich |rivista= Studi letterari e linguistici, dedicati a Pio Rajna nel quarantesimo anno del suo insegnamento | editore=Hoepli | città= Milano | anno= 1911 | pp= 389-394}}</ref> da lui ritrovato due anni prima: è un componimento in versi che racconta lo stesso evento narrato dal ''Sonet del ver triestin'' e che quindi risale al 1796. Anche questo testo, l'ultimo ad essere stato trovato finora, riporta coerentemente gli elementi peculiari del tergestino rilevabili dai dialoghi e presenta tutti i caratteri tipici delle parlate ladine.
 
Dopo un periodo di pausa piuttosto lungo, gli studi sul tergestino riprendono vigore nel secondo dopoguerra con un lavoro di Baccio Ziliotto pubblicato nel 1944 su "Ce Fastu"<ref>{{cita pubblicazione |autore=Baccio Ziliotto |titolo= Tergestino e muglisano: noterelle storiche |rivista= Ce Fastu? |volume= 20 |anno= 1944 |ppp= 232}}</ref>. In questo articolo Ziliotto ipotizza che anche i due testi minori non attribuiti (''Sonet'' e ''Racont'') siano in realtà opera di Giuseppe Mainati. Per il ''Sonet'' Ziliotto parte dalle iniziali dell'autore (G.M.B.), che vengono interpretate come Giuseppe Mainati Brezaucich (cognome della madre del Mainati), mentre l'attribuzione del ''Racont'' è basata sul fatto che entrambi i testi descrivono lo stesso evento. Nell'articolo viene inoltre pubblicata una testimonianza risalente al 1797: in una nota ad un sonetto scritto in italiano da Pietro Bachiocco compare la frase: ''"La vernacola favella triestina e muglense si assomigliano moltissimo"''.
 
L'anno successivo vede la pubblicazione dell'importante testo di geografia linguistica "Alle porte orientali d'Italia" di Matteo Bartoli e Giuseppe Vidossi, che analizza in modo approfondito la situazione dialettale e linguistica di Venezia Giulia, Friuli e Istria e ipotizza, in una fase antica, l'estensione dell'area friulana fino a Capodistria<ref>"le varietà di tipo friulano sono documentate ampiamente per Trieste e Muggia. Meno evidentemente per la vicina Capodistria" {{cita libro | autore1= M.Bartoli |autore2= G.Vidossi |titolo= Alle porte orientali d'Italia, dialetti e lingue della Venezia Giulia, Friuli e Istria, e stratificazioni linguistiche in Istria, con un'appendice di testi dialettali. |editore=Gheroni |città=Torino |anno=1945 |ppp=63}}</ref>.
 
Gli anni '60 segneranno un'ulteriore crescita dell'interesse verso questa parlata, che attrae l'attenzione di tre linguisti di rango come [[Giovan Battista Pellegrini]], [[Mario Doria]] e [[Carlo Battisti]]. Pellegrini rivolge la propria attenzione principalmente all'analisi di alcuni tratti morfologici e grammaticali peculiari (ad esempio il –to enclitico nella seconda persona dei verbi), mentre Mario Doria si dedica ada una sistematizzazione delle conoscenze della toponomastica dell'area triestina, evidenziando in un approfondito saggio uscito nel 1960 su "Ce fastu" come circa il 60% dei toponimi sia da ricondurre al tergestino<ref>{{cita pubblicazione | autore=Mario Doria |titolo= Ai margini orientali della friulanità. Caratteristiche della toponomastica triestina |rivista= Ce Fastu?|editore =Società filologica friulana |volume= 36 | anno= 1960 | pp=10-38}}</ref>.
 
Originale la posizione di [[Carlo Battisti]], noto per aver sostenuto l'evoluzione indipendente delle lingue ladine in opposizione alla teoria unitaria dell'Ascoli, che in alcuni scritti usciti tra il 1963 e il 1964<ref>{{cita pubblicazione |autore=Carlo Battisti |titolo=Per la storia linguistica di Trieste |rivista=Atti del 41º congresso della Società Filologica Friulana |editore =Società filologica friulana |volume=unico | anno= 1964 |pp=105-108}}</ref> afferma che tergestino e muglisano, malgrado le somiglianze col friulano, costituiscono uno sviluppo autoctono di un “latino altomedievale” e vanno eventualmente collegati con le forme romanze preveneziane diffuse lungo la costa istriana. La principale motivazione addotta da Battisti è la precoce interruzione della continuità linguistica tra il Friuli e l'area triestina, dovuta al formarsi di un cuneo veneto-sloveno sul Carso. Mario Doria interverrà sull'argomento nel 1969 con uno studio sulla toponomastica del Carso<ref>{{cita pubblicazione |autore=Mario Doria |titolo= Alla ricerca di tracce di friulanità nella toponomastica del Carso Triestino |rivista= Studi Linguistici Friulani | anno= 1969 |pp=223-256}}</ref>, in cui dimostra che in realtà tergestino e muglisano si saldavano con il friulano della zona monfalconese attraverso la fascia più occidentale dell'altipiano carsico.
 
A partire dagli anni ‘70 gli studi sul Tergestinotergestino sono profondamente segnati dal lavoro di Mario Doria e dei suoi colleghi e allievi, che si muovono su due fronti: una sistematizzazione delle conoscenze già acquisite e la ricerca di nuove testimonianze, dirette ed indirette. Nel primo filone si possono segnalare nel 1972 la pubblicazione dell'edizione critica dei Dialoghi del Mainati da parte dello stesso Doria e dei testi minori da parte di Diomiro Zudini, fino ad arrivare alla pubblicazione di un repertorio lessicale del tergestino moderno, uscito in due riprese sull'Archeografo Triestino tra il 1993 e il 1994<ref>{{cita pubblicazione |autore=Mario Doria |titolo= Lessico-concordanza del dialetto tergestino del Mainati (parte prima A-M) |rivista= Archeografo Triestino | volume=LIII | anno= 1993 |pp=297-378}}</ref><ref>{{cita pubblicazione |autore=Mario Doria |titolo= Lessico-concordanza del dialetto tergestino del Mainati (parte seconda N-Z) |rivista= Archeografo Triestino | volume=LIV | anno= 1994 |pp=387-454}}</ref>, in cui convergono tutti i lemmi ricavabili dalle fonti note. Al secondo fronte si possono ascrivere diversi articoli sulla toponomastica, sugli elementi lessicali friulaneggianti che affiorano nel dialetto triestino e alcune reliquie raccolte sorprendentemente a inizio ‘900<ref name=RelTergNov>{{cita pubblicazione | autore=Mario Doria |titolo=Reliquiae tergestinae novissimae |rivista= Studi di linguistica e filologia: Charisteria Victori Pisani oblata (bibliografia degli scritti di Vittore Pisani (2 v.) | editore=Congedo | anno= 1992 | pp= 181-190}}</ref>.
 
== Classificazione ==
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=== Fonetica e fonologia ===
 
Il vocalismo di base del Tergestinotergestino è saldamente friulano e presenta la tipica la dittongazione delle -e- ed -o- brevi latine in posizione tonica e sillaba chiusa: avremo quindi le trasformazioni e>ie (''biel'') e o>ue (''gruessa'', ''uess''). Nell'esaminare le evoluzioni successive di questi dittonghi si può notare la mancanza dell'innalzamento di –e- davanti a –m- o –n- seguita da consonante (''tiemp'', friulano ''timp''; ''puent'', friulano ''puint''), è invece presente regolarmente l'abbassamento di –e- davanti a r (''tiara'', ''muarta''). Nelle forme più antiche appare con una certa frequenza anche la dittongazione –ei- (''bein'', ''teila'') che richiama forme istriane. Da osservare infine il mantenimento del dittongo -au- anche in parole dove il friulano ha semplificato in –o- (''chiausa''=cosa, friulano ''cjosse''; ''auregla''=orecchia, friulano ''orele'').
 
Per quanto riguarda il trattamento delle consonanti si nota la presenza regolare di una delle principali caratteristiche delle lingue retoromanze, e del friulano in particolare: la palatalizzazione delle velari (c e g) davanti ad a (da tener presente che, come segnala Mario Doria nella sua edizione critica dei Dialoghi<ref>{{cita libro | autore= Mario Doria | autore2= Giuseppe Mainati |titolo= I dialoghi piacevoli in dialetto vernacolo triestino, edizione critica a cura di Mario Doria |editore= Italo Svevo |città= Trieste|anno= 1972 | pp= XII-XIII}}</ref> nella forma –chia- la c va pronunciata come palatale [tʃa], interpretazione avvalorata anche dalla trascrizione fonetica del Cavalli nelle Reliquie). Il trattamento palatale di GA è in realtà scarsamente attestato e sembra evidenziare un'ulteriore evoluzione della consonante palatale come approssimante [dʒ]>[j] (''jata''=gatta, presente sia nei Dialoghi che nelle testimonianze raccolte dal Cavalli).
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Per quanto riguarda la morfologia nominale si può notare che il tratto più caratteristico del friulano, la terminazione in –s del plurale (plurale sigmatico), si conserva solo al femminile (terminazione in –is) mentre scompare quasi completamente nel maschile (con l'eccezione dei nomi che terminano in –n per cui sono attestate nei frammenti più antichi diverse forme –ns). In generale il plurale maschile è privo di desinenza con alcuni casi di terminazione in –i (non necessariamente per influsso veneto, come per esempio in ''anemai''=animali o ''chei''=quelli, dove anche il friulano ha un –i finale derivato da una palatalizzazione). In generale il numero può essere desunto solo dall'articolo o, in mancanza di questo, dal contesto.
 
Nell'ambito della morfologia verbale troviamo diversi fenomeni interessanti, ad esempio la terminazione consonantica della prima persona singolare dell'indicativo: è noto che in friulano la caduta della –o finale ha portato ada una prima fase di terminazione consonantica a cui è seguita, verso il XV secolo, l'aggiunta di una –i finale. Nel Tergestinotergestino questo secondo passaggio non è avvenuto e si trova sistematicamente la finale consonantica (''stim''=stimo, friulano ''stimi''; ''impar''=imparo; friulano ''impari'') e ciò potrebbe far pensare ada una separazione piuttosto antica del tergestino dall'unità linguistica friulana.
Un altro tratto caratteristico è la aggiunta del –to finale (enclisi) nella seconda persona singolare dell'indicativo presente e futuro (''disto bem''=dici bene, ''savarasto''=saprai). Questo fenomeno non è legato, come accade in friulano, all'inversione della forma interrogativa (''ce fastu?'') che in Tergestinotergestino non ha un'attestazione regolare.
 
Un'ulteriore peculiarità, evidenziata già da Ascoli nei Saggi Ladini, è l'estensione, nel congiuntivo presente, della terminazione in -s dalla seconda alla prima e terza persona (''che el'seis''=che egli sia, ''che possis uiue''=che io possa vivere). In quest'ultimo esempio si nota anche la conservazione di –e negli infiniti sdruccioli dove il friulano ha l'innalzamento ad –i (''vivi'').
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=== Paràbula del fi prodigh (G. Mainati, 1841) ===
 
Pubblicato per la prima volta da Carlo Salvioni<ref>Carlo inSalvioni, “Nuovi''Nuovi documenti per le parlate muglisana e tergestina”tergestina'' - Rendiconti Istituto Lombardo di scienza e letteratura, Serie II, vol. XLI, Milano, U. Hoepli, 1908, p.&nbsp;573. U.Hoepli Milano</ref>. La datazione è di Salvioni (Mainati morì nel 1842).
 
Nota dell'autore:
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Nota: sono evidenziati in corsivo alcuni fra i friulanismi più evidenti, tra cui la presenza di diverse forme bicomposte (s'habù impensà, hauendo bù inteso ecc.):
 
Digo donca che ''in toi'' tempi del primo Re de Zipro ''despò'' il uadagno fatto della Terra Santa de Gottofreddo de i Baioi, fo intravegnù ch'una zentildonna de Vascogna fo ''zuda'' in peligrazo al Sepurchio. Do la tornando in drio, zonta in Ziprio, de no se quanti scelerai homi fo con gran vellania suergognada. Donde che ella senza consolation niguna lementandose ''s'habù impensà'' de uoler cigar dananzi lo Re. Ma a ghe fo ditto de un, che indarno ''le se averes'' fatigà; Perché lui rieua d'una uita tanto minchiona, e de poco, che no solamente l'inzurie de' altri con zustizia fadeva uendetta, ma pur assè che ghe riera fatte a lui con gran uergogna padiva. Donde che, quando calcun haueua calche dolor, lui, con farghe ualguna inzuria o despresio, se sborava l'animo so! E cusì ''hauendo bù inteso'' la femena, desperada de far la so uendetta, per calche consolation del so trauaio, ''s'habù impensà'' de voler soiar le sturdità de sto Re. E ''zuda'' pianzendo alla so presenzia ''g'abù ditto'': ‘Signor"Signor mio, i' no uegno za de ti, azzocchè ''ti vendicheis'' l'inzuria che me se stada fatta, ma in gambio de quella te priego che ''ti m'insegnis'' co che ''ti sopportis'' quelle, che me uin ditto che te se fatte, azzocchè imparando de ti, ''possis anche mi'' con patientia soffrir la mia: che Dio il sa, se lo potes far uolentiera i te la donares, ''despò'' che ti ses così bon minchion.'" El Re, inchinta quella bota, essendo sta longo e priego, co a se fos desmesedà del sonno, scomenzando della inzuria fatta a sta femena, che amaramente la bù uendicada, crudiel persecutor fò deuentà de tutti che incontra l'honor della so Corona cosa neguna ''fades'' de za ananzi.
 
''Testo tratto: da Opere del Cavalier Leonardo Salviati. Volume terzo pag. 337. Milano Società Tipografica dei classici italiani. 1810''
 
== Reliquie ==
Il termine reliquie viene utilizzato dai glottologi per indicare i frammenti lessicali di una lingua estinta, raccolti dalla bocca delle ultime persone che ne serbano una memoria diretta o indiretta. Come spesso avviene per le lingue estinte, anche nel caso del Tergestinotergestino questi frammenti costituiscono un prezioso strumento per la ricostruzione del lessico e della pronuncia.<ref>Nei testi originali le frasi sono trascritte in forma fonetica, per semplicità di lettura sono state qui riportate in una forma semplificata, secondo i criteri adottati da Mario Doria nel repertorio del Tergestino</ref>
 
=== Jacopo Cavalli ===
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'''Nota di Cavalli nelle Reliquie Ladine (1893)'''
 
In una nota a pag, 198 delle "Reliquie ladine"<ref>{{cita pubblicazione | autore= J. Cavalli |titolo= Reliquie ladine raccolte a Muggia d’Istria con un’appendice sul dialetto tergestino |rivista= Archeografo Triestino, estratto dall’Archivio Glottologico Italiano vol. XII 1893 con aggiunta | volume= XIX| anno= 1893 | ppp=198 }}</ref> Jacopo Cavalli riporta una terza reminiscenza infantile dell'Ascoli: ''lustrissen de chilò'' (illustrissimo di qui), per indicare "un aristocratico puro sangue, ma più o meno spennacchiato".
 
=== Pietro Tomasin ===
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'''Proverbi tergestini (1880 circa)'''
 
Tra le fonti citate da Mario Doria nel lessico-concordanza del dialetto tergestino<ref>{{cita pubblicazione |autore=Mario Doria |titolo= Lessico-concordanza del dialetto tergestino del Mainati (parte prima A-M) |rivista= Archeografo Triestino | volume=LIII | anno= 1993 |ppp=301}}</ref> compaiono anche alcuni proverbi provenienti da un manoscritto di don Pietro Tomasin (1845-1925) risalente all'incirca al 1880. Il manoscritto, contenente una raccolta di proverbi e modi di dire triestini, è stato pubblicato a puntate nel 1985 come inserto della rivista “Abitare Trieste”, a cura di Giuseppe Radole.
Tra i proverbi ce ne sono tre che in qualche modo sono di origine tergestina e che vengono riportati qui di seguito con la numerazione originale e i commenti dell'autore (in corsivo):
 
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'''Vecchia Trieste - Granellini di sabbia (1907)'''
 
Lorenzo Lorenzutti, a lungo presidente della Società Minerva, in un libro sul folklore triestino (Vecchia Trieste, Granellini di Sabbia) pubblicato nel 1907, dedica un capitolo al tergestino, in cui tra l'altro riporta alcuni ricordi personali (in corsivo le parole di origine tergestina)<ref>{{cita libro | autore=Lorenzo Lorenzutti |titolo=Vecchia Trieste - Granellini di sabbia | editore=Tipografia del Lloyd | anno= 1907 | ppp= 173}}</ref>:
 
"Mi ricordo di aver io stesso inteso da mia nonna, da parenti e da coetanee di lei a dire p.e.: ''braida'' per brolo o vigneto, a dir ''olsa'' per azzarda, ''polsa'' per riposa, a dir ''sfanta'' per svanisce, a dire zogar a ''barba jata'' per giuocare a mosca cieca; ora della braida non si ricorda quasi nessuno, ma le altre frasi e l'ultima voce non sono ancora spente. E non abbiamo ancora tra i nostri detti proverbiali questi due: ''Da Santa Luzia a Nadal, el cress un pas de gial'' e: ''febrarut piez de dut?''"
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A sentire questo miscuglio linguistico il pretendente scappa a gambe levate.
 
La storiella ha l'evidente intento di prendere in giro un vecchio modo di parlare ormai inconsueto e percepito come grezzo e scorretto. L'aneddoto calca volutamente la mano sulla stranezza del linguaggio mescolando elementi di varia provenienza (ad esempio la desinenza in –ene dei verbi o l'assenza dell'articolo determinativo nella seconda frase che richiamano evidentemente lo sloveno), ma è riconoscibile l'impronta del tergestino in almeno tre elementi: il verbo ''clocene'' (da ''clocià'' = scoppiettare, ribollire) , il sostantivo ''caciul'' (mestolo) e la forma verbale ''me mariderai'' (mi sposerò). A queste tre parole si aggiunge ''mlecene'' che rappresenta un ibrido fra un possibile tergestino ''misclizà'' (mescolare) e lo sloveno ''mleko'' (latte).
 
== Note ==
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== Altri progetti ==
{{Interprogetto|s=Categoria:Testi in dialetto tergestino|s_oggetto=testi|s_preposizione=in|s_etichetta=dialetto tergestino}}
 
{{Dialetti d'Italia}}