Lettera a Filemone: differenze tra le versioni
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== La lettera ==
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I tre personaggi principali della lettera a Filemone sono: l'apostolo Paolo, autore della missiva; Filemone, destinatario principale e Onesimo, schiavo di Filemone, soggetto principale della lettera. Filemone era un cristiano benestante residente a [[Colosse]], città della [[Frigia]] nel centro dell'[[Asia minore]]. [[Onesimo (discepolo di Paolo)|Onesimo]] era invece uno dei suoi schiavi, fuggito dal suo padrone probabilmente rubando anche del denaro per pagarsi il viaggio e le spese necessarie per la fuga (Filemone 18).
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=== Data e luogo ===
Secondo la maggior parte degli studiosi, questa breve lettera sembra formare un gruppo omogeneo con la ''[[Lettera agli Efesini]]'' e la ''[[Lettera ai Colossesi]]'': Paolo l'avrebbe quindi scritta durante la sua prigionia (''Filemone'' {{Passo biblico|Fm|10|libro=no}}) a [[Roma]] negli anni [[61]]-[[63]]<ref group=Nota>Questa datazione è citata, ad esempio, in AA.VV., introduzione a "Lettere di Paolo", EDB, 2009.</ref>.
Altri l'avvicinano invece alla ''[[Lettera ai Galati]]'' e alla ''[[Lettera ai Filippesi]]'', deducendo che Paolo l'avrebbe scritta ad [[Efeso]] negli anni [[54]]-[[55]]<ref group=Nota>Per questa datazione, cfr. Giuseppe Pulcinelli, "L'apostolo Paolo", Ed. San Paolo, 2008.</ref>.
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=== Struttura e contenuto ===
Questa breve epistola di Paolo è una delle più brevi di tutta la [[Bibbia]], con soli 25 versetti: solo la [[Seconda lettera di Giovanni|seconda]] e la [[terza lettera di Giovanni]] sono più brevi. La lettera si distingue da tutte le altre di Paolo perché è da considerarsi una lettera "privata", ovvero scritta non principalmente e ufficialmente a una chiesa primitiva o a un responsabile di una comunità cristiana, bensì a un singolo cristiano, con cui "privatamente" affronta uno specifico problema.
Nel contenuto della missiva, Paolo annuncia al cristiano di [[Colossi]] il ritorno del suo schiavo fuggiasco [[Onesimo (discepolo di Paolo)|Onesimo]]. Paolo, che conosceva sia Filemone che Onesimo, avrebbe desiderato tenere al proprio servizio Onesimo ({{Passo biblico|Fm|19|libro=no}}) per essere aiutato nella sua opera di evangelizzazione, ma non lo fa, rimandandolo al legittimo padrone chiedendogli però di accoglierlo non più come uno [[schiavismo|schiavo]], bensì come fratello, per quanto non mutando la sua condizione di schiavitù e la relativa situazione sociale in cui vivevano anche i cristiani del tempo<ref group="Nota">Vedi anche la sottostante sezione "[[Lettera a Filemone#Contenuti ed etica cristiana|Contenuti ed etica cristiana]]". Cfr: Corrado Augias e Remo Cacitti, Inchiesta sul cristianesimo, Mondadori, 2012, pp. 63-64, 207-208, ISBN 978-88-04-59702-5; Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, 2002, p. 1139, ISBN 88-399-0054-3; Bibbia TOB, Elle Di Ci Leumann, 1997, p. 2765, ISBN 88-01-10612-2; Bart Ehrman, Il Nuovo Testamento, Carocci Editore, 2015, pp. 369-371, ISBN 978-88-430-7821-9.</ref>.
Per Paolo è importante l'approvazione di Filemone, sia come libera manifestazione di solidarietà (''"non ho voluto fare nulla senza il tuo parere, perché il bene che fai non sia forzato, ma volontario"'', {{Passo biblico|Fm|14|libro=no}}), sia per rispetto alla legislazione del tempo.
È molto probabile che Paolo abbia raggiunto il suo scopo, perché nel suo ambiente più tardi si troverà un certo Onesimo<ref name="Nuovo Testamento 2003">[[Gerd Theissen]], Il Nuovo Testamento, Carocci, 2003.</ref>.
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La legislazione del tempo in cui si svolsero gli avvenimenti narrati nella lettera di Paolo considerava molto grave la fuga di uno schiavo dal suo padrone<ref group=Nota>Il ''fugitivus'' secondo il diritto romano era una persona che abbandonava il suo padrone con il proposito di non fare più ritorno.</ref>, il reato veniva sanzionato con condanne molto dure. Secondo lo studioso Gerhard Friedrich, infatti. «si usava imprimere un marchio a fuoco sulla fronte degli schiavi catturati dopo la fuga. Spesso poi venivano torturati, [. . .] gettati alle fiere nel circo oppure erano crocifissi, per dissuadere così gli altri schiavi dall'imitarne l'esempio»<ref>''Le lettere minori di Paolo'', di Hermann W. Beyer, Paul Althaus, Hans Conzelmann, Gerhard Friedrich, Albrecht Oepke; traduzione di G. Forza, Paideia Editrice, Brescia, 1980, p. 367 ISBN 9788839407801</ref>. Nella stessa opera, lo studioso ipotizza che dopo aver speso il denaro rubato a Filemone, e dopo aver cercato invano un lavoro, Onesimo chiese la protezione di Paolo. Ad Onesimo, secondo lo studioso, era ben nota la grande amicizia che legava il suo padrone all'''apostolo delle nazioni''.
Altri studiosi, come l'accademico Brian Mark Rapske<ref>[http://acts.twu.ca/faculty/brian-rapske.html Profilo del prof. Brian Mark Rapske] {{webarchive|url=https://web.archive.org/web/20140704095655/http://acts.twu.ca/faculty/brian-rapske.html |data=4 luglio 2014 }}</ref>, pensano invece che Onesimo
== La condizione degli schiavi ==
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Mentre una famiglia normale poteva avere fino a due o tre schiavi, una persona ricca del I secolo ne poteva avere fino a diverse decine. Lo studioso John Barclay osserva che «i lavori svolti dagli schiavi nelle case erano molto vari» facendo rilevare che «c'erano schiavi che lavoravano come custodi, cuochi, camerieri, addetti alle pulizie, corrieri, bambinaie, balie, oltre ad altri che rendevano servizi personali di ogni genere, per non parlare di quelli che esercitavano professioni dotte nelle case più grandi e più ricche [. . .] In pratica, la qualità della vita di uno schiavo impiegato in una casa dipendeva moltissimo dalla disposizione del padrone, con conseguenti effetti sia buoni che cattivi: chi aveva un padrone crudele poteva subire una serie infinita di cattiverie, ma un padrone buono e generoso poteva rendere la vita sia tollerabile che promettente. La letteratura classica cita casi famosi di crudeltà, ma contiene anche numerose testimonianze dei sentimenti affettuosi che nascevano fra alcuni padroni e i loro schiavi».<ref>''Filemone ed Onesimo uniti nella fratellanza cristiana'', riquadro "Gli schiavi nel diritto romano" p. 30, Torre di Guardia, 15 gennaio 1998</ref>
Secondo la legislazione romana del I secolo, lo schiavo era completamente in balìa degli umori del suo padrone. Gerhard Friedrich asserisce «fondamentalmente e giuridicamente lo schiavo non era una persona ma un oggetto del quale il padrone poteva disporre liberamente [. . .] [Essendo] collocato sullo stesso piano degli animali domestici e degli arnesi da lavoro non era preso in considerazione dal diritto civile»<ref>''Le lettere minori di Paolo'', di Hermann W. Beyer, Paul Althaus, Hans Conzelmann, Gerhard Friedrich, Albrecht Oepke; traduzione di G. Forza, Paideia Editrice, Brescia, 1980, pp. 357-358 ISBN 9788839407801</ref> Era impossibile per lo schiavo ottenere per vie legali una riparazione alle
== Contenuti ed etica cristiana ==
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* L'uso di un linguaggio appropriato nelle controversie è utile e necessario. Paolo infatti inizia la sua lettera con:
{{citazione|Ringrazio sempre il mio Dio quando faccio menzione di te nelle mie preghiere mentre continua ad udire del tuo amore e della tua fede che hai verso il Signore Gesù e verso tutti i santi; affinché la partecipazione della tua fede divenga operante per mezzo del tuo riconoscimento di ogni cosa buona fra noi in relazione con Cristo. Poiché ho provato molta gioia e conforto a motivo del tuo amore, perché i teneri affetti dei santi hanno trovato ristoro per mezzo tuo, fratello.| Paolo a Filemone (versetto 4 e 7)}}
Inoltre rivolgendosi a Filemone nei versetti {{Passo biblico|Fm|8-11|libro=no}} si legge:
{{Citazione|Pur avendo in Cristo piena libertà di comandarti ciò che devi fare, preferisco pregarti in nome della carità, così qual io sono, Paolo, vecchio, e ora anche prigioniero per Cristo Gesù; ti prego dunque per il mio figlio, che ho generato in catene, Onesimo.}}
* Il cristianesimo rispetta il diritto di proprietà.
Lo scritto è occasionale: Paolo regola un caso singolo e non mette in discussione l'istituzione della [[schiavismo|schiavitù]], anche se il suo atteggiamento va chiaramente oltre la mentalità schiavistica del tempo<ref name="Nuovo Testamento 2003"/> perché questa stride con la legge della [[carità]] cristiana. Paolo mette quindi le basi per il superamento di questo sistema: il padrone e lo schiavo, anche se conservano le relazioni sociali di prima, diventando cristiani devono infatti ormai vivere come due fratelli al servizio dello stesso [[Dio|Signore]]. Ecco come Paolo scrive ancora: {{Passo biblico|Fm|15-16|libro=no}}
{{Citazione|Forse per questo è stato separato da te per un momento perché tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come un fratello carissimo in primo luogo a me, ma quanto più a te, sia come uomo, sia come fratello nel Signore.}}
Quanto espresso da Paolo non preludeva, comunque, a una qualche trasformazione della società e lo storico del Cristianesimo [[Remo Cacitti]]<ref>Corrado Augias e Remo Cacitti, ''Inchiesta sul cristianesimo'', Mondadori, 2012, pp. 63-64, 207-208, ISBN 978-88-04-59702-5.</ref> osserva che "quando lo schiavo Onesimo si rifugia presso di lui, l'apostolo non esita a rimandarlo al suo padrone Filemone, limitandosi a raccomandargli un atteggiamento di mitezza e clemenza. Questo di Paolo non è certo un atteggiamento nuovo, gli [[Stoicismo|stoici]] avevano già teorizzato esattamente le stesse cose"<ref group=Nota>Anche nella canonica [[Lettera a Tito]], l'autore richiama a particolari doveri le varie categorie e, in merito agli schiavi, in {{Cita passo biblico|Tt2,9-10}} afferma: "''Esorta gli schiavi a esser sottomessi in tutto ai loro padroni; li accontentino e non li contraddicano, non rubino, ma dimostrino fedeltà assoluta, per fare onore in tutto alla dottrina di Dio, nostro salvatore''".</ref> e gli esegeti del "Nuovo Grande Commentario Biblico"<ref>Raymond E. Brown, Joseph A. Fitzmyer, Roland E. Murphy, ''Nuovo Grande Commentario Biblico'', Queriniana, 2002, p. 1139, ISBN 88-399-0054-3.</ref> concordemente rilevano come "rimandandolo indietro a Filemone, Paolo non si propone di cambiare la struttura sociale esistente"<ref group="Nota">Anche gli studiosi dell'interconfessionale [[Bibbia TOB]] sottolineano come "Paolo non chiede affatto che debba essere abolita direttamente l'istituzione della schiavitù, allora così diffusa". (Bibbia TOB, Elle Di Ci Leumann, 1997, p. 2765, ISBN 88-01-10612-2.).</ref>; allo stesso modo il biblista [[Bart Ehrman]]<ref>Bart Ehrman, ''Il Nuovo Testamento'', Carocci Editore, 2015, pp. 369-371, ISBN 978-88-430-7821-9.</ref> sottolinea come "Paolo non solo non condanna la schiavitù in generale, ma non denuncia neanche la sua diffusione tra gli stessi credenti in Gesù. Non dice a Filemone di liberare suo fratello in Cristo Onesimo, e meno che mai di liberare gli altri suoi schiavi"<ref group=Nota>Aggiunge lo studioso che "in questa lettera, Paolo mostra una certa insensibilità rispetto all'ingiustizia presente nella società in cui vive. Nonostante affermi che tutti gli esseri umani sono uguali in Cristo - giudei e gentili, schiavi e liberi, uomini e donne (Gal3,28) - evidentemente non contempla la possibilità che questo ideale si concretizzi nella società. Per lui è scontato che gli schiavi debbano rimanere tali che gli uomini debbano continuare a essere considerati superiori alle donne, e che i credenti in Cristo debbano rimanere nella posizione sociale in cui si trovano (1Cor7,17-24). Non è un po' limitata come visione? Alla nostra coscienza di moderni può indubbiamente sembrarlo, ma per Paolo questa concezione aveva una lunga storia alle spalle. Tale mancanza di sensibilità per l'ingiustizia sociale era certamente connessa con la sua visione della storia del mondo, che riteneva sarebbe presso giunta alla conclusione, in quanto il giudizio divino sul mondo stava per compiersi".</ref>.
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