Imperialismo statunitense: differenze tra le versioni

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Tra il 1896 e il 1898 le condizioni per un intervento USA nel conflitto tra Cuba e la Spagna apparivano particolarmente favorevoli. Il 1896 era un anno di elezioni presidenziali, ciò offriva ai due grandi partiti statunitensi l'occasione per precisare il loro atteggiamento sul problema cubano. Il programma approvato dai repubblicani, dopo avere ribadito la piena validità della [[dottrina Monroe]] e il diritto degli Stati Uniti di darvi concreta applicazione, affermava solennemente: "noi seguiamo con profondo e costante interesse le eroiche battaglie dei patrioti cubani contro la crudeltà e l'oppressione". I democratici si espressero in termini più sfumati, il loro programma dichiarava infatti: "offriamo la nostra simpatia al popolo di Cuba nella sua eroica lotta per la libertà e l'indipendenza".<ref>{{cita|Aquarone|p. 101}}.</ref>
 
Il nuovo presidente, [[William McKinley]], uomo di fiducia dei potenti banchieri e industriali dell'Est, era più che mai desideroso di evitare passi falsi che potessero rischiare di rendere inevitabilmenteinevitabile una guerra con la Spagna; inoltre, nel 1897, la comunità statunitense degli affari era nettamente ostile all'idea di una guerra. La prosperità era tornata, ma le ripercussioni psicologiche provocate dal collasso dell'economia statunitense pochi anni prima non erano ancora del tutto cancellate. Particolarmente interessati a un rapido ripristino della pace e dell'ordine a Cuba, anche a costo di un intervento statunitense che portasse a una guerra, erano invece i proprietari di piantagioni di tabacco e di zucchero e gli importatori e raffinatori di zucchero greggio.
 
[[File:Imperialism cuba.png|thumb|L'imperialismo statunitense a [[Cuba]]]]
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=== La guerra ispano americana ===
{{Vedi anche|Guerra ispano-americana}}
[[File:Victor_Gillam_A_Thing_Well_Begun_Is_Half_Done_1899_Cornell_CUL_PJM_1136_01.jpg|miniatura|Vignetta satirica a riguardo delle ambizioni imperiali dell'America dopo la rapida vittoria di [[William McKinley|McKinley]] nella guerra ispano-americana del 1898. La bandiera americana sventola dalle [[Filippine]] e dalle [[Hawaii]] nel Pacifico fino a [[Cuba]] e [[Porto Rico]] nei Caraibi]]
Con la vittoria statunitense nella [[guerra ispano-americana]] nel 1898 e all'acquisto di un limitato dominio coloniale, la politica estera statunitense aveva sempre avuto un'importanza del tutto secondaria. Poco prima della metà del secolo erano state definitivamente risolte le questioni riguardanti i confini settentrionali e meridionali: riguardo al sud, la guerra contro il [[Messico]] e la conquista della [[California]] e del rimanente territorio a nord del [[Rio Grande (fiume Stati Uniti d'America)|Rio Grande]]; relativamente al nord i negoziati con la [[Regno Unito|Gran Bretagna]] avevano portato ad accordi sui confini tra [[Canada]] e Stati Uniti. La soluzione di questi problemi portò a un'accentuazione dell'isolamento politico degli Stati Uniti rispetto al resto del mondo nel superare la grave crisi della [[Guerra di secessione americana|Guerra Civile]] e nel completare la colonizzazione e lo sfruttamento delle terre dell'ovest.<ref>{{cita|Aquarone|p. 95}}.</ref>
 
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L{{'}}''American China development Company'' era stata costituita nel 1895 con il preciso scopo di promuovere la penetrazione economica statunitense in Cina, attraverso concessioni ferroviarie e minerarie. Il prestigio degli Stati Uniti in Cina subiva un ulteriore rovescio a seguito dei boicottaggi dei prodotti statunitensi organizzato in tutto il paese dagli elementi nazionalisti, esasperati dalla politica statunitense di discriminazione razziale nel campo dell'immigrazione.<ref>{{cita|Aquarone|p. 240}}.</ref> I Giapponesi non erano associati al disprezzo con il quale erano considerati in America i popoli orientali; il presidente Roosevelt non nascondeva la sua ammirazione per loro, giungendo addirittura ad ammettere che gli statunitensi potessero avere da imparare qualcosa da quel popolo.
 
Per Roosevelt, nel 1904, il Giappone rappresentava il più valido e idoneo strumento per la conservazione dell'equilibrio di potenza in Estremo Oriente. Certo egli non nascondeva i pericoli che avrebbero potuto derivare da un eccessivo rafforzamento nipponico: per questo era necessario che gli Stati Uniti assumessero un ruolo di guida e di controllo. Con l'[[accordo Taft-Katsura]] del 1905, stipulato a seguito nell'assicurazione da parte di [[Katsura Tarō]] che il Giappone non avesse alcuna ambizione nei confronti delle Filippine, e nel riconoscimento da parte di [[William Howard Taft]], che gli Stati Uniti consideravano la preponderanza nipponica sulla [[Corea]] una logica conseguenza della [[guerra russo-giapponese]] e che essi non erano comunque intenzionati a opporsi all'instaurazione di un protettorato del governo di Tokyo sulla penisola di [[Corea sotto il dominio giapponese|Corea]]. Con l'accordo si fece sentire per la prima volta l'onere politico-diplomatico che per gli Stati Uniti costituiva il possesso delle [[Filippine]].<ref>{{cita|Aquarone|p. 248}}.</ref> Nel 1905 gli ambienti economici statunitensi erano divisi: secondo alcuni non restava che trarre le dovute conseguenze e riconoscere una volta per tutte nel Giappone il principale avversario, e quindi operare in ogni modo per ostacolarne l'espansione; per altri invece, il modo migliore per farsi largo sui mercati dell'Asia Orientale era quello di procedere di comune accordo con la potenza nipponica. L'arcipelago delle Filippine si era rivelato fonte di debolezza piuttosto che punto di forza sotto il profilo militare, che contribuiva in questo modo a rendere più attraente questa seconda via ai governatori statunitensi.
 
Il 30 novembre 1908 il segretario di stato Root e l'ambasciatore nipponico a Washington, Takahira, firmarono un accordo, con il quale i due governi si impegnavano a riconoscere i rispettivi possedimenti territoriali; gli Stati Uniti ottenevano una nuova garanzia per le Filippine da parte dell'unica potenza che poteva costituire ormai un pericolo effettivo per quel possedimento. Secondo alcuni, una delle ragioni fondamentali del fallimento della politica di Roosevelt fu l'esagerata accentuazione del pericolo russo. La [[Russia]], che non era né poteva essere una concorrente temibile sui mercati della Cina e della [[Manciuria]], fu disegnata come nemico principale, con la conseguenza che gli Stati Uniti furono inevitabilmente portati a spalleggiare la Gran Bretagna e il Giappone, ossia proprio quelle nazioni la cui competizione economica rappresentava una minaccia effettiva.<ref>{{cita|Aquarone|p. 263}}.</ref> Intanto la politica interventista nell'[[America centrale]] continuò poco prima dell'[[intervento degli Stati Uniti d'America nella prima guerra mondiale]], con l'[[Occupazione statunitense della Repubblica Dominicana (1916-1924)|occupazione statunitense della Repubblica Dominicana nel 1916]], nell'ambito delle così dette "[[guerre della banana]]".
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Il vittorioso andamento della guerra aveva convinto molti degli stessi uomini d'affari, che fino a poco prima avevano continuato a sottolineare come l'acquisto delle colonie non avrebbe portato sostanziali vantaggi commerciali, e avrebbe invece significato piuttosto oneri finanziari e rischi diplomatici, che la via dell'espansione economica passava per le annessioni territoriali. Il primo frutto della nuova politica annessionista fu tuttavia una conseguenza solo indiretta della vittoria militare sulla Spagna. Il trattato di annessione delle [[Hawaii]], che era stato fermato al Senato tempo prima per colpa di un gruppo di senatori antimperialisti, venne ripreso in considerazione e fu votato: McKinley appose la firma al documento che sanciva l'annessione delle Hawaii il 7 luglio 1898.
 
Le Filippine interessavano agli statunitensi non tanto per i benefici diretti che si sarebbero potuti trarre sul piano economico, quanto perché giudicate ormai l'indispensabile porta di accesso al mercato cinese sul quale si andava sempre più focalizzando l'attenzione generale. Per il momento la [[Cina]] offriva sbocchi circoscritti alla produzione statunitense, ma esercitava una forte suggestione; non era poi da trascurare neppure il peso del "movimento missionario protestante", particolarmente attivo in Cina in quegli anni; infine facevano sentire in maniera sempre più preminente la loro influenza considerazioni di [[politica internazionale]].<ref>{{cita|Aquarone|p. 124}}.</ref> Rinunciare alle Filippine avrebbe significato abbandonarle all'avidità di qualche altra grande potenza.
 
== Il movimento antimperialista ==
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* {{cita libro|autore=Claude Julien|titolo=L'impero americano|editore=Mondadori|città=Milano|anno=1969}}
* {{cita libro|autore1=Federico Romero|autore2=Giampaolo Valdevit|autore3=Elisabetta Vezzosi|titolo=Gli Stati Uniti dal 1945 a oggi|editore=Laterza|città=Roma-Bari|anno=1996|isbn=9788842050216}}
* {{cita libro|autore=Ian Tyrrell|titolo=Crisis of the Wasteful Nation: Empire and Conservation in Theodore Roosevelt's America|url=https://archive.org/details/crisisofwasteful0000tyrr|isbn=9780226197937|editore=University of Chicago Press|anno=2015|lingua=en}}
===Articoli===
* {{cita pubblicazione|lingua=en|autore=Chang Yun-yo|rivista=Pacific Affairs|volume=3|numero=3|url=https://www.jstor.org/stable/2749870|titolo=American Imperialism: A Chinese View|data=marzo 1930|pp=278-284|doi=10.2307/2749870}}