Umberto II di Savoia: differenze tra le versioni

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{{notaNota disambigua|Umbertoil II,sesto conte di Savoia, (1065–1103)conte d'Aosta e Moriana e marchese d'Italia, detto il Rinforzato|[[Umberto II conte di Savoia]] (conte)}}
{{Monarca
| nome = Umberto II di =Umberto IISavoia
|immagine = Umberto II, 1944.jpg
| titolo =[[Elenco di monarchi italiani|Re d'Italia]]
|legenda = Umberto II nel 1944
| immagine =[[Immagine:Umberto II di Savoia come principe ereditario.jpg|200px]]
|titolo = [[Re d'Italia (1861-1946)|Re d'Italia]]
| legenda =
|stemma = Great coat of arms of the king of italy (1890-1946).svg
| regno =[[9 maggio]], [[1946]] – [[12 giugno]], [[1946]]
|inizio regno = 9 maggio 1946
| incoronazione =
|fine regno = 13 giugno 1946<ref>[https://archivio.quirinale.it/aspr/presidente/alcide-de-gasperi]</ref> <br /><small>(35 giorni)</small>
| altrititoli =[[Principe di Piemonte]]
|predecessore = [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]]
| nome completo =Umberto Nicola Tommaso Giovanni Maria
|successore = ''[[Nascita della Repubblica Italiana|Monarchia abolita]]''<ref>[[Enrico De Nicola]] fu eletto [[capo provvisorio dello Stato]]; fino alla sua elezione le funzioni furono svolte dal Presidente del Consiglio [[Alcide De Gasperi]], ai sensi del [https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1946/03/23/046U0098/sg decreto legislativo luogotenenziale 16 marzo 1946, n. 98]</ref>
| predecessore =[[Vittorio Emanuele III d'Italia|Vittorio Emanuele III]]
|nome completo = Umberto Nicola Tommaso Giovanni Maria
| successore =[[Enrico De Nicola]] ''([[Repubblica Italiana|repubblica]])''
|altrititoli = [[Principe di Piemonte]] (1904-1946)<br/>[[Africa Orientale Italiana|Principe ereditario d'Etiopia]] (1936-1941)<br/>[[Occupazione italiana dell'Albania (1939-1943)|Principe ereditario d'Albania]] (1939-1943)<br/>[[#Titoli|Altri]]
| consorte =[[Maria José del Belgio]] ([[8 gennaio]] [[1930]])
|luogo di nascita = [[Racconigi]], [[Regno d'Italia (1861-1946)|Regno d'Italia]]
| figli =[[Maria Pia di Savoia (1934)|Maria Pia]], [[Vittorio Emanuele di Savoia|Vittorio Emanuele]], [[Maria Gabriella di Savoia|Maria Gabriella]], [[Maria Beatrice di Savoia (II)|Maria Beatrice]]
|data di nascita = 15 settembre [[1904]]
| casa reale =[[Casa Savoia|Savoia]]
|luogo di morte = [[Ginevra]], [[Svizzera]]
| padre =[[Vittorio Emanuele III d'Italia|Vittorio Emanuele III]]
|data di morte = {{Calcola età3|1983|3|18|1904|9|15}}
| madre =[[Elena del Montenegro]]
|luogo di sepoltura = [[Abbazia di Altacomba]], [[Saint-Pierre-de-Curtille]] ([[Francia]])
| data di nascita =[[15 settembre]], [[1904]]
|casa reale = [[Casa di Savoia|Savoia]]
| luogo di nascita=[[Racconigi]]
|padre = [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III d'Italia]]
| data di morte = [[18 marzo]] [[1983]]
|madre = [[Elena del Montenegro]]
| luogo di morte = [[Ginevra (città)|Ginevra]]
|consorte = [[Maria José del Belgio]]
|figli = [[Maria Pia di Savoia (1934)|Maria Pia]]<br />[[Vittorio Emanuele di Savoia (1937)|Vittorio Emanuele]]<br />[[Maria Gabriella di Savoia|Maria Gabriella]]<br />[[Maria Beatrice di Savoia (1943)|Maria Beatrice]]
|religione = [[Chiesa cattolica|Cattolicesimo]]
|firma = Umberto II signature.svg
|motto reale = [[FERT (motto)|FERT]]
|trattamento = ''[[Maestà|Sua Maestà]]''
|titolo1 = [[Duca di Savoia]]
|inizio regno1 = 9 maggio 1946
|fine regno1 = 18 marzo 1983
|predecessore1 = [[Vittorio Emanuele III di Savoia]]
|successore1 = ''[[Linea di successione al trono d'Italia|disputa dinastica]]''<br /><small>{{lista|[[Amedeo di Savoia-Aosta (1943)|Amedeo di Savoia-Aosta]]|[[Vittorio Emanuele di Savoia (1937)|Vittorio Emanuele di Savoia]]|tipo=inherit}}</small>
}}
{{Carica pubblica
| nome = Umberto di Savoia
| immagine = Umberto II Italia.jpg
| didascalia = Umberto di Savoia in uniforme da generale
| carica = [[Luogotenenza del regno#Umberto II di Savoia|Luogotenente generale]] del [[Regno d'Italia (1861-1946)|Regno d'Italia]]<br /><small>([[periodo costituzionale transitorio]])</small>
| predecessore = ''Carica creata''
| successore = ''Carica abolita''
| mandatoinizio = 5 giugno 1944
| mandatofine = 9 maggio 1946
| monarca = [[Vittorio Emanuele III di Savoia]]
| prefisso onorifico = ''[[Altezza reale|Sua Altezza Reale]]''
}}
{{Casato di Savoia}}
{{Bio
|Nome = Umberto II
|Cognome = di Savoia
|ForzaOrdinamento = Umberto 02 di Savoia
|Cognome =
|PreData = ''Umberto Nicola Tommaso Giovanni Maria di Savoia''
|Sesso = M
|LuogoNascita = Racconigi
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|AnnoNascita = 1904
|LuogoMorte = Ginevra
|LuogoMorteLink = Ginevra (Svizzera)
|GiornoMeseMorte = 18 marzo
|AnnoMorte = 1983
|Attività =
|Nazionalità = italiano
|Categorie = no
|FineIncipit = è stato [[Principe di Piemonte]] dal 1904 al 1946, [[Luogotenenza del regno|Luogotenente generale]] del [[Regno d'Italia (1861-1946)|Regno d'Italia]] dal 5 giugno 1944 al 9 maggio 1946 e infine ultimo [[Sovrani d'Italia#Savoia (1861–1946)|Re d'Italia]] per abdicazione del padre [[Vittorio Emanuele III]] dal 9 maggio al 18 giugno 1946<ref>{{cita testo|url=http://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/1946/06/21/135/sg/pdf|titolo=Data di cessazione del regime monarchico riportata sulla Gazzetta ufficiale.}}</ref>
|ForzaOrdinamento = Umberto 02 di Savoia
}} La brevissima durata del suo regno, appena quaranta giorni, gli valse il soprannome di «Re di maggio».<ref>{{Treccani|umberto-ii-re-d-italia_(Dizionario-di-Storia)|Umberto II Re d'Italia|accesso=21 dicembre 2020|data=2011}}</ref>
|FineIncipit = è stato Luogotenente Generale del [[Regno d'Italia (1861-1946)|Regno d'Italia]] dal [[1944]] al [[1946]] e Re d'Italia, di Sardegna, di Cipro, di Gerusalemme e d'Armenia dal [[9 maggio]] [[1946]] al [[13 giugno]] dello stesso anno (per questo breve periodo di regno fu detto ''Re di maggio''). Il suo nome completo è Umberto Nicola Tommaso Giovanni Maria, Principe di Piemonte
}}
 
Il 13 giugno 1946, dato l'esito del [[Nascita della Repubblica Italiana|referendum istituzionale del 2 giugno]], il [[Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana|Consiglio dei ministri]] – con atto che il re definì «rivoluzionario» – trasferì le funzioni accessorie di [[capo provvisorio dello Stato]] al [[Presidente del Consiglio dei ministri del Regno d'Italia|Presidente del Consiglio]] [[Alcide De Gasperi]]. Il giorno stesso, Umberto si recò in [[Estado Novo (Portogallo)|Portogallo]] in esilio volontario e non fece mai più ritorno in Italia<ref>{{Cita web|url=https://www.raicultura.it/storia/articoli/2019/01/Il-Re-di-maggio-593b90ac-30ba-4d3b-98ce-93561531294a.html#:~:text=Umberto%20II%20e%20l'esilio%20in%20Portogallo&text=Re%20d'Italia%20per%20poco,Cascais%2C%20all'esilio%20portoghese.|titolo=''Il Re di maggio''|accesso=20 settembre 2023}}</ref> anche perché, poco tempo dopo, la [[Costituzione della Repubblica Italiana]] entrata in vigore il 1º gennaio 1948 avrebbe fra l'altro vietato l'ingresso e il soggiorno nel territorio nazionale agli ex sovrani di [[Casa Savoia]], alle loro consorti e ai loro discendenti maschi (tale comma, presente nella [[Disposizioni transitorie e finali della Costituzione della Repubblica Italiana|Disposizione Transitoria e Finale XIII]], decadde poi mediante [[Legge costituzionale|Legge Costituzionale]] solo molti anni dopo la sua morte, nell'ottobre del 2002).
==1904-1913: l'infanzia borghese==
Umberto di Savoia nacque nel [[Castello di Racconigi]] dove i genitori, Vittorio Emanuele III ed Elena avevano passato l'estate con le due figlie, Jolanda e Mafalda, alle 23:15 del 15 settembre 1904: alla nascita pesava 4 chili e 550 <ref>L. Regolo, ''Il re signore'', Simonelli editore, p. 13 </ref>. Vittorio Emanuele III telegrafò immediatamente dopo nell'ordine alla [[Palazzina di Caccia di Stupinigi]] dover si trovava la madre, [[Margherita di Savoia]]: "Mamma, abbiamo avuto un figlio. Lo chiameremo Umberto", al sindaco di Roma e al presidente del Consiglio [[Giovanni Giolitti]], comunicando che avrebbe devoluto un milione di lire alla Cassa Nazionale per la Vecchiaia degli operai. Quel giorno stesso la Camera del Lavoro di Milano aveva accolto la proposta di sciopero generale, il primo in Italia, che sarebbe durato altri cinque giorni. A causa di questo l'avvenimento divenne di dominio pubblico in modo defilato, poiché il 16 solo il [[Corriere della Sera]] poté andare in stampa, e contrastato: a Milano gli scioperanti costrinsero il sindaco Barinetti a togliere la bandiera dal balcone del municipio <ref>L. Regolo, op. cit., p. 16 </ref> e Giolitti, già impegnato a Roma col governo nel varare misure atte a risanare la pace sociale e politica, impiegò alcuni giorni ad arrivare, in veste di notaio della Corona, a Racconigi, per stendere l'atto di nascita. Il bambino, battezzato la sera del 16 coi nomi di Umberto Nicola Tommaso Giovanni Maria <ref>Umberto era il nonno paterno, Nicola quello materno, Tommaso il prozio paterno duca di Genova </ref>, venne infine regolarmente il 20 con atto firmato dal presidente del Consiglio, controfirmato da [[Giuseppe Saracco]] presidente del Senato come ufficiale di stato civile e da Vittorio Emanuele III, presenti come testimoni [[Costantino Nigra]] e [[Giuseppe Bancheri]], presidente della Camera.
 
== Biografia ==
Il 29 settembre veniva concesso con Regio Decreto (pubblicato il 18 ottobre) all'erede il tradizionale titolo nobiliare di [[principe di Piemonte]]: il re era più propenso a "principe di Roma", ma la regina Margherita lo convinse ad evitare un gesto che sarebbe stato recepito come ostile dal Vaticano, a cui bisognava chiedere il permesso per il battesimo ufficiale del bambino ancora da celebrare, gravante tutt'ora sui Savoia la scomunica inferta dopo la [[Breccia di Porta Pia]]. Infatti da tradizione per i principi, al fine di venire incontro ad ovvie richieste protocollari, si dava appena nati il battesimo con acqua e l'imposizione delle mani ed in un secondo tempo, organizzata la cerimonia e giunti dall'estero i membri delle altre case regnanti, si procedeva con gli esorcismi, il sale, l'olio, il cero e la veste candida. Il battesimo ufficiale si ebbe solo tre mesi dopo, il 4 novembre 1904, nella [[Cappella Paolina del Quirinale]], i cui altari erano dal 1870 sconsacrati per volontà di [[Pio IX]] e fu celebrato con dispensa speciale da monsignor Giuseppe Beccaria: nessun membro dell'alto clero celebrava, ma la concessione per la prima volta del Quirinale per una cerimonia di Casa Savoia venne ugualmente considerata un gesto di distensione da parte di Pio X. Padrini furono [[Guglielmo II di Germania]], rappresentato dal fratello [[Alberto di Prussia]] ed [[Edoardo VII del Regno Unito]], rappresentato dal fratello duca di Connaught [[Arturo di Sassonia-Coburgo-Gotha]]; presenti esponenti di tutte le case reali europee, a partire da quelle più strettamente legate per vincoli familiari, quali [[Nicola I del Montenegro]] con la moglie [[Milena del Montenegro|Milena]], [[Napoleone Vittorio Bonaparte]] figlio di [[Maria Clotilde di Savoia]], il [[Alfonso Carlo di Braganza|duca di Oporto]] figlio della regina di Portogallo [[Maria Pia di Savoia|Maria Pia]].
[[Immagine:Umberto di Savoia 1907.JPG|thumb|Umberto piccolo corazziere (1907)]]
La nascita di Umberto sollevava i genitori dal timore che la dinastia si estinguesse, lasciando il trono al ramo collaterale dei [[Savoia-Aosta]]: se Umberto I aveva avuto un unico figlio maschio, Vittorio Emanuele III, suo fratello [[Amedeo I di Spagna|Amedeo]] ne aveva avuti quattro il primogenito dei quali, fino ad allora l'erede presuntivo al trono [[Emanuele Filiberto, secondo duca d'Aosta]], era già padre di due figli, ed era diviso dal cugino sovrano da una non velata rivalità. Agli albori della civiltà della comunicazione di massa, il sovrano, alto poco più di un metro e cinquanta, né bello né ''affascinante'' e dedito ad una vita schiva e ''borghese'' (come molti gli rimproveravano), era oggettivamente sminuito nel confronto con i cugini Aosta, tutti alti, belli, muscolosi per la vita attiva e all'aria aperta che conducevano <ref>Luigi Amedeo duca degli Abruzzi era già famoso come esploratore, e Vittorio Emanuele conte di Torino si cimentava con successo in gare di equitazione. </ref> e dalla brillante vita sociale <ref>Elena duchessa d'Aosta, moglie del duca Emanuele Filiberto, era figlia del pretendente al trono francese: già promessa fidanzata a [[Vittorio Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha]], erede dell'Impero inglese, provenendo dalla famiglia reale più antica d'Europa, chiamava la regina Elena ''mia cugina la pastora'', ironizzando pesantemente sulla sua dimessa famiglia d'origine, i [[Petrovich-Niegosh]].</ref>. Il Quirinale impiegò l'immagine del piccolo erede al trono, e le sue foto a tre anni vestito alla marinara o da piccolo corazziere, con la tenuta da boy-scout, assieme alle sorelle nel parco della villa di san Rossore vennero fatte pubblicare sulla rivista [[Illustrazione Italiana]] o come cartoline, rendendo Umberto il nuovo ''simbolo'' di Casa Savoia <ref>L. Regolo, op. cit., p. 20</ref>.
[[Immagine:Queen Elena of Italy.jpg|thumb|180 px|left|La regina Elena]]
Abitavano nella Palazzina della Fuga al [[Palazzo del Quirinale]], alla fine della cosiddetta "Manica Lunga", la regina ed i figli al primo piano, il re al secondo, mentre in estate soggiornavano prima a [[San Rossore]] e poi, dopo la chiusura estiva di Camera e Senato, a Racconigi, luogo cui il sovrano resterà sempre molto legato sia per la relativa libertà di cui godeva, sia per le "spedizioni e le corse nel parco. Le scoperte delle soffitte, dove si conservavano abiti e cimeli antichi" <ref>dichiarazione di Maria Beatrice di Savoia in L. Regolo, op. cit., p. 22</ref>. Nei suoi primi anni di vita l'educazione venne lasciata in mano alla madre, donna di gusti estremamente semplici e casalinghi, dolce e sensibile, verso la quale il figlio avrebbe sviluppato un legame profondo ed un affetto duraturo <ref>L. Regolo, op. cit., p. 29</ref>, che andava a compensare il rapporto distaccato col padre. Quanto Elena era una madre premurosa e protettiva, che cercava quanto più possibile di mitigare le asprezze del protocollo e della vita di corte <ref>G.Oliva, Umberto II, p. 48</ref>, Vittorio Emanuele III era un uomo intelligente e colto, ma "caratterialmente arido, riservato, diffidente, che nell'introspezione nasconde un groviglio di frustrazioni per l'inferiorità fisica e per il peso di una formazione troppo severa" <ref>G.Oliva, Umberto II, p. 45</ref>. I problemi derivati dall'altezza, l'educazione di stampo militaresco impartitagli dal colonnello Egidio Osio, suo governatore nella prima giovinezza, gli avevano reso estremamente difficile relazionarsi con gli altri, compresi i figli e soprattutto Umberto, in cui vedeva prima di tutto un erede al trono da educare come tale: vigevano nelle relazione del padre verso il figlio "autorità, etichetta, rigore, un sostanziale distacco in cui si mescolano la naturale freddezza emotiva del sovrano e la volontà di imporre un modello regale di comportamento <ref>G.Oliva, Umberto II, p. 47</ref>.
 
=== Infanzia ===
Nel 1911 la famiglia si trasferì dal Quirinale, considerata una reggia troppo sfarzosa, nella più raccolta [[Villa Ada]], circondata da ampio parco che la rendeva quasi un doppione del paesaggio agreste di san Rossore. Nello stesso anno venne dichiarata guerra all'[[Impero ottomano]] per la sovranità sulla [[Guerra italo-turca|Libia]] ed Umberto con le sorelle iniziarono ad essere portati in visita dei feriti e dei mutilati alloggiati negli ospedali militari ed anche, per volontà della regina, in un'ala del Quirinale e della [[Reggia di Caserta]].
[[File:Queen Elena and King Victor Emanuel III.jpg|miniatura|upright|sinistra|Fotografia dei genitori di Umberto [[Vittorio Emanuele III di Savoia]] ed [[Elena di Montenegro]] intorno al 1900.]]
{{Casato di Savoia}}
Umberto II era figlio di [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]] e di [[Elena del Montenegro]] e aveva quattro sorelle: [[Iolanda Margherita di Savoia|Iolanda]], [[Mafalda di Savoia|Mafalda]], [[Giovanna di Savoia (1907-2000)|Giovanna]] e [[Maria Francesca di Savoia|Maria Francesca]]. Nacque nel [[castello di Racconigi]] alle 23:15 del 15 settembre 1904 e alla nascita pesava 4 chili e 550 grammi<ref>{{cita|Regolo|p. 13}}.</ref>. Vittorio Emanuele III telegrafò immediatamente dopo, nell'ordine, alla [[palazzina di caccia di Stupinigi]], dove si trovava la madre, [[Margherita di Savoia]]: «Mamma, abbiamo avuto un figlio. Lo chiameremo Umberto», al [[sindaco di Roma]] e al presidente del Consiglio [[Giovanni Giolitti]], comunicando che avrebbe devoluto un milione di [[lira italiana|lire]] alla [[Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale|Cassa nazionale di previdenza per l'invalidità e la vecchiaia degli operai]]. Quel giorno stesso la [[Camere del Lavoro]] di [[Milano]] aveva accolto la proposta di [[Sciopero generale del 1904|sciopero generale]], il primo in Italia, che sarebbe durato altri cinque giorni. Per comodità fu dichiarato il giorno 15 e da allora rimane su tutti i documenti come data di nascita il 15 settembre.
 
A causa di questo sciopero, l'avvenimento divenne di dominio pubblico in modo defilato, poiché il 16 settembre solo il ''[[Corriere della Sera]]'' poté andare in stampa, e contrastato: a [[Milano]] gli scioperanti costrinsero il sindaco [[Giovanni Battista Barinetti|Barinetti]] a togliere la bandiera dal balcone del municipio<ref>{{cita|Regolo|p. 16}}.</ref> e Giolitti, già impegnato a Roma col governo nel varare misure atte a risanare la pace sociale e politica, impiegò alcuni giorni ad arrivare, in veste di [[notaio della corona]], a [[Racconigi]], per stendere l'atto di nascita. Il bambino, battezzato la sera del 16 coi nomi di Umberto Nicola Tommaso Giovanni Maria<ref>[[Umberto I di Savoia|Umberto]] era il nonno paterno, [[Nicola I del Montenegro|Nicola]] quello materno, [[Tommaso di Savoia-Genova|Tommaso]] il prozio paterno, [[Savoia-Genova|duca di Genova]].</ref>, il 20 settembre venne infine regolarmente registrato, con atto firmato dal presidente del consiglio, controfirmato da [[Giuseppe Saracco]], presidente del Senato, come ufficiale di stato civile, e da [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]] e presenti come testimoni [[Costantino Nigra]] e [[Giuseppe Biancheri]], presidente della camera.
==1913-1925: apprendistato da re==
Il 13 novembre 1913 Vittorio Emanuele III conferì all'ammiraglio [[Attilio Bonaldi]] il compito di occuparsi dell'educazione del principe ereditario, seguendo quella tradizione educativa radicata in Casa Savoia, di cui lo stesso sovrano aveva pagato il prezzo divenendo un "uomo dal cuore freddo e dalla testa chiara" <ref>D. Bartoli, ''La fine della monarchia'', Mondadori, Milano, 1947, p. 65 </ref>. Bonaldi impartì al giovanissimo Umberto un'educazione eccessivamente rigida, che ebbe certamente delle conseguenze sulla personalità del futuro sovrano. E se Vittorio Emanuele III mantenne fino all'ultimo dei rapporti addirittura affettuosi con il suo precettore Osio, Umberto preferì prendere le distanze dal suo austero educatore, fino al punto da non recarsi alle sue esequie. Anni dopo Umberto avrebbe commentato così: "Io stesso credo di aver dato il segno di non aver gradito il peso, ma allora nella mia casa si usava così. A nessuno sarebbe mai passato per la mente di farmi diventare un buon uomo di scienza o o un esperto giurista. I Savoia erano re soldati e si preparavano fin da bambini a questo destino. Con mio padre avevo contatti normali nell'ambito di questa educazione" <ref>G. Orecchia, ''Maria Josè, regina di maggio'', MAE, Milano, 1988, p. 25</ref> Nessuna scuola pubblica per l'erede, ma una decina di precettori coordinati da un militare: se un tipo di educazione simile poteva essere anche considerata accettabile nel 1880, dopo oltre trent'anni era del tutto anacronistica ed fuori dai mutamenti pedagogici e sociali nel frattempo occorsi: <ref>G.Oliva, Umberto II, p. 46</ref>. Obbediente e rispettoso, cresce in solitudine e si forma un carattere dominato dall'ossequio all'autorità e alla gerarchia fortemente dominato da un rigido autocontrollo <ref>G.Oliva, Umberto II, p. 47</ref>
 
Il 29 settembre veniva concesso con regio decreto (pubblicato il 18 ottobre) all'erede il tradizionale titolo nobiliare di ''[[Principe di Piemonte]]'': il re era più propenso a "principe di Roma", ma la [[Margherita di Savoia|regina madre Margherita]] lo convinse a evitare un gesto che sarebbe stato recepito come ostile dal [[Vaticano]], a cui bisognava chiedere il permesso per il battesimo ufficiale del bambino ancora da celebrare, gravando tuttora sui [[Casa Savoia|Savoia]] la scomunica inferta dopo la [[breccia di Porta Pia]]. Infatti, da tradizione, per i principi, al fine di venire incontro a ovvie richieste protocollari, si dava appena nati il battesimo con acqua e l'imposizione delle mani e in un secondo tempo, organizzata la cerimonia e giunti dall'estero i membri delle altre case regnanti, si procedeva con gli esorcismi, il sale, l'olio, il cero e la veste candida.
Secondo la prassi per ogni principe ereditario, segue una rapida carriera militare divenendo [[generale]] dell'esercito.
Dopo il [[1925]] Umberto si stabilisce a Palazzo Reale a [[Torino]] dove fino al matrimonio conduce una vita spensierata. Vive in una realtà sostanzialmente estranea dalla politica attiva, essendo relegato, per volontà dello stesso regime fascista, in una posizione marginale. Di formazione liberal-conservatrice e (contrariamente alla tradizione familiare) profondamente credente, Umberto non suscita particolari simpatie in [[Benito Mussolini]], che diede disposizione sin dalla fine degli anni 20 di raccogliere un dossier relativo alla presunta [[omosessualità]] del principe, che vedeva coinvolti personaggi quali l'attore [[Jean Marais]] e diversi ufficiali suoi sottoposti e giovani amici, tra i quali figura anche [[Luchino Visconti]]. Tuttavia, anche a causa dell'uso che ne fece [[Benito Mussolini|Mussolini]] per la propaganda della [[Repubblica di Salò]], si pensa che le voci sulla presunta omosessualità di Umberto II furono il frutto di un'azione diffamatoria nei suoi confronti. Sull'altro versante, la sua amicizia con la cantante [[Milly (cantante)|Milly]] è stata enfatizzata dalle voci popolari e, nel secondo dopoguerra, anche dalla cronaca rosa.
 
[[File:Le baptême du prince de Piémont.jpg|miniatura|sinistra|Il battesimo del [[principe di Piemonte]] in una stampa dell'epoca|alt=]]
==Il matrimonio==
Il battesimo ufficiale si ebbe solo tre mesi dopo, il 4 dicembre 1904, nella [[Palazzo del Quirinale#La Cappella Paolina|cappella paolina]] del [[palazzo del Quirinale]], i cui altari erano dal 1870 sconsacrati per volontà di [[Pio IX]], e fu celebrato con dispensa speciale da monsignor Giuseppe Beccaria: nessun membro dell'alto clero celebrava, ma la concessione per la prima volta del Quirinale per una cerimonia di [[casa Savoia]] venne ugualmente considerata un gesto di distensione da parte di [[Pio X]]. Padrini furono [[Guglielmo II di Germania]], rappresentato dal fratello [[Enrico di Prussia]], ed [[Edoardo VII del Regno Unito]], rappresentato dal fratello [[Duca di Connaught e Strathearn|duca di Connaught]] [[Arturo, duca di Connaught e Strathearn|Arturo di Sassonia-Coburgo-Gotha]]; presenti esponenti di tutte le [[famiglia reale|case reali]] europee, a partire da quelle più strettamente legate per vincoli familiari, quali [[Nicola I del Montenegro]] con la moglie [[Milena del Montenegro|Milena]], [[Napoleone Vittorio Bonaparte]], figlio di [[Maria Clotilde di Savoia]], il [[Alfonso Carlo di Braganza|duca di Oporto]], figlio della [[consorti dei sovrani portoghesi|regina di Portogallo]] [[Maria Pia di Savoia|Maria Pia]].
L'[[8 gennaio]] [[1930]], nella [[cappella Paolina]] del [[Palazzo del Quirinale|Quirinale]], si sposa con [[Maria José del Belgio|Maria José]], principessa del Belgio. Umberto veste l'uniforme di colonnello di fanteria. Secondo la leggenda sarebbe un matrimonio d'amore, ma la storia sarà comunque contrastata a causa dei diversi interessi culturali, politici e sociali e soprattutto dal divario fra le due educazioni ricevute.
Dopo la funzione gli sposi sono ricevuti da [[papa Pio XI]], segnale di un progressivo disgelo fra l'Italia e il [[Vaticano]].
 
La nascita di Umberto sollevava i genitori dal timore che la dinastia si estinguesse, lasciando il trono al ramo collaterale dei [[Savoia-Aosta]]: se [[Umberto I di Savoia|Umberto I]] aveva avuto un unico figlio maschio ([[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]]), suo fratello [[Amedeo I di Spagna|Amedeo]] ne aveva avuti quattro, il primogenito dei quali, fino ad allora [[erede presuntivo]] al trono, [[Emanuele Filiberto di Savoia-Aosta]], era già padre di due figli ed era diviso dal cugino sovrano da una non velata rivalità. Agli albori della civiltà della comunicazione di massa, Vittorio Emanuele III, alto poco più di un metro e cinquanta, né bello né "affascinante" e dedito a una vita schiva e "borghese" (come molti gli rimproveravano), era oggettivamente sminuito nel confronto con i cugini Savoia-Aosta, tutti alti, belli, muscolosi per la vita attiva e all'aria aperta che conducevano<ref>[[Luigi Amedeo di Savoia-Aosta|Luigi Amedeo]], [[duca degli Abruzzi]], era già famoso come esploratore, e [[Vittorio Emanuele di Savoia-Aosta|Vittorio Emanuele]], [[Marca di Torino#Conte di Torino|conte di Torino]], si cimentava con successo in gare di equitazione.</ref> e dalla brillante vita sociale<ref>[[Elena d'Orléans|Elena]], [[consorti dei Duchi d'Aosta|duchessa d'Aosta]], moglie del duca [[Emanuele Filiberto di Savoia-Aosta|Emanuele Filiberto]], figlia del pretendente al trono francese [[Luigi Filippo Alberto d'Orléans]], chiamava la [[Elena del Montenegro|regina Elena]] ''mia cugina la pastora'', ironizzando sul lignaggio della sua famiglia d'origine, i [[Petrović-Njegoš]].</ref>.
==1930-1931: il periodo torinese==
[[Immagine:Nozze Umberto II di Savoia e Maria José 1930.jpg|thumb|left|150px|Umberto II di Savoia e [[Maria José del Belgio]] il giorno delle nozze.]]
Terminato il viaggio di nozze, i coniugi rientrarono a Torino il 2 febbraio, occupando gli appartamenti di [[Vittorio Emanuele II]] e della regina Maria Adelaide al [[Palazzo Reale di Torino]].
 
[[File:King Victor Emmanuel III, Queen Elena and their children.jpg|miniatura|sinistra|Umberto, in tenera età, a cavallo col padre [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele]], la madre [[Elena del Montenegro|Elena]] e le sorelle [[Iolanda Margherita di Savoia|Iolanda]] e [[Mafalda di Savoia|Mafalda]] a [[Racconigi]] nel 1905]]
Da sposato, il principe ereditario fu a lungo diviso tra impegni ufficiali e di rappresentanza, e tale periodo della sua vita fu reso complicato dalla non facile vita coniugale con Maria Josè. Tra i coniugi affiorarono infatti forti differenze caratteriali e culturali e, pur continuando a non aver nessun peso sulla scena politica e di corte, Umberto finì al centro di pettegolezzi ed indiscrezioni soprattutto in ambienti fascisti, tese a denigrarlo e a sminuirlo.
Il Quirinale impiegò l'immagine del piccolo erede al trono e le sue foto a tre anni vestito alla marinara, da piccolo corazziere, con l'uniforme storica della scuola militare [[Nunziatella]] e con l'uniforme da [[scautismo|boy scout]] del [[Corpo Nazionale dei Giovani Esploratori Italiani|Corpo nazionale dei giovani esploratori italiani]], assieme alle sorelle nel parco della villa di [[san Rossore]] vennero fatte pubblicare sulla rivista ''[[L'Illustrazione Italiana]]'' o come cartoline, rendendo Umberto il nuovo simbolo di [[Casa Savoia]]<ref>{{cita|Regolo|p. 20}}.</ref>. Abitavano nella [[palazzina del segretario della cifra]], detta anche ''palazzina del Fuga'', al [[Palazzo del Quirinale]], alla fine della cosiddetta "manica lunga": la regina e i figli al primo piano, il re al secondo. In estate soggiornavano prima a [[San Rossore]] e poi, dopo la chiusura estiva di Camera e Senato, a [[Racconigi]], luogo cui il sovrano resterà sempre molto legato, sia per la relativa libertà di cui godeva sia per "le spedizioni e le corse nel parco e le scoperte delle soffitte, dove si conservavano abiti e cimeli antichi"<ref>Dichiarazione di Maria Beatrice di Savoia in {{cita|Regolo|p. 22}}.</ref>.
 
Nei suoi primi anni di vita l'educazione venne lasciata in mano alla madre, donna di gusti estremamente semplici e casalinghi, dolce e sensibile, verso la quale il figlio avrebbe sviluppato un legame profondo e un affetto duraturo<ref>{{cita|Regolo|p. 29}}.</ref>, che andava a compensare il rapporto distaccato col padre. [[Elena del Montenegro|Elena]] era una madre premurosa e protettiva, che cercava quanto più possibile di mitigare le asprezze del protocollo e della vita di corte<ref>{{cita|Oliva|p. 48}}.</ref>, [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]] era un uomo colto, ma «caratterialmente arido, riservato, diffidente, che nell'introspezione nasconde un groviglio di frustrazioni per l'inferiorità fisica e per il peso di una formazione troppo severa»<ref>{{cita|Oliva|p. 45}}.</ref>.
Pur avendo ambedue gli sposi mantenuto sempre uno strettissimo riserbo circa la loro vita privata, gli storici concordano su fondamentali differenze tra loro: Umberto era un uomo di carattere riservato ed introverso, cresciuto con una madre molto affettuosa ed un padre dai notevoli problemi a relazionarsi; Maria Josè era figlia di due genitori espansivi, interessati alla cultura contemporanea e molto informali, almeno nell'ambito famigliare. Umberto era religioso, amava il rispetto dell'etichetta, lo sfarzo regale e si trovava a suo agio con l'alta nobiltà, il clero, gli accademici; Maria Josè, fumatrice e bevitrice in un'epoca in cui ciò era ragione di scandalo, specie per una nobildonna, si mostrava disinteressata alla religione e alle occasioni mondane formali, preferendo una vita spartana e ritirata e compagnie intellettualmente stimolanti.
Inoltre, è stato ipotizzato che ci fossero delle incomprensioni a livello sessuale, dovute forse alla freddezza dello sposo, non aiutata in questo dalla passività della sposa, naturale comunque in una giovane donna del periodo<ref>L. Regolo, op. cit. p. 266 </ref> <ref>G. Oliva, "Umberto II" p. 140 </ref> <ref>A. Petacco, "Regina", Mondadori, 1997, p. 82 </ref>
[[Immagine:Umberto4.jpg|thumb|left|150px|Un ritratto ufficiale.]]
L'ambiente di corte torinese era freddo, formale e da subito ostile alla principessa, chiamata ''negresse blonde'' per via dei capelli ispidi e ricci; lei, d'altra parte, mostrava il minimo di simpatia richiesta verso la nobiltà locale ed i suoi riti provinciali, che anni dopo sintetizzò con ''A Torino c'erano poche, o nessuna, cure intellettuali. [...] La nobiltà torinese [...] si rovinava in balli per il Principe. La società era divisa in due clan: quelli che erano per il [[vermouth]] non andavano dai produttori di Fiat, e viceversa. Persino la famiglia reale era divisa'' <ref>L. Regolo, ''La regina incompresa'', Simonelli editore, p. 123.</ref>.
Mentre Umberto continuava la sua vita da ufficiale, trascorrendo la mattinata e buona parte del pomeriggio in caserma, per tenersi impegnata la principessa seguì un corso di crocerossina ed organizzò concerti a Palazzo Reale, oltre a seguire attività caritatevoli, quando gli impegni ufficiali non ne richiedevano l'attenzione e la presenza.
 
[[File:Italian royal family 1908.jpg|miniatura|[[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele]] ritratto con la moglie [[Elena del Montenegro|Elena]] e i figli [[Iolanda Margherita di Savoia|Jolanda]], [[Mafalda di Savoia|Mafalda]], [[Giovanna di Savoia (1907-2000)|Giovanna]] e Umberto nel 1908]]
Il primo impegno ufficiale di rilievo della giovane coppia furono le nozze di [[Giovanna di Savoia]] con re [[Boris III di Bulgaria]], ad [[Assisi]] nell'ottobre del 1930. Poi, dal [[3 maggio|3]] al [[24 maggio]] [[1931]], vi fu l'Ostensione della [[Sacra Sindone]], la prima dal [[1898]], durante la quale Casa Savoia (allora proprietaria della reliquia) fu sempre presente: Umberto nel pomeriggio del 3, in rappresentanza del Re, con la moglie, la sorella Mafalda, e Bona di Savoia-Genova con il marito Conrad di Baviera e Lydia d'Arenberg, consegnò le chiavi dell'urna che la conteneva all'arcivescovo [[Maurilio Fossati]] e fornì gran parte dei 61 pezzi esposti nella mostra che accompagnò l'evento, come quadri ed oggetti liturgici. In segno di devozione, Maria Josè donò il proprio manto di nozze, da cui vennero ricavati otto pianete. Infine, nel luglio 1931, ci furono le esequie solenni di Emanuele Filiberto Duca d'Aosta.
I problemi derivati dalla modesta statura, l'educazione di stampo militaresco impartitagli dal colonnello [[Egidio Osio]], suo governatore nella prima giovinezza, gli avevano reso estremamente difficile mettersi in relazione con gli altri, compresi i figli e soprattutto Umberto, in cui vedeva prima di tutto un erede al trono da educare come tale: vigevano nelle relazioni del padre verso il figlio «autorità, etichetta, rigore, un sostanziale distacco in cui si mescolano la naturale freddezza emotiva del sovrano e la volontà di imporre un modello regale di comportamento»<ref name="Oliva47">{{cita|Oliva|p. 47}}.</ref>.
 
Nel 1911 la famiglia si trasferì dal [[Palazzo del Quirinale|Quirinale]], considerato una reggia troppo sfarzosa, nella più raccolta [[Villa Ada (Roma)|Villa Ada]], circondata da un ampio parco che la rendeva quasi un doppione del paesaggio agreste di [[San Rossore]]. Nello stesso anno venne dichiarata [[Guerra italo-turca|guerra]] contro l'[[Impero ottomano]] per la sovranità sulla [[Libia]] e Umberto con le sorelle cominciarono a essere portati in visita dei feriti e dei mutilati alloggiati negli ospedali militari e anche, per volontà della regina, in un'ala del Quirinale e della [[reggia di Caserta]].
A questi impegni, di carattere prettamente dinastico, se ne affiancavano di politici, nei quali il Regime richiedeva la presenza del futuro sovrano: gare di sci per la Coppa delle Federazioni Fasciste, l'inaugurazione della nuova Casa del Fascio di Torino, sfilate della Milizia, l'inaugurazione della Casa Torinese del Balilla. Nonostante queste attività però l'[[OVRA]] vigilava e teneva strettamente sotto controllo Umberto, aumentando calunnie e voci sul suo conto <ref>L. Regolo, op. cit. p. 283.</ref>. I moltissimi dispacci si contraddicevano l'un con l'altro: o parlavano di innumerevoli avventure con donne di tutti i ceti sociali, oppure dell'impossibilità fisica del Principe di dare un erede alla casata, oppure di avere tresche con giovani camerieri antifascisti o soldati<ref>G. Leto, ''O.V.R.A., Fascismo ed Antifascismo'', Cappelli, Bologna, 1951.</ref>. Alla fine quell'ambiente ipocrita e malevolo colmò la notevole pazienza di Umberto e una voce in particolare fece decidere al Sovrano di trasferire in altra sede il figlio, da febbraio promosso generale di brigata: Vittorio Emanuele scelse personalmente Napoli, città leale alla monarchia ed in cui egli stesso aveva trascorso gli anni da principe ereditario<ref>U. Guspini, ''L'orecchio del regime.'', Mursia, Torino, 1973, p. 105.</ref>.
 
=== Apprendistato da re ===
==1931-1935: l'inizio del periodo napoletano==
[[File:King Umberto II of Italy as a child.jpg|miniatura|upright|sinistra|Umberto da ragazzino]]
Arrivarono a Napoli il [[4 novembre]], prendendo residenza nel Palazzo Reale: l'indomani ci fu un solenne ''[[Te Deum]]'' in [[Duomo di Napoli|cattedrale]], un ricevimento a Palazzo San Giacomo ed infine la serata di gala al [[Teatro San Carlo]], mentre i napoletani si dimostravano entusiasti dell'arrivo dei Principi, profondendosi in molteplici manifestazioni – preparate e spontanee – d'omaggio <ref>L. Regolo, op. cit. p. 295 </ref>. La coppia lasciò ben presto la reggia borbonica, destinata ad occasioni ufficiali, in favore di [[Villa Rosebery]], presso [[Posillipo]], dotata di spiaggia privata, dove Maria Josè e il marito amavano fare bagni notturni. La Principessa di Piemonte in questo periodo poté contattare, tramite l'amico [[Umberto Zanotti Bianco]], prima [[Benedetto Croce]] e poi altri esponenti dell'alta società avversi al fascismo, come lo stesso arcivescovo [[Alessio Ascalesi]]: Umberto lasciava fare, senza favorire o dissuadere la moglie. Naturalmente, come a Torino, l'OVRA vigilava ed [[Arturo Bocchini]] ordinava di sorvegliare costantemente la vita della coppia alla ricerca di rotture ed infedeltà, incrementando voci che naturalmente facevano il giro della città, alimentate a dismisura da soffiate anonime. Un viaggio a [[Bruxelles]] della Principessa venne inteso come prodromo ad una separazione, quando invece era solo sintomo della solitudine che la donna provava in climi tanto ostili <ref>L. Regolo, op. cit. pg 298 </ref>.
Il 13 novembre 1913 [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]] conferì all'ammiraglio [[Attilio Bonaldi]] il compito di occuparsi dell'educazione del principe ereditario, seguendo quella tradizione educativa radicata in [[casa Savoia]], di cui lo stesso sovrano aveva pagato il prezzo divenendo un «uomo dal cuore freddo e dalla testa chiara»<ref>{{cita|Bartoli 1986|p. 65}}.</ref>. Bonaldi impartì al giovanissimo Umberto un'educazione eccessivamente rigida, che ebbe certamente delle conseguenze sulla personalità del futuro sovrano. Se Vittorio Emanuele III mantenne fino all'ultimo dei rapporti addirittura affettuosi con il suo precettore Osio, Umberto preferì prendere le distanze dal suo austero educatore, fino al punto da non recarsi alle sue esequie.
[[Immagine:Battesimo MariaPia Savoia.JPG|thumb|right|180 px|Battesimo di Maria Pia di Savoia ]]
Continuavano intanto le cerimonie ufficiali e di rappresentanza: l'incontro con il vecchio [[Gabriele d'Annunzio]] al [[Vittoriale]] nel novembre [[1932]] e la nuova ostensione della Sindone, dal [[24 settembre]] al [[15 ottobre]] [[1933]], in occasione dell'[[Anno Santo]]. Dopo lunga attesa (tanto ché all'inizio del 1932 Vittorio Emanuele III aveva mandato la nuora, accompagnata dal medico di corte, da un illustre ginecologo in Germania a farsi visitare) il [[5 febbraio]] [[1934]] il ginecologo di Casa Savoia, Valerio Artom di Sant'Agnese, poté confermare la prima gravidanza: due settimane dopo in un incidente in montagna moriva Alberto I del Belgio, e per il suo stato Maria Josè dovette rinunciare ad andare ai funerali. Il 24 settembre, a Palazzo Reale a Napoli, alla presenza anche di Elena di Savoia ed Elisabetta del Belgio, nasceva la primogenita [[Maria Pia di Savoia (1934)|Maria Pia]]: portava lo stesso nome della [[Maria Pia di Savoia|Regina del Portogallo]], sorella di Umberto I, che alla proclamazione della repubblica si era rifugiata in esilio in Italia, a Stupinigi,e di cui Umberto aveva alcuni affettuosi ricordi. Vennero distribuiti 2350 sussidi e borse di studio "Maria Pia di Savoia", Vittorio Emanuele III offrì un pranzo per 400 poveri, e villa Rosebery venne ribattezzata Villa Maria Pia. Una settimana dopo ci fu il battesimo, madrina la zia materna [[Maria Francesca di Savoia|Maria]], padrino [[Leopoldo III del Belgio]], rappresentato per procura da Vittorio Emanuele di Savoia-Aosta.
 
Anni dopo Umberto avrebbe commentato così: «Io stesso credo di aver dato il segno di non aver gradito il peso, ma allora nella mia casa si usava così. A nessuno sarebbe mai passato per la mente di farmi diventare un buon uomo di scienza o un esperto giurista. I Savoia erano re soldati e si preparavano fin da bambini a questo destino. Con mio padre avevo contatti normali nell'ambito di questa educazione»<ref>G. Orecchia, ''Maria José, regina di maggio'', MAE, Milano, 1988, p. 25.</ref>.
La gravidanza, nei primi mesi, venne sommersa di voci maliziose su una sua possibile origine non naturale: si disse che era frutto di [[inseminazione artificiale]], richiesta per l'inabilità di Umberto a procreare, pratica allora non ortodossa e guardata con sospetto. La voce divenne così di dominio pubblico che [[Luigi Pirandello]] in un caffè romano ne parlò scandalizzato ad [[Alberto Moravia]] <ref>A. Cambria, op. cit., p. 57</ref> ed ancora anni dopo, di nuovo incinta, Maria Josè volle smentirlo con Ciano, che al [[30 dicembre]] [[1939]] registrò che la Principessa "mi ha lasciato intendere che il figlio che nascerà è di lui, senza intromissioni di medici e siringhe". Interrogato in merito, Ferdinando Savignoni, assistente di Artom, dichiarò che "i figli del Principe di Piemonte nacquero nel modo più naturale possibile" <ref>A. Cambria, op. cit., p. 58</ref>. Oltretutto, nonostante le molteplici visite mediche che la principessa fece, l'ipotesi dell'applicazione di una pratica allora in fase di studio iniziale, è abbastanza ardita e priva di fonti che la possano suffragare <ref>Oliva, op. cit., p. 148</ref>.
[[Immagine:Umberto MariaJosè Libia.JPG|thumb|180 px|left|Umberto e Maria Josè in Libia nel 1935]]
Umberto nello stesse periodo venne nominato comandante di divisione, assumendo il comando della Volturno, e poi membro del Consiglio dell'Esercito, ma questo non cambiò la sua situazione di escluso dall'ambiente politico che decideva, tanto che della prossima campagna d'Etiopia lo seppe da [[Italo Balbo]]. Alla fine del [[1935]] infatti i Principi di Piemonte partirono per un viaggio nel nord Africa, prima tappa la colonia di Libia e poi l'Egitto, dove regna re Farouk, amico di vecchia data di Casa Savoia. Il governatore fresco del successo personale della crociera atlantica, offrì agli ospiti sorvoli aerei della Tripolitania e, nella sua residenza, il castello di el-Serai, il proprio punto di vista ed i propri dubbi sul regime e sulla sua scarsa preparazione militare. "In Libia, Balbo ci parlò in modo molto scettico riguardo al regime e a Benito Mussolini. Disse che la ''ciambella del fascismo'' non era riuscita secondo le iniziative e che un paese dove non si può manifestare liberamente la propria opinione non ha futuro. Il governatore, inoltre, sembrava essere già al corrente delle intenzioni che il Duce, di lì a qualche mese, avrebbe manifestato a proposito dell'Etiopia" <ref>L. Regolo, La regina incompresa, p. 166 </ref>. Da quel momento iniziò un regolare scambio di missive tra i principi e Balbo, ed altre visite di Maria Josè in Libia, tutti fatti che irritarono Mussolini e le alte gerarchie del partito <ref>L. Regolo, op. cit. p. 329 </ref>. In ogni caso Umberto non disse nulla al padre né chiese informazioni su quanto aveva sentito, nonostante egli stesso a Napoli salutasse molteplici truppe in partenza per il porto di Massau, ufficialmente per esercitazioni.
 
Nessuna scuola pubblica per l'erede, ma una decina di precettori coordinati da un militare: se un tipo di educazione simile poteva essere anche considerata accettabile nel 1880, dopo oltre trent'anni era del tutto anacronistica e fuori dai mutamenti pedagogici e sociali nel frattempo occorsi<ref>{{cita|Oliva|p. 46}}.</ref>. Obbediente e rispettoso, crebbe in solitudine e si formò un carattere dominato dall'ossequio all'autorità e alla gerarchia, fortemente dominato da un rigido autocontrollo.<ref name="Oliva47" />
==1935-1937: l'Impero d'Etiopia ed il nuovo erede al trono==
Il [[2 ottobre]] Mussolini dichiarò guerra all'Etiopia, e l'11 scattarono le [[Sanzioni economiche all'Italia fascista|sanzioni]] della [[Società delle Nazioni]], cui il regime rispose con la "Giornata della fede", sotto lo [[slogan]] dell'"oro alla Patria". All'[[Altare della Patria]] la regina Elena consegnò le fedi nuziali sue e del Re, pronunciando uno dei suoi rarissimi discorsi pubblici, mentre lo stesso facevano a Napoli Maria Josè e a Torino Jolanda di Savoia. Umberto donò il proprio collare dell'Annunziata, il Re alcuni lingotti d'oro e d'argento, Luigi Pirandello la medaglia del Nobel, [[Benedetto Croce]] ed Albertini beni personali: lo stato ottenne oltre 500 milioni in oro, e l'iniziativa fu quindi un notevole successo<ref>L. Regolo, op. cit. pg 333 </ref>. Il Re però non condivise il fascino dell'avventura militare e a [[Dino Grandi]], davanti alle truppe in sfilata disse: "Ed è con queste facce e queste pance da curati e da notai di campagna che il suo duce vuole fare la guerra?"<ref>A. Spinosa "Vittorio Emanuele III, Mondadori, p. 339</ref>.
 
[[File:UmbertoIIsavoia1920ca .JPG.jpg|miniatura|upright|sinistra|Umberto II intorno al 1920]]
Nonostante lo scetticismo personale, Vittorio Emanuele III desiderava che anche il figlio prendesse parte alla campagna militare, ottenendo in tal modo un po' di gloria e prestigio, come fecero e avrebbero fatto per tutta la durata delle operazioni gerarchi di ogni grado, ottenendo encomi e medaglie non sempre meritate<ref>Farinacci, ad esempio, ottenne una medaglia d'argento al valor militare e riconoscimenti come invalido di guerra per una mano persa durante la battaglia, in realtà amputata di netto da una granata impiegata per pescare in un lago etiope</ref>. Ma Umberto restò confinato in Patria per volere di Mussolini, che voleva quella guerra fosse "una sfida del regime dalla quale la monarchia potrà ricevere l'incoronazione imperiale ma sulla quale non dovrà accampare meriti"<ref>Oliva, op. cit., p. 145 </ref>. La scusa ufficiale fu che il Duce non desiderava fosse messa in pericolo la vita dell'erede al trono; al fronte andarono i tre cugini Savoia-Genova, parenti di secondo piano, ed Aimone di Savoia-Aosta, ma non Amedeo d'Aosta, allora secondo in linea di successione al trono, piccola vendetta del Re contro l'aitante nipote di simpatie fasciste.
Nel programma didattico ideato dall'ammiraglio Bonaldi per l'erede sabaudo non poteva mancare una buona istruzione marinara come parte della preparazione militare. Pochi mesi dopo il rientro in Italia, Umberto, che doveva prepararsi all'ingresso nella prima ginnasiale, il 29 agosto 1914, si imbatté in Adolfo Taddei, che lo seguirà nei suoi studi di italiano, latino e greco per otto anni. Questo insegnante, di grande cultura e di profonda umanità, fu una presenza benefica nella giovinezza del principe. Va tuttavia rilevato che Bonaldi costituì comunque per il principe un punto di riferimento e, se non c'era forse una profonda affinità di spirito, tra Bonaldi e Umberto ci fu sicuramente un grande affetto.
 
[[File:Umberto II SMR.jpg|miniatura|Umberto II in divisa della scuola militare di Roma (1921)]]
Umberto, a terra, passò in rassegna le truppe in partenza e così "garantisce la legittimità dell'impresa, ma a combattere in prima linea è il fascismo, cui andrà il merito della vittoria<ref>Oliva, op. cit., pg. 146 </ref> e venne impegnato nelle solite occasioni ufficiali, come la presenza al funerale di [[Giorgio V del Regno Unito]] agli inizi del 1936: occasione impegnativa, trattandosi di un viaggio in un paese ostile, tra i primi sostenitori delle sanzioni. A marzo venne promosso al comando del Corpo d'Armata di Napoli, ma per l'Etiopia partì la moglie, che il [[26 marzo|26]] dello stesso mese si imbarcò come crocerossina sulla nave ospedaliera Cesarea. Alla proclamazione dell'Impero, il [[5 maggio]] 1936 al balcone del Quirinale si affacciarono Vittorio Emanuele III, che rispose alle ovazioni della folla con il saluto militare, e Umberto, sull'attenti. "L'avvenire accanto al presente" scrisse [[Ugo Ojetti]]<ref>Oliva, op. cit., p. 147 </ref>.
Secondo la prassi per ogni principe ereditario, Umberto compì una rapida carriera militare, frequentando la [[scuola militare di Roma]] dal 1918 al 1921 e divenendo [[generale]] dell'esercito. Dopo il 1925 si stabilì nel [[Palazzo Reale di Torino|Palazzo Reale]] a [[Torino]], dove fino al matrimonio condusse una vita spensierata. Visse in una realtà sostanzialmente estranea dalla politica attiva, essendo relegato, per volontà dello stesso [[fascismo|regime fascista]], in una posizione marginale. Di formazione liberal-conservatrice e - contrariamente alla tradizione familiare - profondamente credente, Umberto non suscitava particolari simpatie in [[Benito Mussolini]].
 
=== Matrimonio ===
Ad agosto, per la chiusura delle [[Giochi della XI Olimpiade|Olimpiadi di Berlino]], Umberto fu sul palco affianco ad Hitler, che disprezzava, ricambiato<ref>L. Regolo, Il re signore, p. 337 </ref>, ed accettò la gran croce d'oro dell'[[Ordine dell'Aquila Nera]] e poco dopo, a Napoli, ricevette in compagnia della moglie [[Primo Carnera]]. Anche in questa occasione le calunnie dell'OVRA non si fecero attendere e si registrò di ''avances'' al pugile, secondo alcuni fatte da Maria Josè, secondo altri da Umberto<ref>L. Regolo, op. cit., p. 343</ref>. A queste menzogne si aggiunsero quelle, naturali considerato quanto già avvenuto nel 1934, sorte quando nell'ottobre del 1936 venne annunciata la nuova gravidanza della Principessa di Piemonte, tutte tese ad attribuirla a padri illegittimi. Si osservò che era rimasta incinta a ridosso della partenza per l'Africa, e si tirò fuori la storia dell'amicizia tra la Principessa e gli aitanti, sportivi e gaudenti cugini Savoia-Aosta, Aimone ed Amedeo: si disse che aveva incontrato due volte il secondo, mentre in realtà ad incontrare Maria Josè, due volte, era stato Aimone, sulla Cesarea, alla presenza comunque di altre autorità<ref> L. Regolo, op. cit., pg. 342 </ref>. Era nota infatti la simpatia tra lei ed i due fratelli, anticonformisti, esuberanti ed insofferenti all'etichetta: che vi fosse una particolare simpatia verso il futuro viceré d'Etiopia lo si pensò quando Maria Josè dedico il suo primo libro ''A la memoire du valeureux et chavaleresque Amédée'' pubblicando la foto di suo figlio Vittorio Emanuele appoggiato alla "quercia di Amedeo"<ref>Bertoldi, L'ultimo re l'ultima regina, pp. 47-48 </ref>.
{{Vedi anche|Matrimonio di Umberto di Savoia e Maria José del Belgio}}[[File:Marie Jose and Umberto during their marriage ceremony.jpg|miniatura|upright|sinistra|Umberto di Savoia e [[Maria José del Belgio]] durante la cerimonia di nozze]]
[[Immagine:Vittorio Emanuele III e nipote.JPG|thumb|150 px|left|Vittorio Emanuele III con il nipote ed erede omonimo]]
Nel 1929 Umberto si fidanzò con [[Maria José del Belgio|Maria José]], principessa del [[Belgio]]. Era figlia di [[Alberto I del Belgio]] e di [[Elisabetta di Baviera (1876-1965)|Elisabetta di Baviera]]. Il 24 ottobre 1929, mentre si trovava a [[Bruxelles]] nel giorno del fidanzamento con Maria José, Umberto fu vittima di un attentato. [[Fernando De Rosa]], uno studente italiano residente a [[Parigi]], gli sparò un colpo di pistola, mancandolo, mentre il principe deponeva una corona presso la tomba del [[Milite Ignoto]].
Il [[12 febbraio]] 1937, alle 14:30, nacque l'atteso [[Vittorio Emanuele di Savoia|erede maschio]] cui venne imposto il nome del nonno, e a seguire molti altri, di carattere dinastico o familiare <ref>Vittorio Emanuele, Alberto, Carlo Teodoro, Umberto, Bonifacio, Amedeo, Damiano, Bernardino, Maria, Gennaro</ref>. A questa gioia e motivo di orgoglio seguì due mesi dopo, il 5 aprile 1937, il conferimento alla regina Elena da parte di [[papa Pio XI]] della [[Rosa d'Oro]], il più importante segno di benevolenza papale verso le sovrane. Il battesimo fu celebrato il [[31 maggio]] nella Cappella Paolina, dove si erano sposati i genitori, ed era il primo battesimo di un erede al trono in pompa magna a Roma<ref>Umberto I fu battezzato a Torino, Vittorio Emanuele III a Napoli ed Umberto II a Roma, ma in maniera dimessa per via della scomunica pendente sui Savoia.</ref>. Alle undici del mattino: obbligatorio per gli uomini divisa o [[panciotto]] e [[marsina]] e [[coccarda]] di raso azzurro Savoia, per le donne velo bianco, bande di pizzo e l'iniziale in brillanti della Regina o della Principessa ereditaria. Il corteo era aperto dai padrini, Vittorio Emanuele III ed Enrichetta del Belgio duchessa di Vendôme (in rappresentanza della madrina la regina Elisabetta del Belgio, Umberto con la madre Elena e Maria Josè al braccio del cugino monsignore il principe Giorgio di Baviera<ref>L. Regolo, op. cit., p. 348 </ref>.
 
L'8 gennaio 1930, nella [[Cappella Paolina (Quirinale)|cappella paolina del Quirinale]], si sposò con Maria José. L'evento venne commemorato in una serie di francobolli, nota come ''[[Nozze del principe Umberto II]]''. Umberto vestiva l'uniforme di colonnello di fanteria.
Mussolini era assente, sia alla funzione che al ricevimento, probabilmente perché insofferente di fronte ad un rito che era una chiara autoesaltazione della monarchia, in un periodo in cui il Duce si legava sempre più al Führer, che invidiava perché non aveva nessuno sopra di sé e non doveva dividere fama ed onori con una dinastia sovrana<ref>G. Oliva, op. cit., p. 149</ref><ref>L. Regolo, op. cit., p. 349 </ref>. La stampa invece sottolineava nella cerimonia i fasti della Diarchia: "guardando la bellezza del bambino che sarà re, non c'è italiano che oggi non sia orgoglioso della sua Patria, della nostra Italia trionfante sui nemici, del Duce che ci guida"<ref>Corriere della Sera, 5 giugno 1937</ref>.
 
Secondo la leggenda sarebbe stato un matrimonio d'amore, ma la storia sarà comunque contrastata a causa dei diversi interessi culturali, politici e sociali e soprattutto dal divario fra le due educazioni ricevute. Dopo la funzione gli sposi furono ricevuti da [[papa Pio XI]], segnale di un progressivo disgelo fra l'[[Regno d'Italia (1861-1946)|Italia]] e il [[Vaticano]].
==1937-1939: crisi nella Diarchia, antinazismo e velleità di golpe==
[[Immagine:P1010329.JPG |thumb|250 px|right|Amedeo di Savoia-Aosta, nominato Vicerè, riceve gli omaggi dei ras]]
Nel settembre del 1937 Mussolini in visita in Germania restò affascinato dalla potenza che sprigionava il regime nazista: a novembre firmò il patto anti-[[Comintern]] e a dicembre uscì dalla [[Società delle Nazioni]]. Mentre Mussolini si avvicina ad Hitler e diventa sempre più insofferente nei confronti della Casa Reale, suo genero e ministro degli esteri, antitedesco, [[Galeazzo Ciano]] provava a stringere con i Principi di Piemonte rapporti più stretti. I principi avevano di Ciano l'impressione di un uomo snob e di scarso acume (cui si aggiungeva una sana antipatia tra Maria Josè ed [[Edda Ciano]])<ref>"Edda Ciano ed io non siamo mai andate molto d'accordo. Lei voleva primeggiare. Ma era una donna molto intelligente e sapeva molte cose" Maria Josè di Savoia in L. Regolo, op. cit., p. 369</ref>, ma in seguito ne apprezzarono l'antinazismo, le molte informazioni cui poteva arrivare ed infine il modo di fare più garbato ed intellettuale rispetto a quello tipico di altri gerarchi come [[Achille Starace]], [[Ettore Muti]] o Farinacci<ref>L. Regolo, op. cit., p. 350 </ref>: era insomma uno dei pochi gerarchi frequentabili<ref>Bertoldi, l'ultimo re l'ultima regina, p. 88 </ref>. Ciano iniziò ad organizzare vari incontri, più o meno casuali, con il Principe ereditario, riportandone sempre le impressioni, che passarono da un "colloquio scialbo" il [[31 agosto]] ad un "gran calore" per le felicitazioni alla nascita del figlio Marzio il [[19 dicembre]]. Tale evoluzione fu forse dovuta anche ad una reazione al fatto che Mussolini mostrava sempre più fiducia in Amedeo d'Aosta, proposto a Franco come possibile re di Spagna ed intanto nominato viceré d'Etiopia la posto del maresciallo Graziani, mentre Umberto rimaneva in una posizione defilata. I sospetti esplosero quando ai principi divenne nota la clausola inerente la successione al trono votata dal [[Gran Consiglio]] nel 1928, e spinsero Maria Josè ad irrompere a [[Palazzo Venezia]] per aver lumi: Mussolini rispose che la norma andava applicata solo in mancanza di discendenza diretta, cosa che in quel momento non si verificava<ref>L. Regolo, op. cit., p. 351 </ref>.
 
=== Periodo torinese ===
Nell'aprile del 1938 la crisi tra Corona e Regime toccò il suo punto più alto, con il colpo di mano della creazione del grado di [[Primo Maresciallo dell'Impero]]: Starace e Ciano fecero approvare di sorpresa prima alla Camera, per acclamazione, poi al Senato, questo nuovo grado, attribuito sia al Re che al Duce, il che li equiparava di fatto, e violava gravemente i poteri regi. Le rimostranze di Vittorio Emanuele III furono veementi, tanto da dire a Mussolini che gli portava la legge da firmare: «Questa legge è un altro colpo mortale contro le mie prerogative sovrane. [...] questa equiparazione mi crea una posizione insostenibile perché è un'altra patente violazione dello [[Statuto Albertino|Statuto del Regno]]» e che avrebbe preferito abdicare, se l'Italia non fosse in quel mentre attiva sul [[guerra civile spagnola|fronte spagnolo]], pur di non indossare quella doppia greca <ref>B. Mussolini, ''Storia di un anno'', p. 180</ref>. Un possibile motivo di arrendevolezza del sovrano in questo frangente è desumile da quanto riportato il [[2 aprile]] da Ciano nel suo Diario: «Mussolini [...] mi ha detto: "Basta. Ne ho le scatole piene. Io lavoro e lui firma. [...] Ho risposto che potremo andare più in là alla prima occasione. Questa sarà certamente quando alla firma rispettabile del Re si dovesse sostituire quella meno rispettabile del Principe. Il duce ha annuito e, a mezza voce, ha detto: "Finita la Spagna, ne riparleremo"». <ref>G. Ciano, op. cit., pg 120.</ref>: pare realistico pensare che Vittorio Emanuele III allora, ed altre volte in futuro, evitasse di coinvolgere il figlio negli affari di Stato o cedergli qualsiasi scampolo di potere effettivo per proteggerlo da queste oscure manovre del Regime<ref>L. Regolo, op. cit., p. 354 </ref>.
[[File:Umberto II di Savoia ad Alessandria (Piemonte).jpg|miniatura|Umberto II ad [[Alessandria]]. Fotografia del 9 maggio 1926 in occasione dell'inaugurazione della lapide ai caduti dell'[[11º Reggimento artiglieria da campagna]] presso la caserma Valfrè.]]
 
Terminato il viaggio di nozze, i coniugi rientrarono a [[Torino]] il 2 febbraio, occupando gli appartamenti di [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Vittorio Emanuele II]] e della regina [[Maria Adelaide d'Asburgo-Lorena|Maria Adelaide]] al [[Palazzo Reale di Torino]]. Da sposato, il principe ereditario fu a lungo diviso tra impegni ufficiali e di rappresentanza, e tale periodo della sua vita fu reso complicato dalla non facile vita coniugale con [[Maria José del Belgio|Maria José]]. Tra i coniugi affiorarono infatti forti differenze caratteriali e culturali e, pur continuando a non aver nessun peso sulla scena politica e di corte, Umberto finì al centro di pettegolezzi e indiscrezioni soprattutto in ambienti fascisti, tesi a denigrarlo e a sminuirlo.
Di lì a poco si ebbe la visita di Hitler e del suo seguito a Roma: la Corte si dimostrò palesemente antinazista, ed i capi del nazismo avversi alla Monarchia, con uno scambio di battute di scherno dall'una e dall'altra parte <ref>Himmler fu sentito dire del Quirinale "Qui si respira un'aria da catacomba" e Vittorio Emanuele III definì Hitler un "degenerato psico-fisico"</ref>. Umberto era antinazista per più motivi: come cattolico ([[Pio XI]] aveva già condannato il nazismo con l'[[enciclica]] [[Mit brennender Sorge]], e in quei giorni andò a [[Castelgandolfo]] ordinando di lasciare al buio le chiese come segno di protesta), come uomo di una certa preparazione culturale, come figlio di Vittorio Emanuele, la cui avversione alla Germania durava dalla fine dell'Ottocento, e come principe ereditario davanti ad un regime chiaramente antimonarchico. Maria Josè considerava l'espansionismo nazista un'ovvia minaccia al suo Belgio e detestava i fascisti (il [[7 settembre]] 1938 andò al concerto di [[Lucerna]] di [[Arturo Toscanini]], di fatto esule, perché gli era stato appena ritirato il [[passaporto]]). Queste ragioni, unite al sempre più forte legame che Mussolini stava creando tra fascismo e nazismo, li spinsero a complottare per un ''golpe''.
 
Pur avendo ambedue gli sposi mantenuto sempre uno strettissimo riserbo circa la loro vita privata, gli storici concordano su fondamentali differenze tra loro: Umberto era un uomo di carattere riservato e introverso, cresciuto con una madre molto affettuosa e un padre autoritario; [[Maria José del Belgio|Maria José]] era figlia di due genitori espansivi, interessati alla cultura contemporanea e molto informali, almeno nell'ambito familiare. Umberto era religioso, amava il rispetto dell'etichetta, lo sfarzo regale e si trovava a suo agio con l'alta nobiltà, il clero, gli accademici; Maria José, fumatrice e bevitrice in un'epoca in cui ciò era ragione di scandalo, specie per una nobildonna, si mostrava disinteressata alla religione e alle occasioni mondane formali, preferendo una vita spartana e ritirata e compagnie intellettualmente stimolanti.
Un documento del [[Foreign Office]] Britannico <ref>Pro, Fo, 800/937, ritrovato da Donatella Bolech Cecchi della Facoltà di Scienze Politiche di Pavia, pubblicato nella rivista "il Politico" nel 1986 ed in V. Vailati, ''La storia nascosta'', pp. 8-10</ref> attesta che il [[26 settembre]] Umberto avrebbe dovuto rinunciare ai propri diritti come erede al trono in favore del figlio con un documento da consegnare ad un ''avvocato di Milano'' di cui non si conosce il nome, forse un politico del periodo pre-fascista. Maria Josè, costretto Vittorio Emanuele III ad abdicare, sarebbe stata proclamata reggente e Badoglio avrebbe ottenuto pieni poteri per mantenere l'ordine, a cui sarebbe seguito un nuovo governo guidato dall'avvocato milanese. L'esercito, sotto gli ordini di Graziani, avrebbe preso possesso dei punti vitali di Roma, Milano, Torino, Venezia e Verona nella mattina del [[27 settembre|27]] ed il [[28 settembre|28]], alle 15, Umberto avrebbe messo davanti il padre al fatto compiuto e successivamente fatto mandare in onda alla radio le dichiarazioni della reggente e del nuovo primo ministro. Invece il pomeriggio del 25 Hitler emanò un ultimatum di sei giorni alla [[Cecoslovacchia]] e, in uno scenario internazionale così teso, Umberto indugiò: il 27 giunse la notizia dell'intenzione di Mussolini di mobilitare le truppe se l'avesse fatto Hitler e del dissenso del sovrano; l'indomani fu comunicata la notizia che Hitler avrebbe incontrato a [[Conferenza di Monaco|Monaco]] i premier d'Italia, Francia ed Inghilterra per decidere le sorti della Cecoslovacchia. Apparendo così Mussolini uno dei difensori della pace europea, il piano venne archiviato, mentre anche in Germania un piano dei generali Beck ed Halder era accantonato per simili motivi<ref>Regolo, p. 359-360</ref>.
 
L'ambiente di corte torinese era freddo, formale e subito ostile alla principessa, chiamata ''negresse blonde'' per via dei capelli ispidi e ricci; lei, d'altra parte, mostrava il minimo di simpatia richiesta verso la nobiltà locale e i suoi riti provinciali, che anni dopo sintetizzò con: «A Torino c'erano poche, o nessuna, cure intellettuali. [...] La nobiltà torinese [...] si rovinava in balli per il principe. La società era divisa in due clan: quelli che erano per il [[vermut]] non andavano dai produttori di [[Fiat]], e viceversa. Persino la [[casa Savoia|famiglia reale]] era divisa».<ref>Luciano Regolo, ''La regina incompresa'', Simonelli editore, p. 123.</ref>
Appena un mese dopo, il [[29 ottobre]], partecipò alle nozze del cugino Eugenio di [[Savoia-Genova]] con Lucia di Borbone-Due Sicilie, che avvennero a Monaco di Baviera, dove viveva la famiglia della sposa, di idee antinaziste, ed officiate dal cardinale [[Michael von Faulhaber]], anch'esso inviso al regime: forse per riequilibrare quella presenza che denunciava le sue idee, chiese un incontro privato con Hitler: questi lo invitò due giorni dopo ad una colazione all'[[Obersalzberg]], trasformando quella richiesta in un'occasione di propaganda per il regime ad appena un mese dal convegno di Monaco. Umberto ascoltò il monologo del Führer, che espresse la sua soddisfazione per la soluzione del problema cecoslovacco, per la crescente forza della Germania, l'avversione per gli Stati Uniti, il desiderio di un'alleanza duratura con l'Italia; l'ambasciatore a Berlino, [[Bernardo Attolico]], mandò una relazione a Roma; Mussolini fu probabilmente soddisfatto dell'incontro, il Re assolutamente no. Il Principe di Piemonte, per ingenuità o per inesperienza politica, aveva scelto di incontrare per mera cortesia il dittatore, ma, tenuto conto che Umberto si era sempre tenuto rigorosamente al di fuori di attività o manifestazioni di simpatie politiche, l'avvenimento poté essere inteso come una sostanziale comunità di vedute o come ammirazione per l'uomo che aveva appena soppresso la libertà della Cecoslovacchia<ref> S. Bertoldi, ''L'ultimo re l'ultima regina'', pg. 86-87 </ref>.
 
Mentre Umberto continuava la sua vita da ufficiale, trascorrendo la mattinata e buona parte del pomeriggio in caserma, per tenersi impegnata la principessa seguì un corso di crocerossina e organizzò concerti a [[Palazzo Reale di Torino|Palazzo Reale]], oltre a seguire attività caritatevoli, quando gli impegni ufficiali non ne richiedevano l'attenzione e la presenza. Il primo impegno ufficiale di rilievo della giovane coppia furono le nozze di [[Giovanna di Savoia (1907-2000)|Giovanna di Savoia]] con re [[Boris III di Bulgaria]], ad [[Assisi]], nell'ottobre del 1930.
Divenuto intanto generale designato d'Armata ed ispettore di fanteria, Umberto iniziò ad esprimere, a chi glielo chiedeva, il suo profondo scontento verso le risorse effettive delle truppe: Mussolini, che oramai non si fidava più ed iniziava a ritenerlo, se non pericolo, almeno palesemente avverso, gli impedì di andare a [[Parigi]], covo dei fuoriusciti antifascisti, ad inaugurare un busto del defunto suocero [[Alberto I del Belgio]]. In un clima così teso, le nozze dell'ultimogenita dei sovrani, [[Maria Francesca di Savoia|Maria]] con il principe Luigi di [[Borbone di Parma|Borbone-Parma]] avvenute il 23 gennaio 1939, ebbero il minimo dell'attenzione e dell'organizzazione possibile <ref>L. Regolo, op. cit., p. 369</ref>. Tre mesi dopo, infatti, l'Italia invadeva l'[[Albania]] (di cui Vittorio Emanuele III era proclamato sovrano) e, il [[22 maggio]], veniva firmato il [[Patto d'Acciaio]]. A marzo, incontratolo a [[Salisburgo]], [[Italo Balbo]] aveva già anticipato l'avvenimento a Maria Josè, oramai certa di quale sarebbe stata la sorte del Belgio davanti all'aggressività tedesca. Le intenzioni, le idee e la ''fronda'' dei principi di Piemonte erano così note anche all'estero che nei giorni della firma del Patto d'Acciaio sul ''[[Daily Mirror]]'' <ref>cfr Daily Mirror, 13 maggio 1939</ref> uscì un articolo anonimo dal titolo "Il duce spedisce il principe in esilio", dove si diceva che Umberto e la moglie si sarebbero a breve rifugiati a [[Bruxelles]] in una "sorta di esilio dettato dal signor Mussolini [...] Il principe ereditario non ha mai nascosto la sua opposizione al fascismo"; inoltre si aggiungeva che erano sorte tensioni fra lui e Ciano (cosa possibile, poiché dopo l'incontro del 6 novembre 1938 il ministro ne ha uno solo il 18 novembre 1939); notizie tutte riprese lo stesso giorno dal ''News Chronicle''. Naturalmente erano esagerazioni, ma davano l'idea di come la posizione dei principi ereditari fosse nota <ref>L. Regolo, op. cit., p. 370</ref>.
[[Immagine:Nozze Aosta Grecia 1939.JPG|thumb|left|140 px|Aimone ed Irene di Grecia]]
Fu quindi naturale che il Duce, nella preparazione dei comandi per la guerra prossima, scegliesse accuratamente di porre in secondo piano il principe ereditario, escludendolo non solo dalla possibilità di prendere decisioni, ma anche dal ricevere gloria militare, cosa che probabilmente sarebbe stata approvata da Hitler il quale, il 22 agosto 1939, disse ai suoi generali che "Mussolini è messo in pericolo da quell'imbecille di un re e da quel perfido furfante di un principe ereditario" <ref> Documents on British Foreign Policy 1919-1939, terza serie, volume VII, Londra, 1954, pg 258 in L. Regolo, op. cit., pg. 361</ref>. La manovra naturalmente non sfuggì al Re che, nel suo incontro con Ciano del 24 agosto, pretese che il duce «dia al principe di Piemonte un comando. Hanno il comando quei due [[Savoia-Genova|imbecilli di Bergamo e di Pistoia]], può ben averlo mio figlio, la cui testa vale quella del duca d'Aosta». Questa schiettezza e comunicatività del Re, notoriamente uomo di poche parole, col ministro degli esteri, neo [[Ordine Supremo della Santissima Annunziata|collare dell'Annunziata]], era motivata dal comune sentimento antitedesco, aumentato in Ciano dopo il suo incontro dell'11 agosto con von Ribbentrop ed Hitler. Il colloquio terminò con una confidenza del sovrano: "paternamente ha aggiunto che il Principe a me vuol bene, molto bene e che di me sempre gli parla con fiducia e speranza" <ref>G. Ciano, op. cit., p. 333</ref>. In situazioni simili naturalmente la nuova gravidanza di Maria Josè non fu oggetto neppure delle calunnie dell'OVRA.
 
Poi, dal 3 al 24 maggio 1931, vi fu l'ostensione della [[Sacra Sindone]], la prima dal 1898, durante la quale [[casa Savoia]] (allora proprietaria della reliquia) fu sempre presente: Umberto nel pomeriggio del 3, in rappresentanza del re, con la moglie, la sorella [[Mafalda di Savoia]] e [[Maria Bona di Savoia-Genova]] con il marito [[Corrado di Baviera (1883-1969)|Corrado di Baviera]] e [[casato di Arenberg|Lydia d'Arenberg]], moglie di [[Filiberto di Savoia-Genova]], consegnò le chiavi dell'urna che la conteneva all'arcivescovo [[Maurilio Fossati]] e fornì gran parte dei 61 pezzi esposti nella mostra che accompagnò l'evento, come quadri e oggetti liturgici. In segno di devozione, [[Maria José del Belgio|Maria José]] donò il proprio manto di nozze, da cui vennero ricavate otto pianete. Infine, nel luglio 1931, ci furono le esequie solenni di [[Emanuele Filiberto di Savoia-Aosta|Emanuele Filiberto]], [[duca d'Aosta]]. A questi impegni, di carattere prettamente dinastico, se ne affiancavano di politici, nei quali il regime richiedeva la presenza del futuro sovrano: gare di sci per la Coppa delle Federazioni fasciste, l'inaugurazione della nuova Casa del fascio di Torino, sfilate della Milizia, l'inaugurazione della Casa torinese del balilla.
Ma la crisi tra regime e Corona non coinvolgeva più solo i principi di Piemonte: il 1 luglio 1939 a Firenze, in [[Santa Maria del Fiore]], Aimone di Savoia-Aosta si era sposato con [[Irene di Grecia (1904-1974)|Irene di Grecia]], testimoni per lui il viceré Amedeo ed Umberto: Mussolini non era intervenuto neppure a questa cerimonia di Casa Savoia, sia per non incontrare il re [[Paolo di Grecia]], contro il quale tra pochi mesi manderà le truppe, sia perché dopo appena due anni di viceregno Amedeo ha mutato del tutto opinione sulla preparazione dell'esercito e sulla reale solidità del regime e dei suoi uomini <ref>L. Regolo, op. cit., p. 372</ref>.
 
[[File:Visita di S.A.R. Umberto di Savoia al Duomo di Ascoli.png|miniatura|Visita di Umberto di Savoia al Duomo di Ascoli]]
==1939: non-belligeranza e desiderio di neutralità==
Nonostante queste attività, però, l'[[OVRA]] vigilava e teneva strettamente sotto controllo Umberto, diffondendo voci malevole sulla vita sessuale del principe<ref>{{cita|Regolo|p. 283}}.</ref> (celebre l'epiteto di "Stellassa" che Gian Gaetano Cabella gli lanciò dalle colonne de ''Il popolo di Alessandria''<ref>{{en}} L. Benadusi, ''The Enemy of the New Man: Homosexuality in Fascist Italy'', University of Wisconsin Press, 2012, pp. 228-229.</ref>) e raccogliendo, sin dagli anni venti, un dossier relativo alla sua presunta [[omosessualità]]. I moltissimi dispacci si contraddicevano l'un l'altro: parlavano di innumerevoli avventure con donne di tutti i ceti sociali oppure di tresche con giovani camerieri antifascisti e soldati<ref>[[Guido Leto]], ''O.V.R.A., Fascismo e Antifascismo'', Cappelli, Bologna, 1951.</ref>, tra i quali - sembra - anche il giovane [[Luchino Visconti]]<ref>Gaia Servadio, ''Luchino Visconti'', Milano, 1980, p. 99.</ref>.
[[Immagine:Pio XII al Quirinale.JPG |thumb|right|130 px|Pio XII al Quirinale]]
Il 1 settembre 1939 la Germania invase la Polonia, due giorni più tardi entrarono in guerra Francia ed Inghilterra, l'Italia dichiarò la propria non-belligeranza e tutti coloro che erano antitedeschi iniziarono ad avere contatti sempre più fitti, scambiandosi informazioni opinioni. A fine ottobre Umberto espresse con Ciano la propria soddisfazione nella rimozione di Achille Starace dalla guida del [[PNF]] e lo informò che Hitler aveva chiesto la rimozione, tramite Filippo d'Assia, di Bernardo Attolico, ambasciatore a Berlino, ostile all'espansionismo tedesco. il 27 novembre la regina Elena scrisse una lettera appello in favore della pace alle sovrane di Belgio, Olanda, Lussemburgo, Danimarca, Jugoslavia e Bulgaria, che vennero fermate da Mussolini, con la motivazione che era un gesto inopportuno. Il 4 dicembre Maria Josè seppe dell'idea di suo fratello Leopoldo III di indire una conferenza dei paesi non belligeranti per il giorno di Natale, proposta che il Duce rifiutò. Il 21 dicembre i sovrani andarono in vista dal Papa in Vaticano ed il 28 dicembre Pio XII compì un viaggio di stato fino al Quirinale, antica reggia pontificia dove dal 1870 nessun Papa era più entrato: a colloquio con Vittorio Emanuele III si scagliò con forza contro Hitler, Due giorni dopo Ciano comunicò alla principessa di Piemonte che era imminente l'invasione del Belgio <ref>L. Regolo, op. cit., p. 374</ref>.
 
In proposito il futuro partigiano Enrico Montanari scriverà un libro di memorie, in cui narra d'esser stato corteggiato nel 1927 da Umberto, che gli avrebbe regalato un accendisigari d'argento con incisa la scritta "Dimmi di sì!"<ref>Enrico Montanari, ''La lotta di liberazione'', cit. in Silvio Rossi, ''Il vizio segreto di Umberto di Savoia'', "Extra", I 1971 n. 4 (25 marzo), pp. 1-4.</ref>. Inoltre è stata ipotizzata l'impossibilità fisica del principe di dare un erede alla casata e che - quanto meno - ci fossero delle incomprensioni a livello sessuale con la principessa, dovute forse alla freddezza dello sposo, non aiutato, d'altro lato, dalla passività della sposa, comunque naturale in una giovane donna del periodo<ref>{{cita|Regolo|p. 266}}.</ref><ref>{{cita|Oliva|p. 140}}.</ref><ref>A. Petacco, ''Regina'', Mondadori, 1997, p. 82.</ref>.
Il 22 febbraio si ebbe un nuovo colloquio tra Ciano ed Umberto, dove questi, a detta del genero del Duce si mostrò "molto antitedesco e convinto della necessità di rimanere neutrali. Scettico - impressionantemente scettico- sulle possibilità effettive dell'esercito nelle attuali condizioni -che giudica pietose- di armamento" <ref>G. Ciano, op. cit., p. 398</ref>. A Napoli, due giorni dopo, nacque la figlia [[Maria Gabriella di Savoia|Maria Gabriella]] e l'indomani a Roma il sottosegretario di Stato statunitense [[Summer Wells]] fece capire al re che gli Stati Uniti contavano su di lui per mantenere l'Italia fuori dalla guerra, ottenendo per risposta "Ho l'impressione che il suo presidente non si renda conto di quanto poco possa fare io" <ref>L. Regolo, op. cit., p. 376</ref>. Il 14 marzo il duca d'Aquarone espresse a Ciano, al circolo del Golf dell'Acquasanta, il desiderio del sovrano di restare neutrali a tutti i costi, compreso quello di rimuovere Mussolini, purché avvenisse in maniera legale, al fine di evitare una guerra civile <ref>G. Ciano, op. cit., p. 406</ref>: il ministro degli esteri confermò al duce che Mussolini non avrebbe convocato il Gran Consiglio per la dichiarazione di guerra, ma che avrebbe riflettuto se cercare di convincere il suocero in tal senso <ref>A. Spinosa, op. cit., p. 353</ref> <ref>L. Regolo, op. cit., p. 377</ref>. Due settimane dopo anche Umberto volle parlare con Ciano: il principe "non ha nascosto la sua preoccupazione [...] aggravata dalla sua conoscenza delle nostre condizioni militari. Nega che dal settembre ad oggi siano stati realizzati effettivi progressi nell'armamento: il materiale è scarso e lo spirito depresso" <ref>G. Ciano, op. cit., p. 411</ref>.
 
[[File:Los Sports, número 77, 29 de agosto de 1924.jpg|miniatura|Umberto durante la sua visita di Stato in [[Cile]]]]
Il 9 aprile la Germania invase Danimarca e Norvegia ed il 24 Pio XII e [[Paul Reynaud]] chiesero ufficialmente a Mussolini di non entrare in guerra. Sei giorni dopo il pontefice incontrò i principi di Piemonte in Vaticano e "con un modo di fare affettuoso e paterno iniziò subito la conversazione. Insistette soprattutto sul pericolo del nazismo e delle persecuzioni religiose. Poi evocò l'imminenza di un'aggressione tedesca in Belgio ed in Olanda. per tre volte affermò questo, voltandosi verso di me con aria angosciata, un po' interrogativa, aspettando forse un chiarimento, oppure una conferma da parte mia" <ref>Maria Josè in L. Regolo, op. cit., p. 378</ref>. Il 1 maggio Maria Josè avvisò del pericolo l'ambasciatore belga, che l'indomani la tranquillizzò affermando che erano tutte voci di agenti provocatori tedeschi operanti in Vaticano; Ciano, interpellato lo stesso giorno, confermò l'informazione aggiungendo che si trattava di 3 divisioni, ed il 10 maggio si ebbe l'invasione. La principessa di Piemonte parlò poi con Balbo ed Amedeo d'Aosta, perché facessero recedere il duce dalle sue intenzioni, invano.
La delicatezza delle notizie contenute nel ''dossier'' dell'[[OVRA]], anche a scopo ricattatorio, appare evidente dal fatto che il 27 aprile 1945, al momento della sua cattura e dopo la fuga da [[Milano]], [[Benito Mussolini]] lo aveva con sé, secondo le testimonianze di coloro che hanno dichiarato di aver ispezionato il suo bagaglio (partigiani, funzionari ecc.)<ref>{{cita|Tompkins|p. 352}}.</ref><ref>Luciano Garibaldi, ''La pista inglese. Chi uccise Mussolini e la Petacci? '', Ares, 2002, pp. 89 e succ.ve.</ref>. Successivamente il comandante della [[52ª Brigata Garibaldi "Luigi Clerici"|52ª Brigata Garibaldi]], [[Pier Luigi Bellini delle Stelle|"Pedro" Bellini]], curò di farlo consegnare al principe Umberto, allora [[luogotenente del regno]]<ref>{{cita testo|url=http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/26/Avevo_ragione_co_0_9601261300.shtml|titolo=''L'Unità ammette l'esistenza dei dossier''}}.</ref>. Una copia del medesimo fu poi rinvenuta dall'agente segreto italiano [[Aristide Tabasso]] nel marzo del 1946, che la consegnò all'interessato e fu nominato da quest'ultimo [[Ordine della Corona d'Italia|commendatore della Corona d'Italia]]<ref>{{cita|Tompkins|pp. 364-365}}.</ref><ref>{{cita testo|url=http://archiviostorico.corriere.it/1996/gennaio/28/Umberto_misteri_del_dossier_co_0_9601281654.shtml|titolo=''Corriere della Sera'' del 28 gennaio 1996}}.</ref>.
 
Alla fine quell'ambiente ipocrita e malevolo colmò la notevole pazienza di Umberto e una voce in particolare fece decidere al sovrano di trasferire in altra sede il figlio, promosso [[generale di brigata]] nel febbraio 1931; [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele]] scelse personalmente [[Napoli]], città leale alla monarchia e in cui egli stesso aveva trascorso gli anni da [[Principe di Napoli|principe ereditario]]<ref>U. Guspini, ''L'orecchio del regime'', Mursia, Torino, 1973, p. 105.</ref>.
==1940: la campagna di Francia==
[[Immagine:UmbertoIIemussolini.JPG.jpg|thumb|right|150px|Umberto II di Savoia, insieme a [[Benito Mussolini]].]]
Il [[29 maggio]] il Duce annunciò ai vertici militari la sua decisione irrevocabile di entrare in guerra a fianco della Germania, nonostante i più fossero contrari ed Umberto esprimesse al padre tutta la sua contrarietà: "Gli dissi che non si poteva andare avanti rassegnati verso la catastrofe, che bisognava fare qualche cosa" <ref>Cavicchioli, ''Umberto giudica suo padre'', La Domenica del Corriere, aprile-agosto 1965 </ref>.
 
=== Inizio del periodo napoletano ===
Il [[10 giugno]] al Principe venne conferito il comando delle armate operanti al confine francese, 12 mila ufficiali e trecentomila soldati, praticamente inutili, poiché la Francia era prossima al tracollo e Mussolini stesso aveva vietato operazioni di attacco: dieci giorni dopo l'entrata in guerra si ebbe una manovra militare che durò tre giorni, dal [[21 giugno|21]] al [[24 giugno]] e portò alla presa di [[Mentone]] con 600 caduti italiani circa, commentata in un protocollo segreto dal generale Guzzoni, comandante della IV Armata con "Se non fosse stato per le condizioni climatiche sfavorevoli i francesi avrebbero continuato ad avanzare"<ref>L. Regolo, op. cit. pg 384 </ref>. Pochi giorni dopo, nei pressi di Mentone, Umberto incontrò la moglie, ispettrice della Croce Rossa, che riportò sul suo diario testimonianze del profondo scetticismo del Principe sulla preparazione e sulle attrezzature della truppa.
[[File:Umberto II e la Regina Margherita.jpg|miniatura|Umberto e la [[regina madre]] [[Margherita di Savoia]] a [[Napoli]]]]
Arrivò a [[Napoli]] il 4 novembre, prendendo residenza nel [[Palazzo Reale di Napoli|Palazzo Reale]]; l'indomani ci fu un solenne ''[[Te Deum]]'' in [[Duomo di Napoli|cattedrale]], un ricevimento a [[palazzo San Giacomo]] e infine la serata di gala al [[teatro San Carlo]], mentre i napoletani si dimostravano entusiasti dell'arrivo dei principi, profondendosi in molteplici manifestazioni&nbsp;– preparate e spontanee&nbsp;– d'omaggio<ref>{{cita|Regolo|p. 295}}.</ref>. La coppia lasciò ben presto la reggia borbonica, destinata a occasioni ufficiali, in favore di [[Villa Rosebery]], presso [[Posillipo]], dotata di spiaggia privata, dove Maria José e il marito amavano fare bagni notturni.
 
La [[Maria José del Belgio|principessa di Piemonte]] in questo periodo poté contattare, tramite l'amico [[Umberto Zanotti Bianco]], prima [[Benedetto Croce]] e poi altri esponenti dell'alta società avversi al [[fascismo]], come lo stesso arcivescovo [[Alessio Ascalesi]]: Umberto lasciava fare, senza favorire o dissuadere la moglie. Naturalmente, come a [[Torino]], l'[[OVRA]] vigilava e [[Arturo Bocchini]] ordinava di sorvegliare costantemente la vita della coppia alla ricerca di rotture e infedeltà, incrementando voci che naturalmente facevano il giro della città, alimentate a dismisura da soffiate anonime. Un viaggio a [[Bruxelles]] della principessa venne inteso come prodromo di una separazione, quando invece era solo sintomo della solitudine che la donna provava in climi tanto ostili<ref>{{cita|Regolo|p. 298}}.</ref>.
Il [[25 ottobre]] Umberto incontrò a Torino il maresciallo [[Enrico Caviglia]] che scrisse sul proprio diario come Umberto gli raccontasse di essere dolente per l'inattività in cui la nuova situazione militare lo poneva (essendo escluso che l'erede al trono potesse essere dislocata su qualche lontano fronte), di Hitler che cercava l'aiuto della [[Svezia]] per una pace con l'Inghilterra e che a suo dire era necessario fermare le operazioni militari in Libia per concentrare uomini e mezzi in Grecia, opinione quest'ultima non condivisa da Caviglia. In Libia infatti il governatore [[Rodolfo Graziani]] già a giugno aveva chiesto più mezzi, o un rinvio dell'attacco, che a fine agosto Badoglio, capo di stato maggiore, aveva rifiutato: dal diario di Ciano, in data [[6 settembre]], si apprende che Umberto aveva espresso le "più ampie riserve sulla possibilità e sull'inopportunità dell'impresa"<ref>G. Ciano, in L. Regolo, op. cit. pg 387 </ref>.
 
Continuavano intanto le cerimonie ufficiali e di rappresentanza: l'incontro con il vecchio [[Gabriele D'Annunzio]] al [[Vittoriale degli italiani|Vittoriale]] nel novembre 1932 e la nuova ostensione della [[Sindone]], dal 24 settembre al 15 ottobre 1933, in occasione dell'[[Anno santo]]. Dopo lunga attesa (tanto che all'inizio del 1932 [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]] aveva mandato la nuora, accompagnata dal medico di corte, da un illustre ginecologo in [[Germania]] a farsi visitare) il 5 febbraio 1934 il ginecologo di [[casa Savoia]], [[Valerio Artom di Sant'Agnese]], poté confermare la prima gravidanza: due settimane dopo, in un incidente in montagna moriva [[Alberto I del Belgio]] e, per il suo stato, [[Maria José del Belgio|Maria José]] dovette rinunciare ad andare ai funerali.
==1941-1942: forzata inattività==
Nei mesi successivi il fronte greco-albanese mostrò l'inadeguatezza dell'esercito italiano e, a fronte dei rovesci e degli insuccessi, Umberto chiese di essere mandato in visita d'ispezione, cosa che Mussolini rifiutò, preferendo scegliere per l'occasione alti esponenti del partito, come Ciano, Farinacci, Bottai ed infine sé stesso, nel marzo 1941. Ugualmente gli fu negata la possibilità di andare in Libia, durante l'offensiva inglese, anche per veto di [[Erwin Rommel]]. Di questi fatti il maresciallo Caviglia stese una rapida sintesi nel proprio diario, osservando come la politica dinastica di Mussolini fosse "ambigua. Egli sta [...] esaltando il Duca d'Aosta , così come faceva con il defunto padre di lui. [...] Il principe di Piemonte è messo in disparte: non gli danno nessun comando. Non glielo diedero in Albania [...] e il re nulla fa per salvare la dinastia" <ref>E. Caviglia, ''Diario (1925-1945), Gherardo Casini Editore, Roma, 1952, pg 336</ref> E mentre Mussolini ufficiosamente osteggiava l'erede al trono, dal gennaio 1941 generale d'armata, questi iniziava a stringere legami con Bottai e Ciano, che annota al 15 maggio di quell'anno un grave moto di scontento del principe in seguito alla stabilizzazione della situazione jugoslava dopo l'intervento tedesco: "Lui -sempre così prudente- ha criticato con parole aperte il sistema in genere, e la stampa in particolare. Vive nell'ambiente militare ed ha assorbito in questi mesi una buona dose di veleno, che in lui ha fatto effetto" <ref>G. Ciano, in L. Regolo, op. cit. pg 387 </ref>. Il 6 maggio i tedeschi avevano invaso la Jugoslavia, che s'era arresa il 18, avevano costituito lo [[Stato indipendente di Croazia]] 10 (cui re fu designato [[Aimone di Savoia, quarto duca d'Aosta]] come ''Tomislavo II'') e permesso l'erezione di un nuovo [[Occupazione italiana del Montenegro|regno di Montenegro]], di cui fu sovrano Vittorio Emanuele III in unione personale; la regina Elena si rifiutò di prendere in considerazione l'idea di beneficiare di tale dubbio onore il proprio nipote [[Michele I del Montenegro|Michele]], teorico erede al trono della dinastia Petrović Niegoš.
 
Il 24 settembre, a [[Palazzo Reale di Napoli|Palazzo Reale]] a [[Napoli]], alla presenza anche di [[Elena del Montenegro|Elena di Savoia]] e di [[Elisabetta di Baviera (1876-1965)|Elisabetta del Belgio]], nasceva la primogenita [[Maria Pia di Savoia (1934)|Maria Pia]]: portava lo stesso nome della [[Maria Pia di Savoia|regina del Portogallo]], sorella di [[Umberto I di Savoia|Umberto I]], che alla proclamazione della repubblica si era rifugiata in esilio in Italia, a [[Stupinigi]], e di cui Umberto aveva alcuni affettuosi ricordi. Vennero distribuiti 2350 sussidi e borse di studio "Maria Pia di Savoia", [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]] offrì un pranzo per 400 poveri e [[villa Rosebery]] venne ribattezzata "villa Maria Pia". Una settimana dopo ci fu il battesimo, madrina la zia paterna [[Maria Francesca di Savoia]], padrino lo zio materno [[Leopoldo III del Belgio]], rappresentato per procura da [[Vittorio Emanuele di Savoia-Aosta]].
Mentre i successi germanici iniziavano ad arrestarsi Umberto nascondeva sempre meno la propria radicata avversione ai nazisti, come si apprende da Ciano, sempre più presente nell'entourage del principe. A fine ottobre, durante una battuta di caccia con von Ribbentropp, questi definì espressamente con il genero del Duce Umberto come ''ostile'', dopo aver affermato che a Corte ''si intriga''. Quanto il tedesco avesse ragione è sancito da ciò che Ciano scrisse poco dopo, al [[7 novembre]] 1941: del principe ''era chiaro il suo preconcetto contro gli alleati che giudica insopportabilmente grossolani''<ref>G. Ciano, in L. Regolo, op. cit. pg 394 </ref>. Intanto continuavano ad essergli negati comandi effettivi: nel giugno del 1941 quello del [[CSIR]], le prime truppe italiane nella campagna di Russia, e poi quello dell'[[ARMIR]], sempre in Russia, nel febbraio 1942, compensato pateticamente pochi mesi dopo dal comando delle Armate Sud al posto del maresciallo [[Emilio De Bono]]. Questi avvenimenti suscitarono abbastanza scalpore nelle alte sfere politiche e militari. Caviglia osservò che su un esercito di 70 divisioni, 35 delle quali nei Balcani, al principe ne erano state affidate alcune peninsulari, con due di riserva strategica in caso di sbarco nemico <ref>E. Caviglia, ''Diario (1925-1945), Gherardo Casini Editore, Roma, 1952, pg 362 </ref>. Il conte di Torino, che pure non era tra i membri più importanti o più scaltri di Casa Savoia, si lamentò con Giovanni Agnelli che Mussolini aveva apposta ostacolato Umberto che ''dovrebbe invece poter acquistare maggior popolarità, altrimenti che cosa succederà alla morte del re?'' <ref>G. Ciano, in L. Regolo, op. cit. pg 395 </ref> A sintetizzare tutta la situazione, con i pro ed i contro ed un giudizio valido anche per gli avvenimenti futuri, fu ancora Caviglia nel suo diario, riportando un proprio colloquio con De Bono: Umberto non accettava sia perché aveva già delle armate assegnate, sia perché si sarebbe trovato gerarchicamente agli ordini dei tedeschi, cosa che Caviglia trovava anche accettabile. Eppure il maresciallo era d'idea che il Principe dovesse andare lo stesso in Russia, così da farsi ''fama di buon soldato. Se la situazione della dinastia, oggi, in Italia, fosse migliore, se l'attuale sovrano non fosse tanto scaduto nella opinione pubblica [...] non vi sarebbe bisogno del sacrificio del Principe di Piemonte. Perché, in caso di rovescio militare, quel sacrificio potrebbe salvare la dinastia'' <ref>E. Caviglia, ''Diario (1925-1945), Gherardo Casini Editore, Roma, 1952, pg 354 </ref>.
 
[[File:King Umberto II behind of the Flag of Kingdom of Italy.jpg|thumb|220px|upright|Il re [[Umberto II]] e la famiglia reale d'Italia dietro la bandiera del [[Regno d'Italia (1861-1946)|Regno d'Italia]]]]
Così, scartato anche dalla possibilità di un incarico in Africa Orientale, ad Umberto e a Maria Josè rimase solo la possibilità di alleviare con gesti pratici le sorti degli italiani vittime delle ristrettezze dei lutti apportati dalla guerra: si prodigò per il rientro dalla prigionia in mani inglesi del generale Alberto Cordero di Montezemolo e della famiglia; a fine 1942 provvide, su richiesta di [[Enrico Marone Cinzano]] alla sistemazione di circa 200 persone, dipendenti e famiglie della [[Cinzano (azienda)|Cinzano]], tutti sfollati per i bombardamenti; donò indumenti ai sinistrati e fece restaurare a sue spese oggetti antichi delle collezioni d'arte torinesi danneggiate dai bombardamenti <ref>L. Regolo, op. cit. pg 399 </ref>. E mentre Maria Josè si intratteneva al Quirinale con antifascisti di vari ambienti come [[Benedetto Croce]], [[Paolo VI|monsignor Montini]], [[Paolo Monelli]], Antoni Gonella, Umberto incontrò più volte il capo della Polizia [[Carmine Senise]], membri delle Forza Armate come Caviglia e [[Ugo Cavallero|Cavallero]], e del Partito come [[Giuseppe Bottai|Bottai]]. Questi il [[21 ottobre]] 1942 registrò sul suo diario che ''Gente, per solito sennata, viene a confidarti [...] di complotti capitanati dal principe ereditario e dalla sua consorte. Si danno per veri ordini impartiti alla polizia di sorvegliare gli edifici tipici dei colpi di stato'' <ref>G. Bottai, op. cit, pg 331 </ref>.
In questo periodo si hanno le prime fonti sull'esistenza di un dossier scandalistico contro il Principe di Piemonte ''preparato contro di lui dal Partito per contrastare le sue ambizioni con la minaccia di rendere pubblici dei compromettenti documenti sulla sua vita privata'', citato da una nota dell'ambasciatore [[Polonia|polacco]] presso la [[Santa Sede]] al Foreign Office <ref>L. Regolo, op. cit. pg 401 </ref>. [[Domenico Bartoli]] scrisse che già a metà degli Anni Trenta [[Italo Balbo]] aveva fatto avvertire il Re dell'esistenza di questo ''dossier'' da un suo uomo di fiducia, cui il ministro della Real Casa Mattioli Pasqualini disse che il Re già sapeva tutto. Da esso fu tratto qualche stralcio, che il ''[[Popolo d'Alessandria]]'' utilizzò per costruirci su una storia pubblicata a puntate basata sui vizi e deboscerie di un principe soprannominato ''Stellassa''. Eppure per motivi ancora non chiari Mussolini non lo utilizzò mai interamente e pubblicamente, neppure durante il periodo della [[Repubblica Sociale Italiana|Repubblica Sociale]].
Il suo pessimismo sulle sorti della guerra e del regime si acutizzò e si cristallizzò in una visione lucida ma priva di spunti d'iniziativa fedelmente registrata in molteplici passi del diario di Ciano <ref>G. Oliva, "Umberto II" pg. 154 </ref>, che ne giudica le capacità ''superiori alla fama''; lo stesso Mack Smith gli riconosce ''idee politiche piatte e convenzionali, ma non reazionarie [...] disposto ad imparare''. Però, al di là del suo sempre maggiore scontento, non tessé una forte rete di contatti con le opposizioni liberali come la moglie, non elaborò una idea per deporre Mussolini e non riuscì neppure ad uscire dal cono d'ombra politico in cui il padre e il regime lo avevano posto.
==1943: golpe ventilato==
Probabilmente fu anche per blandire il Principe, oggetto e soggetto di tante voci, che Mussolini lo propose per la nomina di [[Maresciallo d'Italia]], il che venne ratificato il [[28 ottobre]] 1942, anniversario della [[Marcia su Roma]]. Nonostante questo Umberto continuò ad affiancare i propri impegni ufficiali con i frequenti contatti con gli oppositori del regime e con militari come Badoglio e [[Vittorio Ambrosio]], da poco nominato nuovo Capo di Stato Maggiore Generale. Probabilmente è in questo periodo che anche il principe ereditario iniziò a vedere Badoglio come una possibile carta spendibile per l'affossamento di Mussolini, pur dimostrando di non averne molta fiducia. Confidò ad un uomo vicino a Caviglia (l'altro maresciallo in predicato di essere successore del Duce alla guida del governo), che giudicava il collega Badoglio "un cane da pagliaio che va dov'è il boccone più grosso", che condivideva il giudizio <ref>E. Caviglia, op. cit., pg 387 </ref>, ma ugualmente vedeva nel militare piemontese l'unico in grado di avere la fiducia dei fascisti frondisti, del sovrano e degli alti papaveri dell'esercito <ref>L. Regolo, op. cit. pg 406 </ref>.
 
La gravidanza, nei primi mesi, venne sommersa di voci maliziose su una sua possibile origine non naturale: si disse che era frutto di [[inseminazione artificiale]], richiesta per l'inabilità di Umberto a procreare, pratica allora non ortodossa e guardata con sospetto. La voce divenne così di dominio pubblico che [[Luigi Pirandello]] in un caffè romano ne parlò scandalizzato ad [[Alberto Moravia]]<ref>A. Cambria, ''op. cit.'', p. 57.</ref> e ancora anni dopo, di nuovo incinta, [[Maria José del Belgio|Maria José]] volle smentirlo con [[Galeazzo Ciano|Ciano]], che al 30 dicembre 1939 registrò che la principessa «mi ha lasciato intendere che il figlio che nascerà è di lui, senza intromissioni di medici e siringhe». Interrogato in merito, Ferdinando Savignoni, assistente di Artom, dichiarò che «i figli del principe di Piemonte nacquero nel modo più naturale possibile»<ref>A. Cambria, ''op. cit.'', p. 58.</ref>. Oltretutto, nonostante le molteplici visite mediche che la principessa fece, l'ipotesi dell'applicazione di una pratica allora in fase di studio iniziale è abbastanza ardita e priva di fonti che la possano suffragare<ref>{{cita|Oliva|p. 148}}.</ref>.
Il 2 febbraio del 1943 nacque al Quirinale l'ultimogenita dei principi di Piemonte, Maria Beatrice <ref>Sarà battezzata nella cappella Paolina del Quirinale, al lume delle candele, causa erogazione di elettricità ridotta del 25 %, coi nomi di Maria Beatrice Elena Elisabetta Adelaide Margherita Francesca Romana. Madrina la duchessa d'Aosta madre Elena, padrino Adalberto duca di Genova. In L. Regolo, op. cit. pg 418 </ref>, il cui atto di nascita venne rogato il 4 febbraio da Ciano, che scrisse sul suo diario di aver avuto un breve colloquio con Umberto, che ''vede le cose con molta esattezza. E ne è giustamente pensoso''. Quella fu l'ultima incombenza ufficiale del genero del Duce da ministro degli esteri: due giorni dopo divenne ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede.
 
Umberto, nello stesso periodo, venne nominato comandante di divisione, assumendo il comando della Volturno, e poi membro del consiglio dell'esercito, ma questo non cambiò la sua situazione di escluso dall'ambiente politico che decideva, tanto che della prossima [[Guerra d'Etiopia|campagna d'Etiopia]] lo seppe da [[Italo Balbo]]. Alla fine del 1935, infatti, i principi di Piemonte partirono per un viaggio nel [[Nord Africa]], prima tappa la colonia di [[Libia]] e poi l'[[Egitto]], dove regnava re [[Fārūq I d'Egitto|Farouk]], amico di vecchia data di [[casa Savoia]].
Molto probabilmente furono anche le voci di fronda legate ai principi ereditari, oltre all'ostilità nazista, che nel rimpasto di governo del febbraio 1943 costarono il posto a Ciano, Bottai, Grandi e poi anche a Senise (quest'ultimo da capo della polizia). Lord Edward Halifax, ambasciatore inglese a Washington scrisse nel suo rapporto che un italiano da poco rientrato in Turchia (non lo nomina, ma è possibile che fosse l'ambasciatore in quello stato, [[Raffaele Guariglia]], futuro ministro degli Esteri del governo Badoglio) aveva riferito che tutti quei mutamenti politici erano dovuti alla ''scoperta da parte della Gestapo che c'era un complotto per dare il potere al principe di Piemonte e rovesciare il governo [...]. Grandi, il precedente ambasciatore a Londra, e il conte Ciano organizzarono il movimento sicuramente con la conoscenza del principe Umberto'' <ref>L. Regolo, op. cit. pg 408 </ref>
 
Il governatore, fresco del successo personale della crociera atlantica, offrì agli ospiti sorvoli aerei della [[Tripolitania]] e, nella sua residenza, ''As-Saraya al-Hamra'' (il Castello Rosso di Tripoli), il proprio punto di vista e i propri dubbi sul regime e sulla sua scarsa preparazione militare. «In [[Libia]], Balbo ci parlò in modo molto scettico riguardo al [[fascismo|regime]] e a [[Benito Mussolini]]. Disse che la ''ciambella del fascismo'' non era riuscita secondo le iniziative e che un paese dove non si può manifestare liberamente la propria opinione non ha futuro. Il governatore, inoltre, sembrava essere già al corrente delle intenzioni che il duce, di lì a qualche mese, avrebbe manifestato a proposito dell'[[Etiopia]]»<ref>{{cita|Regolo|p. 166}}.</ref>. Da quel momento iniziò un regolare scambio di missive tra i principi e Italo Balbo e altre visite di Maria José in Libia, tutti fatti che irritarono Mussolini e le alte gerarchie del partito<ref>{{cita|Regolo|p. 329}}.</ref>. In ogni caso, Umberto non disse nulla al padre, né chiese informazioni su quanto aveva sentito, nonostante egli stesso a Napoli salutasse molteplici truppe in partenza per il porto di [[Massaua]], ufficialmente per esercitazioni.
Vittorio Emanuele III non gradiva affatto l'attivismo politico del figlio e della nuora. Per quanto riguardava Maria Josè, che manteneva contatti sia coi politici dell'Italia pre-fascista, con intellettuali di varia estrazione e con ambienti vaticani, il re non tollerava che fosse una donna ad occuparsi di politica, che ci si fidasse di vecchi "revenants" (fantasmi, come con disprezzo definita Bonomi, Nitti e gli altri notabili d'epoca giolittiana) e di preti (noto era il suo anticlericalismo) <ref>D. MackSmith, op. cit., pg 385 </ref>. Quanto al figlio, il sovrano era dell'idea, leit-motiv di Casa Savoia, che "si regna uno alla volta".
 
=== Impero d'Etiopia e nuovo erede al trono ===
A posteriori, Umberto diede la sua versione dei fatti, spiegando che l'idea di rimuovere Mussolini venne in seguito al disastro di [[Seconda battaglia di El Alamein|El Alamein]] ''che irritò non soltanto il Re mio padre, ma anche le sfere superiori militari [...] Fin dall'autunno 1942 cominciarono ad affluire in Quirinale alte personalità militari, persino il vecchissimo generale Zuppelli, per invocare l'intervento della Corona [...] Nella primavera anche il generale Ambrosio fece conoscere il suo piano'' <ref>Settimana Incom Illustrata, 1958, in L. Regolo, op. cit. pg 413 </ref>
[[File:Umberto II a Montella.jpg|miniatura|upright=0.8|sinistra|Il principe Umberto al [[convento di San Francesco a Folloni]] a [[Montella]] ([[Provincia di Avellino|AV]]), dove risiedette più volte durante la seconda guerra mondiale]]
Il 2 ottobre Mussolini dichiarò guerra all'Etiopia e l'11 scattarono le [[Sanzioni economiche all'Italia fascista|sanzioni]] della [[Società delle Nazioni]], cui il regime rispose con la "giornata della fede", sotto lo [[slogan]] "oro alla Patria". All'[[Vittoriano|Altare della Patria]] la [[Elena del Montenegro|regina Elena]] consegnò le fedi nuziali sue e del [[Vittorio Emanuele III di Savoia|re]], pronunciando uno dei suoi rarissimi discorsi pubblici, mentre lo stesso facevano a Napoli Maria José e a [[Torino]] [[Iolanda Margherita di Savoia|Jolanda di Savoia]]. Umberto donò il proprio collare dell'[[ordine dell'Annunziata|Annunziata]], il re alcuni lingotti d'oro e d'argento, [[Luigi Pirandello]] la medaglia del [[Premio Nobel|Nobel]], [[Benedetto Croce]] e [[Luigi Albertini]] beni personali: lo stato ottenne oltre 500 milioni in oro e l'iniziativa fu quindi un notevole successo<ref>{{cita|Regolo|p. 333}}.</ref>. Il re però non condivise il fascino dell'avventura militare e a [[Dino Grandi]], davanti alle truppe in sfilata, disse: «Ed è con queste facce e queste pance da curati e da notai di campagna che il suo Duce vuole fare la guerra?»<ref>{{cita|Spinosa|p. 339}}.</ref>.
 
Nonostante lo scetticismo personale, [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]] desiderava che anche il figlio prendesse parte alla campagna militare, ottenendo in tal modo un po' di gloria e prestigio, come fecero e avrebbero fatto per tutta la durata delle operazioni gerarchi di ogni grado, ottenendo encomi e medaglie non sempre meritate<ref>Farinacci, per esempio, ottenne una medaglia d'argento al valor militare e riconoscimenti come invalido di guerra per una mano persa durante la battaglia, in realtà amputata di netto da una granata impiegata per pescare in un lago etiope.</ref>. Ma Umberto restò confinato in patria per volere di Mussolini, che voleva che quella guerra fosse «una sfida del regime dalla quale la monarchia potrà ricevere l'incoronazione imperiale ma sulla quale non dovrà accampare meriti»<ref>{{cita|Oliva|p. 145}}.</ref>. La scusa ufficiale fu che il [[Duce]] non desiderava fosse messa in pericolo la vita dell'erede al trono; al fronte andarono i tre cugini [[Savoia-Genova]], parenti di secondo piano, e [[Aimone di Savoia-Aosta (1900-1948)|Aimone di Savoia-Aosta]], ma non [[Amedeo di Savoia-Aosta (1898-1942)|Amedeo d'Aosta]], allora [[linea di successione al trono d'Italia|secondo in linea di successione al trono]], piccola vendetta del re contro l'aitante nipote di simpatie fasciste.
Nella primavera del '43 Maria Josè facilitò un incontro tra [[Ivanoe Bonomi]] ed il marito, che egli raccontò nel suo ''Diario di un anno'': ''gli dico che bisogna puntare su un generale, Badoglio o Caviglia. Lui dice di preferire Badoglio, perché Caviglia è troppo vecchio [...] Ma alla proposta di andare tutti dal Re per spingerlo a decidersi, Umberto di nuovo tentenna. [...] la Principessa mi aveva detto: il figlio non farà nulla contro il padre [...] Il Principe ha idee chiare, peccato non abbia la ferma volontà di fare'' <ref>G. Oliva, "Umberto II" pg. 156 </ref>.
 
[[File:Umberto Montella.jpg|miniatura|upright=0.8|Il principe Umberto al balcone del municipio del comune di [[Montella]] ([[Provincia di Avellino|AV]]), in occasione delle manovre del 1936]]
Tra marzo ed aprile del '43 Umberto ebbe un colloquio con il cognato [[Filippo d'Assia]] <ref>Renato Barneschi, "Frau von Weber" pg. 134-135 </ref>, che si concluse con la comune intenzione di chiedere ad Hitler una pace prima che la situazione ancora peggiorasse. Il principe d'Assia ne parlò con il Führer nella prima settimana d'aprile a [[Klessheim]], appena terminati i colloqui con Horthy e Mussolini, causando la sua ira: accusò i Savoia di essere degli ingrati nei confronti del Duce e affermò che tutto si sarebbe aggiustato anche sul fronte italiano. Pochi giorni dopo Filippo d'Assia venne consegnato a [[Berchtesgarden]], e poi a Rastenburg, per essere infine arrestato l'8 settembre.
Umberto, a terra, passò in rassegna le truppe in partenza e così "garantisce la legittimità dell'impresa, ma a combattere in prima linea è il fascismo, cui andrà il merito della vittoria<ref>{{cita|Oliva|p. 146}}.</ref> e venne impegnato nelle solite occasioni ufficiali, come la presenza al funerale di [[Giorgio V del Regno Unito]] agli inizi del 1936: occasione impegnativa, trattandosi di un viaggio in un paese ostile, tra i primi sostenitori delle sanzioni. A marzo venne promosso al comando del corpo d'armata di Napoli, ma per l'Etiopia partì la moglie, che il 26 dello stesso mese si imbarcò come [[Corpo delle infermiere volontarie della Croce Rossa Italiana|crocerossina]] sulla nave ospedaliera ''Cesarea''. Alla proclamazione dell'[[Impero italiano|Impero]], il 5 maggio 1936, al balcone del [[Palazzo del Quirinale|Quirinale]] si affacciarono [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]], che rispose alle ovazioni della folla con il saluto militare, e Umberto, sull'attenti. "L'avvenire accanto al presente" scrisse [[Ugo Ojetti]]<ref>{{cita|Oliva|p. 147}}.</ref>.
 
Ad agosto, per la chiusura delle [[Giochi della XI Olimpiade|Olimpiadi di Berlino]], Umberto fu sul palco al fianco di [[Adolf Hitler|Hitler]], che disprezzava, ricambiato<ref>{{cita|Regolo|p. 337}}.</ref>, {{Senza fonte|e accettò la gran croce d'oro dell'[[ordine dell'Aquila nera]]}} e poco dopo, a Napoli, ricevette in compagnia della moglie [[Primo Carnera]]. Anche in questa occasione le calunnie dell'[[OVRA]] non si fecero attendere e si registrò di ''avances'' al pugile, secondo alcuni fatte da Maria José, secondo altri da Umberto<ref>{{cita|Regolo|p. 343}}.</ref>. A queste menzogne si aggiunsero quelle, naturali considerato quanto già avvenuto nel 1934, sorte quando nell'ottobre del 1936 venne annunciata la nuova gravidanza della [[principe di Piemonte|principessa di Piemonte]], tutte tese ad attribuirla a padri illegittimi. Si osservò che era rimasta incinta a ridosso della partenza per l'[[Africa]] e si tirò fuori la storia dell'amicizia tra la principessa e gli aitanti, sportivi e gaudenti cugini [[Savoia-Aosta]], [[Aimone di Savoia-Aosta (1900-1948)|Aimone]] e [[Amedeo di Savoia-Aosta (1898-1942)|Amedeo]]: si disse che aveva incontrato due volte il secondo, mentre in realtà a incontrare Maria José, due volte, era stato Aimone, sulla ''Cesarea'', alla presenza comunque di altre autorità<ref>{{cita|Regolo|p. 342}}.</ref>. Era nota infatti la simpatia tra lei e i due fratelli, anticonformisti, esuberanti e insofferenti all'etichetta: che vi fosse una particolare simpatia verso il futuro [[viceré d'Etiopia]] lo si pensò quando Maria José dedicò il suo primo libro ''A la memoire du valeureux et chavaleresque Amédée'', pubblicando la foto di suo figlio Vittorio Emanuele appoggiato alla "quercia di Amedeo"<ref>{{cita|Bertoldi|pp. 47-48}}.</ref>.
Il [[22 luglio]], dalla sede del Comando delle armate Sud, che si trovava a [[Sessa Arunca]], Umberto tornò a Roma dove, l'indomani, incontrò il duca Acquarone ed il cugino Aimone di Savoia-Aosta, ed in seguitò tornò a Sessa e qui venne sorpreso dal voto del Gran Consiglio e dalla successivo arresto di Mussolini. Quello steso giorno Hitler espresse il proprio desiderio di arrestare tutti i membri della Casa Reale, e Keitel osservò che il principe ereditario "era più importante del vecchio" <ref>Eugene Dollman, ''Roma nazista'', Longanesi, 1951</ref>
 
[[File:Vittorio Emanuele III e nipote.JPG|miniatura|upright=0.8|[[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]] con il [[Vittorio Emanuele di Savoia (1937)|nipote omonimo]]]]
Il [[26 luglio]] Umberto partì per Roma all'alba e nella mattinata incontrò di nuovo Acquarone, il cugino Aimone ed il generale Sartoris, che lo resero edotto sugli ultimi avvenimenti, sui quali il Re diede la sua versione durante il pranzo, a cui lui e Maria Josè erano invitati <ref>L. Regolo, op. cit. pg 422 </ref>. Probabilmente insoddisfatto dai colloqui, ebbe di nuovo un incontro nel pomeriggio con Acquarone, cui seguì uno con Roatta e Ambrosio. Umberto, da sempre antinazista, era probabilmente in disaccordo con il proclama di Badoglio, ma ligio all'autorità, non protestò né fece partecipe il padre dei suoi dubbi, continuando così a stare tra l'[[Abruzzo]] e la [[Campania]], visitando città e accampamenti <ref>L. Regolo, op. cit. pg 423 </ref>.
Il 12 febbraio 1937, alle 14:30, nacque l'atteso [[Vittorio Emanuele di Savoia (1937)|erede maschio]], cui venne imposto il nome del [[Vittorio Emanuele III di Savoia|nonno]], e a seguire molti altri di carattere dinastico o familiare<ref>Vittorio Emanuele, Alberto, Carlo Teodoro, Umberto, Bonifacio, Amedeo, Damiano, Bernardino, Maria, Gennaro.</ref>. A questa gioia e motivo di orgoglio seguì due mesi dopo, il 5 aprile 1937, il conferimento alla [[Elena del Montenegro|regina Elena]], da parte di [[papa Pio XI]], della [[Rosa d'oro]], il più importante segno di benevolenza papale verso le sovrane. Il battesimo fu celebrato il 31 maggio nella [[Cappella Paolina (Quirinale)|Cappella Paolina]], dove si erano sposati i genitori, e fu il primo battesimo di un erede al trono in pompa magna a [[Roma]]<ref>[[Umberto I di Savoia|Umberto I]] fu battezzato a [[Torino]], [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]] a [[Napoli]] e Umberto II a Roma, ma in maniera dimessa per via della scomunica pendente sui [[Casa Savoia|Savoia]].</ref>. Alle undici del mattino, obbligatorio per gli uomini divisa o [[panciotto]] e [[marsina]] e [[coccarda]] di raso [[blu Savoia|azzurro Savoia]], per le donne velo bianco, bande di pizzo e l'iniziale in brillanti della regina o della principessa ereditaria. Il corteo era aperto dai padrini, [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]] ed [[Enrichetta del Belgio]], [[Duca di Vendôme|duchessa di Vendôme]] (in rappresentanza della madrina la regina [[Elisabetta di Baviera (1876-1965)|Elisabetta del Belgio]]), Umberto con la madre [[Elena del Montenegro|Elena]] e [[Maria José del Belgio|Maria José]] al braccio del cugino monsignore, il principe Giorgio di Baviera<ref>{{cita|Regolo|p. 348}}.</ref>.
 
[[Benito Mussolini|Mussolini]] era assente, sia alla funzione sia al ricevimento, probabilmente perché insofferente di fronte a un rito che era una chiara autocelebrazione della monarchia, in un periodo in cui il duce si legava sempre più al [[Adolf Hitler|Führer]], che invidiava perché non aveva nessuno sopra di sé e non doveva dividere fama e onori con una dinastia sovrana<ref>{{cita|Oliva|p. 149}}.</ref><ref>{{cita|Regolo|p. 349}}.</ref>. La stampa, invece, sottolineava nella cerimonia i fasti della diarchia: "guardando la bellezza del bambino che sarà re, non c'è italiano che oggi non sia orgoglioso della sua Patria, della nostra Italia trionfante sui nemici, del Duce che ci guida"<ref>''Corriere della Sera'', 5 giugno 1937.</ref>.
Il [[4 agosto]] festeggiò con la moglie il compleanno che, tre giorni dopo, venne mandata con le bambine per ordine di Vittorio Emanuele III nel castello di [[Sant'Anna di Valdieri]] in Piemonte, ufficialmente per motivi di sicurezza, ma in realtà perché l'attivismo politico e di stampo liberale di Maria Josè erano invisi al sovrano e a Badoglio.
 
=== Crisi nella diarchia, antinazismo e velleità di golpe ===
==In fuga da Roma a Brindisi==
[[File:Amedeo di Savoia-Aosta, Viceré d'Etiopia, ossequiato dai Ras.JPG|miniatura|sinistra|[[Amedeo di Savoia-Aosta (1898-1942)|Amedeo di Savoia-Aosta]], nominato [[Viceré d'Etiopia|Viceré]], riceve gli omaggi dei [[Ras (titolo)|Ras]]]]
{{vedi anche|Proclama Badoglio dell'8 settembre 1943|Fuga del re Vittorio Emanuele III|Mancata difesa di Roma}}
Nel settembre del 1937 Mussolini, in visita in [[germania nazista|Germania]], restò affascinato dalla potenza che sprigionava il [[nazismo|regime nazista]]<ref>{{cita testo|url=http://www.anpi.it/cronologia-del-nazifascismo-1937/|titolo=Cronologia del Nazifascismo - 1937|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20140722190318/http://www.anpi.it/cronologia-del-nazifascismo-1937/ }}.</ref>: a novembre firmò il patto anti-[[Comintern]] e a dicembre uscì dalla [[Società delle Nazioni]]. Mentre Mussolini si avvicinava a Hitler e diventava sempre più insofferente nei confronti della casa reale, suo genero e ministro degli esteri, antitedesco, [[Galeazzo Ciano]] provava a stringere con i [[principe di Piemonte|principi di Piemonte]] rapporti più stretti. I principi avevano di Ciano l'impressione di un uomo snob e di scarso acume (cui si aggiungeva una sana antipatia tra [[Maria José del Belgio|Maria José]] ed [[Edda Ciano]])<ref>«Edda Ciano e io non siamo mai andate molto d'accordo. Lei voleva primeggiare. Ma era una donna molto intelligente e sapeva molte cose», Maria José di Savoia in {{cita|Regolo|p. 369}}.</ref>, ma in seguito ne apprezzarono l'antinazismo, le molte informazioni cui poteva arrivare e infine il modo di fare più garbato e intellettuale rispetto a quello tipico di altri gerarchi come [[Achille Starace]], [[Ettore Muti]] o [[Roberto Farinacci]]<ref>{{cita|Regolo|p. 350}}.</ref>: era insomma uno dei pochi gerarchi frequentabili<ref>{{cita|Bertoldi|p. 88}}.</ref>. Ciano cominciò a organizzare vari incontri, più o meno casuali, con il principe ereditario, riportandone sempre le impressioni, che passarono da un "colloquio scialbo" il 31 agosto a un "gran calore" per le felicitazioni alla nascita del figlio Marzio il 19 dicembre.
Nei giorni immediatamente precedenti alla resa italiana, Umberto ebbe un'intensa attività: il 6 settembre ispezionò la V armata ad Orte, la mattina del [[7 settembre|7]] incontrò il maresciallo von Richtofen e, nel tardo pomeriggio, ad Anagni, il maresciallo Graziani, che lì viveva ritirato dal 1941. Ad una precisa domanda del militare sulla possibilità d'un armistizio il principe rispose "solo voci!" , come gli era stato detto dal Ministro della Real Casa duca d'Aquarone il 3 settembre, a Roma (sebbene questi fosse al corrente che nel frattempo l'armistizio veniva firmato a Cassibile), ed il 6, ad Anagni <ref> Luciano Regolo, "Il re Signore", Simonelli Editore, pg. 427 </ref>. Partì per Roma alle 17.55 dell'8 settembre, giungendo al Quirinale dopo quasi un'ora ove, all'oscuro di tutto, venne finalmente informato circa l'armistizio da Acquarone. Il colloquio risulta essere avvenuto dopo le 19.10, come registrato dal primo aiutante di campo del principe nel proprio diario <ref> Il dattiloscritto si trova tra le pagine del Diario della Casa del Principe di Piemonte, Archivio di Stato di Torino.</ref>.
 
Tale evoluzione fu forse dovuta anche a una reazione al fatto che Mussolini mostrava sempre più fiducia in [[Amedeo di Savoia-Aosta (1898-1942)|Amedeo d'Aosta]], proposto a [[Francisco Franco]] come possibile [[re di Spagna]] e intanto nominato [[viceré d'Etiopia]] al posto del [[maresciallo d'Italia|maresciallo]] [[Rodolfo Graziani]], mentre Umberto rimaneva in una posizione defilata. I sospetti esplosero quando ai principi divenne nota la clausola inerente alla successione al trono votata dal [[Gran consiglio del fascismo|Gran consiglio]] nel 1928 che contemplava, nell'eventualità di mancanza di eredi, la salita al trono di un membro dei Savoia-Aosta, e spinsero Maria José a irrompere a [[Palazzo Venezia]] per aver lumi: Mussolini rispose che la norma andava applicata solo in mancanza di discendenza diretta, cosa che in quel momento non si verificava<ref>{{cita|Regolo|p. 351}}.</ref>.
Il Principe mandò una macchina ad Anagni per prelevare alcuni membri del suo ''entourage'', tra i quali l'ammiraglio Bonetti ed il generale Cavalli, e scrisse alcune lettere ad ufficiali, compresa una a Graziani, non solo perché era "pur sempre maresciallo d'Italia", ma anche perché non voleva questi pensasse che gli avesse mentito: il latore della missiva, tenente colonnello Radicati, fu però arrestato il giorno dopo dai tedeschi e la lettera non giunse a destinazione<ref> L. Regolo, op. cit. pg. 428.</ref>. Nella nottata il capitano maggiore pilota Carlo Maurizio Ruspoli, su incarico del principe, telefonò al ministro degli esteri Raffaele Guariglia, che avrebbe sostenuto in quella occasione di non essere stato avvisato da alcuno delle decisioni di Badoglio <ref>Carlo Artieri, ''Cronaca del Regno d'Italia'', vol II, pg 841-842 </ref>. In verità Guariglia era informato, ed anzi aveva reso edotto personalmente l'ambasciatore a Roma, von Mackensen, circa l'armistizio ed il suo significato<ref>Arrigo Petacco , La seconda guerra mondiale, Armando Curcio Editore, Roma, 1979, vol. 4, pag. 1172.</ref>.
 
Nell'aprile del 1938 la crisi tra corona e regime toccò il suo punto più alto, con il colpo di mano della creazione del grado di [[primo maresciallo dell'Impero]]: Starace e Ciano fecero approvare di sorpresa prima alla Camera, per acclamazione, poi al Senato, questo nuovo grado, attribuito sia al re sia al Duce, il che li equiparava di fatto, e violava gravemente i poteri regi. Le rimostranze di [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]] furono veementi, ma alla fine firmò la legge. Un possibile motivo di arrendevolezza del sovrano in questo frangente è desumibile da quanto riportato il 2 aprile da Ciano nel suo diario: {{Citazione|Mussolini [...] mi ha detto: "Basta. Ne ho le scatole piene. Io lavoro e lui firma. [...] Ho risposto che potremo andare più in là alla prima occasione. Questa sarà certamente quando alla firma rispettabile del Re si dovesse sostituire quella meno rispettabile del principe. Il Duce ha annuito e, a mezza voce, ha detto: "Finita la Spagna, ne riparleremo"<ref>G. Ciano, ''op. cit.'', p. 120.</ref>}}Pare realistico pensare che Vittorio Emanuele III, allora e altre volte in futuro, evitasse di coinvolgere il figlio negli affari di Stato o cedergli qualsiasi scampolo di potere effettivo per proteggerlo da queste oscure manovre del regime<ref>{{cita|Regolo|p. 354}}.</ref>.
Poco prima che Umberto venisse informato, alle 18.45 del 8 settembre si svolse al Quirinale una riunione presenti il Re, Badoglio, Acquarone, Carboni, i ministri della Guerra e dell'Aeronautica, durante la quale sarebbe stato riferito al Re che l'unica soluzione era spostarsi nell'unica zona d'Italia non ancora occupata dalle due parti del conflitto, così da "salvaguardare l'indipendenza del governo e negoziare condizioni d'armistizio più onorevoli"<ref> L. Regolo, op. cit. pg. 430. </ref>.
 
Di lì a poco si ebbe la visita di Hitler e del suo seguito a [[Roma]]: la corte si dimostrò palesemente antinazista e i capi del nazismo avversi alla monarchia, con uno scambio di battute di scherno dall'una e dall'altra parte<ref>[[Himmler]] fu sentito dire del [[Palazzo del Quirinale|Quirinale]] "Qui si respira un'aria da catacomba" e [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]] definì Hitler un "degenerato psicofisico".</ref>. Umberto era antinazista per più motivi: come cattolico ([[Pio XI]] aveva già condannato il [[nazismo]] con l'[[enciclica]] ''[[Mit brennender Sorge]]'' e in quei giorni andò a [[Castel Gandolfo]], ordinando di lasciare al buio le chiese come segno di protesta), come uomo di una certa preparazione culturale, come figlio di [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele]], la cui avversione alla Germania durava dalla fine dell'[[Ottocento]], e come principe ereditario davanti a un regime chiaramente antimonarchico. Maria José considerava l'espansionismo nazista un'ovvia minaccia al suo [[Belgio]] e detestava i fascisti (il 7 settembre 1938 andò al concerto di [[Lucerna]] di [[Arturo Toscanini]], di fatto esule, perché gli era stato appena ritirato il [[passaporto]]). Queste ragioni, unite al sempre più forte legame che Mussolini stava creando tra [[fascismo]] e [[nazismo]], li spinsero a complottare per un ''golpe''.
Alle 19.30, i sovrani tornarono al Quirinale, dove giunsero anche i piccoli Ottone ed Elisabetta d'Assia con la ''tata'': la regina chiamò l'addetto alla sicurezza Nicola Marchitto e gli disse di portarli al sicuro in Vaticano, perché troppo piccoli per essere portati con loro. Alle 21.20 il corteo si diresse al ministero della guerra, e intorno alle 5 del mattino partì uscendo furtivamente da un portone secondario di Palazzo Baracchini, sulla stretta via Napoli. Rosa Perone Gallotti, cameriera personale dei sovrani, definì la partenza come un "pandemonio […] Ministri, militari e gentiluomini volevano partire per primi, facevano ressa per la paura. Fu una vergogna, davvero." <ref> L. Regolo, op. cit. pg. 431.</ref>. Della partenza da Roma e di come si svolse Umberto II parlò durante un'intervista televisiva con lo storico [[Nicola Caracciolo]], avvenuta nel 1979, confluita nel documentario "Il piccolo re".
 
Un documento del [[Foreign Office]] britannico<ref>Pro, Fo, 800/937, ritrovato da [[Donatella Bolech Cecchi]] della facoltà di scienze politiche di [[Pavia]], pubblicato nella rivista "il Politico" nel 1986 e in V. Vailati, ''La storia nascosta'', pp. 8-10.</ref> attesta che il 26 settembre Umberto avrebbe dovuto rinunciare ai propri diritti come erede al trono in favore del figlio con un documento da consegnare a un "avvocato di [[Milano]]" di cui non si conosce il nome, forse un politico del periodo pre-fascista. Maria José, costretto Vittorio Emanuele III ad abdicare, sarebbe stata proclamata reggente e [[Pietro Badoglio|Badoglio]] avrebbe ottenuto pieni poteri per mantenere l'ordine, a cui sarebbe seguito un nuovo governo guidato dall'avvocato milanese. L'esercito, sotto gli ordini di Graziani, avrebbe preso possesso dei punti vitali di Roma, Milano, Torino, Venezia e Verona nella mattina del 27 e il 28, alle 15, Umberto avrebbe messo davanti al padre il fatto compiuto e successivamente fatto mandare in onda alla radio le dichiarazioni della reggente e del nuovo primo ministro. Invece il pomeriggio del 25 Hitler emanò un ultimatum di sei giorni alla [[Cecoslovacchia]] e, in uno scenario internazionale così teso, Umberto indugiò: il 27 giunse la notizia dell'intenzione di Mussolini di mobilitare le truppe se l'avesse fatto Hitler e del dissenso del sovrano; l'indomani fu comunicata la notizia che Hitler avrebbe incontrato a [[Conferenza di Monaco|Monaco]] i primi ministri d'Italia, Francia e Inghilterra per decidere le sorti della Cecoslovacchia. Apparendo così Mussolini uno dei difensori della pace europea, il piano venne archiviato, mentre anche in Germania un piano dei generali [[Ludwig Beck|Beck]] e [[Franz Halder|Halder]] era accantonato per simili motivi<ref>{{cita|Regolo|pp. 359-360}}.</ref>.
{{quote| Aver lasciato Roma in quel modo può essere stato uno sbaglio […] In quel modo, senza avvisare i ministri. E ancor adesso sono convinto che i ministri non abbiano avuto modo di raggiungere - non so - il re, oppure non aver potuto prendere le disposizioni. Si sarebbero svegliati la mattina […] ed avrebbero potuto trovarsi i tedeschi in casa e rischiare veramente molto. Cosa che […] non accadde. Ma l'impressione che loro diedero fu molto sfavorevole, soprattutto al maresciallo Badoglio. L'impressione di essere stati dimenticati. <ref> L. Regolo, op. cit. pg. 428 </ref>}}
 
Appena un mese dopo, il 29 ottobre, partecipò alle nozze del cugino [[Eugenio di Savoia-Genova]] con [[Lucia di Borbone-Due Sicilie]], che avvennero a [[Monaco di Baviera]], dove viveva la famiglia della sposa, di idee antinaziste, e officiate dal cardinale [[Michael von Faulhaber]], anch'esso inviso al regime: forse per riequilibrare quella presenza che denunciava le sue idee, chiese un incontro privato con [[Hitler]]: questi lo invitò due giorni dopo a un pranzo all'[[Obersalzberg]], trasformando quella richiesta in un'occasione di propaganda per il regime ad appena un mese dal convegno di [[Monaco di Baviera|Monaco]]. Umberto ascoltò il monologo del [[Führer]], che espresse la sua soddisfazione per la soluzione del problema cecoslovacco, per la crescente forza della [[germania nazista|Germania]], l'avversione per gli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]], il desiderio di un'alleanza duratura con l'[[regno d'Italia (1861-1946)|Italia]]; l'ambasciatore a [[Berlino]], [[Bernardo Attolico]], mandò una relazione a [[Roma]]; [[Mussolini]] fu probabilmente soddisfatto dell'incontro, il Re assolutamente no. Il [[principe di Piemonte]], per ingenuità o per inesperienza politica, aveva scelto di incontrare per mera cortesia il dittatore, ma, tenuto conto che Umberto si era sempre tenuto rigorosamente al di fuori di attività o manifestazioni di simpatie politiche, l'avvenimento poté essere inteso come una sostanziale comunità di vedute o come ammirazione per l'uomo che aveva appena soppresso la libertà della [[Cecoslovacchia]]<ref>{{cita|Bertoldi|pp. 86-87}}.</ref>.
 
Divenuto intanto generale designato d'armata e ispettore di fanteria, Umberto cominciò a esprimere, a chi glielo domandava, il suo profondo scontento verso le risorse effettive delle truppe: Mussolini, che oramai non si fidava più e cominciava a ritenerlo, se non pericoloso, almeno palesemente avverso, gli impedì di andare a [[Parigi]], covo dei fuoriusciti antifascisti, a inaugurare un busto del defunto suocero [[Alberto I del Belgio]]. In un clima così teso, le nozze dell'ultimogenita dei sovrani [[Maria Francesca di Savoia|Maria]] con il principe Luigi di [[Borbone di Parma|Borbone-Parma]], avvenute il 23 gennaio 1939, ebbero il minimo dell'attenzione e dell'organizzazione possibile<ref>{{cita|Regolo|p. 369}}.</ref>. Tre mesi dopo, infatti, l'[[regno d'Italia (1861-1946)|Italia]] invadeva l'[[Regno albanese|Albania]] (di cui [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]] era proclamato [[re d'Albania|sovrano]]) e, il 22 maggio, veniva firmato il [[Patto d'Acciaio|Patto d'acciaio]]. A marzo, incontratolo a [[Salisburgo]], [[Italo Balbo]] aveva già anticipato l'avvenimento a [[Maria José del Belgio|Maria José]], oramai certa di quale sarebbe stata la sorte del Belgio davanti all'aggressività tedesca. Le intenzioni, le idee e la "fronda" dei principi di Piemonte erano così note anche all'estero che nei giorni della firma del Patto d'acciaio sul ''[[Daily Mirror]]''<ref>''Daily Mirror'', 13 maggio 1939.</ref> uscì un articolo anonimo dal titolo "Il duce spedisce il principe in esilio", dove si diceva che Umberto e la moglie si sarebbero a breve rifugiati a [[Bruxelles]] in una "sorta di esilio dettato dal signor Mussolini [...] Il principe ereditario non ha mai nascosto la sua opposizione al fascismo"; inoltre si aggiungeva che erano sorte tensioni fra lui e Ciano (cosa possibile, poiché dopo l'incontro del 6 novembre 1938 il ministro ne ha uno solo il 18 novembre 1939); notizie tutte riprese lo stesso giorno dal ''News Chronicle''. Naturalmente erano esagerazioni, ma davano l'idea di come la posizione dei principi ereditari fosse nota<ref>{{cita|Regolo|p. 370}}.</ref>.
 
Fu quindi naturale che il [[Duce]], nella preparazione dei comandi per la guerra prossima, scegliesse accuratamente di porre in secondo piano il principe ereditario, escludendolo non solo dalla possibilità di prendere decisioni, ma anche dal ricevere gloria militare, cosa che probabilmente sarebbe stata approvata da [[Hitler]], il quale, il 22 agosto 1939, disse ai suoi generali che «Mussolini è messo in pericolo da quell'imbecille di un Re e da quel perfido furfante di un principe ereditario»<ref>''Documents on British Foreign Policy 1919-1939'', terza serie, volume VII, Londra, 1954, p. 258 in {{cita|Regolo|p. 361}}.</ref>. La manovra naturalmente non sfuggì al Re, che, nel suo incontro con Ciano del 24 agosto, pretese che il duce «dia al [[principe di Piemonte]] un comando. Hanno il comando quei due imbecilli di [[Adalberto di Savoia-Genova|Bergamo]] e di [[Filiberto di Savoia-Genova|Pistoia]], può ben averlo mio figlio, la cui testa vale quella del duca d'Aosta». Questa schiettezza e comunicatività del Re, notoriamente uomo di poche parole, col ministro degli esteri, novello [[Ordine supremo della Santissima Annunziata|collare dell'Annunziata]], era motivata dal comune sentimento antitedesco, aumentato in Ciano dopo il suo incontro dell'11 agosto con [[Joachim von Ribbentrop|von Ribbentrop]] e Hitler. Il colloquio terminò con una confidenza del sovrano: «paternamente ha aggiunto che il principe a me vuol bene, molto bene e che di me sempre gli parla con fiducia e speranza»<ref>G. Ciano, ''op. cit.'', p. 333.</ref>. In situazioni simili naturalmente la nuova gravidanza di [[Maria José del Belgio|Maria José]] non fu oggetto neppure delle calunnie dell'[[OVRA]].
 
[[File:Vittorio Emanuele III inaugura la Camera dei Fasci e delle Corporazioni.jpg|miniatura|[[Vittorio Emanuele III]] inaugura nel 1939 la [[Camera dei fasci e delle corporazioni]] in presenza di Umberto, [[principe di Piemonte]], [[Amedeo di Savoia-Aosta (1898-1942)|Amedeo di Savoia-Aosta]], [[duca d'Aosta]], [[Vittorio Emanuele di Savoia-Aosta]] [[marca di Torino#Conte di Torino|conte di Torino]]]]
 
Ma la crisi tra regime e corona non coinvolgeva più solo i principi di Piemonte: il 1º luglio 1939 a [[Firenze]], in [[Santa Maria del Fiore]], [[Aimone di Savoia-Aosta (1900-1948)|Aimone di Savoia-Aosta]] si era sposato con [[Irene di Grecia (1904-1974)|Irene di Grecia]], testimoni per lui il [[viceré d'Etiopia|viceré]] [[Amedeo di Savoia-Aosta (1898-1942)|Amedeo]] e Umberto: [[Mussolini]] non era intervenuto neppure a questa cerimonia di [[casa Savoia]], sia per non incontrare il re [[Giorgio II di Grecia]], fratello della sposa, contro il quale pochi mesi dopo avrebbe inviato delle truppe, sia perché dopo appena due anni di viceregno Amedeo aveva mutato del tutto opinione sulla preparazione dell'esercito e sulla reale solidità del regime e dei suoi uomini<ref>{{cita|Regolo|p. 372}}.</ref>.
 
=== Non belligeranza e desiderio di neutralità ===
[[File:Benito Mussolini w rozmowie z księciem Umberto II (2-279).jpg|miniatura|[[Mussolini]] e Umberto nel giugno del 1940]]
 
Il 1º settembre 1939 la [[Germania nazista|Germania]] invase la [[Seconda Repubblica di Polonia|Polonia]], due giorni più tardi entrarono in guerra [[Terza Repubblica (Francia)|Francia]] e [[Regno Unito]], l'[[Regno d'Italia (1861-1946)|Italia]] dichiarò la propria [[non belligeranza]] e tutti coloro che erano antitedeschi incominciarono ad avere contatti sempre più fitti, scambiandosi informazioni e opinioni. A fine ottobre Umberto espresse con Ciano la propria soddisfazione nella rimozione di [[Achille Starace]] dalla guida del [[Partito Nazionale Fascista|PNF]] e lo informò che [[Hitler]] aveva chiesto la rimozione, tramite [[Filippo d'Assia]], di [[Bernardo Attolico]], ambasciatore a [[Berlino]], ostile all'espansionismo tedesco. Il 27 novembre la [[Elena del Montenegro|regina Elena]] scrisse una lettera appello in favore della pace alle [[consorti dei sovrani del Belgio|sovrane]] di [[Belgio]], [[consorti dei sovrani olandesi|Paesi Bassi]], [[consorti dei sovrani di Lussemburgo|Lussemburgo]], [[consorti dei sovrani danesi|Danimarca]], [[Regno di Jugoslavia|Jugoslavia]] e [[sovrani di Bulgaria|Bulgaria]], che vennero fermate da [[Mussolini]], con la motivazione che era un gesto inopportuno.
 
Il 4 dicembre [[Maria José del Belgio|Maria José]] seppe dell'idea di suo fratello [[Leopoldo III del Belgio]] di indire una conferenza dei Paesi non belligeranti per il giorno di [[Natale]], proposta che il [[Duce]] rifiutò. Il 21 dicembre i sovrani andarono in visita dal [[papa]] in [[Vaticano]] e il 28 dicembre [[Papa Pio XII|Pio XII]] compì un viaggio di Stato fino al [[Palazzo del Quirinale|Quirinale]], antico palazzo pontificio, dove dal 1870 nessun papa era più entrato: a colloquio con [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]] si scagliò con forza contro [[Hitler]]. Due giorni dopo Ciano comunicò alla principessa di Piemonte che era imminente l'[[Invasione tedesca del Belgio|invasione]] del [[Belgio]]<ref>{{cita|Regolo|p. 374}}.</ref>.
 
[[File:El Rey de Italia, Humberto II, acompañado de la Reina María José y el resto de la familia real visitan al Papa Pio XII.-.jpg|miniatura|Umberto di Savoia, [[Maria José del Belgio]] e il resto della [[famiglia reale]] in visita da [[papa Pio XII]]]]
 
Il 22 febbraio 1940 si ebbe un nuovo colloquio tra [[Galeazzo Ciano]] e Umberto, dove questi, a detta del genero del [[Duce]] si mostrò «molto antitedesco e convinto della necessità di rimanere neutrali. Scettico - impressionantemente scettico - sulle possibilità effettive dell'esercito nelle attuali condizioni -che giudica pietose- di armamento»<ref>G. Ciano, ''op. cit.'', p. 398.</ref>. A [[Napoli]], due giorni dopo, nacque la figlia [[Maria Gabriella di Savoia|Maria Gabriella]] e l'indomani a [[Roma]] il sottosegretario di Stato statunitense [[Sumner Welles]] fece capire al re che gli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]] contavano su di lui per mantenere l'[[Italia]] fuori dalla guerra, ottenendo per risposta «Ho l'impressione che il suo presidente non si renda conto di quanto poco possa fare io»<ref>{{cita|Regolo|p. 376}}.</ref>. Il 14 marzo il [[Pietro d'Acquarone|duca d'Acquarone]] espresse a Ciano, al circolo del golf dell'Acquasanta, il desiderio del sovrano di restare neutrali a tutti i costi, compreso quello di rimuovere [[Mussolini]], purché avvenisse in maniera legale, al fine di evitare una guerra civile<ref>G. Ciano, ''op. cit.'', p. 406.</ref>: il ministro degli esteri confermò al re che Mussolini non avrebbe convocato il Gran consiglio per la dichiarazione di guerra, ma che avrebbe riflettuto se cercare di convincere il suocero in tal senso<ref>{{cita|Spinosa|p. 353}}.</ref><ref>{{cita|Regolo|p. 377}}.</ref>. Due settimane dopo anche Umberto volle parlare con Ciano: il principe «non ha nascosto la sua preoccupazione [...] aggravata dalla sua conoscenza delle nostre condizioni militari. Nega che dal settembre a oggi siano stati realizzati effettivi progressi nell'armamento: il materiale è scarso e lo spirito depresso»<ref>G. Ciano, ''op. cit.'', p. 411.</ref>.
 
Il 9 aprile 1940 la Germania invase [[Danimarca]] e [[Norvegia]] e il 24 [[Pio XII]] e [[Paul Reynaud]] chiesero ufficialmente a [[Mussolini]] di non entrare in guerra. Sei giorni dopo il pontefice incontrò i principi di Piemonte in [[Vaticano]] e «con un modo di fare affettuoso e paterno iniziò subito la conversazione. Insistette soprattutto sul pericolo del [[nazismo]] e delle persecuzioni religiose. Poi evocò l'imminenza di un'aggressione tedesca in [[Belgio]] e nei [[Paesi Bassi]]. Per tre volte affermò questo, voltandosi verso di me con aria angosciata, un po' interrogativa, aspettando forse un chiarimento, oppure una conferma da parte mia»<ref>Maria José in {{cita|Regolo|p. 378}}.</ref>. Il 1º maggio Maria José avvisò del pericolo l'ambasciatore belga, che l'indomani la tranquillizzò affermando che erano tutte voci di agenti provocatori tedeschi operanti in [[Vaticano]]. Ciano, interpellato lo stesso giorno, confermò l'informazione aggiungendo che si trattava di 3 divisioni, e il 10 maggio si ebbe l'invasione. La principessa di Piemonte parlò poi con [[Italo Balbo]] e [[Amedeo di Savoia-Aosta (1898-1942)|Amedeo d'Aosta]], perché facessero recedere il duce dalle sue intenzioni, invano.
 
=== Campagna di Francia ===
[[File:UmbertoIIemussolini.JPG.jpg|miniatura|upright=0.8|Umberto di Savoia, insieme a [[Benito Mussolini]]]]
Il 29 maggio il duce annunciò ai vertici militari la sua decisione irrevocabile di entrare in guerra a fianco della [[germania nazista|Germania]], nonostante i più fossero contrari e Umberto esprimesse al padre tutta la sua contrarietà: «Gli dissi che non si poteva andare avanti rassegnati verso la catastrofe, che bisognava fare qualche cosa»<ref>Cavicchioli, ''Umberto giudica suo padre'', ''[[La Domenica del Corriere]]'', aprile-agosto 1965.</ref>.
 
Il 10 giugno al principe venne conferito il comando delle armate operanti al confine francese ([[Gruppo d'armate Ovest]]), 12.000 ufficiali e trecentomila soldati, praticamente inutili, poiché la [[Terza Repubblica (Francia)|Francia]] era prossima al tracollo e [[Mussolini]] stesso aveva vietato operazioni di attacco: dieci giorni dopo l'entrata in guerra si ebbe una manovra militare che durò tre giorni, dal 21 al 24 giugno e portò alla presa di [[Mentone]] con 600 caduti italiani circa, commentata in un protocollo segreto dal generale [[Alfredo Guzzoni]], comandante della IV Armata con "Se non fosse stato per le condizioni climatiche sfavorevoli i francesi avrebbero continuato ad avanzare"<ref>{{cita|Regolo|p. 384}}.</ref>. Pochi giorni dopo, nei pressi di [[Mentone]], Umberto incontrò la [[Maria José del Belgio|moglie]], ispettrice nazionale del [[Infermiere Volontarie|Corpo Infermiere Volontarie]] della [[Croce Rossa Italiana]], che riportò sul suo diario testimonianze del profondo scetticismo del principe sulla preparazione e sulle attrezzature della truppa.
 
[[File:Humberto de Saboya, príncipe heredero de Italia y el presidente argentino, Marcelo T. de Alvear.jpg|miniatura|Il Principe ereditario col presidente argentino [[Marcelo Torcuato de Alvear]]]]
 
Il 25 ottobre Umberto incontrò a [[Torino]] il maresciallo [[Enrico Caviglia]] che scrisse sul proprio diario come Umberto gli raccontasse di essere dolente per l'inattività in cui la nuova situazione militare lo poneva (essendo escluso che l'erede al trono potesse essere dislocato su qualche lontano fronte), di [[Hitler]] che cercava l'aiuto della [[Svezia]] per una pace con l'[[Inghilterra]] e che a suo dire era necessario fermare le operazioni militari in Libia per concentrare uomini e mezzi in Grecia, opinione quest'ultima non condivisa da Caviglia. In [[libia italiana|Libia]] infatti il governatore [[Rodolfo Graziani]] già a giugno aveva chiesto più mezzi, o un rinvio dell'attacco, che a fine agosto [[Badoglio]], capo di stato maggiore, aveva rifiutato: dal diario di Ciano, in data 6 settembre, si apprende che Umberto aveva espresso le «più ampie riserve sulla possibilità e sull'inopportunità dell'impresa»<ref name=autogenerato3>G. Ciano, in {{cita|Regolo|p. 387}}.</ref>.
 
=== Forzata inattività ===
[[File:Hautecombe - Appartements du Roi 09.JPG|thumb|''Ritratto di Umberto di Savoia'' situato nell'[[Abbazia di Altacomba]]]]
Nei mesi successivi il fronte greco-albanese mostrò l'inadeguatezza dell'esercito italiano e, a fronte dei rovesci e degli insuccessi, Umberto chiese di essere mandato in visita d'ispezione, cosa che Mussolini rifiutò, preferendo scegliere per l'occasione alti esponenti del partito, come Ciano, Farinacci, Bottai e infine sé stesso, nel marzo 1941. Ugualmente gli fu negata la possibilità di andare in [[Libia]], durante l'offensiva inglese, anche per veto di [[Erwin Rommel]]. Di questi fatti il maresciallo Caviglia stese una rapida sintesi nel proprio diario, osservando come la politica dinastica di Mussolini fosse «ambigua. Egli sta [...] esaltando il [[duca d'Aosta]], così come faceva con il defunto padre di lui. [...] Il [[principe di Piemonte]] è messo in disparte: non gli danno nessun comando. Non glielo diedero in Albania [...] e il re nulla fa per salvare la dinastia»<ref>{{cita|Caviglia|p. 336}}.</ref>.
 
E mentre Mussolini ufficiosamente osteggiava l'erede al trono, dal gennaio 1941 Umberto si trovava a [[Lucera]], in [[provincia di Foggia]], come generale d'armata, questi iniziava a stringere legami con Bottai e Ciano, che annota al 15 maggio di quell'anno un grave moto di scontento del principe in seguito alla stabilizzazione della situazione jugoslava dopo l'intervento tedesco: «Lui - sempre così prudente - ha criticato con parole aperte il sistema in genere, e la stampa in particolare. Vive nell'ambiente militare ed ha assorbito in questi mesi una buona dose di veleno, che in lui ha fatto effetto»<ref name=autogenerato3 />.
 
Il 6 aprile 1941 i tedeschi avevano invaso la [[Jugoslavia]], che s'era arresa il 18, si era costituito lo [[Stato indipendente di Croazia]] il 10 (cui re fu designato [[Aimone di Savoia-Aosta (1900-1948)|Aimone di Savoia, quarto duca d'Aosta]] come "Tomislavo II") e permesso l'erezione di un nuovo [[Occupazione italiana del Montenegro|regno di Montenegro]], di cui fu offerta la corona al nipote della [[Elena del Montenegro|regina Elena]], [[Michele I del Montenegro|Michele]], teorico erede al trono della dinastia [[Petrović-Njegoš]], ma questi rifiutò. La restaurazione era caldeggiata vivamente dai sovrani italiani. Poiché altri candidati rifiutarono la corona, fu istituita in [[Montenegro]] una reggenza. Questa poi con la benevolenza della Regina Elena fu assegnata all'Ambasciatore Serafino Mazzolini.<ref>{{Cita libro|autore=Serafino Mazzolini|titolo=Diari 1937/1945}}</ref> Elena aveva declinato l'offerta di salire sul trono del padre, soluzione che sarebbe stata ben vista dalla popolazione montenegrina.
 
Mentre i successi germanici iniziavano ad arrestarsi Umberto nascondeva sempre meno la propria radicata avversione ai nazisti, come si apprende da Ciano, sempre più presente nell'entourage del principe. A fine ottobre, durante una battuta di caccia con von Ribbentrop, questi, con il genero del duce, definì espressamente Umberto come ''ostile'', dopo aver affermato che a corte "si intriga". Quanto il tedesco avesse ragione è sancito da ciò che Ciano scrisse poco dopo, al 7 novembre 1941: del principe ''era chiaro il suo preconcetto contro gli alleati che giudica insopportabilmente grossolani''<ref>G. Ciano, in {{cita|Regolo|p. 394}}.</ref>.
 
Intanto continuavano a essergli negati comandi effettivi: nel giugno 1941 quello del [[Corpo di spedizione italiano in Russia]], le prime truppe italiane nella campagna di [[Russia]], e poi quello dell'[[8ª Armata (Regio Esercito)|ARMIR]], sempre in Russia, nel febbraio 1942, compensato pateticamente pochi mesi dopo dal comando del [[Gruppo d'armate Sud]] al posto del maresciallo [[Emilio De Bono]]. Questi avvenimenti suscitarono abbastanza scalpore nelle alte sfere politiche e militari. Caviglia osservò che su un esercito di 70 divisioni, 35 delle quali nei [[Penisola balcanica|Balcani]], al principe ne erano state affidate alcune peninsulari, con due di riserva strategica in caso di sbarco nemico<ref>{{cita|Caviglia|p. 362}}.</ref>. Il [[Vittorio Emanuele di Savoia-Aosta|conte di Torino]], che pure non era tra i membri più importanti o più scaltri di [[casa Savoia]], si lamentò con [[Giovanni Agnelli (imprenditore 1866)|Giovanni Agnelli]] che Mussolini aveva apposta ostacolato Umberto che "dovrebbe invece poter acquistare maggior popolarità, altrimenti che cosa succederà alla morte del re?"<ref>G. Ciano, in {{cita|Regolo|p. 395}}.</ref>.
 
A sintetizzare tutta la situazione, con i pro e i contro e un giudizio valido anche per gli avvenimenti futuri, fu ancora Caviglia nel suo diario, riportando un proprio colloquio con De Bono: Umberto non accettava sia perché aveva già delle armate assegnate, sia perché si sarebbe trovato gerarchicamente agli ordini dei tedeschi, cosa che Caviglia trovava anche accettabile. Eppure il maresciallo era d'idea che il principe dovesse andare lo stesso in Russia, così da farsi "fama di buon soldato. Se la situazione della dinastia, oggi, in [[Italia]], fosse migliore, se l'attuale sovrano non fosse tanto scaduto nella opinione pubblica [...] non vi sarebbe bisogno del sacrificio del [[Principe di Piemonte]]. Perché, in caso di rovescio militare, quel sacrificio potrebbe salvare la dinastia"<ref>{{cita|Caviglia|p. 354}}.</ref>.
 
Così, scartata anche l'eventualità di un incarico in [[Africa Orientale Italiana]], a Umberto e a [[Maria José del Belgio|Maria José]] rimase solo la possibilità di alleviare con gesti pratici le sorti degli italiani vittime delle ristrettezze dei lutti l apportati dalla guerra: {{chiarire|si prodigò per il rientro dalla prigionia in mani inglesi del generale [[Alberto Cordero di Montezemolo]] e della famiglia;|l'unico generale noto è Giuseppe}}{{senza fonte}} a fine 1942 provvide, su richiesta di [[Enrico Marone Cinzano]] alla sistemazione di circa 200 persone, dipendenti e famiglie della [[Cinzano (azienda)|Cinzano]], tutti sfollati per i bombardamenti; donò indumenti ai sinistrati e fece restaurare a sue spese oggetti antichi delle collezioni d'arte torinesi danneggiate dai bombardamenti<ref>{{cita|Regolo|p. 399}}.</ref>. E mentre Maria José si intratteneva al [[Palazzo del Quirinale|Quirinale]] con antifascisti di vari ambienti come [[Benedetto Croce]], [[Paolo VI|monsignor Montini]], [[Paolo Monelli]], [[Guido Gonella]], Umberto incontrò più volte il capo della polizia [[Carmine Senise]], membri delle Forze armate come Caviglia e [[Ugo Cavallero|Cavallero]], e del partito fascista come [[Giuseppe Bottai|Bottai]]. Questi il 21 ottobre 1942 registrò sul suo diario che "Gente, per solito sennata, viene a confidarti [...] di complotti capitanati dal principe ereditario e dalla sua consorte. Si danno per veri ordini impartiti alla polizia di sorvegliare gli edifici tipici dei colpi di stato"<ref>G. Bottai, op. cit, p. 331.</ref>.
 
In questo periodo si hanno le prime fonti sull'esistenza di un dossier scandalistico contro il [[principe di Piemonte]] "preparato contro di lui dal Partito per contrastare le sue ambizioni con la minaccia di rendere pubblici dei compromettenti documenti sulla sua vita privata", citato da una nota dell'ambasciatore [[Polonia|polacco]] presso la [[Santa Sede]] al Foreign Office<ref>{{cita|Regolo|p. 401}}.</ref>. [[Domenico Bartoli (senatore)|Domenico Bartoli]] scrisse che già a metà degli anni trenta [[Italo Balbo]] aveva fatto avvertire il re dell'esistenza di questo dossier da un suo uomo di fiducia, cui il ministro della real casa [[Alessandro Mattioli Pasqualini]] disse che il re già sapeva tutto. Da esso fu tratto qualche stralcio, che più tardi, durante il periodo della [[Repubblica Sociale Italiana|Repubblica Sociale]], il ''Popolo di Alessandria'' utilizzò per costruirci su una storia pubblicata a puntate basata sui presunti vizi e deboscerie di un principe soprannominato "Stellassa". Eppure per motivi ancora non chiari Mussolini non lo utilizzò mai interamente e pubblicamente, neppure durante il periodo della Repubblica Sociale.
 
Il suo pessimismo sulle sorti della guerra e del regime si acutizzò e si cristallizzò in una visione lucida ma priva di spunti d'iniziativa fedelmente registrata in molteplici passi del diario di Ciano,<ref>{{cita|Oliva|p. 154}}.</ref> che ne giudica le capacità "superiori alla fama"; lo stesso [[Mack Smith]] gli riconosce "idee politiche piatte e convenzionali, ma non reazionarie [...] disposto a imparare". Però, al di là del suo sempre maggiore scontento, non tessé una forte rete di contatti con le opposizioni liberali come la moglie, non elaborò una idea per deporre Mussolini e non riuscì neppure a uscire dal cono d'ombra politico in cui il padre e il regime lo avevano posto.
 
Probabilmente fu anche per blandire il principe, oggetto e soggetto di tante voci, che Mussolini lo propose per la nomina di [[maresciallo d'Italia]], nomina che venne ratificata il 28 ottobre 1942, anniversario della [[Marcia su Roma]].
 
=== Golpe ventilato ===
[[File:Philip de László - Prince Umberto of Savoy, Prince of Piedmont 1928.jpg|miniatura|Il Principe Umberto di Savoia ritratto da [[Philip de László]]]]
Ciononostante Umberto continuò ad affiancare i propri impegni ufficiali con i frequenti contatti con gli oppositori del regime e con militari come [[Badoglio]] e [[Vittorio Ambrosio]], da poco nominato nuovo capo di stato maggiore generale. Probabilmente è in questo periodo che anche il principe ereditario iniziò a vedere Badoglio come una possibile carta spendibile per l'affossamento di [[Mussolini]], pur dimostrando di non averne molta fiducia. Confidò a un uomo vicino a Caviglia (l'altro maresciallo in predicato di essere successore del duce alla guida del governo), che giudicava il collega Badoglio "un cane da pagliaio che va dov'è il boccone più grosso", che condivideva il giudizio<ref>{{cita|Caviglia|p. 387}}.</ref>, ma ugualmente vedeva nel militare piemontese l'unico in grado di avere la fiducia dei fascisti frondisti, del sovrano e degli [[alto papavero|alti papaveri]] dell'esercito<ref>{{cita|Regolo|p. 406}}.</ref>.
 
Il 2 febbraio 1943 nacque al Quirinale l'ultimogenita dei principi di Piemonte, [[Maria Beatrice di Savoia (1943)|Maria Beatrice]]<ref>Sarà battezzata nella [[Cappella Paolina (Quirinale)|Cappella Paolina]] del Quirinale, al lume delle candele, causa erogazione di elettricità ridotta del 25 %, coi nomi di Maria Beatrice Elena Elisabetta Adelaide Margherita Francesca Romana. Madrina la [[Consorti dei Duchi d'Aosta|duchessa d'Aosta madre]] [[Elena d'Orléans|Elena]], padrino [[Adalberto di Savoia-Genova|Adalberto]], [[Savoia-Genova|duca di Genova]]. In {{cita|Regolo|p. 418}}.</ref>, il cui atto di nascita venne rogato il 4 febbraio da Ciano, che scrisse sul suo diario di aver avuto un breve colloquio con Umberto, che "vede le cose con molta esattezza. E ne è giustamente pensoso". Quella fu l'ultima incombenza ufficiale del genero del duce da ministro degli esteri: due giorni dopo divenne ambasciatore d'[[Italia]] presso la [[Santa Sede]].
 
Molto probabilmente furono anche le voci di fronda legate ai principi ereditari, oltre all'ostilità nazista, che nel rimpasto di governo del febbraio 1943 costarono il posto a Ciano, Bottai, Grandi e poi anche a Senise (quest'ultimo da capo della polizia). [[Edward Wood, I conte di Halifax|Lord Edward Halifax]], ambasciatore britannico a [[Washington]], scrisse nel suo rapporto che un italiano da poco rientrato in [[Turchia]] (non lo nomina, ma è possibile che fosse l'ambasciatore in quello Stato, il barone [[Raffaele Guariglia]], futuro ministro degli esteri del [[Governo Badoglio I|governo Badoglio]]) aveva riferito che tutti quei mutamenti politici erano dovuti alla "scoperta da parte della [[Gestapo]] che c'era un complotto per dare il potere al principe di Piemonte e rovesciare il governo [...]. Grandi, il precedente ambasciatore a [[Londra]], e il conte Ciano organizzarono il movimento sicuramente con la conoscenza del principe Umberto"<ref>{{cita|Regolo|p. 408}}.</ref>.
 
[[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]] non gradiva affatto l'attivismo politico del figlio e della [[Maria José del Belgio|nuora]]. Per quanto riguardava Maria José, che manteneva contatti sia coi politici dell'Italia pre-fascista, con intellettuali di varia estrazione e con ambienti vaticani, il re non tollerava che fosse una donna a occuparsi di politica, che ci si fidasse di vecchi ''revenants'' (fantasmi, come con disprezzo definiva Bonomi, Nitti e gli altri notabili d'epoca giolittiana) e di preti (noto era il suo anticlericalismo)<ref>{{cita|Mack Smith|p. 385}}.</ref>. Quanto al figlio, il sovrano era dell'idea, leit-motiv di casa Savoia, che "si regna uno alla volta".
 
A posteriori, Umberto diede la sua versione dei fatti, spiegando che l'idea di rimuovere [[Mussolini]] venne in seguito al disastro di [[Seconda battaglia di El Alamein|El Alamein]] "che irritò non soltanto il re mio padre, ma anche le sfere superiori militari [...] Fin dall'autunno 1942 cominciarono ad affluire in Quirinale alte personalità militari, persino il vecchissimo generale [[Vittorio Italico Zupelli|Zuppelli]], per invocare l'intervento della corona [...] Nella primavera anche il generale Ambrosio fece conoscere il suo piano"<ref>''Settimana Incom illustrata'', 1958, in {{cita|Regolo|p. 413}}.</ref>
 
Nella primavera del 1943 [[Maria José del Belgio|Maria José]] facilitò un incontro tra [[Ivanoe Bonomi]] e il marito, che egli raccontò nel suo ''Diario di un anno'': "gli dico che bisogna puntare su un generale, Badoglio o Caviglia. Lui dice di preferire Badoglio, perché Caviglia è troppo vecchio [...] Ma alla proposta di andare tutti dal re per spingerlo a decidersi, Umberto di nuovo tentenna. [...] la principessa mi aveva detto: il figlio non farà nulla contro il padre [...] Il principe ha idee chiare, peccato non abbia la ferma volontà di fare"<ref>{{cita|Oliva|p. 156}}.</ref>.
 
Tra marzo e aprile del 1943 Umberto ebbe un colloquio con il cognato [[Filippo d'Assia]]<ref>Renato Barneschi, ''Frau von Weber'', pp. 134-135.</ref>, che si concluse con la comune intenzione di chiedere a [[Hitler]] una pace prima che la situazione ancora peggiorasse. Il principe d'Assia ne parlò con il Führer nella prima settimana d'aprile al [[castello di Klessheim]], appena terminati i colloqui con Horthy e Mussolini, causando la sua ira: accusò i [[Casa Savoia|Savoia]] di essere degli ingrati nei confronti del duce e affermò che tutto si sarebbe aggiustato anche sul fronte italiano. Pochi giorni dopo Filippo d'Assia venne consegnato a [[Berchtesgaden]], e poi a [[Rastenburg]], per essere infine arrestato l'8 settembre.
 
Il 22 luglio, dalla sede del [[Gruppo d'armate Sud]], che si trovava a [[Sessa Aurunca]], Umberto tornò a Roma dove, l'indomani, incontrò il [[Pietro d'Acquarone|duca d'Acquarone]] e il cugino [[Aimone di Savoia-Aosta (1900-1948)|Aimone di Savoia-Aosta]], e in seguito tornò a Sessa e qui venne sorpreso dal voto del Gran consiglio e dalla successivo arresto di Mussolini. Quello stesso giorno [[Hitler]] espresse il proprio desiderio di arrestare tutti i membri della casa reale, e Keitel osservò che il principe ereditario "era più importante del vecchio"<ref>Eugene Dollman, ''Roma nazista'', Longanesi, 1951.</ref>
 
Il 26 luglio Umberto partì per Roma all'alba e nella mattinata incontrò di nuovo Acquarone, il cugino Aimone e il generale Sartoris, che lo resero edotto sugli ultimi avvenimenti, sui quali il re diede la sua versione durante il pranzo, a cui lui e Maria José erano invitati<ref>{{cita|Regolo|p. 422}}.</ref>. Probabilmente insoddisfatto dai colloqui, ebbe di nuovo un incontro nel pomeriggio con [[Pietro d'Acquarone|Acquarone]], cui seguì uno con [[Mario Roatta|Roatta]] e [[Vittorio Ambrosio|Ambrosio]]. Umberto, da sempre antinazista, era probabilmente in disaccordo con il proclama di [[Badoglio]], ma ligio all'autorità, non protestò né fece partecipe il padre dei suoi dubbi, continuando così a stare tra l'[[Abruzzo]] e la [[Campania]], visitando città e accampamenti<ref>{{cita|Regolo|p. 423}}.</ref>.
 
Il 4 agosto festeggiò il compleanno della moglie che, tre giorni dopo, venne mandata con le bambine per ordine di [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]] nel castello di Sant'Anna di [[Valdieri]] in [[Piemonte]], ufficialmente per motivi di sicurezza, ma in realtà perché l'attivismo politico e di stampo liberale di Maria José erano invisi al sovrano e a Badoglio.
 
=== Da Roma a Brindisi ===
{{vedi anche|Proclama Badoglio dell'8 settembre 1943|fuga del re Vittorio Emanuele III|mancata difesa di Roma}}
Nei giorni immediatamente precedenti alla resa italiana, Umberto ebbe un'intensa attività: il 6 settembre ispezionò la V armata a [[Orte]], la mattina del 7 incontrò il maresciallo von Richtofen e, nel tardo pomeriggio, ad [[Anagni]], il maresciallo Graziani, che lì viveva ritirato dal 1941. A una precisa domanda del militare sulla possibilità d'un armistizio il principe rispose "solo voci!", come gli era stato detto dal [[ministro della Real Casa]], duca [[Pietro d'Acquarone|d'Aquarone]] il 3 settembre, a Roma (sebbene questi fosse al corrente che nel frattempo l'[[armistizio di Cassibile|armistizio]] veniva firmato a [[Cassibile]]), e il 6, ad Anagni<ref>{{cita|Regolo|p. 427}}.</ref>. Partì per Roma alle 17:55 dell'8 settembre, giungendo al [[Palazzo del Quirinale|Quirinale]] dopo quasi un'ora ove, all'oscuro di tutto, venne finalmente informato circa l'armistizio da Acquarone. Il colloquio risulta essere avvenuto dopo le 19:10, come registrato dal primo aiutante di campo del principe nel proprio diario<ref>Il dattiloscritto si trova tra le pagine del diario della casa del [[principe di Piemonte]], [[Archivio di Stato di Torino]].</ref>.
 
Il Principe mandò una macchina ad [[Anagni]] per prelevare alcuni membri del suo entourage, tra i quali l'ammiraglio Bonetti e il generale Cavalli, e scrisse alcune lettere a ufficiali, compresa una a Graziani, non solo perché era "pur sempre maresciallo d'Italia", ma anche perché non voleva questi pensasse che gli avesse mentito: il latore della missiva, tenente colonnello Radicati, fu però arrestato il giorno dopo dai tedeschi e la lettera non giunse a destinazione<ref name=autogenerato2>{{cita|Regolo|p. 428}}.</ref>. Nella nottata il capitano maggiore pilota [[Carlo Maurizio Ruspoli di Poggio Suasa|Carlo Maurizio Ruspoli]], su incarico del principe, telefonò al ministro degli esteri Raffaele Guariglia, che avrebbe sostenuto in quella occasione di non essere stato avvisato da alcuno delle decisioni di Badoglio<ref>{{cita|Artieri 1977-1978|volume 2, pp. 841-842}}.</ref>. In verità Guariglia era informato, e anzi aveva reso edotto personalmente l'ambasciatore a Roma, von Mackensen, circa l'armistizio e il suo significato<ref name=autogenerato1>Arrigo Petacco, ''La seconda guerra mondiale'', Armando Curcio Editore, Roma, 1979, vol. 4, p. 1172.</ref>.
 
Poco prima che Umberto venisse informato, alle 18:45 dell'8 settembre si svolse al Quirinale una riunione presenti il Re, [[Badoglio]], Acquarone, Carboni, i ministri della guerra e dell'aeronautica, durante la quale sarebbe stato riferito al Re che l'unica soluzione era spostarsi nell'unica zona d'Italia non ancora occupata dalle due parti del conflitto, così da "salvaguardare l'indipendenza del governo e negoziare condizioni d'armistizio più onorevoli"<ref>{{cita|Regolo|p. 430}}.</ref>.
 
Alle 19:30, i sovrani tornarono al Quirinale, dove giunsero anche i piccoli [[Ottone d'Assia|Ottone]] ed Elisabetta, figli di Mafalda e di Filippo d'Assia, con la "tata": la regina chiamò l'addetto alla sicurezza Nicola Marchitto e gli disse di portarli al sicuro in [[Città del Vaticano|Vaticano]], perché troppo piccoli per essere portati con loro. Alle 21:20 il corteo si diresse al ministero della guerra, e intorno alle 5 del mattino partì uscendo furtivamente da un portone secondario di [[palazzo Baracchini]], sulla stretta via Napoli. Rosa Perone Gallotti, cameriera personale dei sovrani, definì la partenza come un "pandemonio […] Ministri, militari e gentiluomini volevano partire per primi, facevano ressa per la paura. Fu una vergogna, davvero."<ref>{{cita|Regolo|p. 431}}.</ref> Della partenza da Roma e di come si svolse Umberto II parlò durante un'intervista televisiva con lo storico [[Nicola Caracciolo]], avvenuta nel 1979, confluita nel documentario ''Il piccolo re''.
 
{{Citazione| Aver lasciato Roma in quel modo può essere stato uno sbaglio […] In quel modo, senza avvisare i ministri. E ancor adesso sono convinto che i ministri non abbiano avuto modo di raggiungere - non so - il re, oppure non aver potuto prendere le disposizioni. Si sarebbero svegliati la mattina […] e avrebbero potuto trovarsi i tedeschi in casa e rischiare veramente molto. Cosa che […] non accadde. Ma l'impressione che loro diedero fu molto sfavorevole, soprattutto al maresciallo Badoglio. L'impressione di essere stati dimenticati.<ref name=autogenerato2 />}}
 
Nella stessa intervista, alla precisa domanda sul perché il governo avesse deciso di lasciare la capitale senza organizzare alcuna resistenza militare, disse:
{{quoteCitazione| Non c'era il mezzo di poter difendere Roma. E poi, se anche uno avesse potuto farlo, avrebbe dato ragione e agli alleati e ai tedeschi di reagire. E sappiamo in che modo avrebbero reagito. […] Avrebbero avuto ragione per bombardare. Se i tedeschi avessero fatto qualcosa su Roma, sarebbe stata la fine di Roma […] e poi era stata anche dichiarata [[città aperta]]. E poi c'era la questione della presenza del Papa[[papa]] […] <ref> L.name=autogenerato2 Regolo, op. cit. pg. 428 </ref>}}
 
Alla domanda di Nicola Caracciolo se fosse cambiato qualcosa se l'Armistizio fosse stato annunciato dagli Alleati il 16 settembre, Umberto II risposte:
 
{{Citazione| si sarebbe potuto fare uno schieramento di truppe a nord di Roma e impedire che i tedeschi venissero su Roma; e la famosa divisione americana, di cui si era parlato vagamente, sarebbe potuta sbarcare ad Anzio o a Civitavecchia... quella era tutta un'altra.... non avendo questa possibilità di fare uno schieramento a nord di Roma, naturalmente i tedeschi sarebbero arrivati a Roma in poche ore perché erano vicinissimi.<ref name=autogenerato2 />}}
 
Tale parere di Umberto, tuttavia, è smentito da diverse fonti e da diversi dati storici. Sia il comandante tedesco del fronte Sud, feldmaresciallo [[Albert Kesselring]], sia il suo capo di stato maggiore, [[Siegfried Westphal]] nel dopoguerra sostennero che, in presenza di resistenza armata italiana organizzata a [[Roma]] e visto il contemporaneo [[sbarco a Salerno]], la situazione tedesca si sarebbe fatta "disperata" e le probabilità di occupare con successo Roma e gran parte d'Italia molto remote. Per altro, parallelamente alla fuga dei reali in auto lungo la via Tiburtina, avvenne quella del personale diplomatico tedesco via treno, inclusi l'ambasciatore germanico e il console [[Eitel Friedrich Moellhausen]], che avevano in tutta fretta disposto la distruzione di tutti i documenti sensibili dell'ambasciata tedesca appena dopo esser stati personalmente informati da [[Raffaele Guariglia|Guariglia]] della situazione, evidentemente giudicata anche da essi come disperata<ref name=autogenerato1 />.
 
Umberto partì quindici minuti dopo i genitori e per tutta la durata del viaggio espresse più volte la propria intenzione di restare, come comandante militare, a guidare una resistenza delle truppe e a rappresentare la corona nella capitale, contestando l'ordine del padre<ref>{{cita|Mack Smith|p. 411}}.</ref>. Era conscio che, sebbene apparisse ragionevole tentare di salvare la continuità delle istituzioni statali, il trasferimento del re e del governo, operato in quella maniera, si stava svolgendo nel modo peggiore, tale da arrecare un danno gravissimo anche al prestigio della corona<ref>{{cita|Oliva|p. 175}}.</ref>.
Tale parere di Umberto, tuttavia, è smentito da diverse fonti e da diversi dati storici. Sia il comandante tedesco del fronte sud, Feldmaresciallo [[Albert Kesselring]], sia il suo Capo di Stato maggiore, [[Siegfrid Westphal]] nel dopoguerra sostennero che, in presenza di resistenza armata italiana organizzata a Roma e visto il contemporaneo [[Sbarco di Salerno]], la situazione tedesca si sarebbe fatta "disperata" e le probabilità di occupare con successo Roma e gran parte d'Italia molto remote. Per altro, parallelamente alla fuga dei reali in auto lungo la via Tiburtina, avvenne quella del personale diplomatico tedesco via treno, inclusi l'ambasciatore germanico e il console Eitel Moellhousen, che avevano in tutta fretta disposto la distruzione di tutti i documenti sensibili dell'ambasciata tedesca appena dopo esser stati personalmente informati da Guariglia della situazione, evidentemente giudicata anche da essi come disperata<ref>Arrigo Petacco , La seconda guerra mondiale, Armando Curcio Editore, Roma, 1979, vol. 4, pag. 1172.</ref>.
 
Nel viaggio da Roma, al bivio per [[Brecciarola]] (presso [[Chieti]], quasi giunti alla destinazione prevista di [[Ortona]]), fermatosi il convoglio per un carretto in mezzo alla strada, il principe scese e si affiancò alla macchina dove c'era il re per esprimergli l'intenzione di tornare indietro: il padre gli rispose in piemontese «''Beppo, s'at piju, at massu''» cioè «Beppo, se ti prendono ti ammazzano». Più tardi, giunti presso il [[Castello Ducale di Crecchio|castello]] di [[Crecchio]], ospiti dai duchi di Bovino [[Giovanni De Riseis|Giovanni]] e Antonia de Riseis, parlando con il maggiore pilota [[Carlo Maurizio Ruspoli di Poggio Suasa|Carlo Maurizio Ruspoli]], già suo compagno di corso al collegio militare, Umberto esplorò la possibilità di tornare nella capitale in aereo, e di questo parlò con il generale [[Paolo Puntoni]]<ref>Paolo Puntoni, ''Parla Vittorio Emanuele III'', p. 201.</ref>, aiutante di campo del re. "La mia partenza da Roma è stato semplicemente uno sbaglio. Penso che sarebbe opportuno io tornassi indietro: la presenza di un membro della mia casa nella capitale, in momenti così gravi la reputo indispensabile"<ref name=autogenerato6>{{cita|Regolo|p. 432}}.</ref>.
Umberto partì quindici minuti dopo i genitori e per tutta la durata del viaggio espresse più volte la propria intenzione di restare, come comandante militare, a guidare una resistenza delle truppe e a rappresentare la Corona nella capitale, contestando l'ordine del padre<ref> Denis Mack Smith, "I Savoia Re d'Italia", Rizzoli, 1990, p. 411.</ref>. Era conscio che, sebbene apparisse ragionevole tentare salvare la continuità delle istituzioni statali, il trasferimento del Re e del governo, operato in quella maniera, si stava svolgendo nel modo peggiore, tale da arrecare un danno gravissimo anche al prestigio della Corona<ref>Oliva, "Umberto II" pg. 175.</ref>.
 
Nel viaggio da Roma, al bivio per [[Bracciarola]] (presso Chieti, quasi giunti alla destinazione prevista di Pescara), fermatosi il convoglio per un carretto in mezzo alla strada, il Principe scese e si affiancò alla macchina dove c'era il Re per esprimergli l'intenzione di tornare indietro: il padre gli rispose in piemontese "''Beppo, s'at piju, at massu''" cioè "Beppo, se ti prendono ti ammazzano". Più tardi, giunti presso il castello di [[Crecchio]], ospiti dai duchi di Bovino, parlando con il maggiore pilota Carlo Ruspoli, già suo compagno di corso al collegio militare, Umberto esplorò lo possibilità di tornare nella capitale in aereo, e di questo parlò con il generale Puntoni<ref>Paolo Puntoni, ''Parla Vittorio Emanuele III'', pag. 201.</ref>, aiutante di campo del Re. "La mia partenza da Roma è stato semplicemente uno sbaglio. Penso che sarebbe opportuno io tornassi indietro: la presenza di un membro della mia Casa nella capitale, in momenti così gravi la reputo indispensabile" <ref> L. Regolo, op. cit. pg. 432 </ref>. Badoglio gli disse "Le devo ricordare che lei è un soldato, e poiché porta le stellette deve obbedire": egli, il Rere ede [[Pietro d'Acquarone|Acquarone]] addussero motivi di sicurezza personale e politici: il suo gesto avrebbe screditato il governo ede il sovrano<ref>Oliva, name="Umberto IIOliva176" pg>{{cita|Oliva|p. 176}}.</ref>. La stessa duchessa di Bovino Antonia de Riseis cercò di convincerlo a tornare a Roma per organizzare una resistenza armata e galvanizzare il morale delle truppe, ma il Principeprincipe le rispose che in quel momento un tale atto sarebbe parso una ribellione, mentre tutti dovevano collaborare per non indebolire l'autorità sovrana, stringendolesi attorno <ref>Luigi Cafieri, ''Da Crecchio a San Samuele in otto tappe'', Laterza, pgp. 26.</ref>. Ulteriore tentativo di Umberto di opporsi alle decisioni regie e governative avvenne all'[[aeroporto di Pescara]], nel pomeriggio del 9 settembre, alla presenza di una nutrita parte della comitiva, quando egli espresse il desiderio di voler tornare a Roma per difendere l'onore di Casa[[casa Savoia]]: fu la regina, questa volta, a dirgli "''Beppo, tu n'iras pas on va te tuer''" cioè "Non andrai Beppo, ti uccideranno" <ref>L. Regolo,name=autogenerato6 op. cit. pg 432.</ref>.
 
Nell'intervista del 1979, invece, Umberto II smentì questi fatti:
{{quoteCitazione| Si è detto che durante il viaggio io dissentivo, è vero, ma non dalla decisione di mio padre, che mi è sempre parsa meditata, ma da come i fatti andavano evolvendo. [...] Ci fu una riunione ede io dissi, se avete bisogno che qualcuno torni a Roma, ovviamente io sono disponibile. Non andraiandai oltre, assolutamente.<ref> Gigi {{cita|Speroni, ''Umberto II''|p. pg 295 }}.</ref>.}}
Per Questaalcuni menzognaquesta affermazione fu una menzogna, frutto di lealismo dinastico e di insita disciplina familiare, tale da fargli preferire essere accomunato nelle critiche rivolte al padre e a [[Badoglio]] piuttosto che, dimostrando a posteriori di essere stato più lungimirante di loro, condannare le scelte paterne<ref>L. Regolo,name="Oliva176" op. cit. pg 433.</ref> <ref>Oliva, "Umberto II" pg{{cita|Regolo|p. 176433}}.</ref>.
 
L'imbarco al molo di [[Ortona]] per [[Brindisi]] avvenne, sotto l'oscuramento, alle 23.:30 e nella calca frenetica dei molti ufficiali e dignitari che volevano salire sulle due navi mandate dal ministro [[Raffaele de Courten]], il Principeprincipe dovette fendere personalmente la folla, per poter passare assieme ai genitori. A Brindisi il Principeprincipe prese alloggio nella palazzina dell'ammiragliato, dove ebbe un colloquio con [[Mario Roatta|Roatta]] ede il maggiore [[Carlo Maurizio Ruspoli di Poggio Suasa|Ruspoli]].
 
==La= Luogotenenza ===
[[File:Hrh Prince Umberto of Italy, May 1944 TR1834.jpg|miniatura|Umberto a [[Sparanise]] nel maggio 1944]]
[[Immagine:UmbertoIIsavoia1946.jpg|right|thumb|200px|Umberto II con Maria José e i figli.]]
Nel febbraio 1944 il governo del Sud si era trasferito a [[Salerno]]. Il 12 aprile 1944 un radiomessaggio diffondeva la decisione del Sovrano di nominare il figlio Umberto luogotenente a liberazione della Capitale avvenuta. Il 5 giugno 1944, dopo la [[liberazione di Roma]], [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]] nominò il figlio [[Luogotenenza del regno|luogotenente generale del Regno]], in base agli accordi tra le varie forze politiche che formavano il [[Comitato di Liberazione Nazionale]], e che prevedevano di «congelare» la questione istituzionale fino al termine del conflitto.
Nel giugno del [[1944]], dopo la liberazione di Roma, Vittorio Emanuele III nominò il figlio ''Luogotenente Generale del Regno'' in base agli accordi tra le varie forze politiche che formano il [[Comitato di Liberazione Nazionale]], che prevedevano di «congelare» la questione istituzionale fino al termine del conflitto. Umberto, dunque, esercitò di fatto le prerogative del sovrano senza tuttavia possedere la dignità di re, che rimase a Vittorio Emanuele III, restato in disparte a [[Salerno]]. In realtà si trattava di un compromesso suggerito dall'ex presidente della Camera [[Enrico De Nicola]], poiché i capi dei partiti antifascisti avrebbero preferito l'abdicazione di Vittorio Emanuele III, la rinuncia al trono da parte di Umberto e la nomina immediata di un reggente civile. Il Luogotenente si guadagnò ben presto la fiducia degli Alleati grazie alla scelta di mantenere la monarchia italiana su posizioni filooccidentali.
 
È una data che segna il passaggio dei poteri dal re al figlio Umberto, che così esercitò le prerogative del sovrano dal Quirinale, senza tuttavia possedere la dignità di re, con Vittorio Emanuele che rimase a vita privata a [[Salerno]]. Si trattava di un compromesso suggerito dall'ex presidente della Camera [[Enrico De Nicola]], poiché i capi dei partiti antifascisti avrebbero preferito l'abdicazione di Vittorio Emanuele III, la rinuncia al trono da parte di Umberto e la nomina immediata di un reggente civile. Il luogotenente del Regno si guadagnò ben presto la fiducia degli Alleati grazie alla scelta di mantenere la monarchia italiana su posizioni filoccidentali.
Umberto firmò su pressione americana<ref>Gli Alleati si impegnarono con i Savoia a garantire lo svolgimento della consultazione nelle modalità previste. Cfr. [http://www.fondazionespirito.it/newsletter/n2/relazionericci.pdf ''Il nodo referendario''] di Aldo Giovanni Ricci</ref> il decreto legislativo luogotenenziale 151/1944, che stabiliva che «dopo la liberazione del territorio nazionale le forme istituzionali» sarebbero state «scelte dal popolo italiano, che a tal fine» avrebbe eletto «a suffragio universale, diretto e segreto, un'Assemblea Costituente per deliberare la nuova costituzione dello Stato» dando per la prima volta il voto alle donne.
 
Umberto si insediò al Quirinale e su proposta del [[CLN]] affidò il 18 giugno l'incarico di formare il nuovo governo a [[Ivanoe Bonomi]], estromettendo, quindi, Badoglio. Umberto firmò su pressione americana<ref>Gli Alleati si impegnarono con i [[Casa Savoia|Savoia]] a garantire lo svolgimento della consultazione nelle modalità previste. Cfr. {{cita testo|url=http://www.fondazionespirito.it/newsletter/n2/relazionericci.pdf|titolo=''Il nodo referendario''|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20110722033331/http://www.fondazionespirito.it/newsletter/n2/relazionericci.pdf }} di Aldo Giovanni Ricci.</ref> il decreto legislativo luogotenenziale 151/1944, che stabiliva che "dopo la liberazione del territorio nazionale le forme istituzionali" sarebbero state "scelte dal popolo italiano, che a tal fine" avrebbe eletto "a suffragio universale, diretto e segreto, un'Assemblea costituente per deliberare la nuova costituzione dello Stato" dando per la prima volta il voto alle donne.
Formò quindi la Commissione per redigere lo Statuto della Sicilia in conformità con il suo intento di evitare la secessione dell'isola ad opera dei movimenti indipendentisti.
 
Formò quindi la commissione ([[Consulta regionale siciliana]]) per redigere lo [[statuto speciale|statuto autonomo]] della Sicilia, in conformità con il suo intento di evitare la secessione dell'isola a opera dei movimenti indipendentisti.
Nel corso dei due anni trascorsi al [[Palazzo del Quirinale|Quirinale]], Umberto era assecondato da una piccola cerchia di fedelissimi formata più da tecnici che da politici. Il suo consigliere più ascoltato era il ministro della Real Casa [[Falcone Lucifero]]. I margini di azione della corte erano però limitati, anche a causa dell'esiguità dei fondi a disposizione (il Luogotenente dispone solo della metà della "lista civile", il resto spettante al padre). Di qui la soluzione di acquisire benemerenze largheggiando nella concessione di onorificenze e perfino di titoli nobiliari. Tuttavia, la storia dei cosiddetti "conti di Ciampino" appare infondata: Umberto II, quando si era recato a [[Ciampino]] il [[13 giugno]] [[1946]], era stato accompagnato da un folto seguito, nel quale si trovavano anche alcune persone che avevano richiesto un titolo nobiliare.
Nella confusione del momento, Umberto II si stava raccomandando con il ministro della Real Casa [[Falcone Lucifero]] di "far bene tutti i conti". Il riferimento era relativo alle spese che erano state sostenute nei giorni precedenti al referendum. Questa sua raccomandazione, però, è stata fraintesa da alcuni storici, che hanno ritenuto invece che, per gratitudine nei confronti di quei fedeli, Umberto II avesse voluto "farli tutti conti" <ref>http://www.rivstoricavirt.com/rivstoricavirt_sito/CorpoNobt%E0.html</ref>.
 
[[File:Churchill and Umberto of Savoy 1944.jpg|miniatura|sinistra|Umberto, luogotenente del Regno, con il Primo ministro britannico [[Winston Churchill]] il 22 agosto 1944]]
==Abdicazione del padre e referendum costituzionale==
Il [[9 maggio]] [[1946]], ad appena un mese dallo svolgimento del [[Referendum istituzionale del 1946|referendum istituzionale]] che dovrà decidere tra monarchia e repubblica, Vittorio Emanuele III abdicò e si trasferì in [[Egitto]] con la regina Elena, assumendo il nome di [[Conte di Pollenzo]]. Gli esponenti dei partiti di sinistra e i repubblicani denunceranno la violazione della tregua istituzionale negoziata attraverso l'istituto della luogotenenza, che avrebbe dovuto essere mantenuta fino alla risoluzione del nodo istituzionale (anche se il presidente del consiglio [[Alcide De Gasperi]] cercò, di minimizzare parlando di "fatto interno a casa Savoia"). La speranza di Casa Savoia era di far recuperare consensi all'istituto monarchico con l'uscita definitiva di scena del vecchio Re e grazie anche alla maggiore popolarità del nuovo sovrano Umberto II. Non vennero effettuate cerimonie formali di successione, in quanto lo stesso [[Statuto albertino]] prevedeva che all'abdicazione del sovrano seguisse la successione come monarca del principe ereditario.
 
Nel 1944 Umberto firmò anche il decreto luogotenenziale del 10 agosto n. 224, che abolì la [[pena di morte]], tranne per alcuni reati in tempo di guerra; fu reintrodotta, con effetto temporaneo, nel maggio 1945 per alcuni gravi reati su iniziativa del governo De Gasperi e abolita definitivamente solo dalla [[Costituzione della Repubblica Italiana|Costituzione repubblicana]] del 1948. Umberto era difatti contrario alla pena capitale e, nel caso dei condannati per reati della guerra conclusa, avrebbe probabilmente firmato tutte le domande di [[grazia (diritto)|grazia]], salvo forse, alcuni casi di delitti particolarmente efferati; il [[Ministri di grazia e giustizia del Regno d'Italia|Ministro di grazia e giustizia]] [[Palmiro Togliatti]] (che poi promulgò l'[[amnistia Togliatti|amnistia]]) era invece ostile ad accogliere gran parte delle domande.<ref>[[Sergio Boschiero]], ''E Togliatti scippò l'amnistia al Re''.</ref>
Il [[15 maggio]] [[1946]] Umberto II promulgò lo Statuto della [[Sicilia]], che rese la regione autonoma. Fu la prima volta che in Italia si iniziò a parlare di autonomia regionale nell'ottica del rispetto delle particolarità locali. Lo Statuto è ancora oggi quello su cui si fonda la [[Sicilia|Regione Siciliana]].
 
Alla fine della guerra, Umberto apprese dal dottor [[Fausto Pecorari]] la notizia della morte di sua sorella [[Mafalda di Savoia|Mafalda]], prigioniera dei nazisti e deceduta nel 1944 nel [[campo di concentramento di Buchenwald]] per le ferite riportate durante un bombardamento aereo statunitense.<ref>{{cita|Artieri 1983|p. 541}}.</ref>
Nella giornata del [[2 giugno]] e la mattina del [[3 giugno]] [[1946]] ebbe dunque luogo il [[Referendum istituzionale del 1946|referendum istituzionale]] per scegliere tra la monarchia e la repubblica. Sia pure di misura, le fonti ufficiali parlarono di una maggioranza dei voti validi in favore della soluzione repubblicana, anche se non mancheranno ricorsi e voci di brogli.
 
Nel giugno 1945 insediò il [[Governo Parri]], e nel dicembre dello stesso anno il [[Governo De Gasperi I|primo governo De Gasperi]].
Il [[10 giugno]] alle ore 18.00 (nella Sala della Lupa a Montecitorio) la [[Corte Suprema di Cassazione|Corte di Cassazione]] diede lettura dei risultati del referendum (la Repubblica ottenne 12.717.923 voti mentre i favorevoli alla Monarchia risultarono 10.719.284), senza procedere alla proclamazione della Repubblica e rimandando ad una successiva seduta il giudizio definitivo su contestazioni, proteste e reclami.
 
Nel corso dei due anni trascorsi al [[Palazzo del Quirinale|Quirinale]], Umberto fu assecondato da una piccola cerchia di fedelissimi formata più da tecnici che da politici. Il suo consigliere più ascoltato era il ministro della real casa [[Falcone Lucifero]]. I margini di azione della corte erano però limitati, anche a causa dell'esiguità dei fondi a disposizione (il luogotenente disponeva solo della metà della "lista civile", il resto spettante al padre). La celebre storia dei cosiddetti "conti di Ciampino" o "conti della scaletta" appare infondata: Umberto II, quando si era recato a [[Ciampino]] il 13 giugno 1946, era stato accompagnato da un folto seguito, nel quale si trovavano anche alcune persone che avevano richiesto un titolo nobiliare.
La notte tra il [[12 giugno]] e il [[13 giugno]] [[1946]], senza attendere il [[18 giugno]], data nella quale la Corte di Cassazione avrebbe reso noti i risultati definitivi della consultazione referendaria, il Consiglio dei ministri, visti i gravi disordini di Napoli e stante l'impossibilità di un'intesa con Umberto II, proclamò l'instaurazione di un regime transitorio durante il quale l'esercizio delle funzioni di capo dello Stato spettava per legge al presidente del Consiglio in carica, [[Alcide De Gasperi]]<ref>Ciò avvenne nonostante il disposto dell'art. 2 del Decreto Legislativo luogotenenziale 16 marzo 1946, n. 98[http://www.parlalex.it/pagina.asp?id=2823], che imponeva di attendere la proclamazione della vittoria repubblicana.</ref>.
 
Nella confusione del momento, Umberto II si stava raccomandando con il ministro della real casa [[Falcone Lucifero]] di "far bene tutti i conti". Il riferimento era relativo alle spese che erano state sostenute nei giorni precedenti al referendum. Questa sua raccomandazione, però, è stata fraintesa da alcuni storici, che hanno ritenuto invece che, per gratitudine nei confronti di quei fedeli, Umberto II avesse voluto «farli tutti conti».
Questo è il comunicato:
 
=== Re per abdicazione del padre ===
{{quote|Il Consiglio dei Ministri afferma che la proclamazione dei risultati del referendum, fatta il 10 giugno dalla Corte di Cassazione, ha portato automaticamente all'instaurazione di un regime transitorio durante il quale, fino a quando l'Assemblea Costituente non avrà nominato il Capo Provvisorio dello Stato, l'esercizio delle funzioni di Capo dello Stato medesimo spetta al Presidente del Consiglio in carica. La situazione creata dalla volontà del popolo non può considerarsi modificata dalle comunicazioni di Umberto II al Presidente del Consiglio.}}
{{vedi anche|Abdicazione di Vittorio Emanuele III}}
[[File:Umberto II - 10 maggio 1946.jpg|miniatura|upright=0.8|Il primo giorno di regno di Umberto II di Savoia]]
Il 9 maggio 1946, un mese prima dello svolgimento del [[Nascita della Repubblica Italiana|referendum istituzionale]] che doveva decidere tra monarchia e repubblica, [[Abdicazione di Vittorio Emanuele III|Vittorio Emanuele III]] a Napoli abdicò a favore del figlio Umberto.<ref>Questo il comunicato ufficiale: "''Oggi alle ore 15,15 in Napoli, il re Vittorio Emanuele III ha firmato l'atto di abdicazione e, secondo la consuetudine, è partito in volontario esilio. Non appena il nuovo re Umberto II tornerà a Roma ne verrà data comunicazione ufficiale al Consiglio dei ministri"''.</ref> La sera stessa si imbarcò sul ''[[Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi (incrociatore)|Duca degli Abruzzi]]'' e in volontario esilio si trasferì in [[Regno d'Egitto|Egitto]] con la [[Elena del Montenegro|regina Elena]], assumendo il titolo di [[conte di Pollenzo]]<ref>L'atto di abdicazione di Vittorio Emanuele III è riprodotto sul sito della {{cita testo|url=https://marteau7927.wordpress.com/2014/05/09/abdicazione-di-vittorio-emanuele-iii-9-maggio-1946/|titolo=wordpress}}.</ref>.
 
Gli esponenti dei partiti di sinistra e i repubblicani denunciarono la violazione della tregua istituzionale negoziata attraverso l'istituto della luogotenenza, che avrebbe dovuto essere mantenuta fino alla risoluzione del nodo istituzionale (anche se il presidente del consiglio [[Alcide De Gasperi]] cercò di minimizzare parlando di "fatto interno a casa Savoia"). La speranza di [[casa Savoia]] era di far recuperare consensi all'istituto monarchico con l'uscita definitiva di scena del vecchio re e grazie anche alla maggiore popolarità del nuovo sovrano Umberto II. Non vennero effettuate cerimonie formali di successione, in quanto lo stesso [[statuto albertino]] prevedeva che all'abdicazione del sovrano seguisse ''ipso facto'' la successione come monarca del principe ereditario.
La comunicazione di Umberto II alla quale si accenna era uno scritto fatto pervenire la mattina del [[12 giugno]] ad Alcide De Gasperi, con il quale il sovrano affermava che sarebbe rimasto fino a che la Corte di Cassazione non si fosse pronunciata nella seduta fissata per il giorno 18.
 
Il 15 maggio 1946 Umberto II promulgò con decreto (Regio Decreto Legislativo 455/1946), approvato dal primo governo De Gasperi, lo statuto della [[Sicilia]], che rese la regione autonoma. Fu la prima volta che in [[Italia]] si iniziò a parlare di autonomia regionale nell'ottica del rispetto delle particolarità locali. Il decreto, poi convertito dall'[[Assemblea Costituente (Italia)|Assemblea Costituente]] in [[legge costituzionale]] 26 febbraio 1948, n. 2, è ancora oggi la norma statutaria speciale della [[Sicilia|Regione Siciliana]].
==L'esilio==
 
=== Referendum istituzionale ===
Benché da più parti filomonarchiche gli pervenissero inviti a resistere, poiché si sospettavano [[brogli elettorali]], Umberto II preferì prendere atto del fatto compiuto, pure perché l'alternativa poteva essere una guerra civile tra monarchici e repubblicani, cosa che era nell'aria con i fatti di Napoli e si voleva evitare ad un paese appena uscito da una guerra disastrosa un'ulteriore tragedia, e il [[13 giugno]] partì in aeroplano da [[Ciampino]] dopo aver diramato un proclama [http://www.diesis.com/phpgroupware/files/home/roberto/partenza.htm] dove si parla, tra l'altro, di un "gesto rivoluzionario" del Consiglio dei ministri.
{{Vedi anche|Nascita della Repubblica Italiana}}
[[File:Umberto II alle urne.jpg|miniatura|upright=0.8|Umberto II si reca a votare il 2 giugno 1946 per il [[referendum istituzionale del 1946|referendum istituzionale]]]]
Il 16 marzo 1946 il principe Umberto aveva decretato<ref>{{cita testo|url=http://www.parlalex.it/pagina.asp?id=2823|titolo=Decreto del 16 marzo 1946}}.</ref> che la forma istituzionale dello Stato sarebbe stata decisa mediante referendum, contemporaneo alle elezioni per l'[[Assemblea Costituente (Italia)|Assemblea costituente]]. Il decreto per l'indizione del referendum recitava, in una sua parte: "... qualora la maggioranza degli elettori votanti si pronunci... "<ref>{{cita testo|url=http://www.parlalex.it/pagina.asp?id=2823|titolo=Decreto legislativo luogotenenziale 16 marzo 1946, n. 98}}.</ref> Tale frase sembrava configurare anche la possibilità che nessuna delle due forme istituzionali proposte (monarchia o repubblica) raggiungesse la "maggioranza degli elettori votanti", ossia la somma non soltanto dei voti attribuiti alla monarchia o alla repubblica, ma anche delle schede bianche e delle schede nulle. Assunta la corona, il nuovo re confermò la promessa fatta di rispettare il volere dei cittadini, liberamente espresso, circa la scelta della forma istituzionale.
 
Durante la campagna referendaria, alcuni esponenti repubblicani fecero riferimento alla presunta omosessualità di Umberto. L'11 maggio 1946, durante un comizio in [[piazza del Popolo (Roma)|piazza del Popolo]] a Roma, il generale [[Arnaldo Azzi]] definì il sovrano «re [[Pederastia|pederasta]]», suscitando dure polemiche. Il regista [[Carlo Lizzani]] testimoniò di aver assistito a un comizio durante il quale il segretario socialista [[Pietro Nenni]] avrebbe domandato alla folla: «volete voi un re pederasta?». Negli stessi giorni [[Randolfo Pacciardi]], segretario del [[Partito Repubblicano Italiano]], durante un suo comizio a Siena, ammonì il pubblico sul fatto che «in un regime monarchico il popolo deve subire un re anche se idiota e pederasta»<ref>{{cita libro|autore=Lorenzo Benadusi|titolo=Il nemico dell'uomo nuovo. L'omosessualità nell'esperimento totalitario fascista|anno=2021|annooriginale=2005|editore=Feltrinelli|città=Milano|ISBN=8858845730|p=538, n. 84}} La testimonianza di Lizzani è contenuta nel documentario su [[Luchino Visconti]] intitolato ''Il conte rosso. Vita di Luchino Visconti'', ''[[La storia siamo noi]]'', 1º novembre 2006.</ref>.
Giorni prima, Umberto II, nel considerare la legittimità' della monarchia come forma di regime di una nazione nei confronti del risultato referendario, aveva detto: "''La Repubblica si può reggere col 51%, La Monarchia no. La Monarchia non è un partito. É un istituto mistico, irrazionale, capace di suscitare negli uomini, sudditi e principi incredibile volontà di sacrificio... deve essere un simbolo caro o è nulla.''" <ref>Cfr. G. Navone p.139 </ref> <ref>D. Bartoli p.61</ref>
Come meta scelse [[Cascais]] in [[Portogallo]], seguendo l'esempio di [[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]], che si era recato in esilio a [[Oporto]].
 
Nella giornata del 2 giugno e la mattina del 3 giugno 1946 ebbe dunque luogo il [[Referendum istituzionale del 1946|referendum]] per scegliere fra [[monarchia]] o [[repubblica]]. La maggioranza in favore della soluzione repubblicana fu di circa due milioni dei voti validi, anche se non mancarono tentativi di ricorsi e voci filo-monarchiche di presunti brogli.
Con l'entrata in vigore della [[Costituzione Italiana|Costituzione repubblicana]] il [[1° gennaio]] [[1948]] l'esilio di Umberto II di Savoia acquista forza di legge costituzionale, essendo previsto dal primo capoverso della XIII disposizione finale e transitoria, i cui effetti cesseranno solo nel [[2002]] a seguito di una legge di revisione costituzionale.
 
Il 10 giugno, alle ore 18:00, nella sala della Lupa a [[Montecitorio]] la [[Corte suprema di cassazione|Corte di cassazione]], secondo quanto attestato dai verbali, proclamò i risultati del referendum (e cioè: 12&nbsp;672&nbsp;767 voti per la repubblica, e 10&nbsp;688&nbsp;905 per la monarchia), rimandando ad altra adunanza il giudizio definitivo su contestazioni, proteste e reclami, il numero complessivo degli elettori votanti e quello dei voti nulli<ref>La riproduzione del verbale dattiloscritto su foglio a quadretti è riportata sul sito internet {{cita testo|url=http://www.didaweb.net/fuoriregistro/leggi.php?a=2973|titolo=didaweb.net}}.</ref><ref>Gabriella Fanello Marcucci, Il primo governo De Gasperi (dicembre 1945-giugno 1946): sei mesi decisivi per la democrazia in Italia, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 2004, pag. 117-118.</ref>.
L'unione con Maria José, in crisi da lungo tempo, si incrinerà definitivamente. L'ex regina lascia ben presto Cascais per trasferirsi a Merlinge, nei pressi di [[Ginevra]], con il piccolo Vittorio Emanuele. Con Umberto rimangono le tre figlie Maria Pia, Maria Gabriella e Maria Beatrice, che presto diventeranno, a causa della loro vita sentimentale a volte tumultuosa, oggetto di morbose attenzioni da parte della stampa popolare e fonte di ulteriori dispiaceri per il padre<ref>cfr. Lucio Lami, ''Il Re di maggio'', Ares, 2002</ref>.
 
La notte del 12 giugno il governo si riunì su convocazione di [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]]. De Gasperi aveva ricevuto in giornata una comunicazione scritta dal Quirinale nella quale il re si dichiarava intenzionato a rispettare il responso degli "elettori votanti", come stabilito dal decreto di indizione del referendum, aggiungendo che avrebbe atteso il giudizio definitivo della [[Corte di cassazione]] secondo quanto stabilito dalla legge. La lettera, che sollevava la questione del [[quorum]], suscitò le preoccupazioni dei ministri intenzionati alla proclamazione immediata della repubblica (secondo la celebre frase di Pietro Nenni: «o la repubblica o il caos!»), mentre, nello stesso tempo, era necessario far fronte alle crescenti proteste dei monarchici, [[Strage di via Medina|represse sanguinosamente]] dagli ausiliari di [[Giuseppe Romita|Romita]] il giorno prima a [[Napoli]] in via Medina, dove 9 manifestanti avevano perso la vita e 150 erano rimasti feriti<ref>{{cita testo|url=http://www.monarchia.it/via_medina_special.html|titolo=Gli scontri di Napoli|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20120307140121/http://www.monarchia.it/via_medina_special.html }}.</ref>. Lo stesso 12 giugno una manifestazione monarchica era stata dispersa violentemente<ref>{{cita|Mola|p. 106}}.</ref>.
A partire dal [[1964]] Umberto II subisce una serie di pesanti interventi chirurgici, probabilmente a causa del tumore che dopo lunghe sofferenze sarà la causa della sua morte. Muore a [[Ginevra]] il [[18 marzo]] [[1983]], in una clinica dove era stato trasferito pochi giorni prima da [[Londra]] in un estremo quanto inutile tentativo di allungargli la vita.
 
Il consiglio dei ministri stabilì che, a seguito della proclamazione dei risultati provvisori del 10 giugno, si era creato un regime transitorio e di conseguenza le funzioni di [[capo provvisorio dello Stato]] passavano ''[[ope legis]]'' e con effetto immediato (si era alla mattina del 13) al presidente del consiglio dei ministri, in esecuzione dell'art. 2 del decreto legislativo luogotenenziale 16 marzo 1946, n. 98<ref name=autogenerato5>{{cita testo|url=http://www.parlalex.it/pagina.asp?id=2823|titolo=PARLALEX - Archivio di legislazione comparata<!-- Titolo generato automaticamente -->}}.</ref>. Il ministro del tesoro [[Epicarmo Corbino]] chiese a De Gasperi se si rendesse conto della responsabilità che si assumeva, dal momento che l'indomani sarebbe potuto apparire come un usurpatore del trono<ref>{{cita|Mola|p. 108}}.</ref>. Da parte monarchica si sostiene che il governo non volle dare il tempo alla suprema corte di ricontrollare le schede elettorali, ricontrollo che avrebbe potuto portare alla luce eventuali brogli<ref>{{Cita web|url=http://www.varesemonarchica.it/primaversione/referendum1946.html|titolo=Il referendum del 1946 ovvero "La Grande Frode"|autore=Riccardo Piagentini|accesso=16 maggio 2008|urlmorto=sì|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20080605180146/http://www.varesemonarchica.it/primaversione/referendum1946.html}}</ref>.
Nel suo testamento Umberto lascia al [[Papa]] la [[Sindone]], che dal [[1578]] era conservata nel [[Duomo di Torino]] a titolo di deposito. Trattandosi di una delle tante proprietà pervenute ai Savoia prima della proclamazione del Regno d'Italia, essa è stata esclusa dall'avocazione a favore dello Stato sancita dal secondo capoverso della XIII disposizione finale e transitoria della Costituzione.
 
Lo stesso 13 giugno Umberto reagì diramando un polemico proclama, nel quale parlava di "gesto rivoluzionario" compiuto dal governo<ref>{{cita testo|url=http://www.reumberto.it/partenza.htm|titolo=Il proclama di Umberto II|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20200728232822/http://www.reumberto.it/partenza.htm }}.</ref>.
Le spoglie dell'ultimo sovrano d'Italia riposano, per suo espresso volere, nell'[[Abbazia di Hautecombe|Abbazia di Altacomba]] a fianco di quelle del re [[Carlo Felice]], nella regione francese della [[Savoia (dipartimento francese)|Savoia]] dalla quale Casa Savoia ha tratto le sue origini storiche.
 
{{Citazione|Di fronte alla comunicazione di dati provvisori e parziali fatta dalla Corte suprema; di fronte alla sua riserva di pronunciare entro il 18 giugno il giudizio sui reclami e di far conoscere il numero dei votanti e dei voti nulli; di fronte alla questione sollevata e non risolta sul modo di calcolare la maggioranza, io, ancora ieri, ho ripetuto che era mio diritto e dovere di re attendere che la Corte di cassazione facesse conoscere se la forma istituzionale repubblicana avesse raggiunto la maggioranza voluta. Improvvisamente questa notte, in spregio alle leggi e al potere indipendente e sovrano della magistratura, il governo ha compiuto un gesto rivoluzionario, assumendo, con atto unilaterale e arbitrario, poteri che non gli spettano, e mi ha posto nell'alternativa di provocare spargimento di sangue o di subire la violenza.|Umberto II, proclama agli italiani del 13 giugno 1946}}
Umberto II ha voluto che, nella propria bara, fosse riposto il [[sigillo reale]], grosso timbro che si trasmette di generazione in generazione quale simbolo visibile della legittimità nella linea dinastica e simbolo del gran maestro degli ordini cavallereschi di Casa Savoia. In tal modo, si ritiene che egli abbia inteso esplicitamente distinguere i suoi ''eredi dinastici'' da quelli ''civili'', impedendo a questi ultimi di entrare in possesso del simbolo che avrebbe potuto ingenerare, nella pubblica opinione, la convinzione della loro qualità di ''successori dinastici''<ref name=sigilli>cfr. Aldo A.Mola ''I Sigilli del Re'', in , «Storia in Rete», luglio/agosto 2006, 1-9</ref>.
 
Messo di fronte all'azione del governo, Umberto II, informato dal generale [[Maurice Stanley Lush]] che gli angloamericani non sarebbero intervenuti a difesa del sovrano e della sua incolumità neanche in caso di palese spregio delle leggi e in particolare nel caso di un possibile assalto al [[Palazzo del Quirinale|Quirinale]] sostenuto dai seguaci dei ministri repubblicani, volendo evitare qualsiasi possibilità di innesco di guerra civile, cosa che era nell'aria dopo i morti di [[Napoli]], decise di lasciare l'[[Italia]]<ref>{{cita|Mola|p. 110}}.</ref>. Il motivo per cui Umberto non volle attendere la seduta della Corte di cassazione fissata per il 18 giugno, prima di partire dall'Italia, non è mai stato ufficialmente chiarito.
Nel suo quasi quarantennale esilio Umberto II svolse opera di aiuto e sostegno verso gli italiani indiscriminatamente, in occasione di bisogni personali o di eventi drammatici. Tramite suoi rappresentanti fu sempre presente, anche come sponsor, a manifestazioni culturali, patriottiche o sociali. A Cascais ricevette decine di migliaia di persone e a tutti coloro che gli scrivevano rispondeva. Appassionato collezionista costituì una importante collezione di cimeli sabaudi. Scrisse un vastissimo volume sulla medaglistica sabauda.
 
La partenza del re dava comunque via libera senza ulteriori intralci all'istituzione della forma repubblicana, dal momento che anche la [[Corte di cassazione]] ne confermò la vittoria. Inoltre la corte, con dodici magistrati contro sette e sia pur con il voto contrario del presidente [[Giuseppe Pagano (magistrato)|Giuseppe Pagano]]<ref>{{cita|Malnati|}}.</ref> stabilì che per "maggioranza degli elettori votanti", prevista dalla legge istitutiva del referendum (art. 2 del decreto legislativo luogotenenziale del 16 marzo 1946, n. 98<ref name=autogenerato5 />), si dovesse intendere "maggioranza dei voti validi", diversamente da quanto sostenuto dai sostenitori della monarchia. In ogni caso, i voti favorevoli alla Repubblica risultarono di un numero superiore anche della maggioranza degli elettori votanti, e cioè 12&nbsp;718&nbsp;641<ref name=cameradep>{{cita testo|url=http://www.camera.it/cost_reg_funz/345/4762/4763/documentotesto.ASP|titolo=Sito della Camera dei deputati|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20090605164749/http://www.camera.it/cost_reg_funz/345/4762/4763/documentotesto.ASP }}.</ref>, contro la inferiore somma dei 10&nbsp;718&nbsp;502 di voti per la monarchia<ref name=cameradep/> e 1&nbsp;498&nbsp;136 di voti nulli<ref>Giorgio Bocca, ''Storia della Repubblica italiana''. Rizzoli, 1981.</ref> (pari a 12&nbsp;216&nbsp;638 voti).
Al suo [[funerale]], disertato dalle autorità italiane (ad eccezione del console italiano di [[Lione]]), parteciparono 10.000 italiani che raggiunsero l'[[Abbazia di Hautecombe|Abbazia di Altacomba]] vicino ad [[Aix-les-Bains]] nell'[[Alta Savoia]]. La [[RAI Radiotelevisione Italiana|RAI]] non trasmise la diretta televisiva.
Alle esequie erano presenti: il Re e la Regina di [[Spagna]], il Re e la Regina dei Belgi, il Granduca e la Granduchessa del [[Lussemburgo]], il [[Ranieri III di Monaco|principe Ranieri di Monaco]] col [[Alberto II di Monaco|figlio Alberto]], il [[Duca di Kent]] in rappresentanza della [[Elisabetta II del Regno Unito|Regina del Regno Unito]], gli ex Re di [[Bulgaria]], [[Romania]] e [[Grecia]], i rappresentanti delle [[Casa d'Asburgo|Case d'Asburgo]], [[Borbone]], [[Wittelsbach|Baviera]] e di altre Case ex regnanti. La [[Santa Sede]] era rappresentata dal [[Nunzio apostolico]] a [[Parigi]].
 
[[File:Umberto II va in esilio.jpg|miniatura|upright=0.8|Umberto II si prepara a partire da [[aeroporto di Roma-Ciampino|Ciampino]] il 13 giugno 1946]]
==Galleria d'immagini==
Nel 1960 il presidente della Corte di cassazione, Pagano, in un'intervista a ''[[Il Tempo]]'' di Roma affermò che la legge istitutiva del referendum era di applicazione impossibile, in quanto non lasciava il tempo alla Corte di svolgere i suoi lavori di accertamento, e che ciò fu reso ancor più evidente dal fatto che numerose corti di appello non riuscirono a mandare i verbali alla Cassazione entro la data prevista. Infine, "l'angoscia del governo di far dichiarare la repubblica era stata tale da indurre al "colpo di Stato" prima che la Corte Suprema stabilisse realmente i risultati validi definitivi"<ref>{{cita|Lami|p. 293}}.</ref>.
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Immagine:Umberto II di Savoia come principe ereditario.jpg|Come principe ereditario.
Immagine:UmbertoIIsavoia1920ca .JPG.jpg|Umberto II di Savoia (circa [[1920]]).
Immagine:Umberto II di Savoia ad Alessandria (Piemonte).jpg|Umberto II di Savoia ad [[Alessandria]] ([[Piemonte]]) il [[9 maggio]] [[1926]], durante l'inaugurazione della lapide ai Caduti dell'11° Reggimento [[Artiglieria]] da Campagna presso la Caserma Valfré.
Immagine:Nozze Umberto II di Savoia e Maria José 1930 2.jpg|Nozze di Umberto II di Savoia e [[Maria José del Belgio|Maria José]], [[1930]].
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=== NoteEsilio ===
[[File:Re Umberto 13.06.46.jpg|miniatura|sinistra|13 giugno 1946, il re Umberto II mentre sale sull'aeroplano che lo condurrà da [[aeroporto di Roma-Ciampino|Ciampino]] in [[Portogallo]].]]
{{references|2}}
 
{{Citazione|Ripenso alle ultime ore a Roma, a quando mi fu detto che allontanandomi ''per poco'' dalla città tutto sarebbe stato più semplice e invece: quel "trucco" che non voglio qui definire in termini "appropriati"!|Umberto II, lettera a Falcone Lucifero scritta dal Portogallo il 17 giugno 1946<ref>{{cita|Speroni|p. 315}}.</ref>}}
==Onorificenze==
 
Benché da parte filomonarchica gli pervenissero inviti a resistere in quanto si sospettavano [[brogli elettorali]], Umberto II preferì prendere atto del fatto compiuto; l'alternativa poteva essere una guerra civile fra monarchici e repubblicani, cosa che era nell'aria dopo la [[strage di via Medina]] a [[Napoli]], ma il Re volle proprio evitare quest'ulteriore tragedia all'[[Italia]], già duramente provata da una guerra disastrosa appena terminata.
 
Così il 13 giugno, accompagnato dai suoi più stretti collaboratori – il generale [[Giuliano Cassiani Ingoni]], il generale Carlo Graziani e il dottor [[Aldo Castellani]] – Umberto II partì in aeroplano da [[Aeroporto di Roma-Ciampino|Ciampino]] dopo aver diramato un proclama<ref>{{cita testo|url=http://www.diesis.com/phpgroupware/files/home/roberto/partenza.htm|titolo=Italiani<!-- Titolo generato automaticamente -->|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20071009084136/http://www.diesis.com/phpgroupware/files/home/roberto/partenza.htm }}.</ref> dove si parlava, fra l'altro, di un «gesto rivoluzionario» del Consiglio dei Ministri nel consegnare ad [[Alcide De Gasperi]] le funzioni di capo provvisorio dello Stato.
 
Giorni prima, Umberto II, nel considerare la legittimità della monarchia come forma di regime di una nazione nei confronti del risultato referendario, aveva detto: {{Citazione|La Repubblica si può reggere col 51%, la Monarchia no. La Monarchia non è un partito. È un istituto mistico, irrazionale, capace di suscitare negli uomini incredibile volontà di sacrificio. Deve essere un simbolo caro o non è nulla.|Umberto II<ref>{{cita|Navone|p. 139}}.</ref><ref>{{cita|Bartoli|p. 61}}.</ref>}}
[[File:Savoia-01.jpg|thumb|Ritratto di Umberto II con la moglie e i figli]]
[[File:Cascais, view to Grande Real Villa Itália Hotel & Spa.JPG|right|thumb|Villa Italia, attualmente riadattata come struttura ricettiva, la Grande Real Villa Itália Hotel & Spa.]]
Come meta per l'esilio Umberto II scelse il [[Portogallo]] (all'epoca [[Estado Novo (Portogallo)|sotto dittatura]]), risiedendo dapprima a [[Colares (Sintra)|Colares]], località vicino [[Sintra]], ospite a Villa "Bela Vista" e, in seguito, a [[Cascais]] in una residenza accanto alla futura "Villa Italia" in cui si trasferì nel 1961<ref>Olghina di Robilant. ''Menzogne'', http://olgopinions.blog.kataweb.it/2016/05/29/menzogne-umberto-ii/, 29 maggio 2016</ref>. Le nazioni confinanti l'[[Italia]] non l'avrebbero infatti accolto, e il re voleva evitare la [[Spagna franchista|Spagna]] dove il dittatore [[Francisco Franco]], reggente della monarchia, era salito al potere anche grazie all'Italia fascista. In [[Portogallo]], inoltre, era stato in esilio anche il suo trisnonno, il re [[Carlo Alberto]], morto a [[Porto (Portogallo)|Porto]] nel 1849.<ref>{{cita testo|url=http://www.reumberto.it/cavicchioli-8.htm|titolo=''L'esilio di Umberto II''|accesso=10 maggio 2014|dataarchivio=12 maggio 2014|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20140512220222/http://www.reumberto.it/cavicchioli-8.htm|urlmorto=sì}}.</ref>
 
Con l'entrata in vigore della [[Costituzione della Repubblica Italiana|Costituzione repubblicana]] il 1º gennaio 1948 l'esilio di Umberto II di Savoia acquisì forza di legge costituzionale, essendo previsto dal primo capoverso della XIII disposizione finale e transitoria, i cui effetti sarebbero cessati solo nell'ottobre 2002 a seguito di una legge di revisione costituzionale. In numerose interviste Umberto fece trasparire la sua amara sorpresa per l'esilio che gli fu decretato per legge:
{{Citazione|La mia partenza dall'Italia doveva essere una lontananza di qualche tempo in attesa che le passioni si placassero. Poi pensavo di poter tornare per dare anch'io, umilmente e senza avallare turbamenti dell'ordine pubblico, il mio apporto all'opera di pacificazione e di ricostruzione.|Umberto II, intervista con Edith Wieland<ref name="Speroni316">{{cita|Speroni|p. 316}}.</ref>}}
 
{{Citazione|Mai si parlò di esilio, da parte di nessuno. Né mai, io almeno, ci avevo pensato.|Umberto II, intervista a Bruno Gatta<ref name="Speroni316"/>}}
 
Umberto II non abdicò e non rinunciò mai ai suoi diritti e continuò sempre a considerarsi un sovrano. In tale veste continuò a concedere [[titoli nobiliari]] e a nominare i componenti della [[Consulta dei senatori del Regno]]<ref name="Cecchetti141">{{cita|Cecchetti|p. 141}}.</ref>.
 
Dopo il 1950 Umberto II di Savoia riprese l'esercizio della [[Regia prerogativa]] e, da allora, emanò numerosi provvedimenti nobiliari sia di grazia sia di giustizia, i cosiddetti ''"[[Corpo della nobiltà italiana#I titoli nobiliari umbertini|titoli nobiliari umbertini]]"''<ref>{{cita testo|url=http://www.cnicg.net/umberto.asp|titolo=Provvedimenti nobiliari di grazia e di giustizia di Umberto di Savoia|accesso=26 gennaio 2021|dataarchivio=27 agosto 2012|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20120827040105/http://www.cnicg.net/umberto.asp|urlmorto=sì}}: nella lista sono titoli italiani ufficiali quelli concessi fino al 13 giugno 1946, quelli successivi sono concessi dall'esilio in qualità di ''re non debellato'' e quindi titolare della ''regia prerogativa'' anche in difetto del trono.</ref>. I suddetti provvedimenti venivano predisposti a seguito di un'istruttoria svolta dal [[Segretario del re per l'araldica]], nominato da Umberto II, in molti casi con la consulenza degli organi del [[Corpo della Nobiltà Italiana]]<ref>{{cita|Cecchetti|p. 149}}.</ref>.
 
Umberto II godette in vita del trattamento riservato ai Regnanti da varie [[Monarchie dell'Europa|monarchie europee]], dalla [[Santa Sede]] e dal [[Sovrano Militare Ordine di Malta]]. I titoli nobiliari concessi da Umberto II durante l'esilio sono riconosciuti dal [[Sovrano Militare Ordine di Malta]] e dal [[Corpo della Nobiltà Italiana]]<ref>''Nobiltà'', anno XXV, marzo-aprile 2018, Milano, n. 134, p. 171</ref>.
 
Umberto II, considerandosi sempre sovrano non abdicatario e non colpito da ''debellatio'', con atto del 20 gennaio 1955 invitò i Senatori del Regno a riprendere la loro attività sotto forma consultiva verso la nazione. Si costituì quindi il 5 giugno 1955, con l'approvazione di Umberto II, il "Gruppo dei Senatori del Regno" che si trasformò nel 1965 nella [[Consulta dei Senatori del Regno]]<ref name="Cecchetti141" />.
 
L'unione con [[Maria José del Belgio|Maria José]], già in crisi da lungo tempo, si incrinò definitivamente. L'ex regina lasciò ben presto il Portogallo per trasferirsi a Merlinge, nei pressi di [[Ginevra]], con il piccolo [[Vittorio Emanuele di Savoia (1937)|Vittorio Emanuele]]. Con Umberto rimasero le tre figlie [[Maria Pia di Savoia (1934)|Maria Pia]], [[Maria Gabriella di Savoia|Maria Gabriella]] e [[Maria Beatrice di Savoia (1943)|Maria Beatrice]], che sovente furono oggetto di morbose attenzioni da parte della stampa popolare e in qualche caso fonte di ulteriori dispiaceri per il padre<ref>{{cita|Lami|}}.</ref>. Gli anni successivi furono anche segnati dal conflitto famigliare col figlio [[Vittorio Emanuele di Savoia (1937)|Vittorio Emanuele]], principalmente per motivi economici e per il contrastato matrimonio di Vittorio Emanuele con [[Marina Ricolfi Doria]], mai approvato da Umberto.<ref>Vittorio Emanuele di Savoia, Alessandro Feroldi, ''Lampi di vita''. Rizzoli, 2002, pp. 97, 187.</ref><ref>{{cita testo|url=http://www.realcasadisavoia.it/letteredelre.htm|titolo=Lettere di Umberto II a Vittorio Emanuele sul rispetto delle leggi dinastiche, riportate nel sito di Amedeo di Savoia|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20070928042553/http://www.realcasadisavoia.it/letteredelre.htm }}.</ref><ref>{{cita testo|url=http://www.realcasadisavoia.it/files/ufficiostudi/19691215_VEIV_decreto1_it.pdf|titolo=Decreto Reale n. 1|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20070928042615/http://www.realcasadisavoia.it/files/ufficiostudi/19691215_VEIV_decreto1_it.pdf }}.</ref>
 
Nel suo esilio quasi quarantennale Umberto II svolse opera di aiuto e sostegno verso gli italiani indiscriminatamente, in occasione di bisogni personali o di eventi drammatici.<ref name=ministro/> Si impegnò particolarmente per la causa della [[Venezia Giulia]] e dell'[[Istria]], indirizzando numerosi messaggi di vicinanza agli istriani e ai giuliani e criticando il [[trattato di Osimo]].<ref>{{cita testo|url=http://www.reumberto.it/trieste1.htm|titolo=''Il Re per Trieste e la Venezia Giulia''|accesso=25 settembre 2015|dataarchivio=4 marzo 2016|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20160304102745/http://www.reumberto.it/trieste1.htm|urlmorto=sì}}.</ref>
 
Tramite suoi rappresentanti fu presente, anche come sponsor, a manifestazioni culturali, patriottiche o sociali. A [[Cascais]] ricevette decine di migliaia di italiani in visita e a tutti coloro che gli scrivevano rispondeva.<ref name=ministro/> Appassionato collezionista, costituì un'importante collezione di cimeli sabaudi. Scrisse un vastissimo volume sulla medaglistica sabauda.<ref>{{cita testo|url=http://www.socnumit.org/doc/Numismatici/UMBERTO_II.pdf|titolo=''I grandi numismatici - Umberto II''|accesso=10 maggio 2014|dataarchivio=12 maggio 2014|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20140512214007/http://www.socnumit.org/doc/Numismatici/UMBERTO_II.pdf|urlmorto=sì}}.</ref>
 
=== Ultimi anni e morte ===
[[File:Amedeo di Savoia Aosta e Claudia d'Orléans con Umberto II di Savoia.jpg|miniatura|Umberto II di Savoia con [[Amedeo di Savoia-Aosta (1943)|Amedeo di Savoia-Aosta]] e [[Claudia d'Orléans]] nel [[1964]]]]
A partire dal 1964 Umberto II subì una serie di interventi chirurgici piuttosto invasivi, probabilmente dovuti al tumore che, dopo lunghe sofferenze, causò la sua morte a [[Ginevra]], alle 15:45 del 18 marzo 1983, in una clinica dove era stato trasferito pochi giorni prima da [[Londra]], in un estremo quanto inutile tentativo di allungargli la vita. Al momento della fine era solo: un'infermiera, entrando nella stanza, si accorse del suo stato e gli prese la mano negli ultimi istanti di vita, mentre il morente Umberto mormorava la parola "Italia".<ref name=ministro>{{cita testo|url=http://www.reumberto.it/presente.htm|titolo=''Esiliato ma presente''. Lettera di Falcone Lucifero, Ministro della Real Casa|accesso=10 maggio 2014|dataarchivio=13 maggio 2014|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20140513011054/http://www.reumberto.it/presente.htm|urlmorto=sì}}.</ref><ref>{{cita testo|url=http://www.atuttadestra.net/index.php/archives/185196|titolo=''Il Re d'Italia S.M. Umberto II a trenta anni dalla sua morte''|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20140512222012/http://www.atuttadestra.net/index.php/archives/185196 }}.</ref><ref>{{cita testo|url=http://www.alleanza-monarchica.com/celebrazione-per-il-xxx-anniversario-della-scomparsa-di-sm-re-umberto-ii|titolo=''Messaggio di Vittorio Emanuele di Savoia per la celebrazione del XXX anniversario della scomparsa di S.M. il re Umberto II''|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20140512225241/http://www.alleanza-monarchica.com/celebrazione-per-il-xxx-anniversario-della-scomparsa-di-sm-re-umberto-ii }}.</ref>
[[File:Ximenes, Ettore - Busto di Umberto II di Savoia - 1925 ca - Roma, Altare della Patria. Foto Giovanni Dall'Orto.jpg|miniatura|Busto di Umberto II di Savoia sull'[[Vittoriano|Altare della Patria]]]]
Nel suo testamento Umberto lasciò al [[papa]] la [[Sindone di Torino]], dal 1578 conservata nel [[Duomo di Torino|duomo torinese]] a titolo di deposito; la legittimità di tale lascito testamentario è controversa e dibattuta, stante il tenore letterario del terzo comma della [[Disposizioni transitorie e finali della Costituzione della Repubblica Italiana|XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione]]<ref>{{Cita web|url=https://www.senato.it/istituzione/la-costituzione/disposizioni-transitorie-e-finali/xiii|titolo=La Costituzione - XIII (*) {{!}} Senato della Repubblica|sito=www.senato.it|accesso=2023-03-12}}</ref> il quale dispone che i beni presenti in [[Italia]] degli ex re di [[Casa Savoia]] siano avocati dallo Stato e sancisce la nullità dei trasferimenti avvenuti successivamente alla celebrazione del referendum istituzionale del 2 giugno 1946.<ref>{{cita testo|url=http://www.lastampa.it/2009/05/26/cronaca/la-sindone-appartieneallo-stato-italiano-vbUZQgL3AjTH5p4BFs1CeK/pagina.html|titolo=La Sindone appartiene allo Stato italiano}}</ref><ref>{{cita testo|url=http://www.lastampa.it/2009/05/28/blogs/oltretevere/sindone-la-proprieta-finisce-in-parlamento-PoSoiXw6xX9ZdlfcJK9OuO/pagina.html|titolo=Sindone, la proprietà finisce in Parlamento}}</ref>
 
Le spoglie dell'ultimo [[re d'Italia#Savoia (1861-1946)|sovrano d'Italia]] riposano, per suo espresso volere, nell'[[abbazia di Altacomba]] a fianco di quelle del re [[Carlo Felice di Savoia|Carlo Felice]], nel dipartimento francese della [[Savoia (dipartimento)|Savoia]] dalla quale [[casa Savoia]] traeva le sue origini storiche.<ref name=umberto2>{{cita testo|url=http://www.monarchia.it/video_001.html|titolo=''Funerali di Umberto II''|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20140512224527/http://www.monarchia.it/video_001.html }}.</ref>
[[File:Hautecombe Umberto 02 Grave.jpg|miniatura|upright=0.8|[[Abbazia di Altacomba]]: tomba di Umberto II e di [[Maria José del Belgio|Maria José]].]]
 
Al suo [[funerale]] – disertato dalle autorità italiane ad eccezione di [[Maurizio Moreno]], console generale d'Italia a [[Lione]], in rappresentanza del governo – parteciparono diecimila italiani che raggiunsero l'[[abbazia di Altacomba]] vicino ad [[Aix-les-Bains]] in [[Savoia (dipartimento)|Savoia]].<ref name=umberto2/> La [[Rai]] non trasmise la diretta televisiva. Alle esequie erano presenti, oltre a membri di [[casa Savoia]]: [[Juan Carlos I di Spagna]] e [[Sofia di Grecia]], [[Baldovino del Belgio|Baldovino]] e [[Fabiola de Mora y Aragón|Fabiola del Belgio]], [[Giovanni di Lussemburgo]] e [[Giuseppina Carlotta del Belgio]], il [[Ranieri III di Monaco|principe Ranieri di Monaco]] col [[Alberto II di Monaco|figlio Alberto]], il [[Edward, duca di Kent|duca Edoardo di Kent]] in rappresentanza di [[Elisabetta II del Regno Unito]], i re detronizzati [[Simeone II di Bulgaria]], [[Michele I di Romania]] e [[Costantino II di Grecia]], [[Ottone d'Asburgo-Lorena]] con il figlio [[Carlo d'Asburgo-Lorena]], [[Ferdinando Maria di Borbone-Due Sicilie|Ferdinando di Borbone delle Due Sicilie]] con il figlio [[Carlo di Borbone-Due Sicilie|Carlo]], [[Enrico d'Orléans (1908-1999)|Enrico d'Orléans]], Carlo Napoleone Bonaparte, [[Duarte Pio di Braganza|Duarte Pio di Braganza del Portogallo]] e i rappresentanti di altre case già regnanti. La [[Santa Sede]] era rappresentata dal [[nunzio apostolico]] a [[Parigi]].<ref name=umberto2/>
 
I giocatori della {{Calcio Juventus|N}}, nella partita del 20 marzo contro il [[Associazione Calcio Pisa 1909|Pisa]], portarono il segno del lutto al braccio: questa fu la sola manifestazione di cordoglio, resa pubblicamente in [[Italia]] al suo ultimo Re.<ref>{{cita testo|url=http://www.cristinasiccardi.it/umberto-ii/|titolo=''Umberto II''}}.</ref>
 
Secondo una ricostruzione, Umberto volle che, nella propria bara, fosse riposto il [[sigillo reale]], grosso timbro che si trasmette di generazione in generazione quale simbolo visibile della legittimità della successione dinastica e simbolo del gran maestro degli ordini cavallereschi di [[casa Savoia]]; in tal modo, si ritiene che egli avrebbe inteso distinguere i suoi "eredi dinastici" da quelli "civili".<ref name=sigilli>Aldo A. Mola, ''I sigilli del re'', in «Storia in rete», luglio/agosto 2006, 1-9.</ref> Tuttavia il nipote [[Emanuele Filiberto di Savoia (1972)|Emanuele Filiberto]] ha negato questo fatto, affermando che nella bara è stato posto l'anello con lo stemma, mentre il sigillo si trova in un ufficio dei Savoia a [[Ginevra]].<ref>{{cita news|autore=Enrica Roddolo|url=https://www.corriere.it/cronache/24_febbraio_10/funerali-vittorio-emanuele-1445-addio-duomo-principe-mai-diventato-re-e53c7ccc-c7eb-11ee-bbeb-1a8d2ebebe3f.shtml|titolo=Funerali Vittorio Emanuele, oggi l'addio in Duomo al principe mai diventato re|pubblicazione=[[Corriere della Sera]]|data=10 febbraio 2024|accesso=10 febbraio 2024|lingua=|formato=}}</ref>
 
Umberto II è stato, dunque, l'ultimo Capo della Real Casa unanimemente riconosciuto: non avendo indicato espressamente un successore e alla luce dei contrasti con il figlio Vittorio Emanuele circa il suo matrimonio e la sua posizione in seno alla Casa reale, nacque la [[linea di successione al trono d'Italia|questione dinastica]], ancor oggi irrisolta.
 
== Dediche e riconoscimenti ==
[[File:Medaglia-Umberto-II-di-Savoia-dritto.jpg|miniatura|Medaglia raffigurante Umberto II]]
Il comune portoghese di [[Cascais]], luogo di residenza del suo lungo esilio, ha intitolato a Umberto II il viale che conduce a Villa Italia (l{{'}}''Avenida Rei Humberto II de Itália'') e gli ha dedicato una sala del museo locale. Dopo anni di abbandono, dal 2014 Villa Italia, la dépendance e il suo terreno circostante sono stati acquistati da un gruppo immobiliare giapponese che, dopo un attento restauro, ha trasformato l'edificio in un lussuoso albergo con parco e piscina. Per poter continuare a chiamare la struttura "Villa Italia" è stato chiesto un consenso formale alla famiglia Savoia e anche al ramo collaterale degli Aosta, poiché la residenza di Amedeo d'Aosta e della sua famiglia a [[Castiglion Fibocchi]], in [[provincia di Arezzo]], reca il medesimo nome.<ref>«Ho detto sì perché mi è parso un atto di devozione alla memoria di Umberto, garantendo una continuità al nome della sua residenza».</ref><ref>http://www.italiaoggi.it/giornali/dettaglio_giornali.asp?preview=false&accessMode=FA&id=2134486&codiciTestate=1&sez=hgiornali&titolo=La%20villa%20di%20re%20Umberto%20%E8%20un%20hotel</ref> Sulla struttura è stata apposta una lapide che ricorda il soggiorno del sovrano.
 
Il comune di [[Roma]] gli ha intitolato un largo nel 2012<ref name="Corriere_Slargo_Umberto">{{it}}{{Cita web|url=http://roma.corriere.it/roma/notizie/cronaca/12_ottobre_27/villa-ada-viale-savoia-roma-alemanno-2112445744303.shtml|titolo=E Alemanno intitola lo slargo a re Umberto II|accesso=13 novembre 2012|editore=[[Corriere della Sera]]}}</ref>. Il comune di [[Tuscania]] ha intitolato a Umberto II i giardini pubblici dove si trova un suo busto in bronzo. Anche a [[Racconigi]], dove nacque, è stato posto un busto in marmo di Umberto II.
 
== Ascendenza ==
{{Ascendenza
|1=Umberto II di Savoia
|2=[[Vittorio Emanuele III di Savoia]]
|3=[[Elena del Montenegro]]
|4=[[Umberto I di Savoia]]
|5=[[Margherita di Savoia]]
|6=[[Nicola I del Montenegro]]
|7=[[Milena Vukotić]]
|8=[[Vittorio Emanuele II di Savoia]]
|9=[[Maria Adelaide d'Asburgo-Lorena|Maria Adelaide d'Austria]]
|10=[[Ferdinando di Savoia-Genova (1822-1855)|Ferdinando di Savoia-Genova]]
|11=[[Elisabetta di Sassonia]]
|12=[[Mirko Petrović-Njegoš]]
|13=Anastasija Martinović
|14=[[Vukotić di Čevo#Petar Vukotić|Petar Šćepanov Vukotić]]
|15=Jelena Vojvodić
|16=[[Carlo Alberto di Savoia]]
|17=[[Maria Teresa d'Asburgo-Toscana|Maria Teresa di Toscana]]
|18=[[Ranieri Giuseppe d'Asburgo-Lorena]]
|19=[[Maria Elisabetta di Savoia-Carignano]]
|20=[[Carlo Alberto di Savoia]]
|21=[[Maria Teresa d'Asburgo-Toscana|Maria Teresa di Toscana]]
|22=[[Giovanni I di Sassonia]]
|23=[[Amalia Augusta di Baviera]]
|24=Stanko Petrović-Njegoš
|25=Krstinja Vrbica
|26=Drago Martinović
|27=Stana Martinović
|28=[[Vukotić di Čevo#Stevan Perkov Vukotić|Stevan Perkov Vukotić]]
|29=Stana Milić
|30=Tadija Vojvodić
|31=Milica Pavičević
}}
 
=== Ascendenza patrilineare ===
#[[Umberto I Biancamano|Umberto I]], [[conte di Savoia]], circa 980-1047
#[[Oddone di Savoia|Oddone]], conte di Savoia, 1023-1057
#[[Amedeo II di Savoia|Amedeo II]], conte di Savoia, 1046-1080
#[[Umberto II di Savoia (conte)|Umberto II]], conte di Savoia, 1065-1103
#[[Amedeo III di Savoia|Amedeo III]], conte di Savoia, 1087-1148
#[[Umberto III di Savoia|Umberto III]], conte di Savoia, 1136-1189
#[[Tommaso I di Savoia|Tommaso I]], conte di Savoia, 1177-1233
#[[Tommaso II di Savoia|Tommaso II]], conte di Savoia, 1199-1259
#[[Amedeo V di Savoia|Amedeo V]], conte di Savoia, 1249-1323
#[[Aimone di Savoia (1291-1343)|Aimone]], conte di Savoia, 1291-1343
#[[Amedeo VI di Savoia|Amedeo VI]], conte di Savoia, 1334-1383
#[[Amedeo VII di Savoia|Amedeo VII]], conte di Savoia, 1360-1391
#[[Amedeo VIII di Savoia|Amedeo VIII]] (Antipapa Felice V), [[principe di Piemonte]], 1383-1451
#[[Ludovico di Savoia|Ludovico]], principe di Piemonte, 1413-1465
#[[Filippo II di Savoia|Filippo II]], principe di Piemonte, 1443-1497
#[[Carlo II di Savoia|Carlo II]], principe di Piemonte, 1486-1553
#[[Emanuele Filiberto di Savoia|Emanuele Filiberto]], principe di Piemonte, 1528-1580
#[[Carlo Emanuele I di Savoia|Carlo Emanuele I]], principe di Piemonte, 1562-1630
#[[Tommaso Francesco di Savoia|Tommaso Francesco]], [[principe di Carignano]], 1596-1656
#[[Emanuele Filiberto di Savoia-Carignano|Emanuele Filiberto]], principe di Carignano, 1628-1709
#[[Vittorio Amedeo I di Savoia-Carignano|Vittorio Amedeo I]], principe di Carignano, 1690-1741
#[[Luigi Vittorio di Savoia-Carignano|Luigi Vittorio]], principe di Carignano, 1721-1778
#[[Vittorio Amedeo II di Savoia-Carignano|Vittorio Amedeo II]], principe di Carignano, 1743-1780
#[[Carlo Emanuele di Savoia-Carignano|Carlo Emanuele]], principe di Carignano, 1770-1800
#[[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]], [[re di Sardegna]], 1798-1849
#[[Vittorio Emanuele II]], [[re d'Italia]], 1820-1878
#[[Umberto I di Savoia|Umberto I]], re d'Italia, 1844-1900
#[[Vittorio Emanuele III]], re d'Italia, 1869-1947
#'''Umberto II''', re d'Italia, 1904-1983
 
== Titoli ==
Sua Maestà Umberto II,
{{div col}}
#[[Re d'Italia]],
#[[Re di Sardegna]],
#[[Regno di Cipro|Re di Cipro]], di [[re di Gerusalemme|Gerusalemme]] e di [[Elenco dei monarchi del regno armeno di Cilicia|Armenia]],
#[[Duchi di Savoia#Savoia-Carignano|Duca di Savoia]],
#Principe di [[Carignano (Italia)|Carignano]],
#[[Principe di Piemonte]],
#Principe di [[Oneglia]],
#Principe di [[Poirino]],
#Principe di [[Trino]],
#Principe e vicario perpetuo del [[Sacro Romano Impero]],
#Principe di [[Carmagnola]],
#Principe di [[Montmélian]] con [[Arbin]] e [[Francin]],
#Principe balì del Ducato di [[Aosta]],
#Principe di [[Chieri]],
#Principe di [[Dronero]],
#Principe di [[Crescentino]],
#Principe di [[Riva di Chieri]] e Banna,
#Principe di [[Busca]],
#Principe di [[Bene Vagienna|Bene]],
#Principe di [[Bra]],
#[[Savoia-Genova|Duca di Genova]],
#Duca di [[Monferrato]],
#Duca d'[[Aosta]],
#Duca del [[Chiablese]],
#Duca del [[Canton Ginevra|Genevese]],
#Duca di [[Brescia]],
#Duca di [[Piacenza]],
#Duca di [[Carignan|Carignano Ivoy]],
#[[Marchese di Ivrea]],
#[[Marchese di Saluzzo]],
#Marchese di [[Susa (Italia)|Susa]],
#Marchese di [[Ceva]],
#Marchese del [[Impero (torrente)|Maro]],
#Marchese di [[Oristano]],
#Marchese di [[Cesana Torinese|Cesana]],
#Marchese di [[Savona]],
#Marchese di [[Tarantasia]],
#Marchese di [[Borgomanero]] e [[Cureggio]],
#Marchese di [[Caselle Torinese|Caselle]],
#Marchese di [[Rivoli]],
#Marchese di [[Pianezza]],
#Marchese di [[Govone]],
#Marchese di [[Salussola]],
#Marchese di [[Racconigi]], con [[Tegerone]], [[Migliabruna]] e [[Motturone]],
#Marchese di [[Cavallermaggiore]],
#Marchese di [[Marene]],
#Marchese di [[Modane]] e di [[Lanslebourg-Mont-Cenis|Lanslebourg]],
#Marchese di [[Livorno Ferraris]],
#Marchese di [[Santhià]],
#Marchese di [[Agliè]],
#Marchese di [[Barge]],
#Marchese di [[Centallo]] e [[Demonte]],
#Marchese di [[Desana]],
#Marchese di [[Ghemme]],
#Marchese di [[Vigone]],
#Marchese di Villafranca,
#Conte di [[Moriana]],
#[[Conte di Ginevra]],
#Conte di [[Nizza]],
#Conte di [[Tenda (Francia)|Tenda]],
#Conte di [[Romont (Friburgo)|Romont]],
#[[Contea di Asti (età moderna)|Conte di Asti]],
#Conte di [[Alessandria]],
#Conte del [[Goceano]],
#Conte di [[Novara]],
#Conte di [[Tortona]],
#Conte di [[Bobbio]],
#Conte di [[Sarre]],
#Conte di [[Soissons]],
#Conte dell'[[Secondo Impero francese|Impero Francese]],
#Conte di [[Sant'Antioco (Italia)|Sant'Antioco]],
#[[Conte di Pollenzo]],
#Conte di [[Roccabruna (Italia)|Roccabruna]],
#Conte di [[Tricerro]],
#Conte di [[Bairo]],
#Conte di [[Ozegna]],
#Conte delle [[Apertole]],
#Barone di [[Canton Vaud|Vaud]] e del [[Faucigny (Alta Savoia)|Faucigny]],
#Alto signore di [[Principato di Monaco|Monaco]] e di [[Mentone]],
#Signore di [[Vercelli]],
#Signore di [[Pinerolo]],
#Signore della [[Lomellina]] e [[Valsesia|Valle Sesia]],
#Nobil homo, [[Patriziato (Venezia)|patrizio veneto]],
#Patrizio di [[Ferrara]],
#Custode della [[Sacra Sindone]].
{{div col end}}
Umberto II era il personaggio più titolato al mondo; seguivano, a gran distanza, la spagnola [[Cayetana Fitz-James Stuart|Duchessa d'Alba]] con 45 titoli nobiliari, la regina [[Elisabetta II del Regno Unito]] con 41 titoli, tre grandi famiglie napoletane con 36 titoli e [[Ranieri III di Monaco|Ranieri di Monaco]] con 24 titoli<ref>''Storia illustrata'' n. 300, novembre 1982, Mondadori, p. 102.</ref>.
 
== Onorificenze ==
=== Onorificenze italiane ===
{{Onorificenze
|immagine = Order of the Most Holy Annunciation BAR.svg
|nome_onorificenza = Gran Maestromaestro dell'Ordine Supremosupremo della Santissima Annunziata
|collegamento_onorificenza = Ordine Supremosupremo della Santissima Annunziata
|data = 9 maggio 1946
|motivazione=
|luogo=
}}
{{Onorificenze
|immagine = Cavaliere di gran Croce Regno SSML BAR.svg
|nome_onorificenza = Gran Maestromaestro dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro
|collegamento_onorificenza = Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro
|data = 9 maggio 1946
|motivazione=
|luogo=
}}
{{Onorificenze
|immagine = Cavaliere di Gran Crocegran OCIcroce KingdomOMS BAR.svg
|nome_onorificenza = Gran Maestromaestro dell'Ordine dellamilitare Coronadi d'ItaliaSavoia
|collegamento_onorificenza = Ordine dellamilitare Coronadi d'ItaliaSavoia
|data = 9 maggio 1946 (già Commendatore)
|motivazione=
|luogo=
}}
{{Onorificenze
|immagine =Ordine CivileCavaliere di SavoiaGran Croce OCI Kingdom BAR.svg
|nome_onorificenza = Gran Maestromaestro dell'Ordine Civiledella di SavoiaCorona d'Italia
|collegamento_onorificenza = Ordine Civiledella diCorona Savoiad'Italia
|data = 9 maggio 1946 (già Cavaliere di gran croce)
|motivazione=
|luogo=
}}
{{Onorificenze
|immagine=Order of= St.Ordine GiovanniCivile ofdi Gerusalem-Rhodes-MaltaSavoia BAR.svg
|nome_onorificenza =Cavaliere d'OnoreGran emaestro Devozionedell'Ordine del Sovrano Militare Ospedaliero Ordinecivile di MaltaSavoia
|collegamento_onorificenza =Sovrano Militare Ordine civile di MaltaSavoia
|data = 9 maggio 1946
|motivazione=
|luogo=
}}
{{Onorificenze
|immagine =Sacro Militare Ordine Costantinianocoloniale della stella d'italia dicavaliere Sangran Giorgiocroce.png
|nome_onorificenza =Cavaliere Gran Balì di Giustizia del Sacro Militaremaestro dell'Ordine Costantinianocoloniale didella SanStella Giorgiod'Italia
|collegamento_onorificenza=Sacro Militare= Ordine Costantinianocoloniale didella S.Stella Giorgiod'Italia
|data = 9 maggio 1946 (già Cavaliere di gran croce)
|motivazione=
|luogo=
}}
{{Onorificenze
|immagine = OrdineLavoro.png
|immagine=Ordine_coloniale_della_stella_d'italia_cavaliere_gran_croce.png
|nome_onorificenza =Cavaliere diGran gran crocemaestro dell'Ordine colonialeal dellamerito Stelladel d'ItaliaLavoro
|collegamento_onorificenza = Ordine militareal merito del d'Italialavoro
|data = 9 maggio 1946
|motivazione=
|luogo=
}}
{{Onorificenze
|immagine =AquilaRomana3 Ordine della Besa - gran croce.png
|nome_onorificenza = Cavaliere di Grangran Crocecroce dell'Ordine militaredella dell'AquilaBesa romana(Regno d'Albania)
|collegamento_onorificenza = Ordine civile e militare dell'Aquiladella romanaBesa
|data = fino al 27 novembre 1943
|motivazione=
|luogo=
}}
{{Onorificenze
|immagine = Ordine di Skanderbeg - gran croce.png
|immagine=Equestrian_order_of_the_Holy_Sepulcher_of_Jerusalem_BAR.svg
|nome_onorificenza = Cavaliere di gran croce dell'Ordine Equestredi delSkanderbeg Santo(Regno Sepolcro di Gerusalemmed'Albania)
|collegamento_onorificenza = Ordine Equestre del Santo Sepolcro di GerusalemmeSkanderberg
|data = fino al 27 novembre 1943
|motivazione=
}}
|luogo=
{{Onorificenze
|immagine = Cavaliere gran croce aquila romana vecchio.png
|nome_onorificenza = Cavaliere di gran croce dell'Ordine civile e militare dell'Aquila romana
|collegamento_onorificenza = Ordine civile e militare dell'Aquila romana
|data = fino al 3 gennaio 1945
}}
 
=== Onorificenze straniere ===
Per l'Albania:
{{Onorificenze
|immagine =Besa1 Order of the Garter UK ribbon.pngsvg
|nome_onorificenza = Cavaliere distraniero Grandel CroceNobilissimo con Placca dell'Ordine della BesaGiarrettiera (Regno Unito)
|collegamento_onorificenza = Ordine della BesaGiarrettiera
|motivazione =
|data = Espulso nel 1941
}}
{{Onorificenze
|immagine = Order_of_the_Elephant_Ribbon_bar.svg
|nome_onorificenza = Cavaliere dell'Ordine dell'Elefante (Danimarca)
|collegamento_onorificenza = Ordine dell'Elefante
|data = 31 agosto 1922
}}
{{Onorificenze
|immagine = Seraphimerorden ribbon.svg
|nome_onorificenza = Cavaliere dell'Ordine dei Serafini (Svezia)
|collegamento_onorificenza = Ordine dei Serafini
|data = 7 settembre 1922
}}
{{Onorificenze
|immagine = Order of the Golden Fleece ribbon bar.svg
|nome_onorificenza = Cavaliere dell'Ordine del Toson d'oro (Spagna)
|collegamento_onorificenza = Toson d'Oro
|data = 19 novembre 1923<ref>{{cita testo|url=https://www.boe.es/datos/pdfs/BOE/1923/343/A01123-01123.pdf|titolo=Bolletino Ufficiale di Stato}}.</ref>
}}
{{Onorificenze
|nome_onorificenza = Cavaliere dell'Ordine di Sant'Andrea (Impero russo)
|immagine = St.AndrewOrder.png
|collegamento_onorificenza = Ordine di Sant'Andrea
}}
{{Onorificenze
|immagine = Ordine Supremo del Cristo Rib.png
|nome_onorificenza = Cavaliere dell'Ordine Supremo di Cristo (Santa Sede)
|collegamento_onorificenza = Ordine supremo del Cristo
|data = 2 gennaio 1932
}}
{{Onorificenze
|immagine=Bavaria012.png
|nome_onorificenza=Cavaliere dell'Ordine di Sant'Uberto (Regno di Baviera)
|collegamento_onorificenza=Ordine di Sant'Uberto
}}
{{Onorificenze
|immagine=Order of the Royal House of Chakri (Thailand) ribbon.svg
|nome_onorificenza=Cavaliere dell'Ordine della Casata Reale di Chakri (Thailandia)
|collegamento_onorificenza=Ordine della Casata Reale di Chakri
|motivazione=
|luogo=
}}
{{Onorificenze
|immagine =Ska1 POL Order Orła Białego BAR.pngsvg
|nome_onorificenza = Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine didell'Aquila Bianca Scanderbeg(Polonia)
|collegamento_onorificenza = Ordine dell'aquila bianca
|motivazione =
}}
{{Onorificenze
|immagine=PRT_Military_Order_of_the_Tower_and_of_the_Sword_-_Grand_Collar_BAR.png
|nome_onorificenza=Gran collare dell'Ordine della Torre e della spada (Portogallo)
|collegamento_onorificenza=Ordine della Torre e della spada
|motivazione=
}}
{{Onorificenze
|immagine = OPMM-co.svg
|nome_onorificenza = Collare pro merito melitensi (SMOM)
|collegamento_onorificenza = Ordine pro merito melitensi
}}
{{Onorificenze
|immagine = BEL - Order of Leopold - Grand Cordon bar.svg
|nome_onorificenza = Gran Cordone dell'Ordine di Leopoldo (Belgio)
|collegamento_onorificenza = Ordine di Leopoldo
}}
{{Onorificenze
|immagine = SMOM-gcs.svg
|nome_onorificenza = Balì Cavaliere di gran croce di Onore e Devozione con Croce di Professione ad honorem del Sovrano Militare Ordine di Malta (SMOM)
|collegamento_onorificenza = Sovrano Militare Ordine di Malta
|data = 17 novembre 1922
}}
{{Onorificenze
|immagine = OESSG Cavaliere di Gran Croce BAR.jpg
|nome_onorificenza = Cavaliere di gran croce dell'Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme (Santa Sede)
|collegamento_onorificenza = Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme
}}
{{Onorificenze
|immagine = Order of Charles III - Sash of Collar.svg
|nome_onorificenza = Collare del Reale e Distinto Ordine spagnolo di Carlo III (Spagna)
|collegamento_onorificenza = Ordine di Carlo III
}}
{{Onorificenze
|immagine = Order of Michael the Brave ribbon.svg
|nome_onorificenza = Ordine di Michele il Coraggioso di 1ª classe (Regno di Romania)
|collegamento_onorificenza = Ordine di Michele il Coraggioso
|data = 26 luglio 1943<ref>{{cita testo|url=http://www.ww2awards.com/person/38891|titolo=ww2awards.com|urlmorto=sì}}.</ref>
}}
{{Onorificenze
|immagine = GRE Order Redeemer 1Class.png
|nome_onorificenza = Cavaliere di gran croce dell'Ordine del Salvatore (Regno di Grecia)
|collegamento_onorificenza = Ordine del Salvatore
}}
{{Onorificenze
|immagine = Order Sint Olaf 1 kl.png
|nome_onorificenza = Cavaliere di gran croce dell'Ordine reale norvegese di Sant'Olav (Norvegia)
|collegamento_onorificenza = Ordine reale norvegese di Sant'Olav
}}
{{Onorificenze
|immagine = PRT Order of Christ - Grand Cross BAR.svg
|nome_onorificenza = Cavaliere di gran croce dell'Ordine militare del Cristo (Portogallo)
|collegamento_onorificenza = Ordine del Cristo (Portogallo)
}}
{{Onorificenze
|immagine = Order of the Black Eagle - Ribbon bar.svg
|nome_onorificenza = Cavaliere dell'Ordine supremo dell'Aquila nera (Regno di Prussia)
|collegamento_onorificenza = Ordine dell'Aquila nera
}}
{{Onorificenze
|immagine = Royal Victorian Chain Ribbon.gif
|nome_onorificenza = Decorato della Royal Victorian Chain (Regno Unito)
|collegamento_onorificenza = Royal Victorian Chain
|data = 1935
}}
{{Onorificenze
|immagine = ESP Sacred Military Constantinian Order of Saint George Justicia BAR.svg
|nome_onorificenza = Balì Cavaliere di Gran Croce di giustizia decorato di Collare del Sacro militare Ordine costantiniano di San Giorgio (Real Casa di Borbone delle Due Sicilie)
|collegamento_onorificenza = Sacro Militare Ordine Costantiniano di S. Giorgio
}}
{{Onorificenze
|immagine = Order of the Eagle of Georgia - Collar.png
|nome_onorificenza = Gran collare dell'Ordine dell'Aquila di Georgia e della Tunica senza cuciture di Nostro Signore Gesù Cristo (Casa Bagration - Georgia)
|collegamento_onorificenza = Ordine dell'Aquila di Georgia e della Tunica di Nostro Signore Gesù Cristo
|luogo = <ref>{{cita testo|url=http://www.royalhouseofgeorgia.ge/es/order-history|titolo=Royal House of Georgia|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20131017210255/http://www.royalhouseofgeorgia.ge/es/order-history }}.</ref>
}}
{{Onorificenze
|nome_onorificenza = Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine equestre per il merito civile e militare (Repubblica di San Marino)
|immagine = SMR Order of Saint Marinus - Grand Cross BAR.png
|collegamento_onorificenza = Ordine equestre per il merito civile e militare
|data = <ref>{{cita testo|url=https://www.consolatosanmarino.uk/en/the-equestrian-order-of-san-marino/|titolo=The Equestrian Order of San Marino.}}</ref>
}}
{{Onorificenze
|immagine=SRB-SHS-YUG Orden Karađorđeve zvezde VKrst BAR.svg
|nome_onorificenza=Cavaliere di gran croce dell'Ordine della Stella dei Karađorđević (Casa di Karađorđević)
|collegamento_onorificenza=Ordine della Stella dei Karađorđević
|motivazione=
|luogo=
}}
 
== Araldica ==
==Titoli nobiliari posseduti==
<gallery>
File:Royal Monogram of King Umberto II of Italy.svg|Monogramma
File:Royal Standard of Italy (1880–1946).svg|Stendardo regio
</gallery>
 
== Nella cultura di massa ==
Re d'Italia, Re di Sardegna, Re di Armenia, Re di Cipro, Re di Gerusalemme, Duca di Savoia, Duca di Monferrato, Duca di Genova, Duca di Aosta, Duca del Chiablese, Duca del Genovese, Principe e Duca di Carignano, Vicario perpetuo dell'Impero, Principe di Piemonte, Principe di Oneglia, Principe di Acaia, Principe di Masserano, Principe di Chieri, Principe di Dronero, Principe di Bene, Principe di Brà, Principe di Montemellian con Arbin e Fancin, Principe di Carmagnola, Principe di Poirino, Principe di Trino, Principe di Crescentino, Principe di Riva di Chieri e Banna, Principe di Busca, Marchese di Saluzzo, Marchese in Italia, Marchese d'Ivrea, Marchese di Susa, Marchese di Ceva, Marchese di Maro, Marchese di Cesena e Oristano, Marchese di Savona, Marchese di Tarantasia, Marchese di Borgomanero e Cureggio, Marchese di Caselle, Marchese di Rivoli, Marchese di Pianezza, Marchese di Covone, Marchese di Salussola, Marchese di Racconigi con Tegerone, Marchese di Migliabruna e Motturone, Marchese di Cavallermaggiore, Marchese di Marene, Marchese di Modane e Lanselbourg, Marchese di Livorno Ferrarsi, Marchese di Santhià, Marchese d'Aglié, Marchese di Centallo e Demonte, Marchese di Desana, Marchese di Ghemme, Marchese di Vigone, Marchese di Villafranca, Earl di Richmond, Conte di Torino, Conte di Ginevra, Conte di Nizza, Conte di Moriana, Conte di Barge, Conte di Moncalieri, Conte di Mirafiori e Fontanafredda, Conte di Sarre, Conte di Villafranca-Soisson, Conte di Tenda, Conte di Romont, Conte di Valence e Die, Conte di Asti, Conte d'Alesseria e di Gogeana, Conte di Novara, Conte di Tortona, Conte di Bobbio, Conte di Coissons, Conte di Sant'Antioco, Conte di Pollenzo, Conte di Belly e Salmorence, Conte d'Oriado, di Bredulo ed Alberga, Conte di Roccabruna, Conte di Tricerro, Conte di Bairo, Conte di Oregno, Conte delle Apertole, Vissonte di Chambery, Barone di Vaud e di Faucigny, Barone di Varicella, Signore di Vercelli, Signore di Pinerolo, Signore di Lomellina e Valle Sesia, Signore di Tarantasia, Signore di Arvillars e Mulette, Signore di Collegno, Signore di Bernezzo, Signore d'Allezzano, Signore di Pollenzo, Signore di Busca, Signore di Genola, Signore di Pancalieri, Signore di Racconigi, Signore di Covorre, Signore di Bugey, Signore di Cornillon, Signore di Coligny, Signore di Meudon, Signore di Villanova di Chillon, Signore di Bardcrest, Signore di Chamasson, Signore di Corcelle, Signore di Boon, Signore di Balme, Signore di Cluse, Signore di Montagny, Signore di Grospurg, Signore di Bressa e Bougé, Signore di Seyssel, Signore d'Egle, Signore d'Aubonne e Vingel, Signore d'Arlod, Signore di Gruyères, Signore di Vivey e Port Valeys, Signore di Corbière, Signore di Ponto in Ogo, Signore di Torre del Pino, Signore di Talavier, Signore di Clées, Signore di Baleyson, Signore di Lanzin, Signore di Belmont, Signore d'Arcanciem, Signore di Yllens, Signore di Charosse, Signore di Dorches, Signore di Cronay, Signore di Palesiex, Patrizio di Venezia, Patrizio di Ferrara.
*Umberto è il protagonista di un racconto di [[Giovannino Guareschi]], intitolato ironicamente ''Colpo di stato'', pubblicato sul settimanale ''[[Candido (rivista)|Candido]]'' nel febbraio 1952 e ripubblicato nel 1997 in ''Mondo Candido 1951-1953''<ref>{{cita testo|url=http://www.reumberto.it/colpodistato.htm|titolo=Testo di ''Colpo di stato''|accesso=5 settembre 2015|dataarchivio=24 settembre 2015|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20150924090342/http://www.reumberto.it/colpodistato.htm|urlmorto=sì}}, in ''Mondo Candido 1951-1953'', Rizzoli, 1997, pp. 120-128.</ref> Numerose vignette sul ''Candido'' furono dedicate a Umberto II da Guareschi, fervente monarchico, che ricevette anche una decorazione dal re in esilio.
*Prima di imbarcarsi dal [[Portogallo]] per un viaggio negli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]] nel 1953, [[Anna Magnani]] volle andare a trovare con [[Renzo Avanzo]] l'ex sovrano Umberto nella sua residenza in esilio a [[Cascais]]. L'attrice romana (che aveva votato a favore della monarchia al [[Nascita della Repubblica Italiana|referendum del 1946]]) e il sovrano si erano conosciuti durante la proiezione di ''[[Roma città aperta]]'' al [[Palazzo del Quirinale|Quirinale]]. Nella residenza portoghese i due si scambiarono saluti e abbracci e Magnani confidò a Umberto, forse scherzando, di volersi ritirare dalle scene, mentre il re la omaggiò per farla desistere<ref>{{Cita web|url=https://tototruffa2002.it/galleria-multimediale/la-stampa/articoli-d-epoca-altri-artisti-e-altri-temi/anna-magnani/1953-anna-magnani-la-mia-avventura-in-america.html|titolo=Anna Magnani, la mia avventura in America}}</ref><ref>{{Cita news|autore=Anna Magnani|titolo=La mia avventura in America|pubblicazione=Tempo|data=anno XV, n. 29 e 30, 9-16 luglio 1953}}</ref>.
*La figura di Umberto II è rappresentata nella puntata sul referendum istituzionale ''Il 2 giugno'' nella miniserie televisiva del 1971 ''[[Nascita della Repubblica]]'' di [[Vittorio De Sica]].
*Umberto è stato interpretato dall'attore [[Marcella Di Folco|Marcello Di Falco]] (poi Marcella Di Folco) nel film del 1973 ''[[Amarcord]]'' di [[Federico Fellini|Fellini]], mentre si incontra in camera d'albergo con la Gradisca.
*L'ultimo re d'Italia è il dedicatario di una poesia in [[romanesco]] di [[Aldo Fabrizi]], intitolata ''A Umberto'' nel 1979.<ref>{{cita testo|url=http://www.reumberto.it/fabrizi.htm|titolo=Aldo Fabrizi per il Re|accesso=25 settembre 2015|dataarchivio=25 settembre 2015|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20150925171436/http://www.reumberto.it/fabrizi.htm|urlmorto=sì}}.</ref>
*Umberto viene intervistato nel documentario ''[[Il piccolo re]]'' di [[Nicola Caracciolo]] del 1979.
*Compare nel film del 1995 ''[[Io e il re]]'', regia di [[Lucio Gaudino]] e interpretato da [[Marzio Honorato]].
*Il personaggio di Umberto II è presente nel film per la televisione del 2002 ''[[Maria José - L'ultima regina]]''.
*Il principe ereditario Umberto è interpretato da [[Flavio Parenti]] nella serie tv del 2024 ''[[La lunga notte - La caduta del Duce]]''.
 
==Bibliografia Note ==
<references/>
*[[Giovanni Artieri]], ''Umberto II e la crisi della monarchia'', Mondadori, Milano 1983
* Giovanni Artieri, ''Cronaca del Regno d'Italia'', 2 vol, Mondadori, Milano, 1977 e 1978 (con "Appendici" sui gioielli della Corona e sui beni privati dei Savoia e la loro avocazione allo Stato e cause giudiziarie relative),
*[[Silvio Bertoldi]], ''Umberto II'', Bompiani, Milano 1983
*[[Gianni Oliva]], ''Umberto II - L'Ultimo Re'', Mondadori, Milano 2000, ISBN 8804476184
* ''Il pensiero e l'azione del Re Umberto II dall'esilio (13 giugno 1946-31 dicembre 1965)'', Rizzoli, Milano, 1966
* ''Il Re dall'esilio'' (raccolte di documenti), Silvio Mursia, Milano,1978 .
* Giovanni Mosca, "Il Re in un angolo", Rizzoli, Milano, 1950.
* Piero Operti, "Lettera aperta a Benedetto Croce", Volpe, Roma, 1963.
* Franco Malnati, "La grande frode - come l'Italia fu fatta repubblica", Bastogi Editrice Italiana, 1998.
* [[Mario Viana]], "La Monarchia e il fascismo", Marviana, Roma, 1951.
* Squarti Perla A. Araldica e Nobiltà nelle Marche. Edizioni Fast Edit. 2007. (Cfr. in particolare l’articolo su “Provvedimenti Nobiliari di Grazia Sovrana” da cui si evince, dati alla mano, che le concessioni di Umberto II rientrano perfettamente nella media dei provvedimenti nobiliari emanati dai precedenti Sovrani d’Italia).
* Giorgio Navone, Mauro Navone, ''Andrea Doria ed Emanuele Filiberto di Savoia'', Simonelli Editore, 2005, ISBN 8876470271
* Domenico Bartoli, ''Da Vittorio Emanuele a Gronchi'', Longanesi, 1962
 
== Bibliografia ==
==Collegamenti esterni==
*''Il pensiero e l'azione del re Umberto II dall'esilio (13 giugno 1946-31 dicembre 1965)'', Rizzoli, Milano, 1966.
* [http://www.reumberto.it Raccolta online di documenti pro monarchia riguardanti Umberto II]
*''Il re dall'esilio'' (raccolte di documenti), Silvio Mursia, Milano, 1978.
* [http://www.realcasadisavoia.it/letteredelre.htm Le lettere di re Umberto II al figlio Vittorio Emanuele in merito alle regole della successione dinastica]
*{{cita libro|autore=[[Giovanni Artieri]]|titolo=Cronaca del Regno d'Italia|volume=2 volumi|editore=Mondadori|città=Milano|anno=1977-1978|cid=Artieri 1977-1978}} Con ''Appendici'' sui gioielli della Corona e sui beni privati dei Savoia e la loro avocazione allo Stato e cause giudiziarie relative.
*{{cita libro|autore=Giovanni Artieri|titolo=Umberto II e la crisi della monarchia|editore=Mondadori|città=Milano|anno=1983|cid=Artieri 1983}}
*{{cita libro|autore=Domenico Bartoli|titolo=Da Vittorio Emanuele a Gronchi|editore=Longanesi|città=Milano|anno=1962|cid=Bartoli 1962}}
*{{cita libro|autore=Domenico Bartoli|titolo=I Savoia, ultimo atto|editore=De Agostini|città=Novara|anno=1986|cid=Bartoli 1986}}
*{{cita libro|autore=[[Silvio Bertoldi]]|titolo=Umberto II|editore=Bompiani|città=Milano|anno=1983}}
*{{cita libro|autore=Silvio Bertoldi|titolo=L'ultimo re, l'ultima regina|cid=Bertoldi}}
*{{cita libro|autore=Enrico Caviglia|titolo=Diario (1925-1945)|editore=Gherardo Casini Editore|città=Roma|anno=1952|cid=Caviglia}}
*{{cita libro|autore=Raffaello Cecchetti|titolo=Manuale di diritto nobiliare|editore=Pisa University Press|anno=2021|isbn=978-88-6741-173-3|cid=Cecchetti}}
*Italicus (Ezio Saini), ''Storia segreta di un mese di regno'', Sestante, Roma, 1948.
*{{cita libro|autore=Lucio Lami|titolo=Il re di maggio - Umberto: dai fasti del principe bello ai tormentati anni dell'esilio|editore=Ares|anno=2002|isbn=88-8155-240-X|cid=Lami}}
*{{cita libro|autore=Denis Mack Smith|titolo=I Savoia re d'Italia|editore=Rizzoli|anno=1990|cid=Mack Smith}}
*{{cita libro|autore=Franco Malnati|titolo=La grande frode. Come l'Italia fu fatta repubblica|editore=Bastogi|anno=1998|cid=Malnati}}
*{{cita libro|autore=Aldo A. Mola|titolo=Declino e crollo della monarchia in Italia|editore=Mondadori|anno=2008|isbn=978-88-04-57988-5|cid=Mola}}
*[[Giovanni Mosca]], ''Il re in un angolo'', Rizzoli, Milano, 1950.
*{{cita libro|autore=Giorgio Navone|autore2=Mauro Navone|titolo=Andrea Doria ed Emanuele Filiberto di Savoia|editore=Simonelli|anno=2005|ISBN=88-7647-027-1|cid=Navone}}
*{{cita libro|autore=[[Gianni Oliva]]|titolo=Umberto II. L'ultimo re|editore=Mondadori|città=Milano|anno=2000|ISBN=88-04-47618-4|cid=Oliva}}
*Piero Operti, ''Lettera aperta a Benedetto Croce'', Volpe, Roma, 1963.
*{{cita libro|autore=Luciano Regolo|titolo=Il re signore|editore=Simonelli|città=Milano|anno=1998|isbn=88-86792-14-X|cid=Regolo}}
*Niccolò Rodolico, Vittorio Prunas Tola, ''Libro azzurro sul referendum 1946'', Superga, Torino, 1952.
*Cristina Siccardi, ''Maria José Umberto di Savoia. Gli ultimi sovrani d'Italia'', Paoline, Milano, 2004.
*{{cita libro|autore=Gigi Speroni|titolo=Umberto II, il dramma segreto dell'ultimo re|editore=Bompiani|anno=2004|isbn=88-452-1360-9|cid=Speroni}}
*{{cita libro|autore=Antonio Spinosa|titolo=Vittorio Emanuele III|editore=Mondadori|cid=Spinosa}}
*Angelo Squarti Perla, ''Araldica e nobiltà nelle Marche'', Fast 2007 (cfr. in particolare l'articolo su "Provvedimenti nobiliari di grazia sovrana".
*{{cita libro|autore=Peter Tompkins|titolo=Dalle carte segrete del Duce|editore=Tropea|città=Milano|anno=2001|cid=Tompkins}}
*[[Mario Viana]], ''La monarchia e il fascismo'', Marviana, Roma, 1951.
*Giulio Vignoli, ''Scritti politici clandestini. Politicamente scorretti'', parte seconda, ''Sabaudia'', ECIG, Genova, 2000, pp.&nbsp;39–92.
 
== Voci correlate ==
{{Box successione|immagine=Royal standard of Italy (1880 - 1946).svg|carica=[[Elenco di monarchi italiani|Re d'Italia]]|periodo = [[1946]]|precedente = [[Vittorio Emanuele III d'Italia|Vittorio Emanuele III]]|successivo = [[Enrico De Nicola]] ''(repubblica)''}}
*[[Casa Savoia]]
*[[Tavole genealogiche di Casa Savoia]]
*[[Regno d'Italia (1861-1946)]]
*[[Armoriale di casa Savoia]]
*[[Tesoro della Corona d'Italia]]
*[[Linea di successione al trono d'Italia]]
*[[Famiglia reale italiana]]
 
== Altri progetti ==
{{Box successione|immagine=Blasone dei Savoia.JPG|carica=[[Casa Savoia|Capo di Casa Savoia]]|periodo = [[1946]] - [[1983]]|precedente = [[Vittorio Emanuele III d'Italia|Vittorio Emanuele III]]|successivo = Controversia in corso: [[Linea di successione al trono d'Italia]]}}
{{interprogetto}}
 
== Collegamenti esterni ==
{{Re d'Italia|Elenco dei Re d'Italia}}
*{{Collegamenti esterni}}
*{{cita web|url=http://www.reumberto.it|titolo=Raccolta online di documenti pro monarchia riguardanti Umberto II}}
*{{cita web |url=http://www.monarchia.it/successione_dinastica.html |titolo=Le lettere di re Umberto II al figlio Vittorio Emanuele in merito alle regole della successione dinastica |accesso=23 agosto 2011 |urlarchivio=https://web.archive.org/web/20120322013122/http://www.monarchia.it/successione_dinastica.html# |urlmorto=sì }}
*{{cita web|url=http://www.geocities.com/henrivanoene/genbelgium.html|titolo=Genealogy of the Royal Family of Belgium (House Saxe-Coburg-Gotha)|urlmorto=sì|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20140222031953/http://www.geocities.com/henrivanoene/genbelgium.html|accesso=28 luglio 2009}}
 
{{Box successione
[[Categoria:Fascismo]]
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[[Categoria:Personalità italiane della seconda guerra mondiale]]
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}}
{{Box successione
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