Socrate: differenze tra le versioni
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{{nd}}
{{Bio
|Nome = Socrate
|Cognome =
|PreData = {{lang-grc|Σωκράτης|Sōkrátēs}}, [[Fonologia della lingua greca antica|pronuncia]]: {{IPA|[sɔːkrátɛːs]}}
|Sesso = M
|LuogoNascita = Atene
|LuogoNascitaLink = Atene (città antica)
|GiornoMeseNascita =
|AnnoNascita = [[470 a.C.]]/[[469 a.C.]]
|NoteNascita = <ref>{{Treccani|socrate}}</ref>
|LuogoMorte = Atene
|LuogoMorteLink = Atene (città antica)
|GiornoMeseMorte =
|AnnoMorte = 399 a.C.
|Epoca = -400
|Epoca2 = -300
|Attività = filosofo
|Nazionalità = greco antico
|PostNazionalità = , uno dei più importanti esponenti della [[storia della filosofia occidentale|tradizione filosofica occidentale]]
|Immagine = Socrates Louvre.jpg
|Didascalia = Testa di Socrate, [[scultura]] di [[epoca romana]] conservata al [[Museo del Louvre]] di [[Parigi]]. Socrate fu il primo filosofo a essere ritratto. Tutte le altre immagini dei filosofi presocratici sono opere di fantasia.<ref>Ubaldo Nicola, ''Antologia di filosofia. Atlante illustrato del pensiero'', Giunti Editore, 2002, p. 465.</ref>
}}
Il contributo più importante che egli ha dato alla storia del pensiero filosofico consiste nel suo [[metodo socratico|metodo]] d'indagine: il [[dialogo]] che utilizzava lo strumento [[critica|critico]] dell{{'}}''[[Elenco (logica formale)|elenchos]]'' (ἔλεγχος, élenchos = "confutazione") applicandolo prevalentemente all'esame in comune (ἐξετάζειν, ''exetàzein'') di [[concetto|concetti]] morali fondamentali. Per questo Socrate è riconosciuto come padre fondatore dell'[[etica]] o [[filosofia morale]].
È considerato il vero padre della [[storia della filosofia occidentale|filosofia occidentale]].<ref>{{Cita web|url=https://www.raicultura.it/filosofia/foto/2019/01/RaiTv-Media-Foto-Item-10ec6545-61ac-4960-9666-a47ea1783d2a.html|titolo=''Agli albori del pensiero''|accesso=22 settembre 2023}}</ref>
== Biografia ==
=== Origini e formazione ===
[[File:Socrates and Xanthippe.jpg|thumb|Socrate e Santippe: incisione di [[Otto van Veen]], [[XVII secolo]]]]
[[File:Socrates Pio-Clementino Inv314.jpg|left|thumb|Busto di Socrate conservato nei [[Musei Vaticani]]]]
{{citazione|Dovetti concludere meco stesso che veramente di cotest'uomo ero più sapiente io: [...] costui credeva sapere e non sapeva, io invece, come non sapevo, neanche credevo sapere.|[[Platone]], ''[[Apologia di Socrate]]'', trad. di [[Manara Valgimigli]], in Id., ''Opere'', a cura di [[Gabriele Giannantoni|G. Giannantoni]], 2 voll., Laterza, Bari 1966, vol. 1, 21d, p. 39|Πρὸς ἐμαυτὸν δ᾽ οὖν ἀπιὼν ἐλογιζόμην ὅτι τούτου μὲν τοῦ ἀνθρώπου ἐγὼ σοφώτερός εἰμι· [...] ἀλλ᾽ οὗτος μὲν οἴεταί τι εἰδέναι οὐκ εἰδώς, ἐγὼ δέ, ὥσπερ οὖν οὐκ οἶδα, οὐδὲ οἴομαι<ref>{{cita libro|autore=Plato|titolo=AΠOΛOΓIA ΣΩKΡATOΥΣ|opera=[https://archive.org/stream/operarecognovitb01platuoft#page/n7/mode/2up Platonis opera]|altri=recognovit brevique adnotatione critica instruxit [[John Burnet|Ioannes Burnet]] in universitate andreana litterarum graecarum professor collegii mertonensis olim socius. Tomus I, tetralogias I-II continens|posizione=21d|città=Oxonii|editore=E Typographeo Clarendoniano|anno=MCMV|url=https://ia800202.us.archive.org/BookReader/BookReaderImages.php?zip=/11/items/operarecognovitb01platuoft/operarecognovitb01platuoft_jp2.zip&file=operarecognovitb01platuoft_jp2/operarecognovitb01platuoft_0051.jp2&scale=2&rotate=0|isbn=no|accesso=29 agosto 2017}}</ref>.|grc}}
Il padre di Socrate, [[Sofronisco]], fu uno [[scultore]] del [[Demo (antica Grecia)|demo]] di [[Alopece]], ed è possibile che abbia trasmesso tale mestiere al giovane figlio, anche se nessuna testimonianza gli attribuisce alcun mestiere:<ref>[[Monique Canto-Sperber]]</ref> in tal senso, secondo Diogene Laerzio (''Vite dei filosofi'', II, 19)<ref>Diogene Laerzio, ''Vite dei filosofi'', vol. 1, Laterza, Roma-Bari 2014, p. 55, ove si dice: «Duride scrive che egli fu servo e lavorò in opere di pietra; alcuni dicono che egli scolpì le Cariti, vestite, che sono sull'Acropoli».</ref>, opera di Socrate sarebbero state le [[Cariti]],<ref>Così anche Pausania I, 22,8 e IX, 35, 7. Ma Plinio, ''Historia naturalis'', XXXVI, 32 precisa che tale Socrate non va confuso con Socrate il pittore («Non postferuntur et Charites in propylo Atheniensium, quas Socrates fecit, alius ille quam pictor, idem ut aliquim putant»). Qui Salvatore Rizzo (in Pausania ''Viaggio in Grecia'' I, nota 13, p.412, Milano, Rizzoli) e [[Giovanni Reale]] (nota 76, p. 1331 in Diogene Laerzio ''Vite e dottrine dei più celebri filosofi'' Milano, Bompiani) leggono come una precisazione volta a non confondere il Socrate filosofo, dall'autore dell'opera che invece sarebbe lo scultore Socrate il tebano (cit. in Pausania IX, 25,3). Diversamente [[Gian Biagio Conte]] (in Plinio, ''Storia naturale'', vol. V, p. 573, Torino, Einaudi) critica tale lettura "moderna" considerando plausibile che il Socrate filosofo sia l'autore dell'opera.</ref> vestite, sull'[[acropoli di Atene]]. Sua madre, [[Fenarete]], che aveva già avuto un figlio di nome Patrocle da un precedente matrimonio<ref>John Burnet, ''Interpretazione di Socrate'', Vita e Pensiero, 1994 p.46</ref> con Cheredemo,<ref>Platone, ''Eutidemo'', 297 E</ref> sarebbe stata una [[ostetrica|levatrice]].<ref>«Socrate – Oh, mio piacevole amico! e tu non hai sentito dire che io sono figliuolo d'una molto brava e vigorosa levatrice, di Fenàrete? Teeteto – Questo sì, l'ho sentito dire. Socrate – E che io esercito la stessa arte l'hai sentito dire? Teeteto – No, mai! Socrate – Sappi dunque che è così. Tu però non andarlo a dire agli altri. Non lo sanno, caro amico, che io possiedo quest'arte;» (Platone, ''Teeteto'', 149 a-151 d.) Il mestiere che Socrate afferma di avere ereditato dalla madre è naturalmente non quello di fare nascere neonati ma l'arte della ''[[maieutica]]''.</ref>
Probabilmente Socrate era di famiglia benestante, di origini [[aristocrazia|aristocratiche]]: nei dialoghi platonici non risulta che egli esercitasse un qualsiasi [[lavoro]] e del resto sappiamo che egli combatté quando era tra i 40 e i 50 anni<ref>«''Quando i comandanti che voi eleggeste per darmi ordini mi assegnarono un posto a Potidea, ad Anfipoli e a Delio, rimasi in quel posto che mi assegnarono e rischiai di morire'' (in Platone, ''Apologia di Socrate'', 29e)»</ref> come [[oplita]]<ref>L'oplita era un fante dotato di un'[[armatura]] pesante e costosa; per questo gli opliti erano i cittadini più facoltosi delle ''poleis'' greche.</ref> nella [[battaglia di Potidea]], e in quelle di [[Battaglia di Delio|Delio]] e di [[Battaglia di Anfipoli|Anfipoli]]. È riportato nel dialogo ''[[Simposio (dialogo)|Simposio]]'' di Platone che Socrate fu decorato per il suo coraggio. In un caso, si racconta, rimase al fianco di [[Alcibiade]] ferito, salvandogli probabilmente la vita. Durante queste campagne di [[guerra]] dimostrò di essere straordinariamente resistente, marciando in [[inverno]] senza scarpe né mantello; così attesta Alcibiade:
{{Citazione|Prima di tutto, nelle fatiche era superiore non solo a me, ma anche a tutti gli altri. Quando, restando isolati da qualche parte, come avviene in guerra, eravamo costretti a rimanere senza cibo, gli altri, nel resistere alla fame, non valevano nulla nei suoi confronti [...]. Nella sua resistenza, poi, ai freddi dell’inverno, che là sono terribili, fece cose mirabili [...]. Quando ci fu la battaglia in cui gli strateghi dettero a me il premio di valore, nessun altro uomo mi salvò la vita se non costui, che non volle abbandonarmi ferito e riuscì a trarre in salvo me stesso e le armi insieme. E io, Socrate, già allora esortai gli strateghi a dare il premio di valore a te [...]. Ma gli strateghi, per riguardo alla mia posizione sociale, volevano darlo a me, il premio, e tu ti sei dato più premura degli strateghi perché il premio lo ricevessi io e non tu.<ref>Platone, ''Simposio'', 219e - 220e (trad. G. Reale)</ref><ref>Su Socrate e Alcibiade a Potidea, anche Plutarco, ''Alcibiade'' 7.4-5</ref>}}
=== L'attività politica ===
Nel 406, come membro del Consiglio dei Cinquecento ([[Bulé]]), Socrate fece parte della [[Pritania]] quando i generali della [[battaglia delle Arginuse]] furono accusati di non avere soccorso i feriti in mare e di non avere seppellito i morti per inseguire le navi spartane. Socrate ricopriva la carica di [[epistate]] e fu l'unico nell'assemblea che si oppose alla richiesta illegale di un processo collettivo contro i generali. Nonostante pressioni e minacce bloccò il procedimento fino alla conclusione del suo mandato quando infine sei generali ritornati ad Atene furono condannati a morte.<ref>Maurizio Pancaldi, Mario Trombino, Maurizio Villani, ''Atlante della filosofia: gli autori e le scuole, le parole, le opere'', Hoepli Editore, 2006 p.405</ref> Nel 404 i [[Trenta Tiranni]] ordinarono a Socrate e ad altri quattro cittadini di arrestare il democratico [[Leone di Salamina]] affinché fosse mandato a morte.<ref>Platone, ''Apologia di Socrate'', trad. di M. Valgimigli, 32c, in Id., ''Opere'', vol. 1, Laterza, Bari 1966, p. 54, ove si dice: «Quando poi ci fu l'oligarchia, ecco che un giorno i Trenta mi mandarono a chiamare con altri quattro, ci fecero venire nella sala del Tolo, e ci ordinarono di condurre via da Salamina Leonte di Salamina affinché morisse». Cfr. anche Andocide (I, 94), Lisia (XII, 52; XIII, 44) e Senofonte (''Elleniche'', II, 3, 39; ''Memorabili'', IV, 4, 3).</ref> Socrate si oppose all'ordine «preferendo – secondo quanto tramandato dalla platonica ''Lettera VII'' – correre qualunque rischio che farsi complice di empi misfatti».<ref>Platone, ''Lettera VII'', trad. di A. Maddalena, 324d-325a, in Id., ''Opere'', vol. 2, Laterza, Bari 1966, p. 1059, ove si dice: «Tra costoro [: i Trenta Tiranni] erano alcuni miei familiari e conoscenti, che sùbito mi invitarono a prendere parte alla vita pubblica, come ad attività degna di me. Io credevo veramente (e non c'è niente di strano, giovane come ero) che avrebbero purificata la città dall'ingiustizia traendola a un vivere giusto, e perciò stavo a osservare attentamente che cosa avrebbero fatto. M'accorsi così che in poco tempo fecero apparire oro il governo precedente: tra l'altro, un giorno mandarono, insieme con alcuni altri, Socrate, un mio amico più vecchio di me, un uomo ch'io non esito a dire il più giusto del suo tempo, ad arrestare un cittadino [: Leone di Salamina] per farlo morire, cercando in questo modo di farlo loro complice, volesse o no; ma egli non obbedì, preferendo correre qualunque rischio che farsi complice di empi misfatti». Cfr. anche Diogene Laerzio, ''Vite dei filosofi'', vol. 1, II, 24, Laterza, Roma-Bari 2014, p. 56, ove è detto: «[Socrate] non cedette a Crizia e ai suoi amici quando ordinarono che Leonte di Salamina, uomo ricco, fosse condotto dinanzi a loro per essere mandato a morte»; Platone, ''Apologia di Socrate'', trad. di M.M. Sassi, 32c-32e, in Id., ''Apologia di Socrate-Critone'' [1993], Rizzoli, Milano 2009, p. 149, ove si dice: «Anche allora [: quando i Trenta ordinarono l'arresto di Leone] [...] ho dimostrato che della morte non mi importa [...] un bel niente: sopra ogni altra cosa, invece, m'importa di non compiere azioni ingiuste o empie. Quel governo perciò, potente com'era, non mi ha spaventato al punto da farmi commettere un'ingiustizia; e usciti dalla Rotonda [: il Tolo (dal gr. Θόλος)], mentre gli altri quattro se ne andavano a Salamina a prendere Leone, io me ne sono tornato a casa. Ne sarei forse morto, se il governo non fosse stato rovesciato di lì a poco. E l'episodio vi potrà essere confermato da più d'un testimone».</ref>
=== Le accuse politiche ===
{{citazione|[…] questo ha sotto scritto e giurato Meleto di Meleto, Pitteo, contro Socrate di Sofronisco, Alopecense. Socrate è colpevole di non riconoscere come Dei quelli tradizionali della città, ma di introdurre Divinità nuove; ed è anche colpevole di corrompere i giovani. Pena: la morte| lettera d'accusa contro Socrate presentata da Meleto in [[Diogene Laerzio]], ''Vita e dottrine dei filosofi'', II, 5, 40.}}
Il continuo dialogare di Socrate, attorniato da giovani affascinati dalla sua dottrina e da importanti personaggi, nelle strade e piazze della città fece sì che egli venisse scambiato per un sofista dedito ad attaccare imprudentemente e direttamente i politici. Il filosofo, infatti, dialogando con loro dimostrò come la loro vantata sapienza in realtà non esistesse. Socrate venne quindi ritenuto un pericoloso nemico politico che contestava i tradizionali valori cittadini.
Per questo Socrate, che aveva attraversato indenne i regimi politici precedenti, che era rimasto sempre ad Atene e che non aveva mai accettato incarichi politici, fu accusato e messo sotto processo, dal quale poi sarebbe derivata la sua condanna a morte.
Causa materiale del processo furono due esponenti di rilievo del regime democratico, [[Anito]] e [[Licone di Atene|Licone]], i quali, servendosi di un prestanome, [[Meleto (accusatore di Socrate)|Meleto]], un giovane ambizioso, fallito letterato, accusarono il filosofo di:
* corrompere i giovani insegnando dottrine che propugnavano il disordine sociale;
* non credere negli dei della città e tentare di introdurne di nuovi ([[empietà]]).
L'accusa di "ateismo", che rientrava in quella di "empietà" (ἀσέβεια, ''asebeia''), condannato da un decreto di Diopeithes all'incirca nel [[430 a.C.]], fu evidentemente un pretesto giuridico per un processo politico, poiché l'ateismo era sì ufficialmente riprovato e condannato ma tollerato e ignorato se affermato privatamente.<ref>Enciclopedia Treccani alla voce "Asebia".</ref> Poiché la religione e la cittadinanza erano ritenute un tutt'uno, accusando Socrate di ateismo lo si incolpò di avere cospirato contro le [[istituzione|istituzioni]] e l'ordine pubblico. D'altra parte Socrate non aveva mai negato l'esistenza degli dei della città ed eluse facilmente l'accusa sostenendo di credere in un ''[[Demone|dáimon]]'', creatura minore figlia delle divinità tradizionali.
[[Lisia]] si offrì di difendere Socrate, ma egli rifiutò probabilmente perché non voleva confondersi con i sofisti e preferì difendersi da solo. Descritto da Platone nella celebre ''Apologia di Socrate'', il processo evidenziò due elementi:
* che da chi non lo conosce, Socrate è stato confuso con i sofisti considerati corruttori morali dei giovani e
* che egli era odiato dai politici.
Riguardo all'accusa di corrompere i giovani essa va spiegata con il fatto che Socrate era stato maestro di [[Crizia]] e di [[Alcibiade]], due personaggi che nell'Atene della [[restaurazione]] democratica godevano di pessima fama. Crizia era stato il capo dei Trenta tiranni e Alcibiade, per sfuggire al processo che gli era stato intentato, aveva tradito Atene ed era passato a Sparta, combattendo contro la propria patria. Furono tali rapporti di educatore che ebbe con questi due personaggi a porre le basi dell'accusa di corrompere i giovani.<ref>Le ricerche odierne oltretutto parrebbero dimostrare l'implicazione del filosofo in vicende che oggi si definirebbero di pedofilia (non però inconsuete e moralmente accettate per il tempo) che coinvolgerebbero i suddetti Crizia e Alcibiade e filosofi come Platone e addirittura il sofista Gorgia (Cfr. A. Veneziano e A. Sanson, "Socrate e Eros", Bologna, 2008).</ref>
Oggi la critica più attenta ha dimostrato che il processo e la morte di Socrate non furono un avvenimento incomprensibile rivolto contro un uomo, apparentemente trascurabile e non pericoloso per il regime democratico, che voleva ricostruire un'unità politica e spirituale all'interno della città. Uno studioso inglese scrive infatti che fu principalmente:
{{citazione|[...] la diffidenza suscitata dai rapporti di Socrate con i "traditori" che spinse i capi della restaurata democrazia a sottoporlo a processo nel 400-399. Alcibiade e Crizia erano morti entrambi, ma i democratici non si sentivano al sicuro finché l'uomo che s'immaginava avesse ispirato i loro tradimenti esercitava ancora influenza sulla vita pubblica.<ref>E. Taylor, ''Socrate'', Londra, 1951, trad. it. Firenze 1952.</ref>}}
=== Il processo ===
Il processo a Socrate si tenne ad Atene nel [[399 a.C.]] innanzi a una giuria di 501 cittadini e, com'era da aspettarsi per una figura come quella di Socrate, fu atipico: egli si difese contestando le basi del [[processo (diritto)|processo]], anziché lanciarsi in una lunga e pregevole difesa o portando in tribunale la sua famiglia per impietosire i giudici, come di solito si faceva. Fu riconosciuto colpevole<ref>[[Luciano Canfora]] ricorda che «I cinquecento giudici che condannarono Socrate costituivano un significativo campione della [[cittadinanza ateniese]]. [...] I cinquecento cittadini tirati a sorte che lo giudicarono vedevano in lui un disturbante critico del sistema politico vigente e, insieme, un esempio negatore degli dèi e dunque delle basi etiche su cui poggiava la vita della comunità." - in ''Critica della retorica democratica'', Roma-Bari, Laterza, 2002, p.3.</ref> per appena trenta voti di margine<ref>Nell{{'}}''[[Apologia di Socrate]]'', Platone parlerà di un risultato incerto: su 500 votanti, Socrate venne giudicato colpevole per soli 30 voti: 220 a favore, 280 contro; se 30 persone ancora fossero state persuase, si sarebbe risolto in un 250 a 250 e secondo la legge non vi sarebbe stata nessuna pena.</ref>. Dopodiché, come previsto dalle leggi dell'Agorà, sia Socrate sia Meleto dovettero proporre una pena per i reati di cui l'imputato era stato accusato. Socrate sfidò i giudici proponendo loro di essere mantenuto a spese della collettività nel [[Pritaneo]], poiché riteneva che anche a lui dovesse essere riconosciuto l'onore dei benefattori della città, avendo insegnato ai giovani la scienza del bene e del male. Poi consentì di farsi multare, seppur di una somma ridicola (una mina d'argento dapprima, cioè tutto quello che egli possedeva; trenta mine poi, sotto pressione dei suoi seguaci, che si fecero garanti per lui). Meleto chiese invece la morte.
Furono messe ai voti le proposte: con ampia maggioranza (360 voti a favore contro 140 contrari<ref>Secondo [[Diogene Laerzio]] II,42.</ref>), più per l'impossibilità di punire Socrate multandolo di una somma così ridicola che per l'effettiva volontà di condannarlo a morte, gli ateniesi accolsero la proposta di Meleto e lo condannarono a morire mediante l'assunzione di [[Conium maculatum|cicuta]].<ref>{{cita news|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2018/07/15/il-giorno-della-cicuta61.html|titolo=Il giorno della cicuta|autore=Marco Bracconi|pubblicazione=la Repubblica|data=15 luglio 2018|p=61}}</ref> Era pratica diffusa autoesiliarsi dalla città pur di sfuggire alla sentenza di morte, ed era probabilmente su questo che contavano gli stessi accusatori. Socrate dunque intenzionalmente irritò i giudici, che non erano in realtà mal disposti verso di lui; Socrate in effetti aveva già deciso di non andare in esilio, in quanto anche fuori di Atene avrebbe persistito nella sua attività: dialogare con i giovani e mettere in discussione tutto quello che si vuol fare credere verità certa.
Sostenne Socrate:
{{Citazione|Perciò mi ritroverò a rivivere la stessa situazione che mi ha portato alla condanna: qualcuno dei parenti dei miei giovani discepoli si irriterà della mia ricerca della verità e mi accuserà.}}
Del resto, egli non temeva la morte, che nessuno sa se sia o no un male, ma la preferiva all'esilio, per lui sì un male sicuro.<ref>«Nessuno sa cosa sia la morte e se essa non sia il maggiore di tutti i beni; e invece gli uomini ne hanno paura, come se sapessero bene che essa è il più grande dei mali. (Platone, ''Apologia di Socrate'', trad. di M. Valgimigli, Laterza, Roma-Bari 1960, cap. 17) - «Eh via, Ateniesi! che, sarebbe una gran bella vita la mia, a questa mia età, andarmene in esilio, e mutare sempre da paese a paese, scacciato da ogni parte!" (Platone, ''Apologia di Socrate'', ''op.cit.'', 37c-d. 22.)»</ref>
==== L'accettazione della condanna ====
Come racconta Platone nel dialogo del ''[[Critone (dialogo)|Critone]]'', Socrate, pur sapendo di essere stato [[condanna]]to ingiustamente, una volta in [[Prigione|carcere]] rifiutò le proposte di fuga dei suoi discepoli, che avevano organizzato la sua evasione corrompendo i carcerieri. Ma Socrate non sfuggirà alla sua condanna poiché «è meglio subire ingiustizia piuttosto che commetterla»; egli accetterà la [[morte]] che d'altra parte non è un male perché o è un sonno senza [[sogno|sogni]], oppure darà la possibilità di visitare un mondo migliore dove, dice Socrate, s'incontreranno interlocutori migliori con cui dialogare. Quindi egli continuerà persino nel mondo dell'aldilà a professare quel principio a cui si è attenuto in tutta la sua vita: il dialogo.
Secondo il [[Suda (enciclopedia)|Suida]] (X sec.) nell'antica Grecia ai condannati a morte si dava l'opportunità di scegliere il tipo di esecuzione tra daga (sgozzatura), laccio (soffocamento) e cicuta (avvelenamento)<ref>Τοῖς εἰς θάνατον κατακριθεῖσι τρία παρετίθουν (παρετιθεῖεν)· ξίφον, βρόχον, κώνειον.</ref>. Quindi sarebbe stato lo stesso Socrate a scegliere la morte per cicuta.<ref>''Suidae lexicon graece & latine'', T. III, p. 434. Halle e Brunswick, 1705.</ref>
Si pone a questo punto uno dei temi più dibattuti della ''questione socratica'', cioè il rapporto tra Socrate e le [[leggi]]<ref>Gary Young, ''Socrates and Obedience'', Phronesis, Vol. 19, No. 1 (1974), pp. 1-29</ref>: perché Socrate accetta l'ingiusta condanna?
==== La morte ====
{{citazione|Ma è ormai venuta l'ora di andare: io a morire, e voi, invece, a vivere.
Ma chi di noi vada verso ciò che è meglio, è oscuro a tutti, tranne che al dio.|Platone, ''[[Apologia di Socrate]]'', 42a, tr. di Giovanni Reale}}
[[File:David - The Death of Socrates.jpg|thumb|upright=1.4|''[[Morte di Socrate]]'', tela di [[Jacques-Louis David]] ([[Metropolitan Museum of Art]], [[New York]])]]
La morte di Socrate<ref>Per un'interpretazione sulla morte di Socrate si veda: M. M. Sassi, ''La morte di Socrate'', in ''I Greci. Storia cultura arte società'', a cura di S. Settis, 2. ''Una storia greca''. II. Definizioni, Torino 1997 pp.1323-1338</ref> ci viene dettagliatamente descritta da Platone, che tuttavia non era presente alla fine del maestro, nel dialogo del ''[[Fedone]]''. Nell'ultimo giorno di vita di Socrate erano invece presenti [[Euclide di Megara]] e Terpsione col quale dialoga nel ''[[Teeteto (dialogo)|Teeteto]]''.<ref>Fedone, 59c.</ref> Socrate trascorre serenamente, secondo le sue abitudini, la sua ultima giornata in compagnia dei suoi amici e discepoli, [[dialogo socratico|dialogando]] di filosofia come aveva sempre fatto, e in particolare affrontando il problema dell'immortalità dell'anima e del destino dell'uomo nell'aldilà.
Quindi Socrate si reca in una stanza a lavarsi per evitare alle donne il fastidio di accudire al suo cadavere.<ref>Carlo Sini, ''I filosofi e le opere'', vol. I, Principato, nota p.92</ref> Tornato nella cella, dopo avere salutato i suoi tre figlioli (Sofronisco, dal nome del nonno, Lamprocle e il piccolo Menesseno) e le donne di casa, li invita ad andarsene. Scende il silenzio nella prigione sino a quando giunge il messo degli Undici ad annunciare a quel singolare prigioniero, così diverso dagli altri, come egli dice, per la sua gentilezza, mitezza e bontà, che è giunto il tempo di morire. L'amico Critone vorrebbe che il maestro, come hanno sempre fatto gli altri condannati a morte, rimandasse ancora l'ultima ora poiché non è ancora il tramonto, il tempo stabilito dalla condanna, ma Socrate:
[[File:He drank the contents as though it were a draught of Wine.jpg|thumb|Socrate decide di bere la cicuta, in un fumetto novecentesco.|left]]
{{Citazione|È naturale che costoro facciano così perché credono d'avere qualcosa da guadagnare...[io] credo di non avere altro da guadagnare, bevendo un poco più tardi [il veleno], se non di rendermi ridicolo a' miei stessi occhi, attaccandomi alla vita e facendone risparmio quando non c'è più niente da risparmiare...<ref>Platone, ''Fedone'', a cura di M. Valgimigli, in ''Opere'' vol.I pp. 187-189</ref>}}
Giunto il carceriere incaricato della somministrazione della [[cicuta]]<ref>Scrivono di questo veleno composto dalla cicuta [[Persio]], [[Giovenale]] e altri ma Senofonte, Platone, discepoli di Socrate, [[Cicerone]], [[Valerio Massimo]], [[Plutarco]] scrivono genericamente della morte di Socrate per veleno non citando la cicuta. Secondo [[Aulo Gellio]] invece Socrate fu avvelenato per un infuso di cicuta e altri veleni. (Antonio Targioni Tozzetti, ''Corso di botanica medico-farmaceutica e di materia medica'', Firenze, per Vincenzo Batelli e compagni, 1847, p.461)</ref>, Socrate si rivolge a lui, poiché in questo "dialogo" è lui il più "sapiente", chiedendogli che cosa si deve fare e se si può [[libagione|libare]] a un qualche dio. Il boia risponde che basta bere il veleno che è della giusta quantità per morire e non è quindi possibile usarne una parte per onorare gli dèi. Socrate allora dice che si limiterà a pregare la divinità perché gli assicuri un felice trapasso e, così detto, beve la pozione, poi cammina finché il veleno non fa effetto.
Gli amici a questo punto si abbandonano alla disperazione ma Socrate li rimprovera facendo, lui che sta morendo, a loro coraggio:
{{Citazione|Che stranezza è mai questa, o amici, non per altra ragione io feci allontanare le donne perché non commettessero di tali discordanze. E ho anche sentito dire che con parole di lieto augurio bisogna morire. Orsù dunque state quieti e siate forti.<ref>''Op.cit. ibidem''</ref>}}
Il paralizzarsi e il raffreddarsi delle membra, divenute insensibili, dai piedi verso il torace, segnala il progressivo avanzare del veleno:<ref>Platone non evidenzia nella morte di Socrate tutti gli effetti che questo veleno normalmente ha. Il veleno che l'erba contiene si chiama [[coniina]], un alcaloide tossico che provoca la paralisi del sistema nervoso che comincia dalla gola con grandi difficoltà a inghiottire, poi si estende ai muscoli delle gambe e sale fino al torace paralizzando i movimenti respiratori provocando la morte per asfissia.(in [https://pubchem.ncbi.nlm.nih.gov/summary/summary.cgi?sid=8754 ''Scheda della coniina su Pubchem'']). La descrizione della morte di Socrate come indolore probabilmente è dovuta al fatto che Platone voglia sottolineare la separazione del corpo dall'anima come un avvenimento indolore oltreché benefico. (Cfr. C. Gill, ''The death of Socrate'' in ''Classical Quarterly'', 23, 1973, pp.225-228). Altri autori, dati i sintomi descritti, hanno ritenuto che per Socrate si sia utilizzata una mistura di veleni: il termine "cicuta" del resto allude a un miscuglio di Conium, [[oppio]] e [[datura]]).(Cfr. Jean De Maleissye, ''Storia dei veleni. Da Socrate ai giorni nostri'', Bologna, Odoya, 2008)</ref>
{{Citazione|E ormai intorno al basso ventre era quasi tutto freddo; ed egli si scoprì – perché s'era coperto – e disse, e fu l'ultima volta che udimmo la sua voce: «O Critone, noi siamo debitori di un gallo ad Asclepio: dateglielo e non dimenticatevene!»<ref>Platone, ''Fedone'', 118 a</ref>}}
==== Il ringraziamento ad Asclepio ====
[[File:MAntokolski Death of Socrates.JPG|thumb|«Un sonno senza sogni» (Platone, ''Apologia di Socrate'')]]
Queste ultime parole di Socrate morente hanno dato luogo a varie interpretazioni da parte degli studiosi: quella più semplice e diffusa è che egli, che non vuole lasciare debiti irrisolti né con gli uomini né con gli dèi, prega Critone di ringraziare per suo conto il dio [[Asclepio]] (l'Esculapio per i romani) per avergli reso la morte indolore, come egli dice poco dopo il rifiuto del carceriere alla possibilità di libare con il veleno preparato nella giusta quantità per morire («pregare gli dei che il trapasso da qui all'al di là, avvenga felicemente, questo mi pare sia lecito; questo io voglio fare e così sia»).<ref>C. Sini, ''I filosofi e le opere'', vol. I, Principato nota p. 95.</ref>
Un'altra interpretazione vede un'analogia riguardo alle circostanze, che, descritte da [[Tacito]], sembrano avere una certa somiglianza con la fine di Socrate, delle morti dei filosofi romani [[Seneca]] e [[Trasea Peto]] che libarono a [[Giove (divinità)|Giove]] Liberatore per ringraziarlo perché, sia pure con la morte, li liberava dai loro nemici e, in quel caso, principalmente da [[Nerone]].<ref>[https://books.google.it/books?id=rxvsBAAAQBAJ&pg=PT48&lpg=PT48&dq=seneca+giove+liberatore&source=bl&ots=YUGE6CMFda&sig=up2VzZ0tDHJGYUHeXPCj1CHf-4I&hl=it&sa=X&ved=0CEEQ6AEwCGoVChMIoOToj9iKyQIVQ4YaCh0-fA52#v=onepage&q=seneca%20giove%20liberatore&f=false Roberto Radice, ''Seneca'']</ref> Quindi è possibile che Socrate volesse ringraziare per essere stato, in quel modo, liberato dai suoi persecutori in modo da non dovere compromettere la propria integrità morale, sottomettendosi a loro o abiurando le sue convinzioni.<ref name=trombetti>Anna Laura Trombetti Budriesi, ''Un gallo ad Asclepio. Morte, morti e società tra antichità e prima età moderna'', pp. 393-397.</ref>
Altri ritengono, come [[Friedrich Nietzsche]], che Socrate ringrazi il dio della medicina per averlo guarito dalla malattia del vivere:
{{Citazione|Queste ridicole e terribili "ultime parole" significano per chi ha orecchie: «O Critone, la vita è una malattia!»<ref>F. Nietzsche, ''Die fröliche Wissenschaft'', 1882, par. 340, (trad. it. ''La gaia scienza'' tomo II delle ''Opere di Friedrich Nietzsche'', Milano 1987).</ref>}}
Coerente con questa interpretazione è lo stesso mito di Asclepio, che narra come questi avesse guarito un morto resuscitandolo, attirandosi per l'atto sacrilego l'ira di [[Zeus]] che lo fulminò riducendolo in cenere.<ref>Platone, ''Repubblica'', 408 bd.</ref>
Interpreti moderni, rifacendosi allo stesso racconto della morte di Socrate, avanzano l'ipotesi che con queste parole egli voglia ingraziarsi il dio perché guarisca il suo discepolo Platone che all'inizio del dialogo è descritto come ammalato<ref>Platone, ''Fedone'', 59b.</ref>; altri ancora che Socrate preghi il dio che lo risani dal disonore subìto per la condanna come corruttore e empio da parte degli ateniesi. Invero però Socrate non dice "devo" ma "dobbiamo", riferendosi quindi a più persone, un gallo ad Asclepio.<ref>R. Del Re, ''Il gallo dovuto da Socrate a Esculapio'' in ''Atene e Roma'', 14-16, 1954, pp. 85-88.</ref>
Del plurale ''dobbiamo'' fornisce un'interpretazione, ripresa anche da [[Michel Foucault]] ([[1926]]-[[1984]]), [[Georges Dumézil]] ([[1898]]-[[1986]])<ref>G. Dumézil, ''Le moyne noir en gris dedans Varenne, sotie nostradamique'' (''Divertissement sur les dernières paroles de Socrate''), Parigi, Adelphi 1987 e anche in Virginia Finzi Ghisi, ''Place Vendôme'', ed. Moretti & Vitali, 1997.</ref> secondo il quale Critone e Socrate stesso devono il gallo ad Asclepio perché, grazie a un provvidenziale sogno, sono guariti da un delirio delle loro menti, che suggeriva, soprattutto a Critone, di fare fuggire Socrate dal carcere sottraendosi alle Leggi.
Alcuni autori, mettendo da parte ogni sottigliezza [[ermeneutica]], sostengono che le ultime parole di Socrate non siano altro che il delirio senza senso di un moribondo, a causa del veleno.<ref>R. Gautier, ''Les dernières paroles de Socrate'' in ''Revue universitaire'', 64, 1955, pp. 254-255.</ref>
[[Franz Cumont]] sostiene che non sia casuale il riferimento di Socrate al gallo, in quanto questo animale, sacro ad Asclepio, nel mito greco, aveva il potere di scongiurare, allontanare o annullare influssi maligni anche oltre la morte.<ref>F. Cumont, ''A propos des dernières paroles de Socrate'', in ''Compte rendu de l'Acadèmie des Inscriptiones et Belles Lettres'', 1934, p. 124.</ref>
Infine altri autori ritengono che Socrate voglia ringraziare il dio per l'ultima giornata trascorsa, come quelle di tutta la sua vita, in rasserenanti ragionamenti filosofici.<ref>R. Minadeo, ''Socrates' Debt to Asclepius'' in ''Classical Journal'', 66, 1961, p. 297.</ref>
== Le fonti sulla vita ==
[[File:Socrate silenico.jpg|left|thumb|Busto di Socrate come Sileno risalente all'età di Traiano. Socrate fu descritto dai suoi contemporanei, Platone, Senofonte e Aristofane, come fisicamente "brutto"<ref>Platone, ''Simposio'' 215 B-C; Senofonte ''Simposio'', IV,197; Aristofane, ''Le nuvole''.</ref>. In particolare, nel ''Simposio'' platonico, il personaggio Alcibiade lo accosta alla figura dei "[[Sileno|Sileni]]" quegli esseri propri della cultura religiosa greca, a metà tra un dèmone e un animale, che formavano i cortei del dio dell'ebbrezza, [[Dioniso]]. Ma la "bruttezza" di Socrate cela, per mezzo di una maschera, qualcos'altro: {{citazione|Alcibiade paragona Socrate a quei Sileni che nelle botteghe degli scultori servono da contenitori per le raffigurazioni degli dèi. Così, l'aspetto esteriore di Socrate, l'apparenza quasi mostruosa, brutta, buffonesca, imprudente, non è che una facciata, una maschera.|Pierre Hadot, ''Elogio di Socrate'', Genova, Il Melangolo, 1999, p.13}}]]
È noto il fatto che Socrate non abbia lasciato alcuno scritto per sua scelta personale perché fece dell'oralità lo strumento essenziale del suo "fare filosofia" in forma dialogica. Ricaviamo quindi il pensiero di Socrate dalle opere dei suoi discepoli, tra cui spicca soprattutto il sopraccitato [[Platone]] che fu per lungo tempo uno di essi e che condivise, negli scritti giovanili, il pensiero del maestro, a tal punto che risulta difficile distinguere il pensiero socratico da quello platonico, che acquisì poi una maggiore originalità solo nella maturità e nella vecchiaia.<ref>[[Gabriele Giannantoni]], intervento contenuto in ''Le radici del pensiero filosofico'' VI puntata: Socrate (''Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche''). Sempre Gabriele Giannantoni, nell'opera monumentale ''Socratis et Socraticorum reliquiae'' (Collegit, disposuit, apparatibus notisque instruxit. Napoli, Bibliopolis, 1990, 4 voll.) ha raccolto le notizie e le fonti sulla figura storica di Socrate, incluso materiale attribuito a Eschine Socratico, Antistene e altri suoi contemporanei che lo avrebbero direttamente conosciuto.</ref><ref>Secondo Vlastos i dialoghi platonici sono comunque una fonte attendibile, perché tendono a riflettere l'immagine del vero Socrate. Giovanni Reale poi spiega in ''Socrate'' (v. bibliografia) i motivi per cui l{{'}}''[[Apologia di Socrate]]'' sia da considerare un testo fedele e attendibile. [[Giovanni Reale]] in varie opere ha offerto un'interpretazione di Socrate basata sul raffronto tra la filosofia greca prima e dopo Socrate: da tale confronto risulta così evidente, l'importanza attribuita da Socrate all'[[anima]] umana, l'attenzione rivolta ora alla dimensione interiore della persona, mentre prima era rivolta esclusivamente allo studio della natura e a stabilire i principi primi del cosmo (''[[archè]]'').</ref>
Socrate è descritto da Alcibiade, nel ''Simposio'' platonico, come un uomo avanti negli anni e piuttosto brutto, e aggiunge anche che era come quelle teche apribili, installate di solito ai quadrivi, raffiguranti spesso un [[satiro]], che custodivano all'interno la statuetta di un dio. Questo pare quindi fosse l'aspetto di Socrate, fisicamente simile a un satiro, e tuttavia sorprendentemente buono nell'animo, per chi si soffermava a discutere con lui.
[[Diogene Laerzio]] riferisce che, secondo alcuni antichi, Socrate avrebbe collaborato con [[Euripide]] alla composizione delle [[tragedia|tragedie]], ispirando in esse temi profondi di riflessione.<ref>Diogene Laerzio, ''Vite dei filosofi'', op. cit., pp. 54-55.</ref>
[[File:Giordano santippe.jpg|miniatura|[[Luca Giordano]], ''Socrate e Santippe'']]
Socrate fu sposato con [[Santippe]], che gli diede tre figli: Lamprocle, Sofronisco e Menesseno.<ref>{{cita libro | autore=Alessandro Ravera, Francesco Adorno | curatore=Armando Massarenti, Gabriele Giannantoni (per la sezione "I testi")| titolo=Socrate | altri=serie "I Grandi Filosofi"| anno=2006 | editore=Il Sole 24 ORE | città=|p=49}}</ref><ref>Esiste tuttavia una tradizione minore, basata su testi di [[Diogene Laerzio]] e [[Aristosseno]], secondo cui Socrate avrebbe avuto una concubina o una seconda moglie, [[Myrto]], madre di due dei suoi figli. Tale versione fu però messa in dubbio già nell'antichità da [[Plutarco]] e [[Panezio]] e non riscuote oggi quasi alcun credito. Per maggiori informazioni e le citazioni relative, vedi [[Santippe#Presunta bigamia|qui]].</ref> Santippe, secondo alcune fonti, ebbe fama di donna insopportabile e bisbetica (Diogene Laerzio in ''Vite dei filosofi'', II, 36, narra che una volta Santippe, dopo avere ingiuriato il coniuge, «gli versò addosso l'acqua»). Socrate stesso attestò che avendo imparato a vivere con lei era divenuto ormai capace di adattarsi a qualsiasi altro essere umano, esattamente come un domatore che avesse imparato a domare cavalli selvaggi, si sarebbe trovato a suo agio con tutti (Diogene Laerzio, ''Vite dei filosofi'', II, 36-37).<ref>Diogene Laerzio, ''Vite dei filosofi'', vol. 1, Laterza, Roma-Bari 2014, p. 61, ove si dice: «Ad Alcibiade che gli diceva che il minaccioso brontolio di Santippe era insopportabile, replicò: ‘Ma io mi ci sono abituato, come se udissi il rumore incessante di un argano’. [...] [Socrate] diceva che con una donna di carattere aspro bisogna comportarsi come i cavalieri con i cavalli focosi: ‘Come quelli dopo avere domato i cavalli furiosi la spuntano facilmente sugli altri, così anch'io abituato a convivere con Santippe mi troverò a mio agio con tutti gli altri uomini'».</ref> Egli d'altra parte era talmente preso dalle proprie ricerche filosofiche al punto da trascurare ogni altro aspetto pratico della vita, tra cui anche l'affetto della moglie, finendo per condurre un'esistenza quasi vagabonda, si è vestito con abiti vecchi e [[Gimnopodismo|andava a piedi nudi]] tutto l'anno. Socrate viene anche rappresentato come un assiduo partecipante ai [[Simposio e pratiche simposiali|simposi]], intento a bere e a discutere. Fu un bevitore leggendario, soprattutto per la capacità di tollerare bene l'[[Etanolo|alcool]] al punto che quando il resto della compagnia era ormai completamente ubriaca egli era l'unico a sembrare sobrio.<ref>{{Citazione|A quanto sembra, disse Erissimaco, è proprio una fortuna per tutti - per me, per Aristodemo, per Fedro, per tutti quanti - che voi, i migliori bevitori, dobbiate adesso rinunciare, perché noi non ce la faremmo a starvi dietro. Farei un'eccezione per Socrate: è tanto bravo a bere che a non bere, per lui andrà sempre bene, qualunque cosa decidiamo...
...Con Socrate, amici miei, non c'è niente da fare: quanto vorrà bere berrà, e non ci sarà verso di farlo ubriacare.
[...] sapeva approfittarne meglio degli altri, in particolare per bere; non che ci fosse portato, ma se lo si forzava un po', lui poi superava tutti e - cosa assai strana - nessuno ha mai visto Socrate ubriaco (in [http://www.ilgiardinodeipensieri.eu/testi/simposio.html Il Giardino dei Pensieri Platone, ''Simposio'']).
}}</ref>
Un'altra fonte della vita e del pensiero di Socrate è rappresentata dalle opere cosiddette socratiche ''[[Apologia di Socrate (Senofonte)|Apologia di Socrate]]'' (Ἀπολογία Σωκράτους), ''[[Simposio (Senofonte)|Simposio]]'' (Συμπόσιον), ''[[Memorabili|Detti memorabili di Socrate]]'' (Ἀπομνευμονεύματα Σωκράτους) dello storico [[Senofonte (storico)|Senofonte]] discepolo di Socrate<ref>[[Diogene Laerzio]] racconta che Socrate avesse sbarrato la strada a Senofonte incontrato in un vicolo per domandargli come si potesse divenire virtuosi e al silenzio di Senofonte lo invitò a seguirlo. Lo stesso Diogene Laerzio e [[Strabone]] in un aneddoto, risultato falso, raccontano che Senofonte avrebbe salvato la vita a Socrate nella battaglia di Delio del [[424 a.C.]] (Cfr. [[Arnaldo Momigliano]], ''Enciclopedia Italiana'' (1936) alla voce "Senofonte")</ref> che la storiografia ottocentesca ha apprezzato per le notizie sulla vita del maestro mentre quella novecentesca le ha considerate di scarso interesse soprattutto se confrontate alle opere platoniche.<ref>«Ci rappresentano il filosofo rimpicciolito e immeschinito, per dire così, a immagine e somiglianza di Senofonte.» (In ''Enciclopedia Treccani'' alla voce "Senofonte"</ref> Dalle opere di Senofonte dedicate al maestro complessivamente l'immagine di Socrate che emergerebbe sarebbe quella di un uomo virtuoso e morigerato, cittadino modello, timorato degli dei, instancabile nel predicare la virtù e nell'esortare i giovani all'obbedienza verso i genitori e le leggi dello Stato.<ref name="ReferenceA">Anna Santoni, Introduzione a: ''Senofonte, Memorabili'', a cura di A. Santoni, Milano 1997</ref> «La critica più recente guarda tuttavia con maggiore equilibrio agli scritti senofontei, riconoscendogli chiarezza e coerenza; la figura di Socrate che se ne ricava spicca per il carattere morale e una certa forma di ascetismo. Molto spazio viene dedicato all'intellettualismo socratico e alle nozioni di bene e di virtù, nonché alla dialettica del maestro...»<ref>''Enciclopedia Treccani'' in ''Dizionario di filosofia'' (2009) alla voce "Senofonte"</ref>
[[File:Socrates in a basket.jpg|thumb|Socrate nella cesta nella commedia ''Le nuvole'' di Aristofane. Stampa del [[XVI secolo]]]]
Un'altra testimonianza la troviamo in ''[[Le nuvole (Aristofane)|Le nuvole]]'', [[commedia]] di [[Aristofane]] dove Socrate viene rappresentato come veniva visto da alcuni ad [[Atene]] e cioè come un pedante seccatore perso nelle sue discussioni astratte e campate in aria. Aristofane infatti mostra Socrate dentro una cesta che cala dalle nuvole mentre è tutto intento a delle ricerche strambe e ridicole, come calcolare quanto è lungo il salto della [[pulce]], o quale sia l'origine del ronzio delle [[zanzara|zanzare]]. Aristofane vuole evidentemente fare una caricatura di queste ricerche naturalistiche che egli impropriamente attribuisce a Socrate, e anche avvertire che chi si dedica allo studio della [[natura]] in genere è un [[ateo]], che rigetta la [[religione]] tradizionale, nella sua commedia ridicolmente sostituita dal [[culto]] delle ''Nuvole''.
Testimone indiretto - essendo nato più di un decennio dopo la sua morte - del pensiero socratico è [[Aristotele]], che però risulta poco attendibile poiché egli tende a esporre il pensiero dei filosofi precedenti interpretandolo secondo il suo personale punto di vista, operando distorsioni e fraintendimenti sui concetti originali. Aristotele infatti, presenta la dottrina socratica come incentrata, in un primo tentativo fallito, nell'individuare la [[definizione]] del concetto. A questo, secondo Aristotele, mirava la ricerca che si esprimeva nel continuo interrogare (τί ἐστιν; ''tì estin?'', "che cos'è?") che Socrate effettuava nel dialogo: la definizione precisa della cosa di cui si stava parlando. In particolare Aristotele attribuiva a Socrate la scoperta del metodo della definizione e [[induzione]], che considerava l'[[essenza (filosofia)|essenza]] del [[metodo scientifico]]. Stranamente però, Aristotele affermava pure che tale metodo non fosse adatto all'[[morale|etica]]. Socrate invece avrebbe erroneamente applicato questo suo metodo all'esame dei concetti morali fondamentali del tempo, come per esempio le [[virtù]] di ''[[pietà (sentimento)|pietà]]'', ''[[saggezza]]'', ''[[temperanza]]'', ''[[coraggio]]'', e di ''[[giustizia]]''.<ref>Da qui deriva l'interpretazione di [[Nietzsche]] che concepisce Socrate in senso aristotelico come l'iniziatore dello [[spirito apollineo]], del pensiero logico-razionale.</ref>
Probabilmente Socrate frequentò il gruppo degli amici di [[Pericle]] e conobbe le dottrine dei filosofi naturalisti [[Ionia|ionici]] di cui apprezzava in particolare [[Anassimandro]], fattogli conoscere da [[Archelao (filosofo)|Archelao]]. Nel [[454 a.C.]] essendo presenti ad Atene [[Parmenide]] e [[Zenone di Elea]], Socrate ebbe modo di conoscere la dottrina degli [[eleati]] come pure fu in rapporti con i sofisti [[Protagora]], [[Gorgia]] e [[Prodico]], creduto il suo maestro fino all'età moderna sulla base di ''Protagora'' 341a e ''Menone'' 96d e ''Teeteto'' 151a-d. Quest'ultimo passaggio attribuisce al demone socratico la scelta di coloro che con l'aiuto di Dio potevano progredire nella conoscenza del vero e di quanti dovevano essere rinviati a Prodico, considerato il più vicino alla religiosità e al metodo dialettico di Socrate.
Si sa che fu molto interessato al pensiero di [[Anassagora]] ma se ne allontanò per la teoria del νοῦς' 'nūs{{'}}' ("la mente") che metteva ordine nel caos primigenio degli infiniti [[Omeomerie|semi]]. Secondo alcuni interpreti Socrate pensava che questo principio ordinatore dovesse essere identificato con il sommo principio del Bene, un principio morale alla base dell'[[universo]], ma quando invece si accorse che per Anassagora il Nous doveva invece rappresentare un principio fisico, una forza [[materia (filosofia)|materiale]], ne fu deluso e abbandonò la sua dottrina.
== Il contesto storico ==
[[File:Attica 06-13 Athens 50 View from Philopappos - Acropolis Hill.jpg|upright=1.4|thumb|L'[[Acropoli]] con il [[Partenone]], raffigurazione del nazionalismo greco al tempo di [[Pericle]]<ref>Pericle fece della [[Lega delio-attica]] un impero comandato da Atene. Il Partenone sostituì il più [[antico tempio di Atena Poliàs]] che era stato distrutto dai [[Impero Persiano|Persiani]] nel [[480 a.C.]]. Questo progetto voleva non solo abbellire la città ma esibere la sua gloria. (in L. de Blois, ''Un'introduzione al mondo antico'', p. 99).</ref>]]
Il periodo storico in cui visse Socrate è caratterizzato da due date fondamentali: il [[469 a.C.]] e il [[404 a.C.]] La prima data, quella della sua nascita, segna la definitiva vittoria dei Greci sui [[Impero achemenide|Persiani]] ([[battaglia dell'Eurimedonte]]). La seconda si riferisce a quando all'età dell'oro di Pericle seguirà, dopo il 404 con la vittoria spartana, l'avvento del governo dei [[Trenta tiranni]]. Visse durante un periodo di transizione, dall'apice del potere di [[Atene]] fino alla sua sconfitta per mano di [[Sparta]] e della sua coalizione nella [[guerra del Peloponneso]]. Dopo la sconfitta di Atene, nella città greca s'insedió un [[regime (politica)|regime]] [[oligarchia|oligarchico]] e filospartano guidato da [[Crizia]], suo discepolo e zio di [[Platone]]. Dopo appena un anno, il governo dei [[Trenta tiranni]] decadde e s'instaurò un governo [[democrazia|democratico]] [[conservatorismo|conservatore]] formato da [[esilio|esiliati]] politici, guidato da [[Trasibulo di Atene|Trasibulo]]. Egli giudicò Socrate un nemico politico per i rapporti che aveva avuto con Crizia e Alcibiade, suo scapestrato discepolo e presunto amante, accusato di avere tradito Atene per Sparta.
Il nuovo regime democratico<ref>Vale qui avvertire di non confondere la democrazia greca antica con quella moderna: regime democratico non voleva dire il "governo del popolo" ma semplicemente espressione di quel partito che si opponeva a quello aristocratico; si potevano quindi trovare rappresentanti del ceto nobiliare come di quello popolare indifferentemente nell'uno o nell'altro dei due partiti.</ref> voleva riportare la città allo splendore dell'età di [[Pericle]] instaurando un clima di pacificazione generale: infatti non perseguitò, com'era abitudine, i nemici del [[partito]] avverso ma concesse un'[[amnistia]]. Si voleva tornare a creare in Atene una compattezza e solidarietà sociale riproponendo ai cittadini gli antichi [[ideale (etica)|ideali]] e i principi morali che avevano fatto grande Atene. Ma nella città si diffondeva l'insegnamento, seguito con entusiasmo da molti, specie giovani, dei sofisti i quali invece esercitavano una critica corrosiva di ogni principio e verità che si volesse dare per costituita dalla religione o dalla tradizione.
== La dottrina socratica ==
{{Vedi anche|Interpretazioni del pensiero di Socrate}}
Molti studiosi di storia della filosofia<ref>U. Nicola, G. Reale, E. Riva, [[Emanuele Severino|E. Severino]], G. Vlastos, P. Hadot e altri.</ref> concordano nell'attribuire a Socrate la nascita di quel peculiare modo di pensare che ha consentito l'origine e lo sviluppo della riflessione astratta e razionale, che sarà il fulcro portante di tutta la [[filosofia greca]] successiva. Il primo a sviluppare questa interpretazione della dottrina socratica fu Aristotele che attribuì a Socrate la scoperta del "metodo della definizione" e [[induzione]], che egli considerava uno, ma non l'unico, degli assi portanti del metodo scientifico.
=== Sapere di non sapere ===
Paradossale fondamento del pensiero socratico è il "sapere di non sapere", un'[[ignoranza]] intesa come consapevolezza di non conoscenza definitiva, che diventa però movente fondamentale del desiderio di conoscere. La figura del filosofo secondo Socrate è completamente opposta a quella del saccente, ovvero del sofista che si ritiene e si presenta come sapiente, perlomeno di una sapienza tecnica come quella della [[retorica]].
Le fonti storiche che ci sono pervenute descrivono Socrate come un personaggio animato da una grande sete di verità e di sapere, che però sembravano continuamente sfuggirgli. Egli diceva di essersi convinto così di non sapere, ma proprio per questo di essere più sapiente degli altri.<ref>''Apologia'', 20-55.</ref>
Nell{{'}}''[[Apologia di Socrate]]'' ci viene descritto come egli abbia preso coscienza di ciò a partire da un singolare episodio. Un suo amico, [[Cherefonte]], aveva chiesto alla [[Pizia]], la sacerdotessa dell'[[Oracolo di Delfi|oracolo di Apollo]] a [[Delfi (città antica)|Delfi]], chi fosse l'uomo più sapiente di Atene, e questa aveva risposto che era Socrate. Egli sapeva di non essere sapiente e quindi, poiché l'oracolo non può mentire, il vero significato del suo responso era che solo colui che si reputa ignorante è il vero sapiente.
Ma alla fine del confronto, racconta Socrate, coloro che credevano di essere sapienti, messi di fronte alle proprie contraddizioni (l{{'}}''[[aporia]]'' socratica) e inadeguatezze, provarono stupore e smarrimento, apparendo per quello che erano: dei presuntuosi ignoranti che non sapevano di essere tali. «Allora capii», dice Socrate, «che veramente io ero il più sapiente perché ero l'unico a sapere di non sapere, a sapere di essere ignorante. In seguito quegli uomini, che erano coloro che governavano la città, messi di fronte alla loro pochezza presero a odiare Socrate».
{{citazione|Ecco perché ancora oggi io vo d'intorno investigando e ricercando...se ci sia alcuno...che io possa ritenere sapiente; e poiché sembrami che non ci sia nessuno, io vengo così in aiuto al [[dio]] dimostrando che sapiente non esiste nessuno<ref>Platone, ''Apologia di Socrate'' a cura di M. Valgimigli, in ''Opere'' p. 45.</ref>}}
Egli quindi "investigando e ricercando" conferma l'oracolo del dio, mostrando così l'insufficienza della classe politica dirigente. Da qui le accuse dei suoi avversari: egli avrebbe suscitato la contestazione giovanile insegnando con l'[[Criticismo|uso critico della ragione]] a rifiutare tutto ciò che si vuole imporre per la forza della tradizione o per una valenza religiosa. Socrate in realtà (sempre secondo la testimonianza di Platone) non intendeva affatto contestare la religione tradizionale, né corrompere i giovani incitandoli alla sovversione.
=== La scoperta dell'anima umana ===
Secondo l'interpretazione data da [[John Burnet]] (1863-1928), [[Alfred Edward Taylor]] ([[1869]]-[[1945]]), [[Werner Jaeger]]<ref>[[Werner Jaeger]]. ''Paideia'' II, 60 e segg.</ref>, anche se non condivisa da tutti,<ref>Recensendo la monografia d Taylor a proposito di Socrate come scopritore dell'idea occidentale di anima, lo storico della filosofia Guido Calogero scrive: «L'audacia di questa ricostruzione, che non si basa su alcuna testimonianza positiva, ma solo sulla mancanza di strumenti di transizione tra gli antichi concetti naturalistici dell'anima e la concezione etica che ne presuppone il platonismo è anche più forte di quella che conduce ad ascrivere a Socrate la teoria platonica delle idee.» (cfr.G. Calogero in ''Giornale critico della filosofia italiana'' 2, 1934, pp. 223-227.</ref> Socrate fu di fatto il primo filosofo occidentale a porre in risalto il carattere personale dell'anima umana.<ref>«Socrate, per quanto si sappia, creò la concezione dell'anima che da allora ha sempre dominato il pensiero europeo» (A. E. Taylor, ''Socrate'', Firenze 1952, p. 98).</ref>
È l'[[psyché|anima]], infatti, a costituire la vera essenza dell'uomo. Sebbene la tradizione [[orfismo|orfica]] e [[Pitagora|pitagorica]] avessero già identificato l'uomo con la sua anima, in Socrate questa parola risuona in forma del tutto nuova e si carica di significati [[antropologia|antropologici]] ed [[etica|etici]]:<ref>«Labbro greco non aveva mai, prima di lui, pronunziato così questa parola. Si ha il sentore di qualcosa che ci è noto per altra via: e il vero è che, qui per la prima volta nel mondo della civiltà occidentale, ci si presenta quello che ancora oggi talvolta chiamiamo con la stessa parola [...] La parola "anima", per noi, in grazia delle correnti per cui è passata la storia, suona sempre con un accento etico o religioso; come altre parole; "servizio di Dio" e "cura di anime", essa suona cristiana. Ma questo alto significato, essa lo ha preso nella predicazione protrettica di Socrate» (W. Jaeger, ''Paideia. La formazione dell'uomo greco'', vol. II, Firenze 1967, pp. 62-63).</ref>
{{citazione|Tu, ottimo uomo, poiché sei ateniese, cittadino della Polis più grande e più famosa per sapienza e potenza, non ti vergogni di occuparti delle ricchezze, per guadagnarne il più possibile, e della fama e dell'onore, e invece non ti occupi e non ti dai pensiero della saggezza, della verità, e della tua anima, perché diventi il più possibile buona?|''Apologia di Socrate'', traduzione di Giovanni Reale, Rusconi, 1993}}
Mentre gli Orfici e i Pitagorici consideravano l'anima ancora alla stregua di un demone divino, Socrate la fa coincidere con l'[[io (filosofia)|io]], con la coscienza pensante di ognuno, di cui egli si propone come maestro e curatore.<ref>Platone, ''Protagora'', 313, e 2.</ref> Non sono i sensi a esaurire l'identità di un essere umano, come insegnavano i sofisti, l'uomo non è corpo ma anche [[ragione]], conoscenza intellettiva, che occorre rivolgere a indagare la propria essenza.<ref>«Socrate: ''L'anima è quella che governa. Colui dunque che ci esorta a conoscere noi stessi ci invita ad acquistare conoscenza della nostra anima''» (Platone, ''Alcibiade maggiore'', 130 e, trad. di E. Turolla).</ref> Non solo [[Platone]] in diversi passi dei suoi [[dialoghi (Platone)|dialoghi]], ma anche la cosiddetta tradizione "indiretta" testimoniano come Socrate, al contrario dei sofisti, riconducesse la cura dell'anima alla conoscenza dell'intima natura umana nel senso su indicato.<ref>F. Sarri, ''Socrate e la nascita del concetto occidentale di anima'', Vita e Pensiero, Milano 1997.</ref>
In proposito è stato rilevato:
{{citazione|È da notare che troviamo questa concezione dell'anima, come sede dell'intelligenza normale e del carattere, diffusa nella letteratura della generazione immediatamente posteriore alla morte di Socrate; essa è comune a [[Isocrate]], [[Platone]], [[Senofonte]]; non può quindi essere la scoperta di nessuno di loro. Ma è del tutto o quasi assente dalla letteratura delle epoche precedenti. Deve perciò avere avuto origine con qualche contemporaneo di Socrate, ma non conosciamo nessun pensatore contemporaneo al quale essa possa essere attribuita all'infuori di Socrate, il quale nelle pagine sia di Platone sia di Senofonte la professa costantemente.|Taylor, ''Socrate'', cit. in F. Sarri, ''Socrate e la nascita del concetto occidentale di anima'', Vita e Pensiero, Milano 1997}}
[[Gabriele Giannantoni]] ha contestato questi esiti, in particolare la dottrina dell'anima andrebbe riportata esclusivamente al pensiero platonico secondo la cosiddetta interpretazione "evolutiva" della filosofia platonica, che però è piuttosto antiquata e messa già in crisi dal nuovo paradigma interpretativo della scuola di Tubinga,<ref>C. de Vogel, ''Ripensando Platone e il platonismo'', Vita e Pensiero, 1990, T. Szlezak, ''Come leggere Platone'', Rusconi, 1991.</ref> cioè l'idea che nel suo lungo itinerario filosofico Platone avesse sviluppato e mutato, anche profondamente, il suo pensiero, passando gradatamente da una fase giovanile di preponderante impegno apologetico nei confronti di Socrate, di difesa della sua memoria e di riflessione appassionata sulla sua eredità filosofica, a una fase di progressivo distacco dal maestro (la fase della cosiddetta "crisi del socratismo"), fino alla conquista della sua piena maturità e originalità, caratterizzata dalla dottrina delle idee, dalla dottrina della natura e del destino dell'anima umana e dalla costruzione del suo grande edificio filosofico ed etico-politico».<ref>G. Giannantoni, ''Dialogo socratico e nascita della dialettica nella filosofia di Platone'', Bibliopolis, Napoli 2005, ''ibidem''.</ref>
Occorrerebbe cioè constatare « [...] il riconoscimento nell'attività di Platone, di una fase letteraria giovanile, alla quale venivano fatti risalire quei dialoghi ([[Ippia minore]], [[Liside (dialogo)|Liside]], [[Carmide (dialogo)|Carmide]], [[Lachete]], [[Protagora (dialogo)|Protagora]], [[Eutifrone]], [[Apologia di Socrate|Apologia]] e [[Critone]]) nei quali manca ogni riferimento alla dottrina delle idee, qualsiasi indagine di filosofia della natura e di antropologia, non compare la dottrina dell'immortalità dell'anima e ci si limita a indagini morali, considerate tradizionalmente più proprie del Socrate storico»<ref>G. Giannantoni, ''Dialogo socratico e nascita della dialettica nella filosofia di Platone'', ed. Bibliopolis 2005, ''ibidem''</ref>
L{{'}}''[[Apologia di Socrate]]'' resta comunque, secondo [[Giovanni Reale]], la testimonianza più attendibile in favore della tesi che vede Socrate come lo scopritore del concetto occidentale di anima:
{{citazione|Per sostenere questa tesi basterebbe il documento della sola ''[[Apologia di Socrate]]''. E che l'Apologia sia non un'invenzione di Platone, ma un documento con precisi fondamenti storici è facilmente dimostrabile.[...] Il messaggio che nell{{'}}''Apologia'' viene presentato come specifico messaggio filosofico di Socrate è, appunto, quello del nuovo concetto di anima con la connessa esortazione alla «cura dell'anima».|G. Reale, introduzione a ''Socrate e la nascita del concetto occidentale di anima'', Vita e Pensiero, Milano 1997, p. XVI.}}
=== Il ''dáimon'' (δαίμων) socratico ===
Socrate affermava di credere, oltre agli dèi riconosciuti dalla ''[[polis]]'', anche in una particolare divinità minore, appartenente alla [[Mitologia greca|mitologia tradizionale]], che egli indicava con il nome di ''[[Demone|dáimōn]]''. Il ''dáimon'' per Socrate non aveva il significato anche negativo che altri autori greci classici evidenzieranno<ref>Cfr. per esempio [[Senocrate]] in '' Senocrate-Ermodoro, Frammenti'', a cura di M. Isnardi Parente, Napoli: Bibliopolis, 1982, ISBN 88-7088-052-4: frr 222-230; [[Plutarco]] ''Iside e Osiride'', 25.</ref> ma era un essere divino inferiore agli dèi ma superiore agli uomini che possiamo intendere anche con il termine ''genio''.<ref>«Nelle antiche religioni politeista genio o spirito benefico o malefico...».(Voce corrispondente in ''Il nuovo Zingarelli'' ed. Zanichelli 1993).</ref> Socrate si diceva tormentato da questa voce interiore che si faceva sentire non tanto per indicargli come pensare e agire, ma piuttosto per dissuaderlo dal compiere una certa azione. Socrate stesso dice di essere continuamente spinto da questa entità a discutere, confrontarsi, e ricercare la verità morale. [[Kant]] avrebbe successivamente paragonato questo principio "divino" all'[[Critica della ragion pratica|imperativo categorico]], alla [[coscienza morale]] dell'uomo.
=== Conosci te stesso ===
{{vedi anche|Conosci te stesso}}
[[File:Temple of Apollo Delphi.jpg|thumb|Il tempio di Apollo a Delfi]]
Il [[motto]] "ΓNΩΘΙ ΣEΑΥΤΟN" ("Γνῶθι σεαυτόν" - ''Gnòthi seautòn'', «[[Conosci te stesso]]»), risalente alla tradizione religiosa di Delfi, voleva significare, nella sua laconica brevità, la caratteristica dell'antica sapienza greca: quella dei [[Sette sapienti greci|sette sapienti]]. Il significato originario, dedotto da alcune formule a noi pervenute (''Nulla di troppo'', ''Ottima è la misura'', ''Non desiderare l'impossibile''), era quello di volere ammonire a conoscere i propri limiti, «conosci chi sei e non presumere di essere di più»; era dunque un'esortazione a non cadere negli eccessi, a non offendere la divinità pretendendo di essere come il dio.<ref>G. Calogero, op.cit. in bibliografia.</ref> Del resto tutta la tradizione antica mostra come l'ideale del saggio, colui che possiede la ''[[sophrosyne]]'' ("prudenza", "temperanza"), sia quello di conseguire la moderazione e di rifuggire il suo opposto: la tracotanza e la superbia ([[Hybris|ὕβρις]], Hýbris).
=== La maieutica ===
{{vedi anche|Metodo socratico}}
Il termine ''[[maieutica]]'' viene dal greco μαιευτική (''maieutikḕ''; sottinteso: τέχνη ''[[Tecnica#Origini|téchnē]]''). Letteralmente, sta per "l'arte della levatrice" (o "dell'ostetrica"), ma l'espressione designa il metodo socratico così come è esposto da Platone nel ''[[Teeteto]]''. L'arte [[dialettica]], cioè, viene paragonata da Socrate a quella della levatrice, il mestiere di sua madre: come quest'ultima, il filosofo di Atene intendeva "tirare fuori" dall'allievo pensieri assolutamente personali, al contrario di quanti volevano imporre le proprie vedute agli altri con la [[retorica]] e l'arte della parola come facevano i sofisti. Parte integrante di questo metodo è il ricorso a battute brevi ([[brachilogia]]) in opposizione ai lunghi discorsi (macrologia) del metodo retorico dei sofisti.
Nel ''Teeteto'' platonico Socrate afferma:
{{citazione|La mia arte di maieutico in tutto è simile a quella delle levatrici, ma ne differisce in questo, che essa aiuta a fare partorire uomini e non donne e provvede alle anime generanti e non ai corpi. Non solo, ma il significato più grande di questa mia arte è ch'io riesco, mediante di essa, a discernere, con la maggior sicurezza, se la mente del giovane partorisce fantasticheria e menzogna, oppure cosa vitale e vera. E proprio questo io ho in comune colle levatrici: anche io sono sterile, sterile in sapienza; e il rimprovero che già molti mi hanno fatto che io interrogo gli altri, ma non manifesto mai, su nulla, il mio pensiero, è verissimo rimprovero. Io stesso, dunque, non sono affatto sapiente né si è generata in me alcuna scoperta che sia frutto dell'anima mia. Quelli, invece, che entrano in relazione con me, anche se da principio alcuni d'essi si rivelano assolutamente ignoranti, tutti, poi, seguitando a vivere in intima relazione con me, purché il dio lo permetta loro, meravigliosamente progrediscono, com'essi stessi e gli altri ritengono. Ed è chiaro che da me non hanno mai appreso nulla, ma che essi, da sé, molte e belle cose hanno trovato e generato.|Platone, ''Teeteto'', 151d}}
== Differenze con i sofisti ==
{{Vedi anche|Comunicazione filosofica|Dialettica eristica}}
Socrate, a differenza dei sofisti, che egli definiva "prostituti della cultura" poiché professavano la loro arte a scopo di lucro,<ref>Senofonte, ''Memorabili'' I.6.13.</ref> filosofava per semplice amore del sapere e soprattutto mirava a convincere l'interlocutore non ricorrendo ad argomenti retorici e suggestivi, ma sulla base di argomenti razionali. Socrate si presentava così come una persona [[anticonformismo|anticonformista]], che in opposizione alle convinzioni della folla rifugge il consenso e l'[[omologazione]]: garanzia di verità è per lui non la condivisione irriflessa, ma la ragione che porta alla reciproca persuasione.
Si è detto inoltre come egli non lasciò niente di scritto della sua filosofia perché pensava che, come il bronzo che percosso emette sempre lo stesso suono, la parola scritta non risponde alle domande e alle obiezioni dell'interlocutore, ma interrogata fornisce sempre la stessa risposta. Per questo i dialoghi socratici appaiono spesso "inconcludenti", non nel senso che girano a vuoto, ma piuttosto che ''non chiudono'' la discussione, perché la conclusione rimane sempre aperta, pronta a essere rimessa nuovamente in discussione.<ref>Il motivo per cui Socrate non scrisse nulla si può anche vedere accennato nel ''[[Fedro (dialogo)|Fedro]]'' platonico, nelle parole che il re egiziano Thamus rivolge a Theuth, inventore della scrittura:
''«Tu offri ai discenti l'apparenza, non la verità della sapienza; perché quand'essi, mercé tua, avranno letto tante cose senza nessun insegnamento, si crederanno in possesso di molte cognizioni, pur essendo fondamentalmente rimasti ignoranti e saranno insopportabili agli altri perché avranno non la sapienza, ma la presunzione della sapienza»''</ref>
Tuttavia, come è stato evidenziato, la filosofia stessa di Socrate segna il passaggio da un tipo di cultura orale, basata sulla tradizione mimetico-poetica, a una mentalità di tipo concettuale-dialettico, preludio di un'[[alfabetizzazione]] maggiormente diffusa. Socrate è ancora l'ultimo rappresentante della cultura orale, ma in lui già si avvertirebbe l'esigenza di un sapere astratto e definitivo, da esprimere in forma scritta, esigenza che sarà fatta propria da Platone, che d'altra parte conserverà nello scritto filosofico la forma dialogica, che svanirà nelle opere della vecchiaia, dove il dialogo sarà semplicemente quello ''dell'anima con sé stessa''. Lo stesso Platone d'altronde affermava che la sua filosofia va ricercata altrove rispetto ai suoi scritti.<ref>Platone, ''Lettera VII'', 341 b.</ref>
Il fatto che Socrate preferisse il discorso orale a quello scritto è il motivo per cui egli era stato confuso con i sofisti. Secondo Platone è questa una delle colpe di Socrate: lui che era vero sapiente si dichiarava ignorante e i sofisti, veri ignoranti, facevano [[professione]] di sapienza. In questo modo il maestro contribuiva a confondere il vero ruolo della filosofia ed egli stesso al processo, pur avendo rifiutato l'aiuto di un celebre "avvocato" sofista, per l'abitudine di dialogare con chiunque in strada e nei più diversi luoghi, era stato ritenuto dagli ateniesi un sofista.
=== Maestro della paideia ===
È pur vero che Socrate come i sofisti metteva in discussione un certo modo di intendere l'ideale educativo della ''[[paideia]]'', ma con intenti del tutto opposti: i sofisti con lo scopo di dissolverlo, Socrate invece con lo scopo di tutelarlo.
La ''paideia'' esaltava lo spirito di [[cittadinanza]] e di appartenenza costituendolo come elemento fondamentale alla base dell'ordinamento politico-giuridico delle città greche. L'identità dell'[[individuo]] era pressoché inglobata da quell'insieme di norme e [[valore (scienze sociali)|valori]] che costituivano l'identità del popolo stesso: per questo più che un procedimento educativo o di socializzazione potrebbe essere definito come processo di uniformazione all{{'}}''[[ethos]]'' [[politica|politico]].
La dottrina dei sofisti si poneva contro questa omologazione della ''paideia'', da essi giudicata "conservatrice" e prevaricatrice; essi miravano perciò a contestarne la verità, tramite l'arte della retorica e a fare apparire vero ciò che a loro conveniva, prevalendo con la parola sull'altro e ad annullare qualsiasi valore di verità e giustizia sostituendovi il proprio [[egoismo|egoistico]] interesse. Socrate invece voleva piuttosto verificare e smascherare se sotto quell'ideale educativo non vi fosse quello di addormentare le coscienze critiche a scopi di potere personale.
Ed è così che la scoperta socratica dell'anima umana assume toni decisamente educativi e morali.<ref>F. Sarri, ''op. cit.'', p. 63.</ref> Secondo Platone, infatti, Socrate è l'unico che intende correttamente il senso della politica, come [[facoltà (filosofia)|capacità]] di rendere migliori i cittadini.<ref>Platone, ''Gorgia'', 521 d.</ref> Socrate li esorta a occuparsi, più che delle cose della città, della città stessa.<ref>G. Cambiano, ''Storia della filosofia antica'', Laterza, 2009.</ref> In lui c'è pertanto uno stretto legame tra filosofia e politica, che in Platone diventerà esplicito, ma in Socrate già affiora come esigenza di anteporre sempre il bene della città e il rispetto delle leggi agli egoismi dei singoli.<ref>«La virtù è abilità per quelli che se ne ritenevano maestri, per Socrate [...] è bene e sapienza; la vita associata, individualismo governato dall'egoismo per i preparatori alla carriera politica, per Socrate è struttura organica di leggi che chiedono obbedienza e rispetto» (B. Mondin, ''Storia della metafisica'', vol. I, pag. 125, E.S.D., 1998).</ref>
{{citazione|Questo, vedete, è il comandamento che mi viene da Dio. E sono convinto che la mia patria debba annoverare fra i benefici più grandi questa mia dedizione al volere divino. Tutta la mia attività, lo sapete, è questa: vado in giro cercando di persuadere giovani e vecchi a non pensare al fisico, al denaro con tanto appassionato interesse. Oh! pensate piuttosto all'anima: cercate che l'anima possa divenir buona, perfetta.|''Apologia di Socrate'', 29 d - 30 b, trad. di E. Turolla, Milano-Roma 1953}}
=== Brachilogia e ironia ===
{{vedi anche|Brachilogia|Ironia socratica}}
D'altra parte è vero che anche lui esaltava la parola, ma, al contrario dei sofisti che usavano il [[monologo]] e che praticamente parlavano da soli, il suo discorrere era un ''dià logos'', una parola che ''attraversava'' i due interlocutori. Mentre i sofisti infatti miravano ad abbindolare l'interlocutore usando il ''macròs logos'', il grande e lungo discorso che non dava spazio alle obiezioni, Socrate invece dialogava con brevi domande e risposte (la cosiddetta ''brachilogia'' socratica – letteralmente "breve dialogare") proprio per dare la possibilità di intervenire e obiettare a un interlocutore che egli rispettava per le sue opinioni.
Un'altra caratteristica del dialogo socratico, che lo distingueva dal discorso torrentizio dei sofisti, era il continuo domandare di Socrate su quello che stava affermando l'interlocutore; sembrava quasi che egli andasse alla ricerca di una precisa definizione dell'oggetto del dialogo. «''Ti estì''», "che cos'è" [quello di cui parli]?
A tali interrogativi, per esempio alla domanda «che cos'è la viltà?», l'interlocutore rispondeva sempre con un elenco di casi vili: vile è chi danneggia gli altri, chi si comporta in modo disonorevole... Socrate, tuttavia, contestando i singoli esempi, non si accontentava di questo sterile catalogo, bensì sembrava volere ricercare la definizione della viltà in sé stessa tale che rappresentasse una verità indiscutibile. Alla fine, non riuscendoci, l'interlocutore dichiarava la propria ignoranza che era il punto a cui Socrate voleva arrivare.
È questa infatti l{{'}}''[[Ironia socratica|ironia di Socrate]]'' che, per non demotivare l'interlocutore e per fare in modo che egli senza imposizioni si convinca, finge di non sapere quale sarà la conclusione del dialogo, accetta le tesi dell'interlocutore e le prende in considerazione, portandola poi ai limiti dell'assurdo in modo che l'interlocutore stesso si renda conto che la propria tesi non è corretta.
Chi dialoga con Socrate tenterà varie volte di dare una risposta precisa ma alla fine si arrenderà e sarà costretto a confessare la sua ignoranza. Proprio questo sin da principio sapeva e voleva Socrate: la sua non era fastidiosa pedanteria<ref>Socrate stesso nel processo si definisce scherzosamente così: «''Sono stato come un [[tafano]], un insetto che punge un animale sonnacchioso''», ma aggiunge: «''Io sono stato l'insetto che vi ha tenuto svegli, se me ne vado, voi vi addormenterete e finirete nell'ottusità''»</ref> ma il volere dimostrare che la presunta sapienza dell'interlocutore fosse in realtà ignoranza. Come scrive infatti [[Senofonte]]:
{{citazione|Egli discorreva sempre di cose umane esaminando che cosa è santità, che cosa empietà, che cosa ingiustizia, che cosa saggezza, che cosa pazzia, che cosa coraggio, che cosa viltà, che cosa Stato, che cosa politica, che cosa governo, che cosa uomo di governo, e simili cose|''Memorabili'', I, 1, 11-16}}
== La "questione socratica" ==
{{Vedi anche|Questione socratica}}
Di Socrate, Kierkegaard sosteneva che l'unica cosa certa era che fosse esistito.<ref>S. Kierkegaard, ''[[Postilla conclusiva non scientifica alle briciole di filosofia]]'', par. 62 in ''Opere'', trad. it. Milano 1993, pp. 301-308.</ref> Ne ''[[Il concetto dell'ironia]]'' mette a confronto l'ironia di Socrate con quella di [[Friedrich von Schlegel]] e [[Ludwig Tieck]], biasimando il carattere distruttivo di questi ultimi e lodando Socrate perché fu il primo esempio di contrapposizione della propria soggettività al punto di vista universale etico-politico.<ref>M. Marianelli, L. Mauro, M. Moschini, G. D'anna, ''Anima, corpo, relazioni. Storia della filosofia da una prospettiva antropologica'', Città Nuova, 2023, vol. 2, p 446. {{ISBN|978-88-311-3546-7}}</ref>
Come per la cosiddetta "[[questione omerica]]" è stata posta così una "[[questione socratica]]", riferita non solo al suo pensiero ma anche alle notizie della sua vita, su cui si sono cimentati diversi autori: [[Olof Gigon]],<ref>O. Gigon, ''Sokrates. Sein Bild in Dichtung und Geschichte'', Tubingen-Basel 1947, pp. 14, 64</ref> Heinrich Maier,<ref>H. Maier, ''Socrate. La sua opera e il suo posto nella storia'', trad. it., 2 voll. Firenze 1978, I, p.1 ss.</ref> [[Francesco Adorno]],<ref>F. Adorno, ''Introduzione a Socrate'', Bari, 1973 p. 7 ss., 20 ss.</ref> Jean Brun,<ref>J. Brun, ''Socrate'', trad. it. Milano 1995 p. 12.</ref> Gregory Vlastos,<ref>G. Vlastos ''Socrate e il filosofo dell'ironia complessa'', trad. it. Firenze 1998.</ref> [[Jan Patočka]],<ref>J. Patocka, ''Socrate'', trad. it. Milano 1999</ref> Giovanni Reale.<ref>G. Reale, ''Socrate. Alla scoperta della sapienza umana'', Milano 2000 p. 9.</ref>
== I discepoli ==
[[File:Sanzio 01 Plato Aristotle.jpg|upright=0.7|thumb|Platone e Aristotele (particolare di ''[[Scuola di Atene|La Scuola di Atene]]'', di [[Raffaello]])]]
Fra i discepoli di Socrate più importanti vi fu [[Platone]], che fu a sua volta maestro di [[Aristotele]] che formerà con i primi due quel trio composto dai pensatori tra i più influenti della [[storia della filosofia occidentale]]. Anche se non rinomato come Platone, tra gli allievi di Socrate vi fu [[Antistene]], che fu maestro di [[Diogene di Sinope]] e che riprese il tema del [[dubbio]] socratico facendone il fulcro della corrente dei [[Cinismo|cinici]], dalla quale nacque, con [[Zenone di Cizio]], lo [[stoicismo]] che annoverava tra i suoi membri [[Cicerone]], [[Seneca]] e [[Marco Aurelio]]. Anche [[Aristippo]], allievo di Socrate, sviluppò la concezione socratica dell'[[eudemonia]] che venne rielaborata e sviluppata ulteriormente da [[Epicuro]] e dalla sua scuola degli [[epicurei]].
[[Giovanni Reale]] considera tutte le correnti filosofiche principali dell'[[Ellenismo|età ellenistica]] ([[epicureismo]], [[stoicismo]], [[Scetticismo (filosofia)|scetticismo]] e [[cinismo]]) come "scuole socratiche minori".<ref>G. Reale, ''Storia della filosofia antica'', Milano, Vita e pensiero, 1975.</ref>
== Influenza culturale ==
Già i primi scrittori [[cristianesimo|cristiani]] videro in Socrate uno dei massimi esponenti di quella tradizione filosofica [[paganesimo|pagana]] che, pur ignorando il messaggio [[Vangelo|evangelico]], più si era avvicinata ad alcune verità del Cristianesimo.<ref name="ReferenceB">[[Gabriele Giannantoni]], ''Socrate'', Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche.</ref> Il [[martire]] cristiano san [[Giustino (filosofo)|Giustino]], nell{{'}}''Apologia prima'' (XLVI, 3), sosteneva che «coloro che vissero con il [[Logos]] sono cristiani, anche se furono ritenuti atei, come tra gli Elleni, Socrate, Eraclito e quelli simili a loro».<ref>{{cita libro|titolo=Socrate. Tutte le testimonianze, da Aristofane ai Padri cristiani|curatore=[[Gabriele Giannantoni]]|editore=Laterza|città=Bari|anno=1971|posizione=I, 6, p. 503|isbn=no}}</ref>
{{Citazione|L'[[Umanesimo]] e il [[Rinascimento]] videro in Socrate uno dei modelli più alti di quella umanità ideale che era stata riscoperta nel mondo antico. L'umanista [[Erasmo da Rotterdam]], profondo conoscitore dei testi [[Platone|platonici]], era solito dire: «Santo Socrate, prega per noi» (''Sancte Socrates, ora pro nobis''). Anche l'età dell'[[Illuminismo]] ha visto in Socrate un suo precursore: il [[XVIII secolo]] fu detto il "secolo socratico", giacché in quel periodo egli rappresentò l'eroe della tolleranza e della [[libertà di pensiero]].<ref>{{cita libro|titolo=Socrate. Tutte le testimonianze, da Aristofane ai Padri cristiani|curatore=[[Gabriele Giannantoni]]|editore=Laterza|città=Bari|anno=1971|p=XIX|isbn=no}}</ref>}}
Per le vicende della sua vita e della sua filosofia che lo condussero al processo e alla condanna a morte è stato considerato, dal filosofo e classicista austriaco [[Theodor Gomperz]], il «primo martire per la causa della libertà di pensiero e d'investigazione».<ref>{{cita libro|autore=Theodor Gomperz|wkautore=Theodor Gomperz|titolo=Pensatori greci. Storia della filosofia antica dalle origini ad Aristotele e alla sua scuola|traduttore=Luigi Bandini|editore=Bompiani|città=Milano|anno=2013|annooriginale=1895|citazione=Finché vivranno uomini sulla terra, la memoria di quel processo non verrà meno. Mai cesserà di essere oggetto di viva deplorazione la condanna del primo martire per la causa della libertà di pensiero e di investigazione|p=922|isbn=978-88-452-7514-2}}</ref>
{{citazione|...dall'antichità ci è pervenuto un quadro della figura di Socrate così complesso e così carico di allusioni che ogni epoca della [[storia]] umana vi ha trovato qualche cosa che le apparteneva. Già i primi scrittori [[cristianesimo|cristiani]] videro in Socrate uno dei massimi esponenti di quella tradizione filosofica [[paganesimo|pagana]] che, pur ignorando il messaggio [[Vangelo|evangelico]], più si era avvicinata ad alcune verità del Cristianesimo.<ref name="ReferenceB" />}}
== Cinematografia ==
* ''[[Processo e morte di Socrate]]'', regia di [[Corrado D'Errico]] (1939)
* ''Barefoot in Athens,'' regia di George Schaefer (1966)
* ''[[Socrate (film)|Socrate]]'', regia di [[Roberto Rossellini]] (1971)
* ''[[Il banchetto di Platone]]'', regia di [[Marco Ferreri]] (1989)
* Su tutti i film che hanno portato la figura di Socrate al cinema si veda: Daniele Calzetta, ''Socrate al cinema'', Mimesis, Milano 2023, 176 pp., ISBN 9788857593494
== Note ==
<references/>
== Bibliografia ==
=== Raccolta delle fonti ===
* [http://socratics-documentation.ancientsource.daphnet.org/it/home.html ''Socratis et Socraticorum Reliquiae''] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20160305184239/http://socratics-documentation.ancientsource.daphnet.org/it/home.html |data=5 marzo 2016 }}. Collegit, disposuit, apparatibus notisque instruxit G. Giannantoni, Naspoli, Bibliopolis, 1990 quattro volumi, 2090 pp. (raccolta delle testimonianze in greco e latino)
* {{cita libro|titolo=Socrate. Tutte le testimonianze, da Aristofane e Senofonte ai Padri cristiani|curatore=[[Gabriele Giannantoni]]|città=Bari|editore=Laterza|anno=1971|isbn=no}}
* {{cita libro|autore=Senofonte|titolo=Tutti gli scritti socratici: Apologia di Socrate-Memorabili-Economico-Simposio|curatore=Livia De Martinis|città=Milano|editore=Bompiani|anno=2013}}
* {{cita libro|autore=Filodemo di Gadara|titolo=Testimonianze su Socrate|curatore=Eduardo Acosta Méndez e Anna Angeli|città=Napoli|editore=Bibliopolis|anno=1992}} (testi tratti dai [[Papiri di Ercolano]]).
=== Bibliografia essenziale ===
* Francesco Adorno, ''Introduzione a Socrate'', Laterza, Bari, 1999
* [[Guido Calogero]], ''Erasmo, Socrate e il Nuovo Testamento'', Accademia Nazionale dei Lincei, 1972
* Franco Ferrari (a cura di), ''Socrate tra personaggio e mito'', Milano, BUR Rizzoli, 2007
* [[Michel Foucault]], ''Discorso e verità nella Grecia Antica'', Donzelli, Roma 1996
* Antonio Gargano, ''I sofisti, Socrate, Platone'', La Città del Sole, 1996
* Gabriele Giannantoni, ''Dialogo socratico e nascita della dialettica nella filosofia di Platone'', edizione postuma a cura di B. Centrone, Bibliopolis, 2005
* {{cita libro|autore=Olof Gigon|wkautore=Olof Gigon|titolo=Socrate. La sua immagine nella letteratura e nella storia|editore=Vita e Pensiero|anno=2015|annooriginale=1947|città=Milano|curatore=Giusy Maria Margagliotta|isbn=978-88-343-3120-0}}
* Walter Otto, ''Socrate e l'uomo greco'', Roma, Marinotti, 2005
* Giovanni Reale, ''Socrate. Alla scoperta della sapienza umana'', Rizzoli, Milano, 2000
* Giovanni Reale, ''Socrate'', Rizzoli, Milano, 2001
* Antonio Ruffino, ''Socrate: l'uomo e i tempi'', Liguori, Napoli, 1972
*
* Gregory Vlastos, ''Socrate il filosofo dell'ironia complessa'', La Nuova Italia, Firenze 1998
=== Bibliografia d'approfondimento ===
* Francesca Alesse, ''La Stoa e la tradizione socratica'', Bibliopolis, 2000
* Filippo Bartolone, ''Socrate. L'origine dell'intellettualismo dalla crisi della libertà'', Vita e Pensiero, 1999
* Jean Brun, ''Socrate'', Xenia, 1995
* John Burnet, ''Interpretazione di Socrate'', Vita e Pensiero, 1994
* Francesco Calvo, ''Cercare l'uomo. Socrate, Platone, Aristotele'', Marietti, Genova, 1990
* Jean-Joël Duhot, ''Socrate o il risveglio della coscienza'', [[Edizioni Borla]], 2000
* Günter Figal, ''Socrate'', Il Mulino, Bologna, 2000
* Eugenio Garin, ''A scuola con Socrate. Una ricerca di Nicola Siciliani de Cumis'', La Nuova Italia, 1993
* Antonio Gargano, ''I sofisti, Socrate, Platone'', La Città del Sole, 1996
* Guardini Romano, ''La morte di Socrate. Interpretazione dei dialoghi platonici Eutifrone, Apologia, Critone e Fedone'', Morcelliana, 1998
* Ettore Lojacono (a cura di), ''Socrate in Occidente'', Firenze: Le Monnier università, 2004
* Pierre Hadot, ''Elogio di Socrate'', Il Nuovo Melangolo, 1999
* Christoph Horn, ''L'arte della vita nell'antichità: felicità e morale da Socrate ai neoplatonici'', Roma: Carocci, 2005
* Paolo Impara, ''Socrate e Platone a confronto'', Seam, 2000
* Carlo Michelstaedter, ''Il prediletto punto d'appoggio della dialettica socratica e altri scritti'', Mimesis, 2000
* {{cita web|url=https://books.google.it/books?id=D9tkiSsWpHIC&pg=PA14&dq=T.+Gomperz,++%E2%80%98%E2%80%99Pensatori+greci%E2%80%99%E2%80%99,+vol.II,++Firenze,+1950&hl=it&ei=wDVWTf_cMYfE4gaN1rH4Bg&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=1&ved=0CC0Q6AEwAA#v=snippet&q=Aristofane&f=false|titolo=Mario Montuori, ''Socrate. Fisiologia di un mito'', Vita e Pensiero, 1998}}
* Walter Friedrich Otto, ''Socrate e l'uomo greco'', Milano: Marinotti, 2005
* M. Adelaide Raschini, ''Interpretazioni socratiche'', Marsilio, 2000
* Francesco Sarri, ''Socrate e la nascita del concetto occidentale di anima'', Vita e Pensiero, 1997
* Gregory Vlastos, ''Studi socratici'', Milano: Vita e pensiero, 2003
== Voci correlate ==
{{div col|2}}
* [[Aristotele]]
* [[
* [[Diotima di Mantinea]]
* [[Elenco degli oracoli di Delfi]]
* [[Ironia socratica]]
* [[Leggi di Atene]]
* [[Maieutica]]
* [[Metodo socratico]]
* [[Interpretazioni del pensiero di Socrate]]
* [[Questione socratica]]
* [[Paideia]]
* [[Platone]]
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* {{cita libro|curatore=Gabriele Giannantoni|titolo=Socrate. Tutte le testimonianze: da Aristofane e Senofonte ai Padri cristiani (PDF)|editore=Laterza|anno=1971|url=https://www.storiadellafilosofia.net/filosofia-antica/socrate/tutte-le-testimonianze/|accesso=12 novembre 2017|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20171113003409/https://www.storiadellafilosofia.net/filosofia-antica/socrate/tutte-le-testimonianze/|urlmorto=sì}}
* {{cita web|url=http://www.emsf.rai.it/biografie/anagrafico.asp?d=604|titolo=Pagina dedicata a Socrate della EMSF (Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche) della Rai|accesso=24 luglio 2007|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20070911074329/http://www.emsf.rai.it/biografie/anagrafico.asp?d=604|urlmorto=sì}}
* {{cita web|url=http://www.emsf.rai.it/aforismi/aforismi.asp?d=81|titolo=Gabriele Giannantoni: Socrate|accesso=24 luglio 2007|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20080228164251/http://www.emsf.rai.it/aforismi/aforismi.asp?d=81|urlmorto=sì}}
* {{cita web|url=http://www.emsf.rai.it/scripts/interviste.asp?d=485|titolo=Gabriele Giannantoni: Socrate tra mito e storia. Interviste RAI sul pensiero di Socrate a cura della EMSF al prof. Gabriele Giannantoni|accesso=24 luglio 2007|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20140407121034/http://www.emsf.rai.it/scripts/interviste.asp?d=485|urlmorto=sì}}
* {{cita web|url=http://www.iisf.it/scuola/s_s_plato/socrate.htm|titolo=Socrate, a cura di Antonio Gargano}} Istituto italiano per gli studi filosofici
* {{cita web|url=http://www.infonotizia.it/mappa-concettuale-su-socrate-download/|titolo=Mappe concettuali su Socrate}}
* {{cita web|url=http://www.ariannascuola.eu/ilfilodiarianna/it/filosofia/la-filosofia-ad-atene/socrate/258-lo-chema-dellapologia-di-socrate.html|titolo=Schema della Apologia di Socrate|urlmorto=sì}}
* {{cita web|url=https://www.raicultura.it/filosofia/articoli/2023/10/Socrate-al-cinema--bcff3940-3972-4ff2-ad5f-87801f038eb3.html|titolo=Socratre al cinema}}
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