Alberico Biadene: differenze tra le versioni
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|NoteNascita = <ref>{{cita web|url=http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,9/articleid,0124_01_1969_0034_0009_6112507/|titolo=La colpa è tutta dei geologi, dice il principale imputato per il Vajont|data=11 febbraio 1969|accesso=27 febbraio 2021}}</ref><ref name=documenti>Reberschak, p. 551.</ref>
|LuogoMorte = Venezia
|GiornoMeseMorte =
|AnnoMorte = 1985
|Epoca = 1900
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|Attività2 = alpinista
|Nazionalità = italiano
|Immagine = Ing. Alberico Biadene (
|Didascalia = Alberico Biadene in tribunale il 17 dicembre 1969, che ascolta la lettura della sentenza
}}
Responsabile del [[disastro del Vajont]], assieme ai suoi colleghi e ai vertici della [[Società Adriatica di Elettricità|SADE]], trascorse due anni in carcere e, una volta liberato, passò il resto della vita sentendosi innocente.
== Biografia ==
=== La famiglia ===
Nato ad [[Asolo]], in [[provincia di Treviso]], era il primo figlio del [[Ragioneria|ragioniere]] Luigi Biadene, direttore della banca popolare locale, e di Maria Maddalena Dall'Armi.<ref>''Annuario delle banche italiane guida statistico monografica industria bancaria'', 1917, p. 164.</ref><ref>Congresso delle banche popolari italiane, ''Atti del congresso delle banche popolari italiane'', 1908, p. 20.</ref><ref name=biadene>''Who's who in Europe'', International Publications Service, p. 239.</ref><ref name=italy>''Who's who in Italy'', 1958, p. 115.</ref><ref name=music>{{cita web|url=https://sherlockholmesmusic.wordpress.com/tag/testimonial-fund-halle/|titolo=Testimonial Fund Hallè|data=28 novembre 2023|accesso=27 marzo 2025}}</ref> Portava lo stesso nome del nonno paterno e veniva detto "Nino" dagli amici.<ref name=
=== L'alpinismo ===
Il suo sport era lo [[sci]]<ref name=biadene/><ref name=italy/> ed era amico dell'ambiente di lavoro nella città capoluogo, [[Belluno]], degli alpinisti agordini [[Attilio Tissi]] e Giovanni Andrich,<ref name=franco>Alberto M. Franco, ''La via della montagna: evoluzione del significato della scalata nelle Dolomiti, palestra dell'alpinismo mondiale'', Antilia, 2002, pp. 80-81.</ref>
Nel 1930, dopo che aveva trovato l'occasione per risvegliare in loro una passione latente, era quindi soprattutto Biadene che aveva fatto venire lo stimolo alla frequentazione della montagna per Tissi e Andrich, in una sezione del [[Club Alpino Italiano|CAI]] tutt'altro che attiva. In [[Agordo]] si volevano allora festeggiare le nozze imminenti tra il principe [[Umberto II di Savoia|Umberto di Savoia]] e [[Maria José del Belgio]]. Qualcuno aveva proposto di dedicare alla principessa una delle [[Pale di San Lucano]], che con la vetta dell'[[Monte Agner|Agner]] costituivano lo sfondo dell'amena cittadina, proprio perché figlia del re alpinista [[Alberto I del Belgio|Alberto I]], ma qualche altro, più oculato, aveva osservato che battezzare una cima senza nemmeno averla salita, a maggior ragione se a scalarla fossero poi stati dei forestieri, sarebbe stato come fare una dedica su un libro bianco che magari avrebbe scritto un altro. Fu l'occasione per rinverdire le schiere alpinistiche locali. Tissi, Andrich, Biadene e Gurekian programmarono la scalata, ma per motivi vari gli ultimi due, al momento buono, si trovarono nelle condizioni di non poter far parte della [[cordata]].<ref name=franco/>
Nell'agosto dello stesso anno, dopo il successo sulla via Preuss alla [[Tre Cime di Lavaredo|Cima Piccolissima di Lavaredo]], Tissi e Andrich decisero di tentare la prima ripetizione italiana, dopo sei cordate tedesche, della via Solleder-Lettenbauer al [[Monte Civetta|Civetta]]. L'impresa, a quel tempo particolarmente rispettabile e tutt'altro che consueta ad arrampicatori italiani, gli suscitò vero e proprio entusiasmo, e venne fuori con un discorso un po' matto, ma che, apparentemente, non fece una grinza: «State a sentire: in due ore o poco più avete fatto la Preuss. La "direttissima" della Civetta è, su per giù, come sei Preuss una sopra l'altra. "Ergo", in una quindicina di ore o giù di lì dovreste farcela tranquillamente!».<ref name=angelotissi/>
=== La carriera ===
Divenuto [[ingegnere]] dopo gli studi alla Regia [[Università degli Studi di Padova]],<ref>Università di Padova, ''Annuario della R. Università degli studi di Padova'', 1923, p. 187.</ref>
▲Divenuto [[ingegnere]] dopo gli studi alla Regia [[Università degli Studi di Padova]]<ref>Università di Padova, ''Annuario della R. Università degli studi di Padova'', 1923, p. 187.</ref>, prima di essere assunto alla [[Società Adriatica di Elettricità|SADE]] con la qualifica di ingegnere di cantiere, progettò irrigazione e costruzione, lavorò in [[Eritrea]] e a lavori ferroviari in [[Iran]], in zone impervie. In [[Italia]], supervisionò la realizzazione di impianti [[Energia idroelettrica|idroelettrici]].<ref name=biadene/> Fece parte del consiglio di amministrazione della Società Anonima Mineraria Coloniale Italiana (SAMOI), con sede a [[Milano]].<ref>''Notizie statistiche Società italiane per azioni'', 1940, p. 302.</ref><ref>''L'industria mineraria bollettino mensile della Federazione nazionale fascista dell'industria mineraria'', 1936, p. 406.</ref>
Nel 1944, durante la direzione lavori dell'impianto del [[
Nel gennaio 1951, insieme a [[Mario Pancini]], mandò una comunicazione al quarto congresso delle grandi dighe di [[Nuova Delhi]], in cui presentava i risultati di dieci anni di sperimentazione in laboratorio, sui vantaggi e gli svantaggi dei cementi per [[calcestruzzo]] di massa con le [[Pozzolana|pozzolane]], e la sua applicazione alla diga del Lumiei e di [[
Nel 1955, divenne vicedirettore generale del servizio costruzioni idrauliche, con particolare incarico di occuparsi degli uffici lavori. Mentre l'ingegnere [[Carlo Semenza]] si occupava sempre della progettazione e dei rapporti burocratici, la sua attività era proiettata verso la periferia della SADE, cioè verso i cantieri.<ref name=vajont>{{cita web|url=http://www.vajont.info/gervasoni1968.html|titolo=Vajont 2.0: Il Vajont e le responsabilità dei manager|accesso=27 novembre 2019|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20130518130128/http://vajont.info/gervasoni1968.html|dataarchivio=18 maggio 2013|urlmorto=sì}}</ref> Nel 1957-58, collaborò con Semenza per la progettazione e costruzione della grande [[diga di Kurobe]], la più alta del [[Giappone]].<ref>{{cita web|url=https://www.cni.it/images/il_giornale_dell_ingegnere/2019/Il_Giornale_dellIngegnere_dicembre_2019.pdf|titolo=Green New Deal|data=dicembre 2019|accesso=22 aprile 2020}}</ref> Aveva anche collaborato per la progettazione delle dighe di [[Diga di Sauris|Sauris]], [[Lago di Valle di Cadore|Valle di Cadore]], [[Lago di Fedaia|Fedaia]] e [[Lago del Mis|Mis]].
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=== Il disastro del Vajont ===
Il 15 novembre 1960, durante una riunione in cantiere per la frana del 4 novembre, egli stesso scrisse categorico in una sua relazione che l'innalzamento dell'acqua era pericoloso, facendo notare che, siccome la prima preoccupazione doveva essere quella di garantire l'incolumità delle persone che abitavano nella valle, era necessario abbassare il livello del serbatoio in modo che, se fosse avvenuto un franamento di grande entità che avesse creato delle ondate, queste non avrebbero potuto assolutamente raggiungere la zona abitata.<ref>Alessandro Mantelero, ''Il ruolo dello Stato nelle dinamiche della responsabilità civile da danni di massa'', 2013, pp. 154-155.</ref><ref>Passi, p. 59.</ref>
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Vista la velocità in aumento della frana, il 26 settembre, si fece prendere dal panico e decise di abbassare il livello del lago sotto quota 700, il limite di sicurezza definito dalle prove sul modellino di Nove di [[Vittorio Veneto]], prima che la montagna vi crollasse dentro. Si rese conto perfettamente della situazione, anche se ne ignorava la portata, ma intervenne soltanto trentasei ore prima del [[Disastro del Vajont|disastro]], cercando di far avvertire gli ertani per provvedere allo sgombero del paese.<ref name=sopravvissutivajont/>
La mattina del 9 ottobre, vista la giustificabile situazione, mandò una lettera al suo vice Pancini, ordinandogli di rientrare dalle ferie
Nel tardo pomeriggio, alle 17.50, riuscì a telefonare al [[geologo]] [[Francesco Penta]], che era a [[Roma]], per comunicargli che le velocità del movimento della frana erano aumentate, e che riteneva necessaria una sua visita. Penta rispose che gli era impossibile, ma aveva disposto che sarebbe andato il suo assistente, Franco Esu, raccomandandogli calma e di "non medicarci la testa prima di essercela rotta".<ref>Reberschak, pp. 429-430.</ref>
Avendo sotto gli occhi la montagna che stava cedendo, circa alle 22.00, il [[geometra]] [[Giancarlo Rittmeyer]], di turno alla diga con gli operai, lo chiamò nella sua casa a Venezia, dove era tornato quattro ore prima, per chiedere istruzioni. Biadene lo tranquillizzò, anche perché sapeva di aver raggiunto quota 700 e pensava di essere in sicurezza.<ref>Giovanni Sesso, ''Vajont, 9 ottobre 1963 - 9 ottobre 2013: Immagini del Toc "prima e dopo"'', 2013, p. 22.</ref> Dopo aver riattaccato, ebbe comunicazione del disastro attraverso una telefonata dell'ingegnere Mario Ruol intorno alle 23.30, al bivio di [[Ponte nelle Alpi]].<ref>Luigi Rivis, ''Vajont. Quello che conosco perché allora ero un addetto ai lavori e quello raccontato da altri'', Belluno, Momenti AICS, 2018, pp. 62-63.</ref> La tragedia dei duemila morti lo segnò.<ref>Cameri, pp. 29-30.</ref>
=== Il processo penale ===
Il 21 febbraio 1968, il [[giudice istruttore]] del tribunale di
Il 25 novembre 1968 incominciò il processo di primo grado all'[[L'Aquila|Aquila]], che si concluse la sera del 17 dicembre 1969. Il 22 maggio 1968, in seguito al tempestivo ricorso presentato dal suo legale Alessandro Brass, la [[Corte suprema di cassazione|Cassazione]] revocò il mandato di cattura contro Biadene, appena rientrato in Italia dopo la fuga all'estero, mai eseguito. Come tutti gli imputati, alloggiava nel migliore albergo della città, il Duca degli Abruzzi.<ref>Gianni Favero, ''Vajont. Una tragedia italiana'', [[Corriere della Sera]], 2013, p. 33.</ref> Due donne dell'area Vajont, passeggiando nel corridoio del tribunale, durante una pausa, nella cornice di un drammatico minuetto, gli sibilarono: "Assassino!".<ref>{{cita libro|autore=Maurizio Reberschak|autore2=Fiorello Zangrando|titolo=Il Grande Vajont|edizione=3|dataoriginale=2013|editore=Cierre|p=232|capitolo=Il lungo viaggio attraverso la colpa}}</ref> L'accusa abruzzese chiese frettolosamente e senza un'adeguata motivazione ventuno anni e quattro mesi di [[reclusione]] (quattro per la frana, cinque e quattro mesi per l'inondazione, dodici per omicidio colposo plurimo) per Biadene, ma venne condannato a sei, di cui due condonati, per omicidio colposo plurimo, colpevole di non aver avvertito per tempo e di non avere messo in moto lo sgombero. Gli furono concesse le [[Attenuante|attenuanti generiche]] e l'aggravante della previsione dell'evento nei suoi confronti non venne riconosciuta.<ref>{{cita web|url=http://www.sopravvissutivajont.org/jshow.asp?id=43|titolo="Il Gazzettino": Vajont, la notte del giudizio|cognome=Bergamo|nome=Lauro|data=18 dicembre 1969|accesso=14 ottobre 2019}}</ref>
Il 20 luglio 1970, incominciò all'Aquila il [[Corte d'appello|processo d'appello]] e, il 3 ottobre, la sentenza riconobbe la totale colpevolezza di Biadene, che venne riconosciuto colpevole di frana, inondazione e degli omicidi. Il [[Procura generale della Repubblica|procuratore generale]] chiese sedici anni e dieci mesi per tutti e tre i reati, ma venne condannato a sei anni (uno per la frana, due per l'inondazione, tre per gli omicidi), di cui tre condonati.
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=== La reclusione ===
Scontò la pena irrogata dalla mattina del 1º maggio 1971, tre giorni dopo che il procuratore generale della Corte d'appello dell'Aquila aveva spiccato ordine di cattura nei suoi riguardi, nel carcere della sua città, [[Carcere di Santa Maria Maggiore|Santa Maria Maggiore]] a Venezia, dove si era costituito presentandosi al direttore accompagnato dall'avvocato Brass, divenendo un detenuto modello, alloggiato in una confortevole cella con un detenuto che gli faceva da domestico.<ref>{{cita web|url=http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,22/articleid,0137_01_1971_0099_0022_4578485/|titolo=Vajont: un mandato di cattura per due imputati della tragedia|data=1º maggio 1971|accesso=24 febbraio 2021}}</ref><ref>{{cita web|url=http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,8/articleid,0137_02_1971_0098_0008_4783508/|titolo=Responsabile del Vajont in carcere per due anni|data=3 maggio 1971|accesso=8 marzo 2024}}</ref> Riceveva ogni giorno visite della moglie e viveri dall'Enel-Sade, contrariamente agli altri detenuti che godevano di tali diritti una volta a settimana.<ref>{{cita web|url=https://www.stefanolorenzetto.it/pagine/interviste/Galli%20Luciano.pdf|titolo=C'è un progetto per rimettere l'acqua nella diga del Vajont|data=8 aprile 2007|accesso=14 ottobre 2019}}</ref><ref name=lalotta>{{cita web|url=http://www.lalottacontinua.it/giornale-archivio/LC1_1972_05_21.pdf|titolo=La lotta continua|data=21 maggio 1972|accesso=14 ottobre 2019}}</ref> L'altro detenuto di lusso, Attilio Marzollo, godeva di analoghi privilegi.<ref name=lalotta/>▼
▲Scontò la pena irrogata dalla mattina del 1º maggio 1971, tre giorni dopo che il procuratore generale della Corte d'appello dell'Aquila aveva spiccato ordine di cattura nei suoi riguardi, nel carcere della sua città, [[Carcere di Santa Maria Maggiore|Santa Maria Maggiore]] a Venezia, dove si era costituito presentandosi al direttore accompagnato dall'avvocato Brass, divenendo un detenuto modello, alloggiato in una confortevole cella con un detenuto che gli faceva da domestico.<ref>{{cita web|url=http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,22/articleid,0137_01_1971_0099_0022_4578485/|titolo=Vajont: un mandato di cattura per due imputati della tragedia|data=1º maggio 1971|accesso=24 febbraio 2021}}</ref> Riceveva ogni giorno visite della moglie e viveri dall'Enel-Sade, contrariamente agli altri detenuti che godevano di tali diritti una volta a settimana.<ref>{{cita web|url=https://www.stefanolorenzetto.it/pagine/interviste/Galli%20Luciano.pdf|titolo=C'è un progetto per rimettere l'acqua nella diga del Vajont|data=8 aprile 2007|accesso=14 ottobre 2019}}</ref><ref name=lalotta>{{cita web|url=http://www.lalottacontinua.it/giornale-archivio/LC1_1972_05_21.pdf|titolo=La lotta continua|data=21 maggio 1972|accesso=14 ottobre 2019}}</ref> L'altro detenuto di lusso, Attilio Marzollo, godeva di analoghi privilegi.<ref name=lalotta/>
Tranne un breve periodo, dall'8 gennaio a fine marzo 1973, ricoverato nella [[Urologia|divisione urologica]] dell'ospedale civile dei Santi Giovanni e Paolo per un delicato intervento chirurgico, in quanto da tempo sofferente alla [[prostata]], rimase sempre nell'istituto di pena veneziano.<ref name=stampa>{{cita web|url=http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,13/articleid,1506_02_1973_0102_0013_21208152/|titolo=Scarcerato l'ing. Biadane condannato per il Vajont|data=2 maggio 1973|accesso=22 febbraio 2021}}</ref><ref>{{cita web|url=http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,1/articleid,1505_02_1973_0067_0001_21202577/|titolo=Condannato per il Vajont scarcerato il 1º maggio|data=20 marzo 1973|accesso=22 febbraio 2021}}</ref> Il [[Ministero della giustizia|ministero di grazia e giustizia]] gli aveva chiesto di fare il consulente tecnico per un progetto di ammodernamento del carcere e lui lavorava in tale senso come volontario nell'infermeria, sistemando la biblioteca
Il 1º maggio 1973, pagato il suo debito con la giustizia, il progettista fu scarcerato in anticipo sull'estinzione della pena per [[Liberazione anticipata|buona condotta]] e, all'uscita del penitenziario, atteso dal suo avvocato Brass, dalla moglie, dalla figlia Maria e da uno dei nipotini, salutò i cronisti a bordo di un motoscafo privato dell'Enel e, raggiunto il [[piazzale Roma]], a bordo di un'auto, si recò con i familiari in vacanza a [[Cortina d'Ampezzo|Cortina]].<ref name=stampa/><ref name=fortebraccio>Fortebraccio, ''Dalla nostra parte: Corsivi 1973'', Editori riuniti, pp. 146-147.</ref><ref>{{cita web|url=http://necrologie.messaggeroveneto.gelocal.it/news/60389?refresh_ce|titolo=Quell'onda che spazzò duemila vite|data=11 ottobre 2017|accesso=14 ottobre 2019}}</ref>
La sua uscita dal carcere diffuse tra i detenuti un certo rimpianto. Con la sua semplicità, e soprattutto con la sua serietà, era riuscito a farsi benvolere da tutti: dai detenuti, ai quali faceva lezioni di [[Lingua italiana|italiano]], [[matematica]] e [[Lingua latina|latino]], e dalle guardie carcerarie, che lo aiutavano a mettere in ordine la biblioteca, molto arricchita, allora, con i volumi usciti da casa Biadene. Non trascorreva giorno, raccontarono di lui le guardie carcerarie, che non inventasse qualche lavoro.<ref name=fortebraccio/>
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=== La morte ===
Morì a Venezia nel 1985,
== Nei media ==
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