I promessi sposi: differenze tra le versioni

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{{Proposta riconoscimento qualità|/2|arg=letteratura}}
<noinclude>{{Protetta}}</noinclude>
{{nota disambigua}}{{citazione|Quel ramo del [[lago di Como]], che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un'ampia costiera dall'altra parte; […]|{{Cita|''I promessi sposi''|cap. I, p. 9|Q}}}}
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|altri_personaggi = [[Don Abbondio]], l'[[Innominato]], [[Federico Borromeo|Federigo Borromeo]], la [[monaca di Monza]], [[Agnese (personaggio)|Agnese]], [[fra Cristoforo]], [[Perpetua (personaggio)|Perpetua]], [[conte Attilio]], [[conte zio]], i [[Bravi (I promessi sposi)|bravi]]
}}
'''''I promessi sposi''''' sonoè un celebre [[romanzo storico]] di [[Alessandro Manzoni]], considerato uno dei massimi capolavori della [[Storia della letteratura italiana|letteratura italiana]]<ref>{{Cita|Croce, 1921|p. 257}}.</ref>. Preceduto dal ''[[#Fermo e Lucia|Fermo e Lucia]]'', spesso ritenuto un romanzo a sé, fu pubblicato in prima edizione tra il [[1825]] e il [[1827]] (detta "ventisettana"); rivisto in seguito dallo stesso autore, soprattutto nel linguaggio, fu ripubblicato in edizione definitiva tra il [[1840]] e il [[1842]] (detta "quarantana").
 
Ambientato in [[Lombardia]] tra il [[1628]] e il [[1630]]<ref name="Ferroni1991:160"/>, durante il [[Stato di Milano|dominio spagnolo]], è il primo esempio di romanzo storico della letteratura italiana. Il racconto si basa su una rigorosa ricerca storiografica e gli episodi del [[XVII secolo]], quali le vicende della [[monaca di Monza]] (Marianna de Leyva) e la [[peste del 1630]], si fondano su documenti d'archivio e cronache dell'epoca.
 
''I promessi sposi'' sonoè l'opera più rappresentativa del [[romanticismo italiano]] e una pietra miliare della letteratura italiana per la profondità dei temi (si pensi alla [[filosofia della storia]] in cui, cristianamente, agisce l'insondabile [[grazia divina]] nella [[Provvidenza]]), nonché un passaggio fondamentale nella nascita stessa della [[lingua italiana]] moderna<ref>{{Cita|Ferroni, 1992|pp. 651-653}}.</ref>. Inoltre, per la prima volta in un libro di tale successo, i protagonisti sono gli umili e non i ricchi e i potenti della storia. Il romanzo, infine, per la sua popolarità presso il grande pubblico e per il vivace interesse da parte della critica letteraria tra [[XIX secolo|XIX]] e [[XX secolo]], è stato rielaborato in forme artistiche che vanno dalla [[rappresentazione teatrale]] al [[cinema]], dall'[[opera lirica]] alla [[fumettistica]] e anche alla [[fiction televisiva]], sia in chiave originale che [[parodia|parodistica]].
 
== Le stesure: dal ''Fermo e Lucia'' alla "quarantana" ==
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{{Vedi anche|Fermo e Lucia}}
[[File:02-fronte-promessi-sposi.jpg|miniatura|verticale|Pagina iniziale del capitolo I nel secondo manoscritto autografo de ''Gli sposi promessi'', 1823-1825 (Milano, [[Biblioteca Nazionale Braidense]])<ref name="Manz.B.III-IV">{{Cita manoscritto|autore=Alessandro Manzoni|titolo=Gli sposi promessi|url=https://www.alessandromanzoni.org/manoscritti/625|data=1823-1825|città=Milano|ente=[[Biblioteca Nazionale Braidense]]|collocazione=Manz.B.III-IV}}</ref>.]]
L'idea del romanzo risale al 24 aprile 1821{{Efn|name="Manz.B.II"|«24 Ap.le 1821» e «17 7bre 1823» sono le date apposte rispettivamente all'inizio e alla fine del primo manoscritto autografo anepigrafosenza titolo del ''Fermo e Lucia''<ref>{{Cita manoscritto|autore=Alessandro Manzoni|titolo=[Fermo e Lucia]|url=https://www.alessandromanzoni.org/manoscritti/624|data=24 aprile 1821-17 settembre 1823|città=Milano|ente=[[Biblioteca Nazionale Braidense]]|collocazione=Manz.B.II}}</ref>.}}, quando Manzoni cominciò la scrittura del ''Fermo e Lucia''{{Efn|Titolo non ideato dalda Manzoni, ma emerso per la prima volta in una lettera del 3 aprile 1822 di [[Ermes Visconti]] a [[Gaetano Cattaneo]]: «Non ci manca altro se non che [[Walter Scott]] gli traduca il Romanzo di ''Fermo e Lucia'' quando l'avrà fatto»<ref>{{Cita|''Carteggio''|II, lett. 294, p. 18}}.</ref>.}}, componendo in circa un mese e mezzo i primi due capitoli e la prima stesura dell'Introduzione. Interruppe però il lavoro per dedicarsi all{{'}}''[[Adelchi (Manzoni)|Adelchi]]'', al progetto poi accantonato della tragedia ''[[Spartaco (tragedia)|Spartaco]]'' e all'ode ''[[Il cinque maggio]]''. Manzoni dichiarò, nella lettera all'amico [[Claude Fauriel]] del 3 novembre 1821<ref>{{Cita|''Epistolario''|I, lett. 77, pp. 211-223}}.</ref>, di aver cominciato una nuova creazione letteraria caratterizzata dalla tendenza al [[vero storico]]<ref>{{Cita|Mezzanotte|p. XIV}}.</ref>. Dall'aprile del 1822 il ''Fermo e Lucia'' fu ripreso con più lena e portato a termine il 17 settembre 1823<ref group="N" name="Manz.B.II"/>. La seconda redazione del romanzo, intitolata ''Gli sposi promessi'', è databile tra il 1823 e il 1825<ref name="Manz.B.III-IV"/>.
 
Il ''Fermo e Lucia'' non va considerato come laboratorio di scrittura utile a preparare il terreno al futuro romanzo, bensì come un'opera autonoma, dotata di una propria struttura narrativa del tutto indipendente dalle successive elaborazioni<ref>{{Cita|Ferroni, 1991|pp. 161-162}}.</ref>. Rimasto per molto tempo inedito, fu pubblicato soltanto nel 1916, a cura di [[Giuseppe Lesca]], con il titolo ''Gli sposi promessi''<ref>{{Cita web|url=https://www.casadelmanzoni.it/content/sposi-promessi-gli-la-prima-volta-pubblicati-nella-loro-integrita-di-sullautografo-da-2|titolo=Gli sposi promessi|editore=Casa del Manzoni|accesso=17 maggio 2025}}</ref>.
 
=== La "ventisettana" ===
[[File:I promessi sposi (1825) I.djvu|page=3|miniatura|verticale|Frontespizio del tomo primo della "ventisettana".]]
La seconda scrittura dell'opera, differente per struttura narrativa, cornice, presentazione dei personaggi e uso della lingua, fu redatta dalda Manzoni con l'aiuto degli amici [[Ermes Visconti]] e [[Claude Fauriel]]<ref>{{Cita|Guglielmino-Grosser|p. 222}}.</ref>; la sua prima edizione (la cosiddetta "ventisettana") fu pubblicata a Milano dal tipografo Vincenzo Ferrario in tre tomi fra il 1825 e il giugno 1827 (ma con la data del 1825 nei primi due e del 1826 nel terzo)<ref>{{Cita|Parenti, 1953|pp. 196-198}}.</ref> con il titolo ''I promessi sposi'' e il sottotitolo ''Storia milanese del secolo XVII, scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni''<ref name="Stella661">{{Cita|Stella|p. 661}}.</ref>, riscuotendo un notevole successo<ref>{{Cita|Parenti, 1953|p. 198}}: «{{Citazione|La tiratura fu di duemila copie le quali si esaurirono con tale rapidità che ai primi d'agosto ne restavano soltanto 36; e alla metà dello stesso mese, anche queste, erano totalmente smaltite».}}</ref>.
 
==== I cambiamenti strutturali e psicologici dei personaggi ====
La struttura più equilibrata (trentotto capitoli raggruppabili in quattro sezioni di estensione pressoché uguale), la decisa riduzione di quello che appariva un "romanzo nel romanzo", ossia la storia della monaca di Monza<ref>{{Cita|Guglielmino-Grosser|p. 232}}:{{Citazione|[…] nel caso di Gertrude quel che diventa la "sventurata rispose" era una lunga dettagliata descrizione della caduta nell'abiezione da parte della monaca, […]}}</ref>, e la scelta di evitare il pittoresco e le tinte più fosche a favore di una rappresentazione più aderente al vero sono le caratteristiche di quello che è un romanzo diverso dal ''Fermo e Lucia''<ref>{{Cita|Caretti|pp. 46-53}}.</ref>.
 
Cambiano anche i nomi dei personaggi e, talvolta, persino il loro carattere. Oltre a ''Fermo'' che diventa ''Renzo'', il nobile ''Valeriano'' diventa ''don Ferrante''{{Efn|Don Ferrante, originariamente, nel ''Fermo e Lucia'' aveva il nome di Valeriano. Nel corso della prima stesura del capitolo IX del terzo tomo, però, muta improvvisamente in Ferrante<ref>{{Cita|''Fermo e Lucia''|tom. III, cap. IX, p. 573|Lesca}}.</ref> e tutte le occorrenze precedenti furono corrette nell'autografo, senza una giustificazione deldi Manzoni stesso per questo mutamento.}}, così come il ''Conte del Sagrato'' diventa il ben più famoso ''Innominato''. In quest'ultimo caso, il personaggio cambia radicalmente: il Conte del Sagrato non possiede l'indole riflessiva, tragicamente esistenziale nel rimembrarericordare le sue colpe, tipica dell'Innominato<ref>{{Cita|Langella, 1986|pp. 190-199}}.</ref><ref>{{Cita|Russo|p. 62}}.</ref>; il Conte del Sagrato, infatti, è «un killer d'alto rango, che delinque per lucro» e ha «una tinteggiatura politica antispagnola»<ref>{{Cita|Tellini, 2007|pp. 186-187}}.</ref>, elementi non presenti nell'Innominato.
 
==== La scelta del toscano ====
{{vedi anche|Pensiero e poetica di Alessandro Manzoni#La questione della lingua}}
 
Linguisticamente Manzoni abbandonò il «composto indigesto»<ref>{{Cita|''Fermo e Lucia''|Introduzione, p. 7|Lesca}}.</ref> del ''Fermo e Lucia'' per avvicinarsi al toscano, ritenuto dall'autore, per il suo lessico pratico usato sia presso gli aristocratici che i popolani, la lingua più efficace per dare un tono realistico e concreto al proprio romanzo<ref>{{Cita|Tellini, 2007|pp. 173-174}}.</ref>. Manzoni, che in famiglia parlava o il francese (lingua della nobiltà e delle classi colte) o il [[dialetto milanese]]<ref name="Morgana-Ricci">{{Cita|Morgana-Ricci}}: {{Citazione|Esemplare è il caso di Manzoni, che partendo dalle due lingue vive a lui note, il milanese e il francese, cercò dapprima di 'conquistare' per via libresca l'italiano della tradizione studiando e annotando i vocabolari.}}</ref>, tra il 1824 (ancor prima di ultimare la stesura del ''Fermo e Lucia'') e il 1827 cercò di imparare il toscano attraverso strumenti linguistici<ref name="Morgana-Ricci"/>, utilizzando il ''Vocabolario milanese-italiano'' di [[Francesco Cherubini]] e il ''Nouveau dictionnaire françois-italien'' di [[Francesco Alberti di Villanova]] per la traduzione in italiano dei termini francesi<ref>{{Cita|Tellini, 2007|pp. 174-175}}.</ref><ref>{{Cita|Macchia, 1994|p. 113}}:{{Citazione|Aiutato dai Dizionari (il Cherubini, il Vocabolario della Crusca), cominciando a lavorare, egli non badò affatto a una lingua aulica che detestava, ma agli scrittori popolareggianti, realistici, satirici, volgarizzatori, memorialisti, cronisti o addirittura ai poeti [[Francesco Berni|berneschi]], per gettar le basi di una lingua comune, semplice, quotidiana.}}</ref>; si avvalse inoltre del ''[[Vocabolario degli Accademici della Crusca]]'' nella quarta edizione e precisamente nella ristampa veronese curata da [[Antonio Cesari]]<ref>{{Cita pubblicazione|autore=[[Giovanni Nencioni]]|titolo=Alessandro Manzoni e l'Accademia della Crusca|url=https://nencioni.sns.it/fileadmin/template/allegati/pubblicazioni/1985/AMA_1985.pdf|rivista=Atti e memorie, Arcadia, Accademia letteraria italiana|serie=3|volume=8|numero=2-3|anno=1983-1985|pp=1-29, in particolare p. 7|ISSN=1127-249X|accesso=8 aprile 2025}}</ref>.
 
=== La "quarantana" ===
==== Genesi ====
L'edizione definitiva de ''I promessi sposi'' (la cosiddetta "quarantana") fu pubblicata a dispense a Milano dalla tipografia di Vincenzo Guglielmini e di Giuseppe Redaelli tra il novembre del 1840 e il novembre del 1842 (ma con la data del 1840 sul frontespizio)<ref>{{Cita|Parenti, 1953|pp. 214-226}}.</ref>, con l'aggiunta della ''Storia della colonna infame''<ref>{{Cita|Tellini, 2007|pp. 180-181}}.</ref>. La sua pubblicazione a spese deldi Manzoni fu decisa sia per la volontà dell'autore di rinnovare l'impianto stilistico e linguistico della "ventisettana" dopo l'esperienza fiorentina, sia per la spinta che Manzoni ricevette dalla seconda moglie, [[Teresa Borri]] – grande ammiratrice dell'opera manzoniana<ref>{{Cita web|url=https://www.internetculturale.it/directories/ViaggiNelTesto/manzoni/a24.html|titolo=Il secondo matrimonio|sito=Autori della letteratura italiana - Manzoni|accesso=17 maggio 2025}}</ref> –, e dall'amico di lunga data [[Tommaso Grossi]], i quali intravedevano numerosi introiti dalla nuova edizione illustrata<ref name="Mancini">{{Cita|Mancini|''Percorso biografico > 1827-1842 > Manzoni editore''}}.</ref>.
 
==== La "risciacquatura" in Arno ====
[[File:The Arno from Ponte alle Grazie - Ponte Vecchio in the background - Florence.jpg|miniatura|sinistra|Il fiume Arno, dove Manzoni andò metaforicamente a risciacquare i panni.]]
Subito dopo la pubblicazione della "ventisettana", nell'estate dello stesso anno, Manzoni, che non era pienamente soddisfatto del risultato ottenuto, poiché il linguaggio dell'opera risentiva ancora delle proprie origini lombarde, si recò a [[Firenze]] per "risciacquare i panni in [[Arno]]"{{Efn|La famosa [[metafora]] del "risciacquare i panni in Arno" si trova, non esattamente in questa forma, in due lettere di Manzoni: una del 17 settembre 1827 a [[Tommaso Grossi]], dove scrive di avere «settantun lenzuola da risciacquare» in «un'acqua come Arno»<ref>{{Cita|''Carteggio''|II, lett. 471, pp. 320-328, in particolare p. 327}}.</ref>; e un'altra del 16 giugno 1828 a [[Giuseppe Borghi]], dove parla di «quella tale biancheria sudicia da risciacquare un po' in Arno»<ref>{{Cita|''Carteggio''|II, lett. 532, pp. 420-423, in particolare p. 421}}.</ref>, riferendosi sempre alle pagine del suo romanzo.}}, cioè per sottoporre il romanzo a un'ulteriore e più accurata revisione linguistica, affrancandolo anche dal dialetto toscano e rendendolo aderente al fiorentino parlato, considerato il più adatto al realismo che si prefiggeva<ref>{{Cita|Ferroni, 1991|p. 176}}.</ref>.
 
La seconda edizione riveduta (o ''risciacquata''), che essenzialmente differisce dalla prima per la revisione linguistica dal toscano al fiorentino colto<ref>{{Cita|Tellini, 2007|p. 177}}.</ref>, beneficiò pure del prezioso aiuto della fiorentina [[Emilia Luti]], che dal maggio 1841 si trasferì per un anno nella casa deldi Manzoni come istitutrice delle figlie dello scrittore<ref>In {{Cita|Stampa|pp. 104-105}} c'è il resoconto del passaggio di Emilia Luti dalla casa di [[Massimo d'Azeglio]], genero deldi Manzoni, a quella del grande scrittore. Il giovane Stefano Stampa, figliastro del Manzoni tramite il matrimonio di quest'ultimo con la nobildonna Teresa Borri, assistette al dialogo tra i due, in cui Manzoni, rivolgendosi al genero, gli disse: «Ei, ei, Massimo, vorrai bene prestarmela, eh, la tua fi[o]rentina» (p. 104). Lo Stampa continua dicendo che poi la signora Luti rimase con Manzoni fino alla pubblicazione della "quarantana", figurando come «''dama di compagnia'', piuttosto che di aia» delle figlie ancora non maritate deldi Manzoni.</ref>. Alcuni critici suggeriscono altresì che l'ormai ultracinquantenne Manzoni, distaccato da anni di inattività poetica, abbia deciso di smussare alcune espressioni troppo vicine alla sfera lirica<ref>{{Cita|Stella|p. 681}}.</ref>.
 
==== Le edizioni pirata e le illustrazioni di Francesco Gonin ====
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Il successo dell'opera manzoniana comportò, in un'epoca in cui non esisteva ancora il [[diritto d'autore]], il proliferare di edizioni abusive in tutta la Penisola. Tali edizioni spinsero Manzoni a dotare la sua nuova edizione di alcune attrattive in più: un corredo di illustrazioni, l'utilizzo della carta e dell'inchiostro migliori e l'aggiunta dell'inedita ''Storia della colonna infame''<ref name="Mancini"/>. Per le illustrazioni Manzoni pensò dapprima a [[Francesco Hayez]], ma il celebre pittore rinunciò affermando che un simile lavoro gli avrebbe procurato danni alla vista<ref name="Mancini"/>. Lo scrittore chiese quindi aiuto in Francia all'amica [[Bianca Milesi]], che si rivolse al pittore francese [[Louis Boulanger]], ma nemmeno questo tentativo, testimoniato da un solo disegno, si rivelò fruttuoso<ref>{{Cita|Parenti, 1973|pp. 155-159}}.</ref>. Quando [[Francesco Gonin]], giovane e promettente pittore piemontese, fu ospitato a Milano da [[Massimo d'Azeglio]], Manzoni riconobbe in lui la persona giusta<ref name="Mancini"/>.
 
Il suo lavoro convinse pienamente l'autore, che con Gonin intrattenne nei primi mesi del 1840 una fitta corrispondenza<ref>{{Cita|Parenti, 1973|pp. 160-161}}.</ref>. Il rapporto tra i due fu di grande intesa: lo scrittore guidò la mano del pittore nella composizione dei quadretti. Francesco Gonin fu affiancato da altri artisti e specialmente da Luigi Riccardi, al quale si devono alcuni famosi paesaggi<ref>A sua firma sono le illustrazioni raffiguranti «Quel ramo del lago di Como» ({{Cita|''I promessi sposi''|cap. I, p. 11|Q}}) e «Addio, monti» ({{Cita|''I promessi sposi''|cap. VIII, p. 164|Q}}).</ref>. Le [[Xilografia|incisioni in legno]] dei disegni furono commissionate al pittore e incisore milanese [[Luigi Sacchi (fotografo)|Luigi Sacchi]], che si avvalse della collaborazione dei francesi Bernard e Pollet e dell'inglese Sheeres e in seguito, per sbrigare l'enorme mole di lavoro, fece venire sempre da Parigi anche gli intagliatori Victor e Loiseau. La stampa dell'opera fu affidata ai tipografi Vincenzo Guglielmini e Giuseppe Redaelli, il contratto con i quali fu firmato da Manzoni come [[editore]] il 13 giugno 1840<ref>{{Cita|Parenti, 1973|pp. 162-167}}.</ref>. Per stampare la "quarantana" fu per la prima volta utilizzato in Italia il [[torchio tipografico]] in ghisa inventato nel 1800 da [[Charles Stanhope, III conte di Stanhope]]<ref>{{Cita libro|autore=Conor Fahy|sezione=Per la stampa dell'edizione definitiva dei Promessi sposi|titolo=Saggi di bibliografia testuale|città=Padova|editore=Editrice Antenore|anno=1987|pp=213-244, in particolare pp. 217-219 e tavv. XIII-XIV|isbn=88-8455-056-4}}</ref>, fabbricato su licenza dalla ditta [[Amos Dell'Orto]] di [[Monza]]<ref>{{Cita libro|autore=James Moran|titolo=Printing Presses: History and Development from the Fifteenth Century to Modern Times|url=https://books.google.it/books?id=N5O73Rde6UwC&pg=PA53#v=onepage&q&f=false|città=London|editore=Faber and Faber|anno=1973|pp=49-57|lingua=en|postscript=nessuno}}., Secondoin l'autore,particolare p. 53: «|lingua=en|citazione=In Italy the Stanhope press was manufactured by [[Paravia|G.B. Paravia]] of Turin and {{sic|Dell'Orio}} of Monza». Fatto sta che però torchi Stanhope fabbricati da Paravia non esistono.}}</ref>.
 
==== ''Storia della colonna infame'' ====
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Il romanzo manzoniano presenta varie analogie, ma anche evidenti differenze, con il romanzo storico ''[[Ivanhoe]]'' di [[Walter Scott]]<ref>{{Cita|Guglielmino-Grosser|p. 234}}.</ref>, ambientato nel [[Medioevo inglese]] sullo sfondo delle lotte e della successiva unione tra i [[Normanni]] invasori e le popolazioni preesistenti, soprattutto i [[Sassoni]]. Manzoni, che non conosceva l'inglese, durante il suo soggiorno parigino poté leggere il capolavoro di Scott nella versione francese di Auguste-Jean-Baptiste Defauconpret del 1820. Una volta ritornato a Milano nella sua [[villa di Brusuglio]], si fece inviare in prestito, per il tramite del direttore della [[Biblioteca di Brera]] [[Gaetano Cattaneo]], altri romanzi di Scott tradotti in francese (tra cui ''[[La sposa di Lammermoor]]'', ''Il monastero'' e ''[[Waverley (romanzo)|Waverley]]'')<ref>{{Cita|Tellini, 2007|pp. 154-155}}.</ref>.
 
Il filo conduttore tra lo scrittore scozzese e quello italiano si riscontra sul piano prettamente storico (anche se Manzoni critica le eccessive libertà creative di Scott, sottolineandone la diseguale fedeltà alle fonti<ref>{{Cita|Varotti|p. 26}}; {{Cita|Tellini, 2007|p. 155}}.</ref>) e sulle ricostruzioni paesaggistiche, mentre il Nostroletterato milanese si disinteressa dell'avvicendarsi dei fatti avventurosi che rendono incalzante la trama dell{{'}}''Ivanhoe'', che richiama le antiche epopee cavalleresche del [[ciclo arturiano]] e dell{{'}}''[[Orlando furioso]]'' di [[Ludovico Ariosto]]. I personaggi dell{{'}}''Ivanhoe'' non rispecchiano quella complessità d'animo<ref>{{Treccani|walter-scott_(Enciclopedia-dei-ragazzi)|Scott, Walter|autore=Roberto Carnero|citazione=In Scott, tuttavia, la caratterizzazione dei personaggi appare ancora piuttosto scarna, senza uno scandaglio approfondito della loro psicologia. Manzoni, invece, pur partendo dal modello dello scrittore scozzese, lo approfondirà attraverso più vaste implicazioni etiche e religiose.}}</ref>, quel «guazzabuglio del cuore umano»<ref name="PS206">{{Cita|''I promessi sposi''|cap. X, p. 206|Q}}.</ref>, che invece caratterizza così fortemente i personaggi de ''I promessi sposi'', costantemente immersi in un dinamismo storico realistico che sembra molto distante dal mondo fantastico dell'Inghilterra medioevale dipinta da Scott<ref>{{Cita libro|autore1=Émile Legouis|autore2=Louis Cazamian|titolo=Storia della letteratura inglese|traduttore=Eleonora Guicciardi|città=Torino|editore=Giulio Einaudi editore|anno=1966|annooriginale=1924|p=983|SBN=RAV0000014|postscript=nessuno}}:
{{Citazione|La parte della finzione […] è troppo considerevole nel romanzo di Scott […]. La nozione della verità per lui non si identifica ancora nell'esattezza scrupolosa che le conferirà la trasformazione del pensiero nel secolo XIX.}}</ref>. Per di più, se nell'opera manzoniana c'è un forte interesse civile, inteso a fornire, attraverso il romanzo, un'unità linguistica e un'utilità morale ai lettori<ref group="N">Oltre alla questione linguistica, vista come impegno civile da parte deldi Manzoni per la formazione di una lingua unitaria parlata da tutti gli italiani, lo scrittore milanese si sofferma anche sull'impegno civile che il lettore a lui contemporaneo deve manifestare, facendo intravedere nel Seicento e nelle violenze perpetrate dagli spagnoli il paragone con la Lombardia dominata dagli austriaci ({{Cita|Brasioli et al.|p. 23}}). Vedi anche [[#La funzione del romanzo: l'utile, il vero e l'interessante|La funzione del romanzo]].</ref>, in quella di Scott la dimensione morale è assente<ref>{{Cita|D'Ovidio|p. 21}}: «{{Citazione|Lo Scott narra per narrare; non ha nessuna alta intenzione morale, […]».}}</ref>.
[[File:Horace Walpole.jpg|miniatura|Horace Walpole, l'autore de ''Il castello di Otranto'', esempio celebre di romanzo gotico preso a modello da Manzoni.]]
 
==== Altri modelli letterari ====
Tra i modelli chedi cui Manzoni fruìsi servì si ritrovano ancora [[Laurence Sterne]], specialmente nella somiglianza del frate cappuccino manzoniano al frate francescano descritto nel ''[[Viaggio sentimentale|Viaggio sentimentale di Yorik]]''<ref>{{Cita|Nigro, 1988|p. 169}}.</ref>, e i romanzi gotici, quale ''[[Il castello di Otranto]]'' di [[Horace Walpole]]<ref>{{Cita|Stella|p. 660}}.</ref> nella parte relativa al castello dell'Innominato<ref name="Luperini230">{{Cita|Luperini|p. 230}}.</ref>. Da segnalare ancora ''[[La monaca]]'' di [[Denis Diderot]], modello che ha potuto arricchire l'immaginario manzoniano riguardo a suor Gertrude, anche se il critico [[Giovanni Macchia]] ne sottolinea la distanza perché «serrato in tutte le sue parti come un'opera filosofica» e quindi lontana dal realismo che Manzoni invocava<ref>{{Cita|Macchia, 1994|p. 88}}.</ref>; e ''[[Justine o le disavventure della virtù|Justine]]'' del [[marchese de Sade]], per quanto riguarda la tresca tra la monaca di Monza ed Egidio e il legame tra Lucia, pura e casta, e l'Innominato, violento e assassino<ref>{{Cita pubblicazione|autore=Fabio Camilletti|titolo=Il sorriso del conte zio. Manzoni, Sade e l'omaggio alla Vergine|url=https://riviste.unimi.it/index.php/enthymema/article/view/6959/7164|rivista=Enthymema|numero=14|anno=2016|pp=231-246|ISSN=2037-2426|accesso=20 gennaio 2025}}</ref>.
 
=== I "generi" del romanzo ===
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Pur essendo considerati il modello per eccellenza del romanzo storico italiano, ''I promessi sposi'' superano i ristretti limiti di tale genere letterario: Manzoni infatti, mediante la ricostruzione della Lombardia del [[Seicento]], non tratteggia soltanto un grande affresco storico, ma prefigura degli evidenti parallelismi con i processi storici di cui era testimone nel suo tempo. Non limitandosi a indagare il passato, bensì riflettendo su costanti umane – di carattere culturale, psicologico, spirituale, sociale e politico – l'autore delinea anche un'idea precisa del senso della storia e del rapporto che il singolo ha con gli eventi storici che lo coinvolgono<ref>{{Cita|Raimondi-Bottoni|pp. VIII-XI}}.</ref>.
 
In virtù di questo rigoroso spirito d'osservazione della realtà che circonda le vicende dei protagonisti, ''I promessi sposi'' si possono ritenere un romanzo antesignano della corrente del [[realismo (letteratura)|realismo]] italiano: la descrizione dettagliata nei minuti resoconti storici delle digressioni, l'analisi psicologica e fisica dei singoli personaggi – appartenenti non più solo ai potenti, ma anche agli umili –, l'attenzione verso una realtà non più mitizzata e idealizzata come nella produzione [[Romanticismo letterario inglese|romantica inglese]] o [[Romanticismo tedesco|tedesca]]{{Efn|Il rifiuto della mitologia è vigorosamente esposto nella lettera ''Sul romanticismo''<ref>{{Cita|''Epistolario''|I, lett. 91, pp. 277-317, in particolare pp. 280-285}}.</ref>.}}, ma inserita nella quotidianità del Seicento sono elementi che apriranno, in qualche modo, la via al [[verismo]] [[Giovanni Verga|verghiano]]<ref>{{Cita|Varotti|p. 25}}.</ref>. [[Eurialo De Michelis]] ribadisce il tono profondamente realistico che il romanzo assume per la mentalità deldi Manzoni e non solo per esigenze estetiche<ref>{{Cita|De Michelis|''Preliminari ai "Promessi Sposi"'', p. 179}}.</ref>.
 
Inoltre, ''I promessi sposi'' sonoè un [[romanzo di formazione]]<ref>{{Cita|Tellini, 2007|p. 220}}.</ref>, sulla scia già tracciata dai ''Bildungsromanen'' tedeschi, quale ''[[Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister]]'' di [[Goethe]] (si pensi in particolare al percorso umano di Renzo, da ingenuo contadino ad abile – troppo abile – attivista politico fino ad accorto e saggio nei confronti delle insidie del mondo<ref>{{Cita|Varotti|p. 34}}; {{Cita|Raimondi|''La ricerca incompiuta'', pp. 173-189}}.</ref>), ma, per alcune ambientazioni e vicende raccontate (la monaca di Monza, il rapimento di Lucia segregata poi nel castello dell'Innominato), presentano anche caratteristiche che li possono accomunare ai [[Romanzo gotico|romanzi gotici]] sette-ottocenteschi<ref>{{Cita|Macchia, 1994|p. 62}}.</ref>.
 
=== Fonti ===
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=== Caratteristiche generali ===
==== La finzione dell{{'}}''Anonimo'' del manoscritto ====
Il romanzo prende le mosse da un presunto [[manoscritto]] anonimo del [[XVII secolo]], che racconta la storia di Renzo e Lucia, "scoperta e rifatta" dalda Manzoni: un ''[[topos]]'' che nella letteratura mondiale era già stato utilizzato spesse volte e che, nel caso de ''I promessi sposi'', ha il suo precedente più stretto nel ''[[Don Quijote]]'' di [[Miguel de Cervantes]]<ref>{{Cita|Tellini, 2007|p. 190}}.</ref>, basato sul manoscritto fittizio in [[aljamiado]] di Cide Hamete Benengeli<ref>{{Cita pubblicazione|autore=Marta Chini|titolo=Naturalmente un manoscritto: Cide Hamete e l'anonimo manzoniano|url=https://www.italianisti.it/pubblicazioni/atti-di-congresso/moderno-e-modernita-la-letteratura-italiana/Chini%20Marta.pdf|pubblicazione=Moderno e modernità: la letteratura italiana. Atti del XII congresso nazionale dell'ADI (Roma, 17-20 settembre 2008)|edizione=edizione online|città=Roma|editore=Università La Sapienza|anno=2009|pp=1-11 del pdf}}</ref>. Nulla è noto dell'autore del manoscritto, tranne che ha conosciuto da vicino i protagonisti della vicenda<ref>{{Cita|Varotti|p. 24}}.</ref> e che quindi si esprime in uno stile seicentesco, ironicamente criticato dalda Manzoni e perciò modernizzato nella prosa<ref>{{Cita|''I promessi sposi''|Introduzione, p. 6|Q}}: «Sì; ma com'è dozzinale! com'è sguaiato! com'è scorretto! Idiotismi lombardi a iosa, frasi della lingua adoperate a sproposito, grammatica arbitraria, periodi sgangherati».</ref>.
 
Il ''topos'' del rifacimento della vicenda narrata da un testo o trascritta dalla voce diretta di uno dei protagonisti, inoltre, consente al romanziere di giocare sull'ambiguità stessa che sta alla base del moderno romanzo realistico-borghese, ossia il suo essere un componimento di fantasia che spesso non disdegna di proporsi ai suoi lettori come documento storico veritiero e attendibile. Si viene a creare un trinomio Renzo-Anonimo-Manzoni<ref group="N">In un inciso de {{Cita|''I promessi sposi''|cap. XXXVII, p. 714|Q}} Manzoni assume che l'Anonimo abbia sentito raccontare la storia da Renzo stesso.</ref>, in cui la finzione letteraria adoperata da quest'ultimo permette una falsa stratificazione delle opinioni dei singoli narratori<ref name="Guglielmino233">{{Cita|Guglielmino-Grosser|pp. 233-234}}.</ref>, determinando di conseguenza una duplice prospettiva nella quale vengono visti gli avvenimenti: una secondo i fatti narrati, attribuiti all'autore del manoscritto; l'altra secondo i commenti e le riflessioni dell'autore del romanzo sulle vicende trattate<ref>{{Cita|Raimondi|p. 120}}:{{Citazione|Il manoscritto […] si presenta proprio come uno spazio teatrale […], mentre il narratore che finge di trascriverlo finisce col comportarsi da spettatore che guarda e giudica, e può sempre interrompere il racconto per correggerne il punto di vista o per sostituire all'ottica del protagonista lo "sguardo" riflessivo della conoscenza storica […].}}</ref>.
 
==== I ritagli del narratore/autore ====
[[File:I promessi sposi 389.jpg|miniatura|sinistra|La processione dei resti di San Carlo. La funzione religiosa, sconsigliata perché propagatrice del contagio tra i milanesi secondo la scienza moderna, fu criticata dalda Manzoni.]]
La finzione [[narrativa]] dell{{'}}''Anonimo'' del manoscritto permette all'autore di intervenire nel corso della vicenda, sentenziando dei veri e propri commenti sulle azioni dei suoi personaggi<ref name="Guglielmino233"/> in modo ironico e paternalistico. Per l'[[ironia]], basti pensare al paragone che Manzoni usa per tratteggiare il carattere pavido di don Abbondio con la risolutezza del [[Luigi II di Borbone-Condé|principe di Condé]] prima della [[battaglia di Rocroi]]<ref>{{Cita|''I promessi sposi''|cap. II, p. 31|Q}}.</ref> o alla famosa frase «[[La sventurata rispose]]»<ref>{{Cita|''I promessi sposi''|cap. X, p. 210|Q}}.</ref> in riferimento al traviamento interiore di Gertrude<ref name="Guglielmino233"/>; per il «[[paternalismo]] cattolico», concetto formulato da [[Antonio Gramsci]] nei ''[[Quaderni del carcere]]''<ref name="Gramsci943">{{Cita libro|autore=[[Antonio Gramsci]]|titolo=Quaderni del carcere|url=https://archive.org/details/antonio-gramsci.-quaderni-del-carcere-vol.-2-massimo-morigi-marxismo-marxism-neo/page/n133/mode/1up|curatore=[[Valentino Gerratana]]|volume=2|città=Torino|editore=Giulio Einaudi editore|anno=1975|posizione=quaderno 8, § 9, p. 943|SBN=RMS\1423723}}</ref>, s'intende la posizione bonaria e protettrice dell'aristocratico Manzoni, che mostra compassione verso gli ultimi solo in nome della morale cattolica e non per una vera solidarietà tra classi sociali, la cui distanza deve rimanere inalterata<ref>{{Cita|Escher Di Stefano|p. 123, nota 7}}; {{Cita|Ferroni, 1991|p. 171}}.</ref>. Ancora, il narratore Manzoni giudica con acrimonia i vizi del Seicento, la sua corruzione, il suo modo di intendere cultura e tutta l'ortoprassi degli uomini di quell'epoca: l'ironia amara verso la cultura di don Ferrante, che nega l'esistenza della peste e ne resta vittima<ref>{{Cita|''I promessi sposi''|cap. XXXVII, pp. 724-726|Q}}.</ref>; la condanna sferzante verso il presunto ruolo malefico degli untori<ref>Vedi ad esempio {{Cita|''I promessi sposi''|cap. XXXII, p. 606|Q}}, in cui si riferisce dell'aggressione di un vecchio, ritenuto un untore soltanto perché in chiesa «con la cappa, spolverò la panca».</ref>; l'ironia patetica mostrata verso la decisione del cardinale Federigo di indire la processione con le reliquie di [[Carlo Borromeo|San Carlo]] per porre fine alla pestilenza e l'aggravamento della diffusione del contagio il giorno dopo<ref>{{Cita|''I promessi sposi''|cap. XXXII, pp. 610-611|Q}}: «{{Citazione|Ed ecco che, il giorno seguente, mentre appunto regnava quella presontuosa fiducia, anzi in molti una fanatica sicurezza che la processione dovesse aver troncata la peste, le morti crebbero, […]. Ma, oh forze mirabili e dolorose d'un pregiudizio generale! non già al trovarsi insieme tante persone, e per tanto tempo, non all'infinita moltiplicazione de' contatti fortuiti, attribuivano i più quell'effetto; […]».}}</ref> sono solo alcuni dei numerosi interventi dell'autore nel commentare lo sviluppo della storia, rendendo più fluido e diretto il suo ingresso che, nelle tragedie, era relegato ai cori<ref>{{Cita|Varotti|p. 23}}.</ref>. Ne consegue, infine, che il narratore del romanzo è un narratore onnisciente:
 
{{Citazione|[…]: la voce che narra distingue nettamente se stessa dai personaggi, dalle loro azioni, dalla realtà rappresentata, ne conosce dall'esterno i caratteri, gli aspetti particolari, le motivazioni più interne, fruendo di uno sguardo "centrale" che pare avere l'ampiezza di uno sguardo divino.|{{Cita|Ferroni, 1991|p. 170}}}}
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{{citazione|Dopo un lungo dibattere e cercare insieme, conclusero che i guai vengono bensì spesso, perchè ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore.|{{Cita|''I promessi sposi''|cap. XXXVIII, p. 745|Q}}}}
 
La Provvidenza agisce in modo misterioso e secondo schemi che non seguono le logiche terrene, raggiungendo il suo scopo anche attraverso eventi dolorosi, concretizzandosi in quella che nell{{'}}''Adelchi'' con una famosa espressione è chiamata «la provida sventura»<ref>{{Cita|''Adelchi''|atto IV, scena I, coro, vv. 103-104}}.</ref><ref>{{Cita libro|autore=Alessandro Manzoni|titolo=Adelchi. Tragedia con un Discorso sur alcuni punti della storia longobardica in Italia|url=https://archive.org/details/bub_gb__QC_C8sqGzkC/page/n5/mode/2up|città=Milano|editore=per Vincenzo Ferrario|anno=1822|p=127|SBN=TO0E007876|cid=''Adelchi''}}</ref>. Si possono recare numerosi esempi al riguardo: le conversioni di Lodovico (fra Cristoforo) e dell'Innominato avvengono nel corso del tempo, dopo avvenimenti traumatici (l'omicidio causato da Lodovico, che lo induce a farsi frate<ref name="PS74-75">{{Cita|''I promessi sposi''|cap. IV, pp. 74-75|Q}}.</ref>) o ripetuti (i crimini commessi dall'Innominato negli anni<ref>{{Cita|''I promessi sposi''|cap. XXI, p. 407|Q}}: «{{Citazione|[…]; e il tormentato esaminator di sè stesso, per rendersi ragione d'un sol fatto, si trovò ingolfato nell'esame di tutta la sua vita. Indietro, indietro, d'anno in anno, d'impegno in impegno, di sangue in sangue, di scelleratezza in scelleratezza: […]».}}</ref>). Nel primo caso, Lodovico si macchia di un delitto e, ricoverato presso il vicino convento dei cappuccini, durante la convalescenza, «gli parve che Dio medesimo l'avesse messo sulla strada, e datogli un segno del suo volere, facendolo capitare in un convento, in quella congiuntura»<ref name="PS74-75"/>; nel secondo, la Provvidenza fa breccia nel cuore già tumultuante dell'Innominato per mezzo di una spaventata Lucia, la quale, nella foga, proferisce la frase che scatena la [[Conversione (teologia)|conversione]] del criminale: «Dio perdona tante cose, per un'opera di [[misericordia]]!»<ref name="PS399">Lucia dice la famosa frase due volte ({{Cita|''I promessi sposi''|cap. XXI, p. 399|Q}}) e in seguito l'Innominato la ripete una terza volta tra sé e sé: «Tutt'a un tratto, gli tornarono in mente parole che aveva sentite e risentite, poche ore prima: — Dio perdona tante cose, per un'opera di misericordia! —» ({{Cita|''I promessi sposi''|cap. XXI, p. 408|Q}}).</ref>, conversione che giunge a pieno compimento dopo la terribile notte e il successivo incontro con il cardinale Federigo Borromeo.
[[File:I promessi sposi 232.jpg|miniatura|sinistra|«"La c'è la Provvidenza!" disse Renzo; e, cacciata subito la mano in tasca, la votò di que' pochi soldi; li mise nella mano che si trovò più vicina, e riprese la sua strada» ({{Cita|''I promessi sposi''|cap. XVII, p. 338|Q}}).]]
Ma la questione della Provvidenza delineata da Manzoni è assai diversa da quella presentata dai suoi personaggi: nessuno di loro (se non fra Cristoforo e il cardinale) definisce in modo nitido come Dio operi nella storia, passando da interpretazioni perlomeno accettabili (il voto alla Madonna che [[Lucia Mondella|Lucia]] compie mentre è prigioniera dell'Innominato e la sua liberazione intravista quale segno della benevolenza divina) a quelle blasfeme di [[don Abbondio]], da cui la [[peste]] è vista come «''una scopa''» provvidenziale<ref name="PS732">{{Cita|''I promessi sposi''|cap. XXXVIII, p. 732|Q}}</ref>, e di [[Gonzalo Fernández de Córdoba (1585-1635)|don Gonzalo Fernandez de Cordova]] che, davanti all'arrivo della peste portata dai [[lanzichenecchi]], invita a sperare nella Provvidenza<ref>{{Cita|''I promessi sposi''|cap. XXVIII, p. 547|Q}}.</ref><ref>{{Cita|Bellini|p. 524}}, che riprende quanto già esplicitato da {{Cita|Raimondi|p. 218}}; {{Cita|Tellini, 1998|p. 48}}: «{{Citazione|Nella trama favolistica […] i personaggi si appellano spesso e volentieri alla Provvidenza. Ma la nominano sempre invano, o in accezione gergale o comunque riduttiva, quando non blasfema».}} Ne accenna anche {{Cita|Parisi|pp. 103-104}}.</ref>. Si ha quindi una pluralità di visioni, che tolgono a ''I promessi sposi'' l'epiteto di «epopea della Provvidenza»<ref>Così {{Cita|Momigliano|p. 229}} definisce il romanzo manzoniano.</ref>, di cui si parla continuamente<ref>{{Cita|Nef|p. 15}}.</ref>, ma «tali discorsi sono quasi esclusivamente messi in bocca ai personaggi e solo di rado sono propri del narratore», il cui commento occasionale è sempre distinto dalle loro opinioni<ref>{{Cita|Nef|p. 16}}.</ref>. Solo alla fine del romanzo si scopre la vera natura della Provvidenza divina, che illumina la realtà dell'agire di Dio nella storia e che ha portato Luciano Parisi a ridefinire l'epiteto dell'opera manzoniana: «Si potrebbe dire, in questo senso, che i ''Promessi sposi'' sono il romanzo della fede nella Provvidenza, più che il romanzo della Provvidenza […]»<ref>{{Cita|Parisi|p. 100}}.</ref>.
 
==== La scelta del Seicento: un secolo di decadenza e di violenza ====
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{{Citazione|Caso mai egli trova motivazioni per occuparsi del Seicento nel fatto che questa gli appare un'età sostanzialmente negativa, l'osservatorio ideale per cogliere il dramma di due antieroi popolani coinvolti e quasi stritolati negli ingranaggi del potere, […]. Il Seicento può così diventare il simbolo da un lato dell'immobilismo della storia italiana (secondo una polemica di stampo illuministico), dall'altro forse addirittura della condizione umana.|{{Cita|Guglielmino-Grosser|pp. 234-235}}}}
[[File:I promessi sposi 248.jpg|miniatura|sinistra|Il conte zio e il padre provinciale parlano di fra Cristoforo. Il conte zio è l'espressione della rapacità e della corruzione clientelare tipica della nobiltà ispanica.]]
La Lombardia, nella prima metà del XVII secolo, viveva uno dei periodi più bui della [[Storia della Lombardia|sua storia]]. Retta da una classe di potenti inetta e corrotta e da un [[Governatore di Milano|governatore]] assente e dedito esclusivamente all'esecuzione degli ordini imposti da [[Madrid]], quello che era stato il [[Ducato di Milano]] divenne il crocevia degli eserciti [[Spagna degli Asburgo|ispano]]-[[Sacro Romano Impero|imperiali]] impegnati nella sanguinosa [[guerra dei trent'anni]] (1618-1648), che in Italia si declinò nella [[guerra di successione al Ducato di Mantova]]<ref>{{Cita|''I promessi sposi''|cap. V, p. 95|Q}}: «{{Citazione|Il lettore sa che in quell'anno si combatteva per la successione al ducato di Mantova, […]».}}</ref>. Sul finire degli anni 1620, prima dello scoppio della terribile [[Peste del 1630|pestilenza]] che decimò la popolazione lombarda, si era abbattuta una rovinosa [[carestia]] – accennata in più passaggi nel corso del romanzo<ref>{{Cita|''I promessi sposi''|cap. II, p. 33; cap. V, p. 99; cap. XXII, p. 420|Q}}.</ref> – che porta alla rivolta dei forni nel capitolo XII. Il malcostume, l'inefficacia delle ''[[gride]]'' di giustizia e la violenza che dilaga a livello regionale nel fenomeno dei ''bravi'' si riflettono inevitabilmente nel vissuto quotidiano dei protagonisti<ref>Antonia Mazza Tonucci, ''Alessandro Manzoni'', in {{Cita|Farinelli-Mazza Tonucci-Paccagnini|p. 110}}.</ref><ref>Contro il malgoverno spagnolo si era scagliato, nel 1615, anche [[Alessandro Tassoni]] nelle ''Filippiche contra gli spagnuoli''.</ref>.
[[File:I promessi sposi (1840) 042.png|miniatura|Don Abbondio, dietro la minaccia dei bravi, comunica a Renzo i vari impedimenti alla celebrazione del matrimonio.]]
Gli esempi di questa violenza dal sapore – secondo l'espressione di [[Vittorio Spinazzola (critico letterario)|Vittorio Spinazzola]] – "politico"<ref>{{Cita|Spinazzola|p. 251}}: «{{Citazione|[…] politici sono tutti i modi tenuti per imporre ad arbitrio la propria volontà, preferibilmente mascherandola con una parvenza di forme legali e morali».}}</ref> sono molteplici: le minacce compiute dai bravi di don Rodrigo a don Abbondio nel capitolo I; i tentativi, sempre da parte del signorotto spagnolo, di sottomettere Lucia ai suoi desideri; l'inganno pretestuoso che don Abbondio compie su Renzo, sfoggiando una cultura classicheggiante e teologica che il giovane analfabeta non può comprendere<ref>Un esempio lampante si trova ne {{Cita|''I promessi sposi''|cap. II, p. 35|Q}}: «{{Citazione|"''[[Error, conditio, votum, cognatio, crimen]], Cultus disparitas, vis, ordo, ligamen, honestas, Si sis affinis,.... ''" cominciava don Abbondio, contando sulla punta delle dita. "Si piglia gioco di me?" interruppe il giovine. "Che vuol ch'io faccia del suo ''latinorum''?"».}}</ref>; la coercizione psicologica perpetrata dal [[Padre della Monaca di Monza|padre di Gertrude]] per monacarla forzatamente<ref group="N">Manzoni evidenzia l'uso dei giocattoli come strumento di condizionamento mentale, compiuto dal principe padre per invogliare la figlia sin dalla più tenera infanzia a diventare un giorno monaca: «Bambole vestite da monaca furono i primi balocchi che le si diedero in mano; […]» ({{Cita|''I promessi sposi''|cap. IX, p. 176|Q}}). Vedi anche ''Gertrude e le bambole'' in {{Cita|Palumbo|pp. 109-112}}.</ref> e quella fisica che la stessa usa contro la conversa Caterina insieme all'amante Egidio per farla tacere della relazione segreta<ref group="N" name="conversa">Mentre nel {{Cita|''Fermo e Lucia''|tom. II, capp. V-VI, pp. 245-252|Lesca}} l'episodio dell'omicidio della suora è descritto nei minimi particolari, invece ne {{Cita|''I promessi sposi''|cap. X, pp. 211-212|Q}} della "quarantana" si parla soltanto della sua scomparsa, alludendo al delitto e lasciando intendere la verità dal rimorso di Gertrude.</ref>. Il culmine della violenza, «nella quale affoga collettivamente una civiltà sbagliata […] per una purificazione […] quale premessa necessaria alla ricostruzione della società»<ref>{{Cita|Nigro, 1988|p. 171}}.</ref>, è la peste, in cui le vicende dei personaggi si riallacciano in una Milano completamente devastata in ogni aspetto della vita sociale. Nonostante la desolazione e la morte imperante, è allora che Renzo trova quella pietà che lo spinge a riconciliarsi con don Rodrigo morente e che spinge Lucia a riconsiderare il voto per unirsi definitivamente con Renzo<ref>{{Cita|Ferroni, 2003|p. 60}}.</ref>, aprendo i propri cuori agli imperscrutabili disegni della Provvidenza<ref>{{Cita|Guglielmino-Grosser|pp. 235-236}}: «{{Citazione|[…] la provvidenza, sotto forma di divina illuminazione o di grazia, si manifesta nei cuori, nelle anime degli uomini cui spetta la decisione se accoglierla o meno».}}</ref>.
 
==== Il paesaggio manzoniano ====
[[File:I promessi sposi - Lake Como.jpg|miniatura|«Quel ramo del lago di Como», con il [[Monte San Martino (Prealpi Bergamasche)|Monte San Martino]] sullo sfondo e il [[Ponte Azzone Visconti|Ponte Vecchio]] di Lecco in primo piano, illustrato da Luigi Riccardi.]]
Un ruolo fondamentale nell'economia del romanzo è la presenza del [[paesaggio]], inteso sia nella sua veste naturalistica, sia in quella antropologica. Domina, infatti, il paesaggio familiare di Lombardia, con i suoi cieli, i suoi monti, le sue acque e la sua mite luce autunnale: «quel cielo di Lombardia, così bello quand'è bello»<ref>{{Cita|''I promessi sposi''|cap. XVII, p. 333|Q}}.</ref>. Il paesaggio è calato nella realtà storica e umana del romanzo. La sobrietà delle descrizioni è il risultato di uno scarnimento ricco di possibilità liriche ed evocative; i passi descrittivi sono trascrizioni di un momento di vita interiore. L'intero ''[[incipit]]'' dell'opera è una dettagliata descrizione del paesaggio del Lecchese che, secondo un andamento geo-descrittivo centripeto adottato dalda Manzoni, giunge a inquadrare [[Lecco]] e il viottolo su cui cammina don Abbondio, per poi riportare l'attenzione del lettore all'orizzonte e ai monti circostanti<ref>{{Cita|Brasioli et al.|p. 57, nota 1}}: «{{Citazione|Nella prima parte segue un movimento, per così dire, centripeto – dalla catena di monti va restringendosi sul particolare (la città di Lecco) –, nella seconda parte segue un movimento centrifugo dalle strade e stradette fino ai monti e all'orizzonte».}}</ref>.
 
Un'altra caratteristica del paesaggio, oltre a essere storicamente realistico, è quella di essere funzionale alle esigenze del racconto, per cui esso fa da sfondo e cornice alle vicende dei personaggi, come nella scena dell'incontro di don Abbondio con i bravi di don Rodrigo<ref>{{Cita|Mazzamuto|pp. 140-142}}.</ref>. Nella concezione propria del [[romanticismo]] seguita da Manzoni, il paesaggio è anche proiezione degli stati d'animo dei personaggi<ref>{{Cita|Ferroni, 1991|p. 104}}: «{{Citazione|[…]: la natura è specchio dei sentimenti e delle passioni che agitano l'uomo perché anch'essa è animata da sentimenti e passioni, […]».}}</ref>; ad esempio, è descritto con affettuosa nostalgia e profonda, accorata intimità da Lucia nell{{'}}''[[Addio ai monti]]'', mentre è percepito come pauroso e ostile durante la fuga di Renzo da Milano verso l'[[Adda]]<ref>{{Cita|''I promessi sposi''|cap. XVII, p. 329|Q}}.</ref>. Un discorso a parte merita la descrizione dettagliata del paesaggio minaccioso e solitario intorno al [[castello dell'Innominato]] e del castello stesso<ref>{{Cita|''I promessi sposi''|cap. XX, pp. 377-378|Q}}.</ref>, che rispecchia la personalità e lo stile di vita del suo proprietario e incute paura, ma, dopo la conversione di quest'ultimo, diventa un luogo di asilo<ref>{{Cita|''I promessi sposi''|cap. XXIX, p. 565|Q}}.</ref>.
 
Nell'indicazione dei luoghi, bisogna ricordare l'uso degli [[Asterisco|asterischi]], cheal sostituisconoposto ildi un [[toponimo]] o ildi toponimicoun consoprannome un asteronimotoponimico<ref>{{Cita pubblicazione|autore=Leonardo Terrusi|titolo=Silenzi, nomi, asterischi. Gli 'asteronimi' manzoniani|url=https://innt.it/innt/article/view/360/344|rivista=Il nome nel testo. Rivista internazionale di onomastica letteraria|volume=12|anno=2010|pp=269-276, in particolare pp. 270-271|ISSN=1591-7622}}</ref>, come innel occasionecaso di due«padre [[analessi]],Cristoforo nellada biografia di fra Cristoforo***»{{Efn|Il frate è così chiamato «padre Cristoforo da ***» ne ''I promessi sposi'', sia nella "ventisettana" sia nella "quarantana"<ref>{{Cita|''I promessi sposi''|cap. IV, p. 66|Q}}.</ref>, mentre nel ''Fermo e Lucia'' è specificato «padre Cristoforo da Cremona».}}. eAltrove, come in quellaoccasione dell'[[analessi]] di Gertrude, «l'ultima figlia del principe ***»<ref>{{Cita|''I promessi sposi''|cap. IX, p. 175|Q}}.</ref>, il cosiddetto "asteronimo" sostituisce un cognome. L'espediente, come dichiara l'Anonimo manzoniano nell'Introduzione<ref>{{Cita|''I promessi sposi''|Introduzione, p. 6|Q}}.</ref>, è motivato con l'opportunità di attribuire un certo anonimato e una certa indefinitezza alla vicenda, per rispetto e prudenza nei riguardi di casate e personaggi che, quando egli scriveva (l'ipotetico autore del manoscritto afferma di raccontare fatti avvenuti al tempo della sua giovinezza), potessero essere ancora vivi: «questi asterischi vengon tutti dalla circospezione del mio anonimo», riferisce Manzoni nel capitolo IV<ref>{{Cita|''I promessi sposi''|cap. IV, p. 67|Q}}.</ref>.
 
==== Il rifiuto dell'idillio ====
Il critico [[Ezio Raimondi]] ha intitolato il volume contenente i suoi saggi sul capolavoro manzoniano con il titolo ''Il romanzo senza idillio''. Nel romanzo manzoniano, difatti, manca il [[lieto fine]] tipico delle favole o dei racconti della tradizione letteraria, in nome del realismo cui l'autore intende ispirarsi. Ne sono indizi il fatto che don Abbondio si abbandoni ad una «danza macabra»<ref name="Bellini163">Eraldo Bellini, ''L'idillio imperfetto (capitoli XXXVII-XXXVIII)'', in {{Cita|Fandella-Langella-Frare|p. 163}}.</ref> per l'annuncio della morte di don Rodrigo<ref>{{Cita|Tellini, 2007|p. 224}}.</ref>; e che il marchese erede di don Rodrigo non prenda parte al convito nuziale allo stesso tavolo con i due sposi, segno della rinnovata disparità sociale<ref>{{Cita|Raimondi|p. 306}}.</ref>; e che la gente, la quale tanto aveva sentito delle vicende di Renzo e Lucia, al vedere la giovane, ne rimanesse delusa,<ref>Vedi credendo[[#Il chenuovo laprototipo giovanedel avesse «i capelli proprio d'oro, e le gote proprio di rosa, e due occhi l'uno più bello dell'altro»<ref>{{Citapersonaggio|''IIl promessinuovo sposi''|cap.prototipo XXXVIII,del p. 742|Q}}personaggio]].</ref>. Il matrimonio tra Renzo e Lucia, l'avviamento dell'attività mercantile di Renzo e la nascita dei figli s'inseriscono in un quadro denotato da forti tinte realiste, dove la vita quotidiana è costellata sia da lieti eventi, sia da sventure o grattacapi<ref>{{Cita|''I promessi sposi''|cap. XXXVIII, p. 744|Q}}: «{{Citazione|[…], l'uomo, fin che sta in questo mondo, è un infermo che si trova sur un letto scomodo più o meno, e vede intorno a sè altri letti, ben rifatti al di fuori, piani, a livello: e si figura che ci si deve star benone».}}</ref>. Insomma, una «quotidianità disabbellita e diseroicizzata»<ref>{{Cita|Tellini, 2007|p. 226}}.</ref>.
 
=== Struttura ===
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[[File:Cardinale&DonAbbondio.jpg|miniatura|sinistra|Il colloquio tra il cardinale Federigo Borromeo e don Abbondio.]]
Dopo aver provveduto a far ospitare Lucia presso [[don Ferrante (personaggio)|don Ferrante]] e [[donna Prassede]], il cardinale rimprovera duramente don Abbondio per non aver celebrato il matrimonio. Quindi Manzoni si sofferma a narrare della permanenza di Lucia nel palazzo dei due aristocratici milanesi e ne descrive le figure: don Ferrante, simbolo della decadenza culturale barocca<ref>{{Cita|Frare|pp. 147-165}} ripercorre la condanna culturale, morale e civile degli intellettuali dell'Ottocento nei confronti del [[Barocco]] e del Seicento, in quanto secolo «sciocco e sfarzoso» (p. 155), «intint[o] di superstizione e di magia, provinciale e attardat[o]» (p. 156) ed espressione, in generale, del malgoverno spagnolo in Lombardia.</ref>, è tutto preso dai suoi studi astrusi; donna Prassede, bigotta e perbenista, si è convinta che Renzo sia un poco di buono, sulla base degli ordini di cattura che pendono su di lui per il coinvolgimento nei tumulti di San Martino, ed è risoluta a far sì che Lucia lo dimentichi<ref>{{Cita|''I promessi sposi''|capp. XXV-XXVII|Q}}.</ref>. I capitoli successivi alternano digressioni storiche e le vicende dei vari protagonisti<ref>{{Cita|''I promessi sposi''|capp. XXVIII-XXX|Q}}.</ref>, sullo sfondo della carestia e della discesa in Italia dei lanzichenecchi, mercenari tedeschi che combattono nella [[guerra di successione al Ducato di Mantova]], i quali mettono a sacco il paese di Renzo e Lucia e diffondono il morbo della [[peste]]. Agnese, che era rimasta nel suo paese natio, parte insieme a Perpetua e don Abbondio e i tre si rifugiano presso l'Innominato, il quale ha aperto il suo castello ai contadini in fuga dalle soldataglie alemanne.
[[File:I promessi sposi 335.jpg|miniatura|Donna Prassede e Lucia: «"Ebbene?" le diceva: "non ci pensiam più a colui?"» ({{Cita|''I promessi sposi''|cap. XXVII, p. 518|Q}}).]]
 
==== La peste (capitoli XXXI-XXXVI) ====
[[File:I promessi sposi 335.jpg|miniatura|Donna Prassede e Lucia: «"Ebbene?" le diceva: "non ci pensiam più a colui?"» ({{Cita|''I promessi sposi''|cap. XXVII, p. 518|Q}}).]]Con i lanzichenecchi la [[Peste del 1630|peste]] entra in Lombardia e infine a Milano, sottovalutata inizialmente dalle autorità, in particolar modo dal governatore don Gonzalo Fernandez de Cordova, impegnato nell'[[assedio di Casale Monferrato (1628)|assedio di Casale Monferrato]], e dal Senato: solo il cardinale Federigo si prodiga nell'assistenza ai malati, unica personalità rimasta in una Milano abbandonata a sé stessa<ref>{{Cita|''I promessi sposi''|capp. XXXI-XXXII|Q}}.</ref>. Di peste si ammalano Renzo, che guarisce, e don Rodrigo, che viene tradito e derubato dal Griso, il capo dei suoi bravi, il quale, contagiato anch'egli dal morbo, non può godersi i frutti del suo tradimento<ref name="PS.XXXIII">{{Cita|''I promessi sposi''|cap. XXXIII|Q}}.</ref>.
 
[[File:I promessi sposi 421.jpg|miniatura|sinistra|«Scendeva dalla soglia d'uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio, una donna, il cui aspetto annunziava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa; […]» ({{Cita|''I promessi sposi''|cap. XXXIV, p. 661|Q}}).]]
Una volta guarito, Renzo, preoccupato dagli accenni fatti da Lucia per lettera a un proprio voto di castità, torna nel suo paese a cercarla, ma trova una grande desolazione e scopre da un convalescente don Abbondio della morte di Perpetua. Non incontrando Lucia, il giovane viene indirizzato a Milano, dove apprende che è ricoverata nel [[Lazzaretto di Milano|Lazzaretto]]. Nella descrizione della città colpita dal contagio c'è una spaventevole verosimiglianza: non più la luce dell'alba cara ala Manzoni, ma la spietata intensità del sole a picco. La descrizione dei carri dei [[monatti]] è potente e sinistra. All'angoscia dell'ambiente fa da umoristico contrasto l'errore dei monatti che scambiano Renzo per untore in una Milano trasformata in un grande cimitero<ref>{{Cita|''I promessi sposi''|cap. XXXIV|Q}}.</ref>.
 
===== La madre di Cecilia =====
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Nell'ultimo capitolo appare l'erede di don Rodrigo, anonimamente chiamato «il signor marchese», che per rimediare alle nefandezze del suo predecessore fa annullare il mandato di cattura ancora pendente sulla testa di Renzo, acquista le case dei due promessi sposi a un prezzo doppio per favorire il loro trasferimento e, il giorno dopo le nozze, offre loro un pranzo nello stesso palazzotto appartenuto a don Rodrigo<ref>{{Cita|''I promessi sposi''|cap. XXXVIII, pp. 731-740|Q}}.</ref>.
 
[[File:I promessi sposi-026.jpg|miniatura|sinistra|«Il nostro Abbondio, non nobile, non ricco, coraggioso ancor meno, s'era dunque accorto, prima quasi di toccar gli anni della discrezione, d'essere, in quella società, come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro» ({{Cita|''I promessi sposi''|cap. I, p. 23|Q}}).]]
 
===== Don Abbondio =====
{{vedi anche|Don Abbondio}}
[[File:I promessi sposi-026.jpg|miniatura|sinistra|«Il nostro Abbondio, non nobile, non ricco, coraggioso ancor meno, s'era dunque accorto, prima quasi di toccar gli anni della discrezione, d'essere, in quella società, come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro» ({{Cita|''I promessi sposi''|cap. I, p. 23|Q}}).]]
[[Curato]] del paese in cui vivono Renzo e Lucia, è caratterizzato, nella sua fragile compostezza morale<ref>Famosa la [[litote]]: «Don Abbondio (il lettore se n'è già avveduto) non era nato con un cuor di leone» ({{Cita|''I promessi sposi''|cap. I, p. 20|Q}}).</ref>, sin dal primo capitolo in riferimento alla paura per le minacce ricevute da parte di don Rodrigo, che gli intima di non celebrare il matrimonio dei due giovani. Divenuto sacerdote non per [[vocazione]], ma per appartenere a una classe sociale rispettabile e protetta, in grado di garantire anche una relativa sicurezza economica, don Abbondio è dipinto a tinte comiche dalda Manzoni, che diventano sempre più fosche (e perciò più odiose) di fronte alla renitenza del curato a adempiere i propri compiti di ministro della [[Chiesa cattolica|Chiesa]] e, più in generale, di uomo. Risulta infatti avaro, oppressore a sua volta nell'usare la cultura ai danni di Renzo, per non parlare di quella che è stata definita una «danza macabra»<ref name="Bellini163"/>, allorquando sa della morte di peste di don Rodrigo e vede l'epidemia come «''una scopa''»<ref name="PS732"/> voluta dalla Provvidenza. Verso la conclusione del romanzo don Abbondio, ormai certo della scomparsa di don Rodrigo, celebra finalmente il matrimonio tra Renzo e Lucia.
 
===== Fra Cristoforo =====
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[[File:Monaca di monza by Mosè Bianchi.JPG|miniatura|sinistra|[[Mosè Bianchi]], ''Monaca di Monza'', olio su tela, 1865 (Milano, [[Galleria d'Arte Moderna (Milano)|Galleria d'Arte Moderna]]).]]
{{Citazione|Il suo aspetto, che poteva dimostrar venticinque anni, faceva a prima vista un'impressione di bellezza, ma d'una bellezza sbattuta, sfiorita e, direi quasi, scomposta.|{{Cita|''I promessi sposi''|cap. IX, p. 170|Q}}}}
Suor Gertrude, personaggio ricostruito sul modello di [[Marianna de Leyva|Marianna]], figlia di [[Martino de Leyva]] feudatario di [[Monza]], è unola dei personaggifigura più complessitragica edel angosciantiromanzo<ref>{{Cita|Mazzamuto|p. che Manzoni propone al pubblico dei lettori74}}.</ref>. L'analisi psicologica ed esistenziale della donna dal suo ingresso in monastero fino alle scelleratezze compiute con [[Egidio (personaggio)|Egidio]] – dettagliatissime nel ''Fermo e Lucia''<ref>{{Cita|''Fermo e Lucia''|tom. II, capp. II-VI|Lesca}}.</ref> – si condensano in due capitoli (il IX e il X) ne ''I'' ''promessi sposi''. Costretta a prendere i voti contro la sua volontà, dopo essere stata coartata psicologicamente dal padre<ref>Un esempio nel {{Cita|''Fermo e Lucia''|tom. II, cap. III, p. 210|Lesca}}: «[Geltrude] alzò un momento gli occhi verso il padre che le stava di fianco […], ma vide negli sguardi del Marchese una espressione sì minacciosa, che tutto il suo coraggio svanì».</ref> desideroso di non disperdere parte dei suoi beni in una dote matrimoniale, Gertrude viene coinvolta in una relazione amorosa con uno scapestrato del luogo, Egidio<ref>{{Cita|''Fermo e Lucia''|tom. II, cap. V, p. 237|Lesca}}; {{Cita|''I promessi sposi''|cap. X, p. 210|Q}}.</ref>, con cui ha dei figli, dai quali è obbligata separarsi non appena li ha partoriti. La figurarappresentazione di Gertrude, capace di suscitare forti sentimenti di rammarico e di compassione verso la sua triste vicenda, subisce una netta svolta quando acconsente, pur senza parteciparvi materialmente, all'assassinio della conversa Caterina, la quale aveva scoperto la tresca tra i due e minacciava di rivelarla<ref group="N" name="conversa"/><ref>{{Cita|Locatelli Milesi|p. 74}}.</ref>. Da quel momento, «la sventurata»<ref group="N">Manzoni passa da un atteggiamento di pietà nei confronti di Gertrude fino a una netta condanna, quando la monaca da vittima diventa carnefice della conversa Caterina. Perciò, a partire dal capitolo X, il narratore la chiama "sventurata" («La sventurata rispose», ne {{Cita|''I promessi sposi''|cap. X, p. 210|Q}}).</ref> vive nell'oscurità dei rimorsi per i gravi peccati commessi, stato d'animo da cui sembra risollevarsi grazie al candore e alla gentilezza della sua protetta Lucia, affidatale da padre Cristoforo per sfuggire alle grinfie di don Rodrigo. Davanti però ai ricatti morali di Egidio, incaricato dall'Innominato di indurre l'amante a far uscire la giovane dal convento, Gertrude non può che cedere, lasciando che i bravi dell'Innominato la rapiscano<ref>{{Cita|''I promessi sposi''|cap. XX, p. 383|Q}}: «{{Citazione|Noi abbiamo riferito come la sciagurata signora desse una volta retta alle sue parole; […]. Quella stessa voce, che aveva acquistato forza e, direi quasi, autorità dal delitto, le impose ora il sagrifizio dell'innocente che aveva in custodia».}}</ref>. La conclusione della vicenda della monaca di Monza è descritta nel capitolo XXXVII quando, scoperti i suoi delitti, Gertrude viene trasferita in un monastero a Milano per scontare i suoi peccati; qui comprende i propri errori e incomincia a condurre una vita di penitenza irreprensibile.
 
===== L'Innominato =====
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{{citazione|Di costui non possiam dare nè il nome, nè il cognome, nè un titolo, e nemmeno una congettura sopra nulla di tutto ciò: cosa tanto più strana, che del personaggio troviamo memoria in più d'un libro (libri stampati, dico) di quel tempo.|{{Cita|''I promessi sposi''|cap. XIX, pp. 371-372|Q}}}}
 
L'Innominato (il Conte del Sagrato nel ''Fermo e Lucia''), per l'alone di mistero che ne accresce la fama e lo rende ancor più temuto e per il suo dramma esistenziale, è uno dei personaggi più complessi e inquietantiromantici dell'interointera opera<ref>{{Cita|Mazzamuto|p. romanzo67}}.</ref>. Identificato storicamente con [[Bernardino Visconti]]{{efn|name="Cantù52"|L'identificazione del personaggio manzoniano con Francesco Bernardino Visconti fu divulgata per primo da [[Cesare Cantù]] (''L'Innominato'', in {{Cita|''Sulla storia lombarda del secolo XVII''|pp. 52-57}}), al quale era stata rivelata per lettera dallo stesso Manzoni<ref>{{Cita libro|titolo=Lettere di Alessandro Manzoni in gran parte inedite raccolte e annotate|url=https://books.google.it/books?id=m6YypMuekGsC&pg=PA337|curatore=[[Giovanni Sforza (storico)|Giovanni Sforza]]|città=Pisa|editore=coi tipi dei ff. Nistri|anno=1875|p=337}}</ref>.}}<ref>{{Cita|Russo|p. 39}}.</ref>, nobile che si dedicava a guerreggiare con gli spagnoli, l'Innominato è presentato ormai sul limitare della vecchiaia e roso interiormente dai dubbi di una vita condotta a perpetrare assassini e altri crimini. Incaricatosi di rapire Lucia dal monastero di Monza con un inganno, l'Innominato si lascia commuovere dalla semplicità e dalla fragilità emotiva della giovane, che scatenano in lui quel turbamento interiore già iniziato prima<ref>{{Cita|Langella, 2014|p. 134}}: «[…], per cui la conversione dell'Innominato non segue più il modello [[Paolo di Tarso|paolino]] della folgorazione ''[[ex abrupto]]'', ma quello [[Agostino d'Ippona|agostiniano]] del processo lento e graduale, […]».</ref>. La notte successiva all'arrivo di Lucia al castello, conosciuta come ''notte dell'Innominato''<ref>{{Cita|Tentorio|p. 9}}.</ref>, vede l'uomo fronteggiarsi con la propria coscienza, talmente lacerata dal senso di colpa che lo porta a un passo dal suicidio. Soltanto l'alba e il suono delle campane, annuncianti la venuta del cardinale [[Federico Borromeo]] in visita pastorale in quei luoghi, lo distolgono dal mortale proposito, spingendolo anzi a recarsi al villaggio vicino per parlare con l'alto prelato. Quest'ultimo, che lo accoglie con fare paternalistico (quasi a ricordare la [[parabola del figliol prodigo]]<ref>{{Cita|Nigro, 1995|p. 477}}.</ref>), lo induce alla definitiva conversione: l'Innominato, profondamente scosso, decide di cambiar vita e dedicarsi a opere di carità e di "misericordia", liberando Lucia e poi ospitando, durante la discesa dei lanzichenecchi, gli abitanti della zona nella sua fortezza<ref>{{Cita|''I promessi sposi''|capp. XXIX-XXX|Q}}.</ref>.
 
== Fortuna del romanzo ==
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{{Vedi anche|Traduzioni de I promessi sposi}}
[[File:Goethe (Stieler 1828).jpg|miniatura|verticale|Goethe fu il principale promotore dell'opera manzoniana in seno alla cultura europea.]]
Il successo internazionale del romanzo manzoniano, divenuto noto soprattutto grazie al grande poeta tedesco [[Johann Wolfgang von Goethe]]<ref>{{Cita|Vigorelli|p. 33}}.</ref>{{Efn|Goethe ammirava molto Manzoni, èma testimoniatonon dalladel contemporaneatutto uscita''I dipromessi traduzionisposi'', inpoiché Europariteneva eche indal America,capitolo XXVII lo storico avesse giocato un brutto tiro eal specialmentepoeta:
{{Citazione|Ciò avviene nella descrizione di guerra, carestia e pestilenza, cose che sono già di per sé ripugnanti e che ora diventano insopportabili a causa dei complicati dettagli di un'arida esposizione cronachistica. […] Ma non appena i personaggi del romanzo ricompaiono, il poeta riemerge di nuovo in tutta la sua gloria e ci costringe di nuovo alla consueta ammirazione.|Goethe, in [[Johann-Peter Eckermann]], ''[[Conversazioni con Goethe]]'', 23 luglio 1827<ref name="Eckermann">{{Cita libro|autore=[[Johann Peter Eckermann]]|titolo=Gespräche mit Goethe in den letzten Jahren seines Lebens (1823-1832)|url=https://archive.org/details/gesprchemitgoei02goetgoog/page/n7/mode/2up|volume=1|città=Leipzig|editore=F. A. Brockhaus|anno=1836|pp=379-381|lingua=de|SBN=LO11238049}}</ref>|Und zwar geschieht dieses bei einer Beschreibung von Krieg, {{Sic|Hungersnoth}} und Pestilenz, welche Dinge schon an sich widerwärtiger Art sind, und die nun durch das umständliche Detail einer trockenen chronikenhaften Schilderung unerträglich werden. […] Doch sobald die Personen des Romans wieder auftreten, steht der Poet in voller Glorie wieder da und {{Sic|nöthigt}} uns wieder zu der gewohnten Bewunderung.|lingua=de}}}}, è testimoniato dalla contemporanea uscita di traduzioni in Europa e in America, e specialmente:
[[File:The betrothed by Charles Swan.png|miniatura|verticale|Frontespizio del primo volume della traduzione inglese di Charles Swan, ''The Betrothed Lovers'' (1828).]]
# ''In [[Francia]]''. Nella patria elettiva di Manzoni, dove lo scrittore risiedette per vari anni e strinse amicizia con gli ''idéologues'' e in particolar modo con il linguista Claude Fauriel, ''I promessi sposi'' ebbero inizialmente un'edizione pirata in italiano, pubblicata a Parigi da Louis Claude Baudry nel 1827. La prima traduzione francese, con il titolo ''Les Fiancés'', fu eseguita da Antoine Rey-Dussueil e fu pubblicata con il permesso dell'autore sempre a Parigi da Charles Gosselin nel 1828; nello stesso anno uscì anche la versione di Pierre Joseph Gosselin per la libreria editrice Dauthereau. Il romanzo riscosse l'approvazione dei letterati del tempo, quali [[Alphonse de Lamartine]], [[François-René de Chateaubriand]] e [[Auguste Comte]], ma non di [[Honoré de Balzac]]<ref>{{Cita|''In Francia''}}.</ref>.
# ''In [[Germania]]''. Le prime traduzioni tedesche de ''I promessi sposi'', con il titolo ''Die Verlobten'', furono quella di Daniel Lessmann, pubblicata a Berlino nel 1827, e quella di Eduard von Bülow, edita a Lipsia nel 1828<ref>{{Cita|''In Germania''}}.</ref>. Dopo aver letto il romanzo manzoniano appena uscito, in una conversazione del 23 luglio 1827 Goethe espresse a [[Johann-Peter Eckermann]] il suo famoso giudizio, secondo cui Manzoni era "un poeta nato" («ein geborener Poet»), ma la sua opera soffriva di "un eccessivo peso della storia" («ein Übergewicht der Geschichte»)<ref>Così Goethe, in {{Cita libro|autorename=[[Johann Peter "Eckermann]]|titolo=Gespräche mit Goethe in den letzten Jahren seines Lebens (1823-1832)|url=https://archive.org/details/gesprchemitgoei02goetgoog/page/n7/mode/2up|volume=1|città=Leipzig|editore=F. A. Brockhaus|anno=1836|pp=380-381|lingua=de|SBN=LO11238049}}<"/ref>.
# ''Nel [[Regno Unito]]''. La prima traduzione inglese, con il titolo ''The Betrothed Lovers'', fu fatta dal pastore [[Anglicanesimo|anglicano]] Charles Swan e pubblicata a Pisa da Niccolò Capurro nel 1828. A parte un'incomprensione, dovuta alla vena ironica di Manzoni non congeniale ai britannici{{Efn|Nel capitolo VII, citando una frase di [[Shakespeare]] (''[[Giulio Cesare (Shakespeare)|Giulio Cesare]]'', atto II, scena I, vv. 63-65), Manzoni lo chiama «un barbaro che non era privo d'ingegno»<ref>{{Cita|''I promessi sposi''|tom. I (1825), cap. VII, p. 202|V}}.</ref>. In uno scambio di lettere, di cui dà conto nella prefazione alla sua traduzione, Swan se ne risentì, ma Manzoni se la cavò affermando che l'epiteto era ironico e l'espressione rimase invariata nella "quarantana".}}, il romanzo fu accolto in Inghilterra con luci e ombre: [[Mary Shelley]], ad esempio, l'autrice del ''[[Frankenstein o il moderno Prometeo|Frankenstein]]'', elogiò Manzoni per il suo realismo e per la sua acutezza psicologica, ma ne condannò l'ideologia cristiana e, a suo dire, bigotta di fondo<ref>{{Cita|''In Inghilterra''}}.</ref>.
# ''In [[Spagna]]''. A causa del [[Decennio nefasto spagnolo|decennio nefasto]] (1823-1833), ultima parte del regno di [[Ferdinando VII di Spagna|Ferdinando VII]] contrassegnata dalla lotta al [[liberalismo]] e alla cultura in generale, Manzoni approdò in Spagna solo nel 1823 sulla [[rivista]] [[Catalogna|catalana]] ''El Europeo''. Su questa rivista il letterato italiano esule Luigi Monteggia pubblicò un lungo articolo, intitolato ''Il Romanticismo'', in cui Manzoni figura tra i massimi esponenti del romanticismo europeo<ref>{{Cita|''In Spagna''}}.</ref>.
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==== L'Ottocento ====
[[File:Emilio Praga.jpg|miniatura|Emilio Praga, uno dei più rappresentativi esponenti della scapigliatura e avversario di Manzoni.]]
Già quand'era in vita, Manzoni ebbe ammiratori incondizionati e osteggiatori implacabili: ammirazione sconfinata venne da [[Francesco de Sanctis]], [[Giovanni Verga]], [[Luigi Capuana]]<ref>{{cita|Tellini, 2007|p. 324}}.</ref> e da [[Giovanni Pascoli]], che al suo «immortale romanzo» dedicò in seguito il saggio ''L'eco d'una notte mitica'' (1896), ravvisando nella [[#La notte degli imbrogli e dei sotterfugi: la fuga (capitoli VI-VIII)|notte degli imbrogli e dei sotterfugi]] la trasformazione dell'ultima notte di Ilio<ref>{{cita|Pascoli|pp. 2, 5}}.</ref>. Nel secondo gruppo, invece, rientrano gli [[Scapigliatura|scapigliati]], i quali videro in Manzoni l'espressione del perbenismo [[Borghesia|borghese]] da loro tanto detestato, che si rivela anche nel romanzo, pieno di buoni sentimenti e perciò tendente ad un ricercato patetismo{{Efn|Significativa è la poesia ''Preludio'' di [[Emilio Praga]], in cui lo scapigliato annuncia l'ora degli «antecristi» in contrapposizione al «Casto poeta che l'Italia adora» (vv. 13-16)<ref>{{Cita libro|autore=[[Emilio Praga]]|sezione=Preludio|titolo=Penombre|url=https://archive.org/details/penombre00praggoog/page/n11/mode/2up|città=Milano|editore=Casa editrice degli autori-editori|anno=1864|pp=5-6|SBN=TO00637530}}</ref>.}}; [[Giosuè Carducci]], estimatore dell{{'}}''Adelchi'', fu implacabile critico de ''I promessi sposi'' e della scelta linguistica adottata da Manzoni<ref>{{cita|Tellini, 2007|p. 323}}.</ref>.
 
Il successo del romanzo manzoniano diede inoltre il via al fenomeno del ''[[manzonismo]]'', sia in campo linguistico ([[Ruggiero Bonghi]], [[Edmondo De Amicis]]), sia in quello prettamente creativo, originando un «parassitismo manzoneggiante» che spinse [[Luigi Gualtieri]] a comporre ''L'Innominato'' e [[Antonio Balbiani]] romanzi come ''Lasco il bandito della Valsassina: sessant'anni dopo I promessi sposi'', ''I figli di Renzo Tramaglino e di Lucia Mondella'', ''L'ultimo della famiglia Tramaglino''<ref>Ermanno Paccagnini, ''L'"epoca di transizione"'', in {{Cita|Farinelli-Mazza Tonucci-Paccagnini|p. 166}}.</ref>.
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== Nella cultura di massa ==
L'influsso del romanzo nella cultura popolare, oltre che a un insieme di parole ed espressioni entrate nell'uso comune<ref>{{Treccani|manzonismi_(Enciclopedia-dell'Italiano)|Manzonismi|autore=Ilaria Bonomi}}</ref>, ha dato origine a tutta una serie di prodotti editoriali dalle cartoline alle [[figurine Liebig]], ai [[fotoromanzi]]<ref>{{Cita|De Berti|pp. 62, 114}}.</ref> e ai fumetti. Nel 2017, al "[[WOW spazio fumetto|museo del fumetto e dell'immagine" di Milano]] è stata allestita una mostra intitolata ''Alla scoperta dei Promessi sposi'' e dedicata al romanzo di Alessandro Manzoni raccontato in 190 anni di illustrazioni e fumetti da Francesco Gonin a Paperino<ref name="Zampa">{{Cita web|url=https://www.lifegate.it/promessi-sposi-mostra|autore=Alice Zampa|titolo=I promessi sposi in mostra, 190 anni a fumetti (e non solo)|data=16 marzo 2017|accesso=29 gennaio 2025}}</ref>.
 
=== Adattamenti artistici ===
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==== Musical ====
* ''I promessi sposi Musical'', [[musical]] di [[Tato Russo]] (in scena dal 2000 al 2003) con [[Michel Altieri]] (Renzo) e [[Barbara Cola]] (Lucia) – premio Massimini come miglior attore a Michel Altieri<ref>{{Cita web|url=http://www.promessisposimusical.it/sito.htm|titolo=Sito ufficiale del musical Promessi Sposi di Tato Russo|sito=www.promessisposimusical.it|accesso=2024-12-31}}.</ref>.
* ''[[I promessi sposi - Opera moderna]]'' di [[Michele Guardì]] (in scena dal 18 giugno 2010) con [[Noemi Smorra]] nei panni di Lucia, [[Graziano Galatone]] nei panni di Renzo, [[Giò Di Tonno]] nei panni di don Rodrigo, [[Lola Ponce]] nei panni della monaca di Monza, [[Vittorio Matteucci]] nei panni dell'Innominato e Christian Gravina nei panni di fra Cristoforo e del cardinale Borromeo.
 
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* ''I promessi sposi'', regista e interprete [[Massimiliano Finazzer Flory]] (2011)<ref>{{Cita web|url=https://www.finazzerflory.com/?spettacolo=i-promessi-sposi|titolo=I Promessi Sposi|accesso=28 giugno 2017}}</ref>.
* ''Una storia lombarda nel 1600. Da "I promessi sposi" di Alessandro Manzoni'', adattamento teatrale e regia di Luisa Borsieri (2014)<ref>{{Cita web|url=https://web.archive.org/web/20140927013040/http://arteatro3.altervista.org/I-personaggi-di-Arteatro3.html|titolo=Arteatro3 s.a.s. di Luisa Borsieri|urlmorto=sì}}</ref>.
[[File:I promessi sposi - Armando Falconi.jpg|miniatura|[[Armando Falconi]] nei panni di don Abbondio nel film ''I promessi sposi'' del 1941 diretto da Mario Camerini.]]
 
==== Cinema ====
[[File:I promessi sposi - Armando Falconi.jpg|miniatura|[[Armando Falconi]] nei panni di don Abbondio nel film ''I promessi sposi'' del 1941 diretto da Mario Camerini.]]
* ''[[I promessi sposi (film 1908)|I promessi sposi]]'', [[Cinema muto|film muto]], diretto da [[Mario Morais]] (1908)<ref name="De Berti61">{{Cita|De Berti|p. 61}}.</ref>.
* ''I promessi sposi'', film muto, diretto da [[Ugo Falena]] (1911)<ref name="De Berti61"/>.
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{{vedi anche|Luoghi manzoniani}}
[[File:Castello Innominato B Vercurago.jpg|miniatura|sinistra|I resti del presunto castello dell'Innominato tra [[Vercurago]] e [[Provincia di Lecco|Lecco]].]]
Il profondo tocco realistico proprio de ''I promessi sposi'', ambientati tra il Lecchese, il Milanese e la Bergamasca, ha fatto nascere il desiderio di identificare i luoghi citati nel romanzo con alcuni castelli, palazzi o altri siti paesaggistici. Nel rione di [[Pescarenico]] a Lecco è sicura l'identificazione del convento dei cappuccini di fra Cristoforo, adiacente alla [[chiesa dei Santi Materno e Lucia]], mentre è incerta la collocazione del paesello dei due promessi sposi ([[Olate]] o [[Acquate]]); interessante anche il tentativo di individuare, da parte di [[Antonio Stoppani]], il [[palazzotto di don Rodrigo]] sullo Zucco di Olate<ref>{{Cita|Bindoni|p. 5}}</ref> e il [[castello dell'Innominato]] sulla rocca di [[Somasca]]<ref name="guida">{{Cita|''Guida dei luoghi manzoniani a Lecco''}}.</ref><ref>{{Cita|Bindoni|p. 150}}</ref>. A Monza si trova la [[chiesa di San Maurizio (Monza)|chiesa di San Maurizio]] che un tempo faceva parte del monastero di Santa Margherita, dove si svolsero realmente le vicende relative a suor Marianna de Leyva<ref>{{Cita|Fenaroli}}.</ref><ref>{{Cita|Bindoni|p. 58 e sgg.}}</ref>. A Milano, infine, il forno delle grucce di Corsia dei Servi da cui partì il tumulto di San Martino (oggi in via Vittorio Emanuele II, nº 3-5)<ref>{{Cita|Bindoni|p. 102}}</ref>, ma anche la parte del [[Lazzaretto (Milano)|Lazzaretto]] ancora oggi esistente<ref name="Ferrari">{{Cita|Ferrari}}.</ref>. Oltre ai luoghi del romanzo, si associano anche quelli legati alla memoria dello scrittore: il [[palazzo del Caleotto]] a Lecco<ref name="guida"/>, la [[villa di Brusuglio]] ([[Cormano]]), [[Casa Manzoni]] in via del Morone e la [[Chiesa di San Fedele (Milano)|chiesa di San Fedele]], dove ebbe l'infortunio che lo condusse alla morte<ref name="Ferrari"/>.
{{clear}}
 
== Note ==
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=== Bibliografiche ===
{{note strette}}
<references/>
 
== Bibliografia ==
* {{Cita libro|autore-contributo=[[Guido Baldi]]|contributo=Alla ricerca del romanzo di formazione nell'Ottocento italiano|curatore1=Maria Carla Papini|curatore2=Daniele Fioretti|curatore3=Teresa Spignoli|titolo=Il romanzo di formazione nell'Ottocento e nel Novecento|città=Pisa|editore=Edizioni ETS|anno=2007|pp=39-55|ISBN=978-88-467-1796-2|cid=Baldi}}
* {{Cita libro|autore-contributo=Eraldo Bellini|contributo=Calvino e i classici italiani (Calvino e Manzoni)|curatore1=Enrico Elli|curatore2=Giuseppe Langella|url=https://books.google.it/books?id=ysmZ67cdFKgC&pg=PA489|titolo=Studi di letteratura italiana in onore di Francesco Mattesini|città=Milano|editore=Vita e Pensiero|anno=2000|pp=489-534|ISBN=88-343-0400-4|cid=Bellini}}
* {{Cita libro|autore=Giuseppe Bindoni|titolo=La topografia del romanzo I promessi sposi|url=https://books.google.it/books?id=6igOAAAAYAAJ&newbks=1&newbks_redir=0&printsec=frontcover&hl=it#v=onepage&q&f=false|accesso=27 maggio 2025|anno=1895|editore=Enrico Rechiedei|città=Milano|volume=1-2|cid=Bindoni|SBN=LO10260210}}
* {{Cita libro|curatore1=Alberto Brasioli|curatore2=Daria Carenzi|curatore3=Clemi Acerbi|curatore4=Franco Camisasca|titolo=Incontro con I promessi sposi [di] Alessandro Manzoni|città=Bergamo|editore=Atlas|anno=2002|annooriginale=1994|ISBN=88-268-1016-8|cid=Brasioli et al.}}
* {{Cita libro|autore=[[Italo Calvino]]|sezione=I Promessi Sposi: il romanzo dei rapporti di forza|url=https://archive.org/details/unapietrasopra0000ital/page/266/mode/2up|titolo=Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società|città=Torino|editore=Einaudi|anno=1980|annooriginale=1974|pp=267-278|ISBN=88-06-49874-6|cid=Calvino}}
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* {{Cita libro|autore=[[Francesco D'Ovidio]]|titolo=Appunti per un parallelo fra Manzoni e Walter Scott. Memoria letta alla reale Accademia di scienze morali e politiche|url=https://books.google.it/books?id=TVQITwXv6Y8C&printsec=frontcover#v=onepage&q&f=false|città=Napoli|editore=Tipografia e stereotipia della regia Università|anno=1886|pp=1-30 dell'estratto|SBN=LO10261212|cid=D'Ovidio}}
* {{Cita libro|autore-contributo=Anna Escher Di Stefano|contributo=L'anima politica dell'analisi gramsciana del linguaggio|curatore=Giusi Furnari Luvarà|titolo=Filosofia e politica. Studi in onore di Girolamo Cotroneo|url=https://books.google.it/books?id=DuS9cEaTLt8C&pg=PA119|città=Soveria Mannelli|editore=Rubbettino|volume=3|anno=2005|pp=119-141|ISBN=88-498-1292-2|cid=Escher Di Stefano}}
* {{Cita libro|curatore1=Paola Fandella|curatore2=Giuseppe Langella|curatore3=Pierantonio Frare|titolo="«Questo matrimonio non s'ha da fare..."». Lettura de "«I promessi sposi"»|url=https://books.google.it/books?id=5GUBYRpxCmUC&printsec=frontcover#v=onepage&q&f=false|anno=2005|editore=Vita e Pensiero|città=Milano|ISBN=88-343-1253-8|cid=Fandella-Langella-Frare}}
* {{Cita libro|autore1=[[Giuseppe Farinelli (storico della letteratura)|Giuseppe Farinelli]]|autore2=Antonia Mazza Tonucci|autore3=Ermanno Paccagnini|titolo=La letteratura italiana dell'Ottocento|città=Roma|editore=Carocci|anno=2002|ISBN=88-430-2227-X|cid=Farinelli-Mazza Tonucci-Paccagnini}}
* {{Cita libro|autore=[[Giulio Ferroni]]|titolo=Storia della letteratura italiana|volume=vol. 3, ''Dall'Ottocento al Novecento''|città=Torino|editore=Einaudi|anno=1991|ISBN=88-06-12785-3|cid=Ferroni, 1991}}
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* {{Cita libro|autore-contributo=[[Giuseppe Langella]]|contributo=Il modello della conversione: Papini e Manzoni|titolo=Manzoni tra due secoli|città=Milano|editore=Vita e Pensiero|anno=1986|pp=165-212|ISBN=88-343-0431-4|cid=Langella, 1986}}
* {{Cita libro|autore-contributo=Giuseppe Langella|contributo=I promessi sposi e lo statuto del personaggio moderno|titolo=Incontri ingauni. I classici della letteratura italiana, 2. Manzoni. Atti del convegno (Albenga, 22-23 novembre 2013)|url=https://www.csdalbenga.it/documenti/pubblicazioni/Atti-Convegno-Manzoni-2014.pdf|curatore1=Giangiacomo Amoretti|curatore2=Giannino Balbis|città=Torino|editore=Il Capitello|anno=2014|pp=127-135|ISBN=978-88-426-9216-4|cid=Langella, 2014}}
* {{Cita libro|autore=Giuseppe Langella|curatore=Simone Magherini|titolo=«I promessi sposi», i cavalieri dell'Apocalisse e la «grande tribolazione»|anno=2018|editore=Società EdtriceEditrice Fiorentina|città=Firenze|pp=293-313|volume=1|opera=Studi di letteratura italiana in onore di [[Gino Tellini]]|ISBN=978-88-6032-454-2|cid=Langella, 2018}}
* {{Cita libro|autore=Achille Locatelli Milesi|titolo=La signora di Monza nella realtà|città=Milano|editore=Fratelli Treves editori|anno=1924|SBN=LO10259163|cid=Locatelli Milesi}}
* {{Cita libro|autore=Romano Luperini|titolo=L'eroe nella prosa del mondo: il modello romanzesco di Manzoni|collana=La scrittura e l'interpretazione: storia e antologia della letteratura italiana nel quadro della civiltà europea|anno=1998|editore=Palumbo|città=Palermo|volume=10|ISBN=88-8020-226-X|cid=Luperini}}
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== Voci correlate ==
* [[Alessandro Manzoni]]
* [[Fermo e Lucia]]
* [[Luoghi manzoniani]]
* [[Pensiero e poetica di Alessandro Manzoni]]
* [[Personaggi de I promessi sposi]]
* [[Peste del 1630]]
* [[Romanzo storico]]
* [[Traduzioni de I promessi sposi]]
* [[Fermo e Lucia]]
* [[Romanzo storico]]
* [[Luoghi manzoniani]]
* [[Peste del 1630]]
 
== Altri progetti ==
{{interprogetto|testo=Opera:I promessi sposi (1840)|testo_preposizione=de|q|q_preposizione=tratte da|b=I promessi sposi|b_oggetto=un testo di commento|b_preposizione=a|commons|etichetta=''I promessi sposi''|v=I Promessi sposi|s=}}
 
== Collegamenti esterni ==
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** {{Cita web|url=https://www.movio.beniculturali.it/dsglism/IpromessisposiinEuropaenelmondo/it/22/in-spagna|titolo=In Spagna|cid=''In Spagna''}}
** {{Cita web|url=https://www.movio.beniculturali.it/dsglism/IpromessisposiinEuropaenelmondo/it/24/in-america|titolo=In America|cid=''In America''}}
* {{Cita web|url=http://www.promessisposimusical.it/sito.htm|titolo=I promessi sposi: un musical di Tato Russo|accesso=31 dicembre 2024|cid=Tato Russo}}
* {{Cita web|url=https://www.internetculturale.it/directories/ViaggiNelTesto/manzoni/index.html|titolo=Alessandro Manzoni|autore=Massimiliano Mancini|accesso=30 marzo 2025|cid=Mancini}}
* {{Cita web|autore=Silvia Morgana, Laura Ricci|url=httphttps://www.promessisposimusicaltreccani.it/enciclopedia/lingua-dell-ottocento_(Enciclopedia-dell%27Italiano)/|titolo=SitoOttocento, ufficialelingua del musical Promessi Sposi di Tato Russodell'|editore=Treccani|cid=Morgana-Ricci|accesso=2818 giugnomaggio 20172025}}
 
{{Alessandro Manzoni}}
{{Personaggi de I promessi sposi}}
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{{Portale|letteratura|Lombardia|storia}}
 
{{Voce di qualitàvetrina|valutazione=Wikipedia:Riconoscimenti di qualità/Segnalazioni/I promessi sposi/2|arg=letteratura e linguistica|arg2=|giorno=924|mese=agostogiugno|anno=20172025}}
 
[[Categoria:Lecco]]