Matteo I Visconti: differenze tra le versioni
Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
m smistamento lavoro sporco e fix vari |
m →I primi anni: correzione |
||
(27 versioni intermedie di 15 utenti non mostrate) | |||
Riga 1:
{{
{{Monarca
|nome = Matteo I Visconti
|immagine = Matteo I Visconti.jpg
|legenda = Incisione postuma di Matteo I
|stemma = Arms of the House of Visconti (1277).svg
|titolo = [[Governanti di Milano#Visconti (1277–1447)|Signore di Milano]]
|sottotitolo =
|regno = * [[1287]] –<br />giugno [[1302]] (I)
* febbraio [[1311]] –<br />24 giugno [[1322]] (II) |predecessore = * [[Ottone Visconti]] (I)
* |erede =
|successore = * [[Guido della Torre]] (I)
* [[Galeazzo I Visconti]] (II) |nome completo =
|altrititoli = [[Capitano del popolo|Capitano]] di [[Alessandria]]<br />[[Capitano del popolo|Capitano]] di [[Como]]<br />[[Capitano del popolo|Capitano]] del [[Monferrato]]<br />[[Capitano del popolo|Capitano]] di [[Novara]]<br />[[Capitano del popolo|Capitano]] di [[Vercelli]]<br/>[[Vicario imperiale]] della [[Lombardia]]
|data di nascita = 15 agosto [[1250]]
|luogo di nascita = [[Invorio]]
|data di morte =
|luogo di morte = [[Crescenzago]]
|sepoltura =
Riga 21 ⟶ 24:
|dinastia = [[Visconti]]
|padre = [[Teobaldo (o Tibaldo) Visconti|Teobaldo Visconti]]
|madre = Anastasia
|consorte = [[Bonacossa Borri]]
|figli = <small>'''da Bonacossa Borri:'''</small><br />Floramonda<br/>[[Galeazzo I Visconti|Galeazzo]]<br/>Beatrice<br/>[[Caterina Visconti (1282-1311)|Caterina]]<br/>[[Luchino Visconti (signore di Milano)|Luchino]]<br/>[[Stefano Visconti|Stefano]]<br/>[[Marco I Visconti|Marco]]<br/>[[Giovanni Visconti (arcivescovo)|Giovanni]]<br/>Zaccarina<br/>Agnese<br/>Achilla<br/><small>'''da un'amante sconosciuta:'''</small><br />Antonio
}}
{{militare
Riga 72 ⟶ 75:
|GiornoMeseMorte = 24 giugno
|AnnoMorte = 1322
|
|Epoca2 = 1300
|Attività = nobile
|Nazionalità =
|Categorie = no
Riga 88 ⟶ 93:
Nel 1287 Matteo intervenne quale arbitro tra i ribelli [[camuni]] guidati dalla [[Federici (famiglia)|famiglia Federici]] e il comune di [[Brescia]] del vescovo [[Berardo Maggi]].
Nel dicembre [[1287]], quando Matteo aveva 37 anni, il prozio [[Ottone Visconti|Ottone]] lo fece nominare Capitano del Popolo
Nel maggio 1288 [[Rodolfo I]] lo nominò vicario generale per la [[Lombardia]]. Nel [[1290]] tornò a ricoprire per un anno la carica di Capitano del Popolo ed ebbe persino la facoltà di confermare o deporre il podestà in carica.<ref>Corio, ''Storia di Milano'', vol. I, pp. 635-640</ref>
=== La guerra contro Guglielmo VII del Monferrato ===
Nel maggio del 1289 scoppiarono dissidi tra il governatore [[
Il 29 giugno alcuni uomini al soldo del Visconti fecero prigioniero e torturarono un certo [[Lanfranco Motta]] che confessò di congiurare con [[Bonifacio Pusterla]] che era l'abate di [[chiesa di San Celso (Milano)|San Celso]] e con il marchese del Monferrato. L'abate al momento dovuto avrebbe fatto trovare aperta [[Porta Ticinese (medievale)|Porta Ticinese]] in cambio del versamento di 4.000 lire di terzoli all'anno nonché della nomina a capitano del popolo e di altre 66.000 lire una volta che il marchese fosse tornato signore di Milano, ambizione alla quale non aveva mai rinunciato dopo esservi stato cacciato da [[Ottone Visconti]]; avrebbe inoltre troncato i rapporti con i Torriani. Bonifacio Pusterla fu confinato prima a [[Lodi]] poi a [[Brescia]], infine, dopo essere stato graziato dal Visconti, tornò a Milano il 28 aprile. A luglio [[Baldovino degli Ugoni]], podestà bresciano di Milano, tentò inutilmente di attaccare Pavia approfittando del fatto che il marchese di Monferrato si trovava a [[Novara]], città che lo aveva appena eletto suo signore. In seguito Manfredo Beccaria uscì da Pavia per parlamentare con [[Uberto Beccaria]] e [[Ruggero Catassio]] nei pressi di [[Corbetta]] e decise infine di rifugiarsi a Milano abbandonando il marchese; questo provocò la reazione dei pavesi che cacciarono i [[Beccaria]] e i loro alleati dalla città. Si misero inoltre ad assediare [[Arena Po|Monteacuto]], che apparteneva a quella famiglia ma ne vennero scacciati dai piacentini. Nell'autunno dello stesso anno Matteo Visconti, dopo aver radunato un esercito, si portò a [[Lacchiarella]] poi fin sotto le mura di Pavia tuttavia la porta che sarebbe dovuta essere aperta a Manfredo Beccaria rimase chiusa condannando l'impresa al fallimento. Successivamente il marchese del Monferrato entrò a Pavia ponendovi una guarnigione di mille fanti e duecento cavalieri.<ref>Corio, ''Storia di Milano'', vol. I, pp. 640-646</ref>
Il 15 maggio [[1290]] il podestà Baldovino degli Ugoni attaccò il novarese passando per il ponte di [[Abbiategrasso|Castelletto]] riuscendo a catturare Borgonuovo in cui pose una piccola guarnigione per poi
Il 26 agosto il marchese del Monferrato radunò un esercito, uscì da Pavia insieme ad [[Erecco della Torre|Erecco]] e [[Corrado della Torre|Mosca Della Torre]] e si accampò a [[Morimondo]] e qualche giorno dopo quello milanese gli si fece incontro accampandosi a Gozzano ma il 5 settembre entrambi tornarono nelle rispettive città. Il marchese tornò poi ad attaccare Asti che si preparò a difendersi eleggendo il milanese [[Ottorino Mandelli]] quale podestà, radunando 500 cavalieri e chiedendo aiuto agli alleati milanesi, piacentini, cremonesi e bresciani che inviarono mille cavalieri ciascuno, più altri cinquecento del conte di Savoia. Gli astigiani invasero il [[Monferrato]] devastandolo, costringendo infine il marchese a trovare un accordo con il Savoia. Infine si accordarono con gli alessandrini per muovere guerra a Guglielmo VII che recatosi ad [[Alessandria]] per reprimere il traditori venne catturato e imprigionato in una gabbia di ferro dove morì il 6 febbraio 1292. L'uscita di scena di Guglielmo VII permise ai milanesi di guadagnare [[Vigevano]] e [[Mortara]], [[Novara]] e [[Vercelli]] riconobbero Matteo quale proprio capitano per cinque anni e migliorarono i rapporti con gli alessandrini e i tortonesi.<ref>Corio, ''Storia di Milano'', vol. I, pp. 646-650</ref>
Nei primi giorni del [[1292]] morì Lotario Rusca che reggeva Como e i Vitani ne approfittarono per impadronirsi di Vico, sobborgo della città. Matteo Visconti non perse tempo e marciò su Como passando per Cantù riuscendo a convincere entrambe le fazioni della città ad eleggerlo capitano del popolo per cinque anni, nominando quale nuovo podestà suo cognato [[Ottorino Borri]] e reinstallando il vescovo in esilio a [[Legnano]]. Il 23 giugno ci fu una nuova sollevazione che portò all'espulsione dei Rusca e di Ottorino Borri. Il 17 luglio Matteo Visconti permise ai comaschi di eleggere Francesco da Carcano quale nuovo podestà. In novembre, in seguito a nuovi disordini, il Visconti marciò con l'esercito a Como e impose quale podestà il fratello Uberto e si fece riconfermare capitano del popolo.▼
▲Nei primi giorni del [[1292]] morì Lotario Rusca che reggeva Como e i Vitani ne approfittarono per impadronirsi di Vico, sobborgo della città. Matteo Visconti non perse tempo e marciò su Como passando per Cantù riuscendo a convincere entrambe le fazioni della città ad eleggerlo capitano del popolo per cinque anni, nominando quale nuovo podestà suo cognato [[Ottorino Borri]] e reinstallando il vescovo in esilio a [[Legnano]]
Il 5 maggio, approfittando della morte di Guglielmo VII e del fatto che il legittimo erede Giovanni si trovasse alla corte del re di Napoli, Matteo ordinò che si radunasse l'esercito e vi mise a capo il podestà Antonio Gallizi. I milanesi marciarono su [[Bernate Ticino|Bernate]] e il giorno seguente Matteo si unì all'esercito a Corbetta; l'esercito passò quindi da Novara e da Vercelli assediando [[Trino]] che cadde il 20 maggio; caddero poi [[Pontestura]] e [[Moncalvo]]. Fu quindi ricevuto a [[Casale Monferrato|Casale]] dove lo nominarono capitano di tutto il Monferrato. Alcuni castelli non lo riconobbero tale restando fedeli agli [[Aleramici]] cercando una pace che fu rifiutata dal Visconti. Matteo passò poi da Alessandria che lo nominò capitano del popolo per cinque anni poi tornò a Milano. Il 15 maggio 1293 alcuni ambasciatori monferrini giunsero a Milano, confermarono il titolo accordato al Visconti e stabilirono una pace per cui il signore di Milano avrebbe potuto nominare un vicario del Monferrato, Giovanni avrebbe rinunciato ad ogni pretesa su Milano in cambio della protezione viscontea.▼
Il 23 giugno ci fu una nuova sollevazione che portò all'espulsione dei Rusca e di Ottorino Borri. Il 17 luglio Matteo Visconti permise ai comaschi di eleggere Francesco da Carcano quale nuovo podestà. In novembre, in seguito a nuovi disordini, il Visconti marciò con l'esercito a Como e impose quale podestà il fratello Uberto e si fece riconfermare capitano del popolo.
▲Il 5 maggio, approfittando della morte di Guglielmo VII e del fatto che il legittimo erede Giovanni si trovasse alla corte del re di Napoli, Matteo ordinò che si radunasse l'esercito e vi mise a capo il podestà Antonio Gallizi. I milanesi marciarono su [[Bernate Ticino|Bernate]] e il giorno seguente Matteo si unì all'esercito a Corbetta; l'esercito passò quindi da Novara e da Vercelli assediando [[Trino]] che cadde il 20 maggio; caddero poi [[Pontestura]] e [[Moncalvo]]. Fu quindi ricevuto a [[Casale Monferrato|Casale]] dove lo nominarono capitano di tutto il Monferrato. Alcuni castelli non lo riconobbero tale restando fedeli agli [[Aleramici]] cercando una pace che fu rifiutata dal Visconti. Matteo passò poi da Alessandria che lo nominò capitano del popolo per cinque anni poi tornò a Milano. Il 15 maggio 1293 alcuni ambasciatori monferrini giunsero a Milano, confermarono il titolo accordato al Visconti e stabilirono una pace per cui il signore di Milano avrebbe potuto nominare un vicario del Monferrato, Giovanni avrebbe rinunciato ad ogni pretesa su Milano in cambio della protezione viscontea.<ref>Giulini, ''Memorie'', vol. IV, pp. 748-749 e 752</ref>
=== Operazioni militari contro Lodi e Lecco ===
Nell'aprile del [[1294]] giunse una legazione da parte di [[Adolfo di Nassau]]. Il sovrano creava Matteo Visconti quale vicario imperiale in Lombardia e l'anno seguente confermava i privilegi concessi alla città. Matteo inizialmente finse di rifiutare il titolo volendo che fossero le istituzioni comunali ad affidargli la carica e solo dopo prestò giuramento, aggiungendo l'aquila imperiale al suo blasone. Riuscì inoltre a farsi nominare capitano del popolo per un altro quinquennio.<ref>Giulini, ''Memorie'', vol. IV, pp. 753-754</ref>
Lo stesso anno le città di [[Lodi]] e di [[Crema (Italia)|Crema]], che mal sopportavano le ambizioni espansionistiche di Matteo Visconti, congiurarono segretamente per introdurre entro le loro mura i [[Della Torre|Torriani]] e farli tornare signori di Milano. Matteo convocò un consiglio generale delle città suddite e alleate a Milano ovvero Brescia, Pavia, Cremona, Piacenza, Tortona, Novara, Casale, Vercelli, Alessandria, Asti e Genova. Fu deliberato di muovere guerra ai lodigiani e ai cremaschi. Il 1º settembre il podestà [[Zanasio Salimbene]] uscì dalla città con l'esercito portandosi a [[Melegnano]] dove fu raggiunto il giorno dopo da Matteo con il resto delle truppe. I milanesi passarono la [[Muzza]] presso l'Isola Balbiana entrando nel territorio lodigiano che devastarono e misero a sacco. Il 25 settembre i lodigiani si vendicarono facendo lo stesso nella campagna milanese ma furono intercettati e sconfitti presso [[Pantigliate]]. Circa duecento di loro restarono prigionieri e furono condotti nei [[castello di Trezzo sull'Adda|castelli di Trezzo]] e [[Siziano]], tra questi [[Imberaldo della Torre]].
Il 1º giugno [[1295]] il podestà Enrico Tangentino da Brescia uscì da Milano con un grande esercito di circa 33.000 uomini costituito da un'avanguardia di 600 arcieri e balestrieri, seguita da alcune centinaia di cavalieri scelti, da 4.000 fanti, da circa 25.000 uomini reclutati tra i cittadini, da un migliaio di uomini delle città alleate e infine da una retroguardia di 2.000 lancieri. Una settimana dopo si accampò presso [[Viboldone]]; Matteo lo raggiunse a [[Lodi Vecchio]] che allora si trovava in mano ai milanesi i quali l'avevano fortificata. Il 18 giugno i milanesi posero l'assedio a [[San Colombano al Lambro|San Colombano]] e i lodigiani a [[Castelleone]], i primi poi lo abbandonarono improvvisamente per accamparsi il 24 giugno ad un miglio e mezzo dalle mura di Lodi di cui saccheggiarono i borghi. I lodigiani rimasero a difesa delle mura e stabilirono apparentemente condizioni ragionevoli dal momento che l'esercito visconteo si ritirò prima a [[Lavagna (Comazzo)|Lavagna]] poi il 29 giugno partì alla volta di Milano.
L'8 agosto morì alla veneranda età di ottantotto anni [[Ottone Visconti]], primo signore di Milano della sua dinastia; fu sepolto in un'arca in marmo rosso macchiato in seguito traslata nel [[Duomo di Milano|Duomo]] dove si trova ancora oggi.
L'11 settembre fu pubblicata la pace tra la signoria di Milano e Lodi che includeva l'espulsione dei Torriani dalla città. Il 21 ottobre Bonifacio VIII nominò quale nuovo arcivescovo di Milano il lucchese [[Ruffino da Frisseto]], togliendo il privilegio concesso agli ordinari milanesi di eleggere il successore. Il conseguente malcontento ritardò l'installazione di Ruffino in città sino a novembre. Il 21 luglio 1296 l'arcivescovo morì e al suo posto venne scelto dal pontefice il parmigiano [[Francesco I da Parma|Francesco Fontana]].<ref>Giulini, ''Memorie'', vol. IV, pp. 753-755, 761-766 e 771-777</ref>
Nel luglio del 1296 il podestà Zanasio Salimbene si portò a [[Merate]] dove iniziò a reclutare un nuovo esercito. Giunto presso le mura di [[Lecco]] si fece consegnare centocinquanta ostaggi e costrinse gli abitanti a trasferirsi a [[Valmadrera]], poi incendiò la città con l'eccezione della rocca. Fu quindi emanata una legge che ne vietò la riedificazione. Non è chiaro per quale motivo la cittadina fu sottoposta a un così pesante castigo ma è probabile che si fosse alleata ai Torriani che avevano quale feudo la vicina [[Valsassina]]; in questo modo l'[[Adda]] avrebbe separato i territori soggette alle due famiglie rivali e i Visconti avrebbero avuto un avamposto (la rocca di Lecco) in terra torriana.<ref>Giulini, ''Memorie'', vol. IV, pp. 777-778</ref>
Riga 111 ⟶ 131:
=== La campagna contro Giovanni I del Monferrato e alleati ===
Nel [[1298]] [[Giovanni I del Monferrato]], dopo aver sondato la disposizione delle città vicine verso il Visconti, concluse segretamente una lega con [[Pavia]], Cremona, Bergamo, Tortona, Vercelli, Casale, con il marchese [[Manfredo IV di Saluzzo]], [[Azzo VIII d'Este]] duca di Ferrara e con alcuni novaresi. Matteo verosimilmente lo venne a sapere e si assicurò l'appoggio dei [[Della Scala]] maritando sua figlia [[Caterina Visconti (1282-1311)|Caterina]] con [[Alboino della Scala|Alboino]], figlio di [[Alberto I della Scala]], sedò i dissidi in [[Parma]] e poté contare sull'appoggio di [[Bologna]] dove sia il podestà Ottorino Mandelli che il capitano del popolo Jacopo Pirovano erano milanesi. Inviò inoltre a Novara il figlio ventenne [[Galeazzo I Visconti|Galeazzo]] in qualità di podestà.
Il 18 marzo [[1299]] Manfredo Beccaria e i suoi alleati mossero su [[Mortara]] dove furono raggiunti da Giovanni del Monferrato, Filippo conte di Langosco e dai saluzzesi. Quando giunsero a Novara gli fu aperta una delle porte e in questo modo riuscirono a prendere il controllo della città mentre il castello cadde alcuni giorni dopo. Galeazzo Visconti riuscì a fuggire a Corbetta. L'esercito anti-visconteo attraversò il Ticino saccheggiando la campagna ad ovest di Milano per poi ritirarsi distruggendo il ponte di Bernate. Il podestà [[Bisaccia Riccardi]] rinforzò le difese del ponte di Abbiategrasso e aumentò la guarnigione di [[Vigevano]].
Quando Casale cadde nelle mani del marchese di Monferrato, Matteo Visconti convocò il consiglio generale scagliandosi contro il tradimento di alcune città. Il consiglio dopo essersi consultato lo rielesse capitano del popolo per un altro quinquennio. Il Visconti da una parte avviò trattative di pace con i suoi nemici, dall'altra si preparò ad una nuova campagna militare. Furono scelti 300 uomini (cinquanta per porta) ed armati con lunghe lance dette ''manere'' e protetti da pancere e cappelli di ferro, poi altri 2.400 quattrocento uomini (quattrocento per porta) armati allo stesso modo, 3.000 lancieri e 1.000 cavalieri piacentini, 200 parmigiani e altrettanti bolognesi, 150 fanti e 50 balestrieri veronesi, più mercenari esteri stipendiati dal comune. I nemici non agirono diversamente e il 1º maggio convocarono un consiglio a Pavia in cui intervennero tutte le città alleate rinnovando la lega anti-viscontea. Il 9 maggio l'esercito milanese si accampò tra Rosate e Abbiategrasso e qui furono distribuite diciassette bandiere per porta.
Il giorno successivo Matteo e Galeazzo Visconti insieme a Zanasio Salimbene effettuarono una scorreria sino alle mura per poi ingiuriare i pavesi affinché uscissero dalle mura ma questi non risposero alle provocazioni. Il 12 maggio l'esercito forte di 10.000 fanti e 4.000 cavalieri, guidato da Pietro e Galeazzo Visconti, attraversò il Ticino assaltando e dando fuoco a Mortara per poi saccheggiarne le campagne. I novaresi e i vercellesi risposero portandosi a [[Borgolavezzaro]] e i pavesi a [[Garlasco]] poi il 20 maggio si accamparono davanti a Vigevano, dove furono raggiunti dai monferrini e dai saluzzesi.
Il 28 maggio i milanesi ritornarono ad Ozzero dove furono rinforzati da 500 comaschi e 150 parmigiani, poi il 2 giugno passarono nuovamente il Ticino costringendo il nemico a ritirarsi a Garlasco. I Visconti riuscirono a catturare e distruggere [[Gambolò]] facendo fuggire novaresi, vercellesi e pavesi per poi assaltare il 5 giugno Garlasco la cui guarnigione si difese valorosamente, respingendoli.
Il 6 giugno fu raggiunto un trattato di pace tra le due parti perché i ferraresi nel frattempo erano entrati nella [[Gera d'Adda]] con 4.000 fanti e 700 cavalli ottenendo Crema da Enrico da Monza e si erano accampati [[Corte Palasio]] e minacciando i territori viscontei da oriente. I bergamaschi avevano raggiunto [[Osio Sotto]] e i cremonesi si erano portati sulla sponda orientale dell'Adda presso [[Cassano d'Adda|Cassano]]. Il 7 giugno l'esercito visconteo si ritirò tornando a Milano. Il 12 giugno Bisaccia Riccardi mosse rapidamente verso Cassano facendo fuggire disordinatamente i cremonesi a Crema e lo stesso giorno giunse a Milano il marchese [[Moroello Malaspina]] che fu nominato capitano generale dell'esercito visconteo. Il giorno successivo il Riccardi passò l'Adda e i cremaschi e i ferraresi avviarono trattative di pace che si conclusero con la loro pubblicazione il 20 giugno.
In luglio Matteo Visconti si dimostrò un saggio mediatore per la pace tra genovesi e veneziani e questi ultimi lo aiutarono stabilendo una nuova pace tra milanesi da una parte e pavesi ed alleati dall'altra; rimasto senza alleati, Giovanni del Monferrato sancì una pace con i milanesi il 4 settembre.<ref>Giulini, ''Memorie'', vol. IV, pp. 786-795</ref>
=== Nuovi disordini a Pavia, Bergamo, Novara e Vercelli ===
Dopo pochi mesi di pace, a Novara furono cacciati i Tornielli che chiesero aiuto al Visconti. Il 16 settembre Matteo raccolse nuovamente l'esercito e insieme al figlio Galeazzo si portò prima a Novara poi a Vercelli passando per Abbiategrasso e Vigevano. Le due città non si opposero ed egli nominò quale loro podestà Trinzano Cavazio e Florio da Castelletto. Il 27 settembre l'esercito visconteo tornò a Milano. Poco dopo i lodigiani catturarono San Colombano cacciando il castellano Jacopo Landriani.
Nel frattempo a Pavia montarono i dissidi tra Manfredo Beccaria e Filippo di Langosco, che venne espulso dalla città a Lomello e si disse disposto a mettersi al soldo dei milanesi. Alla fine entrambi scelsero Matteo Visconti quale arbitro. L'11 maggio [[1300]] richiese loro venti ostaggi ciascuno e dopo averli riappacificati nominò quali podestà e capitano del popolo della città il cognato [[Ottorino Borri]] e [[Gaspare da Garbagnate]]. Il Langosco chiese poi il permesso al Visconti di entrare a Pavia con 900 soldati e non appena gli fu concesso ricominciarono gli scontri con il Beccaria che ebbero la peggio e vennero espulsi, appellandosi ancora una volta al signore di Milano. Matteo Visconti ordinò ad entrambi i contendenti di ritornare in città e riappacificarsi ma i Beccaria, avendo forze inferiori, non osarono e così persero il controllo su Pavia. Lo stesso mese il Visconti strinse nuove alleanze promettendo la figlia [[Zaccarina Visconti|Zaccarina]] in sposa al conte di Langosco e soprattutto il figlio Galeazzo a [[Beatrice d'Este (1268-1334)|Beatrice d'Este]], figlia di [[Obizzo II d'Este|Obizzo II]]. Le nozze si celebrarono a [[Modena]], seguirono grandi festeggiamenti a Milano. In dicembre il consiglio generale, per volere dello stesso Matteo, gli affiancò il figlio Galeazzo quale capitano del popolo.
Nel [[1301]] Giovanni del Monferrato tornò a sobillare le divisioni interne tra i novaresi alleandosi con i Brusati e i Cavallazzi a danno dei Tornielli, e i vercellesi, alleandosi con gli Avogadro a danno dei Tizzoni che furono cacciati dalla città. Il 29 maggio i Suardi e i Colleoni invitarono Matteo a prendere possesso di [[Bergamo]]. Il signore di Milano inviò un piccolo esercito guidato dal figlio Galeazzo che, attraversato l'Adda a [[Vaprio d'Adda|Vaprio]], si portò presso Bergamo le cui famiglie dei Bongi e dei Rivoli, avverse ai Visconti, non opposero resistenza. Matteo fu dichiarato capitano del popolo per un quinquennio e quale podestà venne installato Jacopo Pirovano. In luglio i Bongi e i Rivoli, insieme agli alleati lodigiani, cremaschi e cremonesi cercarono di riprendere il controllo della città, fallendo. Galeazzo passò poi nel novarese dove catturò [[Varallo Pombia]], [[Oleggio]] e [[Galliate]].<ref>Giulini, ''Memorie'', vol. IV, pp. 795 e 798-805</ref>▼
Nel [[1301]] Giovanni del Monferrato tornò a sobillare le divisioni interne tra i novaresi alleandosi con i Brusati e i Cavallazzi a danno dei Tornielli, e i vercellesi, alleandosi con gli Avogadro a danno dei Tizzoni che furono cacciati dalla città.
▲
La promessa di matrimonio tra Zaccarina Visconti e Filippo conte di Langosco non si concretizzò mai. Matteo infatti decise di far sposare la figlia a Ottorino Rusca di [[Como]]. Filippo Langosco si infuriò e chiamò ancora una volta a raccolta contro il Visconti i pavesi, novaresi, vercellesi, lodigiani, cremaschi e cremonesi si accampò a Garlasco con un esercito di 3.000 fanti e 1.000 cavalieri mentre Galeazzo si portò alla difesa di Vigevano poi, senza dare battaglia, tornò a Milano. In novembre padre Matteo, contrariato, intervenne di persona con 2.500 fanti comaschi e 500 cavalieri, devastò la [[Lomellina]] e catturò Lomello. Infine prese Garlasco ma non il castello a causa della mancanza di macchine d'assedio, della sua nutrita guarnigione e della stagione invernale ormai alle porte.<ref>Giulini, ''Memorie'', vol. IV, pp. 795 e 806-807</ref>
Riga 125 ⟶ 159:
Alla fine di marzo del 1302 i Torriani erano entrati di nuovo a Cremona e poco tempo Mosca, Errecco e Martino giunsero sino a Lodi. Iniziarono poi a stabilire un'alleanza con tutte le città anti-viscontee ovvero, oltre a Cremona e Lodi, Crema, Pavia, Novara, Vercelli e il Monferrato. Capo della nuova congiura era però il piacentino [[Alberto Scotti]]. Matteo ebbe qualche sentore della congiura e il 7 giugno inviò Galeazzo a [[Bisentrate]] per catturare [[Pietro Visconti]], fratello di Ottone e quindi cugino del signore di Milano. Pietro fu fatto prigioniero, condotto a Milano e poi rinchiuso nel castello di Siziano insieme ad [[Oliverio della Torre]]. La moglie di Pietro, Antiochia Crivelli, chiese aiuto al genero [[Corrado Rusca]] di Como affinché sostenesse la lega anti-viscontea e insieme ad esso riuscì a radunare un esercito di diecimila uomini reclutandolo nel [[Seprio]] dove il marito aveva grande autorità. Tra i congiurati vi era anche [[Landolfo Borri]], cognato di Matteo e [[Albertone Visconti]], suo parente.
Nel frattempo il 2 giugno Alberto Scotti era giunto a Lodi e dopo aver preso il comando dell'esercito l'8 si era portato a [[Lavagna (Comazzo)|Lavagna]]. Matteo aveva invece raccolto un esercito dal contado di Milano e dal lecchese, nonché composto dagli esuli delle città rivali. Dopo aver lasciato Galeazzo e Uberto insieme ad altri soldati alla difesa di Milano, nella quale stavano scoppiando rivolte, uscì dalla città e pose il campo prima a [[Pioltello]] e il giorno successivo a [[Melzo]]. Milano però era ormai in rivolta e Galeazzo riusciva a malapena a difendersi. Privo degli approvvigionamenti provenienti dalla città e in seguito alla defezione di [[Monza]], Matteo fu costretto a scendere a trattative con i suoi nemici. I Torriani stabilirono che i Visconti avrebbero dovuto rinunciare alle loro pretese su Milano, avrebbero dovuto restituirgli i beni ancora esistenti e ripagassero quelli andati distrutti, infine gli esuli milanesi sarebbero dovuti tornare in città. Il 13 o 14 giugno Matteo accettò le condizioni in un congresso a cui parteciparono i principali esponenti di entrambe le fazioni, licenziò l'esercito, consegnò il bastone del comando ad Alberto Scotti e si ritirò nel castello di San Colombano. Il figlio Galeazzo uscì da [[Porta Romana (medievale, Milano)|Porta Romana]] alla testa di 2.000 uomini mentre i palazzi dei Visconti venivano saccheggiati dal popolo; si ritirò dapprima a San Colombano dal padre poi a [[Ferrara]] dal cognato. [[Bonacossa Borri]], moglie di Matteo, si rifugiò dapprima nelle case di alcuni suoi fedeli e poi nel convento di Santa Maria della Vettabbia (o Vecchiabbia) mentre Beatrice d'Este, incinta, fuggì prima Bergamo poi dal padre a Ferrara. Qui il 7 dicembre 1302 partorì il figlio [[Azzone Visconti|Azzone]], che sarebbe diventato in seguito signore di Milano. [[Marco I Visconti|Marco]], [[Luchino Visconti (signore di Milano)|Luchino]], [[Giovanni Visconti (arcivescovo)|Giovanni]] e [[Stefano Visconti|Stefano]], figli maschi di Matteo, si rifugiarono nel [[basilica di Sant'Eustorgio|monastero di Sant'Eustorgio]].
Riga 131 ⟶ 166:
=== Ripetuti tentativi di Matteo per riprendere il potere ===
L'8 ottobre [[Leone Lambertenghi]], arcivescovo di Como e capo della fazione dei Vitani, si impadronì della città, cacciando i Rusca. Negli scontri morì Corrado Rusca. Gli esuli comaschi chiesero il supporto di Matteo Visconti per riprendere la città in cambio del loro appoggio nella riconquista della signoria di Milano. Il Visconti passò i mesi successivi a reclutare un nuovo esercito e l'8 maggio [[1303]] comparve davanti alle mura di [[Bellinzona]] alla testa di 4.000 fanti e 300 cavalieri poi il 29 giunse a [[Varese]] dove aveva molti alleati, quindi il giorno successivo catturò Vico e Torre, sobborghi di Como. La città era controllata da Martino della Torre, figlio di Cassono, che impedì agli abitanti di uscire dalle porte attendendo l'arrivo di rinforzi. I Torriani, allarmati dalle mosse dell'avversario, rinforzarono la guardia cittadina di Milano, poi radunarono un esercito con in testa il nuovo signore [[Guido della Torre]] e il podestà [[Fissiraga da Lodi]] che riuscì a infliggere una pesante sconfitta al Visconti, facendo strage dei suoi uomini e catturandone mille. Matteo riuscì a malapena a fuggire rifugiandosi a Piacenza dove fu accolto da Alberto Scotti che qualche mese prima era stato tra i principali fautori della sua caduta. Lo Scotti, irritato per il trattamento subito dai Torriani, fece valere la sua influenza per inimicargli oltre alla sua Piacenza, le città di Tortona e Alessandria e riuscì a far entrare nell'alleanza anche Parma, Mantova e Verona più gli esuli di altre città e un corpo di mercenari stranieri. Il 18 settembre Matteo condusse fuori da Piacenza un esercito di 6.000 fanti e 800 cavalieri con cui passo il [[Po]] e si accampò ad [[Orio Litta]] attendendo un secondo esercito guidato dallo Scotti che non arrivò mai. I Torriani raccolsero a loro volta un esercito diverse migliaia di uomini che costrinse Matteo ad abbandonare i suoi propositi.
Nel [[1304]] Matteo appoggiò i Suardi, appena scacciati da Bergamo, per cercare di riprendere la città, appoggiato dai bresciani. Il 21 agosto i Torriani e il podestà [[Federico Ponzoni]] raggiunsero con un esercito [[Crescenzago]] quindi Cassano e [[Cologno al Serio]] per poi scacciare il Visconti dalla bergamasca il 2 settembre.
Nell'agosto del [[1307]] i bresciani e i veronesi crearono un diversivo avvicinandosi a Bergamo per dare la possibilità a Matteo di assaltare il ponte di [[Vaprio d'Adda|Vaprio]] alla testa di 1.500 fanti e 800 cavalieri. Il ponte era però ben presidiato e oppose una strenua resistenza fino all'arrivo il 18 agosto dell'esercito torriano che lo spinse a ritirarsi nel bresciano. Dopo i molti falliti tentativi di riprendere il potere Matteo si ritirò a [[Nogarola (Motteggiana)|Motteggiana)]] ospite degli [[Scaligeri]] in attesa di tempi più propizi.<ref>Giulini, ''Memorie'', vol. IV, pp. 817-821, 826-827, 833</ref>
=== La discesa in Italia di Enrico VII di Lussemburgo ===
Nel [[1309]] montarono i dissidi tra Guido della Torre, signore di Milano e il cugino [[Cassono della Torre]], arcivescovo della città poiché il primo accusava il secondo
Nel [[1310]] Enrico decise di recarsi a Milano per farsi incoronare [[Re d'Italia]] e poi di procedere a [[Roma]] per essere incoronato imperatore da papa [[Clemente V]]. Il vescovo di Costanza, in qualità di capo dei legati imperiali, partecipò al consiglio generale indetto a Milano per preparare la venuta del futuro imperatore. Guido della Torre lo accolse nel modo dovuto ma fu profondamente infastidito per la venuta dell'imperatore, che metteva in pericolo il potere guelfo in Lombardia, tanto che proibì a chiunque di uscire dalla città per accoglierlo e si preparò a contrastarlo militarmente malgrado alcuni dei suoi alleati cercassero di dissuaderlo. Come se non bastasse Filippo conte di Langosco si dichiarò vassallo dell'imperatore e non ci fu modo di convincerlo altrimenti. Alla fine Guido della Torre si arrese al parere di altri nobili che gli consigliarono di far venire l'imperatore almeno sino ad Asti cercando di indovinare nel frattempo i suoi propositi. Presto il Langosco e il Fissiraga si resero conto che Enrico intendeva riappacificare le città lombarde facendovi rientrare i ghibellini e sottoponendole al controllo di un vicario imperiale ma così facendo avrebbe messo in serio pericolo il potere dei Torriani. Enrico nel frattempo, lusingato da Francesco da Garbagnate, decise di voler conoscere Matteo. Il Visconti non aspettava altro e insieme ad un servo giunse sotto travestimento ad Asti. Qui i ghibellini lo accolsero trionfalmente conducendolo al cospetto dell'imperatore. Erano in quel luogo anche il Langosco e il Fissiraga. Matteo scelse astutamente di abbracciarli e dopo il loro rifiuto pronunciò un discorso in favore della riconciliazione tra guelfi e ghibellini sotto l'autorità imperiale che piacque molto ad Enrico. Nel frattempo giunse ad Asti anche Cassono della Torre, intenzionato a recuperare l'arcivescovato e a far cadere il cugino Guido. Il 4 dicembre 1310 fu stipulato un accordo tra Cassono e altri esponenti della sua famiglia e il Visconti e i suoi alleati secondo cui sarebbero stati perdonati i danni e le ingiurie passate e Matteo non avrebbe aggredito le città lombarde se non con l'approvazione dell'arcivescovo e che né lui né il figlio Galeazzo avrebbero più ricoperto alcuna carica a Milano e molti altri capitoli che di fatto conferivano un enorme potere allo stesso Cassono.
Enrico mosse quindi verso Milano per farsi incoronare. Sulla strada riuscì a ottenere Vigevano e a cacciare il podestà torriano grazie al tradimento di un medico locale. Procedette quindi verso Vercelli, Novara e Magenta ma quando si trovava ormai nelle vicinanze di Milano gli fu riferito che Guido si rifiutava di concedere il [[Palazzo Reale di Milano|Broletto Vecchio]] per alloggiare il suo corteo. Enrico ordinò che tutti dovessero venire ad accoglierlo disarmati e alla fine venne malvolentieri lo stesso Guido che gli baciò i piedi e concedette il Broletto ai reali. Il 6 gennaio [[1311]] Enrico fu incoronato re d'Italia nella [[basilica di Sant'Ambrogio]].<ref>Giulini, ''Memorie'', vol. IV, pp. 850-860</ref>
Riga 142 ⟶ 181:
{{vedi anche|Rivolta di Milano (1311)}}
Il 12 febbraio in occasione di una condanna a morte, Enrico inviò una squadra di tedeschi a perlustrare i palazzi dei principali nobili milanesi per assicurarsi che non vi fossero sedizioni. In realtà Galeazzo Visconti e Francesco della Torre (figlio di Guido) si erano già accordati per intervenire militarmente e scacciare l'imperatore della città ma saggiamente Matteo, che appoggiasse questo piano o meno, ordinò ai suoi famigliari di non compiere alcuna azione. Quando i tedeschi entrarono nel suo palazzo li accolse benevolmente ed offrì loro del vino e questi, dopo aver rovistato dappertutto, uscirono convinti che il Visconti fosse innocente. I soldati si recarono poi dai Torriani che, convinti di avere l'appoggio dei Visconti, si erano armati. Scoppiarono quindi tumulti in cui i Torriani e i loro alleati ebbero la peggio e furono costretti a fuggire mentre i tedeschi saccheggiavano i loro palazzi. Guido della Torre si rifugiò dapprima nel [[chiesa di Santa Barbara (Milano)|monastero di Santa Maria d'Aurona]], che si trovava accanto a casa sua, poi in casa di un suo fedelissimo. Per non apparire colpevole, Matteo si presentò volontariamente dall'imperatore accompagnato dal vescovo di Trento. Il saccheggio della città continuò per sei giorni al termine del quale i Torriani e i loro seguaci furono banditi dalla città. Non sarebbero mai più tornati in qualità di signori di Milano.
Pochi giorni dopo, convinto dai suoi consiglieri, Enrico bandì anche Matteo ad [[Asti]] e il figlio Galeazzo a [[Treviso]]. Matteo tornò poi nelle grazie del re grazie all'intercessione di Francesco da Garbagnate e già l'11 aprile fu invitato ad un banchetto reale a [[Pavia]] in occasione della Pasqua. Il 17 aprile tornò insieme al sovrano a Milano.<ref>Giulini, ''Memorie'', vol. IV, pp. 876-886</ref>
=== La rivolta delle città guelfe lombarde ===
Nella primavera del [[1311]] molte città lombarde tra cui Lodi, Crema, Cremona e Brescia erano ormai in aperta rivolta contro Enrico VII di Lussemburgo e furono inutili i tentativi di riportarle alla calma. Il 19 aprile l'esercito imperiale uscì da Milano per sedare le rivolte dopo essersi approvvigionato di grano e buoi a spese dei contadini milanesi. Lodi, Crema e Cremona non attesero neppure l'arrivo di Enrico e subito inviarono messi chiedendogli perdono. Il re entrò in tutte le tre città, punì i sediziosi e le riappacificò. Non fece lo stesso Brescia che risolse di resistere. Il re convocò un consiglio di guerra che deliberò di assediare la città e l'8 maggio inviò lettere a tutti coloro che erano fedeli al futuro imperatore richiedendo provviste, uomini ed armi. Il 20 maggio l'esercito guidato dall'arcivescovo di Treviri avviò l'assedio di Brescia ma la città riuscì a resistere sino al 24 settembre. Non fu saccheggiata né vi furono grandi violenze ma le sue mura furono atterrate.
Il 13 luglio [[1311]] l'imperatore vendette a Matteo il titolo di vicario imperiale per Milano per la somma di 50.000 fiorini d'oro che il Visconti fu costretto a raccogliere in gran parte dal popolo.<ref>Giulini, ''Memorie'', vol. IV, pp. 886-891</ref> All'inizio di ottobre Enrico si portò a Pavia dove indisse un consiglio delle città di Lombardia. Il novello re d'Italia malgrado fosse riuscito a sedare temporaneamente le rivolte dei guelfi, non si trovava in una buona situazione. Una parte delle milizie al suo seguito se n'erano tornate in patria, altre erano state perse nelle varie operazioni militari e in particolare durante l'assedio di Brescia, molti ghibellini italiani erano restii a fornire un supporto significativo dato l'inverno ormai prossimo e la stessa Pavia pullulava di guelfi che mettevano in pericolo la sua sicurezza. Ancora una volta il re chiese l'aiuto di Matteo Visconti che venne da Milano con un buon seguito di fanti e cavalieri. Giunto sotto le mura di Pavia trovò però le porte chiuse per ordine di Filippo Langosco e poté entrare solo tre giorni dopo grazie alle pressioni del sovrano. Dopo aver stabilito una fragile pace tra il Langosco e i Beccaria, Enrico giunse il 17 ottobre a [[Tortona]] quindi il 21 a [[Genova]] accompagnato da dodici cavalieri milanesi dei cento che avrebbero dovuto inizialmente seguirlo. In quest'occasione, tra gli altri, conferì a Guglielmo della Pusterla la [[Gera d'Adda]], a [[Filippo Langosco]] la città di Casale, a Cressono Crivelli la città di [[Lecco]] e la sua riviera, a Lodrisio Visconti l'intero [[Seprio]], a [[Filippo I di Savoia-Acaia]] il vicariato su Pavia, Novara e Vercelli. [[Luchino Visconti (signore di Milano)|Luchino Visconti]], futuro signore di Milano, lo accompagnò a Roma.<ref>Giulini, ''Memorie'', vol. V, pp. 5-10</ref>
Il 17 novembre Guido della Torre, con l'appoggio di [[Roberto d'Angiò]], dei bolognesi e dei fiorentini, convocò a [[Bologna]] un consiglio a cui parteciparono i massimi esponenti delle città guelfe dell'Italia settentrionale. Sul finire dell'anno Casale, Asti e Alessandria abbandonarono Enrico per allearsi con Roberto, che in [[Piemonte]] già possedeva [[Alba (comune italiano)|Alba]], diventando così il riferimento per tutti i guelfi italiani. Filippo di Savoia tradì l'alleanza con Enrico e alleandosi con il Langosco cacciò i Beccaria da Pavia, Novara e Vercelli per poi cercare di scaricare le colpe su Matteo Visconti. Il 14 dicembre 1311 Enrico fu colpito dalla morte della moglie [[Margherita di Brabante]] il 14 dicembre 1311 a Genova. Alla fine di gennaio del [[1312]] [[Giacomo Cavalcabò]], approfittando di alcuni suoi fedeli che gli aprirono una delle porte di Cremona, riuscì ad entrare in città, sollevare il popolo e cacciare il vicario [[Jacopo da Redanasco]] nonché Galeazzo Visconti che ivi si trovava; fu eletto quale nuovo podestà [[Passerino della Torre|Rinaldo della Torre]] meglio conosciuto come Passerino. Il 18 febbraio si ribellò anche Piacenza.<ref>Giulini, ''Memorie'', vol. V, pp. 10-13</ref>
=== La battaglia di Soncino ===
{{vedi anche|Battaglia di Soncino (1312)}}
All'inizio di febbraio del [[1312]] gran parte delle città lombarde era ormai in aperta rivolta contro il potere imperiale. Il 17 febbraio, prima di imbarcarsi alla volta di [[Pisa]] pertanto Enrico nominò quale suo vicario generale [[Werner von Homberg]], conte di Basilea, con poteri superiori a qualsiasi altro vicario nominato precedentemente. Neppure il breve viaggio per Pisa fu scevro da contrattempi poiché la flotta fu funestate da tempeste che la contrinsero a riparare a [[Portovenere]] e riuscì ad arrivare a [[Porto Pisano]] solo il 6 marzo.
L'8 marzo Werner von Homberg indisse a Lodi una lega ghibellina a cui parteciparono i rappresentanti delle città rimaste fedeli all'imperatore. I presenti furono molto divisi sul da farsi ma alla fine ancora una volta Francesco da Garbagnate riuscì a convincere tutti ad eleggere Matteo Visconti quale braccio destro del capitano generale tedesco. L'Homberg si portò a Viboldone dove discusse con il Visconti, poi si portò a Brescia. Nel frattempo anche i guelfi avevano tenuto un loro consiglio a Cremona dove Passerino della Torre e Giacomo Cavalcabò, ascoltando i consigli dei Fondulo, signori di Soncino, decisero di uscire con l'esercito e sorprendere quel borgo. L'azione riuscì parzialmente dal momento che la guarnigione del castello riuscì a resistere e ad inviare messaggeri ai ghibellini. L'Homberg mosse da Brescia insieme a un contingente di fanti e cavalieri viscontei guidati da Galeazzo Visconti e Cressono Crivelli e si apprestò ad accamparsi a Soncino. In quel mentre Passerino della Torre avrebbe voluto attaccarli e disperderli ma il Cavalcabò preferì attendere i rinforzi in arrivo da Cremona. Venutolo a sapere, il Crivelli mosse contro questo secondo esercito, riuscendo facilmente a sconfiggerlo. Gli assedianti diventarono quindi gli assediati. Passerino della Torre fuggì da una delle porte insieme ad alcuni dei suoi mentre il Cavalcabò oppose una disperata resistenza all'interno del borgo ma alla fine fu sconfitto, catturato e barbaramente giustiziato insieme a Venturino Fondulo e ai suoi figli. La disfatta fece cadere nello sconforto i cremonesi
Nell'estate dello stesso anno Guido della Torre morì ma non ricevette neppure una sepoltura in terra consacrata in quanto era stato scomunicato dal cugino Cassono. Il 29 giugno Enrico VII fu incoronato imperatore a Roma da [[Clemente V]]. In autunno Antonio Fissiraga catturò diversi borghi nel contado di Lodi e tentò di catturare la città ma venne scacciato da Werner von Homberg.
=== La battaglie di Gaggiano e di Rho ===
Riga 161 ⟶ 208:
Il 18 maggio [[1313]] Galeazzo Visconti fu nominato vicario imperiale a Piacenza e il 29 luglio inviò in ostaggio al padre sette esponenti della famiglia Landi e sette della famiglia Scotti, compreso Alberto. Pochi giorni dopo i guelfi risposero cercando di sorprendere la città con un esercito di pavesi guidati dal Langosco, lodigiani dal Fissiraga, parmigiani da Giberto da Correggio, esuli milanesi con a capo Simone della Torre ed esuli piacentini.
Galeazzo non si fece cogliere impreparato ed effettuata una sortita sconfisse i guelfi riuscendo a catturare il Langosco e il Fissiraga e inviandoli anch'essi a Milano. Questa disfatta fu grandemente alleviata dalla morte dell'imperatore Enrico VII di Lussemburgo che avvenne a causa della [[malaria]] il 24 agosto [[1313]] presso [[Buonconvento]] e fece perdere autorità ai vicari imperiali di Lombardia.
Francesco e Simone della Torre ne approfittarono per raccogliere a Pavia un esercito rinforzato dalle truppe inviate da Roberto d'Angiò al comando di [[Tommaso Marzano]], conte di Squillace. Matteo Visconti era in difficoltà dal momento che i soldati tedeschi dell'Homberg, privi di paga, erano tornati in Germania e le casse dell'erario erano vuote per i donativi versati all'imperatore per cui risultava difficoltoso reclutare un nuovo esercito. Il Visconti si ridusse ad opporre ai Torriani e agli angioini una milizia reclutata nel [[Seprio]] e nella [[Martesana]] che venne facilmente sbaragliata. In settembre l'esercito guelfo attraversò il [[Ticinello]] fermandosi prima a [[Robecco sul Naviglio|Robecco]] poi al Castelletto di [[Abbiategrasso]]. Matteo riuscì fortunatamente ad intercettare il conte di [[Salisburgo]] che stava tornando in Germania e a pagarlo affinché combattesse per lui così il 24 settembre questo esercito uscì dalla città affiancato da truppe milanesi al comando del podestà [[Giannazzo Salimbene]] e forse monferrine al comando del marchese [[Teodoro I del Monferrato|Teodoro]], marciando sino a [[Gaggiano]] dove incontrò inaspettatamente il nemico. A questo punto il Salimbene propose di radunare l'esercito in una palude vicina facilmente difendibile ed eventualmente dar battaglia ma il conte tedesco, dichiarando di non aver intenzione di ritirarsi, caricò il nemico seguito da una parte dei milanesi mentre il resto seguì il podestà. I tedeschi combatterono valorosamente sino all'ultimo uomo e alla fine furono tutti uccisi o presi prigionieri a causa della grande inferiorità numerica. I guelfi però erano stati indeboliti e quando videro il luogo in cui si erano fortificati i ghibellini, decisero di tornare indietro ad [[Albairate]]. Tentarono poi di attaccare Milano da Porta Vercellina ma resisi conto che era ben fortificata, si diressero invece prima a [[Busto Arsizio]] poi a [[Legnano]] dove raccolsero rinforzi nel Seprio, parziale per i Torriani. Il Marzano si rese presto conto che le vettovaglie iniziavano a scarseggiare e le pianure dell'Alto Milanese non offrivano luoghi in cui potersi fortificare attendendo i rinforzi. Era inoltre in questione la fedeltà delle milizie reclutate nel Seprio e certa la loro indisciplina dato che un migliaio di loro si erano distaccate dall'esercito per andare a saccheggiare [[Rho]] e la campagna circostante. A questo proposito il Marzano ebbe un duro scontro con Francesco della Torre che infine lo convinse a muovere verso quella cittadina. Durante la marcia molti soldati disertarono tornandosene a Pavia e i restanti furono infine sconfitti dai viscontei guidati dal conte di Salibrun, da Galeazzo Visconti e da Giacomo Landriani. I pavesi, avendo udito che il Marzano aveva tradito i guelfi per denaro, ne saccheggiarono il palazzo e lo avrebbero linciato se non fosse stato difeso da Francesco della Torre.<ref>Giulini, ''Memorie'', vol. V, pp. 21-39</ref>▼
Francesco e Simone della Torre ne approfittarono per raccogliere a Pavia un esercito rinforzato dalle truppe inviate da Roberto d'Angiò al comando di [[Tommaso Marzano]], conte di Squillace. Matteo Visconti era in difficoltà dal momento che i soldati tedeschi dell'Homberg, privi di paga, erano tornati in Germania e le casse dell'erario erano vuote per i donativi versati all'imperatore per cui risultava difficoltoso reclutare un nuovo esercito. Il Visconti si ridusse ad opporre ai Torriani e agli angioini una milizia reclutata nel [[Seprio]] e nella [[Martesana]] che venne facilmente sbaragliata.
▲
=== La campagna in Lomellina ===
Nel [[1314]] i Torriani saccheggiarono l'abbazia di [[Morimondo]] poi come al solito si riunirono a Pavia dove prediposero un nuovo esercito sotto il loro comando e quello di Alberto Scotti (recentemente liberato da Matteo Visconti) e di [[Ghigo VIII de la Tour-du-Pin]], [[delfino del Viennois]]. Galeazzo Visconti se ne accorse e inviò molte lettere al padre chiedendo rinforzi ma i guelfi furono più rapidi e nel settembre dello stesso anno occuparono la sponda piacentina del [[Po]] giungendo fin sotto le mura della città. L'esercito mandato da Matteo in soccorso del figlio, guidato da Francesco da Garbagnate e [[Pasio Ermenzano]] giunto presso le rive del fiume, s'avvide del nemico che gli sbarrava la strada e fu costretto ad accamparsi sulla sponda lodigiana. Il Garbagnate decise di ricorrere ad uno
Matteo rispose inviando un esercito in [[Lomellina]] al comando del figlio Marco, di Francesco da Garbagnate e di Simone Crivelli. Dopo alterne vicende i viscontei assediarono il castello di [[Ferrera Erbognone]] tenuto dal conte Guidetto Langosco. Il Langosco riuscì a resistere per tre giorni contro forze soverchianti per poi gettarsi nella mischia. Fu infine convinto dalla moglie ad arrendersi ai milanesi che lo trattarono onorevolmente. I milanesi in seguito vinsero una battaglia a [[Mortara]] e in dicembre catturarono [[Tortona]].<ref>Giulini, ''Memorie'', vol. V, pp. 42-45</ref>
Riga 174 ⟶ 226:
{{vedi anche|Battaglia di Ponte San Pietro|Assedio di Pavia (1315)}}
Nel febbraio del [[1315]] un nuovo esercito guelfo formato da 4.000 fanti e 1.000 cavalieri guidato dal cremonese [[Ponzino Ponzoni]] e costituito da cremonesi, milanesi, lodigiani, pavesi e bergamaschi cercò di assediare Lodrisio Visconti all'interno di [[Bergamo]]. Per impedire i riforimenti alla città da parte di Milano, decisero di catturare [[Ponte San Pietro]] dove però si imbatterono nelle truppe di [[Lodrisio Visconti]], nel frattempo fuoriuscite dalla città, ammontanti a non oltre 1.500 uomini. Malgrado la grande inferiorità numerica, i viscontei ne uscirono vincitori.
Nel [[1315]] morì Uberto Visconti, fratello di Matteo e il 24 aprile fu sepolto nella [[basilica di Sant'Eustorgio]]. Seguì nello stesso mese un attacco da parte dei pavesi e confederati su [[Novara]]. I difensori, credendo di essere in numero sufficiente per respingere il nemico, scelsero di combattere sul campo e subirono una pesante sconfitta. I pavesi si dedicarono quindi a dar fuoco ad un ponte di barche fatto costruire sul Ticino. Matteo ordinò immediatamente di ricostruirlo ma il 18 maggio fu nuovamente distrutto dopo un aspro scontro in mezzo al fiume. Al fine di impadronirsi di Pavia, Matteo decise di bloccarle i rifornimenti facendo costruire un castello alla confluenza della [[Scrivia]] con il Po che fu battezzato Castel Ghibellino. I pavesi guidati da Ugo del Balzo, siniscalco di Roberto d'Angiò, e [[Riccardo Langosco]], decisero il 7 luglio di attaccare i viscontei mentre erano intenti ai lavori. La flotta pavese però, avendo visto che la controparte milanese stava a difesa delle rive non attaccò e si ritirò senza combattere. Non così l'esercito guelfo che tentò di attaccare la fortezza senza successo e venne poi sconfitto da un contrattacco guidato da Marco Visconti che fece più di mille prigionieri. Nella battaglia forse morì Zonfredo della Torre.
Matteo Visconti questa volta seppe approfittare della vittoria. Inviò subito un esercito di cinquecento cavalieri guidato dal figlio [[Stefano Visconti|Stefano]] e Francesco da Garbagnate ad intercettare una squadra di cinquanta cavalieri cremonesi venuti in soccorso ai pavesi. Dopo aver concertato l'apertura di una delle porte di Pavia con un traditore, giunsero di notte nei pressi della città. Qui una parte dei milanesi si portò sulla strada per Milano e iniziò ad accendere grandi fuochi e battere le armi sugli scudi simulando un attacco alle mura mentre il resto dell'esercito stava appostato sulla strada per Piacenza. Il Langosco effettuò una sortita contro quelli ma quando s'avvide dell'inganno era ormai troppo tardi e alcuni mercenari tedeschi erano già entrati in città dalla parte opposta. Simone della Torre riuscì per qualche tempo a respingere il nemico ma fu costretto a cedere, così i Visconti [[Assedio di Pavia (1315)|catturarono Pavia]]. Negli scontri rimasero uccisi sia Riccardo che Gherardino Langosco, figli di Filippo. La città fu poi affidata da Matteo al figlio Luchino Visconti.
Il 20 agosto un esercito di 500 cavalieri e 200 balestrieri provenzali guidato da Ugone del Balzo e Rizzardo Gambatesa entrò nell'alessandrino e prese diversi borghi e castelli. Marco Visconti, avendo ricevuto il supporto di 1.000 cavalieri da Milano, uscì da Alessandria e li sconfisse, riprendendo tutto quanto era stato catturato.
Il 29 agosto 1315 [[Uguccione della Faggiuola]], sostenuto da Marco e Luchino Visconti, sconfisse i guelfi toscani nella battaglia di [[Montecatini Terme|Montecatini]]. Negli scontri Luchino rimase ferito ad una gamba.
Riga 184 ⟶ 238:
=== L'assedio di Genova ===
Nel [[1318]] Matteo Visconti estese le sue mire espansionistiche su [[Genova]]. A tal fine combinò il matrimonio tra Luchino e [[Caterina Spinola]] e tra Stefano e [[Valentina Doria]] alleandosi con le due famiglie ghibelline genovesi in opposizione alle guelfe [[Grimaldi (famiglia)|Grimaldi]] e [[Fieschi]]. Il potere dei [[Doria]] e degli [[Spinola]] sulla città era però traballante in quell'anno tanto che poco dopo decisero di abbandonarla mettendosi sotto la protezione del Visconti. Il 1 aprile gli esuli genovesi posero l'assedio alla città e Visconti rispose inviando un esercito composto da 1.500 cavalieri al comando del figlio Marco. Gli assediati inviarono allora una delegazione a Milano promettendo, in cambio della pace, di togliere ogni gabella dalle merci milanesi e offrirono forse anche una certa somma di denaro. I milanesi risposero che avrebbero accettato la pace qualora fosse stato permesso alle famiglie Doria e Spinola di rientrare in città e di riprendere possesso di tutti i loro beni. Gli ambasciatori genovesi rifiutarono e tornarono incolleriti in patria.
Nel frattempo i vescovi di Asti e Como scomunicarono Matteo insieme a [[Cangrande della Scala]] e [[Rinaldo dei Bonacolsi]]. I genovesi inviarono quindi una seconda ambasceria a Roberto d'Angiò che la accolse benevolmente, le fornì 500 cavalieri in supporto e le promise di intervenire personalmente. Il 21 luglio l'esercito angioino, composto da 6.000 fanti e 1.500 cavalieri e guidato dal re sbarcò a Genova; con esso vi erano la regina e molti nobili del [[Regno di Napoli]]. Il 27 luglio fu conferita a Roberto d'Angiò la signoria di Genova per dieci anni. Trovandosi in inferiorità numerica, Marco Visconti si ritirò sulle alture sopra [[Prè]]. L'8 agosto l'Angiò attaccò l'accampamento visconteo con 4.000 uomini ma fu respinto con la perdita di 330 uomini ed inseguito fino alle porte della città. Il Visconti pose di nuovo l'assedio e iniziò a battere incessantemente le mura. Nel frattempo l'Angiò si era visto sottrarre Cremona, governata da Giacomo Cavalcabò, da [[Ponzino Ponzoni]] nel frattempo diventato guelfo e non era riuscito a convincere [[Cangrande della Scala]] a passare al suo partito pertanto si era rivolto a Giovanni XXII chiedendogli di intervenire per limitare il potere dei Visconti. Il 19 agosto Matteo rispose stipulando a [[Lombriasco]] un'alleanza con [[Filippo I di Savoia-Acaia]], concedendogli, nel caso fossero state catturate, le città di [[Asti]], [[Ivrea]] e [[Savigliano]] (che appartenevano all'Angiò), in cambio della sola [[Alba (
In dicembre Matteo convocò un'assemblea dei signori ghibellini a [[Soncino]] in cui accusò il pontefice e l'Angiò di voler usurpare il loro potere e li esortò ad una più stretta alleanza per contrastarli. Ci fu comune consenso e Cangrande della Scala venne eletto quale capo di questa nuova alleanza ghibellina. Il 5 febbraio [[1319]] per liberarsi dall'assedio, Roberto d'Angiò fece imbarcare un esercito di 14.000 uomini al comando di Simone della Torre sulle sue galee e lo fece sbarcare a [[Sestri Ponente]]. Marco Visconti cercò di impedire al nemico di sbarcare ma non vi riuscì, poi la parte rimasta a cingere d'assedio la città fu sconfitta dalla sortita degli
Matteo in seguito alla sconfitta di Sestri decise di rafforzare la posizione del partito ghibellino reclutando nuovi alleati. Riuscì ben presto a portare dalla sua parte [[Teodoro I del Monferrato]], [[Federico III di Sicilia]] e l'imperatore [[Andronico II Paleologo]] poi fece scendere mercenari dalla Germania. Il 23 luglio Marco Visconti assediò infruttuosamente Asti ma forse fu solo uno stratagemma per distrarre i guelfi dal momento che il 1 agosto pose di nuovo l'assedio a Genova con mille fanti e altrettanti cavalieri.<ref>Giulini, ''Memorie'', vol. V, pp. 89-98</ref>
Riga 196 ⟶ 253:
=== La scomunica e l'accusa di eresia ===
Giovanni XXII, con una lettera del 27 giugno, aveva chiesto a Bertrando del Poggetto che la scomunica sul Visconti fosse estesa a tutte le chiese della signoria di Milano e che fosse citato a comparire alla sua presenza ad [[Avignone]] per discolparsi dal momento che continuava a farsi chiamare signore di Milano e ignorava la scomunica già pendente su di lui. Il vicario inviò il cappellano Ricano di Pietro dal Visconti per chiedergli di inviare ambasciatori con cui discutere le sue pretese: che Matteo rinunciasse al governo di Milano, che riconoscesse quale re Roberto d'Angiò, che i Torriani fossero riammessi in città e che fossero liberati tutti i prigionieri. Le condizioni risultarono ovviamente inaccettabili per cui quando il cappellano entrò a Milano con il suo piccolo seguito venne subito arrestato, legato e condotto al castello di [[Rosate]] dove rimase prigioniero per diversi giorni. Il cardinale, irritato, fece pubblicare la scomunica in tutte le chiese.
Il 15 gennaio [[1321]] si spense Bonacosa Borri, moglie di Matteo e fu sepolta nella [[basilica di Sant'Eustorgio]]. Nel febbraio del [[1321]] Matteo non era ancora comparso alla corte papale, adducendo come scusa l'età avanzata e l'ormai precario stato di salute pertanto fu condannato in contumacia. Nel dicembre 1321 il papa chiese all'arcivescovo di Milano di aprire un nuovo processo contro di lui e suo figlio Galeazzo per [[eresia]]. [[Aicardo Antimiani]] avviò la procedura e la concluse condannando Matteo quale eretico e disponendo la confisca dei suoi beni e la perdita di tutte le cariche. All'inizio del [[1322]] il cardinale [[Bertrando del Poggetto|Bertrand du Pouget]] proclamò, da [[Asti]], la santa crociata contro i Visconti riunendo i ''crociati'' a [[Valenza (Italia)|Valenza]], mentre le contese che coinvolgevano guelfi e ghibellini continuarono in tutta la Lombardia. L'accusa fu poi estesa a tutti i figli di Matteo e ben 1465 citazioni a comparire furono inviate agli uomini più vicini ai Visconti; gli stessi cittadini milanesi furono minacciati dall'[[Inquisizione]].<ref>Giulini, ''Memorie'', vol. V, pp. 107-115</ref>
=== La battaglia di Bardi ===
{{vedi anche|Battaglia di Bardi}}
All'inizio di aprile Vercelli era ormai ridotta alla fame dall'assedio visconteo. I guelfi decisero di inviare un esercito in suo soccorso composto da lombardi e da catalani per un totale di 3.000 fanti e 600 cavalieri che partendo da [[Santhià]] mossero verso la città assediata.
=== La morte ===
Il 23 maggio [[1322]] Galeazzo Visconti si recò a trovare il padre a Milano. Matteo gli affidò il governo ritirandosi dalla vita politica poi lo abbracciò. Successivamente visitò molte chiese della città e del contado. Un giorno, convocato il clero nella [[Basilica vetus|cattedrale di Santa Maria Maggiore]], recitò genuflesso il [[Simbolo degli apostoli|Credo]] e protestò che per tutta la sua vita aveva sempre professato la fede cristiana.
Il giorno dopo si recò al [[Duomo di Monza]] ma mentre stava pregando iniziò a sentirsi male. Volle quindi visitare la [[Chiesa di Santa Maria Rossa]] in [[Crescenzago]] e quivi, sentendosi ormai prossimo alla fine, radunò tutta la sua famiglia, consigliando figli di ristabilire la pace con la Chiesa. Il 24 giugno, nel giorno dedicato a [[San Giovanni Battista]], Matteo Visconti si spense all'età di 72 anni dopo aver governato la signoria per più di venticinque. I figli tennero occulta la sua morte per alcuni giorni lasciando che medici e servitori continuassero ad entrare nella sua stanza portando cibo e medicine. Essendo morto sotto scomunica ed essendo la città sotto interdetto non poté essere sepolto in terra consacrata pertanto i figli lo deposero in un luogo segreto oggi sconosciuto.<ref>Giulini, ''Memorie'', vol. V, pp. 126-127</ref> Alla luce di ciò è difficile credere che sia stato sepolto, come ritengono taluni, nella [[basilica di Sant'Eustorgio]] o nella stessa [[Chiesa di Santa Maria Rossa]] in [[Crescenzago]].<ref>{{Cita web| url= http://www.storiadimilano.it/Personaggi/Visconti/matteo.htm| titolo=Matteo Visconti| accesso =14 febbraio 2013}}</ref><ref>{{Cita web| url= http://www.lagobba.it/?p=1255| titolo=1322, la morte di Matteo Visconti nell’abbazia di S. Maria Rossa| accesso =14 febbraio 2013}}</ref> Secondo il [[Bernardino Corio|Corio]] fu in seguito riposto nell'[[abbazia di Chiaravalle]].<ref>Corio, Storia di Milano, vol. II, p. 46</ref>
Riga 218 ⟶ 281:
{{citazione|''I Ghibellini lo esaltano come un eroe, ch'ebbe pochi pari; i Guelfi lo detestano come uno de' più dannosi tiranni. Io per me lo trovo un uomo dotato di una molto fina politica, moderato nella propizia fortuna, e paziente nell'avversa, liberale senza prodigalità, ed economo senza avarizia; ma dall'altra parte più curante del proprio vantaggio che di quello de' sudditi, cattivo soldato, di costumi scorretti, e di dubbia religione.''|Giorgio Giulini, ''Memorie''}}
==
Dall'unione con [[Bonacossa Borri]] (1254-1321) nacquero i seguenti figli:
* [[Floramonda Visconti|Floramonda]] (?-1321) andata sposa a Guido Mandelli conte di [[Maccagno]];
* [[Galeazzo I Visconti|Galeazzo I]] (1277-1328), signore di Milano, sposò [[Beatrice d'Este (1268-1334)|Beatrice d'Este]];
* Beatrice (c. 1280-?), andata sposa a [[Spinetta Malaspina]], marchese di [[Fortezza della Verrucola|
* [[Caterina Visconti (1282-1311)|Caterina]] (1282-1311), andata sposa ad [[Alboino della Scala|Alboino I della Scala]], [[signore di Verona]].
* [[Stefano Visconti|Stefano]] (1288-1327), conte di [[Arona]], sposò Valentina Doria di [[Genova]].
Riga 235 ⟶ 298:
* [[Antonio Visconti (figlio di Matteo)|Antonio]] (? - dopo il 1339), si distinse nella [[battaglia di Parabiago]].<ref>Giulini, Memorie, vol. V, p. 261</ref>
== Ascendenza ==
== Opere architettoniche legate a Matteo Visconti ==▼
<div align="center">
{{Ascendenza
| 1 = Matteo I Visconti
| 2 = [[Teobaldo (o Tibaldo) Visconti|Teobaldo Visconti]]
| 4 = Andreotto Visconti
| 5 = Fiorina Mandelli
| 3 = Anastasia Pirovano
| 8 = [[Ottone Visconti]]
|16 = [[Uberto Visconti]]
|17 = [[Berta Pirovano]]
}}
</div>
▲== Opere architettoniche legate a Matteo Visconti ==
* [[Basilica di Sant'Eustorgio]], [[Cappella dei Visconti]]
* [[Palazzo Reale di Milano|Broletto Vecchio]] (appartamenti delle signore)
Riga 242 ⟶ 318:
* [[Duomo di Monza]] (restauro)
* [[Loggia degli Osii]] (ricostruzione)
* Nel [[1315]] diede avvio alla costruzione della [[cittadella di Fodesta]] presso la parte settentrionale della cinta muraria di [[Piacenza]].<ref>http://www.piacenzantica.it/page.php?141</ref>
== Note ==
Riga 247 ⟶ 324:
== Bibliografia ==
* {{Cita libro|autore=[[Bernardino Corio]]|titolo=Storia di Milano|anno=1856|editore=Francesco Colombo|città=Milano|curatore=Egidio De Magri, Angelo Butti e Luigi Ferrario|volume=2|SBN=
* [[Giorgio Giulini]], ''Memorie spettanti alla storia, al governo ed alla descrizione della città e della campagna di Milano nei Secoli Bassi'', Milano, 1854.
* {{cita libro | cognome=Lopez| nome=Guido| titolo=I Signori di Milano, dai Visconti agli Sforza| editore=Newton Compton editori | città= | anno=2010}}
Riga 267 ⟶ 344:
{{Box successione
|tipologia = regnante
|carica = [[
|periodo = [[1294]] – [[1302]]
|precedente = [[Ottone Visconti]]
Riga 278 ⟶ 355:
{{Box successione
|tipologia = pretendente al trono
|carica = [[
|periodo = [[1302]] – [[1311]]
|precedente = Sé stesso come signore di Milano
|successivo = Sé stesso come signore di Milano
|immagine = Coat of arms of the House of Visconti (1395).svg
}}
{{Box successione
|tipologia = incarico governativo
|carica = [[Sindaci di Milano#Comune, Signoria e Ducato di Milano (1162-1499)|Podestà di Milano]]
|immagine = Insigne Mediolani.svg
|periodo = I semestre [[1288]]
|precedente = Ruffiniano Beccaria
|successivo = Jacopo de Jacopi
|periodo2 = II semestre [[1290]]
|precedente2 = Baldovino degli Ugoni, Bernardino da Polenta
|successivo2 = [[Uberto Guasco]]
}}
{{Controllo di autorità}}
|