Secondo triumvirato: differenze tra le versioni

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La morte di [[Cesare]] aprì una fase di grave instabilità interna alla [[Repubblica romana]]. Le ragioni per cui fu ordita la [[Cesaricidio|congiura contro Cesare]] sono da ricercare nei poteri quasi monarchici che questi aveva accumulato dopo la vittoria su [[Pompeo]]. Gli assassini, definiti dagli storici ''cesaricidi'', furono mossi da una atavica avversione contro ogni forma di potere di tipo personale e assoluto, in nome delle tradizioni e delle libertà [[Repubblica romana|repubblicane]].
 
Il limite dell'azione dei congiurati fu la mancanza di un disegno politico preciso e coerente, e fu facile per i seguaci del dittatore porre fine al loro disegno e a costringerli alla fuga. La scena politica fu presto dominata da [[Marco Antonio]], fedele e abile generale di Cesare che ne seguìaveva seguito le sorti per tutto il conflitto e nel 44, anno della congiura, ricopriva insieme con lui la carica consolare. Presto si rivelarono le sue vere intenzioni: appropriarsi dell'eredità politica di Cesare e ripercorrerne le orme.
 
Da parte del Senato ciò fu visto come un pericolo e fu perciò emesso un [[Senatus consultum ultimum|senatoconsulto ultimo]], secondo il quale il futuro triumviro fu dichiarato nemico pubblico. Contro di lui furono levati due eserciti, guidati dai consoli del 43 [[Irzio]] e [[Gaio Vibio Pansa|Pansa]]. Lo [[Battaglia di Modena|scontro]] avvenne nell'aprile dello stesso anno presso [[Modena]], dove [[Decimo Bruto]] si era asserragliato con le sue forze (pare su suggerimento di [[Augusto|Ottavio]]). Antonio ebbe la peggio e fu costretto a fuggire in [[Gallia]], dove fu accolto e protetto da [[Marco Emilio Lepido|Lepido]], il quale aveva fatto una leva in [[Spagna Citeriore]] e nella [[Gallia Narbonese]]. Il Senato usò anche un'altra arma contro il giovane generale: il figlio adottivo di Cesare, [[Gaio Ottavio Turino]].
 
Questi, al momento della congiura, si trovava ad [[Apollonia (Albania)|Apollonia]] per motivi di studio e lo attendeva per seguirlo nella spedizione partica. Tornato a Roma, si fece apprezzare per le sue doti politiche e mostrò una freddezza e una sicurezza che gli procurarono numerose simpatie, tra cui quelle di Cicerone. Del pericolo rappresentato da Ottavio si rese conto lo stesso Antonio, anche perché questi sapeva che il giovane sarebbe stato per lui un pericoloso avversario, anche in virtù del fatto che era il figlio adottivo ed erede universale di Cesare. Per questo non mancò di dileggiarlo e di impedire la ratifica della sua adozione.
 
Abile e spregiudicato, il giovane figlio adottivo di Cesare seppe approfittare della situazione per imporsi sulla scena politica e, non essendo rientrati i due consoli del 43 a.C., si candidò al consolato per l'anno successivo. Al rifiuto del senato (addotto a causa della sua giovane età), il futuro imperatore rispose marciando su Roma con le sue legioni, costituite da veterani cesariani a lui fedeli in quanto figlio del dittatore. Eletto dai [[comizi]], come primo atto il nuovo console revocò l'amnistia per i cesaricidi e istituì un tribunale per giudicarli. Poi, dopo aver fatto riconoscere la sua adozione (avvenuta nel 45) e mutato il nome in Gaio Giulio Cesare Ottaviano, decise di riappacificarsi con Lepido e Antonio.<ref>AA.VV. La storia, vol. 3 Roma: dalle origini ad Augusto, La biblioteca di Repubblica, Roma, 2004, pp. 402-404.</ref>.
 
== La ''lex Titia'' ==
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Intanto [[Sesto Pompeo]], figlio dell'avversario di Cesare, con le forze pompeiane superstiti e una potente flotta, teneva sotto controllo Sicilia, Sardegna e Corsica, e la usava per razziare le coste dell'Italia meridionale seminando il terrore.
 
L'accordo era necessario soprattutto per Ottaviano, il quale voleva evitare di trovarsi fra due fuochi: da una parte Antonio con 17 legioni (comprese quelle dategli da [[Marco Emilio Lepido|Lepido]], suo partigiano) e dall'altra le già ricordate forze dei cesaricidi in Oriente. Dall'incontro uscì una spartizione delle provincie, inizialmente a lui sfavorevole: ad Antonio sarebbe spettato il proconsolato nella Gallia Cisalpina e Comata, a Lepido la Gallia Narbonense e le Spagne, ad Ottaviano l'Africa, la Sicilia, la Sardegna e la Corsica (ma, si ricordi, le tre isole erano di fatto sotto il controllo di Sesto Pompeo).
 
Per reperire i fondi necessari per la campagna in Oriente e per vendicare la morte di Cesare, i tre redassero [[liste di proscrizione]] degli avversari da eliminare ed incamerarne così i beni. A Roma e in Italia si scatenò quindi una caccia all'uomo senza eguali e in molti casi più feroce e indiscriminata di quella operata dopo la vittoria di [[Lucio Cornelio Silla|Silla]] su [[Gaio Mario]]. Molte furono le vittime illustri: ben 300 senatori caddero sotto i colpi degli assassini e 2000 [[Cavalleria (storia romana)|cavalieri]] ne seguirono la sorte. Tra questi fu anche Cicerone, al quale Antonio non aveva perdonato le orazioni contro di lui, raccolte nelle ''[[Filippiche (Cicerone)|Filippiche]]''. Ottaviano, pur essendo stato protetto e incoraggiato dal grande intellettuale latino, non fece nulla per salvargli la vita. Altra barbarie decisa dai triumviri fu l'uso di appendere ai [[rostri]] del foro le teste dei nemici uccisi e di dare una ricompensa proporzionale a chi le portava: 25.000 denari agli uomini liberi, 10.000 agli schiavi con l'aggiunta della [[manomissione]] e della [[Cittadinanza romana|cittadinanza]].<ref>AA.VV. La storia, op. cit., p. 405.</ref>.
 
=== I tre uomini del triumvirato ===
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I tre protagonisti del patto avevano personalità molto diverse e, come si è visto, strinsero l'accordo per convenienza personale, piuttosto che per una sincera identità di vedute.
 
[[Marco Antonio]] era desideroso di raccogliere e proseguire l'opera già cominciata da Cesare: riforma in senso monarchico dello Stato ed espansione a Oriente dell'impero. Dopo aver dato pubblica lettura del testamento del dittatore, seppe usare per i suoi fini le ire popolari contro i cesaricidi, diventando così leader indiscusso del partito cesariano. Il suo consolato del 44 fu caratterizzato da politiche demagogiche e da una legislazione confusa. Percepì ben presto il pericolo rappresentato dal giovane Ottavio, sia in quanto erede universale di Cesare, sia perché era ben visto dagli ottimati. Costretto dopo Modena ''obtorto collo'' a condividere con il futuro rivale la scena politica, scatenò, come si è visto, sanguinose rappresaglie contro i propri nemici politici.<ref>Ibidem, p. 402.</ref>.
 
[[Augusto|Ottaviano]], figlio adottivo di Cesare, fu astuto e abile allo stesso tempo nello sfruttare la confusione creatasi dalle lotte fra i diversi partiti. Nonostante la pericolosa parentela, fu visto inizialmente come paladino degli ottimati, da contrapporre ad Antonio. Non a caso, in occasione della [[battaglia di Modena]], accompagnò come ''propraetor'' i consoli con milizie a lui fedeli. Ben presto, però, fece pentire l'aristocrazia della scelta fatta, mostrando di voler vendicare il padre adottivo e di raccoglierne l'eredità politica. Seppe raggiungere subito in maniera spregiudicata la massima magistratura della ''Res publica'' con un vero e proprio colpo di Stato e, come vedremo, una volta entrato in contrasto con Antonio, si presentò come campione del ''mos maiorum'' tanto caro all'aristocrazia senatoria, della conservazione e tutela dei valori della repubblica e delle sue istituzioni. Non fu solo bravo nel sapersi muovere nell'agone politico, ma si circondò di valenti uomini, come quel [[Marco Vipsanio Agrippa]] abile generale, che gli regalò i suoi successi militari più importanti.
 
[[Marco Emilio Lepido]], sostenitore di Cesare e poi di Antonio subito dopo le [[idi di marzo]], fu invece presto un comprimario, una spalla degli altri due colleghi e in molti casi poco affidabile. Di fronte al crescere della personalità e dell'importanza degli suoi due colleghi, egli fu sempre più relegato ai margini della scena politica. Dopo Filippi, che come vedremo fu la vittoria definitiva sui cesaricidi, ottenne solo l'Africa. Chiamato a sostenere Ottaviano contro [[Sesto Pompeo]] in [[Sicilia]] (36 a.C.), fu un alleato poco fedele e giunse alla fine col parteggiare per il figlio di [[Pompeo Magno]]. Abbandonato dai soldati, dovette arrendersi e chiedere perdono a Ottaviano, ormai padrone dell'Occidente. Per punizione fu costretto a rinunciare alle otto legioni giunte in Sicilia al seguito di Sesto Pompeo che aveva preso al comando, le magistrature affidategli (mantenendo solo quella di ''pontifex maximus'', titolo puramente onorifico) e a ritirarsi a vita privata ala [[CirceoCirceii]] fino alla morte (ca. 12 a.C.)<ref>Ibidem, p. 403.</ref>.
 
== Lo scontro con i cesaricidi e Sesto Pompeo ==
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[[Marco Giunio Bruto]] e [[Cassio Longino]] si rifugiarono in Macedonia, dove arruolarono un'imponente armata – 19 legioni (ca. 80.000 uomini) – pronta a passare l'[[Adriatico]]. [[Decimo Bruto]], invece, si rifugiò in [[Gallia Cisalpina]], assegnatagli come provincia da governare. Dopo [[battaglia di Modena|Modena]], vista la situazione peggiorare per lui di giorno in giorno (sia per la diserzione in massa dei suoi legionari in favore di Ottaviano, sia perché ormai si trovava isolato dagli altri cesaricidi), Bruto decise di muoversi verso la Macedonia, ma fu ucciso da un gallo fedele ad Antonio.
 
[[File:Philippi 1st battle map.jpg|miniatura|La prima fase della battaglia di Filippi]]
Intanto Antonio e Ottaviano, mentre si accordavano e si spartivano le zone d'influenza in Occidente con Lepido, senza preoccuparsi del blocco navale di Sesto Pompeo, trasferirono anch'essi 19 legioni in [[Grecia]]. Lo scontro fra i due eserciti avvenne nell'ottobre 42 a.C. a [[Filippi]], sulla [[via Egnazia]]. La battaglia si svolse in due fasi distinte, combattute rispettivamente il 3 e il 23 ottobre.
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Il centro effettuò quindi un ripiegamento di 90 gradi, per avere il fronte rivolto verso l'ala sinistra di Bruto. Sul fronte di questa divisione c'era la fanteria di Antonio, sul fianco sinistro la cavalleria e sul lato destro la fanteria. Quest'ultima si opponeva allo stesso tempo al fianco destro nemico, che le era stato affidato all'inizio della battaglia e sul quale il centro di Bruto si era riversato durante il ripiegamento. Questa fu la strategia principale di Antonio in questa battaglia. Infine, l'attacco di Bruto fu respinto e il suo esercito mandato in rotta. I soldati di Ottaviano raggiunsero le porte dell'accampamento nemico prima che egli potesse chiudervisi dentro. Bruto riuscì a ritirarsi sulle colline circostanti con l'equivalente di sole quattro legioni e, vedendosi sconfitto, si suicidò.
 
Il successo che arrise ai cesariani è da attribuire al fatto che il nemico presentasse un esercito troppo eterogeneo e poco amalgamato, a differenza di quello dei triumviri, più omogeneo e compatto. Inoltre Antonio, fu abile stratega e seppe manovrare i propri veterani, addestrati e allo stesso tempo attratti dalle prede e delle ricchezze che si sarebbero dischiuse per loro nell'opulento Oriente; ciò che non si poteva dire dei militanti nella parte avversaria, spesso ignari del motivo per cui combattevano, con la conseguenza di numerose diserzioni.<ref>AA.VV. La storia, op. cit., p.406.</ref><ref>[https://www.youtube.com/watch?v=fWGxBZeyblE YouTube<!-- Titolo generato automaticamente -->]</ref><ref>[https://www.youtube.com/watch?v=Ejm5GIvEgbw YouTube<!-- Titolo generato automaticamente -->]</ref>.
 
=== La sconfitta degli ultimi pompeiani ===
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Un ulteriore accordo fu raggiunto dai tre con [[Lucio Domizio Enobarbo (console 54 a.C.)|Lucio Domizio Enobarbo]], valente generale pompeiano e trisavolo di [[Nerone]], e con Sesto Pompeo. Sembravano quindi ristabilite la pace e la concordia nella Repubblica, tanto che l'evento fu celebrato da Virgilio nella [[Bucoliche|IV ecloga]], dove si preannunciava una nuova era di pace con la nascita di un ''puer'' (quello che i commentatori medievali cristiani avrebbero interpretato come una premonizione dell'avvento di Cristo), ossia del figlio di Pollione, amico di Antonio e promotore dell'intesa. Ben presto però la situazione degenerò: Sesto Pompeo, sentendosi defraudato delle promesse fattegli da Antonio, riprese a infestare le coste italiane.
 
Ottaviano rispose cingendo con la sua flotta lo [[stretto di Messina]], ma quando le sue forze tentarono di sbarcare furono duramente sconfitte. Nel 37 a.C. i due triumviri s'incontrarono a Taranto. Antonio, lasciando ad Ottaviano 120 navi in rinforzo alle sue 300 unità, permise a questi di affrontare Pompeo davanti a [[Nauloco]], di vincerlo e costringerlo alla fuga in Oriente. In questa circostanza la città di Messina fu duramente saccheggiata. In seguito al fatto che Lepido aveva tenuto ancora una volta un atteggiamento equivoco, rivoltandosi infine contro Ottaviano, questi, dopo la vittoria, lo punì togliendogli l'Africa: rimasto con la sola carica di pontefice massimo, fu confinato a [[Circeii]], dove trascorse il resto dei suoi giorni.<ref>AA.VV., La storia, op. cit., pp. 406-410.</ref>
 
== Lo scontro tra i triumviri ==
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I due, ormai prossimi allo scontro, pur non esercitando più i poteri triumvirali, pretesero un giuramento di fedeltà da parte degli alleati della ''res publica'': l'uno da quelli occidentali, l'altro da quelli orientali. Ottaviano, tra l'altro, ricevette il consenso quasi unanime del Senato, mentre la minoranza che non volle riconoscerglielo si rifugiò ad Alessandria. Dopo anni di grandi turbolenze e di guerre civili fratricide, a lui erano rivolte le speranze di una definitiva pacificazione dello stato.
 
[[File:Battle_of_Actium-it.svg|miniatura|upright=1.8|Mappa della battaglia di Azio.]]
Non fu facile per Ottaviano reperire le risorse per l'arruolamento, ma alla fine riuscì a schierare circa 80.000 uomini e 400 navi di medie dimensioni; Antonio, invece, poté contare su 120.000 fanti e circa 500 unità navali di grande stazza. I due schieramenti si trovarono l'uno di fronte all'altro il 2 settembre del 31 a.C. ad [[battaglia di Azio|Azio]], un promontorio all'ingresso del golfo di [[Ambracia]] (odierna [[Arta (Grecia)|Arta]]) in [[Epiro]]. Non si sa per quale motivo Antonio abbia preferito lo scontro sul mare piuttosto che un attacco con le forze di terra; il fatto è probabilmente dovuto alla sua scarsa fiducia nella fanteria, alquanto eterogenea.
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== Le conseguenze della vittoria di Ottaviano: la nascita del principato ==
{{vedi anche|augusto (titolo)|principato (storia romana)|Impero romano}}
 
[[File:Statue-Augustus.jpg|miniatura|Statua di Ottaviano con indosso la lorica, la tipica corazza dei comandanti romani, rinvenuta nella villa della moglie Livia a [[Prima Porta]], vicino a Roma e ora custodita ai [[Musei Vaticani]].]]
L'alba del I secolo a.C. vide la ''res publica'' ormai incapace di gestire con le sue obsolete istituzioni l'enorme impero creato in secoli di guerre. Quella di questo secolo fu una storia travagliata e caratterizzata dall'affermarsi di elementi e tendenze che portarono alla fine del regime repubblicano e alla nascita di un nuovo sistema politico. Il cambiamento non sarebbe forse stato inevitabile, ma certamente a ciò contribuì l'abilità e la prudenza dimostrate da Ottaviano. Pur presentandosi come campione della tradizione repubblicana e del ''mos maiorum'', egli astutamente svuotò di ogni valore reale le vecchie magistrature. Nel 31 a.C. e negli anni successivi guidò lo stato ricoprendo regolarmente e senza soluzione di continuità la carica di console.
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Dopo tale data Ottaviano si fece chiamare Augusto, e come tale viene oggi ricordato. Ulteriore attributo e nuovo onore concessogli fu l'assegnazione della [[tribunicia potestas]] nella sua totalità (23 a.C.), rinnovatagli annualmente. Forse per non suscitare l'astio dei nostalgici della repubblica, o forse perché non necessari, rinunciò ad altri poteri, quali la dittatura - da lui considerata ''contra morem maiorum'' e messa fuori legge da Antonio, certamente anche perché tale carica gli ricordava l'esperienza negativa di Cesare; quella di ''curator legum et morum''; la ''censoria potestas''; il consolato unico a vita. Accettò invece la carica di ''pontifex maximus'' (12 a.C.), ricoperta fino alla morte da [[Lepido]], dopo esser stato messo da parte da lui. Infine, nel 2 a.C., gli fu attribuito anche il titolo di ''[[Pater Patriae|pater patriae]]''.
 
La vittoria di Ottaviano Augusto ad Azio non fu quindi solo la fine di un periodo turbolento e sanguinoso della storia romana, ma rappresentò un importante punto di svolta della storia dello stato romano. Il regime nato dai mutamenti della fine del I secolo a.C. viene chiamato comunemente impero, mentre la storiografia preferisce usare il termine [[principato (storia romana)|principato]] (derivato per l'appunto dal titolo concesso ad Augusto ed ereditato dai suoi successori) per il primo periodo, a rimarcare il carattere non ancora monarchico-assoluto del nuovo corso. Quando, lentamente nel tempo, l'aspetto autocratico e dispotico del potere imperiale prevalse, si usò il termine [[dominato]], soprattutto a partire dall'epoca di [[Diocleziano]] (284-305). Per il quadro storico generale, ciò che più importa è il fatto che da Augusto in poi saranno singoli uomini, con l'esercizio dei loro enormi poteri e con la loro personalità, a caratterizzare la vita politica, militare e sociale dello stato romano, e non più un'oligarchia, chiusa e legata alle proprie tradizioni morali e politiche e riunita in un organo collegiale quale era il Senato.<ref>Ibidem, pp. 495-502.</ref>.
 
== Note ==