Giovanni Testori: differenze tra le versioni

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|Attività2 = giornalista
|Attività3 = poeta
|AttivitàAltre = , [[critico d'arte e letterario]], [[drammaturgo]], [[sceneggiatore]], [[regista teatrale]] e [[pittore]]
|Epoca = 1900
|Nazionalità = italiano
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=== Gli anni Quaranta ===
Nel 1943, durante il secondo anno di studi al Politecnico, è costretto a sfollare per alcuni mesi con la famiglia nella grande casa di Sormano, in [[ValsassinaValassina]], dove allestisce un ambiente per coltivare l’altra passione che lo accompagna da alcuni anni, quella per la pittura, attività alla quale si applica, come per il resto, da autodidatta<ref>Secondo i ricordi autobiografici di Testori, una prima infarinatura di tecniche artistiche la riceve da una cugina, Mariuccia Paracchi, più grande di lui di sedici anni, che «faceva nature morte, paesaggi e anche alcuni bellissimi ritratti» (L. Doninelli, ''Conversazioni con Testori'' [1993], nuova edizione a cura di D. Dall’Ombra, Cinisello Balsamo 2012, p. 44). A lei dedica anche una piccola mostra retrospettiva all’Oratorio dei Santi Nazaro e Celso di Novate, nel 1982, con un catalogo: ''Mariuccia Testori Paracchi. 29 Marzo 1911-9 Agosto 1962''. Per l’attività pittorica di Testori negli anni Quaranta: R. Pastore, ''Giovanni Testori''. ''La prima attività pittorica e critica (1941 - 1949)'', tesi di laurea, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, a. a. 1999-2000, relatore L. Caramel. Il catalogo completo di disegni e dipinti di Testori è stato curato da Camilla Mastrota e disponibile sul sito archiviotestori.it.</ref>.
 
Accanto a interventi di diverso tenore sull’arte contemporanea, articoli e monografie (''Manzù. Erbe'', 1942; ''Henri Matisse. 25 disegni'', 1943), appaiono anche i primi significativi scritti dedicati ad artisti rinascimentali, da ''Debiti e crediti di Dosso Dossi'' («Architrave», Bologna, II, 4-5, febbraio-marzo, p. 3) a un ''Discorso sulle mani di Leonardo'' («Pattuglia», I, 7 maggio 1942), all{{'}}''Introduzione a Grünewald'' («Architrave», II, 7, maggio 1942), pittore tra i suoi prediletti e di cui tornerà a occuparsi nel 1972, firmando il testo di presentazione de ''L’opera completa di Grünewald'' nei «Classici dell’arte» Rizzoli.
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Il 10 settembre 1975 esce il primo articolo di Giovanni Testori sul «Corriere della Sera», una recensione della mostra su ''[[Bernardino Luini]]. Sacro e profano nella pittura lombarda del primo ’500'' aperta nell’agosto precedente al Palazzo Verbania di Luino. È l’inizio di una lunga collaborazione con la testata milanese, in un primo momento con articoli in recensione di mostre e libri, poi anche con commenti su diversi fatti di cronaca e cultura.
 
Interventi sempre di forte impatto, etico e morale, sull’opinione pubblica, che designano gli articoli di Testori quali successori ideali degli ‘scritti corsari’ di Pasolini, morto nel novembre 1975. Il primo articolo ad attirare l’attenzione della stampa è ''La cultura marxista non ha il suo latino'' (4 settembre 1977), un’energica risposta a un fondo di [[Giorgio Napolitano]] (''Intellettuali e progetto'', sulla prima pagina dell’«Unità» del 28 agosto 1977) in cui l’autore denuncia quello che è per lui l’«arrembaggio famelico» in atto degli intellettuali comunisti ai posti di potere: «A leggere l’articolo di Napolitano si trasecola; sembra che egli non abbia visto nulla di quanto è accaduto in questi penultimi ed ultimi tempi; della corsa, appunto, cui gli intellettuali si sono sottoposti per ‘sporcarsi’ nel raggiungere e arraffare le sedie del rapporto con la società; cioè a dire, del comando e del potere. Università, Musei, Soprintendenze, Teatri, Organi di Biennali, triennali e quadriennali». Il «grido non fu “il mio regno per un cavallo”, bensì “il mio cervello per un posto”; e i posti sono stati distribuiti; non bastando i già esistenti, se non creati di nuovi; altri se ne dovranno inventare nel prossimo futuro. Stando così le cose si domanda ulteriore ‘sporcizia’. Bene, staremo a vedere».
 
Le polemiche scatenano un dibattito a cui partecipano, tra gli altri, [[Franco Ferrarotti]], [[Lucio Lombardo Radice]], [[Alberto Abruzzese]] e lo stesso Napolitano. Lo scrittore risponde con un altro articolo (''Quanta gente indignata con me'', sul «Corriere della Sera» del 17 settembre 1977) esplosivo, anche nella prosa, traboccante di acida ironia per le reazioni al suo scritto: «Quali prefiche, quali vestali, quali amazzoni, quali Norme (o come altrimenti chiamarle?) principiarono fin dal mattino a urlare per entro i telefoni (no non a me che non uso frequentarle; bensì a qualche povero amico): “Hai visto?”; “Cosa”; “Ma è impazzito”, “impazzito come?”: “Impazzito! Ti dico che è impazzito!”. L’amico (più d’uno, in verità) stringeva spaurito il telefono tra le dita: “Mi vuoi capire o non vuoi capire? Ha fatto il loro gioco...”: “Il gioco? E quale gioco?”: “Il gioco della destra, anzi della reazione!”».