Io e il duce: differenze tra le versioni
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Fu lei e solo lei che riuscì a sollevare il morale di Ciano con la promessa di riuscire a inviarlo in un paese neutrale in cambio dei suoi diari. Ciano le diceva spesso che a guerra finita avrebbe inviato una cartolina da dove stava rifugiato a "Frau Beetz - Berlin", come per dire che si sarebbe ricordato di lei per sempre. E lei s'innamorò di quell'uomo tanto triste e vicino alla morte, così romantico e gentile nei modi e nel profondo, straordinariamente mite. Rischiò per lui la vita stessa per aiutarlo e mai lo tradì. Si dice che diventò la sua amante ma la cosa è improbabile a dispetto delle numerose voci in merito; Galeazzo la vedeva più come un'amica e forse una figlia visti i numerosi anni di differenza tra lui e lei. Le voleva bene davvero e si fidava di lei ciecamente ma questa volta il suo cuore era tutto per Edda che non voleva più tradire.<ref>Gaetano Afeltra, ''La spia che amò Ciano'', Rizzoli.</ref>
Hitler fu informato dell{{'}}''Operazione Conte'' per far evadere Ciano e il piano crollò. Fu il preludio della fine di Galeazzo Ciano. Ora niente più si frapponeva tra lui e il processo, quella farsa che passerà alla storia come il [[processo di Verona]]. Le autorità volevano sbrigarsi: processo, sentenza ed esecuzione della condanna a morte tutto d'un colpo. Naturalmente non volevano fare pressione eccessiva su Ciano perché temevano che messo alle strette avrebbe parlato di cose troppo scomode come, ad esempio, dell'[[Olocausto]], di cui era bene informato. Edda cercò furiosamente di far graziare Ciano dal padre; arrivò a minacciarlo, di divulgare pubblicamente certe sue notizie, lo disprezzò e lo insultò oltre ogni limite e poi lo abbandonò portandosi via i figli; non lo rivide mai più.<ref>Metello Casati, ''1944: il processo di Verona'', da ''I documenti terribili'', Mondadori, 1973, Milano.</ref>
E arrivò il giorno del processo. Nel tetro e immenso salone dove si svolgeva, la luce faceva fatica a illuminare la scena, un enorme [[fascio littorio|fascio repubblicano]] troneggiava sulla sala; ora la scure si trovava nella sommità delle verghe, quasi a voler accentuare un testardo rinnovamento sugli errori del passato come lo sciagurato connubio con la [[monarchia]]. Galeazzo era seduto su una sedia con il cappello appoggiato sul pomello dello schienale, in una posa che sembrava più adatta a un convivio bucolico che a un processo: era la sua forma di disprezzare quanto gli avveniva intorno. Guardava il soffitto a cassettoni come era solito fare di fronte a quelle cose antiche che tanto accendevano la sua curiosità. Giudicava il tutto una buffonata con la sentenza già scontatissima: il processo lo facevano più per loro che per gli altri imputati.
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