Servitù della gleba: differenze tra le versioni

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L'imperatore romano, al fine di fermare la fuga dalle campagne verso le città, con un provvedimento autoritativo aveva imposto ai coloni di trasmettere il proprio mestiere ai loro discendenti. Li aveva inoltre fissati (anche per le generazioni successive) al terreno che coltivavano, al punto da essere venduti assieme a esso (passando così al servizio del nuovo proprietario del fondo). Il proprietario del fondo aveva il diritto di reclamare i coloni al suo servizio qualora si allontanassero dal fondo, poteva infliggere loro pene corporali in caso di disobbedienza, poteva stabilire in quali modi ogni colono potesse utilizzare la sua paga (chiamata ''peculius'', come quella concessa agli schiavi).
 
In Italia leLe condizioni migliorarono nell’età comunale con il movimento contro la lotta alle classi feudali, con conquiste economiche, giuridiche ispirate anche dalle nuove idee politiche dell’opera della chiesa, degli ordini religiosi tra cui il [[Ordine cistercense|cistercense]] e dal movimento [[Ordine francescano|francescano]].<ref name=":0" />
 
Anche se proprietà terriera e servitù della gleba cominciarono a essere inscindibili attorno al [[IX secolo]], essa trovò un fondamento giuridico formale con l'editto di [[Federico I di Danimarca]] (6 maggio 1524), che garantì ai proprietari terrieri la giurisdizione sui loro sudditi. Nel [[XVI secolo]], la servitù della gleba si affermò quasi ovunque e in alcuni territori, soprattutto nell'area tedesca, molti contadini liberi furono ridotti alla condizione di servi della gleba.