Vincenzo Monti: differenze tra le versioni
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|Nazionalità = italiano
|Immagine = VincenzoMonti.jpg
|Didascalia = [[Andrea Appiani]], ''Vincenzo Monti'', 1809, [[Pinacoteca di Brera]], [[Milano]]
|DimImmagine = 210
}}
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Monti nacque ad [[Alfonsine]], [[Romagna|borgo romagnolo]] facente parte dei dominii dello [[Stato Pontificio]] (attualmente in [[provincia di Ravenna]]), il 19 febbraio del [[1754]], figlio di Fedele Maria Monti, un perito agrimensore, e Domenica Maria Mazzari, entrambi proprietari d'un podere nei pressi della zona. Aveva tre fratelli maggiori, Cesare, che fu prete, Giovan Battista, [[Frati Cappuccini|frate cappuccino]], e Francesc'Antonio, oltre che cinque sorelle, tre delle quali, Lucia Dorotea, Rosa Geltrude e Maria Maddalena, diventeranno monache. Narrano i biografi che all'età di cinque anni cadde nel fosso del mulino della proprietà, salvandosi miracolosamente.<ref>Quinto Veneri, ''Vincenzo Monti'', Torino, Paravia, 1941, p.15</ref>
[[File:15 Via delle Scienze.jpg|thumb|verticale=0.7|Casa dove visse a Ferrara, in [[via delle Scienze]]]]
Ad otto anni fu condotto nella vicina [[Fusignano]], dove ebbe come maestro don [[Pietro Santoni]] (1736-1823), che era anche un rinomato poeta [[lingua romagnola|dialettale]]. Nel [[1766]] entrò nel [[seminario]] di [[Faenza]], studiando latino con il famoso [[Francesco Contoli]].<ref>[[Guido Bustico]], ''Vincenzo Monti. La vita'', Messina, Principato, [1920], p.10.</ref> Vi rimase dai dodici ai diciassette anni (a tredici prese la [[tonsura]]) e nel [[1771]] manifestò l'intenzione di entrare nell'[[Ordine Francescano]]. Privo però di una vera vocazione, accantonò presto l'idea, trasferendosi con il fratello Francesc'Antonio a [[Ferrara]], dove studiò [[diritto]] e [[medicina]] presso l'[[Università degli Studi di Ferrara|Università degli Studi]]. Dovette lottare per abbandonare definitivamente il borgo natìo, dove la famiglia, totalmente insensibile alla letteratura, voleva trattenerlo. Molto interessante al proposito appare la lettera che il giovane Monti scrisse, nel [[1773]], all'abate [[Longiano|longianese]] [[Girolamo Ferri]], suo professore nel seminario faentino:
{{Citazione|La dittatura è passata ai miei fratelli, che hanno intenzione risoluta di levarmi da Ferrara...<br />Signor Maestro, ... se ella scopre per accidente un nicchio, io sono in caso d'entrarvi dentro<br />a piè pari, e in qualità di quel che si vuole, e presso chiunque.|Lettera a Girolamo Ferri, 1773}}
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==== Ritorno al neoclassicismo ====
[[File:Testa di Feronia - museo civico Pio Capponi di Terracina.jpg|thumb|upright=0.7|Testa di Feronia. Reperto datato ultimo quarto del II secolo a.C. e originario di Punta di Leano, [[Terracina]]]]
Tuttavia è ancora presto, la sua poesia rimane nel solco della tradizione arcadica e in sintonia con la lezione degli [[Illuminismo|illuministi]]. Monti continua a frequentare l'[[Accademia dell'Arcadia|Accademia]] e qui recita le due opere successive, il sonetto ''Sopra la morte'' (alla fine saranno quattro, e vedranno la luce nel 1788), molto popolare all'epoca, e l'ode ''Al signor di Montgolfier'', scritta in quartine. Essa trasse spunto dal secondo volo aerostatico della storia con equipaggio, avvenuto a [[Parigi]] il 1º dicembre [[1783]]. In una comunione stupita col popolo, Monti ne trae un'opera sincera, non commissionata, imbastita sul paragone tra le imprese della nave [[Argonauti|Argo]] e quelle della [[mongolfiera]], in un parallelo volto ad esaltare, come nella ''Prosopopea'', la modernità, e, in un afflato del tutto illuminista, il progresso umano. Benché l'opera sia intitolata ai [[fratelli Montgolfier]], che avevano svolto esperimenti analoghi nei mesi precedenti suscitando grande entusiasmo (tra cui il primo volo umano del 21 novembre su Parigi), il volo descritto da Monti nell'opera non fu realizzato dai Montgolfier bensì dal loro rivale [[Jacques Alexandre César Charles]], assieme a [[Louis Nicolas Robert]], citati espressamente nel testo assieme a Montgolfier.
[[File:Early flight 02562u (2).jpg|thumb|left|upright=0.7|Prima dimostrazione pubblica del volo ad [[Annonay]], 4 giugno [[1783]], ad opera dei [[fratelli Montgolfier]]]]
Nel 1784 cominciò a metter mano a un testo sul quale sarebbe ritornato per tutta la vita, senza mai riuscire a completarlo. Si tratta della ''[[Feroniade]]'', il cui titolo rimanda alla [[Feronia|ninfa]] amata da [[Zeus]] e perseguitata da [[Giunone]]. Anche qui non manca il pretesto: questa volta si vuole glorificare l'intenzione di Pio VI di bonificare le paludi dell'[[Agro Pontino]], opera che non ebbe lieto esito ma suscitò grande risonanza e anticipò la famosa bonifica [[Benito Mussolini|mussoliniana]]. L'opera che ci è stata tramandata conta ben 2000 versi sciolti. L'idea per il tema venne al Monti nel corso delle battute di caccia che conduceva assieme al principe Braschi Onesti nella zona di [[Terracina]], dove vide la fontana Feronia citata da [[Orazio]] e si lavò anch'egli ''ora manusque''<ref>Orazio, ''Sat''. I, V, 24</ref> (''le mani e il volto'', perché qui ''ora'' è naturalmente da intendersi come [[sineddoche]]). La critica ha ravvisato gli innumerevoli rimandi stilistici e tematici a [[Virgilio]], mentre [[Giosuè Carducci|Carducci]] ha parlato di influenza [[Omero|omerica]].<ref>Bertoldi p.397-8</ref> In ogni caso, sono testimonianze che ben rilevano il gusto neoclassico dell'opera.
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Il 3 luglio 1791 sposò [[Teresa Pichler|Teresa Pikler]] (Roma, 3 giugno 1769 - Milano, 19 maggio 1834), o meglio Pichler<ref>Rodolfo Renier, in ''Fanfulla della domenica'', n. del 15 novembre 1903</ref> figlia di [[Giovanni Pichler]] ([[1734]]-[[1791]]) famoso intagliatore di gemme della città, ma oriundo tirolese, e di Antonia Selli, romana. La celebrazione fu sobria, lontana dai clamori della ribalta, e si tenne nella chiesa di san Lorenzo in Lucina. Dal matrimonio nacquero due figli, [[Costanza Monti|Costanza]]<ref>Così chiamata in onore della protettrice montiana</ref>, che poi sposerà il conte [[Giulio Perticari]] e coltiverà le lettere entrando anche in Arcadia,<ref>Con il nome di Telesilla Meonia; di grande ingegno e cultura, scrisse anche un poemetto in ottava rima, ''L'origine della rosa'', che tanto rese fiero il padre, come si evince dalle lettere al Perticari e al Lampredi</ref> e Giovan Francesco (1794-1796), ma quest'ultimo morirà in tenera età. Alla moglie rimase profondamente fedele per il resto dei suoi giorni.
Nel 1793 due artisti [[lione]]si furono arrestati
Il modello della ''Bassvilliana'', scritta in terzine e in terza rima, è certamente [[Dante Alighieri|dantesco]], ma non manca l'influenza, a livello schematico, della ''Messiade'' di [[Friedrich Gottlieb Klopstock|Klopstock]], che in quegli anni aveva anche pensato di tradurre dal francese (essendo privo di conoscenze del tedesco).<ref>Bevilacqua, p. 46</ref> Nel nostro «lungo e sproporzionato poema»,<ref>Arturo Pompeati, ''Vincenzo Monti'', Bologna, Zanichelli, 1928</ref> un angelo preleva a Roma l'anima del Bassville appena spirato e la porta in terra di Francia, mostrandole i disastri causati dalla Rivoluzione, e provocandone un pianto dirotto alla vista dell'uccisione di [[Luigi XVI]] (21 gennaio 1793).
[[File:
Vengono attaccati gli illuministi più famosi, le cui ombre appaiono come avversari ([[Voltaire]], [[Diderot]], [[Rousseau]], [[d'Holbach]], [[Pierre Bayle|Bayle]]...) mentre il re, raffigurato come un santo martire, concede il perdono a Basseville. Il poema piacque al mondo cattolico [[Reazione (politica)|reazionario]] e [[Controrivoluzione|controrivoluzionario]]. Monti tuttavia, probabilmente già dubbioso e incline a cambiare il proprio pensiero (come avrebbe fatto appena due anni dopo), si fermò al quarto Canto, e passò alla composizione di un'opera più incline ai suoi favoleggiamenti mitici, ''La Musogonia'' (1793-1797, in ottave), lasciata anch'essa a metà e foriera di spunti per le opere non lontane di [[Manzoni]] (''Urania'') e [[Ugo Foscolo|Foscolo]] (''Le Grazie'').
Indicativa è la chiusa del poema, modificata più volte, indirizzata prima a [[Francesco II d'Asburgo-Lorena|Francesco II d'Austria]] e poi a [[Napoleone]], cui si chiede di intercedere per l'Italia. Monti non ebbe mai tentennamenti nel proprio attaccamento alla patria, anche se si volse a diversi "protettori" a seconda dei momenti storici.[[File:Marmont.jpg|thumb|left|upright=0.7|Il Maresciallo Auguste de Marmont]]
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Quando Napoleone riprese il controllo della Cisalpina, Monti si lasciò andare ad una canzonetta entusiasta, preludio a un prossimo ritorno in Italia e sincero giubilo per le sorti dell'amata patria: si tratta di ''Per la liberazione dell'Italia'', uno dei suoi componimenti più popolari.
Dopo la [[battaglia di Marengo]], del 14 giugno [[1800]] Monti si vide infine premiato, e Napoleone ne fece il proprio aedo, il proprio poeta di corte, assegnandogli anche la [[Cattedra (università)|cattedra]] di Eloquenza presso l'[[Università degli Studi di Pavia]], che il 25 giugno 1800 fece riaprire dopo la chiusura imposta dagli Austro-Russi. Monti inizierà l'insegnamento solo nel 1802, in quanto decise di rimanere ancora qualche mese in Francia, dove completò l'ultima tragedia, il ''Caio Gracco'', e dove terminò la traduzione de ''La pucelle d'Orléans'' di [[Voltaire]].
==== All'Università di Pavia ====
[[File:Vincenzo Monti targa.jpg|miniatura|destra|Lapide al'interno dell'ateneo]]
[[File:Palazzo centrale dell'Università di Pavia (Corso Strada Nuova).jpg|thumb|left|upright=0.8|L'[[Università di Pavia]] dove Monti insegnò tra il 1802 e il 1804]]
Nel [[1802]] Monti si insedia all'Università degli Studi di Pavia con la prolusione del 24 marzo, e vi tiene lezioni tra il 1802 e il novembre 1804, ricevendo in seguito la nomina di poeta del governo italico. In questo periodo delle lezioni pavesi Monti si discosta nettamente dai giovanili ardori per i moderni di marca illuminista. Nelle sue lezioni la capacità di "invenzione", in pratica l'originalità, è accordata solo agli antichi. Il "progresso" concerne le sole scienze; nella poesia non si ha progresso, semmai "regresso" poiché i suoi elementi furono già interamente scoperti dagli antichi.
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[[File:Madamedestael.jpg|thumb|upright=0.7|Madame de Staël]]
Alla fine del [[1804]] il Nostro fece una nuova importante conoscenza. Il 30 dicembre giunse a Milano [[Madame de Staël]], accompagnata dai tre figli e dal loro precettore, [[Friedrich Schlegel]]. Mandato un invito a Monti, si conobbero il giorno dopo
Dopo che [[Napoleone]] s'incoronò [[Regno d'Italia (1805-1814)|Re d'Italia]] nel 1805 Monti divenne ''Istoriografo del Regno'' e poeta ufficiale di corte, percependo 6000 zecchini annui. Fu anche insignito della [[Legion d'Onore]].<ref>Veneri, p.85</ref> Compose molte opere inneggianti a Bonaparte, alle sue vittorie e alla sua politica. L'incoronazione fu il motivo de ''Il beneficio'' (1805), commissionato dal governo e sorta di investitura a poeta cortigiano, in cui richiama dall'oltretomba lo spirito di alcuni grandi italiani (tra questi Dante) che individuano nel nuovo re l'unica salvezza. Bodoni ne curò quattro edizioni a spese del governo, fra cui una ''in folio''.
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I migliori risultati poetici del Monti sono in realtà costituiti dalle traduzioni, laddove non è frenato dall'esigenza di celebrare o adulare smodatamente, sicché può liberamente mettere in mostra il suo talento dialettico e formale, la sua eleganza compositiva: tra il 1798 e 1799, in una fase di profondo distacco dal suo passato papalino, cura la traduzione in ottave dell'irriverente poema satirico di [[Voltaire]] ''[[La Pulzella d'Orléans (poema)|La Pucelle d'Orléans]]'', sulle vicende di [[Giovanna d'Arco]], in chiave sorprendentemente comica e piena di ritmo (il lavoro sarà poi pubblicato postumo nel 1878).
Un'altra prova di virtuosismo è costituita dalla versione delle ''Satire'' di [[Persio]] (1803), ma è la traduzione dell{{'}}''[[Iliade]]'' in endecasillabi sciolti, terminata e pubblicata nel 1810, il suo vero capolavoro. [[File:Aulus Persius Flaccus.jpeg|thumb|left|upright=0.7|Tradusse anche le ''Satire'' di [[Persio]], qui ritratto]]
Sin dai primi anni il testo fu per Monti un'ossessione, e già molto tempo addietro, tra il [[1788]] e il [[1790]], aveva fatto una traduzione di alcuni canti.<ref>Leone Vicchi, ''Vincenzo Monti. Le lettere e la politica in Italia dal 1750 al 1830. (Decennio 1781-1790)'', Faenza, P. Conti, 1883, p. 506.</ref> Originariamente, aveva adottato l'ottava, che utilizzò per recitare i canti I e VIII in Arcadia,<ref>Muscetta, cit., p.XXVIII</ref> ma nel [[1806]] optò definitivamente per l'endecasillabo sciolto,<ref>Veneri, p.101</ref> in cui, come detto, fu eseguita la traduzione completa.
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Dopo la sconfitta di Napoleone, Monti non si fece scrupoli nel dedicare pari lodi al nuovo sovrano, l'imperatore d'[[Impero austriaco|Austria]] e Re del [[Regno Lombardo-Veneto|Lombardo-Veneto]] [[Francesco I d'Austria|Francesco I]], e ne fu ricompensato conservando il ruolo di poeta di corte, anche se gli zecchini annui si ridussero a 1200. Ci fu tuttavia minore entusiasmo, e tutto ciò che partorì furono due azioni drammatiche rappresentate alla [[Teatro alla Scala|Scala]], rispettivamente il 15 maggio [[1815]] e il 6 gennaio [[1816]], intitolate ''Il mistico omaggio'' e ''Il ritorno di Astrea''.
Il Monti di questi anni rivendica il merito di una "riforma" letteraria intervenuta nel ventennio tra la ''Bassvilliana'' e la sua traduzione dell{{'}}''Iliade'', passando per la ''Mascheroniana''; una ripresa dello studio dei classici, e di [[Dante]]. Lo afferma in una lettera del 1815, rispondendo all'invito di scrivere lui una prefazione alla ''[[Biblioteca Italiana]]'', periodico voluto dall'[[Impero d'Austria|Austria]].
Nella lettera dice anche che due ostacoli lo disturbano: la parte scientifica, per la quale ha bisogno che "altri gli forniscano il materiale", e il suo riconoscersi come personaggio fondamentale per la letteratura di allora, e quindi la prospettiva di ritrovarsi a parlare di sé stesso nella prefazione (non volendosi dare meriti altrui ma nemmeno omettere ciò di cui si crede meritevole). Importante è la parola "Riforma", che veniva utilizzata in origine per il [[Neoclassicismo]]; ma Monti fa partire questa riforma dal 1793 (il Neoclassicismo nasce secondo [[Giosuè Carducci|Carducci]] con la [[Trattato di Aquisgrana (1748)|pace di Aquisgrana]] nel [[1748]] e per gli studiosi più recenti con le scoperte di [[Scavi di Pompei|Pompei]] e gli scritti di [[Winckelmann]]) e la fa concludere al più tardi nel 1812; la descrive come riforma esclusivamente letteraria e quindi in niente debitrice a Winckelmann, alle arti, all'[[archeologia]].
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Nel [[1822]] morì il genero Giulio Perticari, che il poeta considerava come un figlio nonostante un precedente litigio, e a questo dolore si unì la diffamazione cui la figlia Costanza andò incontro, accusata di aver trascurato il marito o addirittura di averlo ucciso. Alcune voci pretesero addirittura l'esistenza di una complicità del padre nel presunto complotto. Addolorata, Costanza tornò a vivere con i genitori.
Nel [[1825]] la "tenera amica"<ref>Lettera di V.M. ad [[Antonio Papadopoli]] del 30 agosto 1825</ref> [[Antonietta Costa]], marchesa genovese, chiese a Monti un componimento in occasione delle nozze del figlio Bartolomeo con la marchesa Maria Francesca Durazzo. Da ciò nacque il ''Sermone sulla mitologia'', poemetto in sciolti, feroce invettiva contro le manifestazioni orride e macabre del [[romanticismo]] nordico, colpevole di aver scalzato gli dèi dalla poesia. In particolare depreca la traduzione della ''[[Lenore]]'' di [[Gottfried August Bürger]] fatta da [[Giovanni Berchet]] e il ritorno in auge dei temi [[
Come si può facilmente immaginare, l'opera non lasciò indifferenti
Può apparire quindi sorprendente che il vecchio Monti si dimostri ancora così chiuso al gusto romantico, dopo certe virate del passato e della stessa senilità, ma intelligentemente [[Cesare Cantù]] dimostrò come fossero qui colpite solo le manifestazioni macabre del Romanticismo (nonostante il montiano ''Aristodemo'' che ricordava direttamente [[Edward Young]]), antitetiche alla concezione "diurna e solare" della poesia montiana.
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Contemporaneamente, Monti scriveva anche canzoni più intime e familiari, come il dolcissimo sonetto ''Per un dipinto dell'Agricola'', dedicato alla figlia Costanza, che era stata ritratta dal [[Filippo Agricola|pittore]], o come la [[Canzone leopardiana|canzone libera]] ''Pel giorno onomastico della mia donna Teresa Pikler'', composta tra il settembre e l'ottobre del 1826. Qui, la moglie e la figlia vengono definite solo conforto alla vecchiaia del poeta, e solo motivo di dispiacere per il prossimo abbandono di un mondo che riserva solo sofferenze. Era come se "la vecchiezza, non che inaridisse la vena dell'affetto, anzi le fece più abbondante. Così, negli ultimi anni del suo vivere, egli era l'aquila che, stanca di tanti arditissimi voli, stanca di alzar le penne fino al sole o di mescersi coi nembi e le procelle, ritornava al nido per riposarvisi, chiudendo le grandi ali sul capo dei suoi cari". Nell'opera Monti ripercorre anche la propria vicenda letteraria e umana.<ref>Zumbini, p.250</ref>
Si schierò quindi in difesa dell'uso in letteratura della mitologia e della tradizione classica, ma al tempo stesso mantenne buoni rapporti con gli esponenti delle nuove tendenze romantiche e nel [[1827]] espresse giudizi entusiastici sulla lettura dei ''[[Promessi Sposi]]''. Si inserì nella disputa sulla questione della lingua, ponendosi su posizioni fortemente avverse al padre [[Antonio Cesari]] e ai [[Purismo (letteratura)|puristi]], sminuendo il [[XIV secolo|Trecento]] per passare in rassegna tutti gli uomini di cultura del [[XVIII secolo|Settecento]].<ref>Muscetta, p.XLV-I</ref> In questa linea si situano i sette volumi
Negli ultimi anni di vita, a partire dal 1816 e fino alla morte, ritornò sul poema in tre canti in endecasillabi sciolti ''La Feroniade'', iniziato già nel periodo romano per esaltare i progetti di bonifica delle paludi pontine, e ora ripreso con ossessiva cura formale, ma comunque non concluso e stampato postumo nel [[1832]]. ''La Feroniade'' è anche un modo di affermare una sua estraneità alla storia e al presente, proprio da parte di uno scrittore che aveva costruito la sua carriera sulla partecipazione della letteratura alle trasformazioni politiche.
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{{Citazione|La mattina del 13 a sette ore e qualche minuto il Monti mandò senz'affanno un facile sospiro, e chinò lievemente la testa; tutti stavano immoti e tacevano: un grido della figlia ruppe quel tetro silenzio. Vincenzo Monti era passato.}}
La [[Casa Monti|casa natale]] di [[Alfonsine]], in [[Romagna]], è divenuta un [[casa museo|museo]].<ref>{{Cita web|url=http://www.casemuseoromagna.it/index.php?id=7|titolo=La Casa Museo di Vincenzo Monti|editore=Coordinamento Case Museo dei Poeti e degli Scrittori di Romagna|accesso=2024-08-01|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20230621105458/http://www.casemuseoromagna.it/index.php?id=7|urlmorto=no}}</ref>
[[File:Tragedie di Vincenzo Monti.tif|miniatura|''Tragedie di Vincenzo Monti'', 1816. Da [[Biblioteca europea di informazione e cultura|BEIC]], biblioteca digitale]]
È stato intitolato a suo nome il noto [[Liceo Ginnasio Statale Vincenzo Monti|Liceo classico]] di [[Cesena]].
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In seguito, all'interno di una critica spesso discorde, si sono levate, a lode convinta del poeta, le voci di [[Niccolò Tommaseo|Tommaseo]] (che definì "immortali" i ''Pensieri d'amore''<ref>Niccolò Tommaseo, ''Dizionario Estetico'', Firenze, Le Monnier, p.692; «I brevi sciolti, amorosi, di dodici o venti versi, che nel fervore della passione sfuggirono al Monti, resteranno, io credo, immortali»</ref>
) e di [[Giosuè Carducci]], che apprezzò in particolar modo i temi classicheggianti e il linguaggio arcadico. Carducci curò, tra il 1858 e il 1885, varie edizioni delle poesie montiane, e sul suo esempio lo studioso reggiano [[Alfonso Bertoldi]], allievo di Carducci all'[[Università di Bologna|Ateneo bolognese]], diede alla luce, anche in collaborazione con [[Giuseppe Mazzatinti]], due edizioni delle poesie e una, monumentale e completa, dell{{'}}''Epistolario'', comprendente lettere scritte tra il 1771 e il 1828.<ref>Alfonso Bertoldi e Giuseppe Mazzatinti (a cura di), ''Lettere inedite e sparse di Vincenzo Monti'', Vol I: 1771-1807, L. Roux e c., Torino - Roma 1893; Vol. II: 1808-1828, Roux Frassati e c., Torino 1896; Alfonso Bertoldi (a cura di), ''Epistolario di Vincenzo Monti'', Firenze, Sansoni, sei volumi tra 1928 e 1931</ref> Bertoldi fu il primo a restituirci nella loro interezza i carteggi del poeta. Inoltre, con la cura propria della critica [[positivista]], diede notizie molto precise sulle varie opere, anteponendo a ciascuna un cappello introduttivo in cui, oltre all'occasione che aveva generato il componimento specifico, forniva un breve quadro della situazione storica.<ref>Vedere la presentazione di Bruno Maier in Vincenzo Monti, ''Poesie'' (a cura di A.Bertoldi), Firenze, Sansoni, 1957</ref> Il lavoro bertoldiano è stato il modello degli studi del secolo successivo.<ref>[[Bruno Maier]], in op.cit.</ref> Si è vista una particolare fioritura delle opere critiche negli anni a cavallo del 1930, per celebrare il centenario della morte di Monti.
[[File:Abbondio Sangiorgio (1798-1879) Busto di Vincenzo Monti (1833) di trequarti.jpg|thumb|[[Abbondio Sangiorgio]], Busto di Vincenzo Monti (1833)]]
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== Collegamenti esterni ==
* Edizione Nazionale delle Opere di Vincenzo Monti - https://www.vincenzomonti.org/<nowiki/>{{Collegamenti esterni}}
* {{Treccani|vincenzo-monti_(Enciclopedia-Dantesca)|MONTI, Vincenzo|autore=Febo Allevi}}
* {{Treccani|vincenzo-monti_(Enciclopedia-dell'Italiano)|MONTI, Vincenzo|autore=Maria Maddalena Lombardi}}
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{{Portale|biografie|letteratura|teatro}}
[[Categoria:Vincenzo Monti| ]]
[[Categoria:Accademici dell'Arcadia]]
[[Categoria:Drammaturghi italiani del XVIII secolo]]
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[[Categoria:Sepolti nel cimitero di San Gregorio]]
[[Categoria:Neoclassicismo]]
[[Categoria:Accademici della Crusca]]
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