Giuseppe Ripamonti: differenze tra le versioni

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{{NN|storici|maggio 2024|arg2=religiosi}}
{{Citazione|Noi crediamo far cosa opportuna traducendo quel poco dal bel latino di quello scrittore poco conosciuto, e che meriterebbe certamente di esserlo più di tanti altri...|Alessandro Manzoni in ''[[Fermo e Lucia]]''}}
 
{{Citazione|...ma espiò piu duramente in se stesso / l’invidia altrui e le proprie stranezze|Lapide commemorativa a Tegnone}}
 
{{Bio
|Nome = Giuseppe
|Cognome = Ripamonti
|PostCognomeVirgola = in latino '''Ioseph Ripamontius'''
|Sesso = M
|LuogoNascita = Tegnone
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}}
 
Fu cronista della [[peste del 1630]] di Milano; scrisse una Storia di Milano e una storia della Chiesa milanese. Fu [[latinista]] presso il cardinale [[Federico Borromeo|Federigo Borromeo]] e ''Real Historico'' presso il Governo spagnolo di Milano. Subì un processo da parte del [[Sant'Uffizio]] in circostanze ancora non del tutto chiarite. Dimenticato per quasi due secoli, nel XIX secolo ispirò [[Alessandro Manzoni]] e fu la fonte storica principale de ''[[I promessi sposi]]''. A lui è intitolata la via più lunga di Milano, nei pressi della quale Alessandro Manzoni stampava le proprie opere.
 
== Il contesto storico ==
[[File:Milano1573.jpg|miniatura|destra|pianta di Milano nel 1573]]Il [[Ducato di Milano]], con la [[pace di Cateau-Cambrésis]], era passato dal 15591535 sotto il dominio spagnolo. È il periodo della [[Guerra dei trent'anni]] (1618-1648). La crisi economica affannava tutta Europa, aggravata in Italia dalla riduzione dell'attività commerciale, da un'elevata fiscalità, dal rincaro delle materie prime, dallo stato di abbandono delle campagne: si diffondeva la miseria e la criminalità; la repressione fu spesso dura. Il governo spagnolo non riuscì a superare il disordine amministrativo e sociale del Ducato.
 
Milano fu colpita dalla carestia e poi dalla peste tra gli anni venti e gli anni trenta. Nel 1630 i [[Lanzichenecchi]], inviati a Mantova da [[Ferdinando II d'Asburgo]], passarono da Milano. Predominarono in questo periodo a Milano le figure di [[san Carlo Borromeo]] e del più giovane cugino cardinale [[Federico Borromeo]].
Entrambi, accanto all'opera di governo e di assistenza, daranno grande impulso allo sviluppo di istituzioni erudite nella città, soprattutto il secondo fu mecenate e umanista e fondò la [[Biblioteca Ambrosiana]]. Molto fervida fu la loro attività nell'applicazione dei dettami della [[Controriforma]] (il [[Concilio di Trento]] si era concluso nel 1563). Il cardinale Federico Borromeo fondò diversi seminari, e fece costruire diverse nuove chiese; si impegnò nella lotta alle eresie con numerosi scritti; affrontò i protestanti dei [[Cantone dei Grigioni|Grigioni]] nelle valli alpine a nord di Milano. Il Ripamonti lo seguirà e sarà cronista delle sue visite pastorali in quei luoghi. Nella prima metà del 1600 a Milano vennero celebrati diversi processi per stregoneria conclusisi col rogo in pubblico delle accusate. Anche persone colte, come lo stesso Federico Borromeo, non furono esenti da superstizioni, che toccheranno il momento più drammatico nell'arresto e nella condanna a morte degli untori.
 
Il governo del Ducato era affidato a una pletora di organi, le cui competenze e giurisdizioni spesso si sovrapponevano. Il [[Governatore di Milano]] era spagnolo, di nomina reale e con incarico triennale. Aveva ampi poteri. Presiedeva il ''Consiglio Generale dei 60 decurioni'' (il più importante organo dell'amministrazione cittadina milanese), aveva potere normativo e giudiziario (anche di concedere le grazie ai condannati). Era affiancato dal ''Consiglio segreto'', un organo collegiale consultivo, e si avvaleva di un apparato burocratico, denominato ''Cancelleria segreta''. Il comando delle forze armate era affidato al ''Castellano''; spesso le cariche di governatore e di castellano erano affidate alla stessa persona.
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I conflitti di potere tra autorità spagnole e autorità religiose erano iniziati dal tempo di Carlo Borromeo. Nel 1615, dopo anni di trattative e di mediazioni, si arrivò a definire le giurisdizioni di entrambi: Federico Borromeo e il governatore di Milano firmarono la ''Concordia Iurisdictionalis inter Forum Ecclesiasticum et Forum Saeculare''<ref>''Concordia iurisdictionalis inter Forum Ecclesiasticum et Forum Saeculare'', Mediolani, 2 giugno 1615, in ''Ordines Excellentissimi Senatus Mediolani ab anno 1490 usque annum 1748'', Mediolani 1748, Malatesta, pp. 212-218. Il testo è citato e commentato in: Giorgio Dell'Oro, ''Il regio Economato, il controllo statale sul clero nella Lombardia asburgica e nei domini sabaudi, Milano, Franco Angeli'', 2007, ISBN 9788846489654</ref>.
La ''Concordia'' sarà controfirmata da papa Paolo V e dal re [[Filippo III di Spagna]] nel 1617 e pubblicata nel 1618. Questo atto però non risolse i problemi, ampliò comunque il potere giurisdizionale alla chiesa milanese in campo finanziario (gestione dell'Economato) e fiscale.
 
[[File:DSC03032 - Duomo di Milano - Stemma Borromeo dalla tomba di Federigo Borromeo + 1631- Foto di Giovanni Dall'Orto - 29-1-2007.jpg|miniatura|sinistra|Stemma di Federico Borromeo sulla Tombasua tomba nel Duomo di Milano. Il motto dei Borromeo eraè ''Humilitas'']]
 
== Biografia ==
=== Da Tegnone a Milano ===
Giuseppe Ripamonti nacque a [[Tegnone]], piccolo borgo, frazione di Colle Brianza in [[provincia di Lecco]]. Nel 1863 il nome della località fu cambiato nell'attuale Ravellino. Tegnone faceva parte della pieve di Missaglia, compresa nell'Arcidiocesi e nel Ducato di Milano.
Fu battezzato nella parrocchia di San Michele Arcangelo nella vicina [[Nava (Colle Brianza)|Nava]], il 28 agosto 1577 con il nome di Joseph. Il padre, Bertolino Ripamonti, e la madre, Lucrezia, erano contadini in discrete condizioni economiche, nonostante la crisi agricola dell'epoca e la scarsa fertilità delle terre della zona.<ref>[[Francesco Cusani]], ''Da un ragionamento inedito sui principali storici e cronisti milanesi'', in G. Ripamonti, ''La peste di Milano del 1630. Libri cinque cavati dagli annali della Città e scritti per ordine dei LX decurioni dal canonico della Scala Giuseppe Ripamonti; volgarizzati per la prima volta dall'originale latino da Francesco Cusani'', Milano, Tipografia Libreria Pirotta, 1841</ref>.
“Il fanciullo, di belle forme, cresceva robusto nell'aria balsamica di que' ridenti colli; e siccome appalesava ingegno precoce e svegliatissimo, fu dai genitori destinato alla carriera ecclesiastica, che allora schiudeva largo campo d'onori anche ai giovani del ceto medio”<ref>Francesco Cusani, ''Da un ragionamento inedito sui principali storici e cronisti milanesi'', in G. Ripamonti, ''La peste di Milano del 1630. Libri cinque cavati dagli annali della Città e scritti per ordine dei LX decurioni dal canonico della Scala Giuseppe Ripamonti; volgarizzati per la prima volta dall'originale latino da Francesco Cusani'', Milano, Tipografia Libreria Pirotta, 1841, p. XXII</ref>.
 
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A quel punto, senza risorse, il giovane seminarista dovette lasciare il convitto e andò ad abitare con un suo compagno, Antonio Giudici di Macconaga, in una camera in affitto vicino al collegio dei Gesuiti di Brera. Lì frequentò il corso di logica, primo anno del dottorato di filosofia destinato ai seminaristi. Dopo, venuto a mancare il sostegno non solo dello zio, ma anche della famiglia, lavorò nella casa di Gian Giacomo Resta come precettore del figlio Francesco. Gian Giacomo Resta era un notabile milanese, funzionario pubblico, ma anche professore di eloquenza nelle scuole palatine; il suo palazzo, che ospitò il Ripamonti per quattro anni, era nel quartiere di Porta Vercellina, vicino alla residenza dei Borromeo.
 
Terminato l'incarico il Ripamonti si trasferì per sei mesi a Novara, come segretario del vescovo [[Carlo Bascapè]], e poi per due anni a Monza, come segretario del dotto arciprete Girolamo Settala. Tornò quindi a Milano richiamato dal cardinale Borromeo per coprire la cattedra di latino nel seminario di Porta Orientale. Il cardinale inoltre lo invitò ad approfondire le lingue orientali (greco, aramaico ed ebraico) e la storia; in seguito gli fece proseguire solo gli studi storici. Il Ripamonti dovette accettare suo malgrado, perché la sua vera passione erano le lingue classiche e la filologia. Diversi commentatori concordano nell'affermare che conosceva il latino, il greco e l'ebraico quasi come lingue materne. Intrattenne anche una breve corrispondenza in [[ebraico]] con il celebre filologo francese [[Isaac Casaubon]].<ref>{{cita libro|citazione=Other letters in Hebrew received by Casaubon include those of Johannes Drusius the younger (BL MS Burney 363, 275 recto) and, more surprisingly, one of the doctors of the Ambrosiana Library and eminent historian of Milan, Giuseppe Ripamonti (BL MS Burney 365, 272 recto).|autore1=[[Anthony Grafton]]|autore2=Joanna Weinberg|titolo=I Have Always Loved the Holy Tongue: Isaac Casaubon, the Jews, and a Forgotten Chapter in Renaissance Scholarship|url=https://archive.org/details/ihavealwaysloved00graf|editore=[[Harvard University Press]]|anno=2011|p=[https://archive.org/details/ihavealwaysloved00graf/page/n245 233]|isbn=9780674058491}}</ref><ref>{{cita|Marco Paolantonio (2015)|citazione=In un carteggio che si fa con certezza risalire a questo periodo, il R. sfoggia tutte le proprie conoscenze d'ebraico stabilendo una relazione epistolare con Isacco Casaubon, noto filologo di quei tempi. [[Enrico Galbiati|Mons. Galbiati]], che ha studiato le lettere superstiti conservate al [[British Museum]], osserva che il futuro storico usa l'ebraico degli eruditi della sua epoca, senza cioè possederne lo spirito, e che incorre in evidenti sviste grammaticali e sintattiche. Lo scambio di lettere, inferisce il Galbiati, fu dettato dal desiderio, giovanilmente ambizioso, di corrispondere personalmente con una celebrità.}}.</ref>
 
NelIl 17 ottobre 1605, all'età di ventotto anni, venne ordinato sacerdote (il 17 ottobre 1605 acquisì il presbiteriato). Il Ripamonti continuòContinuò a dedicare molto tempo e fervore ai suoi studi, tanto da essere rimproverato di scarso impegno nell'esercizio del sacerdozio (anche dagli inquisitori che in seguito lo giudicheranno); la sua erudizione e intelligenza erano comunque note e apprezzate dal cardinale.
[[File:Milano, Porta Orientale 01.jpg|miniatura|destra|Porta Orientale, ora scomparsa, vicino al seminario]]
 
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Il 7 settembre 1607 il cardinale Federico Borromeo nominò il Ripamonti, insieme ad altri otto eruditi, membro del Collegio dei Dottori della nascente [[Biblioteca Ambrosiana]]. Il cardinale concepì la fondazione come un centro di cultura e di formazione, infatti affiancò ad essa altre istituzioni (il Collegio dei Dottori, la Quadreria, detta dopo [[Pinacoteca Ambrosiana]], e l'Accademia di Belle Arti); "...questa biblioteca ambrosiana che Federigo ideò con sì animosa lautezza ed eresse, con tanto dispendio, dai fondamenti..."<ref>Alessandro Manzoni, ''I promessi sposi'', Milano, 1840, cap.XXII</ref> fu arricchita via via da un gran numero di codici greci, latini, volgari e in lingue orientali, che, per la prima volta furono messi anche a disposizione per la consultazione del pubblico.
 
L'apertura al pubblico, l'8 dicembre 1609, fu celebrata con una solenne cerimonia durante la quale fu dato l'incarico formale ai nove Dottori, ciascuno dei quali prendeva l'impegno di interessarsi ad una sola disciplina (il motto della dell'istituzione è infatti tuttora ''singula singuli''), di aggiornare periodicamente il mecenate e la Congregazione dei Conservatori (che aveva compiti amministrativi) sui progressi fatti nello studio e di pubblicare i loro risultati in opere a stampa ogni tre anni per conto della Biblioteca.
[[File:FedericoBorromeo.Cardinal.jpg|miniatura|sinistra|Il cardinale Federico Borromeo]]
Così il biografo di Federico Borromeo, [[Francesco Rivola]] (1570-1675), descrive pieno di emozione la cerimonia di apertura della Biblioteca Ambrosiana e di investitura ufficiale dei Dottori del Collegio, celebrata nella [[Chiesa di San Sepolcro (Milano)|Chiesa di San Sepolcro]] alla presenza delle autorità religiose e civili e del popolo di Milano:
 
«l'anno suddetto 1609, venuto il giorno dedicato alla Immaculata Concezione di Maria Vergine corrente immediatamente dopo quello dell'Ordinatione di Sant'Ambrogio, (nel qual dì a bello studio tirata egli [il Borromeo] havea la solenne cerimonia, affinché, sì come al glorioso nome dell'uno, e dell'altra intendeva di dedicare la Biblioteca, ed il Collegio, così del patrocinio, e protettione d'amendue venissero ugualmente a godere) dopo pranzo accompagnato da molti Signori, e massimamente da giovani, che per Dottori dell'Ambrosiano Collegio dovevano essere proclamati, alla chiesa di San Sepolcro si condusse, ove adunati già si erano per honorar l'attione, il Senato, i Magistrati, i Dottori collegiati, i Primari della Città, fuori per l'angustia, e strettezza del sito, a forza d'alabardieri rimanendosi il popolo, che ondeggiante si vedeva d'ogn'intorno. Quivi nel suo seggio assitosi, e gli altri tutti parimente nel loro preparato luogo postisi a sedere, salì sopra d'un posticcio pergamo Luigi Bosso Calonaco Teologo della metropolitana chiesa, e con gran facondia e soavità di dire aperse a tutti, quali fossero i motivi, che indotto havevavo il Cardinale ad aprir quella gran Biblioteca, ed a fondar in essa il Collegio de' Dottori. Diedesi dappoi di piglio ad una carta, nella quale descritti erano i nomi ed i cognomi di tutti i mentovati suggetti, ed altresì l'argomento dello studio, nel qual ciascuno di loro dovea impiegarsi; e dimandati ad uno ad uno, comparvero tutti l'uno dopo l'altro a'piedi del Cardinale, colà dal Mastro delle cerimonie accompagnati; e nell'atto, che genuflessi dalla mano del Fondatore ricevevano la dottoral'insegna della medaglia d'oro da portarsi da loro appesa al collo ogni qualvolta fuori de'domestici confini in pubblico havevano a comparire, cantaronsi a mano a mano da'musici con soave melodia in laude di ciascun di essi due versi, ed a sedersi nel destinato luogo trionfanti dappoi vennero condotti. [[File:Milano, Chiesa di San Sepolcro 02.jpg|miniatura|destra|Chiesa di San Sepolcro ancora con la facciata antica, a sinistra la Biblioteca Ambrosiana e la statua di Federico Borromeo, eretta nel 1800]]
Questi furono Antonio Olgiato disegnato per primo Bibliotecario, per attender'alla lingua latina, e rinnovar le antiche glorie della Romana eloquenza; Antonio Salmatia per tradurre in latino le più insigni opere de' Greci Autori; Giosefo Ripamonti per consegnar'alla posterità i fatti gloriosi de' passati, e formar'annali; Antonio Giggio per addimesticar gli stranieri idiomi dell'Arabia, e della Persia, e per convertir in latina lingua i Comenti de' più famosi Rabini; Francesco Bernardino Ferrario per investigar l'ecclesiatiche, e profane antichità, e riti; Benedetto Sosago per provocar co' poetici componimenti le Muse di Parnasso; Antonio Rusca, e Francesco Collio per trattar sottilmente le controversie, e le teologiche materie; e Giosefo Visconti finalmente per osservare l'ecclesiatiche antichità..»<ref>Francesco Rivola, ''Vita di Federico Borromeo, cardinale del Titolo di Santa Maria degli Angeli, ed Arcivescovo di Milano, Compilata da Francesco Rivola, sacerdote Milanese, e dedicata da' Conservatori della Biblioteca, e Collegio Ambrosiano Alla Santità di Nostro Sig. Papa Alessandro Settimo'', Milano, Per Dionisio Gariboldi, MDCLVI. p. 401. Disponibile su [https://books.google.it/books?id=QW9zfiC8maEC&printsec=frontcover&dq=francesco+rivola&hl=it&sa=X&redir_esc=y#v=onepage&q=francesco%20rivola&f=false Google Books]. (il testo riportato è stato adattato nell'ortografia)</ref>.
 
=== Il Ripamonti ''famigliare'' del cardinale Federico Borromeo ===
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Entrambi avevano caratteri difficili e orgogliosi. La gratitudine e un deferente rispetto guidò all'inizio il comportamento del Ripamonti al quale corrispondeva la benevolenza del cardinale verso il giovane erudito; egli era però uno spirito indipendente e suscettibile e consapevole del proprio valore di studioso. Il cardinale, mecenate munifico, aveva da parte sua e fin dalla giovinezza grandi ambizioni letterarie; non per nulla i commentatori sono d'accordo nel giudicare la fondazione della Biblioteca Ambrosiana come la sua creatura prediletta. Egli fu grande erudito e prolifico scrittore, ma al suo grande impegno sembra non corrispondesse un'altrettanta perizia e scioltezza nello scrivere in latino. Ciò era noto ai contemporanei<ref>Guido Bentivoglio, ''Memorie, aggiuntevi 58 lettere inedite, tratte dall'Archivio Morbio'', 3 vol., Milano, Daelli, 1864. La prima edizione delle memorie era uscita postuma nel 1648. Il cardinale Bentivoglio (1577-1644), contemporaneo di Ripamonti, affermava che la produzione letteraria di Federico Borromeo non aveva avuto né grande diffusione, né plauso, per il sospetto che le opere latine fossero da attribuire ad altri più che a lui.</ref>. Sembra quindi che il cardinale ritenesse il filologo Ripamonti indispensabile per la traduzione latina dei suoi scritti e che volesse mantenere segreta questa collaborazione<ref>Nell'articolo di Tullio Dandolo su Giuseppe Ripamonti (nella Rivista Contemporanea Nazionale Italiana, vol. LV, anno XVI, Torino, Augusto Federico Negro Editore, 1868, a p. 197) viene riportato il post scriptum di una lettera in italiano, datata 20 ottobre 1620, attribuita al Ripamonti, in cui sono elencati alcuni dei libri del Borromeo, tradotti dall'italiano in latino dal Ripamonti stesso, e pubblicati sotto il nome del cardinale Borromeo: ''De vita perfecta lib. III; De claris nostrorum temporum oratoribus lib. V; De prudentia in creando Pontefice Maximo; Salomon, sive opus regium; Pallas compta, sive de bonarum artium cultu; De vita Catherinae senensis lib. III; De mulierculis estaticis lib. IV; De tribus vitiis superbia, avaritia luxuria, lib. III; Leges vitae spiritualis; De vera sanctitate lib. II; De sacro presbyterio; Epistolae aliquot; Opuscola pleraque; De episcopo concionante''; ecc.</ref>. Lo stesso Borromeo nel trattato ''De exercitatione et labore scribendi'' consigliava ai dotti che si accingevano a comporre le loro opere: "si emendino e si correggano i componimenti vicendevolmente, senza comunque fare di ciò strepito di parole". Il Dandolo e il Cusani attribuiscono a ciò gran parte delle sventure successive del Ripamonti<ref>Tullio Dandolo, ''Storia del pensiero nei tempi moderni. Il secolo decimosettimo. Studii'', Milano, Schiepatti, 1864</ref>.
 
=== La ''storiaStoria della Chiesa di Milano'' ===
[[File:Piazza Duomo di Milano.jpg|miniatura|destra|Il Palazzo Ducale di Milano, sulla sinistra la fabbrica del Duomo]]
Nella primavera del 1617 la biblioteca Ambrosiana completò la stampa, in quarto, della I Decade dell’dell{{'}}''Historiarum Ecclesiae Mediolanensis'', la prima fatica del Ripamonti scritta per incarico del cardinale Borromeo dopo lunghe ricerche di archivio. L’L{{'}}''imprimatur'' alla pubblicazione da parte del [[Sant'Uffizio]], nella persona del frate agostiniano Luigi Bariola e dei rappresentanti del Capitolo e del Senato milanese, non riuscì ad evitare che l'opera destasse critiche e dissapori.
 
Fu detto che l'opera raccontasse eventi poco edificanti di personalità della Chiesa e alludesse a fatti inquietanti del presente raccontando storie e personaggi del passato. Il Ripamonti fu accusato di aver aggiunto queste parti dopo aver ottenuto l’l{{'}}''imprimatur'' delle autorità ecclesiastiche e prima della stampa; egli ammise le correzioni e, a sua difesa, affermò di aver ricevuto verbalmente il permesso di farlo dal padre Luigi Bariola del Sant'Uffizio e che comunque si era attenuto con onestà ai documenti consultati.
 
=== L'arresto ===
[[File:Pedro Alvarez del Toledo y Colonna.PNG|miniatura|sinistra|Ritratto di autore anonimo di Pedro Alvarez del Toledo y Colonna]]
All'inizio del 1618 Giuseppe Ripamonti lasciò inaspettatamente il Palazzopalazzo Arcivescovilearcivescovile e si trasferì nel vicino Palazzopalazzo Ducaleducale (poi diventato [[Palazzopalazzo Reale di Milano]]), passando al servizio di Dondon [[Pedro Álvarez de Toledo y Colonna]], [[governatore di Milano]] e comandante generale di Sua Maestà Cattolica di Spagna nel [[Ducato di Milano]], che gli aveva offerto, oltre la protezione e la commissione di opere di storia, anche 200 ducati d'argento. Gli aveva promesso anche che lo avrebbe portato con sé in Spagna alla fine del suo mandato. Don Pedro, oltre che un politico, era un erudito e collezionista d'arte; conosceva ed aveva apprezzato la ''IstoriarumHistoriarum Ecclesiae Mediolanensis'' del Ripamonti. Inoltre aveva tutto l'interesse a sostenerlo e lusingarlo anche per motivi politici e giurisdizionali di antagonismo con la Chiesa di Milano e per rivalità e rancori personali nei confronti di Federico Borromeo.
 
Il Ripamonti tornò più volte sulla sua decisione di lasciare il cardinale Borromeo; alla fine, nell'estate del 1618, temendo ritorsioni, restituì, tramite un padre cappuccino, i 200 ducati al governatore e mandò l'abate di Chiaravalle a intercedere per lui presso il cardinale, che si trovava nella sua villa di Groppello, vicino a Milano. Lo implorava anche di tenerlo con lui a Groppello per tema a sua volta di ritorsioni da parte del governatore spagnolo.
 
Ma il cardinale non lo volle ricevere e lo fece ospitare nella vicina canonica di [[Vaprio d'Adda|Vaprio]] presso il parroco Melzi. Lì fu arrestato e il giorno dopo trasferito nel carcere del Palazzo Arcivescovile di Milano.
 
Gli inquisitori interrogarono più volte l'imputato; non fu utilizzata la tortura per espresso ordine del cardinale Borromeo.
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Era intenzione del cardinale Borromeo (lettere a monsignor Settala del 28 marzo, e al monsignor Besozzo del 17 aprile e dell'11 maggio 1619, conservate nell'archivio Borromeo) di trattenere in carcere per qualche anno (non quindi in ''carcere perpetuo'') il Ripamonti in modo da non lasciarlo fuggire e indurlo a pentirsi dell'insubordinazione (''emendare'') e poi usargli misericordia e riabilitarlo. Per questo fece in modo di prolungare il più possibile la carcerazione e l'avvio del processo.
 
La Santa Sede e l'Inquisizione di Roma, avrebbero chiesto spiegazioni e avocato a sé il processo. Solo a quel punto avrebbe provveduto a concludere la causa. In questo modo il cardinale pensava di evitare i pericoli di rivelazioni pericolose del Ripamonti: il ''negotio'' fu tenuto in sospeso e per due anni non furono nemmeno notificati i capi d'accusa al prigioniero.
 
Dopo due anni di detenzione, e dopo ripetute richieste della famiglia del Ripamonti e della Santa Sede, il cardinale Borromeo decise di rendere noti i capi di accusa, che si possono leggere nella sentenza del tribunale dell'Inquisizione del 16 agosto 1622, conservata nell'Archivio di Stato di Milano<ref>riportata da Edgardo Franzosini in ''Sotto il nome del cardinale'' Milano, Adelphi, 2013, p. 19 e sgg.</ref>.
 
Il Ripamonti era accusato di una grande varietà di colpe: di aver modificato il libro sulla Storia della Chiesa milanese dopo la revisione del sant'Uffizio, aggiungendo racconti indecorosi su Sant'Agostino, su alcuni prelati e ministri dell'Arcivescovado e del Seminario; di aver aggiunto dei passi sulla vita dell'arcivescovo Costanzo, dove si raccontava della ingiusta cacciata dalla mensa del Preteprete Fortunato, alludendo a quanto di analogo era successo una volta a lui in seminario. Inoltre era accusato di "avere negato con Seneca l'immortalità dell'anima”, di dubitare della santità di Carlo Borromeo e di altri santi, dell'“esistenza de' demonj, e perfino di quella di Dio”; di aver intrattenuto rapporti con persone inquisite dal Sant'Uffizio e esercitanti la magia; di essere fuggito dall'ArcivescovatoArcivescovado; di aver cercato di espatriare in Spagna come storico al servizio di Dondon Pedro di Toledo; di aver letto libri proibiti; “d'aver dato indizi d'insubordinazione e prove d'inadempimento ai suoi doveri sia come Cristiano sia come Sacerdote; e d'avere anche praticato atti di sodomia. Quest'ultima imputazione (CusanoCusani: ''vergognose turpitudini'') fu subito considerata calunnia e non ebbe seguito.
 
=== Le due lettere segrete ritrovate ===
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Havendo il Sr. Cardinale l'animo pien di paura ch'io gli levassi il nome di quinto Padre della Chiesa Latina, il qual nome egli si lascia attribuire da'suoi adulatori, né potendo parlare di questo infelice timore, fece, in iscambio di ciò, dire a S. S. [Sua Santità] che io andrei in paesi di libertà per iscrivere contro la Chiesa; et ai parenti et amici suoi disse che bisognava tenermi prigione acciocché non fossi la rovina della sua casa.
 
Sempre mi hebbe in diffidenza, et sempre mi adoperò in questo maledetto negotio. Et nei tempi della prigionia mi ha fatto scrivere di propria mano ununa aletteralettera nella quale io protestava di non averlo servito in altro che in trascrivere.
Con benefitii et con doni si ha comprato l'animo d'un certo prete Alfieri, et di qualche altro, che siano partecipi et ministri della oppressione: et quegli giurano per tutto ch'io fui semplice copista. È in tal maniera annubilato il lume della ragione in questo Signore circa questo fatto, che pensa di potersi nascondere: manda ogni giorno sotto mano cose da tradurre et mostra di non volermi sentir nominare. Mi fa dettare correttioni delle opere già tradotte, et egli poi di sua mano le scrive nel margine dei libri. Haverebbe per cosa capitalissima solamente il sentire questo termine ‘'tradurre'’; ha in orrore il vocabolo. Non sa egli veramente, né seppe mai, i principii, né cosa alcuna latina né mai apparò le solite regole della grammatica; et discorre delle forme del suo latino stile. e ne ha stampato un libro chiamato da lui et inscritto ‘'meditamenta litteraria'’ col quale pensa d'ingannare il mondo, più che con qualsivoglia altra cosa.
 
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Il Ripamonti fu dichiarato colpevole ma con facoltà dell'arcivescovo e degli altri inquisitori di esercitare clemenza e di alleggerire la pena. Intanto veniva condannato, oltre alle censure ecclesiastiche previste dal Concilio Lateranense (salvo richiesta di assoluzione), a tre anni di reclusione nelle carceri arcivescovili e ad altri due in “luogo pio a scelta dell'arcivescovo” in modo da consentire il pentimento; inoltre alla correzione del testo della “Storia della Chiesa di Milano”, di cui era autore, alla proibizione di pubblicare altre opere senza uno speciale ''imprimatur'' del Sant'Uffizio; infine al digiuno del venerdì per un anno e a recitare il rosario ogni settimana.
 
Il Ripamonti non avrebbe sopportato altri anni di carcere; allora, nonostante fosse debilitato dal carcere, contestò con energia la sentenza e ritenne di doversi appellare a Roma per la revisione del processo. Questa volontà fu decisiva per convincere il cardinale a concedere la grazia, al pensiero che tutto l’l{{'}}''affaire'' sarebbe diventato di dominio pubblico a suo sfavore. Si addivenne ad un accordo con delle condizioni favorevoli per entrambi, che il Ripamonti divenuto più accorto accettò, e che permettevano al Borromeo di mostrare al mondo la propria benignità. Da una parte la carcerazione fu mutata in arresto domiciliare nel palazzo dell'arcivescovo. Dall'altra il Ripamonti si impegnava, con un atto scritto il 29 settembre davanti a notaio e a testimoni, a rinunciare a qualsiasi appello per la revisione del processo al papa o altri superiori, da parte sua o di terzi, e si rimetteva alla pietà del “Monsignor Illustrissimo Cardinale Borromeo Arcivescovo di Milano mio Signore e Padrone”. Si impegnava anche per il futuro, dopo aver riacquistato la libertà, affinché non fosse fatto nessun ricorso al papa o altri superiori né da parte sua, né da parte di suoi parenti e amici, col suo consenso. Non risulta però che il Ripamonti abbia ammesso mai le colpe di cui era accusato; su questo la spuntò.
 
=== La riabilitazione ===
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Il Ripamonti continuò a vivere presso il cardinale Borromeo e a svolgere attività letteraria per conto del protettore. Il suo silenzio e sottomissione fu contraccambiato con la libertà di proseguire la sua attività di studioso e anche di ricevere incarichi dalle autorità civili di Milano (il Senato e il Governatore spagnolo).
 
A conferma della riabilitazione, nel 1625, fu reintegrato nel Collegio dei Dottori dell'Ambrosiana, con un aumento della remunerazione e la dispensa di partecipare alle riunioni periodiche. Sempre nel 1625 Ripamonti poté dare alle stampe la II Decade dell’dell{{'}}''Istoriarum Ecclesiae Mediolanensis'', ultima parte dell'opera.
 
=== Canonico a Santa Maria della Scala ===
[[File:Wenceslas Hollar - Gonzales de Cordoba.jpg|miniatura|destra|Il governatore di Milano GonzalesGonzalo de CordóbaCórdoba amministrò Milano nel periodo della peste]]
[[File:Dal Re, Marc'Antonio (1697-1766) - Vedute di Milano - 71 - S. Maria alla Scala - ca. 1745.jpg|miniatura|sinistra|La chiesa di Santa Maria della Scala in un'incisione settecentesca di Marc'Antonio Dal Re (1697-1766)]]
 
Lo stesso anno fu nominato dal reale di Spagna, su indicazione del Senato milanese e del governatore del Ducato di Milano don [[Gonzalo Fernández de Córdoba (1585-1635)]], canonico della [[chiesa di Santa Maria alla Scala]]<ref>dopo la sua demolizione, voluta da [[Maria Teresa d'Austria]] nel 1776, fu eretto in quel luogo il Teatro alla Scala.</ref>. Il capitolo era composto da venti canonici, appellati ''clero di corte''. La chiesa, eretta dai Visconti, Signori di Milano, nel XIV secolo, era sotto la giurisdizione reale (Bernabò Visconti la elesse a ''[[collegiata]]'' ''di patronato signorile'' e [[Carlo V d’Asburgo]] concesse il titolo di ''Imperiale Saccellum'') e non dell'Arcivescovado di Milano; lo stesso Borromeo, che rivendicava dei diritti, non fu bene accolto durante una sua visita (lettera a monsignor Ormaneto).
 
Nel 1628 fu pubblicata dalla stamperia dell'Ambrosiana la III Decade dell’dell{{'}}''Istoriarum Ecclesiae Mediolanensis''.
 
=== La peste di Milano del 1630 ===
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[[File:Melchiorre Gherardini, Piazza di S. Babila durante la peste del 1630.jpg|miniatura|destra|Acquaforte di Melchiorre Gherardini, Piazza di S. Babila durante la peste del 1630, conservata nella Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia]]
Nel 1638, su indicazione dei due decurioni Giovanni Maria Visconti e Gerolamo Legnani, il Senato milanese incaricò il Ripamonti di raccogliere la documentazione sulla [[peste di Milano]] e sulla storia della città e di compilare quelle che sarebbero state le due opere più importanti dello storico, che saranno poi di ispirazione per il Manzoni. L'incarico prevedeva un anticipo del compenso.
[[File:I promessi sposi 392.jpg|miniatura|sinistra|Il cardinale Federigo soccorre gli appestati, in (''I promessi sposi,'' cap. XXXII)]]
Solo l'anno seguente, nel 1639, arrivò la nomina ufficiale da parte della corte di Spagna alla dignità di ''Real Historico''. La causa in favore di questa nomina del Ripamonti era stata perorata già dal 1634 dal governatore di Milano (e cardinale spagnolo) [[Gil Carrillo de Albornoz]] e dal suo successore don [[Diego Felipe de Guzmán]], marchese di Leganés.
 
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Lo storico e le sue opere (come anche quelle di Federico Borromeo) rimasero praticamente dimenticate fino al 1800, quando furono riscoperte per opera soprattutto di [[Alessandro Manzoni]] e delle ricerche di altri storici (Francesco Cusani, [[Ignazio Cantù]]<ref>[[Ignazio Cantù]], ''Le vicende della Brianza e de'suoi paesi circonvicini'', Milano, Santo Bravetta, 1836-1837, nel capitolo XLI descrive il processo di Giuseppe Ripamonti i cui atti aveva rinvenuto nell'archivio della Famiglia Borromeo</ref>, [[Tullio Dandolo]]<ref>vedi: ''Alcuni brani delle Storie patrie di Giuseppe Ripamonti per la prima volta tradotti dall'originale latino dal conte Tullio Dandolo'', Milano, A. Arzione e C., 1856, e Tullio Dandolo, ''Storia del pensiero nei tempi moderni. Il secolo decimosettimo. Studii'', Milano, Schiepatti, 1864</ref>).
 
Alla scarsa conoscenza delle opere storiche del Ripamonti contribuì probabilmente anche la scelta di scrivere il testo in latino, e non nella lingua italiana corrente (che pure veniva usata nella storiografia dell'epoca soprattutto di autori laici); per di più il latino e lo stile del Ripamonti erano eleganti ma anche molto complessi e difficili, anche per gli eruditi. Scrive il Cusani a p. &nbsp;XXVII dell'introduzione alla Storia della peste: “il racconto è maestoso, energico, pittoresco; la lingua forbita, elegante, chè il Ripamonti conosceva e maneggiava il latino da maestro. Lo stile però si risente del falso gusto del tempo; quindi periodi intralciati, antitesi, arzigogoli, turgidezza di pensieri e d'immagini. I quali difetti rendono assai difficile ad intendersi, anche pei valenti latinisti, codesto libro”.
 
La città di Milano gli ha dedicato una via che è tra le più lunghe della città<ref>Lunga 6,7 km: {{Cita web|url=http://www.carandcity.it/public/post/via-citta-del-messico-in-12-metri-la-piu-lunga-e-ripamonti-67-km-796.asp|titolo=Carandcity|urlmorto=si|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20101010164551/http://www.carandcity.it/public/post/via-citta-del-messico-in-12-metri-la-piu-lunga-e-ripamonti-67-km-796.asp}}</ref> e congiunge ''porta Vigentina'' all'antico borgo rurale di [[Vigentino]].
 
== Opere e traduzioni ==
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|url= https://books.google.it/books?id=2fk-AAAAcAAJ&printsec=frontcover&hl
}}
* {{Cita libro|editore= apud Malatestas, Regios aac Ducales Typographos
|lingua= la
|cognome= Ripamonti
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|url= https://books.google.it/books?id=g2zrmCdYn8QC&printsec=frontcover&hl
}}
* ''Historiarum patriae in continuationem Tristani Calchi libri XXIII, usque ad mortem Federici Card. Borromei'', Milano, 1641-1643.
* ''[[iarchive:alcunibranidell00dandgoog|Alcuni brani delle Storie patrie di Giuseppe Ripamonti per la prima volta tradotti dall'originale latino dal conte Tullio Dandolo]]'', Milano, coi tipi di Antonio Arzione e C., 1856.
* {{Cita libro|editore= Casa del Manzoni
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== Bibliografia ==
* [[Filippo Picinelli]], ''Ateneo dei letterati milanesi'', Milano 1670, pp. &nbsp;370 s.;
* [[Filippo Argelati]], ''Bibliotheca scriptorum Mediolanensium'', II, Mediolani 1745, coll. 1230-1232;
* [[Ignazio Cantù]], ''Le vicende della Brianza e de' paesi circonvicini'', II, Milano 1837, pp. 71-84&nbsp;71–84;
* Francesco Cusani, ''Introduzione. Da un ragionamento inedito sui principali storici e cronisti milanesi'', in Giuseppe Ripamonti, ''La peste di Milano del 1630 libri cinque'', Milano 1841, pp. &nbsp;X-XXXVII;
* [[Tullio Dandolo]], ''Giuseppe Ripamonti'', in ''Rivista contemporanea nazionale italiana'', LV (1868), pp. 28-52&nbsp;28–52, 194-206;
* [[Francesco Cusani]], ''Paolo Moriggia e Giuseppe Ripamonti storici milanesi'', in ''Archivio storico lombardo'', IV (1877), pp. 56-69&nbsp;56–69;
* [[Enrico Galbiati]], ''Lettere del Ripamonti e dell'Olgiati ad Isaac Casaubon'', in ''Studi Storici in memoria di mons. Angelo Mercati'', Milano 1956, pp. 185-194&nbsp;185–194;
* Enrico Galbiati, ''L’orientalistica nei primi decenni di attività'', in ''Storia dell’Ambrosiana. Il Seicento'', Milano 1992, pp. &nbsp;100, 106-108;
* Carlo Marcora, ''Il Collegio dei Dottori e la Congregazione dei Conservatori'', ''ibid.'', pp. 185-217&nbsp;185–217 ''passim'';
* {{cita pubblicazione|pubblicazione= Studia Borromaica
|cognome= Buzzi
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|volume= XIX
|pp= 208, 211 s.
|sbn= IT\ICCU\UBO\4106353UBO4106353
}}
* {{cita libro|editore= [[Adelphi]]
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{{Controllo di autorità}}
{{Portale|biografie|cattolicesimo|storia|Milano}}
 
[[Categoria:Latinisti italiani]]
[[Categoria:Scrittori in lingua latina]]
[[Categoria:Storiografi della città]]