Francesco Filelfo: differenze tra le versioni
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I suoi primi studi di [[grammatica]], [[retorica]] e [[lingua latina|latino]] furono compiuti all'[[Università degli Studi di Padova|Università di Padova]], sotto la guida di [[Gasparino Barzizza]]. Negli anni acquistò una tale reputazione da ricevere, nel [[1417]], la cattedra di [[oratoria]] e [[filosofia morale]] a [[Venezia]]. Egli si dedicò principalmente all'insegnamento di [[Marco Tullio Cicerone|Cicerone]] e [[Publio Virgilio Marone|Virgilio]], considerati al suo tempo l'espressione più alta dello stile latino.
Nel [[1419]] il governo di Venezia gli assegnò il ruolo di segretario del massimo rappresentante dei Veneziani (il [[Balivo|bailo]]) a [[Costantinopoli]]. Durante i sette anni di permanenza nella città, egli acquisì una conoscenza del [[lingua greca|greco]] quotidiano probabilmente superiore a quella di qualsiasi suo contemporaneo, nonostante la sua conoscenza del greco classico rimanesse tutt'altro che impeccabile. In questo periodo sposò anche Teodora, figlia di [[Ilario Doria#Discendenza|Manfredina Doria]] e [[Giovanni Crisolora]], oltre che pronipote di [[Manuele Crisolora]], il dotto bizantino che per primo insegnò il greco in [[Italia]] e fu impiegato in molte missioni diplomatiche dall'imperatore [[Giovanni VIII Paleologo]].
Nel [[1427]] accettò un nuovo invito delle autorità veneziane a riprendere la sua carriera di insegnante universitario. Da allora, la vita di Filelfo, che si sviluppò nei principali centri della cultura italiani ([[Venezia]], [[Milano]], [[Firenze]], [[Siena]]), fu un alternarsi continuo fra lezioni universitarie, pubblicazioni di suoi scritti, amicizie con personaggi altolocati e dispute accese con i suoi avversari. Fu infatti uomo di grande vigoria fisica, con un'inesauribile energia intellettuale, un uomo dalle violente passioni e dai molti desideri; una persona orgogliosa, irrequieta, avida di soldi e gloria, incapace di fermarsi in una sede e sempre impegnato in ''querelle'' con i dotti del tempo.
Ebbe buoni rapporti con [[Ciriaco d'Ancona]], il padre dell'[[archeologia]], con il quale tenne una fitta corrispondenza, in cui si rileva il comune apprezzamento nei confronti di Dante e un'identità di vedute su questioni dibattute nell'ambiente degli umanisti; il Filelfo scrisse di lui: ''Numquam quiescit Kyriacus''<ref>Dal latino: "''Ciriaco non riposa mai''".</ref>, per lo straordinario numero di viaggi che Ciriaco effettuò.<ref>{{Cita web |url = http://romanizzazione.uniud.it/Pannello%207.pdf |titolo = Letteratura di viaggio e interessi antiquarî |editore = Università di Udine |urlmorto = sì |urlarchivio = https://web.archive.org/web/20150402183139/http://romanizzazione.uniud.it/Pannello%207.pdf |dataarchivio = 2 aprile 2015 }}; Dizionario Biografico Treccani, voce ''[https://www.treccani.it/enciclopedia/ciriaco-de-pizzicolli_(Dizionario-Biografico)/ Ciriaco de'Pizzicolli]''.</ref>
Giunto a Venezia con la sua famiglia, trovò la popolazione della città decimata dalla [[peste]]. Si spostò quindi nel [[1428]] a [[Bologna]], dove però i contrasti politici non consentivano un clima favorevole. Si trasferì allora a Firenze dove iniziò il periodo più intenso e brillante della sua vita, dal [[1429]] al [[1434]]. Fu molto attivo come traduttore di testi greci classici: [[Omero]], [[Aristotele]], [[Plutarco]], [[Senofonte]], [[Lisia]] in particolare. Durante la settimana illustrava i principali autori della letteratura latina, mentre, la domenica, spiegava Dante alla gente nella chiesa di [[Cattedrale di Santa Maria del Fiore|Santa Maria del Fiore]]. Questa ''Lectura Dantis'', condotta anche in sede accademica, era volta a fornire una legittimazione politica all'oligarchia repubblicana allora al potere in città, il che lo mise in rotta di collisione con i [[Medici]] ed il suo collega [[Carlo Marsuppini|Marsuppini]] che, tra l'altro, aveva proposto di ridurre lo stipendio ai docenti universitari allo scopo di indurre Filelfo ad andarsene.<ref name="treccani">{{cita web|url=https://www.treccani.it/enciclopedia/francesco-filelfo_%28Dizionario-Biografico%29/}}</ref>▼
▲Giunto a Venezia con la sua famiglia, trovò la popolazione della città decimata dalla [[peste]]. Si spostò quindi nel [[1428]] a [[Bologna]], dove però i contrasti politici non consentivano un clima favorevole. Si trasferì allora a Firenze dove iniziò il periodo più intenso e brillante della sua vita, dal [[1429]] al [[1434]]. Fu molto attivo come traduttore di testi greci classici: [[Omero]], [[Aristotele]], [[Plutarco]], [[Senofonte]], [[Lisia]] in particolare. Durante la settimana illustrava i principali autori della letteratura latina, mentre, la domenica, spiegava Dante alla gente nella chiesa di [[Cattedrale di Santa Maria del Fiore|Santa Maria del Fiore]]. Questa ''Lectura Dantis'', condotta anche in sede accademica, era volta a fornire una legittimazione politica all'oligarchia repubblicana allora al potere in città, il che lo mise in rotta di collisione con i [[Medici]] ed il suo collega [[Carlo Marsuppini|Marsuppini]] che, tra l'altro, aveva proposto di ridurre lo stipendio ai docenti universitari allo scopo di indurre Filelfo ad andarsene.<ref name="treccani">{{
Per i motivi suddetti, oltre che per il suo carattere, giunse a scontrarsi con [[Cosimo de' Medici]] e la sua cerchia. Così, quando Cosimo, in seguito alla lotta con la famiglia degli [[Albizzi]], fu esiliato nel [[1433]], Filelfo cercò invano di convincere la [[signore (titolo nobiliare)|signoria]] a [[pena di morte|condannarlo a morte]] in una violenta satira contro i Medici (''Sat.'' IV, 1). Ovviamente, al ritorno di Cosimo a Firenze, la posizione di Filelfo non era più sostenibile. Come egli asserì, la sua vita era già stata messa in pericolo, per volontà degli stessi [[Medici]], allorché, il 18 maggio 1433, fu pugnalato da un [[Imola|imolese]]. Al processo che ne seguì, il [[Rettore (università)|rettore]] stesso dello Studio (università) ammise di essere stato il mandante dell'attentato, probabilmente per coprire le responsabilità di Cosimo.<ref name="treccani"/> Di conseguenza accettò prontamente l'invito fattogli dalla città di [[Siena]], dove non rimase che quattro anni, dal [[1434]] al [[1438]], a causa del permanere dei contrasti con la signoria medicea. Infatti, in seguito ad un altro fallito attentato nei suoi confronti da parte dello stesso mandante - al cui sicario fu amputata una mano come punizione - lo stesso Filelfo ricorse ai medesimi metodi. Pagato un sicario per attentare alla vita dei suoi nemici fiorentini, nonostante il fallimento del tentativo - cui seguì la medesima punizione - Filelfo fu bandito dalla città di Firenze e, in caso di cattura, gli sarebbe stata mozzata la lingua.<ref name="treccani"/>
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== Bibliografia ==
*{{cita libro|autore=Carlo Rosmini|titolo=Vita di Francesco Filelfo da Tolentino|url=https://archive.org/details/vitadifrancesco00filegoog|anno=1808|città=Milano}}
* Rudolf Georg Adam, ''Francesco Filelfo at the court of Milan (1439-1481)'', [https://ora.ox.ac.uk/objects/uuid:4a3d6a89-f32f-4ddc-a467-416cb97a4d32 University of Oxford Thesis, 1974, 569 pp. (Part 1: Text, 1-198, Part 2: Footnotes, 199-569)]
*{{cita libro|autore=Francesco Filelfo|data=Anno domini MCCCCXXXXVIII X februarii|titolo=Exercitatiunculae|url=https://gutenberg.beic.it/webclient/DeliveryManager?pid=539945&custom_att_2=simple_viewer&search_terms=DTL5&pds_handle= |città=[Milano] |editore=Impressum per Antonium Zarotum }}
* Pier Giorgio Ricci, «[http://www.treccani.it/enciclopedia/francesco-filelfo_(Enciclopedia-Dantesca)/ Filelfo, Francesco]», in ''Enciclopedia Dantesca'', Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1970.
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