Francesco Delfino: differenze tra le versioni

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|Soprannome =
|Data_di_nascita = 27 settembre 1936
|Nato_a = [[Platì]]
|Data_di_morte = 2 settembre 2014
|Morto_a = [[Santa Marinella]]
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|Religione = <!-- solo se enciclopedica -->
|Nazione_servita = {{bandiera|ITA|dim=21}} [[Italia]]
|Forza_armata = Arma dei Carabinieri
|Forza_armata = [[File:Coat of arms of the Esercito Italiano.svg|21px]] [[Esercito Italiano]]
|Arma = [[Arma dei Carabinieri]]
|Corpo =
|Specialità =
|Unità = Comando Divisione Carabinieri, ora Interregionale
|Unità = [[Reparto operativo]]
|Reparto =
|Anni_di_servizio = 1957 - 1998
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|Campagne =
|Battaglie =
|Comandante_di = Regione Carabinieri Piemonte-Valle d'Aosta <br/> [[Nucleo investigativo]]
Comando di Divisione Carabinieri, ora Interregionale
|Decorazioni = [[Ordine al merito della Repubblica Italiana|Grande ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica Italiana]]<br />[[Medaglia d'argento al valor civile]]<br />[[Croce per anzianità di servizio militare]]
|Studi_militari = [[Accademia Militare di Modena]]<br />[[Scuola ufficiali carabinieri]]
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[[File:Caserma della Scuola allievi ufficiali dei Carabinieri, Firenze.JPG|upright=0.8|thumb|Scuola marescialli e brigadieri di [[Firenze]]]]
Figlio di un [[sottufficiale|maresciallo]] dei carabinieri, nasce in [[provincia di Reggio Calabria]] e frequenta il [[liceo classico]] a [[Locri]].
S'iscrive poi alla [[Facoltà universitaria|facoltà]] di [[giurisprudenza]] dell'[[Università degli Studi di Messina]] ed accede alla [[Scuola marescialli e brigadieri dei carabinieri|Scuola allievi sottufficiali dei carabinieri]].
Nel [[1957]], uscito dalla scuola di [[Firenze]] con il grado di [[vicebrigadiere]], viene destinato per il primo incarico a [[Rho]] ([[provincia di Milano|MI]]), ove conosce Carla Valsesia, una professoressa di lettere che diverrà poi sua moglie.
 
Nel [[1961]] accede all'[[Accademia militare di Modena]], dalla quale, alla fine di un biennio di corsi, nel [[1963]], passa alla [[Scuola Ufficiali Carabinieri]] di [[Roma]] che frequenta come [[sottotenente]]. Al termine dei corsi, e ottenuto il grado di [[tenente]], viene destinato al comando della tenenza dei carabinieri di [[Verolanuova]] ([[Brescia]]).
Da qui passa a [[Luino]], una cittadina sul [[lago Maggiore]] in prossimità del confine [[Svizzera|svizzero]], ove presta servizio per tre anni.
Nel frattempo s'iscrive alla facoltà di [[scienze politiche]] dell'[[Università degli Studi di Pavia]].
 
Nel [[1969]] viene destinato in [[Sardegna]], ove presta servizio prima presso la tenenza di [[Sorgono]] e poi presso il nucleo investigativo di [[Nuoro]].
Impegnato sul fronte dei [[sequestro di persona|sequestri di persona]], durante la rinascita del [[banditismo sardo]], mette a frutto l'esperienza acquisita e si laurea in giurisprudenza all'università[[Università degli studiStudi di [[Cagliari]] con una tesi sviluppata proprio su questo tipo di crimine.
Ormai promosso [[capitano]], ebbe un ruolo centrale nella cattura del latitante [[Giuseppino Càmpana]]<ref name=RadioRadicaleCommStragi01>[http://www.radioradicale.it/scheda/94096/94434-commissione-parlamentare-di-inchiesta-sul-terrorismo-in-italia-e-sulle-cause-della-mancata-individuaz Audizione del generale Francesco Delfino presso la Commissione parlamentare di inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi: Inchiesta su stragi e depistaggi, 25 giugno 1997, registrazione audio]</ref><ref name=SocCiv01>[http://www.societacivile.it/focus/articoli_focus/Delfino_2.html Societacivile.it "Francesco Delfino - Le imprese del «capitano Palinuro»]</ref>.
 
All'inizio degli [[anni 1970|anni settanta]] torna in continente, destinato a [[Brescia]] al [[Nucleo investigativo dell'Arma dei carabinieri|Nucleo investigativo]]. Dall'ottobre del [[1972]] si occupa per la prima volta di [[eversione]], in relazione a una misteriosa serie di attentati dinamitardi ai danni di convogli ferroviari in [[Valtellina]]<ref name=RadioRadicaleCommStragi01 />.
 
A Brescia resta in servizio sino al [[1977]], indi passa al comando del [[Nucleo investigativo dell'Arma dei carabinieri|Nucleo investigativo]] dei carabinieri di Milano, occupandosi di malavita, mafia, terrorismo. Dal giugno del [[1978]] passa al [[SISMI]], presso il quale presta servizio sino al [[1987]]. Durante questi anni è impegnato prevalentemente in missioni all'estero, in [[Turchia]], [[Brasile]], [[Belgio]], [[New York]] e [[ilIl Cairo]], dove resta negli ultimi tre anni. Lasciate le funzioni presso l{{'}}''[[intelligence]]'' militare presta servizio brevemente a [[Roma]], quindi è trasferito a [[Palermo]] come vicecomandante della Legione, poi al comando della Legione carabinieri di [[Alessandria]].
 
Promosso [[generale di brigata]], assume nel 1992 il comando della Regionelegione carabinieri [[Piemonte]]-[[Valle d'Aosta]], con sede a [[Torino]]: il suo Vice era l'allora colonnello [[Leonardo Gallitelli]], poi comandante generale dell'Arma. Nel 1994 passa al comando del secondo servizio della [[Direzione centrale per i servizi antidroga|direzione centrale antidroga]] e di qui poi al [[Centro alti studi per la difesa]].
Infine, divenuto [[generale di divisione]], dopo aver ricoperto per qualche mese la carica di vice ispettore delle scuole dell'Arma dei carabinieri, dal 14 settembre [[1996]] ne diviene ispettore<ref name="onorificenze"/>.
Sospeso da tutti gli incarichi professionali nell'Arma dopo essere incarcerato nella prigione militare di Peschiera, nell'aprile 1998 tentò il suicidio dentro la cella di detenzione.<ref>https://elpais.com/diario/1998/04/23/internacional/893282402_850215.html https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/04/23/la-lettera-di-delfino-mi-uccido.html</ref>
Delfino è andato in congedo con il grado di [[generale di divisione]], ma successivamente, al termine della vicenda giudiziaria che lo ha visto condannato, è stato rimosso dal grado in sede disciplinare ed è divenuto soldato semplice.
 
== Il coinvolgimento nel caso Calvi ==
A seguito del passaggio organico di Delfino alle dipendenze del [[SISMI]], nel quale a suo dire operò dal [[1978]] al [[1987]]<ref>[http://www.parlamento.it/bicam/terror/stenografici/steno23.htm Audizione Commissione Stragi]</ref>, egli ricopriva l'incarico di capo centro per l'[[Europa centrale]], con sede a [[Bruxelles]], quando nel giugno [[1982]] il corpo senza vita del banchiere [[Roberto Calvi]] fu rinvenuto sotto il [[ponte dei Frati Neri]] a [[Londra]].
 
=== Missione a Londra ===
[[File:Blackfriars Bridge, London, England, 240404.jpg|upright=1.2|thumb|Il [[ponte dei Frati Neri]] sotto il quale fu trovato impiccato [[Roberto Calvi]]]]
Secondo le deposizioni rilasciate da Delfino, prima davanti alla Commissione Parlamentare di inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, inchiesta su stragi e depistaggi, il 25 giugno [[1997]] e, successivamente, il 1º febbraio [[2006]], in qualità di teste al processo per la morte di Calvi, egli fu l'unico agente italiano inviato a Londra in occasione del rinvenimento del cadavere del banchiere.
 
Secondo il suo racconto, nella nottata di venerdì 18 giugno [[1982]] Delfino fu avvertito telefonicamente dal suo Direttore di Divisione, il colonnello Vincenzo Sportelli, del ritrovamento del cadavere impiccato di Calvi, e incaricato di recarsi a Londra al più presto per prendere contatto con le autorità britanniche in merito al caso.
Partì quindi il mattino successivo per Roma, da dove, ricevute altre istruzioni, raggiunse un aeroporto della capitale inglese, ove fu prelevato da agenti del [[MI5]] (il servizio segreto militare britannico) che lo accompagnarono presso l'hotel "Hyde Park".
 
Il giorno dopo, domenica 20 giugno, Delfino fu accompagnato presso la sede del MI5, ove fu ricevuto dal Direttore del Servizio. Con questi avrebbe partecipato ad una riunione sul ritrovamento di Calvi, presente il consulente legale del MI5.
Appreso che il magistrato inglese sarebbe stato orientato a chiudere rapidamente il caso come suicidio, Delfino afferma di essere intervenuto con energia al fine di bloccare tale iniziativa dell{{'}}''attorney'', in quanto, a suo dire, il SISMI desiderava invece fossero effettuate approfondite indagini.
Tuttavia, il consulente legale del Servizio avrebbe replicato a Delfino che la competenza sul caso sfuggiva alla giurisdizione del MI5, e che spettava invece alla City of London Police.
Terminata la riunione - secondo Delfino - egli sarebbe stato condotto da un autista del MI5 a visionare solo esternamente l'ultima residenza di Calvi a Londra, quindi al ponte dei Frati Neri.
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Gualtieri avrebbe replicato che il numero era già sotto controllo e che corrispondeva ad una villa sulla strada tra [[Bellinzona]] e [[Locarno]], probabilmente occupata da personaggi legati alla P2. Ulteriori indagini avrebbero condotto alla scoperta presso la villa di una seconda utenza telefonica, usata dagli occupanti per effettuare chiamate a seguito di tre squilli ricevuti sulla prima, cui nessuno rispondeva mai. La villa era frattanto discretamente sorvegliata all'esterno dalla polizia elvetica.
 
Dopo giorni di appostamenti, la mattina del 30 giugno [[1982]] finalmente tre persone uscirono dalla villa, e furono fermate: si trattava di [[Flavio Carboni]], Andrea Carboni, fratello di Flavio, e della fidanzata del primo, Manuela Kleinszig, cittadina austriaca. Flavio Carboni, al momento del fermo, recava con sé, tra l'altro, tabulati relativi a depositi bancari il cui ammontare complessivo si aggirava tra i 40 e i 50 milioni di dollari. La documentazione sequestrata, secondo Delfino, fu da lui prontamente fotocopiata e inviata a Roma. Qualche giorno dopo il fermo la gestione del caso fu presa in carico direttamente dal Procuratore della Repubblica italiano [[Pierluigi Dell'Osso]], che indagava sul ''crac'' del [[Banco Ambrosiano]]<ref name=RadioRadicaleProcCalvi01 />.
 
=== L'individuazione di Francesco Pazienza ===
Terminata così la missione svizzera, Delfino riferisce di essere stato subito inviato dai suoi superiori del SISMI a [[New York]], dove sarebbe giunto il 3 settembre [[1982]], di fatto perseguendo attività informative legate alla vicenda appena conclusa in Svizzera.
Nel suo procedere, Delfino si avvale di nuovo delle informazioni - che definisce molto precise - che gli fornisce Beneforti (che morirà nei primi anni 2000, poco prima di essere escusso nel quadro del processo Calvi) al fine di localizzare [[Francesco Pazienza]], nel quadro di indagini relative agli intrecci tra [[mafia]] e [[loggia massonica P2]].
 
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Delfino riuscì comunque a organizzare un servizio d'intercettazione a distanza, quando effettivamente incontrò Lombino in una caffetteria newyorkese. Durante il colloquio Lombino avrebbe rivelato di essere al servizio di una famiglia mafiosa di [[Brooklyn]], di essere il "segretario" di Francesco Pazienza e di essere al corrente della natura della missione di Delfino negli Stati Uniti, dedicata alla individuazione e cattura di quest'ultimo. Lombino avrebbe mostrato a Delfino un mazzo di chiavi, asseritamente quelle dell'ufficio del Pazienza, offrendosi di farvi penetrare Delfino, il quale, subodorando una possibile trappola, avrebbe negato persino di sapere chi fosse questo tal Pazienza, e di esser a New York sulle tracce di traffici di armi e droga, non interessato a tale personaggio.
 
Dopo l'incontro, Delfino avrebbe cambiato tutti i propri numeri telefonici e si sarebbe poi recato in missione ad [[Haiti]] e [[Santo Domingo]] nel quadro delle attività di prevenzione volte a proteggere il [[papa Giovanni Paolo II]] durante la sua [[visita pastorale]] nelle [[Antille]], essendovi stati segnali di possibili attentati alla sua vita, soprattutto a [[Port -au -Prince]].
Durante tale attività, Delfino avrebbe ricevuto una telefonata dal suo segretario a New York che riferiva che egli era cercato con urgenza da un giornalista della rivista ''[[Panorama (rivista)|Panorama]]'', [[Sandro Ottolenghi]]. Delfino avrebbe quindi contattato il giornalista, che gli riferì di aver incontrato Pazienza assieme a Lombino e a un terzo personaggio, capo mafia, autodefinitosi il "notaio di Brooklyn", i quali gli avevano mostrato una foto di Delfino presa mentre questi lasciava l'ambasciata per recarsi all'appuntamento con Lombino. Nella medesima conversazione i tre avrebbero rivendicato - come mafia di Brooklyn - di aver avuto un ruolo chiave nella liberazione del generale statunitense [[James Lee Dozier]], rapito dalle [[Brigate Rosse]], avendo, a loro dire, fornito proprio loro al predecessore di Delfino nel proprio incarico quale ufficiale del SISMI a New York, l'indicazione - decisiva per la liberazione dell'ufficiale - circa la località ove Dozier era tenuto prigioniero. In cambio di tale informazione avevano richiesto la somma di due miliardi di lire, somma che non era stata loro consegnata e che ora reclamavano da Delfino. Tali notizie furono poi incluse in un articolo a firma di Ottolenghi apparso su ''Panorama'' nei primi mesi del [[1983]].
 
Conclusa la missione di protezione al pontefice, Delfino rientrò a New York, ma poco dopo, anche, secondo quanto riferisce, in seguito a frequenti minacce notturne ricevute presso la propria abitazione privata, fu trasferito in Egitto, sempre operando come responsabile del SISMI<ref name=RadioRadicaleProcCalvi01 />.
 
Per Pazienza, ormai individuato negli USA ed anch'egli ex agente del [[SISMI]], una prima richiesta di [[estradizione]] fu avanzata dall'Italia al governo statunitense nel [[1984]], ma il suo arresto venne eseguito solo il 4 marzo [[1985]]<ref name="WS1">{{Cita news | titolo = Tale of Intrigue: How an Italian Ex-Spy Who Also Helped U.S. Landed in Prison Here | editore = [[Wall Street Journal]] |p=1 | data=7 agosto 1985}}</ref>. Dopo numerose schermaglie legali Pazienza fu consegnato alle autorità italiane nel giugno del 1986<ref>{{Cita news | titolo = Pazienza Extradited | editore = [[Financial Times]] |p=1 | data=20 giugno 1986}}</ref>. Condannato per lo scandalo del Banco Ambrosiano nel [[1993]] (e per la sua gestione di segreti di Stato nel [[1982]]), nel [[2007]] è stato posto in [[libertà vigilata]] nel comune di [[Lerici]]<ref>{{Cita news | titolo = Faccenderie Pazienza Volontario Pubblica Assistenza Lerici | editore = [[ANSA]] | data=17 aprile 2007}}</ref>.
 
== Le indagini di mafia e l'arresto di Riina ==
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Nominato - come [[generale di brigata]] - comandante della Regione Carabinieri [[Piemonte]], Delfino si approcciò ad indagini sulla [[mafia]] in occasione dell'arresto di [[Balduccio Di Maggio]], costituitosi a [[Novara]]; Di Maggio, per accedere al trattamento riservato ai [[pentitismo|collaboratori di giustizia]], richiese di collaborare con il generale<ref>[http://web.tiscali.it/fbmrb/focus/articoli_focus/Delfino.html Fonte]</ref>.
 
Interrogato in seguito a [[Caltanissetta]] come teste durante il processo per la [[strage di Capaci]] il 21 febbraio [[1997]], il generale Delfino riferisce che il Di Maggio, durante i primi interrogatori, gli avrebbe confidato di non conoscere [[Giulio Andreotti]] [[Salvo Lima]]<ref name=ImpastatoCrono0297>[http://www.centroimpastato.it/php/crono.php3?month=2&year=1997 Centro Siciliano di Documentazione "Giuseppe Impastato", Cronologia da 'Giornale di Sicilia', 'la Repubblica', 'Corriere della Sera', 'La Stampa', febbraio 1997] {{webarchive|url=https://web.archive.org/web/20081009082241/http://www.centroimpastato.it/php/crono.php3?month=2&year=1997 |data=9 ottobre 2008 }}</ref>.
 
A seguito della cattura di [[Totò Riina]], Delfino fu alla ribalta delle cronache che facevano risalire alle confessioni rese da Balduccio Di Maggio all'alto ufficiale dei carabinieri l'arresto del ''boss'' mafioso. Un ruolo chiave di Delfino - che egli ha rivendicato<ref>Cfr. per esempio le dichiarazioni rese da Delfino durante un'audizione di fronte alla Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, il 25 giugno 1997, durante la quale afferma tra l'altro di avere ottenuto "un compiacimento a livello di Ministro e Comandante generale per la cattura di Riina", [http://www.parlamento.it/bicam/terror/stenografici/steno23.htm Fonte]</ref> - nelle indagini che condussero a Riina è stato contestato dal collaboratore di giustizia Tullio Cannella, che affermò che il capo mafia sarebbe in realtà caduto nelle mani della giustizia tramite un'imbeccata ai Carabinieri proveniente da [[Bernardo Provenzano]], non grazie alle indicazioni che Balduccio Di Maggio avrebbe passato a Delfino<ref>[http://www.repubblica.it/online/fatti/soffiantini/delfino/delfino.html Repubblica, "Il generale Delfino - carriera tra le polemiche", 14 aprile 1998]</ref>.
 
== Il caso Soffiantini e la condanna per truffa aggravata ==
Il 10 aprile [[1998]], indagato per illeciti legati al rapimento di [[Giuseppe Soffiantini]], il generale viene sospeso dall'Arma, in «attesa che la [[magistratura]] completi gli accertamenti»<ref name=ImpastatoCrono0498>[http://www.centroimpastato.it/php/crono.php3?month=4&year=1998 Centro Siciliano di Documentazione "Giuseppe Impastato", Cronologia da 'Giornale di Sicilia', 'la Repubblica', 'Corriere della Sera', 'La Stampa', aprile 1998] {{webarchive|url=https://web.archive.org/web/20081009082458/http://www.centroimpastato.it/php/crono.php3?month=4&year=1998|data=9 ottobre 2008}}</ref>.
 
Il successivo 11 aprile, durante una [[perquisizione]], vengono rinvenute presso l'abitazione di Delfino due borse non in commercio prodotte in esclusiva per un'azienda legata ai Soffiantini; queste borse sono ritenute dagli inquirenti quelle impiegate dalla famiglia per la consegna ad ignoti di un miliardo di lire, che essi ritenevano destinato ai rapitori del loro congiunto, al fine di ottenerne la liberazione. Viene inoltre rinvenuta una [[banconota]] facente parte di tale somma (le banconote erano state tutte fotocopiate prima della loro consegna). Delfino, ancora a piede libero, replica animosamente, dicendosi vittima di una macchinazione e dichiarando che «non perdona»<ref name=ImpastatoCrono0498 />.
 
Nel quadro delle conseguenti indagini, il 14 aprile Delfino viene tratto in [[arresto]] assieme all'imprenditore Giordano Alghisi. Viene inoltre indagato il capitano dei carabinieri [[Arnaldo Acerbi]], allora comandante del [[nucleo operativo]] dei carabinieri di Brescia, al quale viene contestato di non aver riferito all'[[autorità giudiziaria]] - com'era suo dovere - le confidenze da lui raccolte da Carlo Soffiantini sul ruolo svolto da Delfino nella vicenda per la quale quest'ultimo veniva tratto in arresto<ref name=ImpastatoCrono0498 />. In un primo tempo, Delfino tenta di sottrarsi al carcere ottenendo il ricovero presso l'[[ospedale militare del [[Celio]] (a [[Roma]]), ma una consulenza tecnica medica stabilisce in breve che la sua salute è compatibile con il regime carcerario<ref>[http://www.repubblica.it/online/fatti/soffiantini/carcere/carcere.html "I medici: "Delfino deve andare in carcere", 16 aprile 1998]</ref>.
Difeso dall'[[avvocato]] [[Pierfrancesco Bruno]], interrogato il 17 aprile, Delfino respinge le accuse che gli vengono mosse, ma successivamente viene reso noto che il generale avrebbe ammesso che, a suo dire, Giordano Alghisi, amico di famiglia dei Soffiantini, gli avrebbe consegnato 800 milioni a titolo di "acconto" per la vendita della sua villa a [[Meina]]; pochi giorni dopo, il 22 aprile, il generale, rinchiuso presso il [[carcere]] militare di [[Peschiera del Garda]], tenta il [[suicidio]]<ref name=ImpastatoCrono0498 /> battendo violentemente il capo nella cella. Ricoverato a [[Verona]], viene rapidamente dichiarato fuori pericolo<ref>[http://www.repubblica.it/online/fatti/soffiantini/suicidio/suicidio.html La Repubblica, "Delfino: "Non so cosa mi è successo", 23 aprile, 1998]</ref>. Nel libro scritto nel 1998<ref name=libro>Francesco Delfino, ''La verità di un generale scomodo'', Verona, IET, 1998</ref>, Delfino nega decisamente ogni addebito, evocando peraltro la figura di [[Giovanni Prandini]], notabile democristiano e amico di Soffiantini, del quale i rapitori avrebbero, sostiene, affannosamente cercato libretti al portatore in casa del rapito (Soffiantini smentì altrettanto decisamente)<ref>Si veda anche l'[http://www.cisf.it/fc99/0199fc/0199fc74.htm intervista rilasciata ad Alberto Chiara e Luciano Scalettari]</ref>.
 
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Il 4 maggio emerge che il [[GICO]] della [[Guardia di Finanza]] ha accertato scoperti bancari presso i conti del generale ammontanti a circa un miliardo e mezzo di lire, risalenti a poco prima dell'inizio della trattativa per la liberazione dell'ostaggio. Il 28 maggio Delfino viene rinviato a giudizio dal [[Giudice per le indagini preliminari|Gip]] di [[Brescia]] con l'ipotesi di [[concussione]] per il miliardo carpito ai Soffiantini<ref name=ImpastatoCrono0598>[http://www.centroimpastato.it/php/crono.php3?month=5&year=1998 Centro Siciliano di Documentazione "Giuseppe Impastato", Cronologia da 'Giornale di Sicilia', 'la Repubblica', 'Corriere della Sera', 'La Stampa', maggio 1998] {{webarchive|url=https://web.archive.org/web/20081009082605/http://www.centroimpastato.it/php/crono.php3?month=5&year=1998|data=9 ottobre 2008}}</ref>, del quale Delfino avrebbe trattenuto per sé larga parte, non essendo chiarito chi abbia ottenuto il resto, e a che titolo.
 
Il 6 ottobre [[1998]] Delfino, avendo optato per il [[rito abbreviato]], è condannato a tre anni e quattro mesi di reclusione, non per concussione verso la famiglia di Giuseppe Soffiantini, come proposto dall'accusa, ma per [[truffa]] aggravata; il generale viene inoltre condannato a restituire il miliardo di lire sottratto con l'inganno alla famiglia del rapito<ref name=ImpastatoCrono1098>[http://www.centroimpastato.it/php/crono.php3?month=10&year=1998 Centro Siciliano di Documentazione "Giuseppe Impastato", Cronologia da 'Giornale di Sicilia', 'la Repubblica', 'Corriere della Sera', 'La Stampa', ottobre 1998] {{webarchive|url=https://web.archive.org/web/20120304150029/http://www.centroimpastato.it/php/crono.php3?month=10&year=1998|data=4 marzo 2012}}</ref>.
 
Dopo la condanna in primo grado Delfino si rivolse anche al giornalista calabrese [[Paolo Pollichieni]] (capo-redattore del quotidiano ''[[La Gazzetta del Sud]]'', già intermediario tra sequestratori e Polizia nel sequetrosequestro di [[Roberta Ghedini]]) perché l'allora [[sottosegretario]] alla [[Presidenza del Consiglio dei ministri]] del governo [[D'Alema]] [[Marco Minniti]] s'interessasse alla sua vicenda processuale.<ref>[http://www.censurati.it/2000/11/24/minniti-e-quel-favore-molto-stretto/, "Minniti e quel favore molto Stretto"]</ref>
 
Il 23 gennaio [[2001]] la [[Corte di cassazione]] ha confermato in via definitiva la sentenza di condanna del Tribunale di [[Brescia]]<ref>https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2001/01/24/generale-delfino-pena-confermata.html?ref=search</ref>; secondo la sentenza, così confermata, il generale avrebbe approfittato del rapimento dell'amico Soffiantini al fine di truffare alla famiglia la somma di circa 800 milioni di lire, prospettando falsamente che tale somma fosse utile ad ottenere la liberazione del loro congiunto sequestrato<ref>[http://archiviostorico.corriere.it/2001/gennaio/24/Sequestro_Soffiantini_confermata_condanna_del_co_0_010124488.shtml Corriere della Sera, "Sequestro Soffiantini: confermata la condanna del generale Delfino]</ref>.
 
Delfino è andato in congedo con il grado di [[generale di divisione]].
Successivamente, al termine della vicenda giudiziaria che lo ha visto condannato, è stato rimosso dal grado in sede disciplinare ed è divenuto soldatocarabiniere semplice.
 
== Eversione di destra e la strage di piazza della Loggia ==
Delfino, all'epoca capitano presso il Nucleo investigativo dei Carabinieri di Brescia, si occupò della [[strage di piazza della Loggia]] e delle attività della destra eversiva del bresciano. Le sue indagini sulla strage condussero all'[[imputazione]] a carico di [[Ermanno Buzzi]] quale responsabile del delitto, sulla base delle dichiarazioni rilasciate da Ombretta Giacomazzi, anni dopo divenuta nuora di Soffiantini, la quale affermò che il Buzzi si sarebbe vantato con lei di esserne l'autore<ref>[http://archiviostorico.corriere.it/1998/aprile/11/Piazza_della_Loggia_teste_chiave_co_0_9804114332.shtml Archivio Corriere della Sera]</ref>. Nel [[1979]] il Buzzi fu condannato, insieme ad altri neofascisti, e nel [[1981]] fu ucciso in carcere<ref>Strangolato il 13 aprile [[1981]] da [[Pierluigi Concutelli]] e [[Mario Tuti]].</ref>; nel [[1985]] la [[Corte di cassazione|Cassazione]] assolse tutti gli imputati.
 
L'attività investigativa di Delfino, lo mise in contatto in particolare con il giudice [[Giovanni Arcai]].
Nel [[1993]] [[Giuseppe Rosina]], un ex detenuto che condivise la cella con neofascisti a vario titolo coinvolti in questa ed altre vicende del periodo, dichiarò che il Delfino ed il giudice Arcai, che indagava sulla strage, "''erano due corpi e una sola anima''" e che ad essi avrebbe dichiarato nel giugno del [[1975]] che fra la vicenda della strage di piazza della Loggia e la sparatoria di [[Altopiano di Rascino|Pian del Rascino]], avvenuta in un campo paramilitare in cui era morto il neofascista [[Giancarlo Esposti]], o almeno fra i gruppi eversivi responsabili della strage e quelli che avevano attrezzato il campo paramilitare, potevano esservi collegamenti, dato che esponenti di questi ultimi<ref>Salvatore Vivirito e ad Alessandro Danieletti, con cui era in cella a [[Lodi]]</ref> avevano dichiarato di sapere chi avesse perpetrato la strage: "''l'avevano messa i camerati di Milano appoggiandosi a quelli di Brescia''"<ref>[http://archiviostorico.corriere.it/1993/novembre/10/Gianni_Nardi_Delle_Chiaie_spie_co_0_9311104720.shtml Archivio Corriere delle Sera]</ref>. Il giudice Arcai fu sollevato dall'inchiesta quando nel successivo novembre suo figlio Andrea fu sospettato di partecipazione alle cosiddette [[trame nere]].
 
Nel 1998 Carlo Fumagalli affermò che Delfino sarebbe stato l'organizzatore ed il mandante della strage, mentre a collocare materialmente l'esplosivo sarebbe stato Maifredi; contemporaneamente dichiarò che nel periodo della strage il [[Movimento di Azione Rivoluzionaria|MAR]] aveva in progetto un tentativo di colpo di stato con l'appoggio dei carabinieri, ma che il piano si sarebbe rivelato una trappola<ref>[http://www.strano.net/stragi/stragi/crono/crono98.htm Fonte]</ref>. Fumagalli era stato arrestato da Delfino il 9 maggio [[1974]]<ref>19 giorni prima della strage</ref>, poche ore dopo aver diramato un comunicato stampa nel quale congiuntamente il [[Movimento di Azione Rivoluzionaria|MAR]], le [[Squadre d'Azione Mussolini|SAM]], [[Avanguardia nazionaleNazionale]] e [[PotereOrdine neroNero]] dichiaravano guerra allo Stato<ref>Nella stessa notte Giancarlo Esposti partiva da Milano verso Pian del Rascino.</ref>. Pochi giorni dopo la strage (perpetrata il 28 maggio), il [[Movimento di Azione Rivoluzionaria|MAR]] e l'Arma erano poi stati oggetto di pesantissime allusioni da parte di [[Giorgio Zicari]], giornalista che indagava sull'eversione di destra e informatore dei carabinieri e del [[Servizio informazioni difesa|Sid]]<ref>[http://www.strano.net/stragi/tstragi/relmp2/rel14p2.htm Fonte]</ref>, che lasciavano supporre coperture istituzionali<ref>Giorgio Zicari sul Corriere della Sera, 31 maggio 1974: "''"Certi corpi istituzionali dello Stato dovranno ora spiegare perché Fumagalli non è stato fermato in tempo. Qualcuno dovrà dire chi lo ha aiutato, su quali appoggi ha potuto contare e, soprattutto, perché. Si sapeva tutto sin dall'estate del 1970. Siamo in grado di provarlo nella sede competente"''"</ref>.
 
A seguito di alcune dichiarazioni rilasciate da [[Donatella Di Rosa]] (detta dalla stampa ''Lady Golpe''), un nuovo filone d'indagine aveva preso l'avvio nel [[1993]]. Il ruolo ricoperto dal Delfino nelle investigazioni successive all'attentato cominciò ad essere oggetto di interesse; ad esempio, la [[Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi|Commissione Stragi]] più volte, in diverse audizioni, richiese a diversi soggetti notizie circa il generale Delfino ed il suo operato nella circostanza e riguardo ad indagini effettuate sull'eversione di destra.
 
=== Le audizioni della Commissione Stragi ===
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Contattato Fumagalli, il Maifredi gli propose uno scambio: avrebbe procurato le armi presso un fantomatico gruppo arabo che sarebbe stato invece interessato ad acquistare esplosivi. I due ragazzi arrestati con l'esplosivo in macchina dagli uomini di Delfino<ref>Kim Borromeo e Giorgio Spedini</ref>, perciò, lo avevano appena ritirato da Fumagalli. La relazione falsa attribuiva la "fornitura" a pittoreschi soggetti di facciata che in realtà sarebbero stati carabinieri dipendenti da Delfino, e sui quali si giunse ad investigare pur essendosi già scoperta la falsità del rapporto<ref>Chiosò Arcai: ''Il problema in realtà è un altro: una quantità di denaro pubblico speso per inventare, redigere falsi verbali, mandare sottufficiali a destra e a sinistra, interrogare persone che non potevano sapere niente di questa operazione. Appurato che il rapporto era falso, sorgeva comunque l'altro problema: è un rapporto falso consegnato a un pubblico ministero, cioè ad un magistrato.''</ref>. Delfino ammise e giustificò la falsità della relazione: ''Questo è vero. Io non avevo l'obbligo - d'accordo con il magistrato - di portare a conoscenza di tutti gli avvocati ciò che bolliva in pentola. Si trattava di un'esigenza processuale.'' Questa esigenza, notò, si nutriva anche della probabilità che il processo a Spedini e Borromeo fosse celebrato per direttissima.
 
Altri uomini di Delfino, come il maresciallo Siddi, suo braccio destro, e l'appuntato Farci, furono assegnati alla [[guardia del corpo|scorta]] del giudice Arcai, nel frattempo fatto oggetto di [[minaccia|minacce]]; il giorno della strage di piazza della Loggia, essi accompagnarono a scuola il figlio del giudice, successivamente indagato (ma in seguito prosciolto) per la morte di Silvio Ferrari e per la strage. Gli uomini di Delfino, riferì il giudice alla Commissione, tennero un atteggiamento vago quando chiamati a confermare le circostanze che avrebbero accelerato il riconoscimento dell'innocenza del figlio del giudice, ammettendo solo dopo insistenze del Tribunale la veridicità dell'[[alibi]]. Il fatto perciò consentì di sospettare, come riassunto da Pellegrino, che ''il coinvolgimento di suo figlio nella strage di piazza della Loggia aveva un unico fine: bloccare la sua inchiesta su Fumagalli''. Nell'inchiesta, peraltro, era emersa un'ulteriore stranezza riguardante gli uomini di Delfino: il 29 aprile [[1974]], a Milano, era stata inaugurata un'enoteca appartenente al ''boss'' mafioso [[Luciano Liggio]], ed Arcai era venuto in possesso di una fotografia ritraente insieme Carlo Fumagalli ed il brigadiere Tosolini, collaboratore di Delfino.
 
Comunque, il sequestro dell'esplosivo e l'arresto dei due ragazzi miravano al coinvolgimento di Fumagalli per traffico d'armi, ed a precisa domanda di Pellegrino, Arcai confermò che il Fumagalli veniva con questa operazione "bruciato". Sempre secondo Arcai, Delfino ebbe un ruolo decisivo nello stabilire i percorsi che l'esplosivo trovato nell'auto dei due ragazzi arrestati avrebbe percorso: dalla supposta origine a [[Rovereto]], sarebbe stato trasportato a Brescia, dove sarebbe rimasto una notte, poi sarebbe stato trasportato a Milano e infine di nuovo spostato nelle vicinanze di Brescia. Per di più, passando dalla [[Valcamonica]] anziché per la strada più diretta, via [[Lecco]]. Da questi spostamenti Arcai suppose che chi aveva deciso questi spostamenti, intendesse spostare la competenza giudiziaria del conseguente processo a Fumagalli da Milano a Brescia, e questa tesi sottintendeva che i Carabinieri avessero seguito per anni, senza mai intervenire, le attività di Fumagalli, poi ad un certo punto avessero deciso di metterlo fuori gioco e che quest'ultimo fosse stato il ruolo di Delfino. La tesi fu oggetto di approfondimento da parte della Commissione<ref>Disse infatti Pellegrino nell'audizione di Delfino: ''L'ipotesi che viene fatta, e che ci è stata ripetuta recentemente, è che in realtà tutta l'organizzazione del Mar fosse nota negli ambienti dell'Arma, in particolare negli ambienti milanesi, già dagli anni settanta, che fosse stata sempre monitorata e seguita e poi, attraverso l'infiltrazione di Maifredi, venne seguito quel percorso di armi che si ferma nel bresciano perché si voleva spostare la competenza giudiziaria da Milano a Brescia. A Milano infatti non sarebbe stata tollerata "ambientalmente" una vicenda giudiziaria che coinvolgesse Fumagalli, visto che questi era il latitante d'oro e aveva i rapporti di cui accennavo prima con il generale Palumbo e con il commissario Calabresi.''</ref>; Delfino rispose di non aver mai ricevuto condizionamenti ''di sorta'' e che l'operazione era nata con la comparsa di Maifredi, del quale ci si chiedeva ''chi l'ha mandato''; e sul percorso imposto agli esplosivi, disse che la destinazione doveva essere nelle vicinanze di [[Sondrio]], poiché lo scambio avvenne in prossimità del [[Lago d'Iseo]] per ragioni logistiche, dovendosi scegliere un luogo in cui eventuali presenze estranee sarebbero state notate, negando perciò che vi potessero essere in ballo opportunità di giurisdizione<ref>Sulle tesi di Arcai Delfino aggiunse: ''Quindi, l'operazione Fumagalli nasce senza alcun preconcetto, contrariamente a ciò che oggi sostiene il dottor Arcai, giudice istruttore al quale ho consegnato su un vassoio d'argento un'organizzazione, l'unica organizzazione eversiva che è stata condannata dal vertice alla base''.</ref>.
 
Sul punto di "chi mandò Maifredi" a "bruciare" Fumagalli, nel presupposto appunto che vi fossero legami oscuri da dover recidere, prima di chiedere la secretazione di una parte dell'audizione, Delfino riunì degli accenni già abbozzati poco prima per dichiarare di credere all'ipotesi che vi fossero interessi [[Loggia P2|piduisti]] in gioco. Se, come detto anche da Arcai, Maifredi si vantava di essere in eccellenti rapporti con [[Paolo Emilio Taviani]], al quale diceva di aver salvato la vita in un attentato omicidiario del quale non c'erano tuttavia riscontri, Delfino aveva già riferito a Pellegrino, nella "lettera degli insulti", che Arcai, in uno strano giro di "consultazioni" straordinarie compiute a Roma, si era incontrato anche con Taviani<ref>Pellegrino riassunse: "''il giudice Arcai, nei giorni 20-22 ottobre 1974, senza dare avviso a nessuno e senza essere accompagnato da un cancelliere, si reca a Roma e ha incontri col Ministro della difesa, una conversazione di un'ora e mezzo, con il Ministro dell'interno, conversazione di un'ora e tre quarti, con il generale Maletti del Sid, conversazione di due ore, e con l'ammiraglio Casardi, capo del Sid, conversazione di un'ora.''"</ref>. Taviani, invece, audito anch'egli dalla stessa commissione tempo dopo, smentì la conoscenza e ricordò che in sede processuale lo stesso Maifredi aveva confessato trattarsi di una millantazione<ref>[http://www.parlamento.it/bicam/terror/stenografici/steno24.htm Resoconto audizione Taviani]: ''Maifredi non era mai stato mia scorta; non mi aveva mai salvato la vita che era già stata minacciata dall'Oas, dalle Brigate rosse e nere; ma non avevo subìto alcun attentato sull'Appennino ligure-emiliano. Lo stesso Maifredi nel prosieguo del processo ha confermato il 21 settembre 1977, di avermi incontrato solo casualmente e di aver - cito testualmente -: "detto tutte quelle cose per strappare la loro fiducia e per indurli a confidare i loro piani di azione".''</ref>. Inoltre Delfino riferì di aver appreso, al termine dell'operazione riguardante Fumagalli, di un commento dell'ufficiale del Sid [[Antonio Labruna]], per il quale i carabinieri, con tale operazione, avrebbero "rotto le uova nel paniere" e di non essersi spiegato il senso del commento se non nel [[1981]], con la pubblicazione degli elenchi degli appartenenti alla P2.
 
Delfino ricordò infatti che l'allora comandante generale dell'Arma, generale Mino, all'epoca dell'inchiesta su Fumagalli si recava spesso a Brescia ed alla presenza del generale Palumbo e di altri ufficiali, gli richiese, sempre a dire del Delfino, di telefonargli tutte le mattine alle 6 per informarlo degli sviluppi. Richiesto dalla Commissione se si fosse domandato la ragione di un interessamento così alto, Delfino rispose di nuovo di essersi convinto dell'ingerenza di forti interessi dopo la pubblicazione delle liste della P2<ref>Il generale Palumbo era negli elenchi di iscritti alla loggia, mentre la Commissione P2 portò il generale Mino ad esempio delle "''persone formalmente non iscritte negli elenchi, ma indicate come appartenenti alla P2''".([http://www.strano.net/stragi/tstragi/relmp2/rel06p2.htm v.])</ref>.
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=== Il rinvio a giudizio per concorso in strage e l'assoluzione definitiva ===
 
Il 14 maggio [[2008]], si è giunti - a 34 anni dalla strage - al rinvio a giudizio, con l'accusa di concorso nella [[strage di piazza della Loggia]] di Francesco Delfino assieme a [[Delfo Zorzi]], [[Maurizio Tramonte]], [[Carlo Maria Maggi (1934)|Carlo Maria Maggi]], [[Pino Rauti]] e [[Giovanni Maifredi]]. Il processo ha avuto inizio il 25 novembre [[2008]]<ref>[http://www.corriere.it/cronache/08_maggio_15/piazza_loggia_rinvio_6fa7175e-225e-11dd-8bc7-00144f486ba6.shtml Corriere della Sera, "Piazza della Loggia, rinvio a giudizio per tutti gli imputati", 15 maggio 2008]</ref><ref>[http://www.corriere.it/cronache/08_novembre_25/piazza_della_loggia_brescia_processo_e80b8cba-baee-11dd-9330-00144f02aabc.shtml Corriere della Sera, In aula per la strage di piazza della Loggia, 25 novembre 2008].</ref>
Con sentenza emessa il 14 aprile 2012, a conferma della sentenza di primo grado, la Corte d'assise d'appello di [[Brescia]] ha assolto - ai sensi dell'art. 530, comma 2 Cpp - Francesco Delfino per non aver commesso il fatto. Tale sentenza, con riguardo a Francesco Delfino, è divenuta definitiva.
 
=== Grandi Vecchi e vecchie glorie ===
Delfino, nel suo libro "''La verità di un generale scomodo''" ([[1998]]), riprese le supposizioni sulla eventuale regia di un Grande Vecchio dietro certe trame, e scrisse:
{{citazione|... c'è o non c'è il Grande vecchio in grado di muovere i fili del burattino Italia? La mia idea guida è il [[caso Moro]] del quale non mi sono mai occupato: mi si sono aperti nella mente in modo casuale, ripescati nel cestino della memoria, quattro file. Primo File: una foto di [[Henry Kissinger]]; secondo file un vocabolario russo-italiano; terzo file l'[[Strage della Questura di Milano|attentato alla questura di Milano]] di [[Gianfranco Bertoli]], un individuo che si professa anarchico. Ma non proviene da Israele? Quarto file il corpo dilaniato di [[Giangiacomo Feltrinelli|Feltrinelli]] a trecento metri da uno dei covi di Carlo Fumagalli.
|Francesco Delfino, ''La verità di un generale scomodo''<ref name=libro />}}
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== Procedimenti giudiziari ==
Nel [[1993]] il collaboratore di giustizia [[Saverio Morabito]], anch'egli nativo di [[Platì]], tra le altre cose, raccontò anche circostanze relative al [[rapimento di Aldo Moro]] del 16 marzo [[1978]] dicendo che nel commando delle [[Brigate Rosse]] entrato in azione c'era un esponente della [['ndrangheta]], [[Antonio Nirta]], che a suo dire sarebbe stato infiltrato dal generale dei carabinieri Francesco Delfino avendo ''"appreso da [[Domenico Papalia]] e da [['Ndrina Sergi|Paolo Sergi]] che fu uno degli esecutori materiali del sequestro dell'onorevole [[Aldo Moro|Moro]]"''. Nirta però negò di aver mai partecipato alla strage di via Fani e il PM Nobili incriminò Delfino salvo poi chiederne il proscioglimento non avendo trovato riscontri a quanto riferito da Morabito.<ref>{{cita libro| autore-capitolo-nome=Bruno | autore-capitolo-cognome=De Stefano | capitolo=Massone mancato| titolo=I boss che hanno cambiato la storia della malavita| curatore= | anno=2018 | editore=[[Newton & Compton]] | città=Roma | ed=1 | pp=342-347| ISBN=9788822720573 }}</ref>
 
Nel [[2001]] è stato condannato in Cassazione per [[truffa]] aggravata, mentre nel [[2007]] è stato rinviato a giudizio, e poi assolto in via definitiva, in relazione alla [[strage di piazza della Loggia]].
 
== Onorificenze e riconoscimenti ==
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|collegamento_onorificenza= Ordine al Merito della Repubblica Italiana
|motivazione= Per speciali benemerenze verso la Nazione, su proposta della Presidenza del Consiglio dei ministri<ref>[http://www.quirinale.it/onorificenze/DettaglioDecorato.asp?idprogressivo=108470&iddecorato=107974 2-6-1996, su proposta della Presidenza del Consiglio dei ministri, da generale di divisione]</ref>
|luogo= [[Roma]] - 2 giugno [[1996]]
}}
 
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|collegamento_onorificenza= Ordine al Merito della Repubblica Italiana
|motivazione= Per speciali benemerenze verso la Nazione, su proposta della Presidenza del Consiglio dei ministri<ref>[http://www.quirinale.it/onorificenze/DettaglioDecorato.asp?idprogressivo=120212&iddecorato=119716 27-12-1995, su proposta della Presidenza del Consiglio dei ministri, da generale di brigata]</ref>
|luogo= [[Roma]] - 27 dicembre [[1995]]
}}
 
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|collegamento_onorificenza=Valor Civile
|motivazione= per la cattura di [[Carlo Fumagalli]] del [[Movimento di Azione Rivoluzionaria]]<ref name="onorificenze"/>
|luogo= [[Roma]] - 9 maggio [[1974]]
}}
 
Riga 233 ⟶ 236:
|collegamento_onorificenza=Valor Civile
|motivazione= per la cattura di [[Giorgio Semeria]] e di altri componenti del nucleo storico delle [[Brigate Rosse]]<ref name="onorificenze"/>
|luogo= [[Roma]] - 22 marzo [[1976]]
}}
 
Riga 249 ⟶ 252:
|collegamento_onorificenza= Order of Merit - Nishan al-Askari
|motivazione= <ref name="onorificenze"/>
|luogo= [[Il Cairo]] ([[Egitto]]) - [[1987]]
}}
 
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{{Portale|biografie|storia}}
 
[[Categoria:Grandi Ufficiali OMRI|Delfino, Francesco]]
[[Categoria:Protagonisti degli anni di piombo]]
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[[Categoria:Grandi Ufficiali OMRI|Delfino, Francesco]]
[[Categoria:Protagonisti degli anni di piombo]]
[[Categoria:Studenti dell'Università degli Studi di Messina]]
[[Categoria:Studenti dell'Università degli Studi di Pavia]]