Monarcomachi: differenze tra le versioni

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Già nell'[[Antichità classica|antichità]] l'idea dell'uccisione del tiranno era presente nel mondo romano in [[età repubblicana]]. [[Plutarco]] cita dei provvedimenti adottati da [[Publio Valerio Publicola|Publicola]] per contrastare l'ascesa della [[monarchia]], teorizzando la giustezza del [[regicidio]]:
{{citazione|Ma benché in tali disposizioni [Publicola] si fosse dimostrato popolare e moderato legislatore, per i reati particolarmente gravi stabilì pene esagerate. Promulgò una legge per cui si poteva uccidere senza processo [senza il ricorso alla ''[[provocatio ad populum]]''] chiunque aspirasse alla tirannide: il suo uccisore non rispondeva dell'omicidio se era in grado di fornire prove del reato dell'ucciso. Poiché essendo impossibile che chi tenta tali cose possa farlo di nascosto, e altrettanto impossibile che chi non si nasconde diventi così formidabile da non poter più essere chiamato in giudizio, [Publicola] concesse in questo caso a chi ne avesse l'autorità di anticipare contro il reo quella sentenza che la natura stessa del reato rendeva ineseguibile più tardi.|[[Plutarco]], [[Vite parallele]], [[Solone]] e [[Publio Valerio Publicola|Publicola]], XII, 1-2<ref>{{cita web|url=http://books.google.it/books?id=8esKAQAAIAAJ&pg=PA225&dq=plutarco+publicola&hl=it&sa=X&ei=J-G8T4S8DYbj4QTwm8lz&ved=0CEgQ6AEwAw#v=onepage&q=plutarco%20publicola&f=false|titolo=Le vite parallele di Plutarco, Volume 1|accesso=23 maggio 2012}}</ref>}}
Quest'idea sarà recuperata nel medioevo e troverà una prima teorizzazione in [[Giovanni di Salisbury]]. Egli nel ''[[Policraticus]]''<ref>il Policraticus fu scritto prima della morte di [[Tommaso Becket|Becket]] e l'intento non fu quello di vendicarlo, bensì di ammonire lui ed il sovrano ([[Enrico II d'Inghilterra|Enrico II]]) dai rischi della loro condotta.</ref> ([[1159]]) sostiene, seppur in maniera ambigua e non senza ripensamenti, la legittimità della ribellione contro gli abusi del monarca:
{{citazione|Inoltre, l'uccisione di un tiranno non è solo un atto lecito, bensì auspicabile e giusto. Chi si impossessa (illegittimamente) della spada, è degno di perire per questa.|[[Giovanni di Salisbury]], ''Policraticus''|Porro tyrannum occidere non modo licitum est sed aequum et iustum. Qui gladium accipit, gladio dignus est interire.|lingua=la}}
 
== Le teorie monarcomache ==
Le teorie furono accolte tanto in seno al [[protestantesimo]] (sostenute da personalità come [[George Buchanan (umanista)|George Buchanan]] e Philippe [[Philippe Duplessis-Mornay|Duplessis-Mornay]], autore insieme a [[Hubert Languet]], secondo teorie non del tutto accertate, delle ''[[Vindiciae contra tyrannos]]'' del [[1579]]), quanto in seno al [[chiesa cattolica|cattolicesimo]] come diritto alla difesa dell'ortodossia contro il prevalere di confessioni ritenute eretiche o ostili (difese dai [[Compagnia di Gesù|gesuiti]] [[spagnoli]] [[Juan de Mariana]] e [[Francisco Suárez]], autori rispettivamente del ''De rege et regis institutione'' ([[1598]]) e del ''Tractatus de Legibus ac de Deo legislatore'' ([[1612]]) e dal [[cardinale]] [[Roberto Bellarmino]]). Altri monarcomachi protestanti furono [[François Hotman]] (autore di ''Francogallia'' del [[1573]] in cui, sulla base di una analisi della storia istituzionale della [[Sovrani di Francia|monarchia francese]], accusava l'autorità persecutrice dei re e invocava il primato dell'"assemblea popolare" contro gli abusi dei sovrani), [[Teodoro di Beza]], autore del trattato ''Du droit des magistrats sur leurs sujets'' ([[1575]]), [[Odet de La Noue]], [[Johannes Althusius]] e il [[riformismo|riformatore]] scozzese [[John Knox]].
 
I monarcomachi ritenevano che ogni regime politico dovesse fondarsi sul consenso del popolo, quandanche il potere del sovrano (prerogativa popolare trasferita pro tempore al sovrano) dipendesse dal volere di [[Dio]]<ref>Simonutti, Luisa, ''Contro la servitù delle coscienze. Assolutisti e monarcomachi di fronte alla tolleranza nella Francia d'Ancien régime'', Scienza e politica. N. 21, 1999, Bologna : CLUEB, 1999.</ref>. Il patto intervenuto in origine fra re e popolo sanciva la subalternità del monarca alla legge (e non poteva essere ammessa la subordinazione della legge al monarca). Emanando ogni potere da Dio, la stessa rivolta e il medesimo tirannicidio venivano giustificati dal patrocinio divino. Nel 1575 Teodoro di Bèze, che subentrò a [[Giovanni Calvino|Calvino]] come capo della [[Protestantesimo|chiesa protestante]] [[Ginevra|ginevrina]], che sosteneva l'esistenza di un "contratto" tacito tra re e popolo che obbligherebbe il primo ad agire nel rispetto del secondo, in ''Du droit des Magistrats sur leurs sujets'' giunse a invocare l'idea dell'assassinio ispirato da Dio, dunque lecito, contro quei monarchi divenuti persecutori.<ref name=ref1>{{cita libro|Koenigsberger|H.G., Mosse G.L., Bowler G.Q.|L'Europa del Cinquecento|[[2004]]|[[RCS MediaGroup|RCS]]|[[Milano]]}} pp. 407-411</ref> Un opuscolo anonimo del [[1578]] affermava che legittimo era il diritto del popolo a uccidere il tiranno, che sarebbe stato ottemperato solo da eletti chiamati da Dio stesso.<ref name=ref1/>