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'''Operazione Deny Flight''' (in [[lingua inglese]], letteralmente, "negare il volo") era il [[nome in codice]] dell'operazione militare lanciata dall'[[NATO|Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord]] (NATO) il 12 aprile 1993 in attuazione della risoluzione 816 del [[Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite]], la quale istituiva una [[zona d'interdizione al volo]] estesa sull'intero spazio aereo della [[Bosnia ed Erzegovina]] in quel momento sconvolta da un [[guerra in Bosnia ed Erzegovina|
Nei mesi successivi i velivoli NATO furono varie volte chiamati a sostegno dei caschi blu alle prese con attacchi e bombardamenti delle forze serbo-bosniache, ma il sistema di approvazione dei raid aerei si dimostrò molto complesso e spesso inefficiente, gravato come era dai profondi contrasti politici tra i vari organismi coinvolti: se gli ambienti NATO ritenevano gli attacchi aerei un ottimo strumento di deterrenza nei confronti dei belligeranti, i comandi ONU nella regione erano invece molto restii a impiegarli, non volendo compromettere il ruolo di stretta neutralità dell'UNPROFOR ritenuto necessario per poter proseguire i negoziati per un [[cessate il fuoco]] tra le parti in conflitto. Inoltre, la stessa NATO si ritrovò spaccata tra la linea degli [[Stati Uniti d'America]] e quella dei principali alleati [[Europa|europei]], [[Francia]] e [[Regno Unito]] su tutti: i primi sostenevano un atteggiamento di fermezza verso i serbo-bosniaci comprendente il pieno ricorso ai bombardamenti aerei, ma erano contrari a coinvolgere nel conflitto le loro truppe da combattimento terrestri; i secondi, tra i principali contribuenti della missione UNPROFOR, temevano invece le azioni di ritorsione ai raid aerei che i serbo-bosniaci avrebbero potuto mettere in atto contro i caschi blu sul terreno e puntavano tutto sulla strategia negoziale.
Benché relativamente efficace nell'impedire l'impiego di aerei da combattimento da parte dei belligeranti, l'operazione Deny Flight fallì sostanzialmente nel suo compito di garantire la protezione delle "zone di sicurezza" dell'ONU, cosa resa palese nel luglio 1995 con i fatti del [[
L'operazione Deny Flight fu ufficialmente terminata il 20 dicembre 1995, con l'avvio dello spiegamento della [[Implementation Force]] in Bosnia ed Erzegovina.
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{{Doppia immagine|right|Jeremy M. Boorda.jpg|150|Admiral Leighton Smith, official military photo, 1991.jpg|150|I comandanti dell'[[Allied Joint Force Command Naples|AFSOUTH]] durante l'operazione Deny Flight: a sinistra l'ammiraglio [[Jeremy Boorda]], a destra l'ammiraglio [[Leighton Smith]]}}
La direzione dell'operazione Deny Flight fu assegnata all'[[Allied Joint Force Command Naples|Allied Forces Southern Europe]] (AFSOUTH), il comando della NATO con sede a [[Napoli]] responsabile per le operazioni nell'Europa meridionale, retto in quel momento dall'[[ammiraglio]] statunitense [[Jeremy Boorda]]. Gli aerei da combattimento assegnati all'operazione furono riuniti nella 5ª Forza aerea tattica alleata (5 ATAF), la quale ricevette contingenti di velivoli da Stati Uniti, [[Regno Unito]], [[Francia]], [[Paesi Bassi]], [[Spagna]] e [[Turchia]]; aerei da ricognizione furono forniti da [[Germania]] e [[Portogallo]], mentre il [[Canada]] e l'[[Italia]] misero a disposizione solo aerei da trasporto<ref name=Ripley-81-83>{{cita|Ripley|pp. 81-83}}.</ref>. Per i francesi la partecipazione a Deny Flight rappresentò la loro piena reintegrazione nella NATO, dopo la formale uscita di [[Parigi]] dalla struttura militare dell'alleanza decisa nel 1968, mentre per i tedeschi l'operazione fu la prima missione militare operativa condotta fuori dai propri confini dalla fine della [[seconda guerra mondiale]]<ref>{{cita|Pirjevec|pp. 265-266}}.</ref>. Gli aerei della 5 ATAF operavano principalmente a partire dall'Italia, in particolare dalle basi aeree [[Base aerea di Aviano|di Aviano]], [[Base aerea di Sigonella|di Sigonella]], [[Aeroporto di Gioia del Colle|di Gioia del Colle]] e [[Aeroporto di Verona-Villafranca|di Villafranca]], oltre che dalle [[portaerei]] dislocate in Adriatico (si alternarono in questi compiti le statunitensi {{nave|USS|Theodore Roosevelt|CVN-71|6}} e {{nave|USS|America|CVA-66|6}}, le britanniche {{nave|HMS|Invincible|R05|6}} e {{nave|HMS|Ark Royal|R07|6}}, le francesi ''[[Foch (R 99)|Foch]]'' e ''[[Clemenceau (R 98)|Clemenceau]]''); i velivoli da combattimento impiegati dai reparti statunitensi comprendevano gli aerei d'attacco
Le regole d'ingaggio stabilite per l'operazione erano conseguenza dei rapporti tra l'Occidente e la [[Russia]], tradizionalmente vicina ai serbi, nonché delle contese interne alla stessa alleanza atlantica: gli Stati Uniti erano favorevoli a impiegare la forza aerea per costringere le parti in conflitto a rispettare le risoluzioni dell'ONU, ma non avevano alcuna intenzione di dispiegare nei Balcani truppe da combattimento terrestri, men che meno sotto il comando delle Nazioni Unite; Regno Unito e Francia, al contrario, avevano fornito alla missione UNPROFOR in Bosnia ampi contingenti di truppe e temevano che azioni decise potessero spingere i belligeranti a rivalersi sui caschi blu sul terreno, dotati solo di armi leggere e dispersi in piccole guarnigioni, con conseguente necessità di inviare altri reparti per tirare fuori dai guai le unità dell'ONU<ref>{{cita|Pirjevec|pp. 255, 276}}.</ref><ref>{{cita|Finlan|p. 43}}.</ref>. Conseguentemente, gli aerei della 5 ATAF potevano aprire il fuoco solo contro i velivoli scoperti all'interno della zona d'interdizione e attivamente impegnati in un combattimento: gli aerei e gli elicotteri che violavano la zona d'interdizione ma che non partecipavano direttamente a combattimenti potevano solo essere invitati ad atterrare o a lasciare la zona, anche "sfiorandoli" ad alta velocità per costringerli. Gli aerei NATO non potevano inseguire altri velivoli al di fuori dello spazio aereo della Bosnia ed Erzegovina, e non potevano sparare su postazioni al suolo nemmeno se da esse fosse stato fatto fuoco su di loro<ref name=Pirjevec-265 /><ref name=Ripley-17>{{cita|Ripley|p. 17}}.</ref>.
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[[File:Western Bosnia 1994.png|miniatura|L'enclave di Bihać nel 1994]]
Il 22 ottobre 1994 le forze bosgnacche asserragliate nella sacca di Bihać scatenarono una massiccia offensiva contro i serbo-bosniaci, iniziando a guadagnare molto terreno nel
Sotto pressione da parte degli statunitensi, Boutros-Ghali ordinò a Rose di dare il via a raid aerei contro le forze attaccanti, ma il generale vanificò questa disposizione ordinando ai suoi osservatori sul terreno di non indicare alcun bersaglio ai velivoli della NATO; la situazione fu poi ulteriormente esacerbata dal comportamento del comando dell'UNPROFOR, che minimizzò la portata delle notizie provenienti da Bihać e vietò ai giornalisti di recarvisi<ref>{{cita|Pirjevec|p. 416}}.</ref>. Incitato dal Congresso, il presidente Clinton propose misure più dure per intervenire nella crisi jugoslava, tra cui l'abolizione unilaterale dell'embargo sulle armi alla Bosnia ed Erzegovina e alla Croazia; l'opposizione degli alleati europei, francesi e britannici in primo luogo, fu così dura da far paventare al nuovo segretario generale dell'alleanza, il belga [[Willy Claes]], il rischio di una spaccatura dell'organizzazione<ref>{{cita|Pirjevec|p. 417}}.</ref>.
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Il 14 luglio le unità serbo-bosniache mossero all'attacco dell'enclave di Žepa, poco a sud di Srebrenica; i difensori bosgnacchi disarmarono il contingente di caschi blu ucraini assegnato alla protezione della zona di sicurezza e opposero una dura resistenza prima di essere obbligati alla resa il 25 luglio: un centinaio di prigionieri di guerra bosgnacchi fu ucciso dopo la cattura, ma al contrario di Srebrenica alla popolazione fu concesso di evacuare il centro abitato e trovare rifugio nelle zone controllate dal governo di Sarajevo. Contemporaneamente, il 19 luglio i serbo-bosniaci ripresero i bombardamenti su Bihać e Sarajevo, colpendo anche un convoglio dell'UNPROFOR e uccidendo due caschi blu francesi; il generale Rupert Smith rispose a questi attacchi facendo brevemente bombardare dall'artiglieria della Forza di reazione rapida le trincee serbe<ref>{{cita|Pirjevec|pp. 484-485}}.</ref>.
L'eco del massacro di Srebrenica e le continue violazioni delle zone di sicurezza obbligarono la comunità internazionale a rivedere le sue strategie. Per discutere sul da farsi, tra il 20 e il 21 luglio si riunirono a Londra i ministri degli Esteri e della Difesa dei membri NATO nonché rappresentanti di Russia e Nazioni Unite; nonostante i britannici fossero fermamente intenzionati a portare avanti una soluzione strettamente diplomatica del conflitto, su influenza degli Stati Uniti dalla conferenza uscirono misure decise: la NATO promise di impegnare tutto il suo potenziale perché l'enclave
[[File:Shali and Berlijn.jpg|miniatura|Il generale Shalikashvili durante una visita in Bosnia-Erzegovina accompagnato dal tenente colonnello Berlijn]]
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Il 29 luglio il generale Rupert Smith si incontrò con il comandante delle forze aeree dell'AFSOUTH, il generale statunitense [[Michael E. Ryan]], per mettere a punto piani concreti per un'azione comune tra l'alleanza e l'UNPROFOR, sfociati poi il 10 agosto in un protocollo d'intesa segreto (di cui, pare, furono tenuti all'oscuro i delegati russi e cinesi dell'ONU) secondo cui da quel momento in poi gli attacchi aerei sarebbero stati "sproporzionati" rispetto all'entità dell'offesa e non sarebbero stati necessariamente limitati all'area dove si sarebbero verificate violazioni da parte dei serbo-bosniaci. Entro il 14 agosto la NATO aveva stilato una lista di potenziali obiettivi da colpire, combinando insieme due piani strategici già approntati in precedenza: "Dead Eye", volto a distruggere il sistema di difesa antiaerea della Repubblica Serba, e "Deliberate Force", dedicato invece alle minacce dirette alle zone di sicurezza; furono subito intensificati sulla Bosnia ed Erzegovina i voli di ricognizione, anche tramite i nuovi [[Aeromobile a pilotaggio remoto|aeromobili a pilotaggio remoto]] [[General Atomics RQ-1 Predator|RQ-1 Predator]], e le attività di [[SIGINT|sorveglianza elettronica]] delle comunicazioni dei serbo-bosniaci<ref>{{cita|Pirjevec|pp. 485-486}}.</ref>.
La leadership statunitense ritrovò una certa unità in merito alla crisi jugoslava: il pensionamento del generale [[Colin Powell]], che dalla sua carica di [[Capo dello stato maggiore congiunto]] aveva sempre avversato qualsiasi avventura militare nei Balcani, portò alla nomina alla guida dell'apparato militare statunitense del generale [[John Shalikashvili]], desideroso invece di chiudere al più presto la crisi onde evitare ulteriori spaccature tra gli Stati Uniti e gli alleati europei<ref name=Pirjevec-483 />. Boutros-Ghali e il suo delegato Akashi furono isolati e di fatto esclusi dai colloqui di pace con le parti belligeranti in favore di un diplomatico statunitense, il vice segretario di
== L'operazione Deliberate Force ==
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== Bibliografia ==
* {{cita libro|cognome=Beale |nome=Michael |anno=1997 |titolo=Bombs over Bosnia: The Role of Airpower in Bosnia-Herzegovina |città=Montgomery |editore=Air University Press |oclc=39892597 |cid=Beale}}
*{{cita libro|cognome=Finlan |nome=Alastair |titolo=Jugoslavia, il crollo di uno Stato |editore=RBA Italia/Osprey Publishing |anno=2010|id=ISNN 2039-1161 |sbn=
*{{cita libro|cognome=Pirjevec |nome=Jože |titolo=Le guerre jugoslave 1991-1999 |editore=Einaudi |anno=2002 |isbn=88-06-18138-6 |cid=Pirjevec}}
*{{cita libro|cognome=Ripley |nome=Tim |titolo=La guerra nei Balcani - Il conflitto aereo |editore=RBA Italia/Osprey Publishing |anno=2011 |id=ISNN 2039-1161 |sbn=
== Voci correlate ==
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