Codice napoleonico: differenze tra le versioni

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{{Norma giuridica
{{Vaglio|arg=Diritto}}
|nome = Code civil
[[File:Code_Civil_1804.png|thumb|Prima pagina dell'edizione originale del 1804.]]
|titolo esteso = {{fr}} Code civil des français
Il '''''Codice napoleonico'''''<ref name="cdn_trec">{{Treccani|codice-civile-napoleonico_(Dizionario-di-Storia)|accesso=15 luglio 2019}}</ref><ref>{{cita web|url=http://www.treccani.it/export/sites/default/scuola/lezioni/storia/L_EREDITA_NAPOLEONICA_lezione.pdf|titolo=L'eredità dell'epoca napoleonica - il Codice|accesso=23 agosto 2020|}}</ref><ref>{{cita web|url=https://dizionaripiu.zanichelli.it/storiadigitale/p/mappastorica/155/la-diffusione-del-codice-napoleonico|titolo=La diffusione del Codice napoleonico|autore=Corrado Malandrino|accesso=23 agosto 2020|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20201128003719/https://dizionaripiu.zanichelli.it/storiadigitale/p/mappastorica/155/la-diffusione-del-codice-napoleonico|urlmorto=sì}}</ref> (in lingua francese ''Code civil des français'' o ''Code Napoléon'') è il codice civile attualmente in vigore in [[Francia]] e uno dei più celebri del mondo, così chiamato perché voluto da [[Napoleone Bonaparte]]; esso fungerà da modello per tutti i codici successivi ed eserciterà una notevole influenza sulle analoghe raccolte di numerosi paesi al mondo.
|immagine = Code_Civil_1804.png
|larghezza =
[[File:Code_Civil_1804.png|thumb|didascalia = Prima pagina dell'edizione originale del 1804.]]
|tipo legge = Codice civile
|stato = [[Prima Repubblica francese]]
|autore = Commissione di giuristi nominata direttamente da [[Napoleone Bonaparte]]:<br/><small>[[Félix Julien Jean Bigot de Préameneu]]<br/>[[Jacques de Maleville]]<br/>[[François Denis Tronchet]]<br/>[[Jean-Étienne-Marie Portalis]]</small>
|schieramento =
|data_1 = [[1803]]-[[1804]]
|promulgante = [[Napoleone Bonaparte]]<ref>Come [[Consolato (Francia)|Primo console]].</ref>
|data_2 =
|vigore = 21 marzo [[1804]]
|link = {{Cita web|url=http://www.legifrance.gouv.fr/affichCode.do?cidTexte=LEGITEXT000006070721|lingua=fr|titolo=Testo ufficiale del Codice civile}}
}}
 
Il '''''Codice napoleonico'''''<ref name="cdn_trec">{{Treccani|codice-civile-napoleonico_napoleonico_f(Dizionario-di-Storia)|accesso=15 luglio 2019}}</ref><ref>{{cita web|url=http://www.treccani.it/export/sites/default/scuola/lezioni/storia/L_EREDITA_NAPOLEONICA_lezione.pdf|titolo=L'eredità dell'epoca napoleonica - il Codice|accesso=23 agosto 2020|}}</ref><ref>{{cita web|url=https://dizionaripiu.zanichelli.it/storiadigitale/p/mappastorica/155/la-diffusione-del-codice-napoleonico|titolo=La diffusione del Codice napoleonico|autore=Corrado Malandrino|accesso=23 agosto 2020|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20201128003719/https://dizionaripiu.zanichelli.it/storiadigitale/p/mappastorica/155/la-diffusione-del-codice-napoleonico|urlmorto=sì}}</ref> (in lingua francese ''Code civil des français'' o ''Code Napoléon'') è il codice civile attualmente in vigore in [[Francia]] e uno dei più celebri del mondo, così chiamato perché voluto da [[Napoleone Bonaparte|Napoleone]]; esso fungerà da modello per tutti i codici successivi ed eserciterà una notevole influenza sulle analoghe raccolte di numerosi paesi al mondo.
 
Redatto da una commissione nominata da Napoleone a inizio '800, venne emanato il 21 marzo 1804<ref name="cdn_trec" /> ed è ricordato per essere stato il primo codice civile moderno, introducendo chiarezza e semplicità delle [[norma giuridica|norme giuridiche]] e soprattutto riducendo a unità il [[soggetto giuridico]]; anche se, sia in [[Austria]] sia in Francia, c'erano già state precedenti codificazioni in materia penale (es: il [[codice penale francese del 1791]]).
 
Scritto in un linguaggio semplice, elegante e conciso, il ''Code Napoléon'' fu fonte di ispirazione di alcuni scrittori dell'epoca. [[Stendhal]] in una lettera a [[Honoré de Balzac|Balzac]] scrisse che durante la composizione della ''[[La Certosa di Parma|Certosa di Parma]]'' egli era solito leggere ogni mattina due o tre pagine del Codice civile “per prendere il tono” ed “essere sempre naturale”, [[Paul Valéry]] dichiarò che il Codice era uno dei capolavori della letteratura francese e [[Jules Romains]] consigliava scherzosamente di leggerlo la sera prima di addormentarsi.<ref>{{Cita web|url=https://www.academie-francaise.fr/sites/academie-francaise.fr/files/broglie-code_civil.pdf|titolo=La langue du Code civil|cognome=de Broglie|nome=Gabriel|wkautore=Gabriel de Broglie}}</ref><ref>{{Cita web|url=http://www.instoria.it/home/codice_civile_napoleone_iII.htm|titolo=Il Code Civil des Français, parte III, L’eredità giuridica di Napoleone|cognome=Caly|nome=Richard}}</ref><ref>{{Cita pubblicazione|autore=Newman|anno=1970|titolo=Stendhal and the Code civil|rivista=The French Review|volume=XLIII|numero=3|url=https://www.jstor.org/stable/385502}}</ref><ref>{{Cita pubblicazione|autore=Flavia Tringali|anno=2018|titolo=Il Code Civil des Français: fonte d´ispirazione dei codici moderni. Genesi, struttura e innovazioni|rivista=Cammino diritto|volume=9|url=https://rivista.camminodiritto.it/articolo.asp?id=3288}}</ref>.
 
== Contesto ==
=== Contesto storico ===
<ref>{{Cita pubblicazione|cognome=Alessandro Barbero Fan Channel|data=10 agosto 2021|titolo=Alessandro Barbero - Le riforme di Napoleone|accesso=15 dicembre 2024|url=https://www.youtube.com/watch?v=dhux0mlEl2Y}}</ref>
{{Vedi anche|Età moderna|Storia della Francia|Rivoluzione francese}}
{{...|storia|diritto}}
 
Napoleone era una creatura della [[Rivoluzione francese|Rivoluzione Francese.]] {{Vedi anche|Diritto dell'età moderna}}
=== Contesto giuridico ===
{{Vedi anche|Diritto dell'età moderna}}
[[File:Corpus Iuris Civilis, Digestum (cropped).jpg|miniatura|verticale|Pagina del ''[[Digesto]]'' del ''[[Corpus iuris civilis]]'' di [[Giustiniano I]] con le relative [[glossa|glosse]] in un'edizione del 1502]]
 
Alla fine del [[XVIII secolo]] in Europa era ancora vigente il sistema di [[diritto comune]] di [[diritto medievale|elaborazione medievale]] che fondava le sue radici nel [[diritto romano]] come era giunto attraverso il ''[[corpus iuris civilis]]'' di [[Giustiniano]]. Per tutta l'[[diritto dell'età moderna|età moderna]] questo era stato affiancato da una moltitudine di altre [[fonte (diritto)|fonti giuridiche]] quali [[scuola dei commentatori|commentari]], raccolte di ''[[consilia]]'', trattati, pareri, compendi a cui si aggiungevano le legislazioni dei monarchi. Tutto ciò aveva causato una sostanziale imprevedibilità nei giudizi che rendeva ancora più frequenti le ingiustizie e le disuguaglianze in un mondo, detto spesso di ''[[Ancien Régime]]'', ancora diviso per classi e basato su un [[monarchia assoluta|potere assoluto]] del sovrano. Già nel settecento molti pensatori, in particolare gli [[illuminismo|illuministi]], avevano messo in luce le criticità del sistema proponendo delle soluzioni adottabili che talvolta [[Dispotismo illuminato|alcuni principi]] cercarono di mettere in pratica.<ref>{{cita|Padoa-Schioppa, 2007|pp. 305-306}}.</ref><ref>{{treccani|illuminismo|Illuminismo}}</ref><ref>{{cita|Del Frate et al., 2018|pp. 220-221}}.</ref><ref name=TreccaniNapoleonico/>
 
Già nel corso del settecento erano stati fatti dei tentativi di riordinare il materiale normativo esistente in maniera chiara e concisa cancellando, o più spesso relegandolo a un ruolo residuale, il vecchio diritto comune. Spesso si trattò, tuttavia, di semplici "consolidazioni" del diritto precedente con il «semplice scopo di facilitare la pratica forense nel reperimento di un materiale spesso disperso o difficile rinvenimento».<ref>{{cita|Del Frate et al., 2018|p. 206}}.</ref><ref name=treccanicodificazione>{{treccani|il-problema-della-codificazione_(Il-Contributo-italiano-alla-storia-del-Pensiero:-Diritto)|Il problema della codificazione}}</ref> Ad esempio, nel 1756 era stato promulgato il codice civile bavarese (noto come ''[[Codex Maximilianeus Bavaricus Civilis]]''), moderno per il suo linguaggio chiaro e preciso, ma rimandava ancora al diritto comune in caso di [[Lacuna (diritto)|lacune]],<ref name="Ascheri pp. 250-251">{{cita|Ascheri, 2008|pp. 250-251}}.</ref> mentre nel [[Ducato di Modena e Reggio]], intorno alla metà del XVIII secolo, si realizzò una "consolidazione" finalizzata a riorganizzare il materiale giuridico già esistente, ma senza l'ambizione di sostituire la produzione precedente che rimase in vigore.<ref name="Ascheri pp. 250-251"/> [[Federico II di Prussia|Federico II il Grande]], sul trono di [[regno di Prussia|Prussia]] dal 1740 al 1786, aveva tentato di far redigere un codice civile finalizzato alla «pubblica felicità dei sudditi» in cui le norme fossero espresse in maniera chiara, ma l'impresa naufragò<ref>{{cita|Padoa-Schioppa, 2007|pp. 434-436}}.</ref><ref>{{cita|Ascheri, 2008|pp. 249-250}}.</ref> così come fallì l'analogo progetto del ''[[Codex theresianus]]'' promosso da [[Maria Teresa d'Austria]] per l'opposizione del cancelliere [[Wenzel Anton von Kaunitz-Rietberg]].<ref>{{cita|Padoa-Schioppa, 2007|ppp. 437-439}}.</ref><ref>{{cita|Ascheri, 2008|pp. 251-252}}.</ref>
 
[[File:Carte du pays de droit coutumier et du pays de droit écrit (fr).png|miniatura|verticale|sinistra|Gli ordinamenti giuridici in Francia sotto l{{'}}''Ancien Regime'': regioni di diritto consuetudinario e regioni di diritto scritto]]
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Una pietra miliare nella [[codificazione]] fu il [[codice leopoldino|codice penale leopoldino]] promulgato nel [[Granducato di Toscana]] il 30 novembre 1786<ref>{{cita|Padoa-Schioppa, 2007|p. 444}}.</ref><ref>{{cita|Ascheri, 2008|pp. 267-268}}.</ref> sebbene che dal punto di vista formale giuridico, anch'esso mancasse degli elementi necessari per essere definito un vero e proprio [[Codice (diritto)|codice]] (nel senso contemporaneo), poiché non abrogava interamente le leggi previgenti ma si limitava a prescrivere la loro interpretazione conforme.<ref name="nota1">{{cita|Di Simone, 2012|p. 70}}.</ref>
 
In questo panorama la [[Francia]] viveva una situazione ancora più stantia, nonostante fosse il «cuore pulsante» dell'illuminismo e degli [[enciclopedisti]]. Da una parte il problema dell'incertezza del diritto si presentava particolarmente critico, tanto che [[Voltaire]] raccnotaracconta che «un viaggiatore in questo paese, cambia leggi quasi tante volte quante cambia i cavalli di posta»;<ref group=N>«''Un homme qui voyage dans ce pays change de loi presque autant de fois qu’il change de chevaux de poste''». In {{cita libro|autore=Voltaire|opera=Dictionnaire philosophique|editore=Garnier|volume=tomo 18|titolo=Coutumes|anno=1878|url=https://fr.wikisource.org/wiki/Dictionnaire_philosophique/Garnier_(1878)/Coutumes}}</ref> persino i principi erano differenti, con il sud del paese che seguiva il diritto comune scritto e quello a nord rimasto ancora ad una forma [[consuetudine|consuetudinaria]] risalente all'epoca [[carolingi]]a.<ref name=TreccaniNapoleonico>{{Treccani|codice-civile-napoleonico_(Dizionario-di-Storia)|Codice civile napoleonico}}</ref><ref>{{cita|Fassò, 2020|pp. 12-13}}.</ref><ref name="Padoa-Schioppa p. 478">{{cita|Padoa-Schioppa, 2007|p. 478}}.</ref> Dall'altra parte il governo si dimostrò inadeguato nel portare avanti riforme sostanziali, condannando il Paese a un'arretratezza che sarà poi una delle cause della rivoluzione del 1789. Come ebbe a dire il celebre [[Jean-Étienne-Marie Portalis]], tra i principali autori del futuro codice, la «Francia non era che una società di società» e quindi era impossibile realizzare un progetto di riforma fintantoché il vecchio regime fosse ancora in vigore.<ref>{{cita|Ascheri, 2008|p. 253}}.</ref><ref>{{cita|Del Frate et al., 2018|p. 240}}.</ref>
 
== Genesi ==
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[[File:Maurin - Cambaceres.png|miniatura|verticale|[[Jean-Jacques Régis de Cambacérès]]]]
 
L'intenzione di realizzare un unico codice civile in cui fossero raccolte tutte le norme che regolavano la vita di ogni cittadino francese ponendo fine alla molteplicità giurisprudenziale e al frantumato [[particolarismo giuridico]], caratteristica dell{{'}}''[[Ancien Régime]]'', e che affondava le proprie radici nell'ormai frusto e farraginoso sistema del [[diritto comune]], avvenne durante la fase più radicale della [[Rivoluzione francese]] e precisamente nell'estate del 1793 all'apice del [[giacobinismo]]. Fu il [[Comitato di salute pubblica]], l'organo governativo rivoluzionario, a incaricare una commissione per redigerne il testo di cui fece parte il giurista e politico [[Jean-Jacques Régis de Cambacérès]]; sarà poi quest'ultimo il vero estensore di questo primo disegno di codice e degli altri due che ne seguiranno gettando le basi per la versione definitiva del 1804.<ref>{{cita| name="Padoa-Schioppa, 2007|ppp. 478}}.<"/ref>
 
Il primo progetto presentato nello stesso anno prevedeva un codice suddiviso, come da tradizione [[gaio|gaiana]], in tre libri: diritto delle persone, diritto delle cose, diritto dei contratti e delle obbligazioni. In coerenza con gli ideali rivoluzionari del momento, esso proclamava l'uguaglianza giuridica dei cittadini e dava grande spazio all'autonomia negoziale. Disposizioni importanti erano: l'abolizione della patria potestà e della potestà maritale, la comunione dei beni tra i coniugi, il [[divorzio]] (introdotto in Francia nel 1792) facilitato, il favore verso la [[successione mortis causa]] legittima (ridotta a un decimo la quota disponibile per il testatore), l'equiparazione tra [[figlio naturale|figli naturali]] e [[figlio legittimo|legittimi]], la concezione assoluta della [[Proprietà (diritto)|proprietà]], l'abolizione della [[patria potestà]] e della [[potestà maritale]]. Il progetto fu inizialmente accolto con favore e molti articoli vennero approvati; ma dopo l'affermazione del Terrore il clima cambiò: il codice venne giudicato troppo complesso e vennero riscontrate delle tracce di antico regime. In novembre l'esame fu interrotto e il progetto fallì. È stato ipotizzato che uno dei motivi per la sua bocciatura sia stata la preoccupazione del Comitato di salute pubblica di non volere fissare le leggi per non perdere l'impeto rivoluzionario e lasciarsi aperte ogni possibilità.<ref>{{cita|Padoa-Schioppa, 2007|pp. 478-479}}.</ref>
 
[[File:Merlin de Douai par Delpech.jpg|miniatura|sinistra|verticale|[[Philippe-Antoine Merlin de Douai]]]]
 
Nel luglio del 1794 il Regime del Terrore terminò e Cambacérès poté, questa volta coadiuvato dalla consulenza di [[Philippe-Antoine Merlin de Douai]], lavorare ad un nuovo progetto. Questo venne presentato a settembre e consisteva in un codice, sempre diviso in tre libri, ma di soli 298 articoli presentati sotto forma di comandi brevi e laconici, senza tecnicismi: il testo appariva come una sorta di breviario del [[giusnaturalismo]] e dell'[[illuminismo]]. Ispirato ai principi più estremi della Rivoluzione, il codice poneva al centro l'individuo a cui veniva concessa massima libertà nel disporre dei propri beni. Il mutato clima politico, (era da poco stato deposto [[Robespierre]],) tuttavia fece sì che questa volta il lavoro fosse giudicato troppo generico e dai contenuti troppo radicali poiché ispirati ad una ideologia superata. Lo stesso Cambacérès prese le distanze dal suo progetto e il 9 dicembre successivo venne definitivamente accantonato.<ref>{{cita|Padoa-Schioppa, 2007|p. 479}}.</ref><ref>{{cita|Fassò, 2020|p. 13}}.</ref>
 
Due anni più tardi, nel giugno 1796 ([[anno IV del calendario rivoluzionario francese]]), Cambacérès presentò al [[Consiglio dei Cinquecento]] un terzo tentativo di codice. Il contesto politico era nuovamente cambiato con alcuni giuristi che addirittura avevano messo in dubbio l'opportunità di redigere un codice preferendo invece un recupero della tradizione del [[diritto romano]] e così Cambacérès si adeguò proponendo un codice che segnava il ritorno alla tradizione giuridica anteriore ed era caratterizzato dal compromesso fra tradizione e innovazioni rivoluzionarie. Le norme (semplici, chiare e ben formulate) disponevano tra l'altro: matrimonio posto al vertice della società (divorzio comunque mantenuto), ruolo prevalente del marito, patria potestà nei suoi caratteri rivoluzionari (doveri di mantenimento, educazione e protezione), vietata l'adozione a chi avesse già figli, favore per successione legittima meno marcato. Questi adeguamenti, tuttavia, non bastarono poiché al Consiglio apparve troppo legato all'ideologia giacobina e quindi anche questo lavoro venne rigettato.<ref>{{cita|Padoa-Schioppa, 2007|p. 480}}.</ref>
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=== Non eterointegrabilità ===
Una delle più grandi innovazioni del codice napoleonico fu quella di porsi come unica fonte di diritto per i francesi, escludendo qualsiasi altra che fosse anteriore ad esso. La legge del 30 ventoso dell'anno XII (21 marzo 1804), grazie alla quale il codice venne promulgato, disponeva che venivanovenissero totalmente abrogate ille norme di diritto romano, le ordinanze regie, le consuetudini o qualsiasi altra fonte normativa nelle materie trattate dal codice civile. Con questa veniva di fatto «cancellati secoli di diritto comune» che venivano sostituiti dal nuovo testo.<ref name=Padoa-Schioppa483/>
 
Una scelta così radicale non fu accolta all'unanimità. Già nei tentativi di codice precedenti era declinata la possibilità per il giudice di ricorrere alla «legge naturale o agli usi accolti» in caso che avesse riscontrato una [[lacuna (diritto)|lacuna]] normativa. Lo stesso Portalis difesanon difese una tale impostazione riconoscendo che il codice, per quanto completo ed esaustivo fosse, non avrebbe mai potuto potuto prevedere tutti i casi che da quel momento in poi sarebbero stati posti all'attenzione di un giudice. Nonostante ciò la disposizione venne mantenuta negando anche la possibilità di ricorrere all'[[equità]] come fonte suppletiva e, secondo quanto enunciato dall'articolo 4, al concedere al giudice di rifiutarsi di giudicare per silenzio o oscurità della legge. In questo modo definitivamente «il codice divenne fonte esclusiva non [[Eterointegrazione|eterointegrabile]] con altre fonti da parte del giudice».<ref name=Padoa-Schioppa483>{{cita|Padoa-Schioppa, 2007|p. 483}}.</ref>
 
=== Struttura ===
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Pertanto la [[patria potestà]], messa in discussione dall'ordinamento rivoluzionario, venne pienamente ripristinata benché fosse stata accolta la precedente consuetudine, presente nelle regioni settentrionali francesi, di prevedere l'emancipazione del figlio che avesse raggiunto la maggiore età.<ref name="Padoa-Schioppa.484"/> L'autorità del padre sul figlio si estendeva fino a prevederne la possibilità di arresto anche se le casistiche che lo rendevano lecito vennero ridotte rispetto agli anni pre-rivoluzionari. Inoltre, il matrimonio dei figli di età inferiore ai 21 e ai 25, rispettivamente per femmine e maschi, doveva essere autorizzato dal padre, mentre un suo formale consiglio era previsto fino al compimento dei trent'anni.<ref name=PadoaSchioppa484-485/>
 
Il divorzio era già stato introdotto durante la Rivoluzione e il codice napoleonico lo confermò sebbene riducendone le cause ammesse. I beni famigliari erano amministrati dal marito in quanto l'articolo 1224 decretava l'incapacità di agire alla moglie alla stregua del minore o dell'incapace. La disparità tra marito e moglie era evidente anche dalle cause di divorzio, infatti l'articolo 220 decretava che il marito potesse «domandare il divorzio per causa d’[[adulterio]] e per causa di violenza domestica » mentre l'articolo 230 disponeva che la moglie potesse fare lo stesso solo «allorché egli [il marito] avrà tenuta la sua [[concubina]] nella casa comune».<ref name=PadoaSchioppa485>{{cita|Padoa-Schioppa, 2007|p. 485}}.</ref>
 
Se durante il periodo rivoluzionario la quota disponibile nel [[testamento]] era stata ridotta, il codice napoleonico fece un passo indietro ritenendo che questo fosse uno strumento per far sì che i figli si comportassero rispettosamente verso il genitore. Pertanto, con l'articolo 913 venne disposto che le liberalità testamentarie fossero estese a metà dei beni del disponente in presenza di un solo figlio, 1/3 nel caso di due figli, 1/4 se con tre o più. I [[figlio naturale|figli naturali]] erano esclusi dalla famiglia mentre l'[[adozione]] era consentita sebbene con sostanziali limitazioni.<ref name=PadoaSchioppa485/>
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== Diffusione ==
 
Il codice napoleonico ebbe una grande diffusione in tutto il mondo. Fin dai primi anni venne imposto in molti dei paesi occupati dai francesi durante le [[guerre napoleoniche]].<ref>Senkowska-Gluck, Monika. "Effects of Napoleonic Legislation on the Development of the 19th-century Europe." ''Acta Poloniae Historica'' 38 (1978): 185–198. {{ISSN|0001-6829}}</ref> Nelle regioni tedesche sulla riva occidentale del [[Reno]] ([[Palatinato Renano]] e [[Prussia]]), nell'ex [[Ducato di Berg]] e nel [[Granducato di Baden]], il Codice napoleonico continuò ad avere una forte influenza fino all'introduzione del [[Bürgerliches Gesetzbuch|primo codice civile tedesco]] nel 1900.<ref name="Arvind TT; Stirton L 2010 1–29">{{Cita pubblicazione|autore1=Arvind TT|autore2=Stirton L |titolo=Explaining the Reception of the Code Napoleon in Germany: a fuzzy-set qualitative comparative analysis |rivista=Legal Studies |volume=30 |numero=1 |pp=1–291-29 |data=marzo 2010 |doi=10.1111/j.1748-121X.2009.00150.x |url=http://www3.interscience.wiley.com/journal/123270568/abstract|urlarchivio=https://archive.todayis/20130105071047/http://www3.interscience.wiley.com/journal/123270568/abstract|urlmorto=si}}</ref>
 
Un codice civile profondamente influenzato dal codice napoleonico venne adottato nel 1864 anche in [[Romania]] rimanendo in vigore fino al 2011.<ref>{{cita web|url=http://anndrei.ro/noul-cod-civil-promoveaza-medierea/ |titolo=Noul Cod civil promovează medierea |data=5 maggio 2013 |accesso=31 maggio 2013 |urlarchivio=https://web.archive.org/web/20130725045740/http://anndrei.ro/noul-cod-civil-promoveaza-medierea/ |urlmorto=si }}</ref>
 
Il termine "Codice Napoleonico" è usato anche per riferirsi a codici propri di altri ordinamenti che però la loro formulazione è stata influenzata dal codice francese, come il Codice Civile del Basso Canada (sostituito nel 1994 dal Codice Civile del Quebec). Anche la maggior parte dei codici dei civile paesi dell'[[America Latina]] sono influenzati dal codice napoleonico, ad esempio quelli del [[Cile]], del [[Messico]]<ref>[https://www.elsevier.es/en-revista-mexican-law-review-123-articulo-the-need-remove-civil-code-S1870057817300082 The Need to Remove the Civil Code from Mexican Commercial Laws: the Case of “Offers” and “Firm Promises”]; Mexican Law review , Vol. 10. Issue 1, pages 21-44 (July - December 2017) DOI: 10.22201/iij.24485306e.2017.19.11382</ref> e di [[Portorico]].<ref>{{Cita pubblicazione|anno=1950 |cognome=Rabel |nome=Ernst |capitolo=Private Laws of Western Civilization: Part II. The French Civil Code |titolo=Louisiana Law Review |volume=10 |numero=2 |p=110 |url=http://digitalcommons.law.lsu.edu/lalrev/vol10/iss2/2/ |accesso=1º dicembre 2016}}</ref>
DOI: 10.22201/iij.24485306e.2017.19.11382</ref> e di [[Portorico]].<ref>{{Cita pubblicazione|anno=1950 |cognome=Rabel |nome=Ernst |capitolo=Private Laws of Western Civilization: Part II. The French Civil Code |titolo=Louisiana Law Review |volume=10 |numero=2 |pp=110 |url=http://digitalcommons.law.lsu.edu/lalrev/vol10/iss2/2/ |accesso=1º dicembre 2016}}</ref>
 
== Critiche al codice ==
 
Nel corso del tempo diversi giuristi hanno proposto alcune critiche al codice civile di Napoleone evidenziando di come il risultato concreto si differenziasse da quello voluto da coloro che lo avevano proposto. In primo luogo è stata messa in discussione la sua pretesa di essere unica fonte di legge non eterointegrabile valida per tutti gli aspetti della vita dei cittadini, pretesa su cui lo stesso Portalis aveva avanzato alcuni dubbi durante la composizione. A tal proposito, lo storico del diritto [[Paolo Grossi]] arrivò a descriverlo come «un supremo atto di presunzione e, insieme, la messa in opera di un controllo perfezionatissimo», argomentando che «si credette di poter immobilizzare il diritto, che è storia vivente, in un testo cartaceo sia pure di notevole fattura».<ref>{{cita|Grossi, 2007|p. 60}}.</ref> Sempre per Grossi, il codice superò certamente il particolarismo giuridico che affliggeva l'era precedente ma lo sostituì con un «assolutismo giuridico» di cui esso era la massima espressione. Il legislatore statale era divenuto l'unica fonte del diritto escludendo la scienza giuridica e l'opera dei giudici dal processo di creazione dell'ordinamento relegandole ad «un ruolo ancillare del legislatore mentre la loro interpretazione veniva contratta e minimizzata al non ruolo di esegesi, ossia di ripetizione piatta e servile della volontà che il legislatore ha rivelato e raccolto nella legge».<ref>{{cita|Grossi, 2007|p. 61}}.</ref>
 
Un altro aspetto che ha sollevato perplessità è il principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge ben dichiarato nel codice e ereditato dalla Rivoluzione. Per la prima volta non più vi erano norme differenziate per i nobili, per il clero o per il popolo, ma un unico ''corpus'' legislativo dedicato alla nuova figura astratta del "cittadino". È stato contestato che si trattò di una [[uguaglianza formale]] valida dunque solo in linea di principio poiché così si ignoravano ed escludevano tutte le disuguaglianze e disparità presenti nella vita reale dei cittadini influendo nella loro autonomia privata. L'uguaglianza dichiarata fu così più una finzione utile agli scopi programmatici, perché questa impostazione mutasse bisognerà aspettare il [[XX secolo]] con l'introduzione del concetto di [[uguaglianza sostanziale]].<ref>{{cita|Solidoro, 2010|p. 267}}.</ref><ref>{{cita|Treccani|principio-di-uguaglianza_%28Diritto(Diritto-on-line%29)/|Principio di uguaglianza}}></ref>
 
== Altri codici napoleonici ==
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=== Il dibattito sulla codificazione ===
 
La codificazione napoleonica aprì senza alcun dubbio la strada verso unaun nuovo modo di concepire il diritto, tuttavia tra i giuristi dell'epoca si levarono diversi dibattiti sull'opportunità o meno di avere un codice. Il più celebre fu quello che si ebbe in [[Germania]] all'indomani della vittoria nella [[Campagna di Germania del 1813|guerra di liberazione]] combattuta proprio contro l'[[primo impero francese|occupante francese]]. Qui, nonostante l'avversione per Napoleone ma sulla spinta [[nazionalismo|nazionalista]], il giurista [[Anton Friedrich Justus Thibaut]], pubblicò nel 1814 un trattato dal titolo ''Sulla necessità di un codice civile generale in Germania'' in cui si sosteneva che la codificazione delle leggi nella [[confederazione Germanica]] avrebbe potuto offrire grandi vantaggi in termini di efficienza e certezza del diritto. A Thibaut replicò subito polemicamente [[Friedrich Carl von Savigny]] avviando così lunga [[disputa sulla codificazione|una disputa]]. La risposta di Savigny servì come inizio di una nuova dottrina che darà vita alla cosiddetta "[[scuola storica del diritto]]".<ref>{{cita|Ascheri, 2008|p. 283}}.</ref><ref>{{cita|Del Frate et al., 2018|p. 324}}.</ref><ref>{{cita|Fassò, 2020|p. 44}}.</ref> Savigny, estremizzando alcuni concetti provenienti dai lavori di [[Thomasius]] e [[Montesquieu]], arrivò a considerare i codici come un'operazione inutile, o perfino dannosa. Egli riteneva che il diritto non dovesse essere di esclusiva produzione di un legislatore, ma che fosse da costruire partendo dalla storia per mezzo del lavoro di giuristi, unici in grado di capire lo spirito del popolo (''[[Volksgeist]]'').<ref>{{cita|Ascheri, 2008|pp. 284-286}}.</ref> Alla fine prevalse la posizione di Savigny e la Germania rimarrà priva di un codice civile fino al 1900 quando sarà promulgato il ''[[Bürgerliches Gesetzbuch]]'', alla cui redazione parteciperanno molti giuristi appartenenti alla corrente della [[pandettistica]] che fu il proseguoprosieguo della scuola storica.
 
=== Scuola dell'esegesi ===
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Tale impostazione, tuttavia, non fu priva di contraddizioni e illusioni. Innanzitutto, con questo «assolutismo giuridico», come è stato definito dallo storico del diritto [[Paolo Grossi]], si creò una "staticità" del diritto «legata all'autorità della legge intesa come dato oggettivo» difficilmente conciliabile con una società che comunque si trova in costante evoluzione.<ref>{{cita|Del Frate et al., 2018|p. 249}}.</ref><ref>{{cita|Fassò, 2020|p. 19}}.</ref> In secondo luogo, ciò si trattava di una mera utopia, in quanto anche il codice meglio scritto e più completo mai avrebbe potuto essere totalmente autosufficiente a dirimere qualsiasi [[fattispecie]] che un giudice si sarebbe trovato ad affrontare. Per questo, già gli stessi giuristi esegeti francesi finirono per svolgere comunque una sorte di abile interpretazione sulle norme stesse e sulla volontà del legislatore pur sempre senza far ricorso a fonti esterne o al diritto naturale.<ref name=Ascheri288-290>{{cita|Ascheri, 2008|pp. 288-290}}.</ref><ref>{{cita|Del Frate et al., 2018|pp. 247-248}}.</ref>
 
=== InfluenzaImpatto sulsull'evoluzione del diritto civile italiano ===
{{...|storia|diritto}}
 
==== DirittoImpatto esul storiadiritto italianacivile dal 1815italiano ====
Passato il Congresso di Vienne nel 1815, la Santa Alleanza (Russia, Prussia, Austria) tentò di ripristinare la situazione politica prima della Rivoluzione Francese. L'Italia fu separata di nuovo in Regno di Sardegna (Piemonte, Sardegna, Liguria), in Stato Pontificio, Granducato di Toscana e Regno delle Due Sicilie. La Lombardia ed il Veneto furono annesse dall'Austria. L'epoca tra il regime napoleonico e la l'unificazione nel 1861 è caratterizzata da mutamenti sociali e politici, che partirono grazie alla Rivoluzione e che la Restaurazione non poté fermare. Oltre alla repressione del potere nobiliare da parte della borghesia, che ricevette importanza già con Napoleone, in Europa sbocciarono il libero mercato e l'industrializzazione. Con breve ritardo rispetto alla Germania, la Francia e l'Inghilterra, la rivoluzione industriale raggiunse a metà del secolo gli stati dell'Italia Settentrionale. Da un lato furono le leggi liberali del periodo napoleonico a fare in modo che si potesse creare un'economia di mercato, dall'altro lato si dovette riguardare la legislazione civile della Restaurazione per stare al passo dei fenomeni socio-economici che offrica l'industrializzazione.
 
Il primo periodo dopo il 1815 è caratterizzato da un'enorme passo indietro verso il diritto privato prima del 1796, con una forte impronta clericale e feudalistica. Ad eccezione del Piemonte e dello Stato Pontificio, che praticarono la Restaurazione con più radicalità, i legislatori dell'epoca cercarono di mantenere il diritto di proprietà e d'ipoteca proposto dal ''Code Civil,'' mentre il diritto di famiglia e di successione francese fu bocciato quasi sino all'unificazione. La borghesia liberale, che godè a partire dal 1796 delle prime libertà politiche ed economiche, non fu più in grado di accettare pure la restaurazione del diritto. Nel corso del secolo, oltre alla secolarizzazione del diritto di famiglia, sono sorte altre importanti necessità giuridiche private: l'economia di mercato ha imposto la creazione di nuove leggi sull'acquisizione dei diritti di proprietà e contrattuali. Anche l'industrializzazione ha posto tre sfide giuridiche: in primo luogo, la produzione di macchine e la costruzione di impianti industriali hanno portato a una riorganizzazione dei diritti di vicinato e del diritto fondiario. Inoltre, la produzione di massa aumentò la quantità di capitale in circolazione e gli imprenditori dovettero investire sempre più capitale nella produzione. Le società personali vennero separate dalle grandi società per azioni e il mercato azionario diede vita alle prime grandi borse. Infine, la produzione agricola di massa rese necessaria una riorganizzazione del diritto ipotecario e del credito fondiario
 
La completa unificazione dell'Italia avvenne il 20 settembre 1870, quando i ''Bersaglieri'' conquistarono Roma. Dopo la guerra d'indipendenza del 1859 e il "Treno dei Mille", quasi tutta l'Italia era sotto un'unica bandiera.[2] Poiché il Regno di Sardegna ebbe un ruolo di primo piano nell'unificazione, il ''codice civile albertino'' fu introdotto negli altri territori fino al 1865, quando apparve il ''Codice Civile'', molto fedele all'ideologia del Codice Napoleonico. L'affetto per il ''Codice Napoleonico'' si riflette nella citazione del giurista Giuseppe Montanelli "''Viva il Regno d'Italia! Viva Vittorio Emanuele re d'Italia! Viva il Codice Napoleone!''"'''''[3]''''' . A partire da questi anni, il Paese fu penetrato dalla rivoluzione industriale e le relative rivendicazioni sociali divennero sempre più evidenti. Negli anni Settanta, il partito socialista ''Sinistra'''[4]''''' ha la maggioranza in parlamento e si fa molta pubblicità per rendere il codice individualista socialmente più accettabile. Tuttavia, proprio come il parlamentare Emilio Bianchi, che nel 1893 fondò una commissione per la modifica del diritto privato, il "''socialismo'' giuridico"[5] non ebbe successo in termini di legislazione. Le riforme riuscirono solo dopo la Prima Guerra Mondiale. Inizialmente, una commissione italiana e una francese lavorarono insieme per riformare il diritto civile esistente in tutti i settori del diritto. Questo lavoro ha influenzato notevolmente il ''Codice Civile'', pubblicato nel 1942. Ci si chiede ora se la versione del ''Codice Civile'' del 1942 abbia assunto significativi tratti fascisti. A parte le disposizioni influenzate dalle leggi razziali (ad esempio il diritto matrimoniale) o dal corporativismo fascista (?), il codice era molto moderno e rimase sostanzialmente intatto nell'ultima Repubblica.[6]
 
====== Impatto sul diritto di famiglia ======
Dopo il crollo del dominio napoleonico, in Italia furono abolite le norme sul matrimonio civile. In alcuni Stati, come il Piemonte, il Granducato di Toscana e le Sedi Ecclesiastiche, si tornò impietosamente al diritto canonico. In altri Stati si cercò di coinvolgere lo Stato nei matrimoni. Il primo passo in questa direzione fu fatto a Modena: anche se l'ufficio anagrafe non poteva solennizzare il matrimonio, gli sposi dovevano recarsi dall'ufficiale di stato civile prima del matrimonio per ottenere la licenza matrimoniale. Questa legge divenne un modello per Parma e Napoli in quegli anni e caratterizza ancora oggi il diritto matrimoniale italiano. Nella prima metà del XIX secolo gli Stati italiani non miravano a limitare i diritti della Chiesa e intervenivano solo nei casi in cui il diritto matrimoniale canonico non era applicabile, ad esempio per quanto riguarda il diritto di consenso del padre o l'età minima. Il matrimonio civile era ancora vietato, motivo per cui gli ebrei e gli altri non cattolici non potevano sposarsi legalmente. Tuttavia, le richieste liberali per l'uguaglianza giuridica di tutti i cittadini furono alimentate anche dal matrimonio civile. Il primo tentativo fu fatto in Piemonte nel 1850, quando le forze liberali sostituirono il governo conservatore del 1848 e i privilegi giurisdizionali del clero furono limitati. Dopo accesi dibattiti, nel 1852 si decise che i non cattolici potevano contrarre un matrimonio civile d'emergenza; i riti ecclesiastici furono mantenuti per i cattolici. A causa dell'opposizione della Chiesa e dei conservatori, la legge fu comunque respinta dal Senato. Questo rivela la lotta tra forze liberali e confessionali che avrebbe caratterizzato in seguito la legislazione matrimoniale nel Regno d'Italia. [1]
 
La comunione dei beni coniugali incontrò una grande disapprovazione, poiché la tradizione giuridica restauratrice rifiutava l'equiparazione dei diritti patrimoniali dei coniugi e tutti i beni, ad eccezione dei ''bona dotalia,'' erano di proprietà del marito. Pertanto, nel 1814, si tornò immediatamente alla vecchia legge statutaria, che prevedeva solo la separazione dei beni coniugali.[2]
 
Per quanto riguarda le posizioni di diritto familiare, l'autorità del padre divenne ancora più permanente e rigida. Secondo la legge toscana del 1814, i figli maschi fino a 30 anni e le figlie femmine fino a 40 anni erano soggetti al padre. I codici civili di Napoli e Parma avevano caratteristiche simili. Anche la moglie era completamente inferiore al marito. Le donne non avevano nemmeno la potestà legale sui figli dopo la morte del padre. Secondo l'<nowiki/>''autorizzazione materiale'''[3]''''' , prevista anche dalla legislazione napoleonica, le donne non potevano stipulare contratti commerciali senza il permesso del marito. L'ABGB austriaco, che si applicava in Lombardia e in Veneto, offriva un'eccezione, secondo la quale la moglie aveva l'indipendenza materiale e commerciale dal marito. Tuttavia, si dovettero apportare delle modernizzazioni a causa del nascente movimento femminista; ad esempio, la donna ''"che esercita mercatura"'''[4]''''' era esente dall'<nowiki/>''autorizzazione materiale ai'' sensi dell'art. 25 del Motuproprio toscano 1838 e dell'art. 137 del ''codice civile albertino''[5] 1837.[6]
 
Pochi anni dopo l'unificazione politica e geografica dell'Italia, il matrimonio civile fu uno dei temi più importanti per gli autori del ''Codice Civile'' del 1865. Casa Savoia, come gli Hohenzollern in Germania nove anni dopo, forniva il Re d'Italia e quindi il ''Codice Civile albertino'' del Piemonte fu applicato con riforme a livello nazionale. A differenza degli Stati preunitari, tuttavia, le tendenze liberali e anticlericali dominavano ora il Parlamento. Nel 1865, i nuovi legislatori abolirono tutti i regolamenti matrimoniali della Restaurazione e introdussero il matrimonio civile obbligatorio, una soluzione che si avvicinava al ''Codice Civile'' francese. Per legge, gli sposi dovevano contrarre il matrimonio civile prima di quello religioso. I parlamentari si resero conto che il matrimonio religioso era più che sufficiente per la maggioranza degli italiani, ma il matrimonio civile obbligatorio era considerato necessario per consolidare la tanto attesa separazione tra Stato e Chiesa. Fino alla prima guerra mondiale, decine di migliaia di coppie hanno aggirato questa legge, poiché il matrimonio religioso era troppo radicato nella tradizione italiana. Senza il matrimonio civile era possibile evitare problemi legali come l'eredità. Anche le fazioni parlamentari dell'allora "Sinistra storica"[1] osarono legalizzare il divorzio. Questo dibattito si intensificò nel 1884, quando il divorzio fu legalizzato in Francia, ma non portò a un risultato definitivo. Dopo la prima guerra mondiale, lo Stato si avvicinò alla Santa Sede e, secondo l'articolo 34 del Concordato del 1929, i matrimoni cattolici avevano validità civile come prima del 1865; anche il matrimonio contratto da una comunità religiosa riconosciuta in Italia aveva validità civile. I matrimoni civili divennero facoltativi. Tuttavia, gli obblighi matrimoniali, la potestà dei genitori, i diritti patrimoniali tra coniugi e la separazione dei letti e della tavola sono rimasti di competenza dei tribunali civili. Solo il 1° dicembre 1970, con un referendum, il Parlamento italiano ha dato validità giuridica al divorzio.[2]
 
Nel 1865, il nuovo Codice Civile continuò a rifiutare la comunione dei beni tra coniugi introdotta dal ''Codice Napoleonico'' e la introdusse come conseguenza automatica del matrimonio solo nel 1975. Una coppia italiana può aggirare questa legge solo facendone richiesta attiva.[3]
 
La fondazione dell'Italia non portò alcun cambiamento all'<nowiki/>''autorizzazione materiale'' del marito alla moglie. Grazie alle iniziative della Sinistra, le donne poterono partecipare agli atti notarili a partire dal 1877. Tuttavia, l'''autorizzazione materiale'' divenne storia in Italia solo il 17 luglio 1919.[4]
 
====== Impatto sul diritto di successione ======
La legislazione del XIX secolo si concentrava soprattutto sulla riforma del diritto ereditario. La tendenza era, ovviamente, quella di abolire i privilegi della successione intestata, così come le successioni ereditarie e i maggiorascati. Dopo il Congresso di Vienna, si tornò al diritto dell'Ancien Regime fino agli anni '40, quando si tornò ai principi del ''Code Civil,'' periodo caratterizzato dall'attuazione delle libertà civili.
 
Non sono state introdotte modifiche sostanziali per quanto riguarda il diritto alla porzione obbligatoria e alla successione testamentaria.
 
L'urgenza di tornare alla legislazione precedente fu evidente nel 1814 in Toscana e nel Regno delle Due Sicilie, tra gli altri, dove le ''"leggi sull'ordine delle successioni''"'''''[1]''''' furono immediatamente promulgate prima dei codici civili. Nella legge toscana del 1814, nel Motuproprio romano del 1816 e in Piemonte, le donne erano completamente escluse dalla successione intestata. Secondo il ''Regolamento Giudiziario'' di Roma del 1834 e il ''Codice albertino'' del 1837, anche gli agnati erano legalmente favoriti. Il ritorno illimitato al ''"principio agnatizio" fu'' contrastato da Genova e Lucca, dove le figlie e i figli avevano una quota uguale nella successione intestata della madre, e da Napoli e Parma, che introdussero la parità dei sessi nel diritto ereditario. Nel 1848, il deputato piemontese Cioffi propose al Parlamento di abolire gli articoli 942-948 del ''codice civile albertino,'' che regolavano la successione intestata a favore degli agnati. A causa dell'obiezione che la legge ''"trovisi in urto colle tendenze, e colle consuetudini della maggioranza dei cittadini, e che porti il malcontento e lo sconcerto nelle famiglie"'''[2]''' ,'' non fu ufficialmente introdotta.[3]
 
A parte la Toscana, i fedecommessi e i maggioraschi furono reintrodotti dopo la caduta di Napoleone, talvolta senza eccezioni, come in Piemonte e a Modena, o con restrizioni, come a Napoli. "''Lo arricchire la nobiltà era nell'interesse di ogni governo e di ogni'' stato"[4] contrastava, però, con la crescita di una società borghese. Dopo la promulgazione del ''codice albertino nel'' 1837, il fedecommesso fu effettivamente utilizzato solo tre volte fino al 1848. Con lo scoppio delle riforme liberali, la nuova legislatura piemontese propose una legge ''"sull' abolizione dei fidecommessi, delle primogeniture, die maggioraschi e delle commende di famiglia''"'''''[5]''''' . Questa legge fu approvata nel 1851 e rappresentava l'unico modo per i singoli successori di conservare le loro proprietà. Due anni prima, tutte i fedecommessi e i maggiorascati erano stati aboliti anche nella ''Repubblica Romana'''[6]''''' e reintrodotti nello Stato Pontificio nel 1870.
 
L'odierno diritto successorio italiano trae origine principalmente dal ''codice civile'' del 1865. Nel 1865 fu vietata la diseredazione con l'obiettivo di ''"dare un posto sempre più preminente alla successione legittima''"[1] . Il diritto a una porzione obbligatoria dell'eredità e le quote ereditarie legali furono regolamentate in modo più preciso. Dall'articolo 805 all'articolo 826, le quote del diritto successorio legale sono disciplinate in modo dettagliato. In relazione a ciò, sono stati fatti grandi progressi anche in termini di uguaglianza tra uomini e donne nella successione intestata. L'uguaglianza è stata infine confermata nel Codice Civile italiano nel 1865, dichiarata nell'articolo 736 (''"Al padre, alla madre e ad ogni altro ascendente succedono i figli legittimi o i loro discendenti, senza distinzione di sesso e quantunque nati da matrimonio diverso''")
 
Infine, fu definitivamente confermata l'abolizione dei fedecommessi e dei maggiorascati. Subito dopo l'unità d'Italia, la legge piemontese del 1851 entrò in vigore in tutti i territori italiani ad eccezione dello Stato Pontificio, che rimase indipendente in piccola parte fino al 1870.[4] Nel 1866, il ''codice civile'' all'art. 899 stabiliva che "''Qualunque disposizione in base alla quale l'erede o il legatario sia gravato con qualsivoglia espressione di conservare e restituire ad una terza persona, è sostituzione fedecommissaria''"[5] I maggiorascati erano resi impossibili dalle leggi sulla successione obbligatoria. I fedecommessi furono nuovamente ammessi in Italia con l'art. 692 del nuovo ''"Codice civile del 1942''", ma solo se il primo erede ''("istituito"'') era dichiarato dalla legge incapace di gestire da solo il patrimonio. In questo caso, interviene un tutore legale, che normalmente eredita (''"sostituito''") i beni amministrati dopo la morte dell'''istituito.''
 
====== Impatto sul diritto immobilare ======
 Il Lombardo-Veneto e il Regno delle Due Sicilie, nonostante le proteste dei "Baroni", mantennero la legislazione napoleonica contro la proprietà feudale. In Piemonte, a Modena e nello Stato Pontificio furono introdotti resti dei vecchi diritti feudali. Questi furono aboliti per decreto prima in Sardegna negli anni '30, poi in Piemonte nel 1851 e infine a Modena e Parma nel 1859.
 
Eccezionalmente, i restauratori mantennero le leggi napoleoniche sui diritti dei proprietari privati, ma senza ulteriori espropri. Con le cosiddette ''"leggi Siccardi''" del 1850 e del 1855, tutte le proprietà ecclesiastiche rimaste in Piemonte furono dichiarate demaniali con un piccolo indennizzo; le voci del ''Codice Civile'' relative a "''demani e usi civici''" non furono toccate. Con l'industrializzazione, i proprietari terrieri sociali medievali non poterono più esistere, poiché la terra fu acquistata da imprenditori privati e fu soggetta alla pressione dell'economia di mercato.[1]
Il sistema delle concessioni minerarie proposte da Napoleone fu mantenuto nel Lombardo-Veneto, a Parma e in Piemonte, mentre la variante liberale fu preferita a Napoli e nel Granducato di Toscana. Dopo l'unificazione, il Piemonte voleva estendere il sistema di concessione a livello nazionale, ma non ci riuscì a causa delle proteste dei capitalisti toscani.
Le leggi che dovevano invalidare attivamente il diritto feudale non furono più esplicitamente incluse nel ''Codice Civile'' del 1865, poiché il feudalesimo era stato abolito da tempo nel 1865. L'espropriazione dei beni ecclesiastici continuò fino al 1929, quando i ''"patti'' lateranensi"[1] furono chiusi. Non solo l'esproprio fu interrotto, ma fu anche versato alla Chiesa un indennizzo di 1,75 miliardi di lire (art. 1 ''"L'Italia si obbliga a versare [...] alla Santa Sede la somma di lire italiane 750.000.000 [...] e a consegnare contemporaneamente [...] valore nominale di lire italiane 1.000.000.000'''[2]''''' ). Naturalmente questa legge andò solo a vantaggio della propaganda fascista tra i cattolici, ma fu accettata dall'articolo 7 della Costituzione del 1946. La revisione del 1984-85 portò solo al cambiamento che ogni contribuente è obbligato ''a versare l'otto per'' mille[3] del suo reddito alla Chiesa.
 
Per quanto riguarda la proprietà collettiva, le leggi del 1888 e del 1894 hanno reintrodotto la terra pubblica nell'Italia rurale centrale, anche se la tendenza è sempre stata verso la privatizzazione. Secondo le leggi del 16/06/1927<sup>[4]</sup> e del 20/11/2017<sup>[5]</sup> , in Italia si conoscono due forme di proprietà agricola collettiva: la prima è la proprietà comunale come prima di Napoleone, ma vengono concesse a ciascun utente della comunione quote di affitto ereditario, che possono essere acquistate dagli utenti come proprietà privata. La seconda è un terreno privato per il quale esiste un diritto di uso pubblico da parte della regione; il proprietario può possedere il terreno a titolo definitivo attraverso la liquidazione al comune sotto forma di denaro o di una quota di terreno. <sup>[6]</sup>
 
Il primo periodo dopo il 1815 è caratterizzato da un' enorme passo indietro verso il diritto privato prima del 1796, con una forte impronta clericale e feudalistica. Ad eccezione del Piemonte e dello Stato Pontificio, che praticarono la Restaurazione con più radicalità, i legislatori dell'epoca cercarono di mantenere il diritto di proprietà e d'ipoteca proposto dal ''Code Civil,'' mentre il diritto di famiglia e di successione francese fu bocciato quasi sino all'unificazione. La borghesia liberale, che godè a partire dal 1796 delle prime libertà politiche ed economiche, non fu più in grado di accettare pure la restaurazione del diritto. Nel corso del secolo, oltre alla secolarizzazione del diritto di famiglia, sono sorte altre importanti necessità giuridiche private: l'economia di mercato ha imposto la creazione di nuove leggi sull'acquisizione dei diritti di proprietà e contrattuali. Anche l'industrializzazione ha posto tre sfide giuridiche: in primo luogo, la produzione di macchine e la costruzione di impianti industriali hanno portato a una riorganizzazione dei diritti di vicinato e del diritto fondiario. Inoltre, la produzione di massa aumentò la quantità di capitale in circolazione e gli imprenditori dovettero investire sempre più capitale nella produzione. Le società personali vennero separate dalle grandi società per azioni e il mercato azionario diede vita alle prime grandi borse. Infine, la produzione agricola di massa rese necessaria una riorganizzazione del diritto ipotecario e del credito fondiario
Il rapido aumento della popolazione e dell'industrializzazione portò anche a un'enorme necessità di collegamenti ferroviari e stradali, nonché alla costruzione di abitazioni e fabbriche in Italia. Ciò significava che i terreni dovevano essere espropriati, più che all'inizio del XIX secolo. Come stabilito dal ''Codice Napoleonico'', in caso di esproprio l'interesse pubblico prevaleva sulla proprietà privata. I legislatori della nuova Italia si ispirarono direttamente alla legge napoleonica del 1813. Il ''Codice Civile'' del 1942 affermava che "''Nessuno può essere privato in tutto o in parte dei beni di sua proprietà, se non per causa di pubblico interesse, legalmente dichiarata, e contro il pagamento di una giusta indennità"'''[7]''' . L'''articolo 2 della Costituzione del 1946 sostiene questa legge perché ''"La Repubblica [...] richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale"'''[8]''' .''
 
== Note ==
Il 29 luglio 1929 è stata riformata l'attuale legge mineraria, basata sul ''Codice Napoleonico.'' Si distingue tra cave (per l'estrazione di torba, materiali da costruzione, sabbia e semplice pietra), che sono interamente di proprietà del proprietario del terreno, e miniere sotterranee (per l'estrazione di metalli, minerali, carbone e sostanze radioattive), che sono regolate dal diritto pubblico e distribuite tramite concessioni. Le leggi del 1967 e del 1970 regolano le concessioni per il petrolio e il gas.[9]
 
=== Esplicative ===
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* {{Cita libro|autore=Onofrio Taglioni|titolo=Codice civile di Napoleone il Grande col confronto delle leggi romane|editore=|città=Milano|anno=1809|lingua=|url=https://gutenberg.beic.it/webclient/DeliveryManager?pid=14446576|isbn=no}}
* {{cita libro|autore=Mario Ascheri|wkautore=Mario Ascheri|titolo=Introduzione storica al diritto moderno e contemporaneo|editore=Giappichelli|anno=2007|città=Torino|isbn=978-88-348-8254-2|cid=Ascheri, 2008|sbn=IT\ICCU\URB\0660474URB0660474}}
* {{cita libro|titolo=Tempi del diritto|autore=Paolo Alvazzi Del Frate|autore2=Marco Cavina|autore3=Riccardo Ferrante|autore4=Nicoletta Sarti|autore5=Stefano Solimano|autore6=Giuseppe Speciale|autore7=Elio Tavilla|wkautore=Paolo Alvazzi del Frate|città=Torino|editore=Giappichelli|anno=2018|isbn=978-88-921-1782-2|sbn=IT\ICCU\CFI\0989895CFI0989895|cid=Del Frate et al., 2018}}
* {{cita libro|autore=Alberto Mario Banti|wkautore=Alberto Mario Banti|titolo=L'età contemporanea : dalle rivoluzioni settecentesche all'imperialismo|città=Roma|editore=GLF editori Laterza|anno=2009|isbn=978-88-420-9143-1|sbn=IT\ICCU\BVE\0487464BVE0487464|cid=Banti, 2009}}
* {{cita libro|autore=Paolo Grossi|wkautore=Paolo Grossi|titolo=Mitologie giuridiche della modernità|città=Milano|editore=Giuffrè|anno=2007|isbn=88-14-12863-4|sbn=IT\ICCU\RMG\0153119RMG0153119|cid=Grossi, 2007}}
* {{cita libro|autore=Antonio Padoa-Schioppa|wkautore=Antonio Padoa-Schioppa|titolo=Storia del diritto in Europa. Dal Medioevo all'età contemporanea|città=Bologna|editore=Il mulino|anno=2007|isbn=978-88-15-11935-3|sbn=IT\ICCU\USM\1675775USM1675775|cid=Padoa-Schioppa, 2007}}
* {{cita libro|autore=Paola Lambrini|titolo=Fondamenti del diritto europeo : manuale istituzionale|città=Torino|editore=Giappichelli|anno=2021|isbn=978-88-921-3983-1|sbn=IT\ICCU\BMT\0026141BMT0026141|cid=Lambrini, 2021}}
* {{cita libro|autore=Laura Solidoro|titolo=La tradizione romanistica nel diritto europeo|città=Torino|editore=Giappichelli|anno=2010|volume=II|isbn=978-88-348-1411-6|sbn=IT\ICCU\RMG\0258265RMG0258265|cid=Solidoro, 2010}}
 
== Voci correlate ==