Vincent van Gogh: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Recupero di 1 fonte/i e segnalazione di 0 link interrotto/i.) #IABot (v2.0.9.5
Annullata la modifica 146772937 di 2A02:B021:F02:C9C8:4010:8102:4D81:DCE (discussione) meglio prima
Etichetta: Annulla
 
(7 versioni intermedie di 7 utenti non mostrate)
Riga 25:
Iniziò a disegnare da bambino e nonostante le critiche del padre, un [[pastore protestante]] che gli impartiva delle norme severe, continuò a interessarsi all'arte finché non decise di diventare un pittore vero e proprio. Iniziò a dipingere all'età di 27 anni realizzando molte delle sue opere più note nel corso degli ultimi due anni di vita. I suoi soggetti consistevano in [[autoritratto|autoritratti]], [[Paesaggio|paesaggi]], [[natura morta|nature morte]] di [[Fiore|fiori]], dipinti con [[cipressi]], rappresentazioni di campi di [[grano]] e [[Helianthus annuus|girasoli]]. La sua formazione si deve all'esempio del [[Realismo (arte)|realismo]] paesaggistico dei [[scuola di Barbizon|pittori di Barbizon]] e del messaggio etico e sociale di [[Jean-François Millet]].<ref>Van Gogh, come [[Kierkegaard]] e [[Dostoevskij]], s'interroga, pieno di angoscia, sul significato dell'esistenza. Sta dalla parte delle vittime, degli sfruttati nel lavoro e dei diseredati. L'arte, per lui, deve essere un agente di trasformazione della società. La sua pittura si caratterizza "per l'accostamento stridente dei colori, per l'andamento spezzato dei contorni, per il ritmo serrato delle pennellate, che fanno del quadro un contesto di segni animati da una vitalità febbrile, convulsa". {{cita|Argan|pp. 157, 161}}.</ref>
 
Dopo diversi anni di [[Sofferenza|sofferenze]], patendo anche di frequenti [[Disturbo mentale|disturbi mentali]],<ref>{{cita|Tralbaut|pp. 286-287}}.</ref><ref>{{cita|Hulsker 1990|p. 390}}.</ref><ref>{{cita news|lingua=en|url=https://www.telegraph.co.uk/culture/art/art-news/8832202/Vincent-Van-Gogh-expert-doubts-accidental-death-theory.html|titolo=Vincent van Gogh expert doubts 'accidental death' theory|pubblicazione=[[The Daily Telegraph]]|data=17 ottobre 2011|accesso=8 febbraio 2012}}</ref> nel 1890 [[Morte di Vincent van Gogh|morìsi misteriosamentesuicidò]] a 37 anni, nel 1890 ad [[Auvers-sur-Oise]], all'età di 37 anni.
 
La fama artistica delle sue opere verrà riconosciuta soltanto dopo la sua morte.
Riga 32:
La più completa [[fonte primaria]] per la comprensione di Van Gogh come artista e come uomo è ''[[Lettere a Theo]]'', la raccolta di lettere tra lui e il fratello minore, il [[mercante d'arte]] [[Theodorus van Gogh|Théo van Gogh]], con il quale intratteneva un rapporto particolarissimo e intimo: Théo, infatti, fornì a Vincent sostegno finanziario ed emotivo per gran parte della sua vita.<ref name="Pix">{{cita|Pomerans|p. ix}}.</ref><ref>{{cita web|url=http://www.vangoghletters.org/vg/|titolo=Van Gogh: The Letters|editore=Van Gogh Museum|lingua=en|accesso=7 ottobre 2009}}</ref><ref>{{cita web|url=http://www.webexhibits.org/vangogh/|titolo=Van Gogh's letters, Unabridged and Annotated|lingua=en|accesso=25 giugno 2009|dataarchivio=21 maggio 2016|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20160521190032/http://www.webexhibits.org/vangogh/|urlmorto=sì}}</ref> La maggior parte di ciò che ci è noto sul pensiero di Van Gogh e sulle sue teorie sull'arte è scritto nelle centinaia di lettere che lui e il fratello si scambiarono tra il 1872 e il 1890: più di seicento da Vincent a Théo e quaranta da Théo a Vincent.
 
Il patrimonio epistolare di Vincent e Théo, si è detto, è una documentazione fondamentale, non solo perché raccoglie notizie determinanti per ricostruire la personalità e le tormentate vicende esistenziali del pittore, ma anche perché consente di comprenderne a pieno le concezioni artistiche. Tra il mondo pittorico e quello [[Poetica|''poieticopoetico'']] ed epistolare di Van Gogh, invero, correva una forte compenetrazione: in ragione della celebre formula oraziana ''[[ut pictura poësis]]'', infatti, il pittore nelle proprie missive commentò molto dettagliatamente i propri capolavori, che infatti dispongono quasi sempre di una riflessione epistolare in merito al soggetto, all'apparato cromatico, alle circostanze gestative. Anche se molte di queste lettere non sono datate, gli storici dell'arte sono stati in grado di ordinarle cronologicamente. Il periodo in cui Vincent visse a Parigi è il più difficile da ricostruire per gli storici appunto poiché i due fratelli, vivendo insieme, non ebbero bisogno di scriversi.<ref>{{cita|Pomerans|pp. i-xxvi}}.</ref>
 
Oltre alle lettere da Vincent per Théo ne sono state conservate altre e, in particolare, quelle a Van Rappard, a Émile Bernard e alla sorella [[Wil Van Gogh|Wil]].<ref>{{cita|Pomerans|p. xiii}}.</ref> Il ''corpus'' di lettere è stato pubblicato nel 1913 dalla vedova di Théo, [[Johanna Bonger|Johanna van Gogh-Bonger]], che le rese pubbliche con molta cautela, perché non voleva che il dramma nella vita dell'artista mettesse in ombra il suo lavoro. Van Gogh stesso era un avido lettore di biografie di altri artisti e pensava che la loro vita dovesse essere in linea con le caratteristiche della loro arte fantastica, anche se talvolta poco seria.
Riga 166:
«Per quanto possa giudicare» scrisse Vincent a Théo dopo il rilascio, «non sono veramente malato di mente. Come puoi vedere, i quadri che ho fatto nel periodo fra i due attacchi sono più tranquilli e non peggiori degli altri. Ho molta voglia di lavorare e non mi stanco».<ref>vg 479</ref> Così Vincent commentò, in maniera serafica e più consapevole, il vivace dibattito diagnostico che avrebbe tentato di rintracciare l'eziologia della sua malattia nel corso degli anni: oltre centocinquanta psichiatri hanno tentato di classificare i suoi disturbi, con il risultato di circa trenta diagnosi diverse.<ref name="Blumer">{{cita pubblicazione|autore=Dietrich Blumer|url=http://ajp.psychiatryonline.org/cgi/content/abstract/159/4/519|lingua=en|titolo=The Illness of Vincent van Gogh|collana=American Journal of Psychiatry|anno=2002|accesso=12 aprile 2012|dataarchivio=12 giugno 2011|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20110612004826/http://ajp.psychiatryonline.org/cgi/content/abstract/159/4/519|urlmorto=sì}}</ref> Esse includono la [[schizofrenia]], il [[disturbo bipolare]], la [[sifilide]], l'avvelenamento da ingestione di vernici al piombo ([[saturnismo]]), l'[[epilessia del lobo temporale]] e la [[porfiria acuta intermittente]] (vista l'ereditarietà e la [[demenza]] diagnosticata poi al fratello), con l'aggravante della [[malnutrizione]], del lavoro eccessivo, dell'[[insonnia]] e del [[alcolismo|consumo di alcool]], in particolare di [[assenzio]].
 
In ogni caso, una volta terminata la degenza, Vincent fece ritorno alla Casa Gialla e superò la sua crisi, anche grazie al sostegno morale di Joseph Roulin, un uomo imponente e gioviale «con una grande barba, molto simile a [[Socrate]]», e di Théo, immediatamente giunto a Marsiglia quando seppe da Gauguin cosa stava succedendo. Vincent alternava periodi di serenità, nei quali era in grado di valutare lucidamente e ironicamente tutto quello che gli era successo, a momenti di ricadute nella malattia: il 9 febbraio, dopo una crisi nella quale era convinto che qualcuno volesse avvelenarlo, fu nuovamente ricoverato in ospedale. Una volta dimesso Vincent riprese a lavorare di buona lena nella Casa Gialla: la crisi della sua salute mentale, tuttavia, era palpabile, e trenta cittadini di Arles, autodefinendosi «antropofaghi», si fecero avanti firmando una petizione dove si richiedeva l'internamento in [[manicomio]] del «rosso pazzo».<ref>p 712</ref> Grazie all'intervento di Signac la petizione non ebbe buon esito: Vincent, tuttavia, comprese di essere malato sia fisicamente che spiritualmente e perciò, dopo l'ennesimo deliquio, l'8 maggio 1889 entrò volontariamente nella ''Maison de Santé'' di Saint-Paul-de-Mausole, un vecchio convento adibito a ospedale psichiatrico a [[Saint-Rémy-de-Provence]], a una ventina di chilometri da Arles.
[[File:VanGogh-starry night ballance1.jpg|min|sinistra|verticale=1.3|Vincent van Gogh, ''[[Notte stellata]]'' (Saint-Rémy, giugno 1889); olio su tela, 73,7×92,1 cm, [[Museum of Modern Art]], [[New York]]. F 612, JH 1731.]]
Nella clinica di Saint-Rémy non veniva praticata alcuna cura, a meno di definire «cura» i due bagni settimanali cui i pazienti erano sottoposti. Non se ne lamentava il pittore quando scrisse che «osservando la realtà della vita dei pazzi in questo serraglio, perdo il vago terrore, la paura della cosa e a poco a poco posso arrivare a considerare la pazzia una malattia come un'altra».<ref>Lettera n. 591 a Théo van Gogh, 9 maggio 1889.</ref> Vincent, in ogni caso, viveva in una stanza con un tappeto grigioverde, un divano logoro e una finestra sbarrata che guardava un giardino della clinica e, al di là di quello, i campi e, più lontano, le montagne delle Alpilles, l'ultima catena delle Alpi francesi. Aveva a disposizione per lavorare un'altra camera vuota, poteva andare a dipingere anche fuori dal manicomio, accompagnato da un sorvegliante, e continuò a mantenersi in contatto epistolare con il fratello, che gli spediva libri e giornali. L'inattività, infatti, risultava inaccettabile per Vincent, che nella solitudine della vita claustrale del manicomio poteva sentirsi vivo solamente consultando i cataloghi delle più importanti mostre delle opere di Monet e di Rodin nella galleria parigina di Petit, divorando un'edizione dei drammi di Shakespeare, o ancora dipingendo i luminosi vigneti o gli uliveti grigio-argentei del paesaggio intorno Saint-Rémy. A questo periodo risalgono infatti ben centoquaranta dipinti, fra i quali la celeberrima ''[[Notte stellata]]'', oggi esposta al [[Museum of Modern Art]] di [[New York]].