Beatrice d'Este: differenze tra le versioni

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{{nd}}
{{P|Lo stile della voce di enciclopedico non ha nulla, pare un misto fra un romanzo ottocentesco, un giornale di gossip e un blog di un fan piuttosto sfegatato. Per non parlare della marea di citazioni in italiano desueto che intasano la voce, appesantendola e, soprattutto, senza né contestualizzazioni né filtri di fonti secondarie moderne: pare che chi abbia scritto la voce non sia andato oltre la storiografia, ormai obsoleta, del XIX e XX secolo|biografie|settembre 2025}}
{{Monarca
|nome = Beatrice d'Este (d'Aragona)
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|luogo di morte = [[Milano]]
|luogo di sepoltura = [[Chiesa di Santa Maria delle Grazie (Milano)|Chiesa di Santa Maria delle Grazie]]
|dinastia = [[Este]] per nascita<br />[[Aragona]] per adozione<br />[[Sforza]] per matrimonio
|padre = [[Ercole I d'Este]]<br />[[Ferdinando I di Napoli|Ferrante d'Aragona]] (adottivo)
|madre = [[Eleonora d'Aragona (1450-1493)|Eleonora d'Aragona]]<br />[[Giovanna di Trastámara (1455-1517)|Giovanna d'Aragona]] (adottiva)
|consorte = [[Ludovico il Moro|Ludovico Sforza]]
|figli = [[Massimiliano Sforza|Ercole Massimiliano]]<br />[[Francesco II Sforza|Francesco]]<br/>Figlio nato morto
Un figlio morto
|religione = [[Chiesa cattolica|Cattolicesimo]]
|firma = Firma di Beatrice d'Este.png
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|fine regno4 = 2 gennaio [[1497]]
|altrititoli = [[Signore (titolo nobiliare)|Signora]] di [[Valenza (Italia)|Valenza]], [[Galliate]], [[Mortara]], [[Bassignana]], [[Cameri|Monte Imperiale]], [[Cusano]], [[Castel San Giovanni]], Pigliola, Valle di [[Lugano]]
|motto reale = {{maiuscoletto|''Ti a mi e mi a ti}} ''<ref group="A">"Quel che tu facesti a me, io faccio a te". {{Citazione|Negli arredi sacri già esistenti nella Chiesa di S. M. delle Grazie in Milano erano due paramenti di garza d'oro ne' quali il duca (Lodovico Maria) e la moglie sua (Beatrice Estense) scherzarono. Mentre cioè Lodovico faceva tessere nel Drappo alcune serrature con chiave, la moglie pose nel suo paramento un [[crivello]] scosso a due mani col motto: ''Ti a mi e mi a ti''.|{{Cita libro|titolo=Carlo Dossi|url=https://www.google.it/books/edition/Carlo_Dossi/yQtAAQAAIAAJ?hl=it&gbpv=0&bsq|anno=1999|p=1095}}}}</ref>
}}{{Citazione|Beatrice bea, vivendo, il suo consorte,<br />e lo lascia infelice alla sua morte;<br />anzi tutta l'Italia, che con lei<br />fia triunfante, e senza lei, captiva.<ref>"Cattiva" nell'accezione di "prigioniera".</ref>|[[Ludovico Ariosto]], [[Orlando Furioso]], canto 42, ottave 91-92<ref name="a 3">{{Cita libro|autore=Ludovico Ariosto|wkautore=Ludovico Ariosto|titolo=L'Orlando furioso|url=https://www.google.it/books/edition/L_Orlando_furioso_di_Lodovico_Ariosto/42lJAAAAMAAJ?hl=it&gbpv=0|anno=1839|editore=Lefevre|pp=280-281280–281}}</ref>}}
{{Bio
|Nome = Beatrice
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|Nazionalità = Italiana
|FineIncipit = soprannominata '''''Sternit''''', cioè ''Abbatte'', in riferimento alla capacità di conquistarsi il trono abbattendo ogni ostacolo,<ref>Ad Alessandro Luzio, gli Archivi di stato italiani: miscellanea di studi storici, Volume 2, F. Le Monnier, 1933, p. 384.</ref> fu [[Duca|duchessa]] di [[Ducato di Milano|Milano]] e di [[Ducato di Bari|Bari]], ''principatus socia''<ref>"collaboratrice di governo"</ref> del marito [[Ludovico il Moro|Ludovico Sforza]] ''il Moro'', secondo l'espressione dell'imperatore [[Massimiliano I d'Asburgo|Massimiliano I]].<ref name=":14" /> Fu una delle personalità più importanti del suo tempo e, nonostante la breve vita, trasse le fila della politica italiana
}} Abile [[Caccia medievale|cacciatrice]] e cavallerizza esperta,<ref name=":19">{{Cita|Luzio e Renier|pp. 112-113112–113}}.</ref> fu pratica dell'uso di diverse [[Arma|armi]],<ref name=":18">Paolo Negri, ''Studi sulla crisi italiana alla fine del secolo'', Archivio storico lombardo: giornale della Società storica lombarda, anno 51, fasc. 1-2 (1924), p. 130. Paolo Negri, ''Milano, Ferrara e Impero durante l'impresa di Carlo VIII in Italia'', Archivio Storico Lombardo, (1917 dic, Serie 5, Fascicolo 3 e 4), p. 425.</ref> «vera intrepida amazzone e animosa seguace di [[Diana]]»,<ref>Motivi storici della educazione femminile, Gian Ludovico Masetti Zannini, M. D'Auria, 1982, p. 229.</ref> ma fu anche donna di cultura, importante [[Mecenatismo|mecenate]] e capofila della moda: al fianco dell'illustre consorte, rese Milano una delle massime capitali del [[Rinascimento]].<ref name="M5">{{Cita|Malaguzzi Valeri|pp. 35-3735–37}}.</ref><ref name=":28" /> Con la propria determinazione e l'indole bellicosa, fu l'anima della resistenza milanese contro il nemico francese durante la prima delle [[Guerre d'Italia]], quando il suo [[Assedio di Novara (1495)|intervento]] valse a respingere le minacce del [[Luigi XII di Francia|duca d'Orléans]], che era sul punto di conquistare [[Milano]].<ref name="Pi">{{Cita libro|autore=Francesco Giarelli|titolo=Storia di Piacenza dalle origini ai nostri giorni|url=https://www.google.it/books/edition/Storia_di_Piacenza_dalle_origini_ai_nost/tWUpAAAAYAAJ?hl=it&gbpv=0|anno=1889|editore=V. Porta|p=292|volume=1}}{{Cita libro|autore=Francesco Pirovano|titolo=Milano, nuova descrizione. Seconda edizione|url=https://www.google.it/books/edition/Milano_nuova_descrizione_Seconda_edizion/UxxUAAAAcAAJ?hl=it&gbpv=0|anno=1830|editore=Silvestri|p=27}} {{Cita|Préchac|p. 160}}.{{Cita libro|titolo=Il mondo illustrato, giornale universale|url=https://www.google.it/books/edition/%C3%82_Il_%C3%82_mondo_illustrato_giornale_unive/66CHzULuKJwC?hl=it&gbpv=0|anno=1848|editore=G. Pomba|p=395}}{{Cita libro|titolo=Les sculpteurs italiens|url=https://books.google.it/books?redir_esc=y&hl=it&id=kNE-AAAAcAAJ&q|pp=155-156155–156}}</ref><ref name="SD">{{Cita|Maulde|221-224}}; {{Cita|Sanudo|pp. 425, 438 e 441}}.</ref>
 
«Ella mostrava il coraggio di un uomo, e quello di un uomo intrepido, di fronte al pericolo. [...] Era davvero una ''[[virago]]'', nell'onorevole senso medievale della parola. Una donna, come la definisce [[Ferdinand Gregorovius|Gregorovius]], elevata per coraggio e comprensione al di sopra del suo sesso».<ref name=":8">"A fiftheenth-century virago" in [https://archive.org/details/sim_saturday-review_1900-04-21_89_2321/page/496/mode/2up?q=%22She+was+indeed+a+virago%22&view=theater The Saturday Review 1900-04-21]: Vol 89 Iss 2321, p. 496.</ref>
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== Biografia ==
=== Infanzia ===
Nacque il 29 giugno 1475 nel [[Palazzo Municipale (Ferrara)|Palazzo Ducale di Ferrara]], secondogenita di [[Ercole I d'Este|Ercole I d'Este, duca di Ferrara]] e della [[Eleonora d'Aragona (1450-1493)|principessa Eleonora d'Aragona]]. Il duca desiderava ardentemente un erede maschio, pertanto la sua nascita fu accolta come una disgrazia.<ref>{{Cita|Mazzeri|pp. 6-86–8}}; {{Cita|Cartwright|pp. 4-54–5}}.</ref>
 
==== Infanzia napoletana (1477-1485) ====
[[File:Beatrice d'Este di Cosmè Tura.jpg|thumb|Beatrice all'età di dieci anni nel ritratto di [[Cosmè Tura]], 1485|sinistra|264x264px]]
All'età di due anni venne condotta dalla madre alla corte aragonese di Napoli, in occasione del secondo matrimonio del nonno re [[Ferdinando I di Napoli|Ferrante d'Aragona]] con [[Giovanna di Trastámara (1455-1517)|Giovanna d'Aragona]]. Qui Eleonora diede alla luce il quartogenito [[Ferrante d'Este|Ferrante]] e quando, meno di un mese dopo, rientrò a Ferrara, decise di portare con sé soltanto la primogenita [[Isabella d'Este|Isabella]], in quanto il padre Ferrante la convinse a lasciare a Napoli sia il neonato sia Beatrice, della quale si era mostrato sin da subito innamoratissimo.<ref name="MZ">{{Cita|Mazzi|pp. 44-5144–51}}.</ref>
 
Beatrice visse così nella città partenopea per otto anni, affidata alle cure della [[balia]] Serena, che le rimarrà accanto per tutta la vita. Ferrante la considerava una "medesma cosa"<ref>{{Cita|Giordano|p. 30}}.</ref> con l'infanta [[Giovanna d'Aragona (1478-1518)|Giovannella]] sua figlia, tanto che l'ambasciatore estense scriveva nel 1479 alla madre Eleonora che il padre le avrebbe pure restituito il figlio maschio, adesso che era più grandicello, ma non Beatrice, poiché «la maiestate sua vole maritarla e tenerla per sé».<ref name="MZ" /> Formalmente [[Adozione|adottata]] dal nonno, la bambina in quegli anni arrivò a firmarsi semplicemente "donna Beatrice de Aragonia" e imparò a esprimersi in un miscuglio di [[Lingua catalana|catalano]], [[Lingua spagnola|castigliano]] e [[Italiano regionale|italiano]].<ref name="MZ" /><ref name=":24">{{Cita|Prisco|pp. 355-362355–362}}.</ref>[[File:Busto di Beatrice d'Este 32.png|sinistra|miniatura|[[Busto di Beatrice d'Este]] fanciulla|273x273px]]Destava stupore la sua compostezza e precocità d'intelletto, poiché già a quattro anni dimostrò, durante una messa solenne, di conoscere perfettamente il cerimoniale di corte, tanto che "ogniuno domandava de quella puta [bambina] per la grande meraviglia che ogniuno se ne faceva". A meno di cinque anni dimostrava già tutta l'orgogliosa fierezza che l'avrebbe contraddistinta da adulta quando, nella sua prima lettera alla madre, lamentava il disinteresse dei genitori nei propri confronti: "Signora mia, credo che io non sia [[Figlio naturale|bastarda]] et peiore delli altri fillioli de Vostra Illustrissima Signoria".<ref name="MZ" /><ref name=":24" /> Era particolarmente legata al vecchio conte [[Diomede I Carafa|Diomede Carafa]], già precettore di sua madre, che diceva di amare e che chiamava teneramente "el conte bello".<ref name=":21">{{Cita|Prisco|pp. 363-365363–365}}.</ref> Questi descriveva i piccoli d'Este come due perle, ma la sua predilezione era tutta per Beatrice, la quale, diceva a Eleonora, "ey [è] lo mio spasso, che a pena me sente che me vene ad trovare et me c[h]iama ''lo Signor comte mio bello''. Se io l’amo la Signoria Vostra lo pò penzare".<ref name=":23">[https://ses.library.usyd.edu.au/handle/2123/8748 Affection and loyalty in an Italian dynastic marriage], Bryant, Diana Rowlands, pp. 247 e 319.</ref>
 
==== Proposte matrimoniali ====
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==== Traumatica separazione da Napoli ====
[[File:Guido mazzoni (modena), busto di Ferrante I o alfonso d'aragona duca di calabria, inizio del XVI sec, AM10527.JPG|thumb|Busto di [[Ferrante d'Aragona]]|216x216px]]Al principio del 1485 Ludovico insistette coi suoceri affinché Beatrice gli fosse mandata a Milano, così da poterla educare a suo modo. A dispetto della disponibilità dei genitori, re Ferrante gliela negò con "buone et vive ragioni", dicendo che aveva soltanto dieci anni, che l'aveva presa per figlia e che non era pronta per le nozze. Temeva infatti che il Moro volesse consumare precocemente il matrimonio. Quest'ultimo si accontentò pertanto che la bambina rientrasse quantomeno a Ferrara, affinché fosse educata in una corte più consona al suo ruolo e con la scusa di poterla più facilmente visitare (cosa che poi non fece mai). Non fu mai chiara la ragione di tanta insistenza, ma i milanesi avevano senz'altro una pessima opinione dei napoletani, ed era nota la perversione di re Ferrante. Questi insistette ugualmente a negargliela, adducendo fra le varie motivazioni che, se Ludovico fosse morto precocemente, il padre non sarebbe stato in grado, come lui, di trovarle un buon marito. Si offrì perfino di farle la [[Dote (diritto)|dote]] al suo posto, pur di convincerli a desistere.<ref>''Corrispondenza degli ambasciatori fiorentini a Napoli: Giovanni Lanfredini (13 aprile 1484-9 maggio 1485)'', Francesco Senatore, 2002, p. 149.</ref><ref name=":22">{{Cita|Prisco|pp. 365-374365–374}}.</ref>
 
Ludovico, adirato, arrivò a minacciare lo scioglimento delle promesse nuziali: ciò non turbò Ferrante, pronto a trovarle un partito migliore; turbò invece grandemente i genitori, bisognosi dei favori del Moro. Eleonora supplicò accoratamente il padre di restituirle la figlia, cosicché, dopo mesi di trattative, Ferrante accettò a malincuore di separarsene.<ref group="A">{{Cita|Giordano|pp. 30-3130–31}}; «Si capisce che il nonno Ferdinando, di sentimenti affettuosi verso i suoi più di quanto non lasci supporre l'indole sua, quale ci è dipinta dagli storici, non aveva voluto separarsi dalla nipotina [...]» ({{Cita|Zambotti|p. 167}}).</ref> Pentito e a tratti riluttante, egli ritardò, con vari pretesti, di altri due mesi la partenza, che avvenne nondimeno ai primi di settembre: Beatrice partì tra il compianto generale dei parenti e dell'intera città di Napoli. Inconsolabili furono la regina [[Giovanna di Trastámara (1455-1517)|Giovanna]] e l'infanta [[Giovanna d'Aragona (1479-1518)|Giovannella]], per lei una madre e una sorella, il fratellino [[Ferrante d'Este|Ferrante]], che "lacrimava cym tanti singulti", e lo stesso Diomede Carafa. Più forte si mostrò re Ferrante: egli l'accompagnò tenendola per mano, poi a cavallo, per una parte del tragitto, infine la salutò "abrazandola et basandola, et dicendoli alcune molto benigne et filiale parole", benché Beatrice piangesse disperatamente.<ref name=":22" /> Subito dopo la sua partenza, egli scrisse amareggiato alla figlia Eleonora: «Dio sa quanto ne è rencresciuto, per lo singulare amore li portavamo per le virtù sue [...] che videndo epsa et havendola in casa ne pareva haverce vui».<ref name="MZ" />
 
==== Adolescenza ferrarese (1485-1490) ====
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=== A Milano (1491-1497) ===
==== Le nozze ====
Il 29 dicembre 1490 Beatrice lasciò Ferrara accompagnata dalla madre Eleonora, dal fratello [[Alfonso I d'Este|Alfonso]], dallo zio [[Sigismondo I d'Este|Sigismondo]] e da un corteo di nobili e damigelle. A causa dell'inverno particolarmente rigido il [[Po]] era ghiacciato e si dovette ricorrere all'uso di lilze fino a [[Brescello]], dove [[Galeazzo Visconti (1455-1531)|Galeazzo Visconti]] li raggiunse con la flotta sforzesca. Il 16 gennaio 1491 approdarono a [[Pavia]], calorosamente accolti da Ludovico, e il 18 furono celebrate le nozze nel [[Castello Visconteo (Pavia)|castello]].<ref>{{Cita|Cartwright|pp. 51-6551–65}}.</ref> Tra il 26 e il 28 gennaio si tenne a Milano una spettacolare [[Giostra cavalleresca|giostra]] cui parteciparono un gran numero di personalità illustri con vesti e armature dalle fogge stravaganti. Essa vide quale vincitore [[Galeazzo Sanseverino]], genero di Ludovico e [[capitano generale]] sforzesco.<ref>{{Cita|Luzio e Renier|pp. 13-1713–17}}.</ref> Quest'ultimo fu una delle persone più care che Beatrice ebbe a Milano,<ref>{{Cita|Cartwright|pp. 39 e 71-73}}.</ref> insieme a [[Bianca Giovanna Sforza|Bianca Giovanna]], figlia illegittima del marito e moglie del suddetto Galeazzo, all'epoca ancora bambina, ch'ella voleva con sé in ogni occasione.<ref>{{Cita|Malaguzzi Valeri|p. 465}}.</ref>[[File:Ludovico Sforza by G.A. de Predis (Donatus Grammatica) - photoshoped.jpg|thumb|[[Ludovico il Moro|Ludovico Sforza]], 1496|282x282px]]Il matrimonio fu dichiarato subito consumato, in verità rimase segretamente in bianco per oltre un mese:<ref name=":3">{{Cita|Pizzagalli|p. 119}}.</ref> Beatrice, inizialmente entusiasta all'idea delle nozze, all'arrivo a Pavia s'era fatta improvvisamente schiva e silenziosa; "mezza persa" la definisce l'ambasciatore estense [[Giacomo Trotti]].<ref name=":20">{{Cita|Giordano|pp. 33-3533–35}}.</ref> Ella non provava alcuna attrazione verso il trentottenne marito e si ribellava a ogni suo tentativo di possederla, ma se Ludovico ebbe rispetto dell'innocenza della sposa quindicenne e non volle forzarla, attendendo con pazienza che fosse disposta a concedersi spontaneamente, i duchi di Ferrara premevano invece per affrettare la consumazione: solo così il matrimonio sarebbe stato ritenuto valido, viceversa era passibile di [[Annullamento del matrimonio|annullamento]], con grave disonore della famiglia.<ref name="MT" />
 
Ludovico aveva optato per una strategia seduttiva, e univa a carezze e baci anche ricchissimi doni quotidiani.<ref name=":3" /> Malgrado l'impegno profuso nell'avvezzarla ai giochi amorosi, però, Beatrice restava "in superlativo vergognosa"<ref name="MT">{{Cita|Mazzi|pp. 59-6259–62}}.</ref> e ancora a metà febbraio Ludovico non era riuscito a concludere nulla: se ne lamentava con l'ambasciatore Trotti, dicendo d'essersi visto costretto a sfogarsi con [[Cecilia Gallerani|Cecilia]], «poiché sua molgere [moglie] cussì voleva, per non volere stare ferma»,<ref name=":1">{{Cita|Malaguzzi Valeri|pp. 505-506505–506}}.</ref> e che quando andava nel suo letto ella "mostrava non il sentire, fingendo de dormire, dicendome che la sta salvaticha et vergognosa pure al sollito".<ref name=":34">Letters Between Mothers and Daughters, Barbara Caine, Taylor & Francis, 2018, nota 29 e altro.</ref> L'ambasciatore a sua volta rimproverava Beatrice della sua [[frigidità]] e la invitava a mettere «da canto tanta vergogna», ma senza troppo successo, in quanto ella gli si mostrava «un poco selvaggetta».<ref name=":35">{{Cita|Pizzagalli|p. 120}}.</ref>
[[File:Lunetta_Beatrice_d'Este.jpg|sinistra|miniatura|236x236px|Lunetta di Beatrice in [[Casa Atellani|Palazzo degli Atellani]], inizi XVI secolo, attr. [[Bernardino Luini]]]]
Neppure le continue pressioni esercitate dal padre sulla figlia ebbero effetto. La vicinanza del marito le causava infatti una incredibile angoscia: ella scriveva alla madre di essersi sforzata di mostrarglisi allegra più che aveva potuto, ma solo per obbedire ai suoi comandi.<ref name=":20" /> La situazione si risolse infine spontaneamente poco dopo, quando nel marzo-aprile le lettere di lamentele del Trotti si trasformarono in elogi rivolti dal Moro alla moglie.<ref name="MT" /> Adesso egli dichiarava di non pensare più a Cecilia, ma solo a Beatrice, «a la quale el vole tutto il suo bene, et de epsa piglia gran piacere per li suoi costumi et bone maniere», lodandola perché «oltre che la era lieta de natura, la era tuta incigno [ingegno]<ref>{{Cita|Uzielli|p. 27}}.</ref> et molto piacevolina et non mancho modesta».<ref name=":1" /> Anche le lettere di Beatrice cambiarono tono ed ella si mostrava ormai soddisfattissima, forse anche innamorata, del marito che il padre le aveva scelto.<ref name="GD" />
 
==== Rivalità con la cugina ====
Pur essendo solamente reggente, fin dal 1480 Ludovico governava Milano come signore assoluto: gli mancava tuttavia una discendenza legittima che gli permettesse di scalzare il nipote [[Gian Galeazzo Maria Sforza|Gian Galeazzo]] dal trono. Nel dicembre 1491 egli condusse la moglie a vedere il [[Tesoro]] dello Stato, ammontante a ben un milione e mezzo di [[Ducato (moneta)|ducati]],<ref>{{Cita|Malaguzzi Valeri|p. 488}}.</ref> e le promise che, se gli avesse dato un figlio maschio, l'avrebbe resa signora e padrona di tutto; viceversa, morendo lui, le sarebbe rimasto ben poco.<ref>{{Cita|Giordano|pp. 66-6766–67}}.</ref> Effetto fu che, già nel gennaio 1492, Beatrice predisse all'ambasciatore fiorentino che entro un anno lei e il marito sarebbero stati duchi di Milano, e l'ostilità fra lei e la cugina [[Isabella d'Aragona (1470-1524)|Isabella d'Aragona]], moglie di Gian Galeazzo, si fece intensissima. Beatrice era infatti trattata come la vera duchessa, né Isabella, "rabiosa et disperata de invidia", poteva sopportare di vedersi superata in tutti gli onori dalla cugina.<ref name=":322">{{Cita|Negri|pp. 20-2620–26}}.</ref>{{Doppia immagine|right|Massimiliano Sforza by G.A. de Predis (Donatus Grammatica) photoshoped.jpg|191|Francesco II Sforza.jpeg|164|Figli di Beatrice: a sinistra il primogenito [[Massimiliano Sforza|Ercole Massimiliano]], a destra il secondogenito [[Francesco II Sforza|Francesco]]}}
 
Dopo un anno trascorso spensieratamente fra molti divertimenti, Beatrice si trovò in attesa di un figlio. Non per questo interruppe passatempi violenti e pericolosi quale la caccia,<ref name="Ci" /> tuttavia nell'ottobre-novembre 1492 un grave attacco di [[Malaria|febbri malariche]] mise a rischio sia la madre che il nascituro.<ref name="Ci">{{Cita|Cartwright|pp. 144-145144–145}}.</ref> Assistita continuamente dall'amoroso marito, Beatrice si ristabilì in tempo per il parto. Nel gennaio 1493 [[Eleonora d'Aragona (1450-1493)|Eleonora d'Aragona]] tornò a Milano per assisterla e portò con sé comare Frasina, la [[Ostetrica|levatrice]] di famiglia, con l'aiuto della quale, il 25 gennaio, Beatrice diede alla luce il primogenito [[Massimiliano Sforza|Ercole Massimiliano]]. Il parto fu semplice e veloce ed ella non ne risentì affatto.<ref name="GO">{{Cita|Giordano|pp. 118-120118–120}}.</ref>
 
Sua preoccupazione primaria fu da quel momento assicurare al figlio la successione al ducato di Milano, il quale spettava però in via legittima al [[Francesco Maria Sforza|figlio]] di sua cugina Isabella, al cui scopo persuase il marito a nominare il piccolo Massimiliano [[conte di Pavia]], titolo spettante esclusivamente all'erede al ducato. Isabella, capendo le intenzioni dei coniugi, scrisse al padre [[Alfonso II di Napoli|Alfonso]] un'accorata richiesta di aiuto. Re [[Ferdinando I di Napoli|Ferrante]], tuttavia, non aveva alcuna intenzione di scatenare una guerra, anzi dichiarava di amare entrambe le nipoti alla stessa maniera e le invitava alla prudenza, cosicché la situazione rimase stabile sino a che il re fu in vita.<ref>{{Cita|Dina|p. 328}}.</ref>
==== Missione diplomatica a Venezia ====
Nel maggio 1493 Ludovico decise di inviare la moglie quale sua [[Ambasciatore|ambasciatrice]] a Venezia, al fine di ottenere l'appoggio della [[Repubblica di Venezia|Serenissima]] alla sua legittimazione quale duca di Milano. Egli puntava così a saggiare le intenzioni della Repubblica, mentre concludeva gli accordi con l'imperatore [[Massimiliano I d'Asburgo|Massimiliano d'Asburgo]] e gli concedeva in sposa la nipote [[Bianca Maria Sforza]], accompagnata da una favolosa dote di {{formatnum:300000}} ducati d'oro, più altri {{formatnum:100000}} per l'investitura ducale.<ref name="Ct">{{Cita|Cartwright|pp. 166-181166–181}}.</ref>
 
La missione era molto delicata: in apparenza quella di Beatrice era una banale visita di rappresentanza, per congratularsi della lega appena conclusa; in verità ella avrebbe dovuto trattare col [[Consiglio dei Pregadi|Senato]], da sola, questioni politiche segretissime, ignote ai suoi stessi familiari e cortigiani.<ref name="DBI" /> I coniugi passarono prima per Ferrara, festosamente accolti dai duchi. [[Isabella d'Este]], per non sfigurare al confronto con la sorella, lasciò Ferrara prima del loro arrivo per recarsi in anticipo a Venezia. Il 25 maggio Beatrice partì accompagnata dalla madre Eleonora, dal fratello Alfonso e da vari segretari e consiglieri, con un seguito di più di {{formatnum:1200}} persone.<ref>{{Cita|Luzio e Renier|pp. 72-7372–73}}.</ref>
 
Essi navigarono su un mare pericolosamente mosso che suscitò parecchi timori fra i presenti, ma non in Beatrice, la quale si divertì a sbeffeggiare i paurosi della comitiva: "arrivassimo al porto de [[Chioggia|Chioza]], dove cominzando [a] ballare le nave, io haveva grande piacere a vederle, [...] ma [...] li fu in la compagnia [di quelli] che temetteno molto bene", avvisando il marito che la maggior parte dette di stomaco. La mattina del 27 maggio sbarcarono presso [[San Clemente (isola)|San Clemente]], dove Beatrice trovò il doge ad attenderla. Questi la sollecitò a salire bordo del [[Bucintoro]], che si diresse verso il [[Canal Grande]]. Nei giorni seguenti venne invitata a un'adunanza del [[Maggior Consiglio]], a una sontuosa colazione a [[Palazzo Ducale (Venezia)|Palazzo Ducale]], visitò l'[[Arsenale di Venezia|Arsenale]], [[Murano]], la [[basilica di San Marco]] e il [[Tesoro di San Marco|Tesoro]].<ref name="Ct" />{{Approfondimento
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}}
 
Finalmente, il 30 maggio, ricevette segretamente nella propria camera tre oratori deputati dalla Signoria e, fatti uscire tutti i propri gentiluomini e segretari, rimase da sola con loro,<ref>{{Cita|Giordano|p. 52}}.</ref> dicendo di volere che "el tuto fosse tenuto segretissimo segondo la importantia sua". Presentò allora un memoriale, consegnatole dal marito prima della partenza, col quale egli comunicava, fra le altre cose, le sue pratiche con l'imperatore per l'ottenimento dell'investitura al ducato di Milano. Dopodiché mostrò una seconda lettera del marito, appena giuntale da [[Delizia di Belriguardo|Belriguardo]], dicendo "questa è mo più gagliarda": con essa annunciava infatti la ferma intenzione di [[Carlo VIII di Francia|Carlo VIII]] di compiere l'impresa contro il regno di Napoli e di nominare Ludovico capo e conduttore di detta impresa. Egli desiderava dunque conoscere il parere della Signoria, chiedendo che fosse comunicato alla moglie prima della sua partenza da Venezia, altrimenti a lui stesso quando fosse giunto a Milano.<ref>Die Beziehungen der Mediceer zu Frankreich, während der Jahre 1434-1490, B. Buser, 1879, pp. 540-543.</ref> I veneziani le risposero che quanto riferito era assai grave e si limitarono a vaghe rassicurazioni.<ref name=":4">{{Cita libro|autore=Samuele Romanin|titolo=Strenna Italiana|url=https://books.google.it/books?id=K9VUAAAAcAAJ&pg=PA131&dq|pp=137-139137–139|volume=19}}</ref>
 
Delusa dall'esito della missione, Beatrice tentò, di sua iniziativa, un'ultima mossa: nel congedarsi dal doge, gli fece presente che, sebbene gli affari fossero trattati a nome di Gian Galeazzo, era suo marito a governare a piacimento e ad avere in mano le fortezze e le finanze del ducato, tanto da potersi ritenere l'unico vero padrone della Lombardia. Anche stavolta, tuttavia, ricevette una risposta evasiva dal doge, che non volle compromettersi.<ref>{{Cita|Romanin|p. 24}}.</ref> Fu comunque lodata come donna "de grande ingenio accompagnato da prudentia et laudabili modi".<ref>{{Cita|Malaguzzi Valeri|p. 54}}.</ref> La missione del resto partiva già con poche speranze di successo, poiché fin dall'inizio la Repubblica non intendeva appoggiare Ludovico.<ref>{{Cita|Cartwright|pp. 185-192185–192}}.</ref>
 
{{Citazione|Che questo sfogo di sontuosa passione, non più dei suoi scoppi di giocosità infantile, non ci inganni però sul suo vero carattere. Beatrice non va presa per una bambola travestita da diplomatico, un semplice burattino nelle mani del Moro. C'è, in lei, una vera [[statista]]. Quando, per caso, l'impresario lascia scivolare i suoi fili, quando lui stesso non sa più che ruolo giocare, lei agisce tutta sola, agisce al suo posto, e agisce bene. Lo si vide chiaramente due anni dopo, nel giugno 1495 [...]|[[Robert de La Sizeranne]], Béatrice d'Este et sa cour, 1920, p. 53}}
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Nel luglio Beatrice, di nuovo incinta, accolse a Milano il duca [[Luigi XII di Francia|Luigi d'Orléans]], cugino del re, il quale giungeva in Italia con le avanguardie dell'armata francese; quindi, l'11 settembre, si recò in Asti per incontrare Carlo VIII in persona. I due furono accolti con grandi tripudi e feste, e pretesero entrambi, secondo l'usanza francese, di baciare sulla bocca la duchessa e tutte le belle damigelle del suo seguito.<ref name="MV">{{Cita|Malaguzzi Valeri|pp. 48 e 564}}.</ref> Questa usanza di "baxare et tochare" le donne altrui destò inizialmente qualche fastidio negli italiani, che non vi si abituarono mai volentieri. Ciò malgrado Beatrice invitò anche la [[Isabella d'Este|sorella]] a venire a baciare il conte [[Gilberto di Borbone-Montpensier|Gilberto di Borbone]] e altri che presto sarebbero giunti.<ref>{{Cita|Luzio e Renier|p. 97}}.</ref>
 
Re [[Carlo VIII di Francia|Carlo]], in particolare, ne rimase grandemente affascinato: prese singolare diletto nel vederla danzare e ne richiese un ritratto,<ref name="MV" /> occupandosi personalmente di procurare il pittore ([[Jean Perréal]]) e una ventina di abiti per vedere quale stesse meglio indosso a Beatrice, la quale era "più bella che la fusse may".<ref>{{Cita libro|autore=Alessandro Luzio|titolo=Isabella d'Este e i Borgia|url=https://archive.org/details/archiviostoricol41sociuoft/page/850/mode/2up?q|p=485}}</ref> Anche i rapporti fra la duchessa e [[Luigi XII di Francia|Luigi d'Orléans]] si mantennero all'inizio estremamente galanti, e i due si scambiavano di frequente regali accompagnati da bigliettini affettuosi.<ref>{{Cita|Maulde|67 e 101}}.</ref> Ludovico non se ne mostrava geloso: diverso fu il caso dell'''irresistibile'' [[Bertrando di Beauvau|signore di Beauvau]], combattente "valoroso e audace" e molto amato dalle donne, che palesava un eccessivo "entusiasmo" nei confronti di Beatrice. Secondo alcuni storici fu per questa ragione che Ludovico, offeso dall'assiduo corteggiamento del cavaliere, approfittò di una malattia di re Carlo per allontanare la moglie da Asti, la quale in effetti si ritirò nel vicino castello di [[Castellocastello di Annone|Annone]], mentre egli continuava da solo a recarsi ogni giorno ad Asti.<ref name=":26">{{Cita|Maulde|83 e 84}}; Pierre de Lesconvel, Anecdotes secretes des règnes de Charles VIII et de Louis XII (Paris, 1711), p. 50; ''Charles VIII et son milieu,'' Yvonne Labande-Mailfert, Klincksieck, 1975, p. 281-282; {{Cita|Sanudo|pp. 87 e 90}}.</ref>
 
{{Citazione|La principessa ai suoi occhi [di Carlo] era sembrata molto amabile, egli le diede il ballo; Ludovico non era così preoccupato per questo come per gli entusiasmi del sire di Beauveau nei confronti della principessa sua moglie: Beauvau era il signore della corte di Carlo VIII, il più propenso a farsi rapidamente amare dalle donne; egli aveva l'audacia di voler compiacere la principessa. Ludovico, che se ne accorse, vedendo che i francesi avevano l'ardire di aggredire la gloria di un principe il quale, benché non avesse ancora la qualità di sovrano, ne aveva tutta l'autorità, si congedò dal re, e si ritirò in un castello a due passi da Asti, dove ogni giorno il Consiglio del Re andava a trovarlo.|Pierre de Lesconvel, Anecdotes secretes des règnes de Charles VIII et de Louis XII.}}{{Approfondimento
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|titolo = La duchessa agli occhi dei francesi
|contenuto = [[File:La_Lombarde,_Les_dictz_des_femmes_de_diverses_nations.jpeg|sinistra|miniatura|249x249px|''La Lombarda'', dal manoscritto ''Les dictz des femmes de diverses nations''.]]
L'esuberanza di Beatrice colpì molto la fantasia dei francesi, tanto da entrare a far parte del loro immaginario culturale. Un anonimo poeta francese del tempo, compiendo una rassegna "delle donne di diverse nazioni", l'avrebbe rappresentata addirittura due volte: la prima, in maniera implicita, come ''La Lombarda''; la seconda, in maniera esplicita, come la ''duchesse de Bar.''<ref name=":77">{{Cita|Maulde|pp. 77-7877–78}}.</ref>
 
La Lombarda è dipinta come una donna civettuola e baldanzosa, pur tenuta a freno dal geloso marito, che delude perciò le aspettative dei francesi, e specialmente del suo rivale in amore, l'''amy privée'': "Se donna al mondo ha il cuore franco e gaio, / io milanese in questo fatto ho fama, / più che null'altro ha il mio amico segreto, / ma il geloso mi tiene tanto a bada, / che dei francesi l'attesa è gravata".<ref name=":77" />
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==== L'investitura ducale ====
Nel frattempo il 21 ottobre 1494 moriva il legittimo duca [[Gian Galeazzo Maria Sforza|Gian Galeazzo]] e Ludovico otteneva per acclamazione del senato che il titolo ducale passasse a lui e ai suoi discendenti legittimi, scavalcando così nella successione il figlio maschio che Gian Galeazzo lasciava. Tre giorni dopo, pur essendo al sesto mese di gravidanza, Beatrice accompagnò il marito al campo militare francese presso [[Fornovo di Taro|Fornovo]] e poi seguì l'esercito fino in Toscana.<ref name=":102">{{Cita|Sanudo|pp. 100-105100–105}}.</ref> Qui, sdegnato dall'alterigia del re, Ludovico maturò la decisione di staccarsi dall'alleanza francese per formare con le altre potenze italiane una Lega atta a scacciare gli stranieri dalla penisola. Rientrata a Milano, e assistita dalla sorella, Beatrice partorì il 4 febbraio 1495 il secondogenito [[Francesco II Sforza|Francesco]], ma i tempi di guerra non concedevano tregua ed ella, che non si era fermata fino al giorno del parto, si concesse poi appena un paio di settimane di riposo prima di tornare alle consuete attività, cosa che meravigliò l'intera corte.<ref>{{Cita|Oratori mantovani|pp. 82 e 115}}.</ref> L'investitura ufficiale da parte dell'imperatore arrivò il 26 maggio, e fu solennizzata da una grande cerimonia in [[Duomo di Milano|Duomo]].<ref name=":142">{{Cita|Santoro|pp. 306-312306–312}}.</ref>
 
Fu in questo contesto che Beatrice, ormai ventenne, giunse alla sua piena maturazione politica. Ludovico, che aveva passato i quaranta, era avviato verso la decadenza fisica e mentale: la sua strategia altalenante aveva rivelato tutte le sue debolezze e contraddizioni, e Beatrice si rese conto che non sempre le sue scelte erano improntate a lungimiranza: "senza che nessuno dei due lo ammettesse a parole, il rapporto tra Beatrice e il marito cambiò; L'attrazione fisica, che si era affievolita negli ultimi tempi, lasciò il posto a un legame interiore più sottile, nel quale le mancanze di Ludovico venivano colmate dalla moglie". Man mano che si acuivano i tentennamenti dell'uno, aumentava il prestigio a corte dell'altra.<ref name=":6">{{Cita|Alberti de Mazzeri|pp. 156-158156–158}}.</ref>
 
=== L'assedio di Novara ===
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A causa però delle gravi spese sostenute per l'investitura, lo Stato era sull'orlo del tracollo finanziario e non v'erano soldi per mantenere l'esercito; si temeva una rivolta popolare. Scrive il [[Filippo de Commynes|Comines]] che, se il duca d'Orléans avesse avanzato solo di cento passi, l'esercito milanese avrebbe ripassato il [[Ticino (fiume)|Ticino]], ed egli sarebbe riuscito ad entrare a Milano, poiché alcuni nobili cittadini si erano offerti di introdurvelo.<ref name=":2">{{Cita|Dina|p. 366}}.</ref> A questo punto le fonti divergono: secondo il cronista [[Domenico Malipiero|Malipiero]], Ludovico non resse alla tensione e fu colpito, pare, da un [[ictus]] che lo lasciò per breve tempo paralizzato: "El Duca de Milan ha perso i sentimenti, se abandona sé mede[s]mo".<ref>{{Cita|Malipiero|pp. 347 e 351}}.</ref>
 
Beatrice si trovò pertanto da sola a fronteggiare il grave pericolo. Riuscì comunque a destreggiarsi egregiamente: si assicurò l'appoggio e la fedeltà dei nobili milanesi, prese i necessari provvedimenti per la difesa e abolì alcune tasse in odio al popolo.<ref name=":2" /><ref name=":25">{{Cita|Cartwright|pp. 243-244243–244}}.</ref> Da Bernardino Zambotti sappiamo che il marito la nominò ufficialmente [[Governatore|governatrice]] di Milano insieme al di lei fratello [[Alfonso I d'Este|Alfonso]],<ref>{{Cita|Zambotti|p. 252}}.</ref> il quale cadde però ben presto ammalato di [[sifilide]]. Una lettera di Beatrice del 17 luglio testimonia in effetti di una grave malattia di Ludovico,<ref>L'Orlando furioso e la rinascenza a Ferrara, Giulio Bertoni, 1919, p. 344.</ref> ma dalle fonti milanesi risulta che ancora a fine giugno egli fosse sano e che continuasse a riunire egli il consiglio e a prendere i provvedimenti, sebbene fosse disperato e a ogni occasione si ritirasse in un angolo a piangere e a dolersi "de questa soa desgratia et adversa fortuna".<ref name=":110" /> Secondo [[Francesco Guicciardini]], la sua unica malattia era la paura.<ref name=":172">{{Cita|Guicciardini|p. 191}}.</ref>
 
{{Citazione|Luigi duca d'Orleans [...] in pochi giorni preparò un abbastanza bell'esercito, con il quale entrò a Novara e quella prese, e in pochi giorni parimenti ebbe il castello, la quale cosa arrecò grande paura a Ludovico Sforza e fu poco presso alla disperazione per la sua sorte, se non fosse stato riconfortato da Beatrice sua moglie [...] O poca gloria di un principe, al quale bisogna che la virtù di una donna gli doni il coraggio e gli faccia la guerra, per la salvezza del dominio!|Cronaca di Genova scritta in francese da Alessandro Salvago, tipografia del R. Istituto de' sordo-muti, 1879, pp. 71-72}}
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L'imperatore Massimiliano, che non conosceva ancora Beatrice, e che forse ne aveva intuito l'influenza, suggerì al Moro di confinarla con le sue dame a [[Cremona]], poiché le donne "multe volte sono causa de la perdita de le forteze", ma Ludovico non gli diede retta.<ref name=":6" /><ref name=":25" /> Si vociferava intanto che il duca [[Ercole I d'Este|Ercole]] non volesse il recupero di Novara, essendo in combutta coi francesi, e insieme ai fiorentini sovvenisse segretamente l'Orléans, e che alcuni condottieri sforzeschi - fra cui [[Gaspare Sanseverino|Fracasso]], caposaldo dell'esercito - facessero il doppio gioco col re di Francia.<ref>{{Cita|Malipiero|p. 389}}.</ref>
 
Beatrice fin da maggio aveva, con suppliche e minacce, richiesto aiuti economici e militari al padre Ercole il quale, per non esporsi, acconsentì a mandare soltanto il denaro, ma rifiutò d'inviare uomini d'arme.<ref name=":14">{{Cita|Mazzi|pp. 67-7067–70}}.</ref><ref name=":15" /> Di fronte alla prospettiva di perdere lo Stato, il 14 giugno Beatrice mandò a chiamare l'ambasciatore [[Giacomo Trotti]] e "cum le lacrime a li occhi" lo pregò di scrivere immediatamente all'Eccellenza di suo padre, "pregandola, supplicandola et scongiurandola per viscera Virginis Marie, quando le preghiere de altri non valgano, che in questo turbilentissimo et dolendo affanno la voglia per Dio et per la Croce compiacere, suo marito et lei, di tuti li [[Cavalleggero|cavali legeri]] et de magiore numero che la pote", ma Ercole si mostrò sordo a ogni richiesta.<ref name=":110">Gli Sforza a Milano, Cassa di risparmio delle provincie lombarde, 1978, pp. 85-88.</ref>
 
Più che la parentela, si rivelò perciò fruttuosa l'alleanza con Venezia, che mandò subito in soccorso [[Bernardo Contarini]], [[Provveditore (Repubblica di Venezia)|provveditore]] degli [[stradioti]], il quale giunse il 21 giugno. Beatrice comprese la necessità di una dimostrazione di forza che infondesse coraggio nei milanesi, ma poiché [[Galeazzo Sanseverino]], suo [[capitano generale]], indugiava, e Ludovico non era intenzionato a muoversi da Milano, ella decise di agire da sola: il 27 giugno sfilò a cavallo, in pompa magna, per le strade della città, al fine di placare l'ostilità del popolo e di ricordare loro che avevano ancora un capo. Poi, la notte, si recò da sola all'[[Accampamento|accampamento militare]] di Vigevano per supervisionarne l'ordine e animare i capitani contro il francese, nonostante il duca d'Orléans per tutto il giorno facesse scorrerie in quella zona. La cosa fu però malvista dai soldati, i quali non comprendevano perché si fosse presentata in campo la moglie, mentre il marito restava al sicuro in castello e da lì faceva i suoi provvedimenti:<ref name="SD" />
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{{Citazione|A hore due di notte, li [[tedeschi|elemani]] ducheschi si levò a romor con li italiani; unde tutto el campo si messe in arme, et maxime el nostro. Fo per un'hora gran tumulto, morti de tutte do parti [...] et el Marchexe de Mantoa, nostro capetanio, volendo reparar a questi se amazavano, disse al Ducha: "Signor, venite a remediar". Il Ducha rispose: "Ma, mia moier..." Et il Marchexe rispose: "Mettetila ne li forzieri!" etc. Et dicitur fo tanti morti in questa baruffa, che fo cargi 7 carri de corpi, et mandati a sepelir.|Marin Sanudo, La spedizione di Carlo VIII in Italia<ref name="Nu" />}}
 
Poiché i tedeschi volevano fare "crudelissima vendetta" contro gli italiani, Ludovico supplicò Francesco di salvare Beatrice, temendo che fosse violentata o uccisa. Il marchese "cum animo intrepido" cavalcò fra i tedeschi e non senza grande fatica riuscì a mediare la pace. "El che quando Ludovico l'intese restò il più contento homo dil mondo, parendoli havere reaquistato il Stato et la vita, insieme cum l'honore la mogliere, de la qual sola più che de tutto il resto temeva".<ref>{{Cita|Archivio storico lombardo, 1879|pp. 348-349348–349}}.</ref>
 
Beatrice partecipò personalmente ai consigli di guerra, nonché alle trattative di pace, come a tutte le riunioni tenutesi coi francesi, i quali non mancarono di mostrarsi stupefatti nel vederla collaborare attivamente al fianco del marito.<ref name=":29">{{Cita|Alberti de Mazzeri|pp. 166-168166–168}}.</ref>
 
{{Citazione|Certo, il posto delle donne non è nei campi. La virago non è accettata: non si combatte contro una donna, non la si fa prigioniera. Beatrice d'Este conduce arditamente Ludovico il Moro all'accampamento dirimpetto ai francesi, e là, mostrandogli un esercito tremante, tra le acclamazioni, in quell'ora solenne che si chiama la vigilia di una battaglia, è lei che fa battere il debole cuore del marito.|René de Maulde La Claviere, Les femmes de la Renaissance, 1898, p. 432}}
 
=== L'imperatore ===
L'anno 1496 fu segnato dalla costante ricerca da parte dei coniugi di alleati contro il duca d'Orléans; nell'estate essi incontrarono perciò [[Massimiliano I d'Asburgo]] a [[Malles Venosta|Malles]]. L'imperatore fu particolarmente gentile nei confronti della duchessa, arrivando a tagliarle personalmente le pietanze nel piatto, e volle tenerla per mano e ch'ella sedesse in mezzo fra sé e il duca.<ref name=":10">{{Cita|Sanudo, Diarii|pp. 241-243241–243}}.</ref> [[Marin Sanudo il Giovane|Sanudo]] annota poi che "a contemplation di la duchessa de Milano", cioè per volontà di lei, o piuttosto per desiderio di rivederla, Massimiliano passò "quel monte sì aspro" e in maniera del tutto informale, senza alcuna pompa, venne a [[Como]],<ref name=":10" /> quindi si trattenne per qualche tempo a Vigevano in rapporti strettamente amichevoli coi duchi. Egli, che trattava con indifferenza la moglie [[Bianca Maria Sforza|Bianca Maria]], non nascose la propria ammirazione per Beatrice.<ref>{{Cita|Alberti de Mazzeri|pp. 177-178177–178}}; {{Cita|Cartwright|pp. 260-262260–262}}.</ref> Probabilmente ne era rimasto affascinato per le abilità venatorie e per il carattere tenace, ma l'incontro aveva anche uno scopo politico: sollecitare l'imperatore all'impresa di [[Storia di Pisa|Pisa]] in funzione antifrancese.<ref name=":62">{{Cita|Santoro|p. 315}}.</ref>
 
=== La morte ===
{{Vedi anche|Morte di Beatrice d'Este}}{{Doppia immagine verticale|right|Dettaglio di Beatrice dal Cenotafio di Ludovico il Moro e Beatrice d'Este.jpg|Tomb of Beatrice d Este.jpg|190||Il bellissimo profilo di Beatrice nel [[Cenotafio di Ludovico il Moro e Beatrice d'Este|Cenotafio]] alla [[Certosa di Pavia]]}}
Negli ultimi mesi i rapporti fra i coniugi si erano logorati a causa della relazione adulterina che Ludovico intratteneva con [[Lucrezia Crivelli]], dama di compagnia della moglie. Sebbene l'amasse ancora tantissimo, Ludovico non trovava più gusto nel sorprendere con la propria generosità la moglie che, ormai ricca e potente, non aveva bisogno di lui, e cercava soddisfazione altrove: nella più povera cognata [[Isabella d'Este|Isabella]] e nell'amante.<ref>{{Cita|Alberti de Mazzeri|p. 152}}.</ref> Nonostante i malumori, nell'estate Beatrice si trovò gravida per la terza volta, ma ciò non le impedì né il faticoso cammino delle Alpi, né di continuare a viaggiare sino all'ultimo. La gravidanza fu però complicata sia dai dispiaceri causati dalla scoperta che anche Lucrezia attendeva un figlio da Ludovico, sia dalla prematura quanto tragica morte dell'adorata [[Bianca Giovanna Sforza|Bianca Giovanna]], sua carissima amica sin dal primo giorno dell'arrivo a Milano.<ref name="CV">{{Cita|Cartwright|pp. 270-271270–271}}.</ref> Il parto avvenne infine la notte del 2 gennaio 1497, ma né la madre e né il figlio sopravvissero.<ref name=":111">{{Cita|Alberti de Mazzeri|pp. 196-200196–200}}.</ref>
==== Il dolore del Moro ====
 
Ludovico impazzì dal dolore e per settimane rimase rinchiuso al buio nei propri appartamenti, con le finestre serrate. I suoi capelli divennero grigi e si lasciò crescere la barba,<ref>{{Cita|Sanudo, Diarii|p. 272}}.</ref> indossando da quel momento in poi solamente abiti neri con un mantello stracciato da mendicante.<ref name=":111" /> Egli decretò l'[[apoteosi]] della moglie, della quale creò un vero e proprio culto.<ref name=":72">{{Cita|Ludovicus Dux|pp. 101-103101–103}}.</ref> Sua preoccupazione primaria divenne l'abbellimento del mausoleo di famiglia e lo Stato, trascurato, andò in rovina, proprio in un momento in cui il duca d'Orléans, spinto da un odio feroce, minacciava una seconda spedizione contro Milano.<ref>[[iarchive:idiariidimarinos01sanu/page/n13/mode/2up|I diarii di Marino Sanuto]], vol I, p. 457.</ref>
[[File:Calco statua funebre di Beatrice d'Este al Victoria and Albert Museum, dettaglio 1.jpg|sinistra|miniatura|344x344px|Particolare del cenotafio con l'effige di Beatrice: calco del [[Victoria and Albert Museum]]]]
L'ambasciatore Antonio Costabili riferì al duca Ercole che il Moro «non credeva potere mai tollerare cussì acerba piaga» e che ammetteva di aver maltrattato la moglie negli ultimi tempi, cosa per cui si trovava «malcontento sino al anima». Disse che sempre aveva pregato Dio perché la moglie lo lasciasse dopo di lui, avendo riposto in lei ogni speranza per il futuro, ma poiché a Dio non era piaciuto, lo pregava e sempre lo avrebbe pregato affinché, «se possibile è che mai uno vivo possa vedere uno morto», gli concedesse la grazia di vedere Beatrice per l'ultima volta così da chiederle perdono, poiché «l'amava più che se stesso».<ref>{{Cita|Cartwright|p. 276}}.</ref>
 
L'imperatore [[Massimiliano I d'Asburgo|Massimiliano]], nel condolersi col Moro, scrisse che "niente di più pesante o di più molesto poteva accaderci in questo momento, che essere tanto repentinamente privato di una congiunta tra le altre principesse a noi carissima, dopo l'incominciata più abbondante familiarità delle sue virtù, e che tu in verità, il quale da noi primariamente sei amato, sia stato privato non soltanto di una dolce consorte, ma di un'alleata del tuo principato, del sollievo dai tuoi affanni e dalle tue occupazioni. [...] Alla tua felicissima consorte non mancò nessuna virtù o della fortuna o del corpo o dell'animo che da chiunque potesse essere desiderata; nessuna dignità, nessun merito che potesse essere aggiunto".<ref>{{Cita|Sanudo, Diarii|pp. 489-490489–490}}; {{Cita|Cartwright|p. 280}}.</ref>
 
Nel 1499 [[Luigi XII di Francia|Luigi d'Orléans]] tornò una seconda volta a reclamare il ducato di Milano e, non essendoci più la fiera Beatrice a fronteggiarlo, ebbe facile gioco sull'avvilito Moro, che dopo una fuga e un breve ritorno finì i suoi giorni prigioniero in Francia.<ref>{{Cita|Verri|pp. 100-114100–114}}.</ref>
 
{{Citazione|Lodovico, che soleva attingere ogni vigoria d'animo dai provvidi e forti consigli della sua sposa Beatrice d'Este, essendogli stata questa rapita dalla morte qualche anno prima, trovossi come isolato e scevro di ardire e di coraggio a tal punto, che non vide altro scampo contro la fiera procella che il minacciava se non nel fuggire. E così fece.|Raffaele Altavilla, Breve compendio di storia Lombarda<ref name="a 4">{{Cita libro|autore=Raffaele Altavilla|titolo=Breve compendio di storia Lombarda|anno=1878|editore=G. Messaggi|p=4|volume=vol. 1 e 2}}</ref>}}
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[[File:Busto di Beatrice d'Este 38.png|miniatura|245x245px|[[Busto di Beatrice d'Este]] fanciulla, [[Giovanni Cristoforo Romano]]]]
 
I ritratti che di lei ci rimangono e le descrizioni di chi la conobbe ci restituiscono l'immagine di una giovane donna formosa, piacente, con un naso piccolo e leggermente rivolto all'insù, guance piene tipiche degli Aragonesi, mento breve e rotondetto, occhi scuri e capelli castani lunghissimi che teneva sempre avvolti in un [[coazzone]], con qualche ciocca lasciata ricadere sulle guance,<ref>{{Cita|Malaguzzi Valeri, vol. 2|pp. 26-2726–27}}; {{Cita|Malaguzzi Valeri|pp. 35-3735–37}};{{Cita libro|autore=Giornale della Società storica lombarda|titolo=Archivio storico lombardo|anno=1874|editore=Società storica lombarda|pp=319-320319–320|volume=48|cid=Archivio storico lombardo, vol. 48}}</ref> costume che aveva assunto già durante la propria infanzia a Napoli per volontà dell'avo Ferrante, il quale la faceva educare e abbigliare alla maniera castigliana.<ref name="MZ" />
 
I giudizi sul suo aspetto variano in base ai gusti dei singoli: l'ambasciatore Niccolò Sadoleto la considerava una bambina "bellissima",<ref name=":21" /> così anche Bernardino Zambotti, che la dice "de zentile aspecto e piacevole";<ref name="MZ" /> Francesco Muralto la presenta, ormai adulta, come «in giovanile età, bella e di colori corvini»;<ref group="A" name=":0">«quae erat in iuvenili aetate, formosa ac nigri colorix, novarum vestium inventrix» ({{Cita|Muralto|p. 54}}).</ref> l'ambasciatore Trotti la giudicò invece, quindicenne, "picchola di persona, ma grossa e grassa".<ref>{{Cita|Pizzagalli|p. 105}}.</ref> Sicuramente, come la sorella e i parenti aragonesi, tendeva alla pinguedine, ma si manteneva in forma con un'instancabile attività; inoltre sapeva come rendersi attraente e, pur non avendo lineamenti propriamente aristocratici, aveva fama di bella donna. Era di bassa statura e pertanto solita indossare [[Pianella (calzatura)|pianelle]] per ridurre la differenza di altezza col marito, alto oltre un metro e ottanta.<ref>{{Cita|Mazzeri|pp. 148 e 217}}.</ref>
 
=== Personalità ===
Complice la giovane età, Beatrice era di carattere allegro, spensierato, giocoso, ma, non diversamente dai fratelli maschi, era anche irriflessiva, violenta, impulsiva, e si lasciava facilmente trasportare dall'ira.<ref>{{Cita|Alberti de Mazzeri|p. 46}}.</ref> "Selvatica"<ref name=":34" /> e "selvaggia"<ref name=":35" /> la definisce infatti l'ambasciatore Trotti. Ne sono prova diversi episodi, fra cui uno famoso dell'aprile 1491: recatasi al mercato mentre pioveva, si azzuffò con certe popolane che l'avevano insultata per via dei panni con cui lei e le dame s'erano riparate la testa dalla pioggia, non essendo usanza a Milano di abbigliarsi a quel modo: "pare che per alcune done gli volesse esser ditto villania" - raccontò poi Ludovico alla cognata - "et la mia consorte se azuffò et cominciò a dirli villania a loro, per modo che se credeteno de venire a le mani".<ref name="CH">{{Cita|Cartwright|pp. 90-9190–91}}.</ref> In un'altra occasione, accortasi che il marito aveva fatto confezionare due abiti uguali per lei e per l'amante, gli fece una scenata e pretese che [[Cecilia Gallerani|Cecilia]] non lo indossasse, poi lo costrinse a troncare la relazione.<ref>{{Cita|Cartwright|p. 82}}.</ref>[[File:School of Leonardo da Vinci woman profile.jpg|sinistra|miniatura|''Ritratto di giovane donna'', cerchia di Leonardo da Vinci. Identificato come ritratto di Beatrice d'Este ma dubbio|301x301px]]
 
Orgogliosa e ostinata, nonostante fosse la figlia meno amata, fu quella che più somigliò al padre per indole,<ref>{{Cita|Anonimo ferrarese|pp. 194-195194–195}}; {{Cita|Zambotti|p. 267}}.</ref> e dal padre ereditò senz'altro la spavalderia e l'animo "senza paura", poiché sembrava anzi trarre piacere dagli esercizi violenti e dalle situazioni di pericolo.<ref name=":30" /> Alcuni la giudicarono incoscienza, altri temerarietà, altri ancora pazzia;<ref name=":33" /> del resto Beatrice era perfettamente consapevole di essere bizzarra, e di ciò aveva anzi fatto la propria attrattiva.<ref name=":30" />
 
Diversi storici vollero definirla una [[virago]], poiché della virago ebbe tutte le caratteristiche:<ref name=":8" /> la sua passione per i fatti militari la induceva a soggiornare in mezzo ai soldati, e dal marito sappiamo pure che le piaceva addestrarsi all'uso delle armi: in una miniatura francese è raffigurata con un [[pugnale]] cinto al fianco, inoltre sapeva tirare "mirabilmente" di [[Balestra (arma)|balestra]], infatti nel 1493 uccise con essa un cinghiale dopo avergli inferto cinque ferite.<ref name=":18" />
 
Era infatti appassionatissima di caccia, e non soltanto di quella col [[Falconeria|falcone]] - più propriamente femminile - bensì anche e soprattutto della cosiddetta "grande caccia", rivolta cioè contro animali di grossa taglia quali [[Caccia al cervo|cervi]], [[Caccia al cinghiale|cinghiali]] e persino [[Caccia al lupo|lupi]].<ref name=":19" /> La sua spavalderia la mise più volte in pericolo di vita: nell'estate del 1491, durante una battuta, il suo cavallo fu urtato da un cervo imbizzarrito e si impennò alto «quanto è una bona lanza», ma Beatrice si tenne ben salda in sella e quando il marito e gli altri cortigiani riuscirono a raggiungerla, la trovarono che «rideva et non haveva una paura al mondo». Il cervo con lei cornapalchi le ferì un poco una gamba, ma ella non mostrò di avere male.<ref>{{Cita|Cartwright|p. 87}}.</ref> L'anno successivo, nonostante fosse gravida del primogenito, si gettò all'assalto d'un cinghiale inferocito che aveva già ferito alcuni levrieri e per prima lo colpì.<ref name="Ci" />
 
Era un'eccellente cavallerizza e faceva spesso gare di corsa.<ref name=":19" /> I francesi si meravigliarono nel vederla in sella a un [[corsiero]] "in foggia che stava tutta dritta, né più né meno di quanto sarebbe un uomo".<ref name=":5" group="A">"[...] et estoit sur ce coursier en façon qu' elle estoit toute droite, ny plus ny moins que seroit un homme [...] et avoit la gorge toute nue, et à l'entour tout plein de perles bien fort grosses, avec un rubi [...] et vous assoure, Madame, qu'elle dansoit bien à la mode de France, veu qu'elle disoit quelle n'y avoit jamais dansé." ({{Cita|Luzio e Renier|pp. 99-10099–100}}).</ref> Ciò induce a credere che fosse solita montare a [[Equitazione|cavalcioni]] come gli uomini, contrariamente all'uso dell'epoca che prescriveva alle donne di procedere all'amazzone.<ref>''Charles VIII et son milieu,'' Yvonne Labande-Mailfert, Klincksieck, 1975, p. 281-282.</ref> Spesso giocava a palla coi fratelli e i cortigiani, sebbene tutte queste attività prettamente maschili, quali appunto l'equitazione, la caccia e la palla, fossero ufficialmente condannate nelle donne (così per esempio nel famoso [[Il Cortegiano|Cortegiano]]).<ref name=":5">The Nineteenth Century And After, Vol. 54, James Knowles, 1903, pp. 798-799.</ref> A ciò si aggiungevano altri passatempi egualmente violenti: una volta, giocando alla [[lotta]], Beatrice buttò a terra la cugina;<ref>{{Cita|Cartwright|p. 281}}; {{Cita|Uzielli|pp. 27-2827–28}}.</ref> altra ancora organizzò una battagliola a cavallo lungo la strada per Pavia, assaltando all'improvviso la comitiva del marito che si recava a trovarla.<ref>{{Cita|Luzio e Renier|p. 45}}.</ref>{{Citazione|Altera ed ambiziosa, di persona dignitosa, di lineamenti belli sì, ma maschi, distinguevasi per un'aria grave e imperiosa. Vestiva principescamente; il suo sguardo respirava il comando; il sorriso non atteggiava il suo labbro; ma appariva però in
esso una specie di giovialità di condiscendenza. Tale era questa donna, che non poco
impero seppe esercitare sul marito stesso; il
quale tanto sapea raggirar gli altri. Mancava a
Lodovico il Moro l'ardimento; ed era Beatrice
che in questa parte sempre veniva in suo soccorso.|[[Giovanni Campiglio]], Lodovico il Moro.}}Amava molto gli animali e il marito gliene faceva spesso dono: fra i tanti si contano numerosi cavalli, cani, gatti, volpi, lupi, una scimmia e perfino sorcetti.<ref name=":0">{{Cita|Malaguzzi Valeri|pp. 376-378376–378}}.</ref> Le piaceva il [[gioco d'azzardo]] ed era capace di vincere a [[Carte da gioco|carte]] la straordinaria somma di 3000 [[Ducato (moneta)|ducati]] in un solo anno.<ref name=":5" /><ref>{{Cita|Giordano|p. 44}}.</ref> Amava particolarmente danzare, arte in cui eccelleva con grazia singolare: il Muralto la dice capace di trascorrere l'intera notte ininterrottamente nei balli,<ref group="A">"deliciis et choreis dedicata, stando per unam noctem continue in ipsis choreis" ({{Cita|Muralto|p. XXVI}}).</ref> e i francesi si meravigliarono che sapesse danzare perfettamente secondo la moda di Francia, nonostante dicesse che fosse la prima volta.<ref name=":5" group="A" />
{{Citazione|Poche figlie d'Eva hanno esercitato sugli uomini e sui loro tempi tanto fascino e tanta influenza quanta Beatrice [...] Caratteristica giovane questa Napoletana! Che educata tra i chiassi e le scaltrezze degli Aragonesi, crebbe spigliata insieme e colta tanto da saper tenere a Venezia un discorso solenne in latino, ed entusiasmare di sé Massimiliano imperatore e Carlo VIII [...]. Frivola e civettuola nelle apparenze, e biricchina al punto di correr per le vie come una donnicina del popolo, ma superba e tenace sul suo trono [...]|Gaetano Sangiorgio, Recensioni e note bibliografiche.<ref name="ad">''Rivista storica italiana'', Istituto fascista di cultura di Torino, Costanzo Rinaudo, 1884, pp. 354-356.</ref>}}
[[File:Milano - Canonica S. Ambrogio - 05 - Beatrice d'Este - Foto Giovanni Dall'Orto 25-Apr-2007.jpg|miniatura|233x233px|Busto di Beatrice nel portale d'ingresso della [[Canonica di Sant'Ambrogio]]]]Quantunque religiosa, non fu austera riguardo alle questioni carnali: alcune delle dame del suo seguito avevano il compito d'intrattenere sessualmente i dignitari ospiti della corte.<ref>{{Cita|Malaguzzi Valeri|p. 496}}.</ref> Non senza sorpresa gli storici ricordano come nel 1495, presso l'accampamento di Novara, Beatrice avesse procurato al cognato [[Francesco II Gonzaga|Francesco Gonzaga]] una "femmina di partito", ossia una prostituta d'alto rango, ufficialmente per preservare lui e la sorella dal devastante [[Sifilide|malfrancese]],<ref name="LR" /> o forse per accattivarsene le simpatie, in quanto desiderava ricevere dal marchese il tesoro sequestrato dalla tenda di [[Carlo VIII di Francia|Carlo VIII]] a seguito della [[battaglia di Fornovo]], tesoro del quale l'oggetto più interessante era un album contenente i ritratti licenziosi di tutte le amanti del re di Francia.<ref>{{Cita|Alberti de Mazzeri|p. 164}}.</ref>
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Tuttavia fu parecchio pudica per quanto riguardava la propria persona, difatti si affidò a una sola levatrice, comare Frasina da Ferrara, i cui servigi pretese anche durante il terzo parto, nonostante la donna fosse ammalata e nonostante il padre le avesse suggerito un'altra levatrice ferrarese ugualmente valente. Tante furono le insistenze della duchessa e le persone mobilitate, che alla fine comare Frasina si mise in viaggio raggiungendo Milano per tempo.<ref name="GO" />
 
La corte di Milano amava molto le beffe e Beatrice in particolar modo, se Ludovico scrive ch'ella una mattina si divertì insieme alla cugina [[Isabella d'Aragona (1470-1524)|Isabella]] a buttar le dame giù da cavallo.<ref name="CH" /> Suo motto era "che quando se haveva ad fare una cosa o da schirzo o da dovero", bisognava "attendere ad farla cum studio et diligentia, aciò che la fosse ben facta".<ref name=":7">{{Cita|Giordano|pp. 46-4746–47 e 150-151}}.</ref> Gli scherzi più terribili erano però tutti ai danni del serioso ambasciatore [[Giacomo Trotti]], il quale si ritrovò più volte la casa invasa da «gran quantità di volpotti, de lupi, et de gatti salvatici», che il Moro acquistava presso certi villani vigevanesi e che Beatrice, essendosi accorta quanto simili bestie fossero in «grandissimo oddio et fastidio» all'ambasciatore, gliene faceva gettare in casa quante più poteva per mezzo di camerieri e staffieri che ricorrevano ai più impensabili espedienti.<ref name="Ml">{{Cita|Malaguzzi Valeri|pp. 560-561560–561}}.</ref> Essendo l'ambasciatore avarissimo, Beatrice arrivò una volta perfino a derubarlo di quanto portava indosso, seppure per una buona causa: mentre Ludovico lo teneva fermo per le braccia, ella gli tolse due ducati d'oro dalla borsa, il cappello di seta e il mantello nuovo, dando poi i ducati alla nipote del Trotti. L'ambasciatore se ne lamentava continuamente col padre della duchessa, dicendo: «et quisti sono delli miei guadagni [...] sì che ho il damno et le beffe, oltre che me convene perder tempo in scriverle!»<ref name="Ml" />
 
Nondimeno Beatrice non raggiunse mai il cinismo del nonno [[Ferdinando I di Napoli|Ferrante]]: quando seppe che la vedova [[Isabella d'Aragona (1470-1524)|Isabella d'Aragona]], pur gravida, se ne stava rinchiusa in certe camere buie del castello di Pavia, costringendo anche i figlioletti a soffrire con lei, ne ebbe compassione e insistette affinché venisse a Milano e migliorasse le condizioni dei bambini.<ref>{{Cita|Cartwright|pp. 225-226225–226}}. {{Cita|Alberti de Mazzeri|p. 146}}.</ref>
[[File:Beatrice e Isabella d'Este.jpg|sinistra|miniatura|Presunto ritratto delle due sorelle: Beatrice (a sinistra) e [[Isabella d'Este|Isabella]] (a destra), nell'affresco della Sala del Tesoro di [[Palazzo Costabili]] a [[Ferrara]]. Attr. [[Benvenuto Tisi da Garofalo]], 1503-1506.]]
 
==== Legami parentali ====
Fu, malgrado la giovane età, una moglie e una madre esemplare, amò tantissimo i propri figli e dedicò loro molte attenzioni, di cui sono testimoni le tenere lettere inviate ai parenti.<ref name=":30">{{Cita|Mazzi|pp. 63-6863–68}}.</ref><ref>{{Cita|Malaguzzi Valeri|p. 441}}.</ref> Al padre fu legata da devozione e amore profondissimi: forse per via del sofferto abbandono e della predilezione che [[Ercole I d'Este|Ercole]] riservava invece alla primogenita Isabella, molte azioni di Beatrice furono improntate alla ricerca di approvazione. Al padre scriveva infatti che la comandasse, poiché suo unico desiderio era compiacerlo<ref name="MT" /> e si sentiva "troppo consolata" quando sapeva di avergli fatto cosa gradita. Se ne riceveva invece qualche rimprovero, cadeva in preda a un grande sconforto.<ref name=":30" /> Si pensa che anche le sue avventure di caccia fossero dovute, in parte, a questo, perché Ercole la lodava orgoglioso delle sue prodezze. Ma il vero trionfo giunse con la nascita del [[Massimiliano Sforza|primogenito maschio]], massima aspirazione del padre nei suoi confronti: non a caso fu Beatrice stessa a dire di aver partorito un figlio al marito e parimenti al padre.<ref name=":30" /><ref>{{Cita|Giordano|p. 40}}.</ref>
 
Coi fratelli mantenne sempre ottimi rapporti, soprattutto mostrò un fortissimo affetto verso [[Ferrante d'Este|Ferrante]], col quale era cresciuta a Napoli,<ref name="Gr">{{Cita|Giordano|pp. 55-5655–56}}.</ref> e verso [[Alfonso I d'Este|Alfonso]], che la venne spesso a visitare a Milano. Con la sorella fu già più complicato in quanto, sebbene le due provassero un sincero affetto l'una per l'altra, fin dall'inizio [[Isabella d'Este|Isabella]] invidiò a Beatrice sia il fortunato matrimonio, sia l'enorme ricchezza, sia, soprattutto, i due figli maschi in perfetta salute nati a poca distanza l'uno dall'altro, mentre ella tentava invano di procreare un erede al marito [[Francesco II Gonzaga|Francesco]]. Le invidie si dissolsero alla morte prematura della sorella, evento per il quale Isabella mostrò un profondo e sincero dolore.<ref>{{Cita|Pizzagalli, 2001|pp. 118-119118–119}}.</ref>
 
== Ruolo politico ==
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Celebrata dagli [[Storiografia|storici ottocenteschi]] come una sorta di [[Romanticismo|eroina romantica]], la figura di Beatrice subì un'eclissi nel corso del Novecento, schiacciata sotto il peso degli elogi tributati alla più longeva sorella [[Isabella d'Este|Isabella]]. Sebbene un'analisi superficiale degli eventi storici abbia portato studiosi moderni a dire che Beatrice non avesse avuto alcuna voce nella politica del ducato, o che addirittura non se ne fosse interessata,<ref name="DBI">{{Cita|DBI}}.</ref><ref>{{Enciclopedia italiana|nome=Beatrice d'Este, duchessa di Milano|nomeurl=beatrice-d-este-duchessa-di-milano|anno=1930}}</ref> la quasi totalità degli storici precedenti concorda invece nel giudicarla la vera mente dietro molte azioni e decisioni del marito, sul quale esercitava una enorme influenza, a tal punto da legare la presenza di lei alla prosperità e all'integrità dell'intero Stato sforzesco:<ref name="Pi" />
 
{{Citazione|Beatrice aiutò di savissimi consigli il marito negli uffizi non pure di principe, ma di principe italiano; e tanto tempo prosperò quello stato, quanto una tal donna stette con Lodovico. Morta lei, la pubblica rovina non ebbe più ritegno.|Orlando Furioso corredato di note storiche e filologiche, vol. 1, Austriaco, 1858, p. 303}}[[File:Ritratto di giovane donna di profilo.jpg|sinistra|miniatura|''Ritratto di giovane donna di profilo,'' attr. [[Giovanni Ambrogio de Predis|Ambrogio de Predis]]. Presumibilmente un ritratto di Beatrice.|272x272px]]Fin dal gennaio 1492 Ludovico mostrava l'intenzione di fare di lei governatrice unica dello Stato durante le proprie assenze, e che ogni giorno si tenesse il consiglio e si leggessero gli atti di governo in camera di lei.<ref>{{Cita|Negri|p. 24}}.</ref> Era lei a detenere le tessere e i contrassegni dei castellani del marito.<ref>Ludovico il Moro, la sua città e la sua corte (1480-1499), Archivio di Stato di Milano, 1983, p. 34.</ref> Del resto sia la missione diplomatica a Venezia, sia la sua costante presenza nei consigli di guerra e nelle riunioni, sia, soprattutto, il suo deciso intervento nei concitati giorni in cui l'[[Luigi XII di Francia|Orléans]] minacciava Milano, in netto contrasto stavolta con le intenzioni di fuga del marito,<ref name="Pi" /> nonché l'effettiva deriva dello Stato sforzesco seguita alla sua morte, dimostrano che il suo potere decisionale e politico fosse assai più consistente di quanto odiernamente si pensi.<ref name=":14" /><ref name="G9">{{Cita|Giordano|pp. 49-6349–63}}.</ref> La stessa Beatrice anzi già all'età di diciassette anni esprime, in una lettera alla madre, la propria volontà d'impegnarsi in politica.<ref name=":34" /> Giunta a vent'anni "la passione politica ormai stava diventando il fulcro della sua esistenza".<ref name=":29" />
 
{{Citazione|Coniugi che furono, Ludovico il Moro e Beatrice d'Este, s'amarono e s'intesero come nessuno sforzesco avrebbe sperato, e dall'idillio si passò presto e pubblicamente alla vera signoria che la elegante Napoletana vantò sul torbido ed irresoluto Milanese. Questi, anzi, non solo non lo nascose, ma ebbe parecchie volte a dichiarare d'aver ''associata al principato'' la sua donna, e la morte improvvisa e prematura di costei fu infatti un disastro per l'indipendenza di Milano e la rovina di Lodovico.|Gaetano Sangiorgio, Recensioni e note bibliografiche.<ref name="ad" />}}In virtù dell'amore smisurato del marito, che non le negava nulla, ma anche della sua generosità e disponibilità, Beatrice costituiva un potentissimo tramite fra il marito e i vari [[Condottiero|condottieri]] e [[Cortigiano|cortigiani]] da un lato - che a lei ricorrevano per ottenere favori - e fra il marito e i signori italiani dall'altro: già nel 1491 scriveva lettere commendatizie per uno "strenuo cavalero" che doveva [[Duello|duellare]] a Mantova.<ref>Viglevanum, Anno VI Marzo 1996, Società Storica Vigevanese, p. 22; {{Cita|Luzio e Renier|p. 46}}.</ref> A lei si rivolgeva, per esempio, il condottiero [[Gaspare Sanseverino|Fracasso]], dicendole: "Non ho altro refugio, né protectione che la Ex[cellentia] V[ostra], né voglio havere recorso ad altri in le cose mie che a quella, peroché so che per humanità sua non mi lassa troppo in desiderio";<ref>Vittorio Adami, Miscellanea di storia veneta,1930, pp. 15 e 59.</ref> e [[Francesco II Gonzaga|Francesco Gonzaga]] riusciva, grazie alla sua intercessione, a ottenere la grazia per [[Bertrando de' Rossi (1429)|Bertrando de' Rossi]], in contumacia con Ludovico.<ref>{{Cita|Archivio storico lombardo, 1879|p. 61}}.</ref> [[Gaspare Ambrogio Visconti|Gaspare Visconti]], sapendosi da lei spontaneamente favorito, la invocava come liberatrice da tutti i propri mali, in versi che esprimono bene l'ascendente ch'ella esercitava sul marito: "Donna beata, o spirito pudico, | deh, fa' benigna a questa mia richiesta | la voglia del tuo sposo Ludovico | io so ben quel ch'io dico: | tanta è la tua virtù che ciò che vuoi | dello invitto suo cuor disponer puoi".<ref name=":31">{{Cita|Verri|p. 75}}; Gasparo Visconti, ''I canzonieri per Beatrice d'Este e per Bianca Maria Sforza'', a cura di Paolo Bongrani, pp. 133 e 150.</ref> Le poche lettere sopravvissute ce la mostrano partecipe di tutti i segreti del marito,<ref name=":14" /> e notevole è anche la sua corrispondenza col marchese Francesco.<ref name="Gr" /> Quest'ultimo infatti si consultava direttamente con lei, oltre che col duca, circa le faccende riguardanti l'assedio di Novara, e contava su di lei per convincere Ludovico a venire al campo.<ref>{{Cita|Oratori mantovani|pp. 136-137136–137}}; Isabella D'Este and Francesco Gonzaga, Sarah D.P. Cockram, 2016, p. 71.</ref>{{Doppia immagine verticale|destra|Italian 15th Century, Virgin and Child with Two Martyrs and Donor, NGA 46232.jpg|Bottega lombarda, placchetta di beatrice, 1490 ca.JPG|180||[[Niello|Nielli]] raffiguranti Beatrice inginocchiata dinanzi alla Vergine, 1495 ca. Spicca il lunghissimo [[coazzone]] e il vitino ancora stretto, malgrado le due gravidanze.}}Ella possedeva a tutti gli effetti le terre di [[Cassolnovo]], [[Cusago]], Carlotta (Ariotta, presso [[Pernate]]), [[Cameri|Codemonte]], [[Cameri|Monte Imperiale]], [[Villanova d'Asti|Villanova]], [[Sartirana Lomellina|Sartirana]], Leale (presso [[Garlasco]]), [[Valenza (Italia)|Valenza]], [[Galliate]], [[Mortara]], [[Bassignana]], [[San Secondo Parmense|San Secondo]], [[Felino (Italia)|Felino]], [[Torrechiara]], [[Castel San Giovanni]], Pigliola (Piola), Valle di [[Lugano]], i mulini di [[Gambolò]] e [[Tromello|Trumello]], nonché la [[Sforzesca]] e il parco del [[castello di Pavia]], con tutte le relative possessioni, fortilizi e [[Feudalesimo|diritti feudali]] a esse connessi, ossia il [[mero et mixto imperio]], ogni tipo di [[giurisdizione]], [[Omaggio feudale|omaggi]], [[Immunità (diritto)|immunità]], etc, la facoltà di amministrarle secondo il proprio arbitrio, deputare [[Castellano (storia)|castellani]], [[Pretore (ordinamenti moderni)|pretori]], [[Ufficiale giudiziario (Italia)|ufficiali]], etc, nonché di fruire delle ricchissime rendite.<ref name="DM">{{Cita web|url=http://www.bl.uk/manuscripts/FullDisplay.aspx?ref=Add_MS_21413&index=5|titolo=Add MS 21413|urlmorto=sì}}</ref><ref name=":11">{{Cita|Malaguzzi Valeri|p. 381}}.</ref> Si trattava di tutti i possedimenti diretti di Ludovico nel Novarese e nella Lomellina (costituenti il futuro [[Marchese di Vigevano|marchesato di Vigevano]]), dei quali egli volle spogliarsi per farne dono alla moglie, ancor prima d'essere divenuto duca di Milano, e in aperta violazione degli [[Statuto (diritto)|statuti]] milanesi che vietavano simili donazioni tra coniugi, col solo vincolo di lasciarle in eredità a uno qualsiasi dei figli maschi nati dal loro matrimonio.<ref name="DM" />
=== Pensiero Politico ===
Ella perseguì dapprincipio la politica del padre [[Ercole I d'Este|Ercole]], il quale da anni tramava per sostituire Ludovico a Gian Galeazzo nel possesso effettivo del ducato di Milano e che a questo scopo gliela aveva data in sposa.<ref group="A" name="Corio, p. 1028" /> È da credere infatti che, senza l'interferenza della moglie, Ludovico non avrebbe compiuto il passo di usurpare a tutti gli effetti il ducato, o almeno non l'avrebbe affrettato.<ref>Archivio storico lombardo, giornale della Società Storica Lombarda, anno IX, 1882, p. 486.</ref> "Ella era l'anima, ed un'indemoniata anima, della lotta che gli Sforza avevano impegnato contro il regno napoletano".<ref>Maria Bellonci, Lucrezia Borgia, Mondadori, 2019.</ref>
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Nell'aprile 1493 giustificava la politica anti-aragonese del marito agli occhi della madre Eleonora, mandandole delle lettere che testimoniavano le trame di re Ferrante ai danni di Ludovico, e le diceva: "La Excellentia Vostra poe [può] mo' vedere se Dio lo ha inspirato ad fare la lega cum el Papa et Venetiani, et in quale periculo restava rimanendo in li termini consueti, essendoli praticato contra da la Maestà regia".<ref>{{Cita|Giordano|p. 50}}.</ref>
 
È evidente il suo desiderio di mettersi in gioco, di farsi valere, di profondere ogni energia per il bene e la conservazione dello Stato, così da guadagnarsi il rispetto e la considerazione del marito. Questo traspare per esempio dall'accorata richiesta di aiuto scritta al padre Ercole nella notte tra il 30 e il 31 maggio 1495, alla vigilia dell'[[Assedio di Novara (1495)|occupazione di Novara]] da parte del duca d'Orléans, affinché mandasse loro uomini e denaro: "Io [...] credo che la Signoria Vostra, vedendo un tanto bisogno e una cosa dove consiste el perdere e 'l vinzere del Signore Ducha mio [...] po[t]rà trovare qualche modo chomo meglio li parerà per fare questo efetto che me è tanto a core quanto cosa avese mai, perché, reusendo [riuscendo], el Signore Ducha conosca avere uno parente de chi el se posa vallere [fare affidamento], e valendosene ne farà molto più caso [considerazione], e, per consequente, fazendo caso de la Signoria Vostra, farà caso de mi."<ref name=":15" />[[File:Sperandio savelli, ercole I d'este, 1475 ca. 01.JPG|thumb|left|upright|[[Ercole I d'Este|Ercole d'Este]]]]Poiché Ercole, benché ufficialmente neutrale, propendeva per i francesi, che sovveniva in segreto, Beatrice si sentì tradita dal padre il quale, in questo momento di massima difficoltà, non volle inviare loro gli aiuti richiesti. Ella abbandonò allora le vesti della figlia per assumere quelle di capo di Stato, con una lettera che per il suo tono eccezionalmente duro e autorevole desta stupore: scrisse al padre che si sarebbe aspettata, in una simile situazione, ch'egli in persona giungesse in loro difesa, e che non si capacita di come non abbia voluto mandare neppure duecento uomini d'arme, preoccupandola ciò che si sarebbe detto in Italia quando si fosse saputo di questo rifiuto; perciò lo invita a rimediare a questa mancanza per non lasciare in lei e nel marito del malanimo nei suoi confronti, tanto più che, se fosse lui ad essere attaccato, duecento uomini d'arme non gli basterebbero a difendere Ferrara senza ausilio esterno.<ref name=":14" /> Qui la confidenziale [[prima persona singolare]] lascia addirittura il posto al [[Plurale maiestatico|pluralis maiestatis]]:<ref name=":15">{{Cita|Giordano|pp. 59-6159–61}}.</ref>
 
{{Citazione|[...] Questa resposta, como è stata aliena da la expectatione [aspettativa] del predicto Signore nostro consorte et del credere nostro, cusì ha portato incredibile admiratione [meraviglia] e dispiacere alla Signoria Sua e a noi, parendo che la Excellentia Vostra dovesse havere facto omne [ogni] altra resolutione che questa, essendoli in consideratione la qualità de li tempi, el bisogno quale occurre alla Signoria Sua, la quale se persuadea non solo essere servita da lei voluntera de queste gente d'arme sue, ma presupponea che lei propria fusse venuta in persona, quando l'avesse ricercata, movendone anche lo iudicio quale se farà in Italia de questa resposta [...] Né credemo che la Signoria Vostra deve estimare che li 200 homini d'arme soi gli siano necessarii per conservatione del Stato, però che, a turbatione [aggressione] quale gli volesse essere facta da potentato grosso, non sariano sufficienti senza altro presidio, né per cosa privata gli sono necessarii. [...] a nui è rincresciuto che la gli habii negato li homini d'arme soi, et haveressimo desiderato che gli havesse pensato meglio. E cusì la pregamo a volergli satisfare per honore et beneficio commune, come ne confidiamo che la se resolverà de fare per non lassare del animo et amore Suo verso el predicto Signore nostro consorte et a noi altro iudicio ch'a quello che 'l debito e la rasone de la coniunctione del sangue vorria.|Lettera di Beatrice d'Este a Ercole I d'Este, 4 giugno 1495.}}
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{{Citazione|Fu donna de littere, musica, sòno e d'ogni altro exercizio virtuoso amantissima, e ne le cose de lo stato, sopra el sexo e l'età, de toleranzia virile. Expediva le occurrenzie con tal destreza e unità, e non manco se partiva satisfacto chi da sua Signoria non obteneva el beneficio, che quello che el conseguiva. Adiungevase a questo una liberalità con sé, unde ben se po' veramente dire Lei a' suoi tempi essere stata unico receptaculo de ogni virtuoso spirito, per mezo del quale ogni laudabile virtù se comenzava a mettere in uso|Vincenzo Calmeta, in ''[[Triumphi di Vincenzo Calmeta|Triumphi]]''<ref>{{Cita|Guberti|p. 3}}.</ref>}}Non diversamente [[Baldassarre Castiglione]] la ricordò, molti anni dopo, con poche ma significative parole nel suo [[Il Cortegiano|Cortegiano]]: «pesami ancora che tutti non abbiate conosciuta la duchessa Beatrice di Milano [...] , per non aver mai più a maravigliarvi di ingegno di donna».<ref>{{Cita libro|autore=Baldassarre Castiglione|wkautore=Baldassarre Castiglione|titolo=Il Cortegiano|anno=1955|editore=UTET|p=388|opera=Classici}}</ref>
 
[[Ludovico Ariosto]] si spinse anche oltre, unificando le sorti di Beatrice a quelle del marito e dell'Italia intera, che con lei saranno trionfanti e, senza di lei, prigionieri.<ref name="a 3">{{Cita libro|autore=Ludovico Ariosto|wkautore=Ludovico Ariosto|titolo=L'Orlando furioso|url=https://www.google.it/books/edition/L_Orlando_furioso_di_Lodovico_Ariosto/42lJAAAAMAAJ?hl=it&gbpv=0|anno=1839|editore=Lefevre|pp=280-281280–281}}</ref> Ciò è espresso in due diversi canti: oltre alle già citate [[Ottava rima|ottave]] 91-92 del canto 42, altrettanto le seguenti:<ref>{{Cita|Dina|p. 383}}.</ref>
 
{{Citazione|E Moro e Sforza e Viscontei colubri,<br />
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== Legame coniugale e corteggiamenti ==
[[Ludovico Sforza|Ludovico]] era sinceramente innamorato della moglie, sebbene abbia continuato ad avere amanti anche dopo il matrimonio, come d'altronde la maggior parte dei signori dell'epoca.<ref group="A">«Cecilia Gallerani e Lucrezia Crivelli soddisfacevano a Lodovico le aspirazioni del cuore e dei sensi, Beatrice era sprone alla sua ambizione. Egli lo sentiva. Quindi la morte della Duchessa fu certo causa in lui di profondo e sincero pianto. Tale infausto avvenimento segnò per il Moro il principio di una serie di sventure che sembrarono realizzare i tristi presentimenti di lui e che lo accasciarono, come non avrebbe certamente fatto se esso avesse avuto a fianco la nobile e fiera Consorte.» ({{Cita|Uzielli|p. 36}}).</ref> In una lettera scrive di lei: «essa mi è più cara che il lume del sole».<ref>{{Cita|Malaguzzi Valeri|pp. 438-439438–439}}.</ref> L'affiatamento della coppia viene confermato dai cortigiani, che lo vedevano rivolgere continuamente carezze e baci alla consorte: «Il S.r Ludovico non leva quasi mai li occhi da dosso a la Duchessa de Bari» scriveva nell'agosto 1492 Tebaldo Tebaldi;<ref>{{Cita|Dina|p. 330}}.</ref> e già poco tempo dopo le nozze [[Galeazzo Visconti (1455-1531)|Galeazzo Visconti]] dichiarava: «è uno tanto amore fra loro duy che non credo che doe persone più se posano amare».<ref>{{Cita|Malaguzzi Valeri|pp. 42-4442–44}}.</ref>[[File:Ludovico Sforza e Beatrice d'Este nel Canzoniere Queriniano.jpg|miniatura|203x203px|Ludovico e Beatrice nel Canzoniere Queriniano di [[Antonio Grifo]].|sinistra]]Il medico ferrarese Ludovico Carri, venuto nell'ottobre 1492 a curare Beatrice gravemente ammalata, scriveva al duca Ercole che "El Signore Ludovico la acarezza per modo che l'è uno stupore, basandola spesso, dimandandola [chiamandola] ''perlina mia'', ''vita mia''", cosa che l'aveva commosso alle lacrime. E poi: "la acareza per modo che pare anche acarezare fina el fanzulino che l'ha nel corpo". Colpito dalla ricchezza e dalla quantità dei gioielli, dei cavalli e dei fornimenti che quotidianamente Ludovico le regalava, il medico concludeva: "In summa, considerando ogni cossa cum lo amore smesurato del marito, non credo che se ritrovi al mundo una altra dona meglio maritata de epsa".<ref name=":16">Documenti storici spettanti alla medicina, chirurgia, farmaceutica, Modena. R. Archivio di Stato, 1885, pp. 53-56.</ref>
D'altro canto nota [[Francesco Malaguzzi Valeri|Malaguzzi Valeri]] che se è vero che sull'amore dimostrato da Ludovico non bisogna nutrire alcun dubbio, rimane incerto quanto veramente la moglie lo ricambiasse. Se egli le rivolgeva continuamente paroline dolci, nomignoli amorosi e baci, nulla di tutto ciò emerge da parte di Beatrice. Alcuni vedendo la freddezza del suo epistolario giudicarono che non lo amasse, tuttavia ella gli si mostrava piacevole e allegra, coinvolgendolo nei propri divertimenti; inoltre certe gelosie mostrate basterebbero a provare il suo desiderio di averlo tutto per sé.<ref name=":0" /> Lo stesso Carri la vedeva reagire alle attenzioni del marito "subridendo [sorridendo] cum lui e dulcemente parlando e risguardandolo", in modo che gli pareva un misto fra [[Venere (divinità)|Venere]] e [[Diana]].<ref name=":16" /> Un sonetto del Bellincioni la descrive addolorata per l'assenza di lui, e immensamente lieta del suo ritorno, poiché la loro passione si accresceva di giorno in giorno,<ref>Le rime di Bernardo Bellincioni, Vol. 2, G. Romagnoli, 1878, p. 5.</ref> mentre una lettera ce la mostra intenta a curarlo durante una malattia.<ref>{{Cita|Cartwright|p. 136}}.</ref>
 
Indubbiamente, se pure agli inizi si mostrò restia, il marito riuscì in breve a conquistarla con la propria generosità, affabilità e liberalità, tant'è che già pochi mesi dopo le nozze Beatrice scriveva una serie di lettere al padre, tutte per ringraziarlo ch'egli si fosse degnato di «collocarme apresso questo illustrissimo signore mio consorte», il quale «non me lassa in desiderio de alcuna cosa la quale me possa portare honore o piacere»; e ancora aggiunge: «del tuto son obligata ala signoria vostra, perché lei è chausa de quanto bene ò».<ref name="GD">{{Cita|Giordano|pp. 38-3938–39}}.</ref> Quella che traspare dalla corrispondenza di quel periodo è dunque una giovanissima Beatrice abbagliata dalla ricchezza e dall'importanza del marito, ch'era allora uno degli uomini più potenti della Penisola, dotato di considerevole fascino e che non mostrava ancora le debolezze e le contraddizioni degli ultimi anni. Al di là dei reali sentimenti, i due seppero costruire l'immagine di coppia affiatata e unita da un amore che va ben oltre la morte, aspetto che colpì tutti i contemporanei.<ref name="G9" />
 
L'epistolario conserva momenti di grande tenerezza, come una lettera in cui Ludovico racconta alla suocera del benestare del neonato [[Massimiliano Sforza|Ercole Massimiliano]] e di come "la mia consorte et io così nudino nudino se lo facemo portare qualche volta et lo tenemo in mezo a noi doi".<ref name=":182">{{Cita|Giordano|pp. 83-8583–85}}.</ref> Colpisce la premura di soddisfare la moglie in ogni suo capriccio e la preoccupazione, palesata ai suoceri, di non farle scoprire le volte in cui le mentiva, nel timore che "non me ne voria bene", cioè di perdere il suo amore.<ref name=":182" />[[File:Impresa del Caduceo col motto Ut iungor impresa nuziale di Ludovico il Moro e Beatrice d'Este.jpg|miniatura|239x239px|Dal giorno delle nozze adottarono come [[Impresa (araldica)|impresa]] di coppia il [[Caduceo]] col motto ''ut iungor'' (che io sia unito).]]
=== I corteggiatori e la fedeltà ===
Diversamente dalle proprie parenti e dalla stessa sorella [[Isabella d'Este|Isabella]], con la quale Ludovico stesso affermò d'aver intrattenuto una relazione,<ref>{{Cita|Pizzagalli, 2001|p. 137}}.</ref> su Beatrice non ricadde mai neppure il minimo sospetto di [[adulterio]]. Ella mantenne sempre fama d'integerrima onestà, e ciò a dispetto delle libertà nel vestire e nel rapportarsi cogli uomini: colpiscono i corteggiamenti di stampo [[Amor cortese|cavalleresco]] intrattenuti coi francesi e con l'[[Massimiliano I d'Asburgo|imperatore]], dove infatti l'assolvimento dell'[[Rapporto sessuale|atto sessuale]] era delegato ad apposite cortigiane.<ref name="MV" />
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Beatrice è oggi conosciuta soprattutto per il suo genio inventivo nella creazione di nuovi abiti, che furono una delle sue più grandi passioni.<ref>{{Cita|Giordano|p. 70}}.</ref> Finché visse non ebbe rivali in alcuna corte, dettò la moda in molte città dell'epoca e fu seguendo il suo esempio che numerose nobildonne adottarono l'acconciatura del [[coazzone]], la quale entrò molto in voga.<ref>{{Cita|Giordano|p. 148}}.</ref>[[File:Beatrice nella Pala Sforzesca.jpg|miniatura|Beatrice nella [[Pala Sforzesca]]. Si noti la raffinatissima [[Gorgiera (abbigliamento)|gorgierina]] stretta al collo.|325x325px]]
 
Il Muralto la ricorda come «inventrice di nuovi vestiti»,<ref name=":0" group="A" /> ruolo di cui ella stessa mostra piena consapevolezza quando, in una lettera alla sorella, si scusa di avere "poca fantasia de far inventione nove" in quel periodo, a causa del dolore per la perdita della madre.<ref name="LR" /><ref>{{Cita|Malaguzzi Valeri, vol. 2|pp. 270-271270–271}}.</ref> Il medico Ludovico Carri lodava col duca di Ferrara la perizia di Beatrice che, pure da ammalata, "ordina recami, corrigendo li disegni per modo che li maestri propri se ne meravigliano".<ref name=":16" />
 
Nel 1493, "con un moto di femminile vanità", scriveva da Venezia al marito: «non tacerò già anche a la Excellentia Vostra che passando io [...] per questo frequente populo [...] ognuno firmava la vista verso le gioye quale io haveva sopra l'ornamento de testa et la veste del porto et in spetie sopra la puncta del dyamante quale haveva nel pecto, cum dire l'uno verso l'altro: ''E x'è la mugliere del Signor Ludovico, guarda che belli ballassi et puncta de dyamante ha!''»<ref name=":7" />
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Il suo gusto nel vestire colpì particolarmente i cortigiani francesi al seguito di [[Carlo VIII di Francia|Carlo VIII]], che si spesero in ampie descrizioni; di queste è interessante il dettaglio delle scollature ardite - "et avoit la gorge toute nue" ["e aveva il petto tutto nudo"]<ref group="A">Dove "gorge" è da intendere nella sua accezione di "parte del torace femminile dal collo al seno, a seconda della profondità della scollatura, più o meno visibile, o i seni stessi di una donna". ({{Cita web|url=https://deaf-server.adw.uni-heidelberg.de/lemme/gorge|titolo=GORGE}})</ref> - certo piuttosto infrequenti per l'epoca.<ref name=":5" group="A" /> Un anonimo poeta francese la celebra come fautrice di un "nuovo stile",<ref name=":77" /> mentre [[André de la Vigne]] così ne ricorda l'eccessivo lusso ostentato:<ref>{{Cita|Cartwright|p. 210}}.</ref>{{Citazione|Con lui fece venire la sua consorte,<br />colei che era figlia del duca di Ferrara:<br />di fine drappo d'oro in tutto o in parte,<br />di giorno in giorno volentieri si vestiva:<br />catene, collane, spille, pietre preziose;<br />così come dice un comune proverbio,<br />tante ne aveva ch'era una diavoleria.<br />In breve vale di più la catena che la ghirlanda.<ref group="A">Antico proverbio francese intraducibile in italiano. ({{Cita web|url=https://www.littre.org/definition/gerbe|titolo=« gerbe », définition dans le dictionnaire Littré}})</ref><br />Attorno al collo anelli, gioielli, collari,<br />e attorno al capo di ricchezze abbellito,<br />bordure d'oro, motti e broccati:<br />un sogno era vederla trionfare.|André de la Vigne, ''Le Vergier d'honneur''|Avecques luy fist venir sa partie<br />qui de Ferrare fille du duc estoit:<br />de fin drap d'or en tout ou en partie<br />de jour en jour voulentiers se vestoit:<br />Chaines, colliers, affiquetz, pierrerie,<br />ainsi qu'on dit en ung commun proverbe,<br />tant en avoit que c'estoit diablerie.<br />Brief mieulx valoit le lyen que le gerbe.<br />Autour du col bagues, joyaulx, carcans,<br />et pour son chief de richesse estoffer,<br />bordures d'or, devises et brocans:<br />ung songe estoit de la voir triumpher.|lingua=fr}}
 
Per tutta la vita mantenne, innovandola, la moda iberico-napoletana assunta durante l'infanzia: [[Gamurra|camore]] con [[Manica (abbigliamento)|maniche]] strette e [[Scollo|scollature]] particolarmente profonde, di forma quadrata, accompagnate da una sbernia asimmetrica su una sola spalla; [[Pianella (calzatura)|pianelle]]; diverse varietà di [[coazzone]] con lenza e scuffia di stoffa o di sole perle, cui verso il 1496 abbinò una [[Frangia (acconciatura)|frangetta]] di riccioli simile a quella veneziana. È nota una grande varietà di motivi da lei adoperati, fra i quale pare prediligesse i tessuti a righe verticali o decorati con le imprese sforzesche ed estensi.<ref name="G7" /> A lei si fa risalire l'invenzione della nota fantasia "del passo cum li vincij", ideata per lei da [[Niccolò II da Correggio|Niccolò da Correggio]], che avrà enorme diffusione anche presso i reali di Francia, e presente in molti quadri di Leonardo da Vinci.<ref>{{Cita libro|autore=Giornale della Società storica lombarda|titolo=Archivio storico lombardo|anno=1890|editore=Società storica lombarda|p=382|volume=17}}</ref>[[File:Pianella detta di Beatrice d'Este, frontale.jpg|miniatura|198x198px|[[Pianella (calzatura)|Pianella]] detta di Beatrice d'Este, [[Museo internazionale della calzatura]] di Vigevano.]]Altra moda da lei lanciata pare essere stata l'uso del [[Manicotto (abbigliamento)|manicotto]] di [[Civettictis civetta|zibetto]] o anche l'idea di mettere in risalto la vita stringendovi attorno un cordone di grosse perle ch'ella definiva ''alla [[Francesco d'Assisi|San Francesco]]''.<ref>{{Cita|Cartwright|p. 190}}.</ref> Le [[Perla|perle]] del resto furono il suo più grande vezzo e fin dall'infanzia ne fece uso costante, sia in forma di collana, sia nelle acconciature, sia come decorazione degli abiti.<ref name="G7">{{Cita|Giordano|pp. 153-157153–157}}.</ref> Nel XV i cappelli erano ancora rari nel guardaroba femminile, ma anche di questi fece gran uso: cappelli ingioiellati di seta nera e cremisi, adornati con penne o [[Pennacchio (decorazione)|pennacchi]] di [[Pica pica|gazza]], di [[Ardeidae|airone]], coi quali "la pareva una regina";<ref>{{Cita|Malaguzzi Valeri|pp. 410 e 737}}.</ref> addirittura un "bonetto" che, come la sottile [[Gorgiera (abbigliamento)|gorgierina]] stretta attorno alla gola, preannuncia la moda del secolo successivo.<ref>Storia del costume in Italia, Volume 2, Rosita Levi Pisetzky, 1964, p. 299.</ref>
 
== Mecenatismo ==
Beatrice si interessò soprattutto di poesia e riunì attorno a sé un eccelso circolo di poeti in lingua volgare, di cui facevano parte, fra gli altri, [[Vincenzo Calmeta]], [[Gaspare Ambrogio Visconti|Gaspare Visconti]], [[Niccolò II da Correggio|Niccolò da Correggio]], Antonio Fileremo Fregoso, [[Antonio Cammelli]], Benedetto da Cingoli, [[Serafino de' Cimminelli|Serafino Aquilano]] e, brevemente, [[Bernardo Bellincioni]].<ref name="M5" /><ref>{{Cita libro|titolo=Rassegna critica della letteratura italiana, Volumi 1-3|url=https://books.google.it/books?redir_esc=y&hl=it&id=-SoQAAAAYAAJ&q=beatrice+duchessa#v=onepage&q&f=false|pp=144-145144–145}}</ref> Il Calmeta, in particolare, ne fece la [[Muse (divinità)|musa]] fondante della propria poetica e la elevò al rango di [[Dolce stil novo|donna angelica]] nei ''[[Triumphi di Vincenzo Calmeta|Triumphi]]'',<ref name=":28" /> mentre il Visconti le dedicò un [[canzoniere]].<ref name=":31" />
[[File:Beatrice d'Este nella Crocifissione del Montorfano.jpg|sinistra|miniatura|201x201px|Ciò che rimane del [[Ritratti dei duchi di Milano con i figli|ritratto]] di Beatrice realizzato da [[Leonardo da Vinci]] nel refettorio delle [[Chiesa di Santa Maria delle Grazie (Milano)|Grazie]] sulla ''Crocifissione'' di [[Donato Montorfano]].]]
Ebbe un ruolo determinante nell'affermarsi della letteratura volgare a Milano. Se infatti il marito incentivava più che altro [[Storiografia|opere storiografiche]], fu solo con Beatrice che la [[poesia]] e il [[teatro]] presero il sopravvento.<ref name=":73">{{Cita|Ludovicus Dux|pp. 66-8766–87}}.</ref> Secondo alcuni ciò è segno del fatto che non padroneggiasse il latino, sebbene avesse avuto per precettore l'umanista [[Battista Guarino]],<ref>{{Cita|Giordano|pp. 179-194179–194}}.</ref> ma non vi fu comunque del tutto estranea, poiché intrattenne una corrispondenza latina con [[Cassandra Fedele]], compiacendosi che ella avesse "grandemente nobilitato il sesso femminile del nostro tempo grazie alla conoscenza delle lettere".<ref name=":27" />
 
Splendida fautrice della rinascita del teatro milanese, a lei Galeotto del Carretto dedicò una ''Comedia de Beatrice.''<ref>Marzia Minutelli, Poesia e teatro di Galeotto dal Carretto, Nuova Rivista di Letteratura Italiana, VII, 1-2, 2004, p. 160.</ref> Nei suoi viaggi era sempre accompagnata da musici e cantori e fu ella stessa cantante nonché suonatrice di [[Viola (strumento musicale)|viola]], [[liuto]] e [[clavicordo]]. Apprezzava altrettanto i [[Letteratura cavalleresca|poemi cavallereschi]] provenzali e il ciclo carolingio, che in quegli anni il [[Matteo Maria Boiardo]] manteneva vivo. Amava in particolar modo ascoltare il commento della ''[[Divina Commedia]]'' tenuto per lei da [[Antonio Grifo]], passione condivisa anche dal marito che spesso si fermava ad ascoltarne le letture.<ref name="M5" />{{Citazione|Haveva per soa dilettissima consorte il Duca Ludovico Beatrice da Esti [...] la quale, advengaché fusse su el fiore de la adolescentia soa, era di tanto perspicace ingegno, affabilità, gratia, liberalità e generosità decorata, che a qual se voglia memorabile Donna antica si poteva equiperare, non havendo mai el pensiero in altro che in cose laudabili dispensare el tempo. Era la corte soa de homini in qual se voglia Virtù et exercitio copiosa e sopratutto de Musici e Poeti da li quali oltra le altre compositioni mai non passava mese che da loro o [[Egloga]] o [[Commedia|Comedia]] o [[tragedia]] o altro novo spettaculo e representatione non se aspettasse. [...] Né bastava alla Duchessa Beatrice solamente li virtuosi di soa Corte premiare et exaltare, ma da quale se voglia parte de Italia, donde poteva havere compositioni di qualche elegante Poeta, quella como cosa divina e sacra in li suoi secretissimi penetrali reponeva, laudando e premiando ogniuno secondo era il grado e merito di soa Virtude, in modo che la [[Umanesimo volgare|vulgare Poesia]] et [[Oratoria|arte oratoria]], dal [[Francesco Petrarca|Petrarcha]] e [[Giovanni Boccaccio|Boccaccio]] in qua quasi adulterata, prima da [[Lorenzo de' Medici|Laurentio Medice]] e suoi coetanei poi mediante la emulatione di questa et altre singularissime Donne di nostra etade, su la pristina dignitade essere ritornata se conprhende.|Vincenzo Calmeta, Vita di Serafino Aquilano.<ref>{{Cita libro|autore=Vincenzo Calmeta|wkautore=Vincenzo Calmeta|titolo=Collettanee greche, latine e vulgari per diversi auctori moderni nella morte de l'ardente Seraphino Aquilano|anno=1504|p=25}}</ref>}}[[File:Bianca_Giovanna_Sforza.jpg|miniatura|216x216px|Beatrice nel Messale Arcimboldi.]]Sfruttò la sua posizione di signora di una delle corti più splendide d'Italia per circondarsi di artisti d'eccezione.<ref name=":12" /> Alla sua morte, scrisse il [[Vincenzo Colli|Calmeta]], «ogni cosa andò in ruina e precipizio, e di lieto paradiso in tenebroso inferno la corte se converse, onde ciascun virtuoso a prender altro cammino fu astretto». Iniziava così la lenta diaspora dei poeti, artisti e letterati milanesi, costretti, specialmente dopo la definitiva caduta del Moro, a cercar fortuna altrove.<ref name=":28">{{Cita|Guberti|p. XXVI}}.</ref>