Somnium Scipionis: differenze tra le versioni
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Il '''''Somnium Scipionis''''' (in [[lingua italiana]] ''Il sogno di Scipione'') è un celebre brano del trattato ''[[De re publica]]'' di [[Marco Tullio Cicerone]] (composto nel [[54 a.C.]]), corrispondente all'ultima parte del sesto e ultimo libro.
== Contenuto ==
Il brano è il racconto di un sogno di [[Scipione Emiliano]] (protagonista del trattato ciceroniano), ospitato in [[Numidia]] dall'anziano re [[Massinissa]], alleato di Roma. In questo sogno, racconta l'Emiliano, gli era apparso il nonno adottivo [[Scipione l'Africano]]: costui gli aveva predetto le sue glorie future e la sua morte prematura, mostrandogli però successivamente una visione delle [[sfere celesti]] e spiegando che il premio riservato dagli dèi alle anime degli uomini politici virtuosi sarebbe stato l'immortalità dell'anima e una dimora eterna nella [[Via Lattea]].
Affermando l'immortalità dell'anima e l'esistenza di un premio celeste per le buone azioni degli uomini, così come di un [[aldilà]], Cicerone espone, inoltre, rifacendosi a [[Stoicismo|stoici]] ed [[Aristotelismo|aristotelici]], la sua visione del [[cosmo]], in cui nella
Il primo paragrafo si apre con l’arrivo di Scipione l’Emiliano in Africa, dove incontra l’anziano re dei Numidi Massinissa. Dopo aver trascorso la giornata a parlare di politica, i due partecipano ad un [[banchetto]] sfarzoso, durante il quale hanno l’occasione di continuare i loro discorsi. In particolare, il vecchio re dimostra di ricordare con grande amicizia Scipione l’Africano. Coricatosi, l’Emiliano cade in un sonno profondo e, in sogno, gli appare proprio l’Africano che, facendosi riconoscere, lo invita a fare attenzione e a tramandare ai posteri ciò che gli dirà.
Anzitutto l’Africano gli indica [[Cartagine]] dal cielo in cui si trova e gli preannuncia che, come ora la sta attaccando quasi fosse un soldato semplice, nel giro di un paio d’anni la conquisterà nelle vesti di [[Console (storia romana)|console]]. Dopodiché aggiunge che, una volta celebrato il [[trionfo]] su Cartagine, Scipione Emiliano ricoprirà la carica di [[censore]], che andrà come ambasciatore in Egitto, Siria, Asia e Grecia, e che, una volta rieletto console, raderà al suolo [[Numanzia]]. Dopo tutto questo, tornato a Roma, troverà la Repubblica sconvolta dai piani dell’altro nipote dell’Africano, [[Tiberio Gracco]]. A questo punto l'Africano Maggiore esorta solennemente il Minore a guidare il popolo romano con il proprio valore, avvertendolo però che quando la sua età arriverà ai 56 anni (otto volte sette, due numeri considerati perfetti), egli morirà, non prima di aver reso stabile lo
Tutti gli uomini che hanno aiutato, sorretto e che si sono battuti per la patria, secondo le parole dell'Africano, riceveranno di sicuro un posto in cielo, dove potranno godere di una vita eterna. Questo premio verrà riconosciuto ai più valorosi da quel dio "che tutto ha generato" che collocherà gli animi di questi protettori nel luogo da cui erano partiti. Allora Scipione Emiliano interviene chiedendo se il padre [[Lucio Emilio Paolo Macedonico|Paolo]] e tutti gli altri che vengono considerati ormai morti ancora vivano, alla quale domanda Africano risponde che sono assolutamente vivi, anche più dei mortali, perché (con un riferimento al [[platonismo]]) si sono liberati del corpo che è come un carcere per l'anima e fa notare al nipote l'arrivo dello stesso Paolo, che abbraccia e consola il figlio.
Scipione Emiliano desidera abbandonare la propria vita per raggiungere quella del cielo, ma
{{Citazione|coltiva la giustizia e la devozione| ''De re publica'' VI 3, ed. Zanichelli | iustitiam cole et pietatem|lingua=la}}
Il punto di vista del racconto diventa quello di
Poi Scipione Africano illustra al nipote la meraviglia del sistema planetario, spiegandogli che sono presenti nove sfere concentriche tra cui la prima è il sommo dio, che contiene le orbite delle stelle e a cui sottostanno sette sfere che ruotano in direzione opposta: Saturno, Giove, Marte, Sole, Venere, Mercurio e infine la Luna. La nona sfera che si trova in posizione centrale è la Terra. Scipione Emiliano avverte un [[Musica delle sfere|suono assai armonioso]] e ne chiede l'origine. Il nonno gli risponde che è il suono che proviene dal movimento delle orbite stesse e che tali movimenti non potrebbero svolgersi in silenzio. Spiega inoltre che essi sono più acuti o più gravi a seconda della maggiore o minore velocità di movimento: ci sono sette toni diversi di suoni, "numero che è come il vincolo di tutte le cose". Poiché le orecchie degli uomini ascoltano continuamente questo suono sono diventate molto deboli.
Poi Scipione Africano, accorgendosi che l’Emiliano continua a guardare la terra, gli rivela che vale la pena ricercare solo la gloria celeste: infatti, anche se un uomo raggiungesse la gloria terrena, non sarebbe conosciuta da tutti a causa dei limiti geografici. La terra, egli sostiene, è effettivamente abitata solo per così dire in una piccolissima parte, quella delle fasce temperate; altrove il clima è troppo ostile per permettere agli uomini di sopravvivere: mentre la fascia equatoriale è troppo ardente, ai poli è troppo freddo. Dunque a quale gloria possono aspirare gli uomini? A causa dei cataclismi come gli incendi o le inondazioni, che periodicamente avvengono sulla Terra, non siamo in grado di raggiungere la gloria eterna, perciò si chiede in fondo quale sia la vera importanza di essere ricordati nella storia. È l'occasione per una breve digressione astronomica: il grande anno cosmico, stando ai calcoli, dovrebbe durare più di 11.340 anni solari, quindi, secondo la tradizione sarebbe iniziato nel 716 a.C. con la morte di [[Romolo]] (anno di una famosa [[Eclissi solare|eclissi]] totale di sole) e si dovrebbe concludere quando la nostra stella subirà un'eclissi nella medesima posizione da cui è partita.
Il primo
{{Citazione|sappi dunque che tu sei un essere divino| ''De re publica'' VI 8, ed. Zanichelli | deum te igitur scito esse|lingua=la}}
perché divina è quella forza che ha in sé la vita, che percepisce, che ricorda, che prevede, che così come governa, guida e muove quel corpo, allo stesso modo il dio supremo fa con questo mondo; e come quello stesso dio immortale muove il mondo mortale in qualche parte, così l’anima immortale muove il fragile corpo.
La parte finale dell'opera affronta il tema tradizionale della filosofia antica del movimento e della sua origine: ciò che si muove è per sua natura destinato alla fine, così come il principio unico di tutto è immortale e non può essere sottoposto al moto, altrimenti riceverebbe il suo moto da qualcos'altro e non sarebbe principio unico. Dunque l'anima, che è principio di movimento del corpo, è immortale<ref>Quest'argomento è ripreso dal [[Fedro (dialogo)|Fedro]] di Platone, 245c-246a.</ref> ed è necessario esercitarla nelle virtù più nobili, tra cui, anzitutto, la cura della patria. Le anime educate a ciò, una volta separate dal corpo, voleranno direttamente alla sede eterna del cielo,
== Tradizione del testo ==
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== Collegamenti esterni ==
* {{Collegamenti esterni}}
* {{cita web | 1 = http://www.classicitaliani.it/dante1/somnium.htm | 2 = Testo in lingua originale e traduzione in italiano | accesso = 10 febbraio 2010 | dataarchivio = 12 febbraio 2010 | urlarchivio = https://web.archive.org/web/20100212230523/http://www.classicitaliani.it/dante1/somnium.htm | urlmorto = sì }}
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