Induismo: differenze tra le versioni
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[[File:Aum Om black.svg|min|Il [[simbolo]] dell{{'}}''[[Om (induismo)|Oṃ]]'', il più conosciuto ''[[mantra]]'' induista. Questo simbolo (ॐ) deriva dall'unione di due caratteri della [[Alfabeto devanagari|devanāgarī]]: ओ ('o') + ँ ('m' nasale) riportati in [[corsivo]]. Essendo il devanāgarī una scrittura non precedente all'[[VIII secolo]] d.C., il simbolo è di gran lunga posteriore alla sillaba ''Oṃ'', presente in testi anteriori almeno al [[VI secolo a.C.]]]]
L{{'}}'''induismo'''<ref>In [[lingua hindi]] è reso come ''Hindudharma'', in [[Alfabeto devanagari|devanāgarī]]: हिन्दू धर्म.</ref> (o ''hindūismo''<ref>Sulla grafia da ritenere corretta in italiano per questo termine sono recentemente intervenuti diversi studiosi italiani della materia. In {{Cita|Filoramo, 2007}} è stata adottata la grafia ''Hindūismo''. Mario Piantelli ha espresso critiche nei confronti di alcuni lessicografi, lamentando l'assenza dell'"h" aspirata nel termine comune italiano. Così Mario Piantelli alle pp. 6 e 7 della predetta opera:
«[...] La stessa cosa è successa da noi, dove è purtroppo invalso, con l'improvvido avallo dei lessicografi, l'idiotismo ''Indù'' [...] Vale la pena, per inciso, notare come l'erronea voce ''Induismo'', a voler essere filologicamente rigorosi, dovrebbe designare una - inesistente! - "religione" indiana della Luna (Ìndu in lingua sanscrita) [...]».
La grafia ''Induismo'', tuttavia, era ed è ancora oggi diffusa in indologia. Fra gli altri, è utilizzata da [[Giorgio Renato Franci]], [[Caterina Conio]], [[Giuliano Boccali]], [[Cinzia Pieruccini]], [[Anna Dallapiccola]] e lo stesso [[Stefano Piano]]. Da tener presente che l'[[Unione induista italiana]], ente religioso che intende raccogliere le differenti denominazioni di questa via religiosa, ha adottato i termini presenti nei lessici di lingua: "induismo" e "indù".</ref>; tradizionalmente denominato ''Sanātanadharma''{{#tag:ref|È da tenere presente che anche la denominazione ''Sanātanadharma'' è frutto dei riformatori ''hindū'' del [[XIX secolo]].<ref>{{Cita|Flood|p. 13}}.</ref>}}, [[devanāgarī|in sanscrito devanāgarī]] सनातनधर्म, lett. «[[legge]]/[[religione]]<ref>Nella [[lingua hindi]], la [[lingua ufficiale]] e più diffusa dell'[[India]], il termine occidentale "religione" viene reso come धर्म ([[Alfabeto devanagari|alfabeto devanāgarī]]) traslitterato in caratteri latini come ''[[Dharma]]'' e risultante identico al termine [[sanscrito]].{{Citazione|È abbastanza difficile trovare un'unica parola nell'area dell'Asia meridionale che denoti ciò che in italiano è definito "religione", un termine effettivamente piuttosto vago e dall'ampio raggio semantico. Forse il termine più appropriato potrebbe essere il sanscrito ''dharma'', traducibile in diversi modi, tutti pertinenti alle idee e alle pratiche religiose indiane|[[William K. Mahony]]. ''Induismo'', "Enciclopedia delle Religioni" vol. 9: "Dharma induista". Milano, Jaca Book, 2006, p. 99}} [[Gianluca Magi]] precisa tuttavia che il termine ''Dharma'':{{Citazione|è più ampio e complesso di quello cristiano di ''religione'' e, dall'altro, meno giuridico delle attuali concezioni occidentali di "dovere" o di "norma", poiché privilegia la consapevolezza e la libertà piuttosto che il concetto di ''religio'' od obbligo|in ''Dharma'', "Enciclopedia filosofica" vol. 3. Milano, Bompiani, 2006, p. 2786}}</ref> eterna<ref>Come aggettivo ''sanātana'' indica in sanscrito ciò che è "eterno", "primordiale", "immortale", "perpetuo".</ref>») è una [[religione]], o piuttosto, un insieme di credi religiosi, tra le più diffuse al mondo e tra quelle con le origini più antiche; si contano nella sola [[India]], all'ultimo censimento per religione effettuato dal governo e datato 2011, {{Formatnum:966257353}} fedeli indù<ref>{{DOP|id=1044705|lemma=indù}} Come riportato dall'Enciclopedia Sapere.it, il termine italiano deriva "[http://www.sapere.it/enciclopedia/ind%C3%B9.html dal francese ''hindou'', che risale al persiano ''hindū''] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20170824220208/http://www.sapere.it/enciclopedia/ind%C3%B9.html|data=24 agosto 2017}}" e ciò spiega la diffusione della pronuncia tronca. Oltre a questo, come scrive [[Giacomo Devoto]] ne ''Il linguaggio d'Italia'' riguardo al secondo sistema fonologico italiano, "Di questo rimangono ben fermi solo due caratteri entrambi negativi: la esclusione delle consonanti in posizione finale; la esclusione della ‑U non accentata in posizione finale.", caso quest'ultimo nel quale ricade tale termine.</ref> (o ''hindū''<ref>{{Dipi|hindu}} Il termine "hindu", a differenza di "hinduismo", è stato accolto anche in alcuni dizionari di lingua italiana.</ref>), su una popolazione di {{Formatnum:1210854977}} individui<ref>Vedi: [http://www.censusindia.gov.in/2011census/population_enumeration.html] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20160522213913/http://www.censusindia.gov.in/2011census/population_enumeration.html|data=22 maggio 2016}}.</ref>. Con oltre un miliardo e cinquecento milioni di credenti, nel 2015 l'induismo era al [[Religioni maggiori|terzo posto nel mondo come numero di credenti]] dopo il [[cristianesimo]] e l'[[islam]].<ref>{{Cita web|url=https://www.infodata.ilsole24ore.com/2019/01/08/oggi-tre-abitanti-della-terra-su-10-sono-cristiani-nel-2050-la-geografia-religiosa-sara-diversa/|titolo=Oggi tre abitanti della Terra su 10 sono cristiani. La geografia religiosa nel 2050|accesso=24 luglio 2021}}</ref>
== Etimologia ==
[[File:Charles Grant.jpg|min|Immagine di Charles Grant (1746-1823), presidente della [[Compagnia britannica delle Indie orientali|British East India Company]] e fervente cristiano utilizzò per la prima volta il termine ''Hindooism'' per identificare la religione degli ''hindoo''<ref>[[Asko Parpola]], ''The Roots of Hinduism: The Early Aryans and the Indus Civilization'', New York, Oxford University Press, 2015, p. 3.</ref>.]]
[[File:Portrait of Raja Ram Mohun Roy, 1833.jpg|min|[[Ram Mohan Roy]] (1772-1833), riformatore hindu, fu probabilmente il primo indiano a utilizzare nel 1823 il termine ''Hinduism''<ref>Probabilmente il primo autore indiano a utilizzare il termine ''Hinduism'' fu [[Ram Mohan Roy]] (1772-1833) nel 1823. Cfr. [[Michel Delahoutre]] in ''Dictionnaire des Religions'' (a cura di [[Jacques Vidal]]). Parigi, Presses universitaires de France, 1984. In italiano: ''Dizionario delle religioni''. Milano, Mondadori, 2007, p. 911.</ref>, poi diffuso dagli inglesi e adattato in altre lingue occidentali.]]
[[File:Pashupatinath Entrance Bull.JPG|min|verticale|L'ingresso del tempio [[Paṣupatināth]] (Signore delle mandrie) dedicato a [[Siva (divinità)|Siva]] a [[Katmandu]]. L'ingresso al tempio è consentito esclusivamente agli indiani che appartengono a un ''[[varṇa]]'' a prescindere dalla loro fede religiosa, mentre è severamente proibito a tutti gli altri visitatori anche se professano con rigore una fede induista]]
[[File:Lahiri Mahasaya.jpg|min|verticale|[[Lahiri Mahasaya|Shyama Charan Lahiri]] (1828-1895) maestro di ''[[yoga]]'' del XIX secolo. Da notare lo ''[[yajñopavīta]]'', il cordoncino composto da tre fili di cotone bianco uniti indossati sopra la spalla sinistra<ref>''[[Manusmṛti]]'' II, 44.</ref>, i quali lo indicano come un [[bramino]]]]
Il termine italiano "Induismo", deriva dal termine anglosassone ''Hinduism'' diffuso dagli inglesi in epoca moderna{{#tag:ref|Probabilmente il primo autore ad utilizzare il termine ''Hinduism'' fu [[Ram Mohan Roy]] (1772-1833) nel 1823<ref name="Dela911"/>.}}, coniato aggiungendo il suffisso ''ism'' al sostantivo ''hindu'', quest'ultimo termine a sua volta utilizzato, a partire dal XIII secolo, dai turchi di fede musulmana per indicare coloro che non si convertivano alla loro religione<ref name="Piano373">{{Cita|Piano, 1993|pp. 373-4}}.</ref><ref name=Filo7>{{Cita|Filoramo, 2007|p. 7}}.</ref> nonché, con il termine arabo ''al-Hind'', che occorre nei testi arabi ad indicare l'intero popolo dell'India.<ref>[[Romila Thapar]]. ''Interpreting Early India''. Delhi, Oxford University Press, 1993, p. 77.</ref>
Il termine ''hindu'' fu in origine prettamente geografico in quanto si fa derivare dall'antica parola iranica utilizzata, fin dall'epoca [[Dinastia achemenide|Achemenide]]<ref>Nel 515 a.C. lo [[shāhanshāh]] achemenide [[Dario il Grande]] annette la Valle dell'Indo al suo impero.</ref>, per indicare il fiume [[Indo]], la regione dei suoi sette affluenti<ref>Attuale [[Punjab (regione)|Punjab]].</ref><ref>Così l{{'}}''[[Avestā]]'', precisamente il 18° verso del I ''fargard'' dello ''Yu[va]tdēvdāt'':{{Citazione|La quindicesima delle buone terre che, io [[Ahura Mazdā]], ho creato sono stati i Sette Fiumi (''Hapta Hindu''). Subito dopo è giunto [[Angra Mainyu]], che tutto è morte, e con la sua magia ha creato per contro creature abnormi nelle donne e una calura eccessiva.|''[[Avestā]]'', ''Yu[va]tdēvdāt'', I,18. Traduzione di [[Arnaldo Alberti]] in ''Avestā''. Torino, UTET, 2008|pañcadasem asanghãmca shôithranãmca vahishtem frâthweresem azem ýô ahurô mazdå ýô hapta heñdu, âat ahe paityârem frâkereñtat angrô mainyush pouru-mahrkô arathwyâca daxshta arathwîmca garemâum.|lingua=ave}}</ref> e i suoi abitanti<ref>{{Cita|Filoramo, 2007|p. 6}}.</ref>, fiume e regione a loro volta denominati in [[sanscrito vedico]] dagli [[indoari]] come ''Sapta Síndhu'' e ''Síndhu''<ref>Cfr. ad es. ''[[Ṛgveda]]'' X,75:{{Citazione||''[[Ṛgveda]]'' X,75,1|pra su va āpo mahimānamuttamaṃ kārurvocāti sadanevivasvataḥ pra sapta-sapta tredhā hi cakramuḥ prasṛtvarīṇāmati sindhurojasā|lingua=sa}}In [[sanscrito]], il termine ''sindhu'', sostantivo maschile, indica anche, in senso generale, un fiume, un flusso, una corrente o anche una distesa d'acqua (un mare, o un lago), e in particolare il fiume [[Indo]].</ref><ref>Il suono /s/ (iniziale e intervocalico) in [[Lingua avestica|avestico]] diventa /h/, e così nell{{'}}''[[Avestā]]'' ''Sapta Sindhu'' diventa ''Hapta Hindhu''</ref> quindi dai [[Antica Grecia|Greci]]<ref>Qui il termine perde, nel greco ionico parlato dalle truppe greche al servizio del sovrano achemenide, l'aspirazione iniziale e diviene Ἰνδός, ''Indòs''.</ref> e più tardi dai [[Civiltà romana|Romani]]<ref>''Indi'', ''Indōrum'', deriv. dal greco.</ref>.
Con la dominazione dei musulmani parlanti la lingua persiana, i Moghul, avviata nel XVI secolo, la regione a est del fiume Indo diventa l{{'}}''Hindustān'' (il termine ''stān'' in varie lingue indoeuropee, come l'[[antico persiano]], indica un "luogo dove si sta", un "territorio"), e i suoi abitanti sono chiamati ''hindu''.
Con la colonizzazione britannica, il termine [[lingua inglese|inglese]] ''Hinduism'' fu dunque impiegato per indicare un insieme variabile di fatti culturali e religiosi presenti nel Subcontinente indiano, e quindi trasdotto nelle principali lingue europee.
Successivamente gli stessi indiani finirono per utilizzare il termine, di conio anglosassone, ''Hinduism'' per indicare la propria identità nazionale in contrapposizione a quella dei colonizzatori<ref>[[Robert Eric Frykenberg]]. ''The Emergency of Modern Hinduism''; in [[Gunther Dietz Sontheimer]] e [[Hermann Kulke]] (a cura di). ''Hinduism Reconsidered''. Delhi, Manohar, 1991, pp. 30-1.</ref><ref>Il termine ''hindutva'' che unisce il termine di origine persiana con il suffisso sanscrito ''tva'', a indicare la natura, la caratteristica, l'identità degli hindū, fu coniato da V.D. Savarkar (cfr. V.D. Savarkar, ''Hindutva. Who is a Hindu?'' pubblicato nel 1938, ma già fatto uscire nel 1923 sotto pseudonimo).</ref>. Anche se il termine ''hindu'' compare già nel XVI secolo in testi religiosi ''[[Visnuismo|vaiṣṇava]]'' in contrapposizione al termine ''yavana'' (musulmano)<ref>[[Joseph T. O'Connel]]. ''The word "Hindu" in Gaudiya Vaiṣṇava Text''. Journal of the American Oriental Society, 1973, XCIII, 3, p. 340-4.</ref>.
I fedeli hindu non indicano, tuttavia, la loro fede religiosa come "Hinduism" (Induismo), termine che non compare in alcun vocabolario indiano tradizionale antico o moderno<ref>[[Michel Delahoutre]]. ''Op. cit.''.</ref> quanto piuttosto come ''Sanātanadharma'' (Ordine, Norma, Religione eterna) in quanto i suoi fondamenti non sono frutto dell'esperienza umana, ma della rivelazione divina, fin dallo stesso ''[[Veda]]'' manifestatosi all'alba dei tempi ai veggenti detti ''[[Ṛṣi]]''.
O ancora lo indicano come ''Varṇāśramadharma'' ovvero come il ''[[Dharma]]'' che regge ogni essere secondo la sua collocazione (''[[varṇa]]'') assegnandogli un impegno suo proprio (''[[āśrama]]'') di ordine sociale, religioso e morale<ref name="ReferenceA">[[Michel Delahoutre]]. ''Op. cit.'', p. 912.</ref>.
L' "Induismo" viene tradizionalmente indicato anche come ''Āryadharma'', la Religione degli ''[[Indoari|ārya]]''<ref>''Dizionario sanscrito-italiano'' (direzione scientifica [[Saverio Sani]]). Pisa, ETS, 2009.</ref>, e ''Vaidikadharma'', la Religione del ''[[Veda]]''<ref>[[Klaus K. Klostermaier]]. ''Induismo. Una introduzione''. Fazi, 2004, p. 9.</ref>.
== Definizioni di Induismo ==
Il termine "Induismo" è dunque assolutamente recente e fu diffuso da [[Orientalistica|orientalisti]] occidentali e da studiosi indiani a partire dal XIX secolo, non solo, la sua stessa natura risente di questo processo:{{Citazione|È importante ricordare che la formazione dell'induismo, nella sua accezione corrente, ha avuto inizio soltanto nel XIX secolo, quando il termine fu usato da riformatori hindu e dagli [[Orientalismo|orientalisti]] occidentali.|{{Cita|Flood|p. 7}}}}
Il termine è peraltro di difficile definizione poiché si riferisce a numerose tradizioni religiose allo stesso tempo, senza che vi sia un elemento fondatore accomunante e senza che un'autorità centrale ne regoli la pratica<ref>{{Cita|Flood|p. 5}}.</ref>.
Ciò nonostante, Stefano Piano ritiene che con il termine "Induismo" si possa indicare "un'intera cultura, una visione del mondo e della vita, un modo di essere e di comportarsi, una serie di abitudini quotidiane che si tramandano da millenni, con scrupolosa tenacia, in seno a una civiltà estremamente fedele al proprio passato e nella quale predomina una concezione religiosa dell'uomo e dell'universo"<ref>{{Cita|Piano, 1993|p. 374}}.</ref>. L'induismo, più che una singola [[religione]] in senso stretto, si può considerare una serie di correnti religiose, [[Devozione|devozionali]] e/o [[Metafisica|metafisiche]] e/o [[Teologia|teologico]]-speculative, modi di comportarsi, abitudini quotidiane spesso eterogenee, aventi sì un comune nucleo di valori e credenze religiose, ma differenti tra loro a seconda del modo in cui interpretano la tradizione e la sua letteratura religiosa, e a seconda di quale aspetto diviene oggetto di focalizzazione per le singole correnti<ref name="Dela911">{{cita|Delahoutre|p. 911}}.</ref><ref name="Piano373" />. Come [[Heinrich von Stietencron]]<ref>{{Cita libro|nome=Heinrich|cognome= von Stietencron|titolo=Der Hinduismus|anno=2006|collana=Beck'sche Reihe Wissen|volume= 2158|curatore=C.H. Beck|città=Monaco}}</ref>, si può parlare piuttosto di "religioni hindū", come la ''[[visnù|vaiṣnava]]'', ''[[Śiva|śaiva]]'' o quella ''[[Śaktismo|śākta]]'', poiché tutti gli appellativi usati vengono rifiutati dagli intellettuali indiani di formazione non occidentale, e specialmente dagli aderenti all'ortodossia ''smārta'', in quanto considerano che si riferiscono a diversi aspetti di un'unica realtà spirituale, il ''Sanātanadharma''<ref>{{Cita|Filoramo, 2007|p. 12}}.</ref>.
In tal senso, il francese [[Alain Daniélou]] ricorda come per gli hindū dogmi e credenze costituiscono altrettanti ostacoli allo sviluppo del sapere e della conoscenza della realtà. Gli induisti hanno sempre cercato di stabilire un sincretismo di filosofie e religioni per esprimere le varie sfaccettature delle forze cosmiche.<ref>{{Cita libro|nome=Alain|cognome= Daniélou|titolo=Miti e dèi dell'India|anno=1992|editore=Rizzoli|città= Milano|p=29|citazione=La mitologia induista riconosce potenzialmente tutti gli dei. Poiché le energie che sono all'origine della manifestazione costituiscono soltanto aspetti della potenza divina, non può esserci alcun oggetto, alcun tipo di esistenza che non sia divino per sua stessa natura.}}</ref> Questo spiega come "la definizione di Induismo comprenda, in realtà, un insieme variegato di religioni e di visioni del mondo anche contrastanti"<ref>{{Cita libro|nome=Francesco|cognome= Sferra|titolo=Hinduismo antico|anno=2010|editore=Mondadori|città= Milano}}</ref>, sebbene questi siano espressi restando fedeli per tutta la vita a un ordine socio-culturale; motivo per il quale un induista non abbandonerà le norme, abitudini e comportamenti ed il fatto di essere nati in una casta (''jāti''). Il fattore etnico e culturale è determinante, in questo senso, affinché una persona si definisca ''hindu'' - stando almeno alla più comune e ortodossa delle formulazioni.
Questa teoria sembrerebbe dimostrata dal fatto che presso i principali [[santuari]] dell'Induismo, ad esempio il Tempio di [[Krishna|Kṛṣṇa]] a [[Puri]] ([[Orissa]]) o quello di [[Siva (divinità)|Siva]] a [[Katmandu]] in [[Nepal]]<ref name=Filo7 />, santuari appartenenti a differenti ''[[darśana]]'', possono avere ingresso solo gli [[india]]ni appartenenti a un ''[[varṇa]]'', a prescindere dalla loro fede religiosa<ref>La conversione ad una fede religiosa non hindu fa tuttavia perdere la qualifica di hindu. Cfr. [[Francesco Sferra]]. ''Op. cit.'', p. XII.</ref>, e non i non-indiani, anche se professanti una fede 'induista'. Nonostante questo, esistono convertiti di etnie diverse da quella indiana, che sono inoltre riusciti ad ottenere le iniziazioni per poter officiare nei templi.
Pur non essendo di facile definizione, per comprendere il termine ''hindu'' in un contesto di più ampio significato, avverte [[Michel Delahoutre]]:{{Citazione|Non basta, come una volta si credeva troppo facilmente, conoscere il [[sanscrito]], né fidarsi delle tradizioni portate avanti dai [[Bramino|brahmani]] che nel loro insieme sono indicate col termine [[Bramanesimo|brahmanesimo]]. Ora sono necessari la conoscenza delle lingue moderne e gli studi sociologici ed etnologici, che si occupano anche dei fenomeni recenti o attuali e del contatto con l'Occidente. Bisogna tener conto dei fenomeni di adattamento dell'induismo agli ambienti occidentali con l'apparizione di nuove sette, di nuovi ''[[guru]]'' o di nuovi ''[[Svāmin|swāmi]]''.|{{cita|Delahoutre}}}}
Quindi l'"Induismo" non è solo una "invenzione"<ref>{{Citazione|È noto che il termine “hinduismo” è un'invenzione degli europei; con questa parola (derivata dall'antico iranico hindu, che significa “fiume” [in sanscrito: sindhu] e, per estensione, “terra del fiume” e “[abitante della] terra del fiume”, con allusione al fiume per antonomasia, che è l'Indo) essi vollero indicare la “religione degli hindū”, come se si trattasse di una realtà unitaria:|Stefano Piano. ''Hinduismo: elementi fondamentali caratterizzanti la tradizione hindū''. Relazione presentata al Convegno internazionale "Hinduismo e cristianesimo: prospettive per il dialogo interreligioso", Torino, 20-21 novembre 2003}}</ref> degli orientalisti occidentali<ref>Cfr. al riguardo anche, ad esempio, [[Wilfred Cantwell Smith]]. ''The Meaning and End of Religion''. New York, Macmillan, 1962, p. 65 ma anche [[Heinrich von Stietencron]]. ''Hinduism: On the Proper use of A Deceptive Term'' in [[Gunther Dietz Sontheimer]] e [[Hermann Kulke]] (a cura di). ''Hinduism Reconsidered''. Delhi, Manohar, 1991, pp. 11-27.</ref> ma anche l'autorappresentazione, moderna, di elementi già presenti nel passato indiano<ref>{{Cita|Flood|pp. 7-8}}.</ref>.
=== Definizione secondo la Corte suprema dell'India ===
[[File:Supreme Court of India - 200705.jpg|min|La sede, a [[Nuova Delhi]] della [[Corte suprema dell'India]]]]
Nel [[1966]] la [[Corte suprema dell'India]], esprimendosi sul caso ''Shastri Vagnapurushdasji et al. contro Muldas Bhundardas'' definì normativamente la qualifica di ''hindu'', e quindi di ''induismo'', con i seguenti sette punti<ref>Qui [http://www.hinduismtoday.com/modules/smartsection/item.php?itemid=5047 un'ulteriore sentenza del 1986 che richiama, confermando, la sentenza del 1966] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20120402212327/http://www.hinduismtoday.com/modules/smartsection/item.php?itemid=5047|data=2 aprile 2012}}.</ref>:
# l'accettazione rispettosa dei ''[[Veda]]'' come la più alta autorità riguardo agli argomenti religiosi e filosofici, e l'accettazione rispettosa dei Veda da parte dei pensatori e filosofi induisti come base unica della filosofia induista;
# lo spirito di [[tolleranza]] e di buona volontà per comprendere e apprezzare il punto di vista dell'interlocutore, basato sulla rivelazione che la verità possiede molteplici apparenze;
# l'accettazione, da parte di ciascuno dei [[Darśana|sei sistemi di filosofia induista]], di un ritmo dell'esistenza cosmica che conosce periodi di creazione, di conservazione e di distruzione, periodi, o ''[[yuga]]'' che si succedono senza fine;
# l'accettazione da parte di tutti i sistemi filosofici induisti della fede nella [[rinascita (induismo)|rinascita]]<!-- Prego qualche esperto di mettere un wikilink più specifico, se esiste --> e [[preesistenza (induismo)|preesistenza]]<!-- Prego qualche esperto di mettere un wikilink più specifico, se esiste --> degli esseri;
# il riconoscimento del fatto che i mezzi o i modi di raggiungere la salvezza sono molteplici;
# la comprensione della verità che, per quanto grande possa essere il numero delle divinità da adorare, si può essere induisti e non credere che sia necessario adorare le ''[[Murti]]'' (rappresentazioni) delle divinità;
# a differenza di altre religioni o fedi, la religione induista non è legata a un insieme definito di concetti filosofici.
== Origini, genesi e sviluppo storico dell'Induismo ==
{{Vedi anche|Storia dell'Induismo}}
=== La religione della civiltà della valle dell'Indo ===
[[File:CiviltàValleIndoMappa.png|verticale|sinistra|min|L'area della Civiltà della valle dell'Indo. Si ritiene che questa civiltà si sia sviluppata intorno al 2500 a.C. tramontando intorno al 1800 a.C.; elementi della sua cultura religiosa sono poi riverberati nell'Induismo]]
[[File:Statuette Mehrgarh.jpg|verticale|sinistra|min|Statuetta della Dea della Civiltà della valle dell'Indo rinvenuta a Mehrgarh risalente al 3000 a.C. ([[Museo Guimet]] di [[Parigi]])]]
La generalità degli studiosi considera il [[Vedismo]], la religione dei ''[[Veda]]'' praticata dagli [[Indoari]], all'origine di quello che noi oggi indichiamo come "Induismo"<ref>{{Citazione|Secondo la teoria fino a oggi diffusa più largamente, l'induismo è il risultato delle incursioni di gruppi noti come [[Arii]], giunti intorno al [[1500 a.C.]] nelle pianure settentrionali dell'India dall'Asia centrale, attraversando i passi montani dell'[[Afghanistan]]|{{Cita|Flood|pp. 37-8}}}}</ref>.
Gli aspetti pre-vedici, pre-arii dell'Induismo derivano tuttavia dalla [[civiltà della valle dell'Indo]]. Questa civiltà ha origine nel [[Neolitico]] ([[VIII millennio a.C.|7000 a.C.]]), si è sviluppata a partire dal 3300 a.C.-2500 a.C. ed è tramontata intorno al 1800-1500 a.C.<ref>Cfr., a titolo esemplificativo, [[Mortimer Wheeler]]. ''The Indus Civilization: The Cambridge History of India. Supplementary Volume''. Cambridge, Cambridge University Press, 1953.</ref> Fu una civiltà agricola e urbanizzata molto sviluppata, con legami commerciali con la [[Mesopotamia]], che ha lasciato delle importanti vestigia e delle opere d'arte. Sono documentati diversi elementi di eredità linguistica e iconografica tra la Civiltà della valle dell'Indo e la cultura dravidica dell'India meridionale<ref name="Parpola">{{Cita libro|nome=Asko|cognome=Parpola|titolo=Deciphering the Indus Script|url=https://archive.org/details/decipheringindus0000parp|anno=1994|editore=Cambridge University Press|città=Cambridge}}</ref><ref>{{Citazione|Si è visto che l'induismo ha origini nelle antiche culture della civiltà della valle dell'Indo e degli Arii. Per quanto ancora si dibatta su questo tema, esistono prove consistenti a supporto della tesi che la lingua della valle dell'Indo fosse [[dravidi]]ca, diversamente dalla lingua degli Arii vedici, che era indoeuropea.|{{Cita|Flood|p. 12}}}}</ref>. La grande quantità di figurine rappresentanti la fertilità femminile ritrovate indicano un culto ad una "[[dea madre]]", che potrebbe essere all'origine del culto della Dea propria dell'Induismo successivo<ref name="HopHil2">{{Cita libro|nome=Thomas J.|cognome=Hopkins|nome2=Alf|cognome2=Hiltebeitel|titolo=Encyclopedia of Religion|annooriginale=1987|anno=2005|editore=Macmillan|città=Nuova York|pp=4468 e segg.|volume=vol. 7|capitolo=Indus Valley Religion}}</ref>. Le immagini di statuette prediligono rappresentare la divinità femminile in forma umana e quella maschile sotto forma animale (soprattutto [[Bos taurus|toro]], [[Bubalus bubalis|bufalo d'acqua]] e [[zebù]]).
[[File:Mohenjodaro Sindh.jpeg|min|Gli scavi archeologici a [[Mohenjo-daro]]]]
La Civiltà della valle dell'Indo decadde improvvisamente intorno al XIX secolo a.C. a causa, sembrerebbe, di mutamenti climatici come le siccità o le inondazioni. Ciononostante a Mohenjo-daro sono stati rinvenuti scheletri di vittime di una morte violenta, caduti lì dove sono stati ritrovati, secondo [[Mortimer Wheeler]]<ref>Mortimer Wheeler. ''The Indus Civilization: The Cambridge History of India. Supplementary Volume''. Cambridge, Cambridge University Press, 1953, p. 92.</ref> ciò testimonierebbe, comunque, l'invasione degli [[indoari]]. Nel 1500 a.C., l'arrivo dei conquistatori indoari nell'area del [[Punjab (regione)|Punjab]], sempre per Thomas J. Hopkins e Alf Hiltebeitel,<ref name="HopHil2" /> fece sì che tale cultura religiosa venisse ereditata solo dalle culture [[dravida|dravidiche]] dell'India meridionale, sopravvivendo al Nord ma limitata a piccole comunità rurali e riemergendo nel periodo tardo e post vedico.
=== I ''Veda'', la Religione vedica e il Bramanesimo ===
{{Vedi anche|Vedismo|Veda|Bramanesimo}}
Il periodo "vedico" (Vedismo) è considerato tale dall'ingresso degli [[Arii]] nell'India settentrionale fino alla invasione da parte di questi della piana del [[Gange]], VIII secolo a.C., e la costituzione di prime entità statuali nonché alla compilazione delle parti in prosa dei ''Veda'', i ''[[Brāhmaṇa]]'', e delle ''[[Upaniṣad]]'', i commentari redatti a partire dall'[[VIII secolo a.C.]] e per questo denominati come ''[[Vedānta]]'' (fine dei ''Veda'')<ref name="Piantelli">{{Cita libro|autore=[[Mario Piantelli]]|curatore=[[Giovanni Filoramo]]|titolo=Hinduismo|editore=Laterza|città=Bari|pp=3 e segg.}}</ref>. La [[religione vedica]] corrisponde a quella raccolta di testi, il ''[[Veda]]'', tramandata oralmente per secoli da scuole braminiche (dette ''sākhā'') prima di essere messa per iscritto in epoca moderna<ref>[[Mircea Eliade]] in ''Storia delle credenze e delle idee religiose'' vol. 1, Milano, Rizzoli, 2006, p. 211 nota come sia un tratto caratteristico della tradizione delle religioni indoeuropee quello di avvalersi della trasmissione orale e "al momento dell'incontro con le civiltà del Vicino Oriente, la proibizione di valersi della scrittura".</ref><ref>[[Gianluca Magi]] in ''Hindūismo'', "Enciclopedia filosofica" vol. 6. Milano, Bompiani, 2006, p. 5300 trattando della ''[[śruti]]'' ricorda: {{Citazione|la cosiddetta ''śruti'', la sapienza rivelata, "ascoltata" direttamente dall'Assoluto dai mistici veggenti (''[[ṛṣi]]''), intermediari umani che si sono limitati a riceverla e trasmetterla oralmente, poiché la trasmissione è considerata valida solo se è orale (mentre i testi scritti sono considerati testi morti che hanno perduto ogni potere magico).}}</ref><ref>{{Citazione|I testi vedici furono composti e trasmessi oralmente da maestro a discepolo senza l'uso della scrittura, secondo una linea ininterrotta di trasmissione formalizzata. Ciò assicurò una trasmissione testuale impeccabile, superiore ai testi classici appartenenti ad altre culture; questo metodo può essere paragonabile ad una registrazione su nastro effettuata in epoche comprese tra il 1500 ed il 500 a.C. circa. È stato così possibile preservare fino al presente non solo le parole ma anche l'accento tonale da lungo tempo perduto (come nel caso dell'antico greco o giapponese). Da una parte i Veda sono stati trascritti soltanto durante l'inizio del secondo millennio d.C., se alcune sezioni come una collezione delle Upaniṣad, furono forse trascritte soltanto nella metà del primo millennio, alcuni tentativi precedenti senza successo (vi erano in certe Smṛti delle regole che vietavano di trascrivere i Veda) furono fatti attorno alla fine del primo millennio a.C.
Comunque, quasi tutte le edizioni stampate si basano su manoscritti tardi, difficilmente più antichi di 500 anni, piuttosto che sulla superiore tradizione orale ancora esistente. La recitazione corretta di molti testi continua in alcune aree tradizionali come il Kerala, il Tamil Nadu del sud, nella fascia costiera dell'Andhra, Orissa, Kathiawar, a Poona o a Benares. Nei pochi decenni passati vi è stato il tentativo da parte di studiosi locali e stranieri di conservare, o almeno di registrare, la tradizione orale. Ciononostante non esiste ancora, fino ad oggi, alcuna completa registrazione audio o video di tutte le recensioni vediche (śākhā) e alcuni testi sono andati perduti persino nel corso dei pochi decenni passati. (Traduzione dall'originale in lingua inglese).|[[Michael Witzel]] ''Vedas and Upaniṣads'' in ''The Blackwell Companion to Hinduism'' (a cura di Gavin Flood). Oxford, Blackwell Publishing, 2003}}</ref>. Successivamente gli indoari si spostarono verso Sud e verso Est in un processo di conquista che non fu mai terminato, essendoci tutt'oggi vasti territori dell'India meridionale ed orientale dove ancora si parlano dialetti [[Lingue dravidiche|dravidici]] e [[Lingue munda|munda]]<ref>[[Francisco Villar]]. ''Gli Indoeuropei''. Bologna, il Mulino, 1997, p. 558.</ref>.
Il periodo successivo al "Vedismo", a partire dall'VIII secolo a.C. fino a primi secoli della nostra Era, gli [[Storia delle religioni|storici delle religioni]] lo denominano come [[Bramanesimo]], mentre quello successivo a questo e fino ai giorni nostri viene indicato come Induismo<ref name="Piantelli" />.
Il passaggio dal "Vedismo" al [[Bramanesimo]] corrisponde alla progressiva sostituzione delle figure sacerdotali coinvolte nei [[Yajña|riti sacrificali]]. Se nel primo ''[[Veda]]'', il ''[[Ṛgveda]]'', l'officiante delle libagioni è lo ''hotṛ'' (corrispondente allo ''[[zaotar]]'' dell{{'}}''[[Avestā]]''), accompagnato da altre figure sacerdotali minori, con il passare dei secoli e con l'elaborazione dottrinale all'interno degli stessi ''Veda'', sopraggiunge la figura dello ''udgātṛ'' il cantore delle melodie del ''[[Sāmaveda]]'', sostituito poi anch'esso come figura sacerdotale primaria dallo ''adhvaryu'', il mormorante i ''[[mantra]]'' relativi allo ''[[Yajurveda]]'' e, infine con il Bramanesimo, dal ''brāhmaṇa'', l'ultimo dei sacerdoti che sovrintendeva alla correttezza del rito, riparando a qualsiasi errore, e detentore dell'ultimo ''Veda'', lo ''[[Atharvaveda]]''<ref>{{Cita libro|nome=Alf|cognome=Hiltebeitel|titolo=Hinduism|collana=Encyclopedia of Religion|anno=2004|editore=MacMillan|città=New york|p=3991|volume=vol.6|capitolo=Religions of the Brāhmaṇas}}</ref>.
== Credenze e pratiche comuni nell'Induismo ==
[[File:പുത്തില്ലത്ത് രാമാനുജൻ സോമയാജിപ്പാട്.jpg|min|verticale|Un [[bramino]] ''[[Nambūṭiri]]'' ([[Kerala]]) durante il rito dello ''[[agnicayana]]''. ]]
[[File:Iyengar Vedic students 1909.JPG|min|''Brahmācarin'' ''[[vaiṣṇava]]'' presso un ''[[gurukula]]'' a [[Tanjore]] nel 1909. Il segno che corre dalla fronte lungo il naso corrisponde al ''[[tilaka]]'' ed è un marchio che li identifica come appartenenti al loro ''[[sampradāya]]'', esso è composto da argilla bianca detta ''gopīcandana'' proveniente dalla città di Dvārakā ([[Dwarka]]), e rappresenta i due piedi di [[Kṛṣṇa]] (le linee parallele) che terminano con una foglia di [[Tulasī]] (''[[Ocimum tenuiflorum]]'') pianta sacra al dio e a lui offerta. I devoti al dio disegnano dodici ''tilaka'' sul proprio corpo prima di avviare le attività devozionali quotidiane]]
[[File:Bhaktisiddhanta2.jpg|min|[[Bhaktisiddhānta Sarasvatī Ṭhākura]] (1874-1936) ''guru'' e ''saṃnyāsin'' del [[paramparā|lignaggio]] del ''[[sampradāya]]'' kṛṣṇaita fondato da [[Caitanya]] nel XV secolo. Il segno che corre dalla fronte lungo il naso corrisponde al ''[[tilaka]]'' ed è un marchio che lo identifica come appartenente al suo ''[[sampradāya]]'']]
[[File:MKGandhi.jpg|min|verticale|[[Mohandas Karamchand Gandhi]] (1869-1948), pensatore e politico indiano.]]
La nozione più pertinente che caratterizza e riassume la vita religiosa di un hindu è quella che richiama il nome tradizionale di ''varṇāśramadharma'',<ref name="ref_A">[[Klaus K. Klostermaier]]. ''Op. cit.'', p. 35</ref> considerato esso stesso sinonimo di "religione induista"<ref name="ReferenceA"/>.
=== ''Varṇa'': Il sistema castale hindu ===
{{Vedi anche|Varṇa}}
Il nome ''varṇāśramadharma'' si compone innanzitutto del termine ''[[varṇa]]'', che in sanscrito significa "colore" e indica l'appartenenza a una determinata "casta"<ref>Da rammentarsi, tuttavia, che il termine "casta" origina da identico termine portoghese col significato in quella lingua di "razza pura" e usato dagli stessi Portoghesi nel XVI secolo per indicare il sistema castale indiano. Il termine è di origine latina, ''castu'', ''castum'', col significato di "puro".</ref> (detta anche ''jāti''), perché a ognuna di queste caste viene assegnato un colore simbolico<ref>Questo fin dal ''[[Mahābhārata]]'' cfr. XII,188,5.</ref>.
I ''brāhmaṇa'' (italianizzato in "[[Bramino|bramano]]") sono coloro che svolgono le funzioni sacerdotali o eminentemente religiose, gli ''[[kṣatriya]]'' sono coloro che svolgono le funzioni guerriere o politico-amministrative (potere temporale, ''kṣatra''), i ''[[vaiśya]]'' sono coloro che svolgono le attività lavorative agricole, l'allevamento del bestiame o il commercio, gli ''[[śūdra]]'', l'ultima casta, sono i discriminati, portatori di "disgrazia". Così le donne di casta ''brāhmaṇa'' debbono necessariamente unirsi con uomini della loro stessa casta, se disgraziatamente, ad esempio, si uniscono a dei ''śūdra'' i loro figli saranno dei ''caṇdāla'', infimi tra i fuoricasta. La proliferazione delle ''jāti'' è motivata dalla presenza del ''[[kaliyuga]]'' e condannata fin dalla ''[[Bhagavadgītā]]'' come provocatrice dello stesso.<ref>Da notare che più avanti nel testo è lo stesso [[Kṛṣṇa]] a dichiarare che egli è l'autore del sistema castale:{{Citazione|Le quattro caste sono state emanate da me, colla varia distinzione dei costituenti e delle azioni. Io sappi sono l'autore di esse, sebbene imperituro e non autore di alcunché.|''[[Bhagavadgītā]]'', IV 13. Traduzione di [[Raniero Gnoli]]}}</ref>
{{Senza fonte|Molti nella storia furono i movimenti contro il sistema delle classi. In origine infatti esse erano presentate come constatazione della realtà della società antica indiana, e solo dopo divennero un metodo di oppressione, utilizzato soprattutto dagli invasori, prima musulmani e poi cristiani}}. Questa visione è suggerita anche da testi come [[il codice di Manu]], che risale al primo secolo dell'era moderna. Esso infatti dice che le varie classi nascono dalle varie parti del corpo del Signore [[Visnù|Vishnu]]: I [[Bramino|Brahmini]] dalla testa, Gli [[Kshatriya]] dalle Braccia, i [[Vaishya]] dalle gambe e gli [[Shudra]] dai piedi.
{{Senza fonte|Nel mondo induista esiste anche un altro tipo di differenziazione fra i membri della comunità, detta [[Jati]]. Essa è molto più simile al concetto occidentale di [[cognome]] e ve ne sono a migliaia. Spesso si basa sul lavoro svolto dai propri antenati.}}
Oltre agli hindu inseriti nel sistema castale vi è infatti il numeroso gruppo degli ''avarṇa'' (privi di colore, i "fuori casta"), gli "intoccabili" (''niḥspṛśya''). L'appartenenza a un ''varṇa'' non indica un'attività professionale, né tanto meno individua un gruppo di persone che svolge attività simili (''śreṇi'') esso indica piuttosto il ruolo e il compito religioso in cui è collocato un individuo fin dalla sua nascita secondo la tradizione vedica.
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{{Vedi anche|Ashrama}}
Il "percorso" esistenziale e religioso dei quattro stadi della vita di un hindu inerisce esclusivamente, almeno nelle sue formulazioni tradizionali, agli appartenenti di sesso maschile delle caste cosiddette ''ārya'' (ovvero ai primi tre ''varṇa''), essendo rigidamente esclusi da tale percorso sia gli ''śūdra'' (e a maggior ragione i "fuori casta") sia le donne, a qualsiasi casta queste ultime appartengano.
Tali stadi sono propugnati dalla letteratura ''[[Smṛti]]'', in particolar modo dai cosiddetti ''[[Dharmaśāstra]]'', e sono conformi alla suddivisione in quattro parti della ''[[Śruti]]''.
* ''[[Brahmācarya]]'': è lo stadio del giovane studente religioso, il ''brahmācarin'' che deve avviarsi e completare lo studio del ''Veda'' presso un maestro (''guru''), praticando una rigida castità. Si accede a questo stadio e alla relativa vita religiosa con il rito, fondamentale, dello [[upanayana]].
* ''[[Grihastha|Gārhasthya]]'': il fanciullo ormai divenuto uomo rientra nella normale vita familiare per prepararsi al matrimonio ed essere colui che "sta in casa" (''gṛastha'') compiendo i riti propri del capofamiglia, ma anche godendo delle legittime soddisfazioni mondane. Questa fase della vita è molto importante per l'intera società hindu perché, come ricorda la stessa ''[[Manusmṛti]]''<ref>''Manusmṛti'', III, 77 e anche{{Citazione|Secondo i dettami dei testi rivelati del Veda, però, tra tutti questi il capofamiglia va considerato il migliore, in quanto sostiene gli altri tre.|''Manusmṛti'' VI,89. Traduzione di Federico Squarcini e Daniele Cuneo in ''Il trattato di Manu sulla norma''. Torino, Einaudi, 2010}}</ref>, tutti gli uomini che vivono negli altri stadi della vita dipendono da coloro che vivono in questo.
* ''[[Vanaprastha|Vānaprastha]]'': in questa condizione, un capofamiglia ormai invecchiato ha ancora dei precisi doveri rituali, ma si approssima alla condizione totalmente ascetica successiva rinunciando ai piaceri mondani, vivendo in uno stato di povertà, meditando sul ''Veda'' e praticando lo ''[[yoga]]'' e l'ascesi (''tapas'').
* ''[[Saṃnyāsa]]'' (rinuncia al mondo): «Dopo aver trascorso il terzo quarto della propria vita nella selva, durante il quarto egli abbandonerà gli attaccamenti e diverrà un asceta errante»<ref>''Manusmṛti'' VI,33. Traduzione di [[Federico Squarcini]] e [[Daniele Cuneo]] in ''Il trattato di Manu sulla norma''. Torino, Einaudi, 2010</ref>. Quindi come "asceta errante" (''yati'') privo di qualsiasi possesso, di casa o di focolare, vivrà solo di [[elemosina|elemosine]].
=== ''Dharma'': le norme religiose ===
{{Vedi anche|Dharma}}
Originariamente la nozione di ''Dharma'' implicava l'armonia necessaria all'universo affinché esso mantenga la sua coerenza ed il suo ordine<ref>[[Gianluca Magi]]. ''Dharma'' in ''op. cit.''</ref>. Il mantenimento di tale ordine del Cosmo non poteva che riflettersi nel destino dell'individuo che se ne faceva portatore, ovvero nel suo ''[[karma]]n'', ne consegue che progressivamente i due termini vengono a collegarsi fino a che, nel II secolo a.C. Il termine ''dharma'' viene quindi a significare per l'individuo l'insieme degli obblighi che deve soddisfare per vivere nell'ordine naturale, e quindi per inserirsi nella società<ref>[[William K. Mahony]]. ''Dharma induista''. in "Enciclopedia delle Religioni", vol. 9. Milano, Jaca Book, 2006, p. 99</ref>.
Oltre questo ''varṇāśramadharma'' (anche ''svadharma'') che inerisce al dovere dell'individuo considerato il suo posto sociale e la sua età ovvero la sua specificità (''viśeṣ''), vi sono altri aspetti, più generali, che riguardano tutti gli hindu a prescindere dalla loro casta e dal loro momento di vita e sono quelli elencati, ad esempio, nello ''[[Arthaśāstra]]'' (I,3,13), nel ''Manusmṛti'' o nell'ancora più completo ''[[Vāmana Puraṇa]]'' che si possono esemplificare nelle regole del tipo "non uccidere", "non mentire", "mantenere la purezza", ecc. Tale ''Dharma'', detto ''sādhāraṇadharma'', si esprime soprattutto per mezzo di alcune importanti dottrine, considerate alla base dello stesso ''Dharma'', tra queste l{{'}}''ahiṃsā'' (lett. "assenza del desiderio di uccidere") e la ''[[Satya]]'' ("sincerità", "veridicità").
=== ''Ahiṃsā'' ("assenza del desiderio di uccidere") ===
{{Vedi anche|Ahiṃsā}}
''[[Ahiṃsā]]'', intesa in ambito occidentale e moderno come "non violenza"<ref>[[Madeleine Biardeau]] ''Op. cit.'', p. 50</ref>, è visto innanzitutto, a partire dal 500 a.C., come un mezzo per evitare di subire nell'aldilà la stessa sorte che si è fatta subire in vita agli altri<ref>[[Colette Caillat]], ''Ahiṃsā'', in ''Enciclopedia delle religioni'', vol. 9. Milano, Jaca Book, 2006, pp. 5-6.</ref>. In seguito, col cambiamento della dottrina, il concetto arriverà a includere le nozioni di [[Compassione (filosofia)|compassione]] e [[solidarietà]] per tutti gli esseri viventi.
Nel XX secolo [[Mahatma Gandhi|Gandhi]] (1869-1948) utilizzò largamente la nozione di ''ahiṃsā'' che «in certa misura, reinterpretò»<ref name="autogenerato2">[[Colette Caillat]]. ''Op. cit.''</ref> essendo peraltro, e per sua stessa ammissione, influenzato su questo dal laico giainista [[Raychandbhai Ravajibhai Mehta]] (1861-1907)<ref name="autogenerato2" />. Secondo Gandhi, l{{'}}''ahiṃsā'' è la condizione della "Verità" identificabile con Dio stesso. L{{'}}''ahiṃsā'', fondata per Gandhi su un continuo autocontrollo, deve quindi essere associata alla castità, alla povertà e all'empatia nei confronti di tutti gli esseri viventi.
=== ''Satya'': "sincerità", "veridicità" ===
{{Vedi anche|Satya}}
{{...|religione}}
=== ''Puruṣārta'': i quattro scopi legittimi della vita di un hindu ===
[[File:Kamasutra 106.jpg|min|Una delle sculture erotiche del complesso monumentale di [[Khajuraho]] ([[Madhya Pradesh]], [[India]]). L'erotismo ha un posto preciso tra i legittimi scopi della vita (indicato come ''kāmārtha'') di un ''gṛastha''. Su di esso vi è una raccolta di letteratura religiosa denominata ''Kāmaśāstra'', nella quale sono conservati i trattati braminici detti ''[[Kāmasūtra]]'' a cui avevano accesso anche le donne. La legittima soddisfazione sessuale non è riservata solo al capo famiglia, ma anche alle sue spose. Essa deve quindi risultare reciproca:{{Citazione|Stabile prosperità e buona sorte sorridono incessantemente alla famiglia in cui il marito è soddisfatto dalla moglie e la moglie è soddisfatta dal marito. Infatti se la donna non risplende, non potrà far gioire l'uomo. E senza la gioia dell'uomo non vi sarà alcuna progenie.|''Manusmṛti'' III, 60. Traduzione di [[Federico Squarcini]] e [[Daniele Cuneo]] in ''Il trattato di Manu sulla norma''. Torino, Einaudi, 2010, pp. 51-2}}L'amore è tuttavia il dovere proprio di una donna (''svadharma'') segnatamente indicato come ''strīdharma'' (dovere della donna)<ref>Cfr., tra gli altri, [[Madeleine Biardeau]]. ''Op. cit.'', pp. 67-74</ref>]]
Collegata alla duplice nozione del ''varṇāśramadharma'', è la nozione dei "quattro scopi legittimi della vita" (''[[puruṣārta]]''), composti dai tre legittimi obiettivi "mondani" (''trivarga'') e uno, ''mokṣa'', che li trascende tutti.
* ''[[Artha]]'': ricchezza materiale, successo, benessere, potere, anche politico; in tal senso il manuale del "buon governo" l{{'}}''Arthaśāstra'' attribuito al ministro di [[Candragupta Maurya]], [[Kauṭila]].
* ''[[Kāma]]'': piacere, soddisfazione dei desideri, anche sessuali; in tal senso i manuali del sesso, i ''[[Kāmasūtra]]'' tra cui quello di [[Vātsyāyana]].
* ''[[Dharma]]'': giustizia, etica, ordine, valori, anche religiosi; questo scopo deve inglobare e guidare i due precedenti di modo che essi non sconfinino nell'illegittimità, fornendogli quella necessaria armonia con la legge e l'ordine dell'intero universo; in tal senso le opere che vanno sotto il nome di ''[[Dharmasūtra]]'' e ''Dharmaśāstra''.
* ''[[Mokṣa]]'': (o ''mukti''), la liberazione assoluta, ovvero il fine ultimo di ogni esistenza hindu e di ogni esistenza in genere e consiste nella liberazione dalle catene del nascere-morire (''[[saṃsāra]]'', lett. "scorrere insieme") obiettivo ultimo dell'ultimo stadio della vita, il ''[[saṃnyāsa]]''; in tal senso i ''sūtra'' propri delle differenti ''[[Darśana]]'' .
=== ''Saṃskāra'': le cerimonie della vita ===
{{vedi anche|Saṃskāra}}
{{...|religione}}
=== La vita quotidiana di un devoto hindu ===
Come già premesso precedentemente, le descrizioni dei comportamenti religiosi che seguiranno ineriscono principalmente, se non esclusivamente, ai maschi delle tre prime caste, gli ''ārya '', risultando esclusi, dalle pratiche qui descritte, sia gli ''śūdra'' che le donne, a qualsivoglia casta queste ultime appartengano. Pur originando da tradizioni antiche queste pratiche, anche se modificate, possono avere un ruolo per gli hindu di oggi<ref name="ref_A" />.
Il capofamiglia (''snātaka'') deve svegliarsi all'aurora, prima che il sole sorga, e prima di rivolgersi a chicchessia deve pronunciare il nome della sua divinità (''iṣṭa devatā''). Successivamente si guarda il palmo delle mani, come segno di buon augurio, e sempre per compiere un gesto di buon auspicio deve toccare con la mano la terra. Quindi, di fronte all'altare familiare, deve pronunciare dei ''[[mantra]]'', riflettendo su come, durante la giornata, potrà rispettare il ''Dharma'' (le norme religiose ed etiche) svolgendo le incombenze riguardanti la sua attività (''artha'', nel senso di ricchezza).
Le norme igieniche e di purezza posseggono un valore molto importante per gli hindu e per questo sono rigidamente codificate, a cominciare dal bagno quotidiano che deve essere eseguito con la recitazione di ''mantra'' appositi.
Durante le abluzioni nel fiume spesso viene praticato il rito detto ''[[tarpaṇa]]'', consistente nel raccogliere dell'acqua fluviale con i palmi delle mani unite, riversandola mormorando dei ''mantra'', questo allo scopo di rispettare sia le divinità che i 'padri' (''[[pitṛi]]'', gli antenati).
Dopo le abluzioni del mattino, l'hindu appone sul suo corpo, e sul suo volto, i ''[[tilaka]]'', ovvero i contrassegni del proprio ''[[sampradāya]]'' (comunità, confessione, religiosa), necessari poiché grazie all'apposizione di questi segni i riti quotidiani daranno frutto.
Segue la [[preghiera]] del mattino indicata come ''saṃdhyā'', consistente anche nella recitazione, per diverse volte, dei versi del ''[[Gāyatrī]]'', il primo ''mantra'' che l'hindu ha imparato a memoria durante il suo ''[[brahmācarya]]'':
{{Citazione|Meditiamo sullo splendore eccelso del divino Sole (Vivificante), possa Egli illuminare le nostre menti|''[[Ṛgveda]]'' III,62,10|tat saviturvareṇyaṃ<br>bhargho devasya dhīmahi<br>dhiyo yo naḥ pracodayāt|lingua=sa}}
Segue l'eventuale ''[[pūjā]]'' ([[adorazione]]) che consiste nell'adorazione per mezzo di luci fatte ondeggiare, incenso bruciato e prostrazioni nei confronti della divinità prescelta, queste adorazioni si differenziano a seconda del ''[[sampradāya.|sampradāya]]'' dell'officiante, anche queste, tuttavia, vanno meticolosamente eseguite secondo un ordine prestabilito.
L'adorazione nei confronti della divinità è l'adempimento del primo dei "cinque debiti" (''pañcāṛṇa'') che un uomo contrae al momento della sua nascita:
# il debito verso i ''[[deva]]'' che si ripaga per mezzo dell'adorazione e dei sacrifici;
# il debito nei confronti dei ''[[ṛṣi]]'', gli antichi saggi, che si ripaga per mezzo dello studio durante il ''[[brahmācarya]]'';
# il debito verso i ''[[pitri|pitṛ]]'', gli antenati, che si ripaga per mezzo della procreazione della prole, e nei confronti dei propri maestri che si ripaga per mezzo delle donazioni;
# il debito verso l'umanità che si ripaga per mezzo del dovere dell'ospitalità;
# il debito nei confronti di tutti gli esseri che si ripaga offrendo agli animali gli avanzi dei pasti.
==== ''Yajña'' e ''Pūjā'': i sacrifici e le offerte ====
Lo Yajna era il rituale più importante nell'antica india, oggi poco praticato. Yajna significa fuoco, ed infatti il rituale era incentrato sul bruciare offerte ai [[Deva]] in un grande fuoco mentre si recitavano parti dei [[Veda]]. I Brahmini consumavano poi i resti del cibo. Questo era svolto per poter avere favori terreni dagli Dei, il sacrificio più grande che si poteva fare era quello di un cavallo. Ad oggi il sacrifico animale rituale è vietato dalla maggior parte dei [[Sampradāya|Sampradaya]] se non nella tradizione [[Shaktismo|Shakti]], espansa soprattutto nello stato Indiano del [[Bengala Occidentale|West Bengal]]. Ad oggi il rituale più diffuso è il [[Pūjā|, puja,]] esso si basa sulla devozione. Il tradizionale Puja è composto da 16 fasi. Soprattutto nella tradizione [[Vaishnava]] le offerte di cibo vengono consumate dai fedeli, il cosiddetto [[Prasadam]].{{Vedi anche|Sacrificio animale nell'induismo}}
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=== ''Vimāna'' e ''Mandira'': i templi degli hindu ===
{{...|religione}}
==== Consacrazione dei templi e delle immagini sacre ====
{{...|religione}}
==== I pellegrinaggi ====
{{...|religione}}
==== Le festività religiose ====
[[File:Veerabhadraswamy Jaathre Rathotsava.jpg|min|Challakere Virabhadraswamy Rathostava, la processione festiva del tempio principale della città di Challakere (il tempio del dio Virabhadra), nel distretto di Chitradurga (India). Il carro su cui è issato il dio (in questo caso Virabhadra, emanazione di Śiva) intende rappresentarne la struttura templare]]
[[File:Chariots ready to be Pulled by the devotees.jpg|verticale=1.4|min|I tre carri che costituiscono la processione detta dello ''rathayātrā'' (रथयात्रा, "processione del carro") nella città di Puri (Oṛiśā). Questa festa, celebrata nel mese di Aṣāḍha (corrispondente al nostro giugno-luglio), all'avvio della stagione del monsone estivo, intende celebrare Viṣṇu Jagannātha (Viṣṇu "Signore dell'universo") nel suo triplice aspetto divino: Kṛṣṇa, il fratello Balabhadra e la sorella Subadhrā]]
Il termine sanscrito più antico con cui si indica una festa religiosa è ''samāja'' (समाज, inteso come "riunione"). Altri termini usati sono: ''utsava'' (उत्सव; ne sottolinea la gioiosità), ''mahotsava'' (महोत्सव; sempre inerente alla gioiosità), ''mahas'' (महस्; ne indica la magnificenza), ''vrata'' (व्रत; ne indica l'osservanza dei riti e dei precetti religiosi), ''parvan'' (पर्वन्; ne indica il giorno fausto rispetto al tradizionale calendario lunare, questo detto ''pañcāṅga'', पञ्चाङ्ग).
La presenza di feste religiose nella cultura hindu, ha origine remote ed è testimoniata già da allusioni presenti nel ''Ṛgveda'', confermata dalla più tarda letteratura buddhista e da testi appartenenti alla ''Smṛti'', nonché testimoniata da fonti epigrafiche queste risalenti fin dal III secolo a.C.<ref>Su questo cfr. Brijendra Nath Sharma, ''Festivals of India''. New Delhi, Abhinav Publications, 1978, pp. 7 e sgg.</ref>.
L'anno liturgico dell'Induismo prevede numerose feste religiose. Tranne quella detta dello ''Makara-saṃkrānti'' (in devanāgarī: मकरसंक्रान्ति), tutte le altre feste religiose non sono legate all'anno solare ma sono mobili e corrispondono al calendario lunare di dodici mesi, che termina, a seconda delle regioni, o con un giorno di luna nuova (''amanta'') o con quello di luna piena (''pūrṇimānta'')<ref name=Piano>{{Cita libro|nome=Stefano|cognome= Piano|titolo=Lo hindūismo. La prassi religiosa}}</ref><ref>{{Cita|Filoramo, 2007|p. 235}}.</ref>.
Il ''Makara-saṃkrānti'' intende festeggiare il passaggio del sole nel segno del capricorno (''makara'') e corrisponde alle medesime origini delle nostre feste di Natale/Capodanno<ref name=Piano />. In questa circostanza avviene il bagno di purificazione nel Gange detto ''Gaṅgā-sāgara-melā'' che si compie alle foci del fiume, presso l'isola di Sāgara.
A partire dal periodo dei Gupta (IV-V sec. d.C.), periodo in cui si osserva la diffusione di templi e santuari per tutta l'India, si diffondono le feste templari spesso dette ''rathotsava'' (रथोत्सव; "festa del carro") per via della diffusa pratica di issare su un carro in legno, fabbricato e adornato in modo da riprodurre la struttura del ''vimāna'' (विमान; il "tempio"), l'immagine del dio a cui il tempio è dedicato.
La più nota festa ''rathotsava'' è quella celebrata nella città di Puri, capoluogo dello Stato indiano di Oṛiśā. Questa festa, detta semplicemente ''rathayātrā'' (रथयात्रा, "processione del carro"), viene celebrata in onore di Viṣṇu Jagannātha (Viṣṇu "Signore dell'universo") nel mese di Aṣāḍha (corrispondente al nostro giugno-luglio), all'avvio della stagione del monsone estivo.
Le feste sono numerose e sono legate alla celebrazione di un dio. Generalmente sono precedute dal [[digiuno]], hanno il loro centro nella processione con la statua del dio posta su un carro adornato o su un trono. Tra le principali feste si possono ricordare:
* la festa di Holi: è celebrata in primavera e i passanti vengono aspersi con acqua;
* la festa delle nove notti: è celebrata in onore della dea Parvati, sposa di Śiva. Per nove giorni si fabbricano statuette di Parvati, che il decimo giorno vengono immerse nel fiume più vicino;
* la festa di Divalī: si svolge fra settembre e ottobre. Le case e i templi vengono ornati di festoni con migliaia di lampade;
* la grande notte di Śiva: è celebrata fra gennaio e febbraio in onore di Śiva.
=== La cosmogonia e la cosmologia tradizionale indù ===
{{vedi anche|Cosmologia induista}}
==== La manifestazione (''sṛṣṭi'') e il dissolvimento (''pralaya'') ====
[[File:Lord Vishnu.jpg|verticale=1.2|min|Rappresentazione moderna del [[mito cosmogonico]] di [[Nārāyaṇa]].
La divinità di [[Nārāyaṇa]] è presente nel ''[[Śatapatha Brāhmaṇa]]''<ref>''[[Śatapatha Brāhmaṇa]]'' XIII,6,1</ref> dove è indicato come il ''Puruṣa'' supremo, l'essere primordiale cosmico origine di tutte le cose.]]
La descrizione hindu del processo di genesi dell'universo, pur avendo origini vediche, si è definita con la letteratura raccolta nella ''[[Smṛti]]'' in particolar modo in quella ''[[Purāṇa|puraņica]]''.
L'universo secondo gli indù è una realtà destinata a scomparire o meglio ad entrare in un periodo di latenza, di non manifestazione (''avyakta'') da cui riemergerà con una nuova emanazione (detta anche ''sarga''). Tutto questo accade da sempre e per sempre accadrà. Colui che provoca ciò possiede l'appellativo di ''[[Bhagavat]]'' (Colui che è divino, che è degno di adorazione, l'Essere supremo eterno e inconcepibile) o anche di ''Svayambhu'' (Esiste da se stesso), e la compie al solo fine del gioco (''līlā'')<ref>{{Citazione|Questo processo non ha fine, né altro scopo, che il gioco (''[[līlā]]''), del Signore.|{{Cita|Flood|p. 52}}}}</ref>.
Il processo di emanazione si avvia con la fuoriuscita delle acque<ref>Vedi anche il mito cosmogonico vedico in cui Indra uccide il serpente cosmico [[Vṛtra]] liberando le acque e dando via alla creazione:{{Citazione|Uccise il serpente che giaceva sulla montagna, [[Tvaṣṭṛ]] gli aveva foggiato il ''[[vajra]]'' (fulmine) risonante- come le vacche che muggendo fuggono fuori dal recinto, così le acque scesero rapidamente verso il mare. Eccitato prese il Soma bevendone il succo nelle coppe di triplice legno. Il generoso prese il ''vajra'', l'arma che si lancia, è colpì il primo tra i serpenti. Quando tu. Indra, uccidesti il primo tra i serpenti annientasti anche gli inganni dei mentitori, generando il sole, il cielo, l'aurora. Nessuno più ti resistette.|''[[Ṛgveda]]'',I,32,2-4|ahannahiṃ parvate śiśriyāṇaṃ tvaṣṭāsmai vajraṃ svaryaṃ tatakṣa vāśrā iva dhenavaḥ syandamānā añjaḥ samudramava jaghmurāpaḥ vṛṣāyamāṇo.avṛṇīta somaṃ trikadrukeṣvapibat sutasya āsāyakaṃ maghavādatta vajramahannenaṃ prathamajāmahīnām yadindrāhan prathamajāmahīnāmān māyināmamināḥ prota māyāḥ āt sūryaṃ janayan dyāmuṣāsaṃ tādītnāśatruṃ na kilā vivitse|lingua=sa}}</ref> dove egli pone il proprio [[sperma]]<ref name="ReferenceB">{{Cita|Filoramo, 2007|p. 73}}.</ref> generando l'uovo/embrione d'oro (''hiraṇyagharbhaḥ'')<ref>{{Citazione|In principio si sviluppò come un embrione d'oro. Fin dalla sua nascita l'Uno fu il signore di ciò che era venuto in essere. Egli è diventato il sostenitore della terra e di questo cielo: al quale mai altro dio dovremmo noi offrire la nostra adorazione per mezzo dell'oblazione|''[[Ṛgveda]]'', X,121,1. Traduzione di [[Saverio Sani]] in ''Ṛgveda''. Venezia, Marsilio, 2000, pp. 68-9|hiraṇyagharbhaḥ samavartatāghre bhūtasya jātaḥ patirekaāsīt sa dādhāra pṛthivīṃ dyāmutemāṃ kasmai devāyahaviṣā vidhema|lingua=sa}}</ref>. Il non generato, il ''Bhagavat'', prende al suo interno la forma di Brahmā che ricalca, secondo Mario Piantelli<ref name="ReferenceB"/> i più antichi ''hiraṇyagharbhaḥ'' e [[Prajāpati]]<ref>Principio cosmogonico enunciato diffusamente nei ''[[Brāhmaṇa]]''</ref>.
Dopo essere rimasto per un secolo nell'uovo d'oro, [[Brahmā]] lo rompe fuoriuscendone, creando quindi nella parte superiore dell'uovo il mondo celeste, nella parte inferiore la terra e in mezzo lo spazio, l'etere. Tutto l'universo coincide con l'uovo di Brahmā (''Brahmāṇḍa'').
Con l'universo Brahmā genera i ''[[deva]]'', il tempo, gli astri e i pianeti, le terre con i monti, gli oceani, i fiumi, ma anche delle potenze impersonali come l'Ascesi (''tapas''), la Parola (''vāc''), il Desiderio (''kāma''), gli opposti (caldo-freddo, ''Dharma-Adharma'', ecc.). E come il ''Puruṣa'' del ''Veda'' genera l'umanità ripartendola nelle quattro funzioni corrispondenti ai ''Varṇa''. Questa "letizia" con cui Brahmā genera i mondi, mal si pone con le esigenze di svalutazione degli stessi promosse, ad esempio, dall'ascetismo ''śivaita''{{#tag:ref|[[Śiva]] rifiuta l'invito di Brahmā a generare con lui nuovi esseri, motivando questo rifiuto col fatto che sarebbe disposto solo a generare esseri eterni e felici e non destinati alla morte e alla sofferenza.<ref>{{Cita|Filoramo, 2007|p. 77}}.</ref>}}.
Terminata la genesi dei mondi, e terminati i cicli della loro manifestazione, il fuoco di Śiva distrugge ogni cosa e Brahmā riassorbe tutto entro di sé, addormentandosi e quindi scomparendo.
==== ''Yuga'': il tempo cosmico degli hindu ====
{{Vedi anche|Yuga}}
Il tempo cosmico degli hindu è ciclico. Questo significa che le ere cosmiche si succedono senza soluzione di continuità, se non quella rappresentata dal periodo di latenza (''saṃhṛti'') in cui tutto il cosmo è riassorbito nella notte cosmica pronto a riemergere con una nuova emanazione da parte di Brahmā.
==== ''Brahmāṇḍa'', l'uovo d'oro di Brahmā ====
[[File:Jaam tree1.JPG|min|verticale|L'albero della mela rosa (''[[Syzygium jambolanum]]'') che dà il nome all'"isola" che compone la nostra terra, ''[[Jambudvīpa]]'', situata a sud del [[Monte Meru (mitologia)|Monte Meru]]. Tale nome è dovuto al fatto che alle pendici meridionali del gigantesco Monte Meru (alto tra i 470 000 e i 940 000 km) si ergono dei giganteschi alberi di questa specie che danno frutti grandi come elefanti<ref name=Filo81>{{Cita|Filoramo, 2007|p. 81}}.</ref>]]
Nel ''[[Veda]]'' il Cosmo è diviso in tre regioni distinte:
* ''svar'': il cielo;
* ''bhuvaḥ'': l'aria;
* ''bhūr'': la terra.
Le opere successive, come i ''[[Brāhmaṇa]]'' o le ''[[Upaniṣad]]'', non si discostano significativamente dalla cosmografica vedica e occorre arrivare ai ''[[Purāṇa]]'' per avere una [[cosmologia indù]] per come la conosciamo oggi.
L'emanazione del cosmo da parte di Brahmā corrisponde al suo uovo d'oro (''Brahmāṇḍa'') esso è costituito da differenti mondi.
Nel ''[[Viṣṇu Purāṇa]]'' la [[Terra]], ovvero la nostra dimensione "orizzontale", è presentata come un disco piatto che si allarga, progressivamente raddoppiando, in sette cerchi ("isole", ''dvīpa'') concentrici. Questi sette cerchi sono separati tra loro da altrettanti cerchi di eguale dimensione occupati dagli oceani composti rispettivamente di: acqua salata (il ''Lavaṇoda'', con una larghezza di 100 000 ''yojana''{{#tag:ref|Ogni ''yojana'' è considerato, secondo le differenti tradizioni, in una misura compresa tra i 6 e i 15 km. Il termine ''yojana'' sta per "giogata" ovvero quella distanza lungo la quale il bue può essere aggiogato,<ref name=Filo81 />. Tuttavia [[W. Randolph Kloetzli]] (1987) e [[Laurie Louies Patton]] (2005) considerando che il termine richiama sia la nozione di ''yoga'' che di ''yuga'' ne sospettano una connotazione metafisica.{{Cita libro|citazione=A ''yojana'' is a word that occurs as early as the ''Rgveda''; it has been variously measured as two, four, five, or nine English miles, although it also has an etymological link to Yoga and ''yuga'' that makes its connotations metaphysical.|autore=[[W. Randolph Kloetzli]] (1987) e [[Laurie Louise Patton]] (2005)|titolo=Cosmology: Hindu Cosmology|collana=Encyclopedia of Religion|volume= vol. 3.|città=New York|editore=Macmillan|anno= 2005|p=2017}}}}), succo di zucchero di canna (lo ''Ikṣura'', largo 200 000 ''yojana''), vino (il ''Suroda'', largo 400 000 ''yojana''), ''[[Ghi (gastronomia)|ghi]]'' (il ''Gṛthoda'', largo 800 000 ''yojana''), cagliata (il ''Dadhyoda'', largo 1 600 000 ''yojana''), latte (lo ''Kṣīroda'', largo 3 200 000 ''yojana'') e acqua dolce (lo ''Svādūdaka'', largo 6 400 000 ''yojana'').
L'"isola" più interna, detta ''[[Jambudvīpa]]'' (lett. Isola dell'"albero della mela rosa", ''[[Syzygium jambolanum]]''), che possiede un diametro di 100 000 ''[[yojana]]'', contiene al suo centro il [[monte Meru (mitologia)|monte Meru]], la cui altezza è pari a {{M|84000|ul=-}} ''yojana'' ovvero una misura compresa tra i {{M|470000|ul=-}} e i {{M|940000|ul=km}} ed il suo vertice sprofonda negli inferi fino al fondo dell'uovo d'oro<ref name=Filoramo>{{Cita|Filoramo, 2007}}.</ref>. Le altre "isole", composte da anelli e intervallate dagli oceani (sempre anelli di uguali dimensioni), procedendo verso l'esterno sono: ''Plakṣdvīpa'' (larga 200 000 ''yojana''), ''Śālmaladvīpa'' (larga 400 000 ''yojana''), ''Kuśadvīpa'' (larga 800 000 ''yojana''), ''Krauñcadvīpa'' (larga 1 600 000 ''yojana''), ''Śākadvīpa'' (larga 3 200 000 ''yojana''), e infine l'ultima isola, ''Puṣkaradvīpa'' (larga 6 400 000 ''yojana'').
''[[Jambudvīpa]]'' è suddivisa da catene montuose che corrono parallelamente da est verso ovest, costituendo nove regioni (''varṣa''): a nord si situa la regione ''Uttarakuru''; al centro, partendo da est verso ovest, vi sono le regioni ''Ketumāla'', ''Ilvarṭa'' e ''Bhādrāśya''; a sud di queste le regioni ''Harivarṣa'', ''Kimpuruṣa'' e ''[[Bhārata]]'', ancora più a sud si situano le regioni ''Hiranmaya'' e ''Ramyaka''.
La regione di ''Bhārata'' è la terra degli hindu (l{{'}}''[[Āryavārta]]'', la "Terra di mezzo", ''Madhyadeśa'') ed è l'unica terra identificata come ''karmabhūmi'' (terra di azione) ovvero la terra dove chi compie le azioni è soggetto al ''[[karman]]''; ne consegue che solo chi vive nella regione ''Bhārata'' può realizzare il ''[[mokṣa]]'' (la liberazione spirituale, obiettivo ultimo di un hindu).
La [[Polaris|Stella del Nord]] (''Dhruva'') è immobile sul monte Meru e le altre stelle le girano attorno, insieme alle stelle situati sopra la Terra si collocano i corpi celesti, come il Sole e la Luna, trainati da carri.
Oltre queste isole-oceani, si presenta una catena montuosa indicata come ''Lokāloka'', superata questa si situa una regione di tenebre composta di elementi non mescolati aria, terra, fuoco e vento, oltre vi è il limite dell'oscurità, il ''lokasaṃsthiti'', ovvero oltre il guscio (''āṇḍakaṭāha'') dell'uovo d'oro di Brahmā: il nulla. L'intera sezione orizzontale del ''Brahmāṇḍa'' possiede un diametro di 500 000 000 di ''yojana''.
Dal punto di vista "verticale" la cosmografia ''purāṇica'' eredita quella ''upaniṣadica'' dei sette "regni" (''[[loka (cosmologia)|loka]]'') arricchendoli, tuttavia, di precisi contenuti. La serie dei sette "regni" procede con questa sequenza, partendo dal basso.
* ''Bhūrloka''. È il regno dove sono collocate le sette isole (''[[dvipa]]''), ma al di sotto di queste si estendono anche i sette inferi (''[[patala]]'') indicati come ''Atala'', ''Vitala'', ''Nitala'', ''Gabhastimat'', ''Mahātala'', ''Sutala'', e ''Pātāla''. E sotto di essi vi sono ventotto [[inferno|inferni]].
* ''Bhuvaḥloka''. È il regno del Sole (''[[Savitṛ]]'') che con il carro compie il suo giro annuale.
* ''[[Svarloka]]''. È il regno dei corpi celesti: [[Mercurio (astronomia)|Mercurio]] (''Budha''), [[Venere (astronomia)|Venere]] (''Śukra''), [[Marte (astronomia)|Marte]] (''Angārika''), [[Giove (astronomia)|Giove]] (''Bṛhaspati''), [[Saturno (astronomia)|Saturno]] (''Śani''), l'[[Orsa Maggiore|Orsa maggiore]] (i ''[[Saptaṛṣi]]'') e la [[Polaris|Stella del Nord]] (''Dhruva'').
Questi primi tre "regni" sono indicati come ''kṛtika'' (generati), infatti questi tre regni vengono distrutti alla fine di ogni ''[[kalpa]]''<ref>Quindi ogni 12 000 000 anni divini corrispondenti a 4 320 000 000 anni umani.</ref>, ovvero quando inizia la notte di [[Brahmā]], per essere nuovamente generati al nascere del suo giorno. Gli esseri di questi tre regni vivono i risultati delle loro azioni (''[[karman]]'') sia sotto forma di godimenti (''bhogabhūmi'') sia sotto forma di sofferenze. Occorre ricordare, tuttavia, che solo l'"isola" di ''Bhārata'' è ''karmabhūmi'', il luogo dove si accumulano i risultati per le rinascite future.
Al di sopra di questi regni si situano: il ''Mahasloska'', che è un regno intermedio in quanto pur svuotandosi degli esseri non viene distrutto alla fine del ''kalpa''; il ''Janaloka'', il ''Tapasloka'' e il ''Satyaloka'' indicati come ''akṛittika'' (ingenerati) in quanto periscono solo alla fine dell'esistenza di [[Brahmā]], ovvero durano per un ''[[mahākalpa]]''<ref>Corrispondente a 470 040 miliardi di anni umani.</ref>, sono i mondi dove vive il [[Deva]] creatore, nel loro insieme rappresentano il ''[[Brahmāloka]]'' (il regno di [[Brahmā]]).
=== Il ''karman'' e il ciclo delle rinascite (''saṃsāra'') ===
{{Vedi anche|Karma|Samsara}}
Una delle nozioni religiose più diffuse nelle religioni dell'India, e più in generale in Asia meridionale, attiene al ''[[karma]]'' (o ''karman''), ovvero a quel principio per cui «il comportamento di una persona porterà irrevocabilmente a un'adeguata ricompensa o punizione, commisurata a tale comportamento.»:<ref>William K. Mahony, ''Enciclopedia delle Religioni'' vol.9. Milano, Jaca Book, 2004, p. 200.</ref>
{{Citazione|Il karman, pilastro di tutto il pensiero e la spiritualità fioriti in India, è l'intuizione del principio a cui soggiace la realtà e che regola i rapporti che passano tra l'azione, il sentimento, la parola e il pensiero prodotti dall'uomo che, per un tramite che appartiene alla sfera dell'"invisibile" (adṛṣṭa), fruttifica in un evento a cui l'uomo stesso soggiace, essendone il responsabile.|Gianluca Magi in ''Karman'', "Enciclopedia filosofica" vol. 6. Milano, Bompiani, 2006, p. 6013}}
''Karman'', nella prima cultura vedica, corrisponde al solo atto religioso correttamente eseguito. Nel corso dei secoli, tale atto religioso del bramano si trasforma: dall'avere come obiettivo l'esaudimento delle preghiere da parte degli dei, diventa rivolto ad ottenere risultati futuri, anche nella vita successiva alla morte<ref>{{Cita libro|autore=Saverio Sani|titolo=Ṛgveda|anno=2000|editore=Marsilio|città=Venezia|pp=25 e segg.}}</ref>.
Con l'avvento della letteratura ''upaniṣadica'' il quadro interpretativo cambia. In questo nuovo quadro storico, il destino dell'uomo è segnato irrimediabilmente dalla sua condotta: da una parte egli può seguire la "via dei [[Pitri|Padri]]" (''piṭryāna'') e rinascere in questo mondo, oppure mirare alla "via degli Dei" (''[[devayāna]]''), a patto che conduca una vita ascetica rinunciando alla "mondanità"<ref>William K. Mahony. ''Op. cit.'', pp. 5095.</ref>. Seppur le origini delle nozioni di ''karman'' e ''[[saṃsāra]]'' siano tutt'oggi oscure, il concetto di ''karman'' e quello di reincarnazione potrebbero essere entrati a far parte del pensiero braminico attraverso la tradizione degli ''śramaṇa'' e della rinuncia<ref>{{Cita|Flood|pp. 115 e segg.}}</ref>. Nelle ''Upaniṣad'', la personalità e la condizione di un individuo sono dunque determinate dai suoi desideri che lo conducono a volere, e quindi ad agire, in un determinato modo: l'insieme di queste azioni producono dei risultati proporzionali alle azioni stesse<ref>|William K. Mahony. ''Op. cit.'' p. 5095</ref>.
I "saggi" delle ''Upaniṣad'' sostenevano quindi che non solo il comportamento di un rituale o di un sacrificio pubblico producesse delle conseguenze future, ma che qualsiasi "azione" umana possedeva gli stessi esiti in quanto queste "azioni" rappresentavano un riflesso interno del processo cosmico<ref>{{Citazione|Seeking to understand the Brahmanic notion of the ritual in anthropological rather than sacerdotal terms, the Upaniṣadic sages taught that all physical and mental activity was an internal reflection of cosmic processes. Accordingly, they held that every action, not only those performed in the public ritual, leads to an end|William K. Mahony. ''Op. cit.'' p. 5095}}</ref>. In una più tarda ''Upaniṣad'', la ''Śvetāśvatara Upaniṣad'', la dottrina del ''karman'' acquisisce i suoi connotati definitivi, dove è descritto un vero e proprio rapporto di azione-beneficio, dove le azioni individuali hanno riflessi sull'anima di chi le compie<ref><nowiki>''Śvetāśvatara Upaniṣad'', V,7. Traduzione a cura di Carlo Della Casa, in ''Upaniṣad''</nowiki>. Torino, UTET, 1983, p. 410</ref>; anima costretta nel ciclo delle rinascite (''saṃsāra'') il cui esito finale dipende dal suo ''karman''.
Il ''[[saṃsāra]]'' è l'universo condizionato e mutevole, soggetto a nascita e morte, e si oppone, nella sua natura, al livello trascendente, incondizionato ed eterno, indicato con i termini sanscriti di ''[[mokṣa]]'' e ''[[Nirvana|nirvāṇa]]''. Non esiste nell'alveo delle religioni dell'India, né nell'Induismo, una dottrina unica inerente al ''saṃsāra''. Quella più diffusa lo descrive con l'analogia di un bruco che si muove da un filo d'erba all'altro. Il bruco rappresenta l{{'}}''[[ātman]]'' dell'individuo, il quale risulta del tutto non condizionato dal suo ''karman'': è un suo secondo principio indicato con il termine ''jīva'' che, invece, conservando i residui karmici delle esistenze precedenti, ne determina il destino futuro dopo la morte del corpo secondo quanto descritto dalla predetta ''Śvetāśvatara Upaniṣad'' (V,7).
Anche che se il fine ultimo del percorso induista resta la liberazione dalle catene saṃsāriche (''mokṣa''), le più diffuse pratiche religiose inerenti a questa costellazione di fedi, quali le donazioni o la devozione alle divinità, mirano piuttosto ad accumulare dei meriti "karmici" e quindi a conseguire una vita migliore proprio nel suo ambito.
=== La liberazione dal ''saṃsāra'': il ''mokṣa'' ===
Il termine sanscrito di genere maschile ''mokṣa'', così come il termine sanscrito femminile avente il medesimo significato ''mukti'', indicano in questa lingua la "liberazione" dal ciclo di nascita-morte, dalla sofferente trasmigrazione, propria del ''saṃsāra''. Ambedue i termini originano dal verbo sanscrito ''muc'' avente il significato di "liberarsi".
Come abbiamo visto, la nozione di "liberazione" dal ''saṃsāra'' non attiene al "vedismo", ovvero alla religione antica dell'India, compendiata nei suoi testi religiosi dei ''Veda'' e dei ''Brāhmaṇa'', il quale persegue essenzialmente la ''bhukti'', la felicità terrena, quanto piuttosto origina dai testi delle ''Upaniṣad'' (il termine qui usato è ''mukti''; mentre nella ''Chāndogya Upaniṣad'', VII, 26,2, è il composto ''vipramokṣa'', dallo stesso significato) e si diffonde nel VI secolo a.C., contemporaneamente al buddhismo e al giainismo.
Tale nozione di "liberazione", espressa con termini sempre derivanti dal verbo ''muc'', verrà successivamente approfondita da importanti testi induisti quali la ''Bhagavadgītā'' e il ''Manusmṛti ''.
In ambito delle filosofie ''yogiche'' il termine utilizzato per indicare la liberazione è invece ''apavarga'' nel significato di "abbandono", "fuga" dal ''saṃsāra''. Mentre la filosofia ''sāṃkhya'' predilige il termine ''kaivalya'' col significato di isolamento del ''puruṣa'' liberatosi dalla ''prakṛti''.
Le tradizioni ascetiche predicano la liberazione in vita e non dopo la morte del corpo, nel qual caso tale raggiungimento viene indicato con il termine ''jīvanmukta'' ("liberato in vita").
A partire dai commentari del ''[[Brahmasūtra]]'' propri della medievale filosofia [[Vedānta]], il termine più diffuso diviene ''mokṣa''.
Sono differenti le "vie" di "liberazione" dal ''saṃsāra'' che il complesso religioso che va sotto il nome di "Induismo" offre al suo praticante (cfr. ad esempio le ''[[darśana]]''), e queste possono essere approfondite nelle voci delle relative scuole e insegnamenti.
== L'Induismo nel mondo ==
[[File:Hindu distribution.png|min|verticale=1.7|Diffusione dell'Induismo nel mondo]]
L'[[India]], [[Mauritius]] e il [[Nepal]] sono nazioni a maggioranza induista. Il Nepal fino all'avvento della repubblica è stata l'unica nazione in cui l'Induismo era la religione ufficiale.
L'[[Asia]] del Sud Est è diventata in larga parte induista dopo il [[III secolo]], e fece parte dell'Impero [[Chola]] intorno all'[[XI secolo]]. Quest'influenza ha lasciato numerose tracce architettoniche, come la famosa città-tempio di [[Angkor Wat|Angkor Vat]] o tracce culturali come le danze del [[Bharata Natyam]] e del [[Kathakali]].
Di seguito l'elenco della percentuale di praticanti induisti nelle singole nazioni:
# {{Bandiera|NPL}} [[Nepal]] 86.5%<ref>{{Cita web|url=http://www.state.gov/g/drl/rls/irf/2009/127369.htm|titolo=Nepal<!-- Titolo generato automaticamente -->|accesso=16 giugno 2011|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20110628070556/http://www.state.gov/g/drl/rls/irf/2009/127369.htm|urlmorto=no}}</ref>
# {{Bandiera|IND}} [[India]] 80,5%<ref>{{Cita web|url=http://www.state.gov/j/drl/rls/irf/2009/127365.htm|titolo=India<!-- Titolo generato automaticamente -->|accesso=11 novembre 2012|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20121021141546/http://www.state.gov/j/drl/rls/irf/2009/127365.htm|urlmorto=no}}</ref>
# {{Bandiera|MUS}} [[Mauritius]] 54%<ref>Dostert, Pierre Etienne. Africa 1997 (The World Today Series). Harpers Ferry, West Virginia: Stryker-Post Publications (1997), p. 162.</ref>
# {{Bandiera|GUY}} [[Guyana]] 28%<ref>{{Cita web|url=https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/geos/gy.html|titolo=CIA - The World Factbook<!-- Titolo generato automaticamente -->|accesso=16 giugno 2011|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20180128152223/https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/geos/gy.html|urlmorto=no}}</ref>
# {{Bandiera|FJI}} [[Figi]] 27.9%<ref>{{Cita web|url=https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/geos/fj.html|titolo=CIA - The World Factbook<!-- Titolo generato automaticamente -->|accesso=16 giugno 2011|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20150102024255/https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/geos/fj.html|urlmorto=no}}</ref>
# {{Bandiera|BTN}} [[Bhutan]] 25%<ref name="state.gov">{{Cita web|url=http://www.state.gov/g/drl/rls/irf/2009/127364.htm|titolo=Bhutan<!-- Titolo generato automaticamente -->|accesso=16 giugno 2011|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20120119161236/http://www.state.gov/g/drl/rls/irf/2009/127364.htm|urlmorto=no}}</ref>
# {{Bandiera|TTO}} [[Trinidad e Tobago]] 22.5%
# {{Bandiera|SUR}} [[Suriname]] 20%<ref>{{Cita web|url=http://www.state.gov/g/drl/rls/irf/2009/127405.htm|titolo=Suriname<!-- Titolo generato automaticamente -->|accesso=16 giugno 2011|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20120119153103/http://www.state.gov/g/drl/rls/irf/2009/127405.htm|urlmorto=no}}</ref>
# {{Bandiera|LKA}} [[Sri Lanka]] 15%<ref>{{Cita web|url=http://www.srilankantourism.com/religious-tours/hindu-religious.html|titolo=Hinduism in Sri Lanka,Sri Lanka Hindu Religious Tour,Sri Lanka Hindu Pilgrimage Tour Packages, Hindu Pilgrimage Tour to Sri Lanka, Hindu Pilgrimage Travel to Sri Lanka<!-- Titolo generato automaticamente -->|accesso=16 giugno 2011|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20110716124220/http://www.srilankantourism.com/religious-tours/hindu-religious.html|urlmorto=no}}</ref>
# {{Bandiera|BGD}} [[Bangladesh]] 9%<ref>{{Cita web|url=http://www.state.gov/g/drl/rls/irf/2009/127363.htm|titolo=Bangladesh<!-- Titolo generato automaticamente -->|accesso=16 giugno 2011|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20110628070319/http://www.state.gov/g/drl/rls/irf/2009/127363.htm|urlmorto=sì}}</ref>
# {{Bandiera|QAT}} [[Qatar]] 7.2%
# {{Bandiera|Réunion}} [[La Riunione|Riunione]] ([[Francia]]) 6.7%
# {{Bandiera|MYS}} [[Malaysia]] 6.3%<ref name="cia.gov">{{Cita web|url=https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/geos/my.html|titolo=CIA - The World Factbook<!-- Titolo generato automaticamente -->|accesso=16 giugno 2011|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20180128152322/https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/geos/my.html|urlmorto=no}}</ref>
# {{Bandiera|BHR}} [[Bahrein]] 6.25%
# {{Bandiera|KWT}} [[Kuwait]] 6%
# {{Bandiera|ARE}} [[Emirati Arabi Uniti]] 5%
# {{Bandiera|SGP}} [[Singapore]] 4%
# {{Bandiera|OMN}} [[Oman]] 3%
# {{Bandiera|BLZ}} [[Belize]] 2.3%
# {{Bandiera|SYC}} [[Seychelles]] 2.1%<ref>{{Cita web|url=https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/geos/se.html|titolo=CIA - The World Factbook<!-- Titolo generato automaticamente -->|accesso=16 giugno 2011|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20080213004422/https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/geos/se.html|urlmorto=no}}</ref>
== Note ==
<references/>
== Bibliografia disponibile in lingua italiana ==
{{Testi sacri Induismo}}
Di seguito una bibliografia ragionata dei testi 'dell{{'}}' e 'sull<nowiki>'</nowiki>'Induismo pubblicati in [[lingua italiana]].
=== Testi storiografici, antropologici e fenomenologici ===
* {{Cita libro|titolo=Storia delle religioni 13. Religione vedica e induismo|autore=[[Henri-Charles Puech]] (a cura di)|coautori=[[Jean Varenne]], [[Anne-Marie Esnoul]]|città=Bari|editore=Laterza|anno=1978}}
* {{Cita libro|titolo=Induismo|autore=[[Gavin Flood]]|città=Torino|editore=Einaudi|anno=2006|ISBN=88-06-18252-8|cid=Flood}}
* {{Cita libro|titolo=Hinduismo|curatore=[[Giovanni Filoramo]]|autore=[[Mario Piantelli]], [[Carlo Della Casa]], [[Stefano Piano]]|città=Bari|editore=Laterza|anno=2007|ISBN=978-88-420-8364-1|cid=Filoramo, 2007}}
* [[Madeleine Biardeau]]. ''L'Induismo, antropologia di una civiltà''. Milano, Mondadori, 1985.
* [[Giuliano Boccali]], [[Cinzia Pieruccini]]. ''Induismo''. Milano, Mondadori, 2008.
* [[Caterina Conio]]. ''L'induismo''. Milano, Rizzoli, 1984.
* [[Mircea Eliade]] ''La religione degli indoeuropei: gli dei vedici'', in ''Storia delle credenze e delle idee religiose'', vol. 1. Milano, Rizzoli, 2006.
* [[Mircea Eliade]] ''L'India prima di Gautama Buddha: dal sacrificio cosmico alla suprema identità Ātman-Brahman'', in ''Storia delle credenze e delle idee religiose'', vol. 1. Milano, Rizzoli, 2006.
* [[Mircea Eliade]] ''Brahmanesimo e Induismo: le prime tecniche di salvezza'', in ''Storia delle credenze e delle idee religiose'', vol. 2. Milano, Rizzoli, 2006.
* [[Mircea Eliade]] ''La sintesi induista: il Mahābhārata e la Bhagavad Gītā'', in ''Storia delle credenze e delle idee religiose'', vol. 2. Milano, Rizzoli, 2006.
* [[Maryla Falk]]. ''Il mito psicologico nell'India antica''. Milano, Adelphi, 2004.
* [[Giorgio Renato Franci]]. ''L'induismo''. Bologna, il Mulino, 2010.
* [[Jan Gonda]]. ''Le Religioni dell'India: Veda e antico induismo''. Milano, Jaca Book, 1981.
* [[Jan Gonda]]. ''Le Religioni dell'India: l'induismo recente''. Milano, Jaca Book, 1981.
* [[Klaus K. Klostermaier]]. ''Induismo. Una introduzione''. Roma, Fazi, 2004.
* [[Vasudha Narayanan]], ''Capire l'induismo'', Feltrinelli 2007, 2017.
* [[Stefano Piano]]. ''Sanatana-Dharma. Un incontro con l'induismo''. Alba, San Paolo, 2006.
* [[Stefano Piano]]. ''Lessico elementare dell'induismo''. Torino, Magnanelli, 2001.
* [[Jean Varenne]]. ''L'India e il sacro. Una antropologia''. In ''L'uomo indoeuropeo e il sacro''. Milano, Jaca Book, 1991.
* Max Weber, ''Sociologia della religione. Induismo e buddismo'', Ghibli, 2015.
=== Dizionari ed enciclopedie ===
* [[Dario M. Cosi]], [[Luigi Saibene]], [[Roberto Scagno]] (a cura di). ''Induismo'', in "Enciclopedia delle Religioni. Edizione tematica europea" vol. 9. Milano, Jaca Book, 2006. Corrisponde all'edizione italiana, tematica, dell'edizione 1987 della ''Encyclopedia of Religion'' pubblicata dalla Macmillan di New York su progetto di [[Mircea Eliade]].
* [[Margaret Stutley]] e [[James Stutley]]. ''Dizionario dell'Induismo''. Roma, Ubaldini, 1980.
* [[Anna Dallapiccola]]. ''Induismo. Dizionario di storia, cultura, religione''. Milano, Mondadori, 2005.
* [[Klaus K. Klostermaier]]. ''Piccola enciclopedia dell'Induismo''. Roma, Arkeios, 2001.
* {{Cita libro|titolo=Dizionario delle religioni|autore=[[Michel Delahoutre]]|curatore=[[Jacques Vidal]])|annooriginale=1984|anno=2007|editore=Mondadori|città=Milano|opera=Dictionnaire des Religions, Parigi, Presses universitaires de France|cid=Delahoutre}}
* {{Cita libro|autore=[[Stefano Piano]]|titolo=Dizionario delle religioni|curatore= [[Giovanni Filoramo]]|città=Torino|editore= Einaudi|anno=1993|cid=Piano, 1993}}
* ''Dizionario di Sapienza orientale''. Roma, Mediterranee, 1991. È stato redatto da autori, alcuni di questi accademici, di lingua tedesca.
=== Raccolte di testi religiosi e loro notazioni critiche ===
* ''Hinduismo antico'' su progetto editoriale e introduzione generale di [[Francesco Sferra]], introduzione ai testi tradotti di [[Antonio Rigopoulos]] e traduzioni e note di [[Carlo Della Casa]], [[Stefano Piano]] [[Mario Piantelli]], [[Raniero Gnoli]], [[Alberto Pelissero]], [[Vincenzo Vergiani]], [[Federico Squarcini]], [[Philippe Swennen]]. Contiene una raffinata raccolta proveniente dai ''[[Veda]]'', dai ''[[Brāhmaṇa]]'', dalle ''[[Upaniṣad]]'', dal ''Mānavadharmaśāstra'' (altrimenti noto come ''[[Manusmṛti]]''), dalla Letteratura epica (la ''[[Itihāsa]]'', comprendente il ''[[Rāmāyaṇa]]'' e il ''[[Mahābhārata]]''), dalla ''[[Bhagavadgītā]]'' e dai ''[[Purāṇa]]''. Milano, Mondadori, 2010.
* [[Raimon Panikkar]], ''I Veda''. Milano, Rizzoli, 2008.
* [[Raimon Panikkar]], ''Gli inni cosmici dei Veda''. Milano, Rizzoli, 2004.
* ''[[Ṛgveda]]. Le strofe della sapienza'' (a cura di [[Saverio Sani]]). Venezia, Marsilio, 2000.
* [[Saverio Sani]] e [[Chatia Orlandi]]. ''[[Atharvaveda]]''. Inni magici. Milano, TEA, 1997.
* ''[[Upaniṣad]] antiche e medie'' (a cura di [[Pio Filippani Ronconi]]). Torino, Bollati Boringhieri, 2007 ISBN 978-88-339-1797-9
* ''[[Upaniṣad]]'' (a cura di Raphael). Milano, Bompiani, 2010. (testo sanscrito a fronte).
* ''Il trattato di Manu sulla norma'' (a cura di [[Federico Squarcini]] e [[Daniele Cuneo]]). Torino, Einuadi, 2010. Eccellente edizione critica integrale del ''[[Manusmṛti]]''.
* ''Le Leggi di Manu'' (a cura di [[Wendy Doniger]], con la collaborazione di [[Brian K. Smith]]). Milano, Adelphi, 1996. Traduzione integrale del ''[[Manusmṛti]]''.
=== Opere sulle filosofie e sulle teologie dell'India ===
* Gandhi, "Le grandi religioni. Induismo, buddismo, cristianesimo, islamismo", Newton Compton, 2012
* [[Alberto Pelissero]]. ''Filosofie classiche dell'India''. Brescia, Morcelliana, 2014.
* [[José Pereira]]. ''Manuale delle teologie induiste''. Roma, Ubaldini, 1979.
* [[Giuseppe Tucci]]. ''Storia della filosofia indiana''. Bari, Laterza, 2005.
* [[Heinrich Zimmer]]. ''Filosofie e religioni dell'India''. Milano, Mondadori, 2001.
=== Opere sulle letterature classiche dell'India ===
* [[Giuliano Boccali]], [[Stefano Piano]], [[Saverio Sani]]. ''Le letterature dell'India''. Torino, UTET, 2000.
* [[Alberto Pelissero]]. ''Letterature classiche dell'India''. Brescia, Morcelliana, 2007.
* [[Vittore Pisani]], [[Laxman Prasad Mishra]]. ''Le letterature dell'India''. Milano, Rizzoli, 1993 (1970).
=== Opere monografiche sui rituali dell'India ===
* [[Jan C. Heesterman]]. ''Il mondo spezzato del sacrificio. Studio sul rituale nell'India antica''. Milano, Adelphi, 2007
* [[Sylvain Lévi]]. ''La dottrina del sacrificio nei Brāhmaṇa'' (con l'aggiunta di tre importanti saggi critici di [[Roberto Calasso]], [[Louis Renou]] e [[Charles Malamoud]]). Milano, Adelphi, 2009.
* [[Charles Malamoud]]. ''Cuocere il mondo. Rito e pensiero nell'India antica''. Milano, Adelphi, 1994.
* [[Charles Malamoud]]. ''La danza delle pietre''. Milano, Adelphi, 2005.
=== Manuali di iconografia induista ===
* [[Eckard Schleberger]]. ''Le divinità indiane''. Roma, Mediterranee, 1999.
=== Testi sulle mitologie indiane ===
* [[Alain Daniélou]]. ''Miti e dèi dell'India''. Milano, Bur Rizzoli, 2002.
=== Miscellanea ===
* ''Il [[Mahābhārata]] raccontato da [[R.K. Narayan]]''. Parma, Ugo Guanda, 2000. È il racconto moderno dello scrittore indiano [[Rasipuram Krishnaswami Iyer Narayanaswami]] (1906-2001) che sintetizza la grande epica indiana.
== Voci correlate ==
* [[Bhagavadgītā]]
* [[Bramanesimo]]
* [[Darśana]] (le sei scuole di interpretazione dei ''Veda'')
* [[Religioni indiane]]
* [[Upaniṣad]]
* [[Veda]]
* [[Vedismo]]
* [[Yajña]]
== Altri progetti ==
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== Collegamenti esterni ==
* {{Collegamenti esterni}}
* {{Cita web|url=http://www.hinduism.it/|titolo=Sito ufficiale dell'Unione Induista Italiana}}
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