Caso Moro: differenze tra le versioni

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{{Incidente
{{Strage
|titolo =Il rapimentoRapimento di Aldo Moro
|immagine =viaFani 2Aldo Moro br.jpg
|didascalia = Aldo Moro nella prima foto diffusa dalle Brigate Rosse durante il sequestro
|didascalia=Via Mario Fani il giorno del rapimento.
|evento = sequestro di persona e omicidio
|luogo=[[Roma]]
|nazione = ITA
|data=[[16 marzo]] - [[9 maggio]] [[1978]]
|luogo = [[Roma]]
|obbiettivo=Il presidente della DC Aldo Moro
|data = 16 marzo - 9 maggio 1978
|tipologia=Sequestro, omicidio
|obiettivo = [[Aldo Moro]]
|vittime=6 (Moro e 5 membri della scorta)
|tipologia = Sequestro, omicidio
|esecutori=[[Brigate Rosse]]
|vittime = 6 ([[Aldo Moro]] e 5 membri della scorta)
|sospetti=
|esecutori = [[Brigate Rosse]]
|motivazione=
|motivazione = [[Terrorismo]]
}}
 
PerIl '''caso Moro''' si intendeè l'insieme delle vicende dellrelative all'agguato, al sequestro, alla prigionia ede all'uccisione di [[Aldo Moro]], enonché dellealle ipotesi sull'intera vicenda e alle ricostruzioni, spesso discordanti fra di loro, degli eventi che avvennero in quel periodo.
 
La mattina del [[16 marzo]] [[1978]], giorno in cui il [[governo Andreotti IV|nuovo governo,]] guidato da [[Giulio Andreotti]], stava per presentarsiessere presentato in [[Parlamento Italianoitaliano|Parlamento]] per ottenere la fiducia, l'auto che trasportava l'onorevole Aldo Moro dalla sua abitazione alla [[Camera dei Deputatideputati (Italia)|Camera dei deputati]] fu [[agguato di via Fani|intercettata e bloccata in via Mario Fani]] a [[Roma]] da un commandonucleo armato delle [[Brigate Rosse. In pochi minuti, sparando con armi automatiche, i brigatisti uccisero i due [[Arma dei Carabinieri|carabinieri]] a bordo dell'auto di Moro ([[Oreste Leonardi]] e [[Domenico Ricci]]) e i tre [[Polizia di Stato|poliziotti]] che viaggiavano sull'auto di scorta ([[Raffaele Iozzino]], [[Giulio Rivera]] e [[Francesco Zizzi]]), quindi sequestrarono il presidente della [[Democrazia Cristiana]].
 
Dopo una prigionia di 55 giorni, durante la quale le Brigate Rosse richiesero invano uno scambio di prigionieri con lo Stato italiano, Moro fu sottoposto a un processo politico da parte del cosiddetto «tribunale del popolo», istituito dalle stesse BR, e quindi ucciso il 9 maggio. Il suo cadavere fu ritrovato quello stesso giorno nel bagagliaio di una [[Renault 4]] rossa parcheggiata a Roma in via Michelangelo Caetani, distante circa 150 metri sia da [[via delle Botteghe Oscure]], sede nazionale del [[Partito Comunista Italiano]], sia da [[Piazza del Gesù (Roma)|Piazza del Gesù]], [[Palazzo Cenci-Bolognetti|sede nazionale]] della [[Democrazia Cristiana]].<ref>Erroneamente fu riportato dalla stampa che il luogo del ritrovamento era esattamente a metà strada fra le sedi dei due partiti.</ref>
In pochi secondi, sparando con armi automatiche, i terroristi uccisero i due carabinieri a bordo dell'auto di Moro (Domenico Ricci e Oreste Leonardi) e i tre poliziotti sull'auto di scorta (Raffaele Jozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi) e sequestrarono il presidente della [[Democrazia Cristiana]].
 
== Cronologia del sequestro ==
Dopo una prigionia di 55 giorni durante la quale venne sottoposto ad un processo politico e venne chiesto invano uno scambio di prigionieri con lo stato italiano, il cadavere di Aldo Moro fu ritrovato il 9 maggio nel [[cofano]] bagagli di una [[Renault 4]] a Roma, in via Caetani.
{{Vedi anche|Cronaca del sequestro Moro}}
=== L'agguato e il rapimento ===
{{vedi anche|Agguato di via Fani}}Dinanzi alla [[Corte d'appello di Roma]], l'ex brigatista [[Valerio Morucci]] raccontò: «l'organizzazione era pronta per il 16 mattina, uno dei giorni in cui l'on. Moro sarebbe potuto passare in via Fani. Non c'era certezza, avrebbe anche potuto fare un'altra strada. Era stato verificato che passava lì alcuni giorni, ma non era stato verificato che passasse lì sempre. Non c'era stata una verifica da mesi. Quindi il 16 marzo era il primo giorno in cui si andava in via Fani per compiere l'azione, sperando, dal punto di vista operativo, che passasse di lì quella mattina. Altrimenti si sarebbe dovuti tornare il giorno dopo e poi ancora il giorno dopo, fino a quando non si fosse ritenuto che la presenza di tutte queste persone, su quel luogo per più giorni, avrebbe comportato sicuramente il rischio di un allarme».<ref name="repubblica">{{Cita libro|autore=Sergio Zavoli|titolo=La notte della Repubblica|anno=1992|editore=Nuova Eri|città=Roma}}</ref>[[File:Agguato di via Fani - Roma, 1978 - Domenico Ricci e Oreste Leonardi.jpg|thumb|I corpi senza vita dell'autista e della guardia del corpo di Moro|264x264px]]
 
Secondo quanto emerso dalle indagini giudiziarie, alla messa in atto del piano avrebbero partecipato undici persone, ma il numero e l'identità dei reali partecipanti è stato messo più volte in dubbio e anche le confessioni dei brigatisti sono state contraddittorie su alcuni punti.<ref name="delitto28s">[[Carlo Alfredo Moro]], ''Storia di un delitto annunciato'', Roma, Editori Riuniti, 1998, pag 28 e seguenti.</ref>
La strada si trova emblematicamente a poca distanza <ref> Erroneamente, forse ad enfasi del fatto, venne riportato dalla stampa che il luogo del ritrovamento fosse esattamente a metà strada fra le sedi dei due partiti </ref> da [[Piazza del Gesù]] (dov'era la sede nazionale della [[Democrazia Cristiana]]) e via delle Botteghe Oscure (dove era la sede nazionale del [[Partito Comunista Italiano]]).
 
Alle 8:45 i quattro componenti del nucleo armato brigatista incaricati di sparare, con indosso false uniformi del personale [[Alitalia]],<ref name="delitto32">[[Carlo Alfredo Moro]], ''Storia di un delitto annunciato'', Roma, Editori Riuniti, 1998, pag 32.</ref> si disposero all'incrocio tra via Mario Fani e via Stresa, nascosti dietro le siepi del bar Olivetti, chiuso per fallimento e situato dal lato opposto rispetto allo stop dell'incrocio stesso. [[Mario Moretti]], componente del comitato esecutivo delle Brigate Rosse e dirigente della colonna romana, al volante di una [[Fiat 128]] con targa falsa del [[Corpo diplomatico]], si appostò nella parte alta della strada, sul lato destro, all'altezza di via Sangemini. Davanti a Moretti si posizionò un'altra Fiat 128 con a bordo [[Alvaro Lojacono]] e [[Alessio Casimirri]]. Entrambe le auto erano rivolte in direzione dell'incrocio con via Stresa. Sempre su via Fani, ma subito oltre l'incrocio con via Stresa, era appostata una terza Fiat 128, con al volante [[Barbara Balzerani]], rivolta in senso opposto alle altre, ovvero verso la prevista direzione di provenienza delle auto di Moro. Su via Stresa infine, pochi metri dopo l'incrocio, era posizionata una quarta auto, una [[Fiat 132]] blu con dentro [[Bruno Seghetti]], preposta a intervenire in retromarcia subito dopo l'agguato e imbarcare l'ostaggio.
==Il sequestro==
{{Vedi anche|Cronaca del sequestro Moro}}
===L'agguato===
 
Moro, come ogni mattina, uscì dalla sua abitazione in via del Forte Trionfale 79 poco prima delle 9:00 e salì sulla [[Fiat 130]] blu di rappresentanza; alla guida vi era l'[[appuntato]] dei Carabinieri Domenico Ricci e, seduto accanto a questi, il [[maresciallo]] dei Carabinieri [[Oreste Leonardi]], caposcorta, considerato la guardia del corpo più fidata del presidente. La 130 era seguita da un'[[Alfa Romeo Alfetta|Alfetta]] bianca con a bordo gli altri componenti la scorta: il [[vicebrigadiere]] di Pubblica sicurezza Francesco Zizzi e gli agenti di polizia Giulio Rivera e Raffaele Iozzino. Le due auto imboccarono via Trionfale in direzione centro, verosimilmente per raggiungere attraverso via della Camilluccia la [[Chiesa di Santa Chiara a Vigna Clara|chiesa di Santa Chiara]] in piazza dei Giuochi Delfici, ove Moro era solito entrare prima di recarsi al lavoro.
La tecnica utilizzata fu quella detta "a cancelletto", che le Brigate Rosse copiarono dall'organizzazione terroristica tedesca [[Rote Armee Fraktion|RAF]].
 
L'agguato brigatista iniziò quando la colonna su cui viaggiava Moro svoltò a sinistra da via Trionfale su via Fani: [[Rita Algranati]], appostata all'angolo fra le due strade con un mazzo di fiori, segnalò a Moretti, Lojacono e Casimirri l'avvenuto passaggio delle due auto con un cenno convenuto.
Si trattava di intrappolare un convoglio di auto bloccando quella di testa e poi chiudendo quella di coda in pochi secondi. Per essere realizzata, si parcheggiavano altre auto nel punto dove si svolge l'azione, per chiudere le vie di fuga.
 
[[File:Via Mario Fani targa Aldo Moro.jpg|thumb|left|Targa commemorativa dei cinque agenti della scorta uccisi in via Fani|220x220px]]
Il convoglio con Aldo Moro era composto da sole due auto: quella su cui viaggiava lo statista e quella di scorta, che lo seguiva.
Moretti riuscì subito a mettersi proprio davanti all'auto di Moro, procedendo in modo da non farsi sorpassare, mentre la 128 di Lojacono e Casimirri si portò in coda alla colonna. Dopo circa 400 metri, in corrispondenza dello stop all'incrocio con via Stresa, l'auto di Moretti si arrestò di colpo; le successive deposizioni dei brigatisti discordarono sul fatto che alla frenata fosse seguito o no un tamponamento da parte della Fiat 130 con a bordo Moro. Quest'ultima in ogni caso si venne a trovare stretta tra l'auto di Moretti e l'Alfetta della scorta che la seguiva. Le due auto del corteo del presidente furono quindi a loro volta intrappolate alle spalle dalla 128 di Lojacono e Casimirri, che si mise di traverso.
Il piano venne attuato da 11 persone (come emerse dalle indagini giudiziarie, ma il numero e l'identità dei reali partecipanti è stato messo più volte in dubbio ed anche le confessioni dei brigatisti sono contradditorie su alcuni punti<ref>[[Alfredo Carlo Moro]], ''Storia di un delitto annunciato'', Editori Riuniti, pag 28 e seguenti</ref>).
 
A questo punto entrò in azione il gruppo di fuoco: i quattro uomini vestiti da avieri civili e armati di [[Pistola mitragliatrice|pistole mitragliatrici]] sbucarono da dietro le siepi del bar Olivetti. Dalle indagini giudiziarie i quattro vennero identificati in: Valerio Morucci, esponente molto noto dell'estremismo romano ritenuto un esperto di armi, [[Raffaele Fiore]], proveniente dalla colonna brigatista di [[Torino]], [[Prospero Gallinari]], clandestino e ricercato dopo essere evaso nel 1977 dal carcere di [[Treviso]], e [[Franco Bonisoli]], proveniente dalla colonna di [[Milano]]. Tutti e quattro erano militanti fortemente determinati e già coinvolti in precedenti azioni di fuoco.<ref>{{Cita libro|autore=Valerio Morucci|titolo=La peggio gioventù|città=Milano|editore=Rizzoli|anno=2004}}</ref>
Alle 8,45 gli uomini del commando BR, che per l'occasione avevano indossato uniformi da avieri civili<ref>[[Alfredo Carlo Moro]], ''Storia di un delitto annunciato'', Editori Riuniti, pag 32</ref>, si disposero alla fine di via Fani, una strada in discesa, all'incrocio con via Stresa. Nella parte alta [[Mario Moretti]] si appostò alla guida di una [[Fiat 128]] sul lato destro, con targa falsa del Corpo Diplomatico (CD). Davanti alla macchina di Moretti si posizionò un'altra Fiat 128 con a bordo [[Alvaro Lojacono]] e [[Alessio Casimirri]]. Entrambe le auto erano rivolte in direzione dell'incrocio.
[[File:Morucci Fiore Gallinari Bonisoli Brigate Rosse.jpg|thumb|upright=2|I quattro brigatisti che, travestiti da assistenti di volo, spararono sulla scorta: Valerio Morucci «Matteo», [[Raffaele Fiore]] «Marcello», [[Prospero Gallinari]] «Giuseppe» e [[Franco Bonisoli]] «Luigi»]]
I quattro si portarono molto vicini alle due auto bloccate allo stop: Morucci e Fiore aprirono il fuoco contro la Fiat 130 con Moro a bordo, Gallinari e Bonisoli contro l'Alfetta di scorta. Secondo le ricostruzioni dei brigatisti, tutti e quattro i mitra si sarebbero in seguito inceppati: Morucci riuscì a eliminare subito il maresciallo Leonardi, poi si trovò in difficoltà con il suo mitra, mentre invece l'arma di Fiore si sarebbe inceppata subito, il che lasciò il tempo all'appuntato Ricci di tentare varie disperate manovre per svincolare l'auto dalla trappola; una [[Mini (1959)|Mini Minor]] parcheggiata sul lato destro intralciò ulteriormente ogni movimento. In pochi secondi Morucci risolse la situazione tornando vicino alla Fiat 130 e uccidendo con una raffica anche l'autista.<ref name="affare25">[[Andrea Colombo (giornalista)|Andrea Colombo]], ''Un affare di Stato. Il delitto Moro e la fine della Prima Repubblica'', Milano, Cairo Editore, 2008, pag 25 e 26.</ref>
 
Contemporaneamente, Gallinari e Bonisoli sparavano contro gli uomini della scorta sull'Alfetta: Rivera e Zizzi furono subito colpiti mentre Iozzino, relativamente riparato sul sedile posteriore destro e favorito dall'inceppamento dei mitra dei brigatisti, poté uscire dall'auto e rispondere al fuoco con la sua pistola Beretta 92, ma subito dopo Gallinari e Bonisoli estrassero entrambi le loro pistole e uccisero anche lui.<ref name="affare26">[[Andrea Colombo (giornalista)|Andrea Colombo]], ''Un affare di Stato. Il delitto Moro e la fine della Prima Repubblica'', Milano, Cairo Editore, 2008, pag 26 e 27.</ref> Dei cinque uomini della scorta, Francesco Zizzi fu l'unico a non morire sul colpo: estratto vivo dall'Alfetta ai primi soccorsi, si spegnerà poche ore dopo al [[policlinico Agostino Gemelli|Policlinico Gemelli]].
Sul lato opposto venne parcheggiata una terza Fiat 128, con alla guida [[Barbara Balzerani]], rivolta verso l'alto, cioè nella direzione di provenienza dell'auto di Moro. A qualche metro dall'incrocio con via Fani, lungo via Stresa, era posizionata la quarta ed ultima auto, una [[Fiat 132]] guidata da [[Bruno Seghetti]]. Il gruppo di fuoco, quattro persone, era nascosto dietro le siepi che fiancheggiavano la strada.
 
Secondo la prima perizia del 1978 sarebbero stati sparati in tutto 91 colpi, 45 dei quali avrebbero colpito gli uomini della scorta; 49 di questi (di cui peraltro solo 19 a segno) sarebbero stati esplosi da una stessa arma, 22 da una seconda arma del medesimo modello (entrambe erano delle pistole mitragliatrici residuati bellici [[FNAB-43]]) e i restanti 20 dalle altre quattro armi: due pistole, un mitra [[TZ-45]] e un mitra [[Beretta M12]]. La perizia del 1993 non ha confermato questi dati e non è stata in grado di attribuire tutti i 49 colpi allo stesso FNAB-43; è possibile, come affermato da Valerio Morucci, che essi appartenessero a entrambi i mitra, utilizzati da Bonisoli e da Morucci stesso.<ref name="vuoto88">[[Manlio Castronuovo]], ''Vuoto a perdere. Le BR il rapimento, il processo e l'uccisione di Aldo Moro'', Lecce, Besa, 2008, pag 88-90.</ref>
L'agguato scattò non appena il convoglio di Moro imboccò via Fani, dall'alto dirigendosi verso il basso. Fu [[Rita Algranati]] a segnalare l'arrivo delle due auto, con un mazzo di fiori.
 
Nonostante il volume di fuoco dell'azione, Aldo Moro restò totalmente illeso.
La macchina di Moretti si mise davanti all'auto di Moro e, giunta all'incrocio, si fermò in mezzo alla strada (l'auto di Moretti, in base alla testimonianza di [[Valerio Morucci]], smentita nella successiva perizia della [[Polizia Scientifica]], risultò aver disattivato i segnali di frenata, in quanto erano stati tagliati i fili elettrici che collegavano le lampadine ai fanali posteriori di stop; quindi, l'auto della scorta di Moro tamponò l'auto di Moretti e venne così intrappolata). La [[Fiat 130]] di Moro cercò ripetutamente di farsi largo ma una [[Mini Minor]] parcheggiata all'incrocio impedì qualsiasi manovra di fuga. La macchina di Moro e quella della scorta vennero intrappolate dalla 128 di Lojacono e Casimirri che si mise di traverso dietro l'auto della scorta di Moro.
 
=== La fuga degli assalitori ===
A questo punto entrò in azione il gruppo di fuoco: da dietro le siepi sbucarono quattro uomini sparando con mitragliette automatiche. Dalle indagini giudiziarie vennero identificati in: [[Valerio Morucci]], [[Raffaele Fiore]], [[Prospero Gallinari]] e [[Franco Bonisoli]]. L'azione, degna di un attacco di [[Commandos]] venne copiata da un'analoga tecnica delle [[RAF]], i terroristi di estrema sinistra tedesca. Addirittura c'è chi udì una donna, con accento germanico urlare ad alcuni passanti di affrettarsi a fuggire da via Fani, il che presupporrebbe una presenza logistica della RAF "in loco"<ref>Dall'Inserto de "La Repubblica" del 16 marzo 2008: "I Giorni di Moro"</ref>
[[File:Mappa luoghi caso Moro.png|thumb|Mappa di Roma con indicati luoghi significativi del caso Moro: 1 abitazione Aldo Moro, 2 Via Fani (agguato), 3 piazza Madonna del Cenacolo, 4 Standa di via dei Colli Portuensi , 5 Via Montalcini (prigione), 6 Via Caetani (ritrovamento cadavere), 7 Via Gradoli]]
Subito dopo lo scontro a fuoco, Raffaele Fiore estrasse Moro dalla Fiat 130 e con l'aiuto di Mario Moretti lo fece entrare nella Fiat 132 blu che Bruno Seghetti nel frattempo aveva avvicinato in retromarcia all'incrocio; quindi l'auto con a bordo Moro e i tre brigatisti si allontanò lungo via Stresa, subito seguita dalla 128 di Casimirri e Lojacono sulla quale era salito anche Gallinari. Valerio Morucci, infine, raccolse dalla Fiat 130 due delle borse di Moro e passò alla guida della Fiat 128 blu che si mosse, con a bordo anche la Balzerani e Bonisoli, dietro alle altre due auto. La 128 bianca con la quale Moretti aveva bloccato le auto di Moro fu abbandonata sul luogo dell'agguato. L'intera azione era durata appena tre minuti, dalle ore 9:02 alle ore 9:05.<ref name="affare27">[[Andrea Colombo (giornalista)|Andrea Colombo]], ''Un affare di Stato. Il delitto Moro e la fine della Prima Repubblica'', Milano, Cairo Editore, 2008, pp. 27-28.</ref>
 
Le tre auto percorsero tutta via Stresa e sbucarono sulla piazzetta Monte Gaudio, quindi proseguirono lungo via Trionfale in direzione del centro e circa 250 metri dopo largo Cervinia effettuarono una svolta repentina su via Domenico Pennestri, una strada secondaria parzialmente occultata dalla vegetazione; la deviazione permise ai brigatisti di far perdere le loro tracce: fu a questa altezza infatti che Antonio Buttazzo, autista del condirettore dell'[[Istituto nazionale di statistica|Istat]], che aveva assistito agli ultimi istanti della strage e si era messo all'inseguimento del convoglio, perse di vista le auto.<ref name=":0">{{Cita web|url=https://www.anniaffollati.it/01%20CONTENUTI/25%20Caso%20Moro/Via%20Fani%20la%20strada%20dei%20misteri/08_fuga.html|titolo=La verità processuale: la fuga
Vennero sparati in tutto ben 91 colpi di cui 45 colpirono mortalmente gli agenti di scorta. Di questi 91 colpi 49 furono sparati da una stessa arma, 22 da un'altra e i restanti 20 dalle altre 4 armi impiegate durante l'assalto<ref>[[Alfredo Carlo Moro]], ''Storia di un delitto annunciato'', Editori Riuniti, pag 31</ref>. I primi a cadere furono, dopo che vennero infranti i vetri anteriori, Domenico Ricci e Oreste Leonardi, l'autista e il capo scorta dello statista, seduti sui sedili anteriori, quindi Moro venne immediatamente prelevato e costretto a salire sulla Fiat 132 che si era affiancata alla vettura di Moro . Una donna lo sentì esclamare:
|sito=anniaffollati.it|accesso=2025-01-26|dataarchivio=14 novembre 2018|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20181114224111/http://www.anniaffollati.it/01%20CONTENUTI/25%20Caso%20Moro/Cronaca%20di%20un%20rapimento/07%20La%20fuga.html|urlmorto=no}}</ref> Queste imboccarono poi via Casale de Bustis, altra strada secondaria il cui accesso era chiuso da una sbarra bloccata da una catena: una testimone riferì di aver visto una persona in uniforme (in seguito identificata dagli stessi brigatisti in Barbara Balzerani) scendere dall'auto e recidere la catena con tronchesi.<ref name=":0" /><ref>Manlio Castronuovo, ''Vuoto a perdere'', pp. 121-122.</ref> Le auto raggiunsero quindi via Massimi. Poco più avanti, in via Bitossi, era pronto un furgone [[Fiat 850T]] grigio chiaro: qui Morucci lasciò la Fiat 128 blu, prese le due borse di Moro e passò alla guida del furgone; tutti gli autoveicoli proseguirono poi per via Pietro Bernardini<ref>Manlio Castronuovo, ''Vuoto a perdere'', p. 123.</ref> e, passando per via Serranti, raggiunsero infine piazza Madonna del Cenacolo, luogo stabilito per il trasbordo dell'ostaggio; qui Moro venne fatto salire a bordo del furgone, dove era pronta una cassa di legno nella quale sarebbe entrato.<ref name="biancocastronuovo">{{Cita libro|autore=Romano Bianco|autore2=Manlio Castronuovo|titolo=Via Fani ore 9.02. 34 testimoni oculari raccontano l'agguato ad Aldo Moro|anno=2010|editore=Nutrimenti|città=Roma}}</ref>
 
In piazza Madonna del Cenacolo, tra le 9:20 e le 9:25, il gruppo si divise. Le tre auto, guidate da Fiore, Bonisoli e la Balzerani, furono portate nella vicina via Licinio Calvo e lì abbandonate,<ref name="tela48">{{Cita libro|autore=Sergio Flamigni|titolo=La tela del ragno. Il delitto Moro|anno=1988|editore=Edizioni Associate|città=Roma}}</ref> dopodiché i tre si allontanarono a piedi; Fiore e Bonisoli presero un autobus per la [[stazione di Roma Termini|stazione Termini]] e da lì il primo treno per Milano. Secondo il racconto dei brigatisti, da piazza Madonna del Cenacolo il furgone guidato da Moretti, con il sequestrato nella cassa di legno, e una [[Citroën Dyane]] con Morucci e Seghetti si diressero, con varie deviazioni strategiche attraverso la [[Balduina]] e [[Valle Aurelia (Roma)|Valle Aurelia]], verso la zona ovest di Roma e dopo circa venti minuti giunsero al parcheggio sotterraneo della [[Standa]] di via dei [[Colli Portuensi]], dove erano già in attesa Prospero Gallinari e [[Germano Maccari]]; nel parcheggio, la cassa fu trasferita senza destare sospetti dal furgone sulla [[Citroën Ami 8]] di Anna Laura Braghetti la quale, tuttavia, non era presente sul luogo, ma attendeva l'arrivo dei brigatisti con Moro in via Montalcini 8. Sarebbero stati infine Moretti, Gallinari e Maccari a portare la Ami 8 con la cassa fino a via Montalcini 8, l'indirizzo dell'appartamento apprestato per fungere da luogo di detenzione di Moro.<ref name="vuoto125">[[Manlio Castronuovo]], ''Vuoto a perdere. Le BR il rapimento, il processo e l'uccisione di Aldo Moro'', Lecce, Besa, 2008, pag 125.</ref>
{{quote|Mi lascino andare! Cosa vogliono da me?}}
 
=== Le prime reazioni ===
Nello stesso tempo i terroristi uccisero i tre poliziotti dell'auto di scorta: Raffaele Jozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi. Ognuno di loro viene finito con un colpo alla nuca. Solo Jozzino ebbe il tempo di sparare due colpi, ma venne subito freddato dagli assalitori (precisamente da Franco Bonisoli), con un colpo alla testa.
La notizia dell'agguato si diffuse immediatamente in ogni angolo del Paese. Le attività quotidiane furono bruscamente sospese: a Roma i negozi abbassarono le saracinesche, in tutte le scuole d'Italia gli studenti uscirono dalle aule scolastiche riunendosi in assemblee, mentre le trasmissioni televisive e radiofoniche furono interrotte da notiziari in [[edizione straordinaria]]. L'agguato e il rapimento furono rivendicati alle ore 10:10 con una telefonata di Valerio Morucci all'agenzia [[ANSA]], che dettava il seguente messaggio: «Questa mattina abbiamo sequestrato il presidente della Democrazia cristiana Moro ed eliminato la sua guardia del corpo, teste di cuoio di [[Francesco Cossiga|Cossiga]]. Seguirà comunicato. Firmato Brigate Rosse».<ref name="repubblica" />
 
Diverse furono le reazioni politiche: [[Enrico Berlinguer]], segretario del [[Partito Comunista Italiano|PCI]], partito che quel giorno stava per votare in parlamento la fiducia al [[governo Andreotti IV|nuovo governo Andreotti]], che a sua volta avrebbe dovuto segnare la nascita della stagione del [[compromesso storico]], parlò di un «tentativo estremo di frenare un processo politico positivo», mentre [[Lucio Magri]] ([[Democrazia Proletaria|DP]]) paventò l'emanazione di leggi liberticide in reazione alla strage, sostenendo che eventuali provvedimenti in tal senso andavano «proprio sulla strada che la strategia dell'eversione vuole», e per combattere il terrorismo chiese al Paese un'autocritica e un impegno per affrontare i problemi che erano alla base della crisi economica e morale.<ref name="piombo">{{Cita libro|autore=Indro Montanelli|autore2=Mario Cervi|titolo=L'Italia degli anni di piombo|anno=1991|editore=Rizzoli|città=Milano}}</ref>
L' auto con il sequestrato e' vista fuggire lungo via Trionfale, Via Carlo Belli e via Casale de Bustis; la vettura, una [[Fiat 132]] blu abbandonata sarà' ritrovata alle 9:40 in via Licinio Calvo, all' interno si rivengono macchie fresche di sangue. Anche le altre vetture impiegate nell'agguato e per trasportare Moro alla sua prigione, una [[Fiat 128]] bianca e una blu, furono poi ritrovate i giorni successivi in quella via (ma secondo le testimonianze dei brigatisti queste furono parcheggiate nella via già poche ore dopo l'agguato, versione incompatibile con il ritrovamento effettuato in giorni diversi<ref>[[Alfredo Carlo Moro]], ''Storia di un delitto annunciato'', Editori Riuniti, pag 45 e seguenti</ref>.
 
Alle 10:30 i tre maggiori sindacati italiani — [[Confederazione Generale Italiana del Lavoro|CGIL]], [[Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori|CISL]] e [[Unione Italiana del Lavoro (1950)|UIL]] — proclamarono uno sciopero generale dalle 11:00 a mezzanotte, mentre nelle fabbriche e negli uffici i lavoratori annunciarono scioperi spontanei; migliaia di lavoratori andarono di loro iniziativa a presidiare le sedi dei partiti.<ref name="repubblica" />
In un lampo la notizia dell'agguato raggiunse ogni angolo della penisola. Le attività della vita quotidiana vennero interrotte bruscamente: a Roma i negozi abbassarono le saracinesche, in tutto il Paese gli studenti uscirono dalle aule scolastiche, mentre le trasmissioni televisive e radiofoniche venivano interrotte dai notiziari in edizione straordinaria. Gli [[omicidi]] e il [[rapimento]] furono rivendicati con il primo dei nove comunicati che le Brigate Rosse inviarono durante i 55 giorni del sequestro.
 
Mario Ferrandi, militante di [[Prima Linea (organizzazione)|Prima Linea]] soprannominato «Coniglio», raccontò che appena si diffuse la notizia del rapimento di Moro e dell'uccisione della scorta (durante una manifestazione dei lavoratori dell'[[Sidalm|UNIDAL]] in cassa integrazione) ci fu un momento di stupore seguito da uno di euforia e inquietudine, perché c'era la sensazione che stesse accadendo un avvenimento talmente importante che la situazione politica non sarebbe più stata la stessa.<ref name="piombo" /> Ferrandi ricordò anche che alcuni studenti presenti al corteo spesero i soldi della cassa del circolo giovanile per comprare spumante e brindare con i lavoratori della mensa.<ref name="piombo" />
===L' obiettivo delle Brigate Rosse===
{{Quote|Chi è Aldo Moro è presto detto: dopo il suo degno compare De Gasperi, è stato fino a oggi il gerarca più autorevole, il "teorico" e lo "stratega" indiscusso di questo regime democristiano che da trenta anni opprime il popolo italiano [...] la controrivoluzione imperialista [...] ha avuto in Aldo Moro il padrino politico e l'esecutore più fedele delle direttive impartite dalle centrali imperialiste.|Brigate Rosse, Primo Comunicato}}
 
Alle 10:50 un messaggio firmato dalla colonna brigatista Walter Alasia venne ricevuto dalla sede torinese dell'[[ANSA]]: i brigatisti chiesero entro 48 ore la liberazione dei loro compagni detenuti a [[Torino]], oltre a quelli di [[Azione Rivoluzionaria]] e dei [[Nuclei Armati Proletari|NAP]], specificando che in caso contrario avrebbero ucciso l'ostaggio. La DC decise di respingere qualsiasi ipotesi di ricatto avanzata dai terroristi.<ref name="repubblica" />
Si è detto che Moro fu rapito perché in lui le [[Brigate Rosse]] volevano colpire l'artefice della [[Compromesso storico|solidarietà nazionale]], e dell'avvicinamento tra DC e [[Partito Comunista Italiano|PCI]], la cui espressione fu il [[governo Andreotti IV]]. L'ottica delle BR, in realtà, era un po' diversa: il rapimento in effetti non fu realizzato per colpire il regista di quella fase politica.
Il loro scopo era più generale e rientrava nella loro particolare analisi di quella fase storica: colpire la DC (regime democristiano), cardine in Italia dello [[Imperialismo|Stato imperialista delle multinazionali]] (SIM), mentre il PCI rappresentava non tanto il nemico da attaccare quanto un concorrente da battere. Nell'ottica brigatista, infatti, il successo della loro azione avrebbe interrotto la "lunga marcia comunista verso le istituzioni", per affermare la prospettiva dello [[Rivoluzione|scontro rivoluzionario]] e porre le basi del controllo BR della [[Marxismo|sinistra italiana]] per una lotta contro il [[capitalismo]]. In questo il loro obiettivo di lotta al capitalismo era simile a quello della [[Rote Armee Fraktion|RAF]] tedesca, come venne indicato in seguito nella ricostruzione del rapimento, fatta nel fumetto pubblicato dalla rivista "Metropolis" <ref>[http://isole.ecn.org/zip/moro.htm sito ove è possibile scaricare il fumetto sul rapimento Moro]</ref>, ove viene fatto un parallelo con il sequestro [[Hanns-Martin Schleyer]], conclusosi anch'esso con l'uccisione del prigioniero.
 
=== L'obiettivo delle Brigate Rosse ===
Stando a quanto ha dichiarato successivamente [[Mario Moretti]], per le BR era rilevante che Moro fosse presidente della DC e che fosse da trent'anni al governo. Sembra, inoltre, che nei mesi precedenti il rapimento di Moro le BR avessero anche studiato la possibilità di rapire il Presidente del Consiglio [[Giulio Andreotti]], ma che poi avessero abbandonato questa ipotesi perché questi godeva di una protezione di polizia troppo forte per le capacità dei brigatisti. Secondo questa ipotesi dunque, era uguale per le Brigate Rosse rapire Moro o Andreotti: l'importante era colpire un simbolo del potere<ref>Da una deposizione di Franco Bonisoli: http://it.youtube.com/watch?v=FIF8P3z3RPA&feature=related.</ref>.
[[File:Mario Moretti Brigate Rosse.png|thumb|upright=0.7|[[Mario Moretti]], componente del Comitato Esecutivo delle Brigate Rosse e principale dirigente della colonna romana durante il sequestro]]
Due giorni dopo, mentre in [[basilica di San Lorenzo fuori le mura|San Lorenzo al Verano]] si celebravano i funerali degli uomini della scorta, venne fatto ritrovare il primo dei nove comunicati che le BR avrebbero inviato nel corso dei 55 giorni del sequestro:<ref name="repubblica" />
 
{{Citazione|Giovedì 16 marzo, un nucleo armato delle Brigate Rosse ha catturato e rinchiuso in un carcere del popolo Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana. La sua scorta armata, composta da cinque agenti dei famigerati corpi speciali, è stata completamente annientata. Chi è Aldo Moro è presto detto: dopo il suo degno compare [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]], è stato fino a oggi il gerarca più autorevole, il teorico e lo stratega indiscusso di questo regime democristiano che da trenta anni opprime il popolo italiano. Ogni tappa che ha scandito la controrivoluzione imperialista di cui la Dc è stata artefice nel nostro Paese – dalle politiche sanguinarie degli anni Cinquanta alla svolta del centrosinistra fino ai giorni nostri con l'accordo a sei – ha avuto in Aldo Moro il padrino politico e l'esecutore più fedele delle direttive impartite dalle centrali imperialiste.|Brigate Rosse, primo comunicato.}}
Le conseguenze politiche del rapimento di Moro furono da un lato l'esclusione del PCI da ogni ipotesi di governo per gli anni successivi, e dall'altro un ridisegno del cosiddetto "regime democristiano": la DC di Andreotti rimase partito di governo fino al [[1992]] anno di [[tangentopoli]], partecipando sempre a maggioranze che lasciarono il PCI all'opposizione, ma queste politiche tuttavia portarono dal [[1981]], col [[Governo Spadolini I|primo Governo Spadolini]] ad avere alternanze di presidenti del consiglio democristiani con altri "laici", rompendo quindi il monopolio democristiano. All'interno del [[Partito socialista italiano]] (PSI), che aveva sostenuto la possibilità di uno scambio di prigionieri per liberare Moro, vinse la linea di [[Bettino Craxi]] per l'esclusione del PCI dal governo, e iniziò una lotta politica con lo stesso per tentare di superarlo nelle elezioni.
 
Lo scopo dichiarato delle BR era generale e rientrava nella loro analisi di quella fase storica: colpire la DC («regime democristiano»), cardine in Italia dello "Stato [[imperialismo|imperialista]] delle [[multinazionale|multinazionali]]". Quanto al [[Partito Comunista Italiano|PCI]], esso rappresentava non tanto il nemico da attaccare quanto un concorrente da battere.<ref name="affare91">[[Andrea Colombo (giornalista)|Andrea Colombo]], ''Un affare di Stato. Il delitto Moro e la fine della Prima Repubblica'', Milano, Cairo Editore, 2008, pag 91-99.</ref> Nell'ottica brigatista, infatti, il successo della loro azione avrebbe interrotto «la lunga marcia comunista verso le istituzioni», per affermare la prospettiva dello [[Rivoluzione|scontro rivoluzionario]] e porre le basi del controllo BR sulla sinistra italiana per una lotta contro il [[capitalismo]]. Il loro obiettivo di lotta al capitalismo era in questo simile a quello della [[Rote Armee Fraktion|RAF]] tedesca, come venne indicato in seguito nella ricostruzione del rapimento, fatta nel fumetto pubblicato dalla rivista ''Metropolis'',<ref>{{cita web|url=http://isole.ecn.org/zip/moro.htm|titolo=16 marzo.Zip|editore=''ecn.org''|accesso=6 dicembre 2007}}</ref> ove viene istituito un parallelo con il di poco precedente sequestro di [[Hanns-Martin Schleyer]], anch'esso conclusosi con l'uccisione del prigioniero.
=== La prigione ===
[[Immagine:Aldo Moro br.jpg|thumb|right|Aldo Moro prigioniero delle Brigate Rosse]]
Durante la detenzione, si è detto poi, pare probabile che molti sapessero dove Moro fosse imprigionato. Si parlò dell'appartamento di Roma in via Gradoli usato da [[Mario Moretti]] e [[Barbara Balzerani]], come si scoprirà noto da tempo sia alle istituzioni che alla 'ndrangheta, ma questo era probabilmente troppo piccolo per poter contenere una prigione ed era spesso lasciato incustodito, oltre al fatto che essendo stato affittato poteva essere soggetto a visite da parte del padrone di casa.
 
Nel comunicato n. 2 del 25 marzo le BR ribadivano i concetti già espressi nel loro precedente messaggio, inoltre cercavano di coinvolgere elementi eterogenei della sinistra estrema ricordando l'[[omicidio di Fausto e Iaio]], avvenuto due giorni dopo il rapimento di Moro.<ref>{{Cita news|url=https://archivio.unita.news/assets/main/1978/03/26/page_002.pdf|titolo=I principali brani del 2° messaggio delle BR|pubblicazione=L'Unità|data=26 marzo 1978|p=2}}</ref>
Durante i processi successivi e dalle testimonianze dei brigatisti risultò che la ''prigione del popolo'' di Aldo Moro fosse situata in un appartamento di via Camillo Montalcini 8, a [[Roma]], da alcuni anni di proprietà di uno dei brigatisti, e che sia stato ivi ucciso, in un garage sotterraneo. Lo stesso covo pochi mesi dopo venne scoperto e tenuto sotto controllo dall'[[UCIGOS]], cosa che costrinse i brigatisti (che si erano resi conto di essere pedinati) a vendere e sgomberare l'appartamento entro i primi di ottobre.<ref>[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1984/09/20/moro-fu-ucciso-in-via-montalcini.html Moro fu ucciso in via Montalcini], articolo de "La Repubblica", del 20 settembre 1984</ref> <ref>[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1988/05/18/mistero-di-stato-in-via-montalcini.html Mistero di stato in via Montalcini], articolo de "La Repubblica", del 18 maggio 1988</ref> <ref>[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1988/06/01/la-vera-storia-di-via-montalcini.html La vera storia di via Montalcini], articolo de "La Repubblica", del 1 giugno 1988 </ref> <ref name=audizioneMorucci>[http://www.parlamento.it/bicam/terror/stenografici/steno22.htm Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi], 22esima seduta, audizione [[Valerio Morucci]], 18 giugno 1997</ref>
 
Stando a una dichiarazione di [[Mario Moretti]] rilasciata nel 1990,<ref name="repubblica" /> sembra che le [[Brigate Rosse]] volessero invece colpire specificamente Moro in quanto artefice principale della [[Compromesso storico|solidarietà nazionale]] e dell'avvicinamento tra DC e PCI, la cui espressione sarebbe stata il [[governo Andreotti IV]]. Stando sempre a quanto dichiarato da Mario Moretti, per le BR era rilevante sia il fatto che Moro fosse presidente della DC e che avesse ricoperto per trent'anni incarichi governativi,<ref>{{Cita libro|autore=Mario Moretti|autore2=Rossana Rossanda|autore3=Carla Mosca|titolo=Brigate Rosse. Una storia italiana|città=Milano|editore=Edizioni Anabasi|anno=1994}}</ref> sia l'urgenza di un'alternativa alla solidarietà nazionale. Un altro brigatista presente in via Fani, [[Franco Bonisoli]], disse che l'organizzazione aveva anche studiato la possibilità di rapire [[Giulio Andreotti]], ma che poi abbandonò questa opzione perché questi godeva di una protezione di polizia troppo forte per le capacità dei brigatisti; Andreotti, su specifica domanda, ha poi dichiarato di essere stato, all'epoca, non scortato. [[Alberto Franceschini]], brigatista arrestato nel 1974 e autore del [[Mario Sossi|rapimento Sossi]], raccontò di essersi recato a Roma negli anni precedenti al sequestro Moro per verificare quante possibilità vi fossero di sequestrare Andreotti, spiegando che «se si voleva realmente colpire il cuore dello Stato bisognava andare a Roma perché a Roma c'erano i luoghi fisici e le persone importanti».<ref name="piombo" />
Il fratello di Aldo Moro, Carlo Alfredo, magistrato, in un suo libro <ref>Carlo Alfredo Moro, Storia di un delitto annunciato, 1998</ref> propone però una teoria secondo la quale l'ultima prigione di Moro non sarebbe stata quella di via Montalcini, ma serebbe stata situata nei pressi di una località marina, basandosi sia sulla sabbia e sui resti vegetali trovati su Moro e sull'auto, sia sulle incongruenze dei tempi tra quanto dichiarato dai brigatisti e quanto rilevato dall'autopsia. Inoltre, sia secondo Carlo Alfredo Moro che altri, le conclusioni dell'autopsia sul corpo (che fu trovato in buone condizioni fisiche, soprattutto in merito al tono muscolare generale) lascerebbero supporre che Moro abbia avuto, durante la detenzione, una certa libertà di movimento e la possibilità di scrivere la numerosissima mole di documenti, prodotti durante la prigionia, in una situazione relativamente agevole (sedia e tavolo), condizione ben lontana da quella che si sarebbe avuta nei pochi metri quadrati concessigli nel covo di via Montalcini. Questi risultati dell'esame autoptico e alcune contraddizioni nelle confessioni tardive dei brigatisti lasciano comunque aperti molti dubbi sul luogo o sui luoghi in cui fu detenuto in prigionia Aldo Moro e sulle dimensioni anguste della presunta cella nella "prigione del popolo".<ref>[[Alfredo Carlo Moro]], ''Storia di un delitto annunciato'', Editori Riuniti, capitolo III</ref>
 
===Lettere dallaLa prigionia ===
[[File:Germano Maccari Brigate Rosse.jpg|thumb|left|90px|[[Germano Maccari]], l'«ingegner Luigi Altobelli» dell'appartamento di via Montalcini]]
{{Quote|Caro Zaccagnini,
[[File:Anna-laura-braghetti.jpg|thumb|upright=0.8|[[Anna Laura Braghetti]], «Camilla», l'insospettabile proprietaria dell'appartamento di via Montalcini 8]]
scrivo a te, intendendo rivolgermi a Piccoli, Bartolomei, Galloni, Gaspari, Fanfani, Andreotti e Cossiga ai quali tutti vorrai leggere la lettera e con i quali tutti vorrai assumere le responsabilità, che sono ad un tempo individuali e collettive. Parlo innanzitutto della D.C. alla quale si rivolgono accuse che riguardano tutti, ma che io sono chiamato a pagare con conseguenze che non è difficile immaginare. Certo nelle decisioni sono in gioco altri partiti; ma un così tremendo problema di coscienza riguarda innanzitutto la D.C., la quale deve muoversi, qualunque cosa dicano, o dicano nell'immediato, gli altri. Parlo innanzitutto del Partito Comunista, il quale, pur nella opportunità di affermare esigenze di fermezza, non può dimenticare che il mio drammatico prelevamento è avvenuto mentre si andava alla Camera per la consacrazione del Governo che m'ero tanto adoperato a costituire.|lettera a Benigno Zaccagnini recapitata il 4 aprile}}
In tempi successivi al sequestro si ipotizzò che, durante il periodo della detenzione, la «prigione» di Moro fosse conosciuta: si parlò dell'appartamento sito in via Gradoli a Roma, utilizzato da [[Mario Moretti]] e da [[Barbara Balzerani]], ma questo sito era probabilmente troppo piccolo per poter contenere un nascondiglio da adibire a prigione.
 
Durante i processi che seguirono la cattura dei brigatisti, risultò dalle loro testimonianze che la «prigione del popolo» in cui si trovava Aldo Moro fosse situata in un appartamento di via [[Camillo Montalcini]] 8, nei pressi di [[villa Bonelli (Roma)|villa Bonelli]], acquistata nel 1977 dalla brigatista [[Anna Laura Braghetti]] con i soldi provenienti dal [[sequestro di Pietro Costa]]. Durante la prigionia di Moro, nell'appartamento vissero anche la Braghetti, l'insospettabile proprietaria, il suo apparente fidanzato, l'«ingegner Luigi Altobelli» che era in realtà il brigatista [[Germano Maccari]], esperto militante romano amico di Morucci, e [[Prospero Gallinari]], brigatista latitante che, essendo già ricercato, rimase all'interno dell'appartamento per l'intera durata del sequestro e funse da carceriere dell'ostaggio. Mario Moretti, che viveva in prevalenza in via Gradoli insieme a Barbara Balzerani, si recava quasi tutti i giorni in via Montalcini per interrogare Moro ed elaborare la gestione politica del sequestro, in collegamento con gli altri membri del comitato esecutivo.
Durante il periodo della sua detenzione, Moro scrisse [[Aldo Moro#Le lettere di Aldo Moro|86 lettere]] [http://www.criticasociale.net/index.php?&lng=ita&sid=839b3226faffb565d3a67238c97e2df4&function=rivista&pid=page&year=2008&id=0003938&top_nav=titoli_2008&sintesi=1]ai principali esponenti della [[Democrazia Cristiana]], alla famiglia ed all'allora [[Papa Paolo VI]] (che avrebbe poi presenziato alla solenne messa funebre di Stato nella basilica di [[Laterano|San Giovanni in Laterano]], peraltro celebrata senza il feretro dello statista, negato dalla famiglia in polemica con la conduzione della vicenda).
Alcune arrivarono a destinazione, altre non furono mai recapitate e vennero ritrovate in seguito nel covo di via Monte Nevoso. Attraverso le lettere Moro cerca di aprire una trattativa con i colleghi di partito e con le massime cariche dello Stato.
 
Lo stesso appartamento sito al piano 1 di via Montalcini 8 che, poche settimane dopo la fine dell'operazione Moro, venne scoperto e tenuto sotto controllo dall'[[Ufficio centrale per le investigazioni generali e per le operazioni speciali|UCIGOS]], cosicché i brigatisti, resisi conto di essere pedinati, si videro costretti a smantellare la base e vendere l'appartamento entro i primi di ottobre.<ref>{{Cita news|autore=Franco Scottoni|url=http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1984/09/20/moro-fu-ucciso-in-via-montalcini.html|titolo=Moro fu ucciso in via Montalcini|pubblicazione=[[La Repubblica (quotidiano)|la Repubblica]]|data=20 settembre 1984|accesso=9 luglio 2008}}</ref><ref>{{Cita news|autore=Luca Villoresi|url=http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1988/05/18/mistero-di-stato-in-via-montalcini.html|titolo=Mistero di stato in via Montalcini|pubblicazione=la Repubblica|data=18 maggio 1988|accesso=9 luglio 2008}}</ref><ref>{{Cita news|autore=Sandra Bonsanti|autore2=Silvana Mazzocchi|url=http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1988/06/01/la-vera-storia-di-via-montalcini.html|titolo=La vera storia di via Montalcini|pubblicazione=la Repubblica|data=1º giugno 1988|accesso=9 luglio 2008}}</ref><ref name=audizioneMorucci>''[http://www.parlamento.it/bicam/terror/stenografici/steno22.htm Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi]'', 22ª seduta, audizione di [[Valerio Morucci]], 18 giugno 1997.</ref>
È stato ipotizzato che in queste lettere Moro abbia inviato messaggi criptici alla sua [[famiglia]] ed ai suoi colleghi di partito. Non immaginando che i brigatisti la renderanno pubblica, in una lettera inspiegabilmente domanda: ''Vi è forse, nel tener duro contro di me, un'indicazione americana e tedesca?'' (lettera di Aldo Moro su [[Paolo Taviani]] senza destinatario, recapitata tra il 9 ed il 10 aprile ed allegata al comunicato delle Brigate Rosse numero 5); altra ipotesi, avanzata dallo scrittore siciliano Leonardo Sciascia, è che nelle lettere medesime Moro avesse l'intenzione di inviare agli investigatori messaggi sulla localizzazione del covo, per segnalare che esso (almeno nei primi giorni del sequestro) si trovasse nella città di Roma: ''"Io sono qui in discreta salute."'' (lettera di Aldo Moro del 27/3/78, non recapitata a sua moglie Eleonora Moro).
 
Il luogo della prigione di Moro ha costituito per anni un mistero, fino alla sentenza n. 1267/81 GI dell’8 febbraio 1984 (capitolo XVI, p.&nbsp;325) del giudice Ferdinando Imposimato, con la quale via Montalcini venne svelata come la sede del covo brigatista, di proprietà della Braghetti, nel quale lo statista DC fu sequestrato ed ucciso.<ref name=":1">{{Cita web|url=https://www.aldomariavalli.it/2022/04/27/lurlo-di-moro-quegli-anagrammi-rivelatori-nelle-lettere-dal-carcere/|titolo=L’urlo di Moro. Quegli anagrammi rivelatori nelle lettere dal carcere - Aldo Maria Valli|sito=aldomariavalli.it|data=2022-04-27|lingua=it-IT|accesso=2024-08-03}}</ref>
Nella lettera recapitata l'8 aprile scaglia un vero e proprio anatema: "''Naturalmente non posso non sottolineare la cattiveria di tutti i democristiani che mi hanno voluto nolente ad una carica, che, se necessaria al Partito, doveva essermi salvata accettando anche lo scambio dei prigionieri. Sono convinto che sarebbe stata la cosa più saggia. Resta, pur in questo momento supremo, la mia profonda amarezza personale. Non si è trovato nessuno che si dissociasse? Bisognerebbe dire a Giovanni che significa attività politica. Nessuno si è pentito di avermi spinto a questo passo che io chiaramente non volevo? E Zaccagnini? Come può rimanere tranquillo al suo posto? E Cossiga che non ha saputo immaginare nessuna difesa? '''Il mio sangue ricadrà su di loro'''''.".
 
=== Lettere dalla prigionia ===
Dubbi sono stati avanzati circa la completa pubblicazione di queste lettere; il generale dei [[Carabinieri]] [[Carlo Alberto Dalla Chiesa]] (successivamente ucciso dalla [[mafia]]) trovò copie di alcune lettere ancora non note in una casa che i terroristi utilizzavano a Milano (il c.d. ''covo di via Monte Nevoso'') e, per qualche altrettanto ignoto motivo, questo recupero non fu conosciuto fino a molti anni dopo.
{{Citazione|Caro [[Benigno Zaccagnini|Zaccagnini]],
scrivo a te, intendendo rivolgermi a [[Flaminio Piccoli|Piccoli]], [[Giuseppe Bartolomei|Bartolomei]], [[Giovanni Galloni|Galloni]], [[Remo Gaspari|Gaspari]], [[Amintore Fanfani|Fanfani]], [[Giulio Andreotti|Andreotti]] e [[Francesco Cossiga|Cossiga]] ai quali tutti vorrai leggere la lettera e con i quali tutti vorrai assumere le responsabilità, che sono ad un tempo individuali e collettive. Parlo innanzitutto della DC alla quale si rivolgono accuse che riguardano tutti, ma che io sono chiamato a pagare con conseguenze che non è difficile immaginare. Certo nelle decisioni sono in gioco altri partiti; ma un così tremendo problema di coscienza riguarda innanzitutto la DC, la quale deve muoversi, qualunque cosa dicano, o dicano nell'immediato, gli altri. Parlo innanzitutto del Partito Comunista, il quale, pur nella opportunità di affermare esigenze di fermezza, non può dimenticare che il mio drammatico prelevamento è avvenuto mentre si andava alla Camera per la consacrazione del Governo che m'ero tanto adoperato a costituire.|Lettera a Benigno Zaccagnini recapitata il 4 aprile.}}
{{Citazione|[[Papa Paolo VI|Il papa]] ha fatto pochino: forse ne avrà scrupolo.|Lettera alla moglie Eleonora del 5 maggio 1978.<ref name="sentenza374-375">[[Giovanni Bianconi (giornalista)|Giovanni Bianconi]], ''Eseguendo la sentenza'', Torino, Einaudi, 2008, pag 374-375.</ref>}}
{{Citazione|Siamo ormai credo al momento conclusivo... Resta solo da riconoscere che tu avevi ragione... vorrei restasse ben chiara la piena responsabilità della DC con il suo assurdo e incredibile comportamento... si deve rifiutare eventuale medaglia... c'è in questo momento un'infinita tenerezza per voi... uniti nel mio ricordo vivere insieme... vorrei capire con i miei piccoli occhi mortali come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce sarebbe bellissimo.|Lettera alla moglie Eleonora del 5 maggio 1978.<ref name="sentenza374-375" />}}
 
Durante il periodo della sua detenzione, Moro scrisse [[Aldo Moro#Lettere di Aldo Moro|86 lettere]] ai principali esponenti della [[Democrazia Cristiana]], alla famiglia, ai principali quotidiani e a [[papa Paolo VI]], di cui era amico personale. Alcune arrivarono a destinazione, altre non furono mai recapitate e vennero ritrovate in seguito nel covo di via Monte Nevoso a [[Milano]]. Attraverso le lettere Moro cercò di aprire una trattativa con i colleghi di partito e con le massime cariche dello Stato.
L'opinione del mondo politico di allora riteneva, tuttavia, che Moro non avesse piena libertà di scrittura. Nonostante la moglie di Moro affermi, durante la deposizione al processo delle BR, di riconoscere lo stile di suo marito, le lettere sarebbero state da considerarsi se non dettate quantomeno ''controllate'' o ''ispirate'' dai brigatisti. Anche appartenenti al comitato di esperti voluto da Cossiga, tra cui il criminologo Ferracuti, in un primo tempo affermarono che Moro era stato sottoposto a tecniche di [[lavaggio del cervello]] da parte delle BR<ref name=KatzPanorama>[http://www.theboot.it/pieczenikIT.htm I giorni del complotto], articolo del giornalista Robert Katz pubblicato su Panorama del 13 agosto 1994</ref> <ref name=audizioneSilvestri>[http://www.parlamento.it/bicam/terror/stenografici/steno34.htm Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi], 34esima seduta, audizione [[Stefano Silvestri]], 3 giugno 1998</ref>. Cossiga ametterà tuttavia anni dopo di essere stato lui a scrivere parte del discorso tenuto da Giulio Andreotti in cui si affermava che le lettere di Moro erano da considerarsi non "''moralmente autentiche''"<ref>[[Emmanuel Amara]]. ''Abbiamo ucciso Aldo Moro. La vera storia del rapimento Moro'', Cooper, pag 138</ref>.
 
È stato ipotizzato che in queste lettere Moro abbia inviato messaggi criptici alla sua famiglia e ai suoi colleghi di partito. Secondo lo scrittore [[Leonardo Sciascia|Leonardo Sciascia (L'Affaire Moro", Sellerio editore, 1978)]], nelle lettere medesime Moro aveva l'intenzione di inviare agli investigatori messaggi sulla localizzazione del covo, per segnalare che esso (almeno nei primi giorni del sequestro) si trovasse nella città di Roma: «''Io sono qui in discreta salute''» (lettera di Aldo Moro del 27 marzo 1978, non recapitata a sua moglie Eleonora Moro). Sciascia era certo che nelle lettere Moro cercasse "''di comunicare qualche elemento che potesse servire ad orientare le ricerche per ritrovarlo''" e a suo avviso l'inciso "''che io mi trovo sotto un dominio pieno ed incontrollato''" scritto nella lettera a Cossiga recapitata il 29 marzo 1978, conterrebbe un possibile messaggio criptico di Moro circa il luogo della sua prigione indirizzato agli investigatori.
Alcune affermazioni di Moro nelle lettere, per esempio quelle in cui parla di scambi di "prigionieri", al plurale, fanno supporre che le Brigate Rosse gli avessero lasciato intendere di non essere l'unica persona sequestrata. E' possibile che lo statista ritenesse che anche alcuni uomini della sua scorta o forse altre personalita' rapite altrove, fossero nelle sue medesime condizioni e che quindi gli eventuali tentativi di accordo per la liberazione che cercava di portare avanti dovessero riguardare tutti gli ipotetici sequestrati.<ref>[[Alfredo Carlo Moro]], ''Storia di un delitto annunciato'', Editori Riuniti, pag 220 e seguenti</ref>
 
La moglie Eleonora Moro, sentita come testimone durante il processo, disse che in alcuni passaggi delle lettere Moro le faceva capire di trovarsi nella capitale.<ref name="repubblica" /> Il teologo e giornalista Gianni Gennari testimoniò che "''un gruppo di persone, tra gli amici di Moro (tra esse per esempio il prof. Giorgio Bachelet, fratello di Vittorio Bachelet, vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, il prof. Filippo Sacconi e il Dr. Alberto Malavolti), si erano dati da fare immediatamente, ancora nei giorni della sua prigionia, per capire qualcosa di più sulle sue lettere e su possibili 'messaggi' contenuti in esse. Sapevano, loro, e così mi hanno riferito, che Moro, soffrendo di insonnia frequente, durante le sue notti si dilettava con grande competenza di enigmistica, di rebus, di anagrammi, e pensarono di leggere con quel particolare "filtro" i testi delle lettere che arrivavano dalla prigione delle BR''". Successivamente, in diverse trasmissioni televisive (condotte da Guglielmo Zucconi prima e da Andrea Vianello dopo), si discusse sugli "anagrammi di Moro", cercando di interpretare alcune frasi fuori contesto all'interno del suo epistolario.
===I comunicati e la trattativa===
[[Immagine:Aldo moro1.jpg|thumb|300px|Muro con manifesto appeso all'indomani del rapimento]]
 
Carlo Gaudio, illustre medico universitario e scrittore, nel 2022 ha pubblicato un libro, "L'urlo di Moro" (Rubbettino Editore, premio per la saggistica "Mario Pannunzio" 2022), con una acuta decifrazione degli anagrammi contenuti nelle lettere di Aldo Moro durante la sua prigionia. Un esempio chiave è il perfetto anagramma celato nel celebre inciso "che io mi trovo sotto un dominio pieno ed incontrollato", che in realtà rivelerebbe: "e io so che mi trovo dentro il p.o uno di Montalcini n.o otto". Questo messaggio criptato, inviato a Cossiga, Ministro degli Interni, indicava l'esatto luogo della prigionia di Moro: l'appartamento di via Montalcini numero 8.<ref name=":1" /> Gaudio sostiene che Aldo Moro, nonostante la prigionia e la censura delle Brigate Rosse, fosse tanto lucido (come con forza lo statista rivendicava in molti passaggi delle lettere) da riuscire a far pervenire i suoi messaggi segreti ai destinatari, grazie a questa tecnica di 'autocensura'. Tuttavia, nessuno ha raccolto e decifrato questi messaggi di Moro prima della sua uccisione o nei quarantaquattro anni successivi.<ref name=":1" />
Durante i 55 giorni del [[sequestro]] Moro le [[Brigate rosse]] recapitano nove [[comunicati]] con i quali, assieme alla Risoluzione della [[Direzione Strategica]] (cioè il massimo organo della formazione armata) spiegano i motivi del [[sequestro]]. Sono documenti lunghi, a volte quasi illeggibili. Nel [[comunicato]] numero 3 si legge:
 
Nella lettera recapitata l'8 aprile, Moro lancia un esplicito anatema: «''Naturalmente non posso non sottolineare la cattiveria di tutti i democristiani che mi hanno voluto nolente ad una carica, che, se necessaria al Partito, doveva essermi salvata accettando anche lo scambio dei prigionieri. Sono convinto che sarebbe stata la cosa più saggia. Resta, pur in questo momento supremo, la mia profonda amarezza personale. Non si è trovato nessuno che si dissociasse? Bisognerebbe dire a Giovanni che significa attività politica. Nessuno si è pentito di avermi spinto a questo passo che io chiaramente non volevo? E Zaccagnini? Come può rimanere tranquillo al suo posto? E Cossiga che non ha saputo immaginare nessuna difesa? Il mio sangue ricadrà su di loro''».
{{quote|''L'interrogatorio, sui contenuti del quale abbiamo già detto, prosegue con la completa collaborazione del prigioniero. Le risposte che fornisce chiariscono sempre più le linee controrivoluzionarie che le centrali imperialiste stanno attuando; delineano con chiarezza i contorni e il corpo del "nuovo" regime che, nella ristrutturazione dello Stato Imperialista delle Multinazionali si sta instaurando nel nostro paese e che ha come perno la Democrazia Cristiana.''}}
 
La lettera scritta a Zaccagnini era indirettamente rivolta al PCI, in quanto c'era anche scritto: «''I comunisti non dovevano dimenticare che il mio drammatico prelevamento è avvenuto mentre si andava alla Camera per la consacrazione del Governo che mi ero tanto adoperato a costruire''».<ref name="piombo" />
E ancora:
 
Nella lettera senza destinatario recapitata tra il 9 e il 10 aprile domanda: «''Vi è forse, nel tener duro contro di me, un'indicazione americana e tedesca?''» (lettera di Aldo Moro su [[Paolo Emilio Taviani]] allegata al comunicato delle Brigate Rosse n. 5).
{{quote|''Moro è anche consapevole di non essere il solo, di essere, appunto, il più alto esponente del regime; chiama quindi gli altri gerarchi a dividere con lui le responsabilità, e rivolge agli stessi un appello che suona come un'esplicita chiamata di "correità".''}}
 
Pochi mesi dopo l'uccisione dell'ostaggio, copie di alcune lettere non ancora note<ref>[[Giacomo Mancini]], il 16 gennaio 1980, dinanzi alla prima commissione d'inchiesta sul tema ancora chiedeva: "ce ne sono alcune che non conosciamo?" ([https://patrimonio.archivio.senato.it/inventario/scheda/moro-viii-leg/IT-SEN-072-000148/comunicazioni-del-presidente-biasini-e-dibattito-questioni-procedurali-p-3#lg=1&slide=0 Commissione Moro (VIII leg.), Atti parlamentari, Resoconti stenografici delle sedute dal 10 gennaio al 20 giugno 1980, Seduta del 16 gennaio 1980], p. 9, in [[Archivio storico del Senato della Repubblica]], ASSR, Moro (VIII leg.), 3.2.1).</ref> furono trovate dagli uomini del generale [[Carlo Alberto dalla Chiesa]] in una casa che i terroristi utilizzavano a [[Milano]] (nota come «covo di via Monte Nevoso»), e nello stesso appartamento ne furono trovate altre nel 1990, durante lavori di ristrutturazione.
Le [[Brigate Rosse]] proposero di scambiare la vita di Moro con la libertà di alcuni terroristi imprigionati ("[[Fronte delle carceri]]"), (Comunicato n.8). Accettarono persino di scambiare Moro con un solo brigatista incarcerato, anche se non di spicco, pur di poter trattare alla pari con lo Stato<ref>Dall'inserto de "La Repubblica" del 16 marzo 2008: "I Giorni di Moro"</ref>.
 
Buona parte del mondo politico di allora ritenne, che Moro non avesse piena libertà di scrittura: le lettere sarebbero state da considerarsi, se non dettate, quantomeno ''controllate'' o ''ispirate'' dai brigatisti. Anche alcuni appartenenti al «comitato degli esperti» voluto da Cossiga, tra cui il criminologo [[Franco Ferracuti]], in un primo tempo affermarono che Moro era stato sottoposto a tecniche di [[lavaggio del cervello]] da parte delle BR.<ref name=KatzPanorama>[[Robert Katz]], ''[http://www.theboot.it/pieczenikIT.htm I giorni del complotto]'', ''[[Panorama (rivista)|Panorama]]'', 13 agosto 1994.</ref><ref name=audizioneSilvestri>''[http://www.parlamento.it/bicam/terror/stenografici/steno34.htm Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi]'', 34ª seduta, audizione di [[Stefano Silvestri]], 3 giugno 1998.</ref> Certe affermazioni di Moro, per esempio i passaggi in cui parla di scambi di «prigionieri», al plurale, fanno supporre che le Brigate Rosse gli avessero lasciato intendere di non essere l'unica persona sequestrata. È possibile che l'ostaggio ritenesse che anche alcuni uomini della sua scorta, o forse altre personalità rapite altrove, si trovassero nelle sue medesime condizioni, e che quindi gli eventuali tentativi di accordo per la liberazione che cercava di portare avanti dovessero riguardare tutti gli ipotetici sequestrati.<ref>[[Alfredo Carlo Moro]], ''Storia di un delitto annunciato'', Editori Riuniti, 1998, pag 220 e seguenti.</ref> Anni dopo, Cossiga avrebbe ammesso di essere stato lui a scrivere parte del discorso tenuto da Andreotti in cui si affermava che le lettere di Moro erano da considerarsi «non moralmente autentiche».<ref>[[Emmanuel Amara]], ''Abbiamo ucciso Aldo Moro. Dopo 30 anni un protagonista esce dall'ombra'', Cooper, pag 138.</ref>
Intanto un riconoscimento lo ebbero da [[papa Paolo VI]] (amico personale di Moro), il quale, in data 22 aprile 1978, rivolse un drammatico appello pubblico col quale supplicava "in ginocchio" gli "uomini delle Brigate Rosse" di rendere Moro alla sua famiglia ed ai suoi affetti, specificando tuttavia che ciò dovesse avvenire "senza condizioni"<ref>.In realtà gli appelli ai rapitori da parte di Papa Paolo VI furono tre, rispettivamente in data 19 marzo, 2 aprile e 22 aprile. ([http://www.repubblica.it/online/dossier/moro/cronologia/cronologia.html "Quei lunghi 55 giorni della tragedia Moro", Dossier de laRepubblica.it])</ref>
 
[[Giovanni Spadolini]] cercò di giustificare il tono e il contenuto delle lettere, sostenendo che erano state scritte sotto imposizione,<ref name="Montanelli">{{cita web|url=https://www.youtube.com/watch?v=0xHQ5quw8Aw|titolo=La Storia d'Italia di Indro Montanelli – 11 – Il terrorismo fino al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro|accesso=10 luglio 2023}}</ref> ma dalle inchieste e dalle testimonianze è emerso che Moro non fu mai torturato o minacciato durante il sequestro,<ref name="Montanelli" /> e a tal proposito [[Indro Montanelli]] criticò severamente gli scritti del presidente democristiano durante la prigionia, affermando che «''tutti a questo mondo hanno diritto alla paura. Ma un uomo di Stato (e lo Stato italiano era Moro) non può cercare d'indurre lo Stato ad una trattativa con dei terroristi che, oltre tutto, nel colpo di via Fani avevano lasciato sul selciato cinque cadaveri fra carabinieri e poliziotti''».<ref>{{Cita news|autore=Indro Montanelli|url=http://archiviostorico.corriere.it/1997/marzo/22/Aldo_Moro_della_melassa_ipocrita_co_0_97032213197.shtml|titolo=Aldo Moro, al di là della melassa ipocrita...|pubblicazione=[[Corriere della Sera]]|data=22 marzo 1997|accesso=13 settembre 2015|urlmorto=sì|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20150411034433/http://archiviostorico.corriere.it/1997/marzo/22/Aldo_Moro_della_melassa_ipocrita_co_0_97032213197.shtml|dataarchivio=11 aprile 2015}}</ref>
La politica si divise in due fazioni: il c.d. "[[fronte della fermezza]]", che rifiutava qualunque ipotesi di trattativa, ed il c.d. "fronte possibilista" (che comprendeva anche [[Bettino Craxi]]), per il quale un eventuale avvicinamento analitico all'ipotesi di trattativa non avrebbe svilito la dignità dello [[Stato]].
 
=== I comunicati e la trattativa ===
Secondo il fronte della fermezza, la scarcerazione di alcuni brigatisti era equivalente a una resa dello Stato, non solo per l'accondiscendenza a condizioni imposte, ma per la rinuncia all'applicazione delle sue leggi e alla certezza della pena. Una trattativa coi rapitori avrebbe creato un precedente per nuovi sequestri, strumentali al rilascio di altri brigatisti, o all'ottenimento di concessioni politiche.
[[File:Aldo moro1.jpg|thumb|Muro con manifesto appeso all'indomani del rapimento]]
 
Durante i 55 giorni del [[sequestro di persona|sequestro]] Moro le [[Brigate Rosse]] recapitarono nove comunicati con i quali, assieme alla risoluzione della ''direzione strategica'', ossia l'organo direttivo della formazione armata, spiegarono i motivi del sequestro e le condizioni poste per una trattativa per la liberazione del prigioniero; questi erano documenti lunghi e a volte poco chiari. Nel comunicato n. 3 si legge:
Più in generale, una trattativa con i terroristi avrebbe rappresentato un riconoscimento politico delle [[Brigate Rosse]]. La linea del dialogo avrebbe aperto alla possibilità di una rappresentanza partitica e parlamentare del loro braccio armato, e posto questioni di legittimità in merito alle loro richieste. I metodi intimidatori e violenti, e la non-accettazione delle regole basilari della politica, ponevano il terrorismo fuori del dibattito istituzionale, in modo indipendente dal merito delle loro richieste.
 
{{Citazione|L'interrogatorio, sui contenuti del quale abbiamo già detto, prosegue con la completa collaborazione del prigioniero. Le risposte che fornisce chiariscono sempre più le linee controrivoluzionarie che le centrali imperialiste stanno attuando; delineano con chiarezza i contorni e il corpo del "nuovo" regime che, nella ristrutturazione dello Stato Imperialista delle Multinazionali si sta instaurando nel nostro paese e che ha come perno la Democrazia Cristiana.}}
Prevalse il primo orientamento, anche in considerazione del gravissimo rischio di [[ordine pubblico]] e di coesione sociale che si sarebbe corso presso la popolazione, e in particolare, presso le forze dell'ordine, che in quegli anni avevano pagato un tributo di sangue già insostenibile a causa dei terroristi<ref>Tali preoccupazioni non furono di ostacolo al diverso epilogo del sequestro dell'assessore regionale [[Ciro Cirillo]].</ref>.
 
E ancora:
L'epilogo anticipò comunque una presa di posizione definitiva dei governanti.
 
Alcuni autori, tra cui il fratello di Moro nel succitato saggio, fanno notare alcune apparenti incongruenze nei comunicati delle BR.
 
Un primo punto riguarda l'assenza di riferimenti al progetto di Moro di apertura del governo al PCI, questo nonostante il fatto che il rapimento fosse stato effettuato lo stesso giorno in cui questo governo doveva formarsi, e nonostante l'esistenza di comunicati precedenti e successivi agli eventi dove vi erano espliciti riferimenti e dichiarazioni di contrarietà al progetto da parte dei brigatisti. Anche una lettera indirizzata a Zaccagnini da parte di Moro, con un riferimento al progetto, venne fatta riscrivere in una forma in cui questo era omesso.<ref>[[Alfredo Carlo Moro]], ''Storia di un delitto annunciato'', Editori Riuniti, pag 123 e seguenti</ref>
 
Un secondo punto riguarda le continue rassicurazioni date nei comunicati da parte dei brigatisti che tuttò cui che riguardava il "processo" a Moro e i suoi interrogatori sarebbe stato reso pubblico. Tuttavia, mentre nel caso di altri rapimenti, come quello del giudice Giovanni D'Urso (addetto alla direzione generale degli affari penitenziari), questa diffusione del materiale era stata effettuata, anche senza essere ribadita in maniera così forte e con materiale ben meno importante, nel caso Moro questa diffusione non si ebbe mai, e solo con la scoperta del covo di via Monte Nevoso a Milano diverrà pubblicamente noto (inizialmente in una versione ridotta) il [[memoriale Moro]] (presente solo in fotocopia) e alcune lettere inizialmente non diffuse. Gli stessi brigastisti hanno affermato di aver distrutto le bobine degli interrogatori e gli originali degli scritti di Moro, in quanto ritenuti non importanti, nonostante in questi vi fossero riferimenti a [[Organizzazione Gladio|Gladio]] e la connivenza di parte della DC e dello stato nella [[Teoria della strategia della tensione|strategia della tensione]]<ref>"''Per quanto riguarda la strategia della tensione, che per anni ha insanguinato l'Italia, pur senza conseguire i suoi obiettivi politici, non possono non rilevarsi, accanto a responsabilità che si collocano fuori dell'Italia, indulgenze e connivenze di organi dello Stato e della Democrazia Cristiana in alcuni suoi settori.''", estratto dall' [http://clarence.dada.net/contents/societa/memoria/moro/tema2.html interrogatorio di Aldo Moro effettuato e trascritto dalle Brigate Rosse durante la sua prigionia, II tema: La cosiddetta strategia della tensione e la strage di Piazza Fontana.], estratti dei documenti delle Brigate Rosse acquisiti dalla Commissione Moro e dalla Commissione Stragi, riportati dal sito Clarence.net</ref>, che ben sembrano identificarsi con il tipo di rivelazioni che le Brigate Rosse andavano cercando.<ref>[[Alfredo Carlo Moro]], ''Storia di un delitto annunciato'', Editori Riuniti, pag 130 e seguenti</ref>
 
===Il rinvenimento del corpo===
{{quote|Per quanto riguarda la nostra proposta di uno scambio di prigionieri politici perché venisse sospesa la condanna e Aldo Moro venisse rilasciato, dobbiamo soltanto registrare il chiaro rifiuto della DC. Concludiamo quindi la battaglia iniziata il 16 marzo, eseguendo la sentenza a cui Aldo Moro è stato condannato.|Dal comunicato numero 9}}
[[Immagine:Aldo moro rit.jpg|right|thumb|Ritrovamento del corpo di Aldo Moro]]
 
Dalle deposizioni rilasciate alla magistratura è emerso che non tutto il vertice brigatista fosse concorde con il verdetto di condanna a morte. Lo stesso Moretti <ref>Dall'inserto de "La Repubblica del 16 marzo 2008: "I Giorni di Moro"</ref> telefonò direttamente alla moglie di Moro la sera precedente l'assassinio dello statista per premere sui vertici della DC al fine di accettare la trattativa: la telefonata fu ovviamente registrata dalle [[Forze dell'Ordine]]. La brigatista [[Adriana Faranda]] citò una riunione notturna tenutasi a Milano e di poco precedente l'uccisione di Moro, ove ella ed altri terroristi ([[Valerio Morucci]], [[Franco Bonisoli]]<ref>[[Emmanuel Amara]]. ''Abbiamo ucciso Aldo Moro. La vera storia del rapimento Moro'', Cooper, pag 181</ref> e forse altri) dissentirono, tanto che la decisione finale sarebbe stata messa ai voti.
 
Il [[9 maggio]], dopo 55 giorni di detenzione, al termine di un ''processo del popolo'', viene assassinato per mano di [[Mario Moretti]], anche se - a tutt'oggi - pare che abbiano partecipato materialmente all'omicidio sia [[Germano Maccari]], che - forse - [[Prospero Gallinari]] (quasi certamente Maccari; con diverse riserve si suppone anche Gallinari)<ref>Dall'inserto de "La Repubblica" del 16 marzo 2008: "I Giorni di Moro"</ref>. Il cadavere fu ritrovato il giorno stesso in una [[Renault 4]] rossa in via Caetani, in pieno centro di Roma.
 
Secondo quanto affermato dai brigatisti più di un decennio dopo l'omicidio, Moro fu fatto alzare alle 6 di mattina con la scusa di essere trasferito in un altro covo<ref>[[Alfredo Carlo Moro]], ''Storia di un delitto annunciato'', Editori Riuniti, pag 71</ref>. Secondo una deposizione di Bonisoli, ennesima incongruenza, a Moro venne riferito di esser stato graziato e - quindi - liberato, una bugia definita dallo stesso brigatista "pietosa", onde "non far soffrire inutilmente oltre" lo statista<ref>http://it.youtube.com/watch?v=Iyw_OKMhQkg&feature=related</ref>. Venne infilato in una cesta di vimini e portato nel garage del covo di Via Montalcini. Fu fatto entrare nel portabagagli di una [[Renault 4]] rossa targata Roma N56786 e venne coperto con un lenzuolo rosso. Mario Moretti allora sparò alcuni colpi prima con una pistola e poi (dopo che la pistola si era inceppata) con una mitraglietta Skorpion mod. 7,65 con cui sparò una raffica di 11 colpi che perforarono i polmoni del presidente democristiano, uccidendolo (per molti anni, fino alla confessione di Moretti, si pensava che a sparare fosse stato Prospero Gallinari). Alcune incongruenze riguardano le modalità dell'esecuzione: seppur la pistola che inizialmente venne adoperata per sparare a Moro poteva esser silenziata, difficilmente lo poteva essere la mitraglietta, in quanto il [[silenziatore]] non permette la soppressione totale del rumore.
 
[[Immagine:AldoMoro ViaCaetani.jpg|thumb|right|Roma, Via Caetani: la targa in ricordo di Aldo Moro nel luogo del ritrovamento del corpo]]
 
Poi, una volta eseguito il delitto, l'auto con il cadavere di Moro fu portata in Via Caetani, senza effettuare soste intermedie, vicino alla sede della D.C. e del P.C.I., dove fu lasciata parcheggiata circa un'ora dopo. Poi verso le 12:30 venne effettuata una telefonata al professor Francesco Tritto (l'assistente di Moro)<ref>http://it.youtube.com/watch?v=EvYo4sphvzg</ref> perché annunciasse alla famiglia dove trovare il corpo (seguendo la richiesta espressa precedentemente da Moro stesso),<ref>[[Emmanuel Amara]]. ''Abbiamo ucciso Aldo Moro. La vera storia del rapimento Moro'', Cooper, pag 183</ref><ref name=delitto75>[[Alfredo Carlo Moro]], ''Storia di un delitto annunciato'', Editori Riuniti, pag 75 e seguenti</ref> e verso 13:30, una telefonata presumibilmente di Valerio Morucci al centralino della Questura aveva avvisato: "In via Caetani c'è un'auto rossa con il corpo di Moro". Qualche minuto prima delle due, i segretari di tutti i partiti politici sapevano che il cadavere ritrovato nella Renault rossa targata Roma N56786 era proprio quello di Aldo Moro. La morte risaliva, secondo i risultati autoptici, tra le 9 e le 10 della mattina stessa<ref name=delitto75/>, orario però incompatibile con la ricostruzione data dai brigatisti (per cui l'esecuzione sarebbe avvenuta tra le 7 e le 8). E' da notare che il buco di alcune ore tra l'abbandono dell'auto secondo la ricostruzione dei brigatisti e le prime telefonate di rivendicazione sono giustificate dai brigatisti con il fatto che nessuno dei tentativi di contatto telefonico, per annunciare dove era possibile ritrovare il cadavere, con conoscenti ed amici di Moro, effettuati prima della telefonata al professor Tritto, era andato a buon fine.<ref name=delitto75/>
 
Alcune testimonianze affermano che la macchina sia stata portata in via [[Caetani|Michelangelo Caetani]] nelle prime ore del mattino, tra le 7 e le 8 e lasciata qui fino a quando gli assassini hanno ritenuto opportuno avvertire. Altre testimonianze, invece, affermano di aver visto la Renault parcheggiata soltanto intorno alle 12.30 e non prima.
 
In un angolo del bagagliaio, dalla parte dov'è sistemata la ruota di scorta sulla quale poggiava la testa di Moro, c'erano anche le catene da neve, e qualche ciuffo di capelli grigi. Ai piedi del cadavere c'era una busta di plastica con un bracciale e l'orologio.
 
Il corpo di Moro, quando è stato estratto dagli artificieri, era ripiegato e irrigidito. Indossava lo stesso abito scuro del giorno del rapimento con la camicia bianca a righine, e la cravatta ben annodata; era macchiato di sangue (ma le ferite erano approssimativamente state tamponate con dei fazzolettini<ref>[[Alfredo Carlo Moro]], ''Storia di un delitto annunciato'', Editori Riuniti, pag 73</ref>), e nei risvolti dei pantaloni è stata trovata una notevole quantità di sabbia e di terriccio e alcuni resti vegetali (i brigatisti sosterranno poi durante i processi di aver appositamente sporcato le scarpe e i pantaloni di sabbia per depistare eventuali indagini sulla locazione del covo in cui Moro era tenuto prigioniero<ref name=BianconiCdS>[http://www.corriere.it/cronache/08_marzo_10/moro_bianconi_risponde_lettori_a2e52312-eed4-11dc-bfb4-0003ba99c667.shtml Caso Moro, le risposte a tutte le domande dei lettori], domande dei lettori al giornalista [[Giovanni Bianconi]], articolo del sito del "[[Corriere della Sera]]", del [[10 marzo]] [[2008]]</ref>).
Sotto il corpo e sul tappeto dell'auto c'erano bossoli di proiettile. Sono state ritrovate tracce di sabbia non solo nel risvolto dei pantaloni, ma anche nei calzini.
 
[[Immagine:Sandro Pertini30.jpg|thumb|right|[[Sandro Pertini]] rende omaggio alla tomba di Aldo Moro ([[1982]])]]
 
Il cadavere presentava un'altra ferita, su una coscia, una piaga purulenta mai curata, è probabile che sia una ferita d'arma da fuoco ricevuta il giorno dell'agguato di via Mario Fani<ref>[http://www.fotoenricoscuro.it/photo.php?cat_id=136&ord=2 Hanno ucciso Aldo Moro], articolo di Miriam Mafai, de "la Repubblica" del 10 maggio 1978, riportato dal sito fotoenricoscuro.it</ref>.
 
Per segnare il decennale della morte di Moro, nell'aprile del [[1988]], quando già sembrava ormai sconfitto il partito armato, le Brigate Rosse colpirono ancora, uccidendo, nella sua casa di [[Forlì]] il [[senato]]re democristiano [[Roberto Ruffilli]], consigliere di [[Ciriaco De Mita]] sul tema delle riforme istituzionali.
 
== Le ipotesi, le indagini e i processi ==
La strage, il sequestro, la detenzione, i coinvolgimenti e le manovre intorno alle cause ed ai metodi della sua eliminazione, ancora non sono chiaramente identificabili in tutti i loro dettagli, malgrado parecchi processi e numerose indagini separate, condotte sia all'interno del paese che a livello internazionale.
 
Anche, ad esempio, le indagini esperite per verificare eventuali contatti e collegamenti con l'omologa organizzazione tedesca [[Rote Armee Fraktion|RAF]], che non molto tempo prima aveva realizzato un'azione analoga e dalle inquietanti similitudini (sequestro dell'industriale tedesco [[Hanns-Martin Schleyer|Schleyer]], massacro della sua scorta ed infine uccisione dell'ostaggio a seguito di trattative infruttuose), non ebbero seguito, per quanto l'avvocato [[Denis Payot]] venne incaricato dai familiari di Aldo Moro di tentare una trattativa per la liberazione.
 
La morte di Moro è stata oggetto di diverse speculazioni e teorie. La stampa ad esempio ipotizzò, a seguito delle interviste ad alcuni brigatisti catturati, che le BR avessero puntato su Moro ritenendo che l'obiettivo suppostamente prescelto dai terroristi, [[Giulio Andreotti]], risultasse troppo protetto. Lo stesso Andreotti però smentì la fondatezza dell'assunto, pubblicamente raccontando che ogni mattina abitudinariamente si recava di buon'ora, a piedi e del tutto solo, a messa in una chiesa vicina alla sua abitazione; come obiettivo, affermò, era anche eccessivamente facile.
 
===I comitati di crisi===
Per fare fronte alla crisi causata dal rapimento di Moro ufficialmente furono istituiti dal Ministro dell'Interno [[Francesco Cossiga]], lo stesso 16 marzo 1978, due comitati di crisi<ref name=Scotti>[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1992/01/29/scotti-sono-scomparse-le-carte-del-caso.html Scotti: sono scomparse le carte del caso Moro], articolo de "La Repubblica", del 29 gennaio 1992</ref>:
* un ''comitato tecnico-politico-operativo'', presieduto dallo stesso Cossiga e, in sua vece, dal sottosegretario [[Nicola Lettieri]] di cui facevano anche parte i comandanti di polizia, carabinieri e guardia di finanza, oltra ai direttori (da poco nominati) del Sismi e del Sisde, al segretario generale del Cesis, al direttore dell' Ucigos e al questore di Roma
* un ''comitato informazione'', di cui facevano parte i responsabili dei vari servizi: Cesis, Sisde, Sismi e Sios
 
Fu creato anche un terzo comitato, non ufficiale, denominato ''comitato di esperti'' che non si riunì mai collegialmente: la sua esistenza si seppe solo nel maggio 1981, quando Cossiga ne rivelò l'esistenza alla Commissione Moro, senza però rivelarne le attività e le decisioni.
Di questo organismo facevano parte, tra gli altri: [[Steve Pieczenik]], funzionario della sezione antiterrorismo del Dipartimento di stato americano, [[Franco Ferracuti]], [[Stefano Silvestri]], [[Vincenzo Cappelletti]] (direttore generale dell'Istituto per l'Enciclopedia italiana), [[Giulia Conte Micheli]]<ref name=comitati>[[Nicola Biondo]] e [[Massimo Veneziani]]. ''Il falsario di Stato. Uno spaccato noir della Roma degli anni di piombo''. Roma, Cooper, 2008. ISBN 9788873941071.</ref><ref name=comitati2>[http://www.fondazionecipriani.it/Kronologia/prova.php?DAANNO=1978&&id=&start=240&id=&start=300 Cronologia dal sito della Fondazione Cipriani]</ref>.
 
=== Cattura e conclusioni dei processi contro i terroristi del caso Moro===
'''[[Corrado Alunni]]''': Arrestato nel 1978
 
'''[[Marina Zoni]]''': Arrestata nel 1978
 
'''[[Valerio Morucci]]''': Arrestato nel 1979 venne condannato a vari [[ergastolo|ergastoli]]. Fu lui a chiamare la famiglia di Moro durante il sequestro. Rilasciato nel 1994 oggi si occupa di informatica.
 
'''[[Barbara Balzerani]]''': Catturata nel 1985 e condannata all’ergastolo. In libertà vigilata dal 2006.
 
'''[[Mario Moretti]]''': Catturato nel 1981 e condannato a 6 ergastoli. Dal 1994 è in semilibertà e lavora da oltre 14 anni per la regione [[Lombardia]].
 
'''[[Alvaro Lojacono]]''': Fuggito in Svizzera non ha mai scontato un solo giorno di prigione né per il caso Moro né per l’omicidio dello studente [[Miki Mantakas]].
 
'''[[Alessio Casimirri]]''': Fuggito in Nicaragua, oggi gestisce un ristorante a [[Managua]].
 
'''[[Rita Algranati]]''': Catturata al Cairo nel 2004, sta scontando l’ergastolo.
 
'''[[Adriana Faranda]]''': Arrestata nel 1979 è stata rilasciata nel 1994 per la sua collaborazione con le forze dell’ordine.
 
'''[[Prospero Gallinari]]''': Già latitante per il sequestro del giudice [[Mario Sossi]], durante il caso Moro e successivamente catturato nel 1979 è stato rilasciato nel 1994 per motivi di salute.
 
=== Il possibile coinvolgimento della P2 e dei "servizi deviati" ===
Si ipotizza che nell'[[omicidio]] di Moro possa essere stata in qualche modo implicata la [[Massoneria|loggia massonica]] coperta [[P2]] di [[Licio Gelli]], o anche che le [[Brigate Rosse]] possano essere state infiltrate dall'[[intelligence]] degli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]] ([[Central Intelligence Agency|CIA]]) o dall'[[Organizzazione Gladio]], la rete clandestina della [[NATO]] destinata a contrastare l'influenza sovietica nei paesi dell'Europa Occidentale. Secondo queste teorie, [[Mario Moretti]] sarebbe stato "eterodiretto" durante il sequestro (v. su tutti S.Flamigli, La tela del ragno, Edizioni Caos, 2003, 2a ed.).
 
Il giornalista [[Carmine Pecorelli|Mino Pecorelli]], sulla sua rivista [[Op|Osservatorio politico]] pubblicò un articolo intitolato "Vergogna, buffoni!", sostenendo che il generale [[Carlo Alberto Dalla Chiesa|Dalla Chiesa]] si fosse recato da [[Giulio Andreotti|Andreotti]] dicendogli di conoscere la prigione di Moro, non ottenendo il via libera per il blitz a causa della contrarietà di una certa "loggia di Cristo in paradiso". La probabile allusione alla [[P2]], i cui affiliati controllavano i punti chiave dello Stato, fu chiara soltanto in seguito dopo il ritrovamento della [[lista appartenenti alla P2|lista degli iscritti alla P2]], il 17 marzo 1981, quando si scoprirono in questa diversi nominativi di personaggi che ricoprivano ruoli importanti nelle istituzioni durante il sequestro Moro e le successive indagini, alcuni promossi ai loro incarichi da pochi mesi o durante il sequestro stesso: tra questi il generale [[Giuseppe Santovito]], direttore del [[Sismi]], il prefetto [[Walter Pelosi]], direttore del [[CESIS]], il generale [[Giulio Grassini]] del [[SISDE]], l'ammiraglio Antonino Geraci, capo del [[Servizio Informazioni Operative e Situazione|Sios]] della Marina Militare, [[Federico Umberto D'Amato]], direttore dell'[[Ufficio Affari Riservati]] del Ministero dell'Interno, il generale Raffaele Giudice, comandante generale della [[Guardia di Finanza]] e il generale Donato Lo Prete, capo di stato maggiore della stessa, il generale dei Carabinieri Giuseppe Siracusano (responsabile per quello che riguardava i posti di blocco effettuati nella capitale durante le indagini sul sequestro, che vennero considerati ben poco efficaci dalla Commissione Moro) .<ref>[http://www.danielemartinelli.it/tag/storia/ La Loggia P2 rapisce Aldo Moro], articolo dal sito del gionalista Daniele Martinelli, del 21 marzo 2008</ref> <ref>[http://www.strano.net/stragi/stragi/crono/crono78.htm Stragi di Stato], cronologia delle notize del 1978, dal sito strano.net</ref> <ref>[http://www.almanaccodeimisteri.info/moro1988.htm Caso MORO: novita' 1988], dal sito almanaccodeimisteri.info, notizia del 2 maggio sul libro "La tela del ragno" presentato dall'ex senatore [[Sergio Flamigni]]</ref> <ref name=P2minoranza>[http://www.fisicamente.net/index-1145.htm Commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia massonica p2 (legge 23 settembre 1981, n. 527) - relazione di minoranza], riportata sul sito fisicamente.net</ref>
 
Stando a quanto riferito dal professor [[Vincenzo Cappelletti]] (uno degli esperti chiamati a formare i comitati durante il rapimento) alla commissione stragi, il professor [[Franco Ferracuti]], il cui nome risultò tra gli iscritti della P2 e che fu uno dei sostenitori del fatto che Moro fosse stato colpito dalla [[sindrome di Stoccolma]], aderì alla loggia proprio durante il periodo del rapimento, su proposta del generale Grassini, per lo meno stando a quanto riferitogli dal Ferracuti stesso.<ref name=audizioneCappelletti>[http://www.parlamento.it/bicam/terror/stenografici/steno63.htm Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi], 63esima seduta, audizione Vincenzo Cappelletti, 23 febbraio 2000</ref>
 
Licio Gelli ha affermato che la presenza di un elevato numero di affiliati alla loggia nei comitati non era dovuta ad un coinvolgimento attivo della P2 nella questione, quanto al fatto che molte personalità di primo piano del tempo erano iscritte, quindi era naturale che in questi se ne trovassero diverse. Lo stesso Gelli afferma che alcuni degli iscritti presenti nei comitati probabilmente ignoravano il fatto che anche altri appartenessero alla stessa loggia P2.<ref name=Gellitempo>[http://iltempo.ilsole24ore.com/2008/10/20/941372-licio_gelli.shtml Licio Gelli: "La P2 non c'entra con la morte di Moro"], articolo de "Il tempo, del 20 ottobre 2008</ref>
 
Altro caso dubbio, che è stato dibattuto in numerose pubblicazioni sul caso Moro, è quello relativo alla presenza del colonello Camillo Guglielmi del Sismi nelle vicinanze dell'agguato durante l'azione delle BR. La notizia della sua presenza nella Via Stresa, tenuta segreta inizialmente, verrà rivelata soltanto nel 1991 durante le indagini della Commissione Stragi, anche a seguito di una relazione presentanta dal deputato di [[Democrazia Proletaria]] [[Luigi Cipriani]] (allora membro della commissione) che riferiva di alcune testimonianze sul caso Moro e sul ruolo di Guglielmi come osservatore, da parte di un'ex agente del SISMI (poi quasi totalmente smentite dal diretto interessato). Guglielmi affermerà di essere stato realmente in zona, ma perchà invitato a pranzo da un collega che abitava nella vicina via Stresa. Secondo alcune pubblicazioni il collega, pur confermando il fatto che Guglielmi si fosse presentato a casa sua, negò che il suo arrivo fosse previsto.<ref>[[Sergio Flamigni]], ''La tela del ragno'', Kaos Edizioni, pag 53, citata in nota come fonte dell'affermazione in [[Alfredo Carlo Moro]], ''Storia di un delitto annunciato'', Editori Riuniti, pag 15</ref> Secondo alcune fonti (tra cui lo stesso Cipriani) Guglielmi avrebbe anche fatto parte di Gladio, tesi però fermamente smentita dallo stesso colonello.<ref name=audizionePriore1>[http://www.parlamento.it/parlam/bicam/terror/stenografici/steno36.htm audizione Rosario Priore], Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, 56' seduta, 19 novembre 1999</ref> <ref name=Delitto15>[[Alfredo Carlo Moro]], ''Storia di un delitto annunciato'', Editori Riuniti, pag 15 e seguenti</ref> <ref>[http://www.fondazionecipriani.it/Scritti/ilcaso.html Il caso Pierluigi Ravasio], dal sito .fondazionecipriani.it</ref> <ref>[http://www.almanaccodeimisteri.info/moro1991.htm Caso Moro: i fatti del 1991], dal sito almanaccodeimisteri.info, notizie del 13 maggio, 6 giugno e 7 giugno</ref>
 
Indagini della [[DIGOS]] porteranno poi a scoprire che alcuni macchinari presenti nella tipografia utilizzata dai brigatisti per la stampa dei comunicati (da quasi un anno prima del rapimento), che era gestita da un brigatista (Enrico Triaca) e finanziata Moretti, erano stati precedentemente di proprietà dello Stato: si trattava di una stampatrice ''AB-DIK260T'', che era di proprità del [[Raggruppamento Unità Speciali]] dell'Esercito (facente parte del [[SISMI]]) e che, seppur con un pochi anni di vita ed un elvato valore, era stata venduta come rottame ferroso, e di una fotocopiatrice ''AB-DIK 675'', precedentemnte di proprietà del Ministero dei trasporti, acquistata nel 1969 e che, dopo alcuni cambi di proprietario, era stata venduta a Enrico Triaca.<ref>[[Alfredo Carlo Moro]], ''Storia di un delitto annunciato'', Editori Riuniti, pag 28 e seguenti</ref><ref>[http://www.archivio900.it/it/documenti/doc.aspx?id=84 L'operazione della tipografia Triaca], articolo di archivio900.it</ref><ref> Rita Di Giovacchino, ''Il libro nero della Prima Repubblica'', [[Fazi Editore]], 2005, ISBN 8881126338,ISBN 9788881126330, [http://books.google.it/books?id=rxbpgli8zMIC&pg=PA198&lpg=PA198&dq=Raggruppamento+unit%C3%A0+speciali&source=web&ots=g8qw6GSQGV&sig=55uUCoJYG4SXvD8zajoBilSDCCY&hl=it&sa=X&oi=book_result&resnum=1&ct=result#PPA198,M1 pag 198]</ref>
 
Nel giugno 2008 il terrorista venezuelano [[Ilich Ramírez Sánchez]], detto ''Carlos'', in un'intervista all'agenzia di stampa ANSA dichiarò che alcuni uomini del SISMI, guidati dal colonnello [[Stefano Giovannone]] (ritenuto vicino a Moro), nella sera tra l'8 e il 9 maggio 1978, all'aeroporto di [[Beirut]], tentarono un accordo far liberare lo statista: questo accordo avrebbe previsto la consegna di alcuni brigatisti incarcerati ad uomini del [[Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina]] sul territorio di un paese arabo. Secondo ''Carlos'' l'accordo, che vedeva i vertici del SISMI contrari e violava la direttiva del governo di non trattare, fallì perché l'informazione fuoriuscì dall'ufficio politico dell'[[OLP]], probabilmente (secondo lo statista) a causa di [[Bassam Abu Sharif]], e da lì ne vennero informati i servizi di un paese della NATO che ne informò a suo volta il SISMI. Il giorno dopo Moro venne ucciso. Sempre secondo il terrorista venezuelano gli ufficiali che avevano effettuato questo tentativo vennero allontanati dai servizi, costringendoli alle dimissioni o al pensionamento.<ref>[http://www.americaoggi.info/2008/06/29/5999-intervista-carlos-cos-salt-lultimo-tentativo-di-salvare-moro Intervista a Carlos. "Così saltò l'ultimo tentativo di salvare Moro"], da americaoggi.info del 29 giugno 2008</ref><ref>[http://www.repubblica.it/2008/06/sezioni/cronaca/carlos-moro-sismi/carlos-moro-sismi/carlos-moro-sismi.html?ref=search Parigi, parla il terrorista Carlos "Il Sismi tentò di salvare Moro"], articolo de "La Repubblica", del 28 giugno 2008</ref> Lo stesso Carlos, a metà degli anni '80, era stato indicato da [[Kyodo News]], un'agenzia di stampa giapponese, in base ad informazioni provenienti da una fonte non dichiarata, come uno dei possibili ispiratori del rapimento.<ref>[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1985/06/19/erano-brigatisti-in-via-fani-la-data.html Erano 9 i brigatisti in via Fani e la data non fu scelta a caso], articolo de "La Repubblica", del 19 giugno 1985</ref>
 
=== Il possibile coinvolgimento dell'Autonomia ===
 
Di recente <ref>"Panorama", 03 aprile 2008, pp. 79 - 82: "Quei BR senza nome che interrogavano Aldo Moro".</ref> è stata avanzata una nuova ipotesi, ovvero che, a condurre il "processo" ad Aldo Moro, nella "Prigione del Popolo" non fossero i brigatisti rossi, bensì, gruppi diversi della galassia dei fiancheggiatori, tra cui - probabilmente - anche qualche dirigente dell'[[Autonomia Operaia]], gli stessi che, una volta terminati gli interrogatori, presero in consegna le bobine con le dichiarazioni dello statista prigioniero. Questo sulla base dell'intercettazione di un colloquio, sul finire dell'anno [[1979]], in un carcere di massima sicurezza, tra due brigatisti, uno dei quali appartenente alla cosiddetta "Direzione Strategica". Inoltre, dalle testimonianze rese al processo per la morte del falsario della [[Banda della Magliana]], [[Antonio Chichiarelli]], ucciso da ignoti nel [[1984]], emerse che, nel sopralluogo della di lui abitazione, compiuto dalle Forze dell'Ordine qualche giorno dopo la morte, vennero rinvenute delle foto [[Polaroid]] - ritenute autentiche - di Moro prigioniero. Chichiarelli era molto addentro nei circoli dell'Autonomia<ref>Dal Serial RAI: "La Notte della Repubblica"</ref>.
 
=== Il possibile coinvolgimento dell'URSS ===
Alcuni ritengono che le [[Brigate Rosse]] siano state efficacemente strumentalizzate da alcuni poteri nascosti (secondo alcuni le loro azioni dimostrerebbero che effettivamente non hanno realmente combattuto per la pretesa causa comunista), ma nessuna prova concreta di questa ipotesi è stata mai trovata.
 
Altri (articolo di Panorama del 2005{{citazione necessaria}}) invece affermano che almeno alcune azioni terroristiche delle Brigate Rosse erano state richieste dal [[KGB]], il servizio segreto russo. Tra questi il senatore [[Paolo Guzzanti]], giunto a questa conclusione dopo aver presieduto per 2 anni la Commissione parlamentare d'inchiesta sul [[dossier Mitrokhin]]<ref>{{ cita news | titolo = Sì, le BR erano manovrate dal KGB | pubblicazione= [[Panorama (rivista)|Panorama]] | data= [[20 dicembre]] [[2005]] }}</ref>.
Nel [[novembre]] [[1977]] Sergej Sokolov, studente presso l'[[Università degli Studi di Roma "La Sapienza"|Università La Sapienza]] di [[Roma]], avvicina Moro per chiedergli di frequentare le sue lezioni. Nelle settimane successive, si fa notare per le domande sempre più indiscrete che fa agli assistenti circa l'auto e la scorta, tanto da suscitare anche qualche sospetto in Moro che raccomandò al suo assistente di rispondere vagamente ad eventuali domande dello studente. Nel [[1999]], in seguito allo scoppio dello scandalo [[dossier Mitrokhin|Mitrokhin]], si sospetterà che Sergej Sokolov sia in realtà Sergey Fedorovich Sokolov, ufficiale del Kgb avente come copertura un lavoro come corrispondente della TASS (report Impedian 83), che doveva operare a Roma dal 1981 al 1985, ma era stato richiamato in patria nel 1982. Sergej Sokolov incontra l'ultima volta Moro la mattina del [[15 marzo]]. Da allora nessuno lo incontra più.
 
Nel [[maggio]] [[1979]] i brigatisti [[Valerio Morucci]] e [[Adriana Faranda]], due degli ideatori del sequestro, vengono arrestati a [[Roma]] nell'appartamento di Giuliana Conforto, figlia di Giorgio Conforto, con il rinvenimento nell'abitazione della mitraglietta [[skorpion]] usata da Moretti per assassinare Moro. Nel Dossier (report Impedian 142) si parla di Giorgio Conforto come agente del [[KGB]], nome in codice "Dario", capo rete dei servizi strategici del [[Patto di Varsavia]], ma si dice anche che sia lui che la figlia erano estranei alle attività dei due terroristi e che, proprio in seguito alle indagini di cui sarebbe stato probabilmente oggetto dopo l'arresto dei brigatisti, i servizi sovietici decisero di "congelare" la sua attività di spia.
 
[[Francesco Cossiga]] durante la sua audizione alla [[Commissione Stragi]] sostenne che in un primo tempo era anche stato ipotizzato che il rapimento di Moro fosse stato effettuato su comissione dei servizi segreti degli stati del [[Patto di Varsavia]], ma che il comando [[NATO]] non riteneva che il politico potesse conoscere informazioni riservate sull'Alleanza Atlantica tali da considerare il suo rapimento un pericolo per la stessa (ma nel suo ''memoriale'' Moro parlerà di una struttura [[stay-behind]] simile a [[Organizzazione Gladio|Gladio]], la cui esistenza allora era ancora ufficialmente segreta). Cossiga sostenne che gli Stati Uniti, al contrario di altre nazioni alleati come la Germania, si rifiutarono di fornire all'Italia il supporto diretto delle loro agenzie di spionaggio, proprio per il fatto che il rapimento di Moro, a quanto ritenevano, non costituiva pericolo per gli interessi americani; gli USA si limitarono quindi, su insistenza di Cossiga, a mandare in Italia [[Steve Pieczenik]] (a volte riportato come ''Pieczenick''), ufficialmente uno [[psicologo]] dell'ufficio antiterrorismo del ''Dipartimento di Stato'' statunitense, esperto in casi di rapimento, il quale riteneva si dovesse fingere una trattativa per poter proseguire le indagini ed individuare i brigatisti che tenevano prigioniero Moro.<ref name=audizioneCossiga>[http://www.parlamento.it/bicam/terror/stenografici/steno27b.htm Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi], 27esima seduta, audizione Francesco Cossiga, 27 novembre 1997</ref>
 
=== Il possibile coinvolgimento degli USA ===
L'ex vicepresidente del CSM ed ex vicesegretario della Democrazia Cristiana [[Giovanni Galloni]] il [[5 luglio]] [[2005]], in un'intervista nella trasmissione NEXT di [[Rainews24]]<ref>[http://www.rainews24.rai.it/Notizia.asp?NewsID=55360 Galloni a 'Next': Moro mi disse che sapeva di infiltrati CIA e Mossad nelle BR], notizia di RaiNews24 del 5 luglio 2005</ref>, disse che poche settimane prima del rapimento, Moro gli confidò, discutendo della difficoltà di trovare i covi delle BR, di essere a conoscenza del fatto che sia i servizi americani che quelli israeliani avevano degli infiltrati nelle BR, ma che gli italiani non erano tenuti al corrente di queste attività che sarebbero potute essere d'aiuto nell'individuare i covi dei brigatisti. Galloni sostenne anche che vi furono parecchie difficoltà a mettersi in contatto con i servizi statunitensi durante i giorni del rapimento, ma che alcune informazioni potevano tuttavia essere arrivate dagli USA:
{{quote|''Pecorelli scrisse che il 15 marzo 1978 sarebbe accaduto un fatto molto grave in Italia e si scoprì dopo che Moro doveva essere rapito il giorno prima (...) l'assassinio di Pecorelli potrebbe essere stato determinato dalle cose che il giornalista era in grado di rivelare''|Intervista a Giovanni Galloni nella trasmissione ''Next''}}
 
Lo stesso Galloni aveva già effettuato dichiarazioni simili durante un'audizione alla Commissione Stragi il 22 luglio [[1998]] <ref>[http://www.parlamento.it/bicam/terror/stenografici/steno39.htm audizione Giovanni Galloni], Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, 39' seduta, 22 luglio 1998</ref>, in cui affermò anche che durante un suo viaggio negli USA del [[1976]] gli era stato fatto presente che, per motivi strategici (il timore di perdere le basi militari su suolo italiano, che erano la prima linea di difesa in caso di invasione dell'Europa da parte sovietica) gli Stati Uniti erano contrari ad un governo aperto ai comunisti come quello a cui puntava Moro:
{{quote|''Quindi, l'entrata dei comunisti in Italia nel Governo o nella maggioranza era una questione strategica, di vita o di morte, "life or death" come dissero, per gli Stati Uniti d'America, perché se fossero arrivati i comunisti al Governo in Italia sicuramente loro sarebbero stati cacciati da quelle basi e questo non lo potevano permettere a nessun costo. Qui si verificavano le divisioni tra colombe e falchi. I falchi affermavano in modo minaccioso che questo non lo avrebbero mai permesso, costi quel che costi, per cui vedevo dietro questa affermazione colpi di Stato, insurrezioni e cose del genere.''|Dichiarazioni di Giovanni Galloni, Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, 39' seduta, 22 luglio 1998}}
E pure il fatto di [[Gladio]] può aver giocato a favore dell'uccisione di Moro. Infatti, pare che Moro avesse accennato ai brigatisti l'esistenza della struttura parallela ed ultrasegreta "[[Operazione Gladio|Gladio]]",<ref>"Gladio intervenne nel Caso Moro", da [[Panorama]] del 27 Marzo 2008. In esso [[Francesco Cossiga]] ammette che Moro era ben a conoscenza di Gladio e che ne condivideva i fini. Secondo Cossiga, Gladio venne attivata per la liberazione di Moro, per prevenire ulteriori rivelazioni alle BR da parte dello statista rapito. Anche una relazione riservata dei [[Servizi Segreti]] tedesco - occidentali confermano. il [[Bundesnachrichtendienst]] inviò proprio a cossiga, divenuto nel frattempo [[Presidente della Repubblica]], il 19 Novembre, tale documento, che venne prontamente girato alla [[Procura della Repubblica]] di [[Roma]] per competenza. [[1990]], </ref> molti anni prima che divenisse di pubblico dominio, seppure i brigatisti non abbiano colto la portata della rivelazione. Secondo quanto riportato in un recente libro, che tratta della vita e della morte del falsario che confezionò il falso comunicato del [[Lago della Duchessa]], le rivelazioni fatte da Moro circa Gladio, intuibili in alcune sue lettere, ma non esplicite, avrebbero costituito il "Punto di non ritono" della trattativa, ed il falso comunicato sarebbe da interpretarsi quale "messaggio" ai brigatisti circa la perdita di valore dell'ostaggio, con blocco conseguente delle trattative riguardo alla sua liberazione <ref>http://www.archivio900.it/it/libri/lib.aspx?id=2252</ref>.
 
=== Il falso "comunicato n. 7" e la scoperta del covo di via Gradoli ===
Altro fatto di nebuloso sviluppo fu il falso ''comunicato n. 7'' delle BR, in cui si annunciava la morte dello statista e la sua sepoltura presso il [[Lago della Duchessa]], nel [[Rieti|reatino]]. In esso sarebbe stato coinvolto un falsario romano [[Antonio Chichiarelli]], legato alla [[Banda della Magliana]] e successivamente autore di altri falsi comunicati delle Brigate Rosse<ref>Emmanuel Amara, Abbiamo ucciso Aldo Moro. La vera storia del rapimento Moro, pag 164 nota 43, Cooper, 2008</ref>, ucciso nel settembre 1984 in circostanze misteriose, quando ancora il suo legame con il comunicato non era stato del tutto accertato<ref>[http://www.rifondazione-cinecitta.org/comunicato-duchessa.html Aldo Moro,il lago della Duchessa, e il falso comunicato n°7], dal sito rifondazione-cinecitta.org</ref>. E' da notare che lo stesso Chichiarelli parlò del comunicato a diverse persone, tra cui Luciano Dal Bello, informatore dei cabinieri e del Sisde<ref>[[Alfredo Carlo Moro]], ''Storia di un delitto annunciato'', Editori Riuniti, pag 105 e seguenti</ref>, che riferì la questione ad un maresciallo dei carabinieri, senza che tuttavia alla segnalazione fossero seguite indagini su Chichiarelli.
 
Il comunicato venne diffuso lo stesso giorno, il [[18 aprile]] 1978, in cui le forze dell'ordine scoprirono a Roma un appartamento in ''via Gradoli 96'' usato come covo delle Brigate Rosse: la scoperta avvenuta a causa di una supposta perdita d'acqua per cui erano stati chiamati i Vigili del fuoco, si rivelerà essere causata invece da un rubinetto della doccia "misteriosamente" lasciato aperto, appoggiato su una scopa e con la cornetta rivolta verso un muro, quasi a voler far scoprire il covo, che era usato abitualmente dal brigatista [[Mario Moretti]] (il quale avrà notizia della scoperta dai media che la riporteranno subito e non vi farà ritorno).
 
Si scoprirà successivamente che lo stabile in cui si trovava questo covo era stato già perquisito il 18 marzo, pochi giorni dopo il rapimento, su segnalazione di una vicina di casa che aveva sentito dei rumori anomali, simili al [[codice Morse]]<ref name=audizioneClo>[http://www.parlamento.it/parlam/bicam/terror/stenografici/steno36.htm audizione Alberto Clò], Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, 36' seduta, 23 giugno 1998</ref>, ma essendo allora l'appartamento senza nessuno all'interno gli agenti se n'erano andati senza controllarlo. Nella relazione di minoranza della commissione di inchiesta sulla Loggia P2, viene fatto notare che il vice capo della Squadra Mobile romana, il dott. Elio Cioppa, che effettuò questa prima perquisizione, poco tempo dopo l'uccisione di Moro venne promosso a vicedirettore del SISDE, guidato allora dal generale Giulio Grassini, risultato tra gli iscritti alla P2, e pochi mesi dopo anche Cioppa entrò a far parte della loggia massonica.<ref name=P2minoranza/>
 
Non si è mai appurato in maniera definitiva se il ritrovamento dell'appartamento e il falso comunicato fossero connessi o se la diffusione del falso lo stesso giorno della scoperta del covo sia stata solo una coincidenza, né si è mai risaliti all'eventuale mandante del falso, e le istituzioni italiane si sono sempre dichiarate estranee ad entrambi i fatti.
 
Successivamente si scoprirà anche che nella stessa via, sia prima del 1978 che dopo, erano presenti alcuni appartamenti utilizzati da agenti e aziende al servizio del SISMI<ref>[http://www.rifondazione-cinecitta.org/segretigradoli.html Sergio Flamigni. I segreti di Via Gradoli e la morte di Moro], dal sito rifondazione-cinecitta.org</ref> e che l'appartamento era già stato segnalato e tenuto sotto controllo dall'[[UCIGOS]] da diversi anni (e quindi era noto alle istituzioni), in quanto frequentato precedentemente anche da esponenti di [[Potere operaio]] e [[Autonomia Operaia]] <ref name=audizioneFaranda>[http://www.parlamento.it/bicam/terror/stenografici/steno31.htm Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi], 31esima seduta, audizione [[Adriana Faranda]], 11 febbraio 1998</ref> <ref name=audizioneClo/> <ref name=audizioneMoro>[http://www.parlamento.it/bicam/terror/stenografici/steno48.htm Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi], 48esima seduta, audizione [[Giovanni Moro]], 9 marzo 1999</ref> <ref name=audizioneClo/>. Si scoprirà che anche il deputato democristiano [[Benito Cazora]], nei suoi contatti avuti con esponenti del 'ndrangheta nel tentativo di trovare la prigione di Moro, era stato avvertito che la zona di via Gradoli (per la precisione l'informazione era stata data in automobile, fermi all'incrocio tra la [[Strada Statale 2 Via Cassia|via Cassia]] e via Gradoli) era una "''zona calda''" e che questo avvertimento era stato comunicato sia ai vertici della Democrazia Cristiana sia agli organi di polizia.<ref>[http://www.vuotoaperdere.org/interviste/areagiugno1997.pdf Intervista a Benito Cazora], del mensile Area, giugno 97, pag. 34-36, riportata dal sito vuotoaperdere.org</ref> <ref>[http://www.vuotoaperdere.org/interviste/Intervista.asp?IntID=6 Intervista a Marco Cazora], figlio del deputato [[Benito Cazora]], 25 dicembre 2007, dal sito vuotoaperdere.org</ref> <ref name=audizioneMoro/>
 
Relativamente alla scopera del covo i brigatisti poi catturati hanno sempre parlato di una casualità, dovuta al rubinetto della doccia lasciato aperto per sbaglio e hanno affermato che non erano a conoscenza del fatto che il covo fosse sotto controllo da parte dell'UCIGOS.<ref name=audizioneFaranda/> <ref name=audizioneMorucci/>
 
[[Immagine:Aldo Moro3.jpg|thumb|right|La foto allegata al vero comunicato n. 7: Aldo Moro con una copia del quotidiano ''La Repubblica'' del 19 aprile]]
 
[[Steve Pieczenik]], l'esperto di terrorismo del Dipartimento di Stato americano, in un'intervista rilasciata quasi 30 anni dopo il sequestro, affermerà che l'idea del falso comunicato era stata presa durante una riunione del comitato di crisi a cui erano presenti, tra gli altri, lui, Cossiga, alcuni esponenti dei servizi e il criminologo [[Franco Ferracuti]] (il cui nome comparve successivamente tra gli quelli degli iscritti alla loggia [[P2]]), con lo scopo di preparare l'opinione pubblica italiana ed europea al probabile decesso di Moro durante il sequestro, ma di ignorare poi come la cosa sia stata realizzata concretamente.<ref>Emmanuel Amara, Abbiamo ucciso Aldo Moro. La vera storia del rapimento Moro, pag 166, Cooper, 2008</ref> <ref name=left>[http://www.avvenimentionline.it/content/view/1325/1/ Operazione lago della Duchessa], intervista a [[Sergio Flamigni]] da parte di Left - Avvenimenti Online, del 4 maggio 2007</ref>
 
Sia durante le indagini, sia tra la pubblicistica dedicata al caso Moro, sia durante le audizioni della commissione stragi, sono state avanzate numerose ipotesi sulla scoperta del covo e sul falso comunicato, tra cui:
* Tra chi ritiene le Brigate Rosse controllate da forze esterne (CIA, KGB, servizi deviati, ecc..), la scoperta del covo effettuata lo stesso giorno del comunicato che annunciava la morte di Moro è stata interpretato come un messaggio mandato alle BR (o ai referenti/infiltrati di queste "forze esterne" all'interno del gruppo terrorista) su come doveva concludersi il sequestro (ma le Brigate Rosse avevano già annunciato la condanna a morte di Moro con il comunicato numero 6, il 15 aprile).
* La scoperta del covo che e/o il falso comunicato sarebbero stati un modo per mettere sotto pressione le Brigate Rosse, attuato dai servizi segreti con o senza l'autorizzazione delle istituzioni.
* Il comunicato sarebbe stata una ''prova generale'' da parte dello stato per testare il comportamento dell'opinione pubblica alla notizia della morte dello statista (ma le istituzioni hanno sempre negato il loro coinvolgimento nella realizzazione del falso)
* Il comunicato sarebbe servito a distogliere l'attenzione da Roma, permettendo alle Brigate Rosse di spostare Moro da una prigione ad un'altra più sicura (per cui si sarebbe trattato di un falso realizzato in realtà per aiutare le Brigate Rosse)
* Chi ritiene i due fatti slegati interpreta la scoperta del covo come un segnale dato da Moretti per indicare che ormai il covo non era più sicuro (sostenendo quindi che Moretti avesse mentito relativamente al fatto di essere estraneo alla scoperta del covo)
* Oppure un tentativo dell'ala "trattativista" delle BR o di altre organizzazioni vicine alla sinistra extraparlamentare che erano a conoscenza del luogo di far scoprire Moretti, con lo scopo di far prevalere la linea che riteneva possibile la liberazione di Moro (ma questa versione è sempre stata negata dai brigatisti)
* Oppure ancora, vista la presenza nel covo di prove collegabili all'agguato di via Fani come la targa originale di una delle auto impiegate o un'uniforme da aviatore, di un modo per far si che non ci fossero dubbi sul fatto che il sequestro fosse opera delle sole BR (indipendentemente dal fatto che questo fosse vero o meno e che il covo fosse stato fatto scoprire dalle BR stesse o da altre forze).
 
Due giorni dopo le BR diffonderanno il vero ''comunicato n. 7'' con allegata una foto di Aldo Moro con una copia del quotidiano ''La Repubblica'' del 19 aprile, a dimostrare che era ancora vivo e che la notizia della sua uccisione era falsa.
 
E' da notare infine come la data del 18 aprile 1978 avrebbe potuto essere scelta perché particolarmente significativa, infatti corrispondeva al 30esimo anniversario delle [[Elezioni politiche italiane del 1948|elezioni del 1948]], che sancirono la vittoria della Democrazia Cristiana sul [[Fronte Democratico Popolare]].
 
==== La seduta spiritica ====
Perfino [[Romano Prodi]], [[Mario Baldassarri (economista)|Mario Baldassarri]] e [[Alberto Clò]] ebbero un ruolo mai del tutto chiarito nel reperimento delle indicazioni su un possibile luogo di detenzione e resta tuttora alquanto oscura la vicenda della loro presunta seduta spiritica con il famoso "piattino" effettuata il 2 aprile 1978, da cui sarebbero scaturite prima alcune parole senza senso, poi le parole [[Viterbo]], [[Bolsena]] e [[Gradoli]], quest'ultima ("''Gradoli''") che appunto coincideva con il nome della strada in cui si trovava il covo impiegato da Moretti.
 
Ecco le parole di Prodi, dai verbali della testimonianza davanti alla [[Commissione Moro]] il 10 giugno 1981:
:''«Era un giorno di pioggia, facevamo il gioco del piattino, termine che conosco poco perché era la prima volta che vedevo cose del genere. Uscirono [[Bolsena]], [[Viterbo]] e [[Gradoli]]. Nessuno ci ha badato: poi in un atlante abbiamo visto che esiste il paese di Gradoli. Abbiamo chiesto se qualcuno sapeva qualcosa e visto che nessuno ne sapeva niente, ho ritenuto mio dovere, anche a costo di sembrare ridicolo, come mi sento in questo momento, di riferire la cosa. Se non ci fosse stato quel nome sulla carta geografica, oppure se fosse stata [[Mantova]] o [[New York]], nessuno avrebbe riferito. Il fatto è che il nome era sconosciuto e allora ho riferito.»''.
 
L'informazione fu ritenuta attendibile dal momento che, quattro giorni dopo, il [[6 aprile]], la questura di Viterbo, su ordine del [[Viminale]], organizzò un [[blitz (parola)|blitz]] armato nel borgo medievale di [[Gradoli]], vicino Viterbo, alla ricerca della possibile prigione di Moro.
 
La vedova di Moro affermò di aver più volte indicato agli inquirenti l'esistenza di una via Gradoli a Roma, senza che questi estendessero le ricerche anche a questa, circostanza confermata anche da altri parenti dello statista, ma energicamente smentita da [[Francesco Cossiga]], all'epoca dei fatti ministro dell'interno.<ref name=audizioneMoro/>
 
La questione sulla seduta spiritica venne riaperta nel [[1998]] dalla [[Commissione parlamentare d'inchiesta]] sul terrorismo e le stragi, l'allora presidente del consiglio Prodi, dati gli impegni politici di poco precedenti alla caduta del suo [[Governo Prodi I|governo]] nell'ottobre 1998, si disse indisponibile per ripetere l'audizione, si dissero disponibili [[Mario Baldassarri (politico)|Mario Baldassarri]] <ref>[http://www.parlamento.it/parlam/bicam/terror/stenografici/steno35.htm audizione Mario Baldassarri], Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, 35' seduta, 17 giugno 1998</ref> (ora esponente di [[Alleanza Nazionale|AN]], ex viceministro per l'Economia e le Finanze dei governi [[Governo Berlusconi II|Berlusconi II]] e [[Governo Berlusconi II|Berlusconi III]], al tempo del rapimento di Moro docente presso l'[[Università di Bologna]]) ed [[Alberto Clò]]<ref name=audizioneClo/> (economista ed esperto di politiche energetiche, ministro dell'Industria nel [[governo tecnico]] [[governo Dini|Dini]] e proprietario della casa di campagna dove avvenne la seduta spiritica, al tempo del rapimento di Moro assistente e poi docente di economia all'[[Università di Modena e Reggio Emilia|Università di Modena]]), anche loro presenti alla seduta spiritica: entrambi, pur ammettendo di non credere allo [[spiritismo]] e di non aver più effettuato sedute spiritiche dopo quella, confermarono la genuinità del risultato della seduta (alla critica sul fatto che qualcuno avrebbe potuto guidare il piattino Clò sostenne che la parola "Gradoli", così come "Bolsena" e "Viterbo", si erano formate più volte e con partecipanti diversi) e dichiararono che né loro, né, per quanto ne sapevano, nessuno dei presenti (partecipanti al gioco del piattino o meno, oltre a loro tre erano presenti il fratello di Clò, le relative fidanzate, e i figli piccoli dei commensali) aveva conoscenze nell'ambiente dell'Autonomia bolognese o negli ambienti vicini alle BR.
 
=== Le infiltrazioni mafiose ===
Un ulteriore mistero riguarda la presenza della [['ndrangheta]] calabrese in via Fani. È quanto emergerebbe da una telefonata intercettata tra il segretario di Moro [[Sereno Freato]] e [[Benito Cazora]], deputato della Dc, secondo alcune ricostruzioni incaricato di tenere i rapporti con la [['Ndrangheta|malavita calabrese]], avvenuta otto giorni prima della morte di Moro, nella quale Freato cerca di avere notizie sulla prigione di Moro. Dall'intercettazione risulterebbe che la 'ndrangheta aveva a disposizione alcune foto di via Fani (forse quelle relative al rullino sparito o delle loro copie) e che in una di queste vi fosse "''un personaggio noto a loro''".<ref name=fisicamente>[http://www.fisicamente.net/index-593.htm Il caso Moro], di Gianluca Neri, dal sito fisicamente.net</ref> Secondo quanto riferito nel [[1991]] da Cazora sarebbero stati alcuni esponenti della [['ndrangheta]], in stato di soggiorno obbligato, ad offrire ad alcuni esponenti della DC la propria collaborazione per individuare il luogo della prigionia di Moro, in cambio della possibilità di riottenere la libertà di movimento, ma questa collaborazione non venne comunque realizzata.<ref name=almanaccodeimisteri_1991>[http://www.almanaccodeimisteri.info/moro1991.htm Caso MORO: i fatti del 1991], su almanaccodeimisteri.info</ref>
 
Secondo il [[pentito]] [[Tommaso Buscetta]] alcune componenti dello Stato cercarono di ottenere informazioni sulla possibile prigione di Moro dalla [[Mafia]], ma successivamente [[Giuseppe Calò]] chiese al capo mafia [[Stefano Bontate]] di interrompere le ricerche, in quanto tra gli esponenti della [[Democrazia Cristiana]] non vi sarebbe più stata la volontà di cercare di liberare Moro.<ref name=BianconiCdS />. Per la precisione <ref>Rita Di Giovacchino: "Il libro nero della Prima Repubblica". Fazi Editore; 2003; ISBN: 88-8112-633-8; pag. 43.</ref>in una tempestosa riunione tra i boss di [[Cosa Nostra]] indetta dsai fratelli Salvo, [[Stefano Bontate]] - dalla testimonianza processuale resa dal pentito [[Francesco Marino Mannoia]] - aveva convocato Pippo Calò per chiedere il suo intervento al fine di liberare lo statista. Calò avrebbe risposto che la [[Mafia]] non avrebbe avuto alcun interesse a muoversi. all'insistenza di Bontate, Calò avrebbe scosso le spalle, rispondendo: "Stefano, ma ancòra non l'hai capito che sono proprio loro, gli uomini del suo stesso partito, a non voler affatto che sia liberato... ?!".
 
In una deposizione resa in tribunale, [[Raffaele Cutolo]], capo indiscusso della [[Camorra]] napoletana, affermò che la [[Banda della Magliana]] chiese se era interessato alla liberazione di Moro. Contattati i [[Servizi Segreti]], questi gli risposero letteralmente di "''Farsi gl'affari suoi''". Cutolo, espressamente cita i "Servizi segreti" e non i "Servizi segreti deviati"<ref>Dal serial RAI "Blue Notte" (http://it.youtube.com/watch?v=Gb3r4NGVadE).</ref>.
 
Stando a quanto riferito in generale anche da alcuni collaboratori di giustizia, le varie mafie italiane in un primo momento si interessarono alla questione, cercando di operare per la liberazione di Moro e/o per individuare il covo dove veniva tenuto prigioniero, anche su richiesta di alcuni interlocutori appartenenti alle istituzioni, ma dalla metà di aprile questi tentativi vengono interrotti da richieste opposte (le due posizioni non saranno comunque condivise da tutti i gruppi e causeranno una spaccatura all'interno di [[Cosa Nostra]] tra i [[Corleonesi]], contrari a portare avanti i tentativi di individuare la prigione di Moro, e i palermitani). Secondo quanto riportato durante uno dei processi dal giornalista [[Giuseppe Messina (giornalista)|Giuseppe Messina]], uno dei suoi contatti con la [[mafia siciliana]] gli aveva comunicato che [[Cosa Nostra]] aveva cambiato opinione sulla liberazione di Moro, in quanto questi voleva un governo aperto al [[Partito Comunista Italiano|Partito Comunista]] e questo era in contrasto con l'[[anticomunismo]] della mafia stessa.<ref>Emmanuel Amara, Abbiamo ucciso Aldo Moro. La vera storia del rapimento Moro, pag 71 nota 26, Cooper, 2008</ref>
 
Il 15 ottobre [[1993]] un pentito della [['Ndrangheta]], [[Saverio Morabito]] ha dichiarato che a Via Fani quel giorno c'era anche [[Antonio Mirta]], altro appartenente alla mafia calabrese, e infiltrato nel commando brigatista<ref name=Lastoria>[[La Storia siamo Noi]], puntata [Il caso Moro http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=40], produzione di RAI Educational</ref>. [[Sergio Flamigni]], membro della Commissione Moro e autore di molti libri sull'argomento, riferisce che quando seppe della deposizione di Morabito gli vennero alla mente diversi elementi agli atti della Commissione che avvaloravano l'ipotesi della presenza di un calabrese a Via Fani, tra questi vi era la testimonianza dell'Onorevole [[Benito Cazora]], allora deputato della [[Democrazia Cristiana]] che riferì alla commissione che venne avvicinato da un calabrese che in una certa fase ebbe a chiedergli di un rullino di foto scattate a Via Fani<ref name=Lastoria/>.
 
=== Il ruolo di [[Carmine Pecorelli]] ===
Il giornalista [[Carmine Pecorelli]], che apparentemente godeva di numerose conoscenze all'interno dei servizi segreti<ref>[[Alfredo Carlo Moro]], ''Storia di un delitto annunciato'', Editori Riuniti, pag. 26.</ref>, nella sua agenzia di stampa ''Osservatorio Politico - OP'' si occupò più volte sia del rapimento Moro, sia alla possibilità che Moro potesse essere in qualche modo bloccato nel suo tentativo di aprire il governo al PCI<ref>[[Alfredo Carlo Moro]], ''Storia di un delitto annunciato'', Editori Riuniti, pag. 20 e seguenti.</ref>.
 
Il [[15 marzo]], il giorno prima del rapimento, la sua OP pubblica un articolo sibillino che, citando l'anniversario delle [[Idi di marzo]] e collegandolo con il giuramento del governo Andreotti, farebbe riferimento a un possibile nuovo [[Marco Giunio Bruto|Bruto]] (uno degli assassini di [[Gaio Giulio Cesare|Cesare]]).<ref name=Pecorelli>[[Alfredo Carlo Moro]], ''Storia di un delitto annunciato'', Editori Riuniti, pag 22 e seguenti</ref>
 
Successivamente, durante la prigionia di Moro, Pecorelli nei suoi articoli dimostra di conoscere l'esistenza del memoriale (mesi prima del suo ritrovamento), di alcune lettere ancor prima che venissero rese pubbliche. Ipotizza la presenza di due gruppi all'interno delle BR, uno trattativista e uno invece deciso ad uccidere comunque Moro, e fa trapelare il sospetto che il gruppo che ha materialmente effettuato l'agguato in via Fani non sia poi lo stesso che l'aveva pianificato e stava gestendo anche il sequestro ("''Aspettiamoci il peggio. Gli autori della strage di via Fani e del sequestro di [[Aldo Moro]] sono dei professionisti addestrati in scuole di guerra del massimo livello. I killer mandati all'assalto dell'auto del presidente potrebbero invece essere manovalanza reclutata in piazza. E' un particolare da tenere a mente.''") escludendo peraltro che il gruppo storico delle BR ([[Renato Curcio|Curcio]] e altri già arrestati) avesse a che fare con il rapimento.<ref name=Pecorelli />
 
Sul ritrovamento del covo di via Gradoli Pecorelli fa notare come, al contrario di quanto ci si sarebbe aspettato dai Brigatisti, nel covo tutte le possibili prove della presenza di questi era in bella mostra. Sui possibili mandanti evidenzia come il progetto di apertura dal governo al PCI di Berlinguer, tra i principali sostenitori dell'[[Eurocomunismo]], sarebbe stato mal visto sia dagli USA (per via del fatto che avrebbe cambiato gli equilibri di potere sia nazionali che internazionali) , sia dall'[[URSS]] (dato che avrebbe dimostrato che un partito comunista poteva andare al governo in maniera democratica e senza essere diretta emanazione del PCUS di Mosca).<ref name=Pecorelli />
 
Il [[20 marzo]] [[1979]] Pecorelli viene ucciso a colpi d'arma da fuoco davanti alla sua abitazione. Nel [[1992]] il pentito di mafia [[Tommaso Buscetta]] rivela che l'uccisione fu eseguita dalla mafia - con la manovalanza romana della [[banda della Magliana]] - per "fare un favore ad Andreotti", preoccupato per certe informazioni sul caso Moro: Pecorelli avrebbe ricevuto dal generale [[Carlo Alberto Dalla Chiesa|Dalla Chiesa]] (di cui si conosce una domanda di adesione alla [[P2]], ma apparentemente senza seguito) copia degli originali delle lettere di [[Aldo Moro]] che contenevano pesanti accuse nei confronti di [[Giulio Andreotti]], e vi avrebbe alluso in alcuni articoli di OP.
 
Della circolazione in quegli anni a [[Roma]] di una versione integrale delle lettere di Moro scoperte dai carabinieri nel covo milanese di [[via Monte Nevoso]] (delle quali solo un riassunto fu nell'immediato reso pubblico, il cosiddetto [[Memoriale Moro]], mentre il testo integrale saltò fuori solo nel [[1991]] durante una ristrutturazione dell'appartamento che aveva ospitato il covo) è prova un episodio verificatosi qualche anno dopo: al congresso di [[Verona]] del [[1983]] [[Bettino Craxi]] diede lettura di una lettera di [[Aldo Moro]], pesantemente critica verso i suoi compagni di partito, il cui testo non risultava da nessuno degli atti pubblicati fino a quel momento; la cosa fu considerata una sottile minaccia - nell'ambito della guerra sotterranea tra la [[DC]] ed il [[PSI]] - e produsse animate critiche che raggiunsero anche l'ambito parlamentare <ref>Atti parlamentari, IX legislatura, Camera dei deputati, Assemblea, Resoconto stenografico, interventi dei deputati Adolfo Battaglia (p. 15202) e Virginio Rognoni (p. 15245). </ref>.
 
Nel processo a suo carico, Andreotti in primo grado ebbe l'assoluzione, mentre la Corte d'Assise d'Appello di [[Perugia]] il [[17 novembre]] [[2002]] lo ha condannato a 24 anni di reclusione. [[Giulio Andreotti|Andreotti]] ha presentato ricorso in [[Corte di Cassazione|Cassazione]], che ha dichiarato annullata senza rinvio la condanna rendendo definitiva l'assoluzione di primo grado.
 
{{Citazione|Moro è anche consapevole di non essere il solo, di essere, appunto, il più alto esponente del regime; chiama quindi gli altri gerarchi a dividere con lui le responsabilità, e rivolge agli stessi un appello che suona come un'esplicita chiamata di "correità".}}
=== Il ruolo di Steve Pieczenik ===
Un altro personaggio che è stato spesso al centro delle ipotesi di giornalisti e politici è l'esperto statunitense giunto su invito di Cossiga, [[Steve Pieczenik]], al tempo assistente del Sottosegretario di Stato e capo dell'Ufficio per la gestione dei problemi del terrorismo internazionale del Dipartimento di Stato Statunitense, e rimasto in Italia circa tre settimane. Dopo la carriera come negoziatore ed esperto di terrorismo internazionale ha iniziato a collaborare con [[Tom Clancy]], nella stesura di libri e film.
 
Le [[Brigate Rosse]] proposero, attraverso il comunicato n. 8, di scambiare la vita di Moro con la libertà di 13 terroristi in quel momento in carcere, il cosiddetto «fronte delle carceri», accettando persino di scambiare Moro con un singolo brigatista incarcerato, anche non di spicco, pur di poter aprire trattative alla pari con lo Stato.<ref name="ReferenceB">''I Giorni di Moro'', inserto de ''la Repubblica'', 16 marzo 2008.</ref> Un riconoscimento venne comunque ottenuto quando in data 22 aprile [[papa Paolo VI]] rivolse un drammatico appello pubblico<ref>Si trattava del terzo appello rivolto dal pontefice ai rapitori, dopo quelli del 19 marzo e del 2 aprile.</ref> col quale supplicava «in ginocchio» gli «uomini delle Brigate Rosse» di rendere Moro alla sua famiglia e ai suoi affetti, specificando tuttavia che ciò doveva avvenire «senza condizioni».<ref>{{Cita news|url=http://www.repubblica.it/online/dossier/moro/cronologia/cronologia.html|titolo="Quei lunghi 55 giorni della tragedia Moro"|pubblicazione=[[La Repubblica (quotidiano)|Repubblica.it]]|data=14 marzo 1998|accesso=24 giugno 2008}}</ref>
Il suo nome, come quello degli altri "esperti", venne diffuso solo agli inizi degli [[anni 1990|anni 90]]. Dopo che venne reso pubblica la composizione dei tre comitati, durante le indagini della commissione stragi vennero rischiesti i documenti prodotti da questi: si scoprì che erano presenti solo alcune relazioni di quello degli esperti, ma nulla di quanto prodotto dagli altri due. In una relazione a lui attribuita, Pieczenik analizzava le possibili conseguenze politiche del caso Moro, l'eventualità che l'operazione delle Brigate Rosse avesse avuto un appoggio dall'interno delle istituzioni oltre che alcuni consigli su come poter agire per far uscire allo scoperto i brigatisti. Dopo che il contenuto di questa relazione, intitolata "Ipotesi sulla strategia e tattica delle Br e ipotesi sulla gestione della crisi", è stato reso noto, Pieczenik ne ha tuttavia negato la paternità, affermando che si trattava di un falso, contenente sia alcune delle teorie ed ipotesi da lui effettivamente elaborate al tempo, sia alcuni consigli operativi su cui non concordava, che erano "''nello stile di Ferracuti''", e che per prassi non aveva lasciato nulla di scritto.<ref name=Abbiamoucciso159>[[Emmanuel Amara]]. ''Abbiamo ucciso Aldo Moro. La vera storia del rapimento Moro'', Cooper, pag 159, nota 41</ref> <ref name=Scotti/> Il giornalista Robert Katz, che ha intervistato Pieczenik sul caso, fa anche notare che il supposto rapporto contiene riferimenti al comunicato numero 8 del 24 aprile relativi allo scambio tra Moro e 13 detenuti, riferimenti impossibili per via del fatto che l'esperto statunitense aveva lasciato l'Italia il 15 aprile.<ref name=KatzPanorama />
 
La politica si divise in due fazioni: da una parte il fronte della fermezza, composto dalla DC, dal [[Partito Socialista Democratico Italiano|PSDI]], dal [[Partito Liberale Italiano|PLI]], e con particolare insistenza dal [[Partito Repubblicano Italiano|Partito Repubblicano]] (il cui leader [[Ugo La Malfa]] proponeva il ripristino della pena di morte per i terroristi), che rifiutava qualsiasi ipotesi di trattativa, e il fronte possibilista, nel quale spiccavano il [[Partito Socialista Italiano]] di [[Bettino Craxi]], i [[Radicali Italiani|radicali]], la sinistra non comunista, i cattolici progressisti come [[Raniero La Valle]], uomini di cultura come [[Leonardo Sciascia]].<ref name="piombo" /> Gli estremi del «no» alla trattativa, anche se con atteggiamenti diversi, erano PCI e [[Movimento Sociale Italiano - Destra Nazionale|MSI]].<ref name="repubblica" /> All'interno dei due schieramenti sussistevano tuttavia posizioni in dissenso con la linea ufficiale: una parte della DC era per il dialogo, tra cui il Presidente della Repubblica [[Giovanni Leone]] (che fino all'ultimo si disse pronto a concedere la [[grazia (diritto)|grazia]] alla brigatista detenuta [[Paola Besuschio]], se ciò avesse potuto impedire l'uccisione di Moro<ref>{{cita web|url=http://archiviostorico.corriere.it/1998/marzo/20/Delitto_Moro_Leone_avevo_graziato_co_0_98032014360.shtml|titolo=Leone: avevo graziato la Besuschio|accesso=9 dicembre 2015|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20151110024938/http://archiviostorico.corriere.it/1998/marzo/20/Delitto_Moro_Leone_avevo_graziato_co_0_98032014360.shtml|urlmorto=no}} Leone stesso, vent'anni dopo, dichiarò che "a delitto consumato mi convinsi che i brigatisti fossero al corrente di quel che stava maturando e, non volendo la liberazione di Moro, avessero affrettato quella mattina l'assassinio". Vedi Francesco D'Amato, "Leone vittima della sua umanità", «[[Il Tempo]]», 3 novembre 2008.</ref>) e il Presidente del Senato [[Amintore Fanfani]]; nel PCI [[Umberto Terracini]] era per un atteggiamento «elastico»; tra i socialdemocratici [[Giuseppe Saragat]] era in dissenso dalla posizione ufficiale del segretario [[Pier Luigi Romita]]; infine, tra i socialisti [[Sandro Pertini]] dichiarò di non voler assistere al funerale di Moro ma neppure a quello della Repubblica.<ref name="piombo" />
Stando a quanto raccontato da Cossiga e dallo stesso Pieczenik, inizalmente l'idea dello statunitense era quella di inscenare una finta apertura alla trattativa, per ottenre più tempo e cercare di far uscire allo scoperto i Brigatisti, in modo da poterli individuare.<ref name=audizioneCossiga />
 
Secondo il fronte della fermezza, la scarcerazione di alcuni brigatisti avrebbe costituito una resa da parte dello Stato, non solo per l'acquiescenza a condizioni imposte dall'esterno, ma per la rinuncia all'applicazione delle sue leggi e alla certezza della pena; una trattativa coi rapitori inoltre avrebbe potuto creare un precedente per nuovi sequestri, strumentali al rilascio di altri brigatisti, o all'ottenimento di concessioni politiche e, più in generale, una trattativa con i terroristi avrebbe rappresentato un riconoscimento politico delle Brigate Rosse; di contro la linea del dialogo avrebbe aperto alla possibilità di una rappresentanza partitica e parlamentare del loro braccio armato, e posto questioni di legittimità in merito alle loro richieste. I metodi intimidatori e violenti, e la non accettazione delle regole basilari della politica, ponevano il terrorismo al di fuori del dibattito istituzionale, indipendentemente dal merito delle loro richieste.<ref>{{Cita news|url=http://archiviostorico.corriere.it/1998/settembre/16/Cari_lettori_sui_sequestri_siete_co_0_9809169631.shtml|titolo=Cari lettori, sui sequestri siete troppo confusi|pubblicazione=Corriere della Sera|data=16 settembre 1998|accesso=20 novembre 2015|urlmorto=sì|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20151121050123/http://archiviostorico.corriere.it/1998/settembre/16/Cari_lettori_sui_sequestri_siete_co_0_9809169631.shtml|dataarchivio=21 novembre 2015}}</ref>
In alcune interviste rilasciate successivamente a questi fatti, Pieczenik afferma che durante i giorni del sequestro vi erano notevoli falle che permettevano di far giungere informazioni riservate al di fuori delle discussioni dei comitati e che non aveva l'impressione che la classe politica fosse vicina a Moro:
 
Prevalse il primo orientamento, anche in considerazione del gravissimo rischio di ordine pubblico e di coesione sociale che si sarebbe corso presso la popolazione, e in particolare, presso le forze dell'ordine, che in quegli anni avevano pagato un tributo di sangue già insostenibile a causa dei terroristi, anche perché durante i due mesi del sequestro le BR continuarono a spargere sangue nel Paese, uccidendo gli agenti di custodia [[Lorenzo Cotugno]] (a Torino, l'11 aprile) e Francesco De Cataldo (a Milano, il 20 aprile).<ref name="piombo" /> Il tragico epilogo con cui si concluse il sequestro Moro anticipò comunque una presa di posizione definitiva da parte del mondo politico.
{{quote|Ci fu una cosa che emerse in maniera chiarissima, e che mi sbalordì. Io non conoscevo l'uomo Aldo Moro, dunque desideravo farmi un'idea di che persona fosse e di quanta resistenza avesse. Ci ritrovammo in questa sala piena di generali e di uomini politici, tutta gente che lo conosceva bene, e... ecco, alla fine ebbi la netta sensazione che a nessuno di loro Moro stesse simpatico o andasse a genio come persona, Cossiga compreso. Era lampante che non stavo parlando con i suoi alleati.
[...]
Dopo un po' mi resi conto che quanto avveniva nella sala riunioni filtrava all'esterno. Lo sapevo perché ci fu chi - persino le Br - rilasciava dichiarazioni che potevano avere origine soltanto dall'interno del nostro gruppo. C'era una falla, e di entità gravissima. Un giorno lo dissi a Cossiga, senza mezzi termini. "C'è un'infiltrazione dall'alto, da molto in alto". "Sì" rispose lui "lo so. Da molto in alto". Ma da quanto in alto non lo sapeva, o forse non lo voleva dire. Così decisi di restringere il numero dei partecipanti alle riunioni, ma la falla continuava ad allargarsi, tanto che alla fine ci ritrovammo solo in due. Cossiga e io, ma la falla non accennò a richiudersi.|''I giorni del complotto'', articolo del giornalista Robert Katz pubblicato su Panorama del 13 agosto 1994<ref name=KatzPanorama/>}}
 
Alcuni autori, tra cui il fratello di Moro [[Carlo Alfredo Moro|Carlo Alfredo]], fecero in seguito notare alcune apparenti incongruenze nei comunicati delle BR. Un primo punto riguardò la totale assenza di riferimenti al progetto di Moro di apertura del governo al PCI, benché il rapimento fosse stato effettuato lo stesso giorno in cui il governo doveva formarsi, e nonostante l'esistenza di comunicati, precedenti e successivi agli eventi, in cui si trovavano espliciti riferimenti e dichiarazioni di contrarietà al progetto da parte dei brigatisti. Anche una lettera indirizzata a Zaccagnini da parte di Moro, con un riferimento al progetto, venne fatta riscrivere in una forma in cui questo era omesso.<ref>[[Carlo Alfredo Moro]], ''Storia di un delitto annunciato'', Editori Riuniti, 1998, pag 123 e seguenti.</ref> Un secondo punto riguardava i continui riferimenti contenuti nei comunicati, ove i brigatisti assicuravano che tutto ciò che riguardava il «processo» a Moro e i suoi interrogatori sarebbe stato reso pubblico. Tuttavia, mentre nel caso di altri rapimenti, come quello del giudice Giovanni D'Urso, addetto alla direzione generale degli affari penitenziari, questa diffusione del materiale era stata effettuata anche senza essere ribadita in maniera così forte e con materiale ben meno importante, nel caso Moro questa diffusione non si ebbe mai, e solo con la scoperta del covo di via Monte Nevoso a Milano furono scoperti e divulgati sia il [[memoriale Moro]] (inizialmente in una versione ridotta, presente solo in fotocopia) sia alcune lettere, inizialmente non diffuse. Gli stessi brigatisti hanno affermato di aver distrutto le bobine degli interrogatori e gli originali degli scritti di Moro, in quanto ritenuti non importanti, nonostante in questi vi fossero riferimenti all'[[organizzazione Gladio]]<ref name="Tamburrano">{{Cita news|autore=Indro Montanelli|url=http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/16/Andreotti_Pecorelli_come_romanzo_co_0_95121612824.shtml|titolo=Andreotti e Pecorelli: come un romanzo|pubblicazione=Corriere della Sera|data=16 dicembre 1995|accesso=23 giugno 2015|urlmorto=sì|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20150623142157/http://archiviostorico.corriere.it/1995/dicembre/16/Andreotti_Pecorelli_come_romanzo_co_0_95121612824.shtml|dataarchivio=23 giugno 2015}}</ref> e alla connivenza di parte della DC e dello Stato nella [[Strategia della tensione in Italia|strategia della tensione]],<ref>''[http://clarence.dada.net/contents/societa/memoria/moro/tema2.html Interrogatorio di Aldo Moro effettuato e trascritto dalle Brigate Rosse durante la sua prigionia, II tema: La cosiddetta strategia della tensione e la strage di Piazza Fontana] {{webarchive|url=https://web.archive.org/web/20080923010557/http://clarence.dada.net/contents/societa/memoria/moro/tema2.html |data=23 settembre 2008 }}'', estratti dei documenti delle Brigate Rosse acquisiti dalla Commissione Moro e dalla Commissione Stragi, riportati dal sito ''clarence.net''. «Per quanto riguarda la strategia della tensione, che per anni ha insanguinato l'Italia, pur senza conseguire i suoi obiettivi politici, non possono non rilevarsi, accanto a responsabilità che si collocano fuori dell'Italia, indulgenze e connivenze di organi dello Stato e della Democrazia Cristiana in alcuni suoi settori».</ref> che ben sembrano identificarsi con il tipo di rivelazioni che le Brigate Rosse andavano cercando.<ref>[[Alfredo Carlo Moro]], ''Storia di un delitto annunciato'', Editori Riuniti, 1998, pag 130 e seguenti.</ref>
Tornato in America venne contattato da un consigliere politico dell'ambasciata [[argentina]] (paese al tempo sottoposto ad una [[Processo di Riorganizzazione Nazionale|dittatura militare]]) per chiedere aiuto contro sospetti terroristi. Al rifiuto di Pieczenik questo lo minacciò di fargli pervenire un ordine ufficiale da parte del Dipartimento di Stato. Secondo il negoziatore, il consigliere avrebbe potuto essere in realtà un agente segreto, che in qualche modo "''era al corrente di ciò che era accaduto nelle stanze romane di Cossiga. Sapeva esattamente cosa vi avevo fatto nelle ultime tre settimane, anche se avrebbe dovuto trattarsi di segreti. Non mi spiegò in che modo fosse venuto a conoscenza di tutto ciò, e l'unica cosa che potei fare fu dedurne che la fuga di notizie faceva rotta diretta verso l'Argentina''" e che "''Parlava in tono arrogante e pieno di sottintesi, come se a unirci fosse stata l'affiliazione a qualche misteriosa confraternità''"; confraternità e fonte delle informazioni che Pieczenik identifica con la loggia massonica P2, dopo che la pubblicazione dei nomi degli iscritti e le successive indagini avevano mostrato come molti degli appartenenti dei tre comitati ne facessero parte e come questa avesse legami proprio con l'Argentina.<ref name=KatzPanorama/>
 
Mentre [[papa Paolo VI]] e il [[segretario generale delle Nazioni Unite]] [[Kurt Waldheim]] continuavano ad appellarsi alle BR per la liberazione del prigioniero, Craxi – sulla scorta di una risoluzione della direzione del suo partito<ref>Pietro Nenni, ''Gli ultimi taccuini'' (23 aprile 1978), ''[[Mondoperaio]]'', n. 8-9/2016, p. 83. «Presupposto della solidarietà è la capacità dello Stato di garantire la legalità e di difendere la vita umana valore primo e incomparabile. Lo Stato secondo i suoi principi ha il dovere di tutelare la vita di tutti i suoi cittadini, di salvarli quando sono in pericolo. Lo Stato deve raggiungere i colpevoli. Lo Stato deve sapere far rispettare le sue leggi. L'azione dello Stato deve corrispondere a tutti i suoi doveri».</ref> – incaricò [[Giuliano Vassalli]] di trovare, nei fascicoli pendenti, il nome di qualche brigatista che potesse essere rilasciato in segno di buona condotta. Si pensò a [[Paola Besuschio]], ex studentessa di Trento arrestata nel 1975: accusata di rapine «proletarie» e indiziata per il ferimento del democristiano [[Massimo De Carolis]], consigliere comunale di Milano, era stata condannata a 15 anni e in quel momento era malata. Più tardi si pensò ad Alberto Buonoconto, un [[Nuclei Armati Proletari|nappista]] anch'egli malato in carcere a Trani, ma le BR volevano che fossero scarcerati i membri ritenuti tra i più pericolosi ([[Paolo Maurizio Ferrari|Ferrari]], [[Alberto Franceschini|Franceschini]], [[Roberto Ognibene|Ognibene]], [[Renato Curcio|Curcio]]) e anche delinquenti comuni politicizzati, come [[Sante Notarnicola]].<ref name="piombo" /><ref>{{Cita libro|autore=Gennaro Acquaviva|autore2=Luigi Covatta|titolo=Moro-Craxi. Fermezza e trattativa trent'anni dopo|città=Venezia|editore=Marsilio|anno=2009}}</ref>
Dopo alcuni accordi per essere sentito dalla Commissione Stragi, in un primo tempo accettò l'invito, ma poi improvvisamente rifiutò di presentarsi in Italia.<ref name=left/> <ref name=Abbiamoucciso159 />
 
Oltre a questi comunicati, durante il sequestro, il 18 aprile fu diffuso un falso comunicato (solitamente indicato come falso comunicato n. 7), scritto da un falsario, annunciante che il cadavere di Aldo Moro si trovava nel lago Duchessa.
A quasi 30 anni di distanza dai fatti, durante la preparazione del documentario francese "''Les derniers jours de Aldo Moro''", il giornalista [[Emmanuel Amara]] entra in contatto con Pieczenik, che accetta di farsi intervistare. Il contenuto di questa intervista è poi inserito nel saggio "''Abbiamo ucciso Aldo Moro. La vera storia del rapimento Moro''" (edizione originale "''Nous avons tué Aldo Moro''", Patrick Robin Editions, 2006, ISBN 2352280125)<ref name=stampa>[http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/200803articoli/30874girata.asp Ho manipolato le Br per far uccidere Moro], articolo de "La Stampa", del 9 marzo 2008</ref>. Nell'intervista riportata nel libro stesso riassume quello che sarebbe stato il suo compito durante il rapimento Moro:
 
Una [[Clustering|analisi statistica a cluster]] sullo stile dei comunicati brigatisti, effettuati circa 40 anni dopo gli eventi, mostra con grande evidenza la differenza stilistica fra il falso communicato n.7 (indicante la presenza del cadavere nel lago Moro) e gli altri comunicati BR, e inoltra evidenza che i comunicati autentici sono suddivisibili in due diversi cluster: il primo include i comunicati 1, 2, 3, 4 e 5, il secondo include i rimanenti (6, 7, 8, 9) <ref>{{Cita web|url=https://www.studi.aisv.it/index.php/home/article/view/212/200|titolo=La misurazione stilistica della Falsificazione. I comunicati delle Brigate Rosse The Measure of Forgery. The statements of the Red Brigades|autore=Raffaele Manna|sito=|pp=125-137|accesso=2024-11-30}}</ref> .
{{quote|Capii subito quali erano le volontà degli attori in campo: la destra voleva la morte di Aldo Moro, le Brigate rosse lo volevano vivo, mentre il Partito Comunista, data la sua posizione di fermezza politica, non desiderava trattare. Francesco Cossiga, da parte sua, lo voleva sano e salvo, ma molte forze all'interno del paese avevano programmi nettamente diversi, il che creava un disturbo, un'interferenza molto forte nelle decisioni prese ai massimi vertici. [...] Il mio primo obiettivo era guadagnare tempo, cercare di mantenere in vita Moro il più a lungo possibile. Il tempo, necessario a Cossiga per riprendere il controllo dei suoi servizi di sicurezza, calmare i militari, imporre la fermezza in una classe politica inquieta e ridare un po' di fiducia all'economia. Bisognava fare attenzione sia a sinistra sia a destra: bisognava evitare che i comunisti di Berlinguer entrassero nel governo e, contemporaneamente, porre fine alla capacita di nuocere delle forze reazionarie e antidemocratiche di destra.
Allo stesso tempo era auspicabile che la famiglia Moro non avviasse una trattativa parallela, scongiurando il rischio che Moro venisse liberato prima del dovuto. Ma mi resi conto che, portando la mia strategia all sue estreme conseguenze, mantenendo cioè Moro in vita il più a lungo possibile, questa volta forse avrei dovuto sacrificare l'ostaggio per la stabilita dell'Italia.|Steve Pieczenik in ''Abbiamo ucciso Aldo Moro. La vera storia del rapimento Moro'', Cooper, pag 102 e 103}}
 
Infine, quasi un mese dopo la conclusione del caso, il 20 Maggio venne fatto ritrovare un decimo comunicato, probabilmente falso, o quanto meno non attribuibile al nucleo brigatista che aveva gestito il sequestro <ref>{{Cita web|url=https://www.segretidistato.it/2011/04/i-comunicati-delle-brigate-rosse-diffusi-durante-il-sequestro-moro-marzo-maggio-1978/|titolo=I comunicati delle Brigate rosse diffusi durante il sequestro Moro, marzo-maggio 1978|data=16 aprile 2011|accesso=30 aprile 2025}}</ref> .
{{quote|Ho atteso trent'anni per rivelare questa storia. Spero sia utile. Mi rincresce per la morte di Aldo Moro; chiedo perdono alla sua famiglia e sono dispiaciuto per lui, credo che saremmo andati d'accordo, ma abbiamo dovuto strumentalizzare le Brigate rosse per farlo uccidere.|Steve Pieczenik in ''Abbiamo ucciso Aldo Moro. La vera storia del rapimento Moro'', Cooper, pag 186}}
 
=== I comitati di crisi ===
Il fatto che Moro fosse ormai sacrificabile in nome della "ragion di stato" sarebbe divenuto chiaro a Pieczenik nel momento in cui, a fronte di indagini inconcludenti e informazoni riservate che venivano continuamente diffuse, lo statista democristiano avrebbe iniziato a scrivere lettere sempre più preoccupate, che potevano far supporre che stesse per cedere psicologicamente.<ref name=stampa />
Per far fronte alla crisi causata dal rapimento di Moro, lo Stato si avvalse dei [[servizi segreti italiani|servizi di sicurezza italiani]], che peraltro erano stati poco prima riformati: il 14 ottobre 1977 era stata infatti approvata la legge che divideva il [[Servizio informazioni difesa|SID]] in due parti: il [[Servizio per le informazioni e la sicurezza militare|SISMI]] e il [[Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica|SISDE]], coordinati dal [[Comitato esecutivo per i servizi di informazione e sicurezza|CESIS]]. Il 31 gennaio 1978 presso la [[Polizia di Stato]] era poi nato anche l'[[Ufficio centrale per le investigazioni generali e per le operazioni speciali|UCIGOS]].<ref name="piombo" />
 
Lo stesso 16 marzo 1978 il [[ministri dell'interno della Repubblica Italiana|ministro dell'interno]] [[Francesco Cossiga]] istituì due comitati di crisi ufficiali:<ref name="Scotti">{{Cita news|url=http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1992/01/29/scotti-sono-scomparse-le-carte-del-caso.html|titolo=Scotti: sono scomparse le carte del caso Moro|pubblicazione=la Repubblica|data=29 gennaio 1992|accesso=15 luglio 2008}}</ref>
Pieczenik afferma che appena arrivato in Italia venne informato da Cossiga che le istituzioni italiane non avevano idea di come uscire dalla crisi<ref>[[Emmanuel Amara]]. ''Abbiamo ucciso Aldo Moro. La vera storia del rapimento Moro'', Cooper, pag 98</ref> e sia lo stesso Cossiga, sia i servizi segreti Vaticani che avevano offerto la loro collaborazione, lo avevano informato che in Italia da pochi mesi era stato effettuato un tentativo di colpo di stato da parte di esponenti dei servizi segreti, principalmente di destra, e di persone che successivamente identificò come legate alla loggia P2<ref>[[Emmanuel Amara]]. ''Abbiamo ucciso Aldo Moro. La vera storia del rapimento Moro'', Cooper, pag 98 e pag 104/105.<br/> Quelli che sono ritenuti dalla pubblicistica i principali tentativi di golpe effettuati in Italia sono il [[Piano Solo]] del 1964, il [[Golpe Borghese]] del 1970, la [[Rosa dei venti (storia)|Rosa dei venti]] nei primi [[anni 1970|anni '70]] e il [[Golpe bianco]] di [[Edgardo Sogno]] del 1974. Durante un'intervista a "[[L'espresso]]" del 1981, citata anche [http://www.parlamento.it/bicam/terror/stenografici/steno17.htm nell'audizione] di Giulio Andreotti alla Commissione Stragi, l'ex generale Maletti elenca cinque tentativi di colpo di Stato, il golpe Borghese, la Rosa dei Venti, il golpe bianco, oltre ad altri due tentativi, da lui ritenuti più pericolosi, di cui uno che avrebbe avuto luogo nell'agosto 1974 da parte di un "''gruppo di ufficiali inferiori aveva preso contatto con degli alti ufficiali ed era pronto a impadronirsi di Roma con un colpo di mano''", poi sventato dai servizi, ed uno tentato nel settembre 1974 da parte di alcuni "eredi" del golpe Borghese, anche questo, a quanto afferma Maletti, sventato dai servizi. Pieczenik tuttavia non specifica a quale tentato golpe si riferisce, se ad uno di questi (che comunque distavano temporalmente alcuni anni dal sequestro di Moro), o ad un altro più recente, sventato ma non ancora reso noto.</ref>, ma che il tentativo era fallito e che lo stesso Cossiga era riuscito a "''fare un po' di pulizia e a riprendere il controllo su una parte di quegli elementi''". Lo stesso Pieczenik si diceva stupito della presenza di tanti ex-fascisti all'interno dei servizi segreti, tanto da avere l'impressione di ritrovarsi "''nel quartiere generale del duce, di Mussolini''" <ref>[[Emmanuel Amara]]. ''Abbiamo ucciso Aldo Moro. La vera storia del rapimento Moro'', Cooper, pag 104</ref>, ma afferma anche che durante il sequestro la "''capacità di disturbo''" di questi gruppi non fu così energica come temeva in un primo tempo. Anche le Brigate Rosse, sencondo l'esperto, avevano infiltrati nelle istituzioni, e godevano di informazioni di prima mano fornite da figli di politici e funzionari italiani che simpatizzavano per il gruppo, o perlomeno militavano nei gruppi di estrema sinistra. Queste infiltrazioni vennero studiate, pur senza portare a nessuna individuazione sicura, da Pieczenik con l'aiuto dei servizi Vaticani, che l'esperto statunitense riteneva al tempo molto più efficenti ed informati di quelli italiani.<ref>[[Emmanuel Amara]]. ''Abbiamo ucciso Aldo Moro. La vera storia del rapimento Moro'', Cooper, pag 105</ref>
* Un «comitato tecnico-politico-operativo», presieduto dallo stesso Cossiga e, in sua vece, dal sottosegretario [[Nicola Lettieri]], di cui facevano anche parte i comandanti di [[Polizia di Stato|Polizia]], [[Arma dei Carabinieri|Carabinieri]] e [[Guardia di Finanza]], oltre ai direttori (da poco nominati) del SISMI e del SISDE, al segretario generale del CESIS, al direttore dell'UCIGOS e al questore di Roma.
* Un «comitato informazione», di cui facevano parte i responsabili dei vari servizi: SISMI, SISDE, CESIS e [[Servizio informazioni operative e situazione|SIOS]].
* Fu creato anche un terzo comitato non ufficiale, denominato «comitato di esperti», che non si riunì mai collegialmente. Della sua esistenza si seppe solo nel maggio 1981, quando Cossiga ne rivelò l'esistenza alla Commissione Moro, senza però rivelarne le attività e le decisioni. Di questo organismo facevano parte, tra gli altri: [[Steve Pieczenik]] (funzionario della sezione antiterrorismo del [[Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d'America|Dipartimento di Stato americano]]), il criminologo [[Franco Ferracuti]], Stefano Silvestri, [[Vincenzo Cappelletti]] (direttore generale dell'[[Enciclopedia Treccani|Istituto per l'Enciclopedia italiana]]) e [[Giulia Conte Micheli]].<ref name="comitati">{{Cita libro|autore=Nicola Biondo|autore2=Massimo Veneziani|titolo=Il falsario di Stato. Uno spaccato noir della Roma degli anni di piombo|città=Roma|editore=Cooper|anno=2008}}</ref><ref name=comitati2>''[https://web.archive.org/web/20110917082329/http://www.fondazionecipriani.it/Kronologia/prova.php?DAANNO=1978&&id=&start=240&id=&start=300 Cronologia dal sito della Fondazione Cipriani]''.</ref>
 
Nonostante queste novità, nei mesi in cui maturò e fu eseguito il sequestro Moro nessun servizio segreto fu predisposto a combattere l'eversione interna. I comitati agirono in base a norme superate: la pianificazione dei provvedimenti da adottare in caso di emergenza risaliva agli anni cinquanta, e non era stata aggiornata neppure dopo la crescita allarmante del terrorismo. Le ragioni per cui ciò accadde possono essere attribuite alla smobilitazione degli stessi servizi, alla rimozione dei funzionari migliori e ai facili permessi d'uscita concessi ai detenuti,<ref>Indro Montanelli, ''Rituale barbarico'', ''[[il Giornale|il Giornale nuovo]]'', 10 maggio 1978. «Lo Stato italiano ha superato con onore questa prova difficile, ma la magistratura e gli organi di polizia hanno denunciato, nella loro azione, una desolante inefficienza, che ha permesso alle Brigate Rosse di operare con irridente spavalderia. Ne va data colpa non tanto alle forze dell'ordine quanto a chi ha voluto, per demagogia, per compiacere le sinistre, per acquistare facile popolarità, smobilitare i servizi segreti, rimuovere i funzionari più ligi al dovere, trasformare le carceri in alloggi con libera uscita quotidiana».</ref> oltre al fatto che nel Paese si era diffusa un'atmosfera di rassegnazione (se non di indulgenza) verso il terrorismo di sinistra,<ref name="piombo" /> tanto che nei processi gli autori di attentati godevano di attenuanti in quanto avrebbero agito «per motivi di particolare valore morale e sociale»,<ref name="piombo" /> [[Prima Linea (organizzazione)|Prima Linea]] veniva considerata una semplice associazione sovversiva (anziché una banda armata),<ref name="piombo" /> mentre [[Magistratura democratica]] – o perlomeno l'ala romana<ref>{{Cita libro|autore=Gianni Barbacetto|autore2=Peter Gomez|autore3=Marco Travaglio|titolo=Mani pulite. La vera storia, 20 anni dopo|città=Milano|editore=Chiarelettere|anno=2012}} «Mentre i [[Francesco Misiani|Misiani]] frequentavano gli ambienti extraparlamentari e visitavano la Cina di Mao inebriati dalla "rivoluzione culturale", mentre i Coiro predicavano la "giurisprudenza alternativa" contro la "giustizia borghese" e organizzavano le "controinaugurazioni dell'anno giudiziario", a Torino i [[Gian Carlo Caselli|Caselli]], i [[Maurizio Laudi|Laudi]] e i Bernardi, a Milano gli [[Emilio Alessandrini|Alessandrini]], i [[Guido Galli|Galli]], i [[Gerardo D'Ambrosio|D'Ambrosio]] e i [[Gherardo Colombo|Colombo]], a Padova i [[Pietro Calogero|Calogero]] affrontavano a viso aperto le Brigate Rosse e Prima linea, le trame nere e i poteri occulti.».</ref> – nutriva ostilità verso lo Stato simpatizzando per i miti rivoluzionari;<ref name="piombo" /> al punto che il politologo [[Giorgio Galli]] affermò che il terrorismo era diventato «un fenomeno storico comprensibile (anche se non giustificabile) in una fase di trasformazione sociale ostacolata da una classe politica corrotta».<ref name="piombo" />
Oltre a confermare quanto già detto in precedenti interviste, in questa sostiene di aver partecipato in prima persona alla decisione di creare il falso comunicato numero 7 e afferma di aver spinto le Birgate Rosse ad uccidere Moro, con lo scopo di delegittimarle ("''Ho permesso che si servissero di questa violenza fino al punto di perdere tutta la loro legittimità. Piuttosto che riconoscere il loro errore, sono sprofondati in quella spirale che li ha portati alla fine.''" <ref name=abbiamo186>Steve Pieczenik in ''Abbiamo ucciso Aldo Moro. La vera storia del rapimento Moro'', Cooper, pag 186</ref>), quando ormai era chiaro (dal suo punto di vista) che comunque non c'era la volontà di liberarlo da parte della classe politica. Pieczenik afferma anche che gli Stati Uniti, pur avendo numerosi interessi in Italia (a cominciare dalle truppe dislocate), non erano al corrente della situazione del paese, nè per quello che riguarda il terrorismo di sinistra, nè per quello che riguarda i gruppi eversivi di destra o i servizi deviati, e che quindi non potè avere aiuti nè dalla CIA nè dall'ambasciata statunitense in Italia. Lo stesso Dipartimento di Stato gli avrebbe fornito come informazioni sull'Italia solo articoli tratti da [[TIME]] e [[Newsweek]]<ref name=KatzPanorama/> <ref>[[Emmanuel Amara]]. ''Abbiamo ucciso Aldo Moro. La vera storia del rapimento Moro'', Cooper, pag 97</ref>.
 
=== L'uccisione di Moro e il rinvenimento del corpo ===
Secondo l'esperto l'unico modo che avevano le Brigate Rosse di legittimarsi in qualche modo e distruggere i tentativi di stabilizzazione da lui portati avanti, sarebbe stato il rilascia Moro, ma questo non avenne.
{{Citazione|Per quanto riguarda la nostra proposta di uno scambio di prigionieri politici perché venisse sospesa la condanna e Aldo Moro venisse rilasciato, dobbiamo soltanto registrare il chiaro rifiuto della DC. Concludiamo quindi la battaglia iniziata il 16 marzo, eseguendo la sentenza a cui Aldo Moro è stato condannato.|Dal comunicato n. 9.}}
{{Doppia immagine|right|Mario Moretti 04.04.81.jpg|130|Valerio Morucci Brigate Rosse 76-79.jpg|130|[[Mario Moretti]] «Maurizio» telefonò il 30 aprile alla moglie di Moro|[[Valerio Morucci]] «Matteo» effettuò la telefonata finale del 9 maggio}}
Dalle deposizioni rilasciate alla magistratura è emerso che non tutto il vertice brigatista fosse concorde con il verdetto di condanna a morte. Lo stesso Moretti telefonò direttamente alla moglie di Moro il 30 aprile 1978 per premere sui vertici della DC affinché accettassero la trattativa:<ref name="ReferenceB" /> la telefonata fu registrata dalle forze dell'ordine. La brigatista [[Adriana Faranda]] citò una riunione notturna tenuta a Milano di poco precedente l'uccisione di Moro, ove ella e altri terroristi ([[Valerio Morucci]], [[Franco Bonisoli]] e forse altri)<ref name="ucciso181">[[Emmanuel Amara]], ''Abbiamo ucciso Aldo Moro. Dopo 30 anni un protagonista esce dall'ombra'', Roma, Cooper Edizioni, 2008, pag 181.</ref> erano in dissenso, tanto che la decisione finale sarebbe stata messa ai voti.<ref>Testimonianze processuali dei brigatisti Bonisoli e Morucci. L'uscita di Morucci e della Faranda dalle BR era stata decisa dopo che al convegno della sera precedente, si decise ugualmente di assassinare l'ostaggio.</ref> Il 3 maggio Morucci e Faranda incontrarono Moretti in [[piazza Barberini]] e ribadirono la loro contrarietà all'omicidio.<ref name="repubblica" />
 
Il 9 maggio, dopo 55 giorni di detenzione, al termine di un «processo del popolo», Moro fu assassinato per mano di [[Mario Moretti]], con la complicità di [[Germano Maccari]],<ref>{{Cita news|url=http://archiviostorico.corriere.it/1996/giugno/20/Maccari_confessa_Cosi_uccidemmo_Moro_co_0_96062014530.shtml|titolo=L'ex br Maccari confessa: "Così uccidemmo Moro"|pubblicazione=Corriere della Sera|data=20 giugno 1996|accesso=20 novembre 2015|urlmorto=sì|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20151121052754/http://archiviostorico.corriere.it/1996/giugno/20/Maccari_confessa_Cosi_uccidemmo_Moro_co_0_96062014530.shtml|dataarchivio=21 novembre 2015}}</ref><ref>{{Cita news|autore=Flavio Haver|url=http://archiviostorico.corriere.it/1996/giugno/20/Erano_cosi_uccidemmo_Moro_co_0_96062014518.shtml|titolo="Erano le 6.30, così uccidemmo Moro"|pubblicazione=Corriere della Sera|data=20 giugno 1996|accesso=20 novembre 2015|urlmorto=sì|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20151121054137/http://archiviostorico.corriere.it/1996/giugno/20/Erano_cosi_uccidemmo_Moro_co_0_96062014518.shtml|dataarchivio=21 novembre 2015}}</ref><ref>{{Cita news|autore=Dino Martirano|url=http://archiviostorico.corriere.it/1996/giugno/20/Fui_accusarlo_finito_incubo_co_0_96062014497.shtml|titolo="Fui io ad accusarlo. È finito un incubo"|pubblicazione=Corriere della Sera|data=20 giugno 1996|accesso=20 novembre 2015|urlmorto=sì|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20151121052359/http://archiviostorico.corriere.it/1996/giugno/20/Fui_accusarlo_finito_incubo_co_0_96062014497.shtml|dataarchivio=21 novembre 2015}}</ref><ref>{{Cita news|url=http://archiviostorico.corriere.it/1996/giugno/20/Mario_Moretti_adesso_non_sono_co_0_96062014496.shtml|titolo=Mario Moretti: e adesso non ci sono più misteri|pubblicazione=Corriere della Sera|data=20 giugno 1996|accesso=20 novembre 2015|urlmorto=sì|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20151121051406/http://archiviostorico.corriere.it/1996/giugno/20/Mario_Moretti_adesso_non_sono_co_0_96062014496.shtml|dataarchivio=21 novembre 2015}}</ref> anche se per molti anni, fino alla confessione di Moretti, si pensò che a sparare fosse stato Prospero Gallinari. Il cadavere fu ritrovato il giorno stesso in una [[Renault 4]] rossa in via [[Michelangelo Caetani]], in pieno centro di Roma.
Il fatto che fosse tornato in America anzitempo, secondo quanto affermato, era dovuto al fatto che non voleva dare l'impressione che dietro la ormai prevedibile morte di Moro vi potessero essere pressioni statunitensi.<ref name=abbiamo186/> Precedentemente aveva invece affermato che se ne era andato perché la sua presenza non fosse strumentalizzata per legittimare l'operato (ritenuto inefficente e compromesso) delle istituzioni.<ref name=KatzPanorama/>
 
Secondo quanto affermato dai brigatisti più di un decennio dopo l'omicidio, Moro fu fatto alzare alle 6:00 con la scusa di essere trasferito in un altro covo.<ref>[[Carlo Alfredo Moro]], ''Storia di un delitto annunciato'', Editori Riuniti, 1998, pag 71.</ref> Franco Bonisoli ha invece raccontato che a Moro venne riferito di esser stato graziato (e quindi liberato), una bugia definita dallo stesso brigatista «pietosa», detta per «non farlo soffrire inutilmente»:<ref name="repubblica" /> venne infilato in una cesta di vimini e portato nel garage del covo di via Montalcini. Fu fatto entrare nel portabagagli di una vettura rubata alcuni mesi prima,<ref>{{Cita news|autore=Rinaldo Frignani|url=http://www.corriere.it/inchieste/dentro-renault4-moro/1fd682e6-6ffa-11e4-921c-2aaad98d1bf7.shtml|titolo=Dentro la Renault4 di Moro|pubblicazione=[[Corriere della Sera|Corriere.it]]|data=19 novembre 2014|accesso=19 novembre 2014}}</ref> una [[Renault 4]] rossa targata Roma N57686, e venne coperto con un lenzuolo rosso. Mario Moretti allora sparò alcuni colpi prima con una pistola [[Walther PPK]] calibro 9&nbsp;mm x 17 corto e poi, dopo che la pistola si era inceppata, con una mitragliatrice [[Vz 61 Skorpion|Samopal Vzor.61]] (nota come Skorpion) calibro [[7,65 × 17 mm Browning|7,65 mm]], con cui sparò una raffica di 11 colpi che perforarono i polmoni dell'ostaggio, uccidendolo. Secondo altre fonti, l'arma con cui fu ucciso Moro non sarebbe stata una mitragliatrice Skorpion ma una pistola Beretta bifilare a canna lunga, con un caricatore da 14 colpi e un silenziatore, un'arma che allora era in dotazione soltanto ai servizi di sicurezza e a corpi speciali.<ref>{{Cita news|autore=Roberto Chiodi|url=https://gerograssi.it/leuropeo-delitto-moro-lo-hanno-ucciso-cosi-5-aprile-1979/|titolo=Delitto Moro. Lo hanno ucciso così|pubblicazione=[[L'Europeo]]|data=5 aprile 1979|accesso=10 luglio 2023}}</ref><ref>{{Cita news|autore=Gianni Lannes|url=http://sulatestagiannilannes.blogspot.com/2016/07/quel-rapporto-segreto-del-sismi-e-la.html|titolo=quel rapporto segreto del Sismi e la Beretta che ha ucciso moro|pubblicazione=[[Su la testa!]]|data=7 luglio 2016|accesso=10 luglio 2023}}</ref>
=== Dubbi sullo svolgimento del rapimento ===
 
Alcune incongruenze riguardano però le modalità dell'esecuzione: seppur la pistola che inizialmente venne adoperata per sparare a Moro poteva esser silenziata, difficilmente lo poteva essere la mitraglietta, in quanto il [[Silenziatore (armi)|silenziatore]] non permette la totale soppressione del rumore.
Molti sono anche i dubbi che le indagini e la pubblicistica si sono posti circa la dinamica dei fatti di Via Fani<ref>http://it.youtube.com/watch?v=-yT9U0ImxlA</ref><ref name=comedonchisciotte /><ref name=Lastoria/>.
 
[[File:AldoMoro ViaCaetani.jpg|thumb|left|Roma, via Caetani: la targa in ricordo di Aldo Moro nel luogo del ritrovamento del corpo]]
Vengono ritrovati 93 bossoli, ma i colpi sparati potrebbero essere di più. Con questo elevato numero di colpi sparati in pochi secondi vengono colpiti tutti gli uomini della scorta di Aldo Moro [[Oreste Leonardi]] [[Domenico Ricci]] [[Giulio Rivera]] [[Raffaele Iozzino]] [[Francesco Zizzi]] ma tuttavia il Presidente della DC resta miracolosamente illeso, il che potrebbe far pensare ad un'elevata esperienza da parte di chi stava usando quelle armi. Il brigatista Morucci però ha sempre affermato che le BR erano non addestrate professionalente ed anzi erano grossolane nello sparare. Alla luce incontrovertibile delle perizie balistiche presentate al Processo "Moro - Quater", una sola arma automatica risulta aver sparato più della metà dei colpi di quella giornata - 49 colpi in 20 secondi - ; il fatto è assai poco probabile nella realtà.
Una volta eseguito l'omicidio, l'auto con il cadavere di Moro fu portata da Moretti e Maccari, senza effettuare soste intermedie, in via Caetani nel [[centro storico di Roma]], vicino alle sedi nazionali della [[Democrazia Cristiana|DC]] e del [[Partito Comunista Italiano|PCI]], dove fu lasciata parcheggiata circa un'ora dopo. All'ultimo tratto del percorso parteciparono su una Simca anche Bruno Seghetti e Valerio Morucci, in funzione di copertura. Dopo aver perso tempo a cercare un posto sicuro da cui telefonare e contattare uno dei collaboratori di Moro, verso le 12:30 [[Valerio Morucci]] riuscì a effettuare la telefonata finale con il professor [[Francesco Tritto]], uno degli assistenti di Moro, qualificandosi inizialmente come il «dottor Nicolai». Con tono freddo chiese a Tritto, «adempiendo alle ultime volontà del presidente», di comunicare subito alla famiglia che il corpo di Aldo Moro si trovava nel bagagliaio di una Renault 4 rossa, «i primi numeri di targa sono N5...», in via Caetani.<ref>[[Giovanni Bianconi (giornalista)|Giovanni Bianconi]], ''Eseguendo la sentenza'', Torino, Einaudi, 2008, pag 390-394.</ref>
 
Alcune testimonianze hanno affermato che la macchina era stata portata in via Caetani nelle prime ore del mattino, tra le 7:00 e le 8:00, e abbandonata fino a quando gli assassini ritennero opportuno avvertire. Altre testimonianze, invece, affermarono di aver visto la Renault parcheggiata soltanto intorno alle 12:30 e non prima.<ref>L'attrice [[Piera Degli Esposti|Piera degli Esposti]], presente in Via Caetani quel giorno, testimoniò di aver passato varie ore appoggiata alla Renault parcheggiata in strada. Vedi {{Cita web|url=https://www.corriere.it/spettacoli/21_agosto_14/piera-esposti-renault-rossa-via-caetani-l-amore-cinema-teatro-cazzullo-5c0cf032-fd0c-11eb-a8d6-950ed3168b02.shtml|titolo=L’amore per Robert Mitchum e il giorno in cui si trovò accanto alla Renault 4 col cadavere di Moro|autore=Aldo Cazzullo|sito=Corriere della Sera|data=2021-08-14|lingua=it-IT|accesso=2022-10-21}}</ref> È da notare che il buco di alcune ore tra l'abbandono dell'auto secondo la ricostruzione dei brigatisti e le prime telefonate di rivendicazione sarebbe giustificato dalla circostanza che nessuno dei tentativi di contatto telefonico fatti da Moretti con conoscenti e amici di Moro per annunciare dove fosse possibile ritrovare il cadavere era andato a buon fine prima della telefonata al professor Tritto.<ref name="delitto75" />
I componenti del commando di via Fani indossavano divise da aviazione civile, mentre logica vorrebbe che usassero vestiti in grado di farli passare inosservati, sia prima dell'operazione, sia durante la fuga. Partendo dai dubbi sull'apparente professionallità mostrata nel colpire la scorta senza ferire Moro, alcuni hanno ipotizzato che nel commando vi fosse un tiratore scelto armato di mitra a canna corta, che sarebbe colui il quale ha sparato la maggior parte dei colpi, la cui identità sarebbe ancora sconosciuta. Relativamente a questo ipotetico "killer" alcuni<ref name=comedonchisciotte>[http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=4374 Moro fu davvero rapito dalle Brigate Rosse ?], articolo del sito comedonchisciotte.org, contenente un sunto dei dubbi sul rapimento Moro e relative fonti per approfondimenti.</ref>ipotizzano potresse essere stato un componente di sevizio segreto (italiano o straniero) o dell'organizzazione clandestina [[Gladio]] estraneo all'organizzazione brigatista e che le divise sarebbero quindi state necessarie per rendere riconoscibili a prima vista e reciprocamente i brigatisti ed il tiratore scelto.
 
La telefonata a Tritto venne intercettata e quindi furono le forze dell'ordine ad arrivare per prime in via Caetani. Qualche minuto prima delle 14:00, i segretari di tutti i partiti politici sapevano che il cadavere ritrovato nella Renault 4 rossa targata Roma N57686 era proprio quello di Aldo Moro. La morte risaliva, secondo i risultati autoptici, tra le 9:00 e le 10:00 della mattina stessa,<ref name="delitto75">[[Carlo Alfredo Moro]], ''Storia di un delitto annunciato'', Editori Riuniti, pag 75 e seguenti.</ref> orario però incompatibile con la ricostruzione data dai brigatisti (per cui l'esecuzione sarebbe avvenuta tra le 7:00 e le 8:00).
Il 01 ottobre 1993 su incarico della Corte i periti balistici depositano una nuova perizia dove si afferma che, contrariamente a quanto dichiarato da Morucci, a sparare sulla 130 c'è stato almeno un altro brigatista collocato sul lato destro dell'auto dalla parte del passeggero<ref>1 ottobre - Processo Moro quater: e' consegnata la perizia balistica e medico-legale firmata dai medici legali Silvio Merli ed Enrico Ronchetti e dal perito balistico professor Antonio Ugolini. La perizia, depositata agli atti del Processo "Moro -Quater", sostiene che: "... In via Fani, la mattina del 16 Marzo [1978], spararono almeno sette armi. I colpi furono sparati da ambo i lati di via Fani e non solo da sinistra, come ha invece sostenuto in un memoriale l'imputato Valerio Morucci". L' indagine peritale, oltre a concludere che "... Assieme a quattro mitra e a due pistole semiautmatiche sparò in via Fani almeno un' altra arma. Uno dei brigatisti rossi aveva preso posto sul marciapiede alla destra dell' automobile "Fiat 130" su cui si trovava Aldo Moro. In particolare, i periti rilevano che: "...Il capo della scorta, maresciallo Oreste Leonardi, fu colpito da proiettili sparati da destra ed almeno due colpi di arma del calibro 7,65, contrariamente a quanto afferma l'imputato Morucci, furono sparati contro l' automobile su cui si trovava lo statista democristiano". Nell' ultima risposta data ai quesiti della corte si sottolinea, poi, che "...Ai periti balistici non sono stati forniti, per la conduzione di questo esame tecnico, tutti i bossoli raccolti in via Fani o estratti dai corpi degli uomini della scorta". "Tutto cio' impedisce", si rileva nelle conclusioni tecniche, "di stabilire - in maniera definitiva - effettivamente quante armi e di che tipo furono usate nella circostanza". </ref>.
 
[[File:Aldo moro rit.jpg|thumb|right|Ritrovamento del corpo di Moro in via Caetani]]
Il giorno del rapimento si trovò a passare in via Fani in motorino l'ingegnere Alessandro Marini, che ha dichiarato che due persone a bordo di una motocicletta [[Honda]] di grossa cilindrata esplosero dei colpi contro di lui. La motocicletta avrebbe preceduto l'auto di Moretti. Ma le Brigate Rosse hanno sempre negato che quella moto e i suoi due occupanti facessero parte del commando.<ref name=Lastoria/>
[[File:Mappa zona cadavere Moro.png|thumb|left|upright=1.2|Mappa della zona in cui fu rinvenuto: pallino viola cadavere di Moro, rosso sede PCI, azzurro sede DC]]
Il corpo di Moro, quando fu estratto dagli artificieri, era ripiegato e irrigidito. Indossava lo stesso abito scuro del giorno del rapimento con la camicia bianca a righine, e la cravatta ben annodata; era macchiato di sangue (ma le ferite erano approssimativamente state tamponate con dei fazzolettini),<ref>[[Carlo Alfredo Moro]], ''Storia di un delitto annunciato'', Roma, Editori Riuniti, 1998, pag 73.</ref> e sia nei risvolti dei pantaloni sia nei calzini fu trovata una certa quantità di sabbia e terriccio e alcuni resti vegetali (i brigatisti sosterranno poi durante i processi di aver appositamente sporcato le scarpe e i pantaloni di sabbia per depistare eventuali indagini sulla localizzazione del covo in cui Moro era tenuto prigioniero).<ref name="BianconiCdS">{{Cita news|autore=Giovanni Bianconi|url=http://www.corriere.it/cronache/08_marzo_10/moro_bianconi_risponde_lettori_a2e52312-eed4-11dc-bfb4-0003ba99c667.shtml|titolo=Caso Moro, le risposte a tutte le domande dei lettori|pubblicazione=Corriere.it|data=10 marzo 2008|accesso=15 marzo 2008}}</ref> Il cadavere presentava un'altra ferita, su una coscia, una piaga purulenta mai curata; è probabile che fosse una ferita d'arma da fuoco ricevuta il giorno dell'agguato di via Fani.<ref>[[Miriam Mafai]], ''Hanno ucciso Aldo Moro'', ''la Repubblica'', 10 maggio 1978.</ref> Sotto il corpo e sul tappeto dell'auto c'erano bossoli di cartucce. In un angolo del bagagliaio, dalla parte dov'era sistemata la ruota di scorta sulla quale poggiava la testa di Moro, c'erano le catene da neve e qualche ciuffo di capelli grigi. Ai piedi del cadavere c'era una busta di plastica con un bracciale e l'orologio.
 
Basandosi sia sulla sabbia e sui resti vegetali trovati sul cadavere e sull'auto, sia sulle incongruenze sui tempi tra quanto dichiarato dai brigatisti e quanto rilevato dall'autopsia, il fratello di Moro, [[Carlo Alfredo Moro|Carlo Alfredo]], magistrato, in un suo libro<ref>[[Carlo Alfredo Moro]], ''Storia di un delitto annunciato'', Roma, Editori Riuniti, 1998.</ref> ha proposto la teoria secondo la quale l'ultima prigione dell'ostaggio non sarebbe stata quella di via Montalcini, ma sarebbe stata situata nei pressi di una località marina. Inoltre, secondo Carlo Alfredo Moro e altri, le conclusioni dell'autopsia sul corpo, che fu trovato in buone condizioni fisiche, soprattutto in merito al tono muscolare generale, lascerebbero supporre che durante la detenzione Moro abbia avuto una certa libertà di movimento e la possibilità di scrivere la numerosissima mole di documenti prodotti durante la prigionia in una situazione relativamente agevole (sedia e tavolo), condizione ben lontana da quella che si sarebbe avuta nei pochi metri quadrati concessogli nel covo di via Montalcini. Questi risultati dell'esame autoptico, uniti ad alcune contraddizioni nelle confessioni tardive dei brigatisti, lasciano comunque molti dubbi sul luogo o sui luoghi in cui fu detenuto in prigionia Aldo Moro e sulle dimensioni anguste della presunta cella nella «prigione del popolo».<ref>[[Carlo Alfredo Moro]], ''Storia di un delitto annunciato'', Roma, Editori Riuniti, 1998, capitolo III.</ref>
Le perizie <ref name=comedonchisciotte />hanno appurato che in via Fani vennero usate anche munizioni di provenienza speciale (ricoperte di una vernice protettiva usata per avere una migliore conservazione), e simili pallottole furono trovate anche nel covo di via Gradoli. Questo tipo di proiettili non sarebbe in dotazione alle forze convenzionali e munizioni con trattamento simile sarebbero state trovate anche ina lcuni depositi segreti di armi facenti riferimento a Gladio.
 
Mentre la notizia si diffondeva si accalcò una piccola folla, tenuta a debita distanza dalla polizia. Accorsero sul luogo anche esponenti politici come il senatore del PCI [[Ugo Pecchioli]] e [[Francesco Cossiga]], che poche ore dopo rassegnò le proprie dimissioni da ministro dell'interno.
Esistevano almeno tre possibili percorsi che, la mattina del rapimento, la scorta avrebbe potuto seguire. Gli itinerari erano cambiati di volta in volta, eppure i brigatisti tagliarono tutte le gomme del furgone d'un fioraio che aveva bottega in Via Fani, per non farlo giungere in loco (sarebbe stato un testimone scomodo e avrebbe potuto essere di intralcio nell'operazione): significa che i brigatisti erano certi che la scorta avesse optato per quel preciso percorso.
{{Citazione|Pecchioli non lasciava trasparire emozione o nervosismo. Cossiga, invece, coinvolto anche dal punto di vista affettivo e psicologico per la sua antica e fraterna amicizia con Moro, era in preda a una forte emozione: appoggiò la testa al muro dell'adiacente [[Palazzo Mattei di Giove|palazzo Antici Mattei]] ed esplose in un pianto sommesso e prolungato.|Giovanni Fasanella, Mario Mori, ''Ad alto rischio'', Mondadori, 2011}}
 
[[File:13 maggio 1978 messa funebre aldo moro riconosce Ingrao Leone Fanfani Andreotti Rognoni.jpg|thumb|Commemorazione funebre per Moro. In prima fila da sinistra: il Presidente della Camera [[Pietro Ingrao|Ingrao]], il Presidente della Repubblica [[Giovanni Leone|Leone]], il Presidente del Senato [[Amintore Fanfani|Fanfani]], il Presidente del Consiglio [[Giulio Andreotti|Andreotti]]]]
Altro dubbio è sul momento scelto per la il rapimento: Moro si recava ogni mattina in chiesa col nipotino, e - sùbito dopo - ad una passeggiata con uno solo dei suoi uomini di scorta. I brigatisti avrebbe potuto rapirlo in quel frangente, non dovendo confrontarsi con la scorta (Moretti dichiarò in tribunale che già dal [[1976]] iniziò il pedinamento di Moro, quindi, le sue abitudini erano più che note al commanda brigatista).
 
La famiglia Moro rifiutò ogni celebrazione ufficiale, diffondendo la seguente nota: «La famiglia desidera che sia pienamente rispettata dalle autorità dello Stato e di partito la precisa volontà di Aldo Moro. Ciò vuol dire: nessuna manifestazione pubblica o cerimonia o discorso; nessun lutto nazionale, né funerali di Stato o medaglie alla memoria. La famiglia si chiude nel silenzio e chiede silenzio. Sulla vita e sulla morte di Aldo Moro giudicherà la storia.»<ref name="piombo" />
Ad agevolare la fuga del commando un improvviso black-out interrompe le comunicazioni telefoniche della zona<ref>ANSA del 19 Aprile 2008 (http://www.ansa.it/opencms/export/site/notizie/rubriche/inlavorazione/visualizza_new.html_48488334.html)</ref>. La [[Telecom Italia|SIP]] per tutto il periodo del sequestro risulterà inefficente: "Si susseguono durante i 55 giorni di prigionia dell’On. Moro, strane quanto improbabili coincidenze legate all’azienda dei telefoni: il 14 aprile alla redazione de Il Messaggero, è attesa una telefonata dei rapitori; vengono così raccordate in un locale della polizia, per poter stabilire la derivazione, le sei linee della redazione del giornale. Ma al momento della chiamata la Digos accerta l’interruzione di tutte e sei le linee di derivazione e non può risalire al telefonista... L’allora capo della Digos parla, nelle sue dichiarazioni agli inquirenti, di totale non collaborazione della Sip. ...In nessuna occasione fu individuata l’origine delle chiamate dei rapitori: eppure furono fatte due segnalazioni….L’allora direttore generale della Sip era iscritto alla P2, Michele Principe<ref>L. Cipriani, "L’Affare Moro", http://www.ilblack.html. Moro, /ilblack.html.
</ref>."
 
Il successivo 13 maggio si tenne una solenne commemorazione funebre nella [[basilica di San Giovanni in Laterano]], a cui parteciparono le principali personalità politiche italiane e che venne trasmessa in televisione. Il rito fu celebrato dal [[vicario generale per la diocesi di Roma|cardinale vicario]] [[Ugo Poletti]] ed, eccezionalmente,<ref>Non è infatti prassi che il pontefice partecipi a una messa esequiale fuori dal [[Città del Vaticano|Vaticano]].</ref> vi presenziò anche [[papa Paolo VI]], che pronunciò un'[[Omelia funebre per Aldo Moro|accorata omelia]] per l'amico assassinato.<ref>{{Cita web|url=https://www.treccani.it/enciclopedia/9-maggio-1978-lo-schiaffo-a-paolo-vi-storia-e-fallimento-della-mediazione-vaticana-per-la-liberazione-di-aldo-moro_%28Cristiani-d%27Italia%29/|titolo=9 maggio 1978: lo schiaffo a Paolo VI. Storia e fallimento della mediazione vaticana per la liberazione di Aldo Moro|autore=[[Miguel Gotor]]|accesso=2021-11-09|sito=Treccani.it}}</ref> La cerimonia tuttavia si svolse senza il feretro di Moro per esplicito volere della famiglia, che non vi partecipò, ritenendo che lo Stato italiano poco o nulla avesse fatto per salvare la vita dello statista, rifiutando i funerali di Stato e svolgendo le esequie in forma privata presso la chiesa di san Tommaso di [[Torrita Tiberina]] (RM), comune ove Moro aveva amato soggiornare e nel cui cimitero fu sepolto.
In pochi secondi i brigatisti prelevano solo due delle cinque borse che Moro portava con sè in auto, ma solo le borse contenenti i medicinali ed i documenti riservati vennero asportate. Non che sia impossibile, ma risulta quanto meno assai improbabile che - nei pochi concitati istanti dell'agguato, i brigatisti asportino proprio le uniche borse indispensabili, lasciando quelle non essenziali.
 
== I processi e le condanne ==
In un agguato con stretti tempi d'esecuzione, risulta inspiegabile che si perda tempo a dare il colpo di grazia a ciascun uomo della scorta, salvo esigenze dettate dal pericolo di lasciare in vita eventuali scomodi testimoni.
[[File:Br_processo.jpg|miniatura|Detenuti brigatisti nelle gabbie a Roma durante il processo per il sequestro Moro (1982). Si riconoscono da sinistra: [[Cristoforo Piancone]], [[Rocco Micaletto]] (di spalle), [[Mario Moretti]], [[Lauro Azzolini]] e [[Prospero Gallinari]] (con gli occhiali).]]
A distanza di pochi giorni dall'epilogo della tragedia si ebbero i primi arresti di brigatisti coinvolti nell'agguato di via Fani e all'uccisione di Moro. Furono arrestati [[Enrico Triaca]], un tipografo che s'era messo a disposizione di Mario Moretti, poi Valerio Morucci e Adriana Faranda.<ref name="piombo" />
 
Il 24 gennaio 1983 la [[Corte d'assise (Italia)|Corte d'assise]] di Roma, presieduta dal giudice [[Severino Santiapichi]],<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/05/12/santiapichi-nei-processi-fu-esaminato-ogni-dettaglio.html|titolo=Santiapichi: nei processi fu esaminato ogni dettaglio - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|lingua=it|accesso=2023-01-07}}</ref> al termine di un processo durato nove mesi che riuniva le [[Istruttoria|istruttorie]] ''Moro-uno'' e ''Moro-bis'' portate a termine dai giudici istruttori [[Ferdinando Imposimato]] e [[Rosario Priore]]<ref>,{{Cita web|url=https://www.parlamento.it/parlam/bicam/terror/stenografici/steno58.htm|titolo=Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi|sito=www.parlamento.it|accesso=2022-12-10}}</ref>, inflisse 32 ergastoli e 316 anni di carcere a 63 imputati; furono decise anche quattro assoluzioni e tre amnistie. Furono applicate le norme di legge che concedevano un trattamento di favore ai collaboratori di giustizia e furono riconosciute alcune attenuanti ai dissociati. Il 14 marzo 1985, nel processo d'[[Appello (ordinamento penale italiano)|appello]], i giudici diedero maggior valore alla dissociazione (scelta fatta da Adriana Faranda e Valerio Morucci) cancellando 10 ergastoli e riducendo la pena ad alcuni imputati. Pochi mesi dopo, il 14 novembre, la [[Corte suprema di cassazione|Cassazione]] confermò sostanzialmente il giudizio d'appello.<ref name="repubblica" />
=== Altri sospetti e aspetti controversi ===
 
Negli anni successivi furono celebrati tre nuovi processi (''Moro-ter'', ''Moro-quater'' e ''Moro-quinquies'') che condannarono altri brigatisti per il loro coinvolgimento in azioni eversive svolte a Roma fino al 1982 e in alcuni risvolti del caso Moro.<ref>{{Cita news|url=http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Italia/2008/03/Caso-Moro-quattro-processi.shtml?uuid=7c384926-f1de-11dc-b9e6-00000e25108c|titolo=Quattro processi per la verità giudiziaria|pubblicazione=[[Il Sole 24 Ore]]|data=marzo 2008|accesso=20 novembre 2015}}</ref>
Le stranezze iniziano dai mai stabiliti rapporti tra Brigate Rosse, Servizi Segreti e Malavita, il "[[Triangolo delle Bermude]]", come lo definì [[Carlo Lucarelli]], conduttore della trasmissione televisiva [[Blu notte]] nella puntata specifica dedicata al Caso Moro.
 
Nei confronti dei quindici brigatisti coinvolti direttamente nella vicenda furono emessi i seguenti giudizi:
La [[Banda della Magliana]] in quel periodo dettava legge nella malavita della [[Capitale (città)|Capitale]]. A quest'organizzazione criminale apparteneva [[Antonio Chichiarelli]], l'autore del falso volantino brigatista. Inoltre, il covo brigatista ove Moro venne tenuto sotto sequestro si trovava nel famigerato quartiere della [[Magliana]] ed anche il proprietario dell'edificio di fronte al covo era vicino alla banda della Magliana.<ref>[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/03/16/le-br-fantasma-paradosso-del-caso-moro.html Le Br fantasma paradosso del Caso Moro], articolo de "La Repubblica", del 16 marzo 2008</ref>
* [[Rita Algranati]]: ultima a essere catturata fra i terroristi coinvolti nel caso Moro, a [[Il Cairo]] nel 2004, sta scontando l'ergastolo. Fu la «staffetta» del commando brigatista in via Fani.
* [[Barbara Balzerani]]: catturata nel 1985 e condannata all'ergastolo, ha ottenuto la libertà vigilata nel 2006. In via Fani presidiava l'incrocio con via Stresa armata di una [[Vz 61 Skorpion|CZ Scorpion]], arma che il 9 maggio ucciderà Aldo Moro. Durante il sequestro occupava la base di via Gradoli 96 nella quale conviveva con [[Mario Moretti]].
* [[Franco Bonisoli]]: catturato nella base di via Monte Nevoso 8 a [[Milano]] il 1º ottobre 1978, è stato condannato all'ergastolo ma in seguito ha ottenuto in semilibertà. In via Fani sparò sulla scorta di Moro e alla conclusione del sequestro portò nel covo di [[Milano]] il memoriale e le lettere dello statista, ritrovate in una prima tranche contemporaneamente al suo arresto e in una seconda tranche l'8 ottobre 1990.
* [[Anna Laura Braghetti]]: arrestata nel 1980, condannata all'ergastolo, ha ottenuto la libertà condizionale dal 2002. Durante il sequestro non era ancora in clandestinità: era l'intestataria e l'inquilina «ufficiale», insieme con [[Germano Maccari]], dell'appartamento di via Montalcini 8 a [[Roma]], tuttora l'unica prigione accertata di Moro.
* [[Alessio Casimirri]]: fuggito in [[Nicaragua]], dove gestisce un ristorante, è l'unico a non essere mai stato arrestato né per il caso Moro né per altri reati. In via Fani presidiava con [[Alvaro Lojacono]] la parte alta della strada.
* [[Raimondo Etro]]: catturato nel 1996, è stato condannato a 24 anni e 6 mesi, poi ridotti a 20 anni e 6 mesi, terminando anticipatamente la sua pena nel 2010. Non era presente in via Fani, ma fu il custode delle armi usate nella strage.
* [[Adriana Faranda]]: arrestata nel 1979, è tornata in libertà nel 1994 dopo essersi dissociata dalla lotta armata. Non è stata accertata in sede giudiziaria la sua presenza in via Fani. Fu, assieme a [[Valerio Morucci]], la «postina» del sequestro Moro.
* [[Raffaele Fiore]]: catturato nel 1979 e condannato all'ergastolo, ha ottenuto la libertà condizionata nel 1997. In via Fani sparò sulla scorta di Moro, anche se il suo mitra si inceppò quasi subito.
* [[Prospero Gallinari]]: all'epoca del caso Moro già [[latitante]] per il sequestro del giudice [[Mario Sossi]], è stato catturato nel 1979. Dal 1994 al 2007 ha ottenuto la sospensione della pena per motivi di salute, ottenendo gli arresti domiciliari. È deceduto il 14 gennaio 2013. In via Fani sparò sulla scorta di Moro e durante il sequestro era rifugiato nel covo brigatista di via Montalcini 8, unica prigione di Moro accertata in sede giudiziaria.
* [[Maurizio Iannelli]]: catturato nel 1980 e condannato a due ergastoli, ha ottenuto la libertà vigilata nel 2003. In seguito ha collaborato come regista a vari programmi della [[Rai]] (''[[Amore criminale]]'', ''[[Sopravvissute]]'').
* [[Alvaro Lojacono]]: coinvolto anche negli omicidi di [[Miki Mantakas]] e [[Girolamo Tartaglione]], nel 1980 espatriò in [[Svizzera]] (Paese d'origine della madre), ove nel 1986 ottenne la [[Cittadinanza svizzera|cittadinanza]]. Poiché il diritto svizzero non prevede l'estradizione per i suoi cittadini, non è mai stato estradato in Italia, anche se ha scontato 11 anni di carcere svizzero (per il solo omicidio di Tartaglione). In via Fani presidiava con [[Alessio Casimirri]] la parte alta della strada e con lui era sull'auto che bloccò da dietro la colonna di auto con a bordo Moro e la sua scorta, subito prima della strage.
* [[Germano Maccari]]: arrestato solo nel 1993, rimesso in libertà per decorrenza dei termini e poi riarrestato dopo aver ammesso il suo coinvolgimento nel sequestro, viene condannato a 30 anni, poi ridotti a 26, nell'ultimo processo celebrato sul caso Moro. È morto per aneurisma cerebrale nel carcere di Rebibbia il 25 agosto 2001. Insieme con [[Anna Laura Braghetti]] era l'inquilino «ufficiale» dell'appartamento di via Montalcini 8, unica prigione di Moro finora accertata, sotto il falso nome di «ingegner Luigi Altobelli».
* [[Mario Moretti]]: catturato nel 1981 e condannato a sei ergastoli. Nel 1994 ha ottenuto la semilibertà e in seguito ha lavorato in una cooperativa di [[informatica]] che ha offerto anche consulenza all'amministrazione regionale della [[Lombardia]].<ref>{{Cita news|autore=Luca Fazzo|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/06/12/un-brigatista-alla-scala.html|titolo=Un brigatista alla Scala|pubblicazione=La Repubblica|data=12 giugno 1994}}</ref> Rappresentante del Comitato Esecutivo delle Brigate Rosse presso la colonna romana, oltre a dirigere l'intera operazione e a effettuare sopralluoghi poco prima dell'agguato, in via Fani era alla guida della Fiat 128 targata "corpo diplomatico" che bloccò il corteo delle auto di Moro e della scorta avviando l'imboscata. Nonostante alcune testimonianze oculari, non è stato accertato in sede giudiziaria che abbia sparato. Durante il sequestro occupava con [[Barbara Balzerani]] la base di via Gradoli 96 e si recava a interrogare Moro nel luogo della sua detenzione e periodicamente a Firenze e Rapallo per riunioni con il Comitato esecutivo delle BR. Tempo dopo il processo confessò anche di essere stato l'unico esecutore materiale dell'omicidio di Moro scagionando così, dal punto di vista morale e non giudiziario, Prospero Gallinari che ne era precedentemente stato accusato e condannato.
* [[Valerio Morucci]]: arrestato nel 1979, venne condannato a 30 anni dopo essersi dissociato dalla lotta armata. Rilasciato nel 1994, in seguito si è occupato di informatica, come Moretti. In via Fani sparò sulla scorta di Moro e durante il sequestro fu il "postino" delle Brigate Rosse assieme alla sua compagna [[Adriana Faranda]], oltre a effettuare quasi tutte le telefonate legate al sequestro, compresa l'ultima in cui comunicò a Franco Tritto l'ubicazione del corpo di Moro.
* [[Bruno Seghetti]]: catturato nel 1980 e condannato all'ergastolo, è stato ammesso al lavoro esterno nell'aprile del 1995 per poi ottenere la semilibertà nel 1999, revocatagli nel 2001 in seguito ad alcune irregolarità, per cui è tornato detenuto. Ha lavorato anche per la cooperativa ''32 dicembre'' di Prospero Gallinari. In via Fani era alla guida dell'auto con la quale Moro venne portato via dopo l'agguato.
 
Nel 2018, cioè dopo 35 anni dal primo processo, i brigatisti che stavano ancora scontando la pena erano la Algranati che scontava l'ergastolo con i benefici esterni e Moretti che era in stato di semilibertà con rientro obbligatorio in carcere, mentre la Balzerani beneficiava della libertà condizionale.<ref>{{Cita web|url=https://www.penitenziaria.it/carceri/aldo-moro-dove-sono-oggi-i-brigatisti-che-parteciparono-al-sequestro-666.asp|titolo=Aldo Moro: dove sono oggi i brigatisti che parteciparono al sequestro?|sito=www.penitenziaria.it|data=2018-05-10|accesso=2025-01-26}}</ref>.
Aspetti che non tornano pure sul luogo di detenzione: il cadavere di Moro presentava una buona tonicità muscolare ed un'igiene incompatibili con le condizioni di detenzione nel "Carcere del Popolo" descritto dai brigatisti catturati. In esso, poi, era virtualmente assente lo spazio per poter scrivere le missive.
 
== Le conseguenze politiche ==
I giornalisti [[Giovanni Fasanella]] e [[Giuseppe Rocca]] nel loro libro "Il misterioso intermediario" sostengono che Moro era vicino alla liberazione, salvato da una mediazione della [[Città del Vaticano|Santa Sede]]. Condotto in un palazzo del ghetto ebraico, stava per essere trasportato in [[Città del Vaticano|Vaticano]] su un'auto con targa diplomatica, ma all'ultimo momento qualcuno all'interno delle BR non avrebbe mantenuto gli impegni, ed avrebbe ucciso lo statista. Dà spazio a congetture l'ambiguo commento di [[Francesco Cossiga]] che definì il libro "bellissimo".
[[File:Moro francobollo.jpg|thumb|sinistra|Francobollo commemorativo emesso nel 25º anniversario della morte di Moro]]
[[File:Sandro Pertini30.jpg|thumb|destra|[[Sandro Pertini]] rende omaggio alla tomba di Aldo Moro (1982)]]
Il caso Moro segnò profondamente la storia del [[secondo dopoguerra in Italia]]; infatti con il suo assassinio si chiuse definitivamente la stagione del [[compromesso storico]] e, con esso, la formula dei governi di solidarietà nazionale. Lo Stato sconfisse le BR senza ricorrere a leggi di emergenza e senza mediazioni politiche, ma istituendo la [[Collaboratore di giustizia#La legge 15/1980|legge sui pentiti e i dissociati]]. Dal punto di vista giudiziario, furono istruiti regolari processi, con la presenza di avvocati in difesa dei brigatisti e la previsione dei gradi di appello. I brigatisti rifiutarono la difesa e il processo, proclamandosi [[Prigioniero politico|prigionieri politici]] e invocando il [[diritto di asilo]]. [[Mario Moretti]] constatò che gran parte delle loro aspettative non ebbe successo, aggiungendo che quell'esperienza si era esaurita ed era irripetibile.<ref name="repubblica" /><ref name="piombo" />
 
Il progetto di alleanza con il PCI non era ben visto dai ''partner'' internazionali dell'Italia. Negli anni precedenti la sua uccisione, Moro (che aveva ricoperto più volte la carica di [[Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana|Presidente del Consiglio]], l'ultima dal novembre 1974 al luglio 1976) aveva cercato di fornire rassicurazioni a Stati Uniti, Regno Unito, Francia e [[Germania Ovest]] sulla fedeltà dell'Italia all'[[NATO|Alleanza Atlantica]] anche in seguito a un eventuale ingresso del PCI al governo; ciononostante, il 27 giugno 1976 i capi di Stato riuniti a [[Portorico]] per il summit del [[G7]] gli prospettarono la probabile perdita di aiuti internazionali se il PCI fosse entrato nel governo.<ref>{{Cita news|autore=Maurizio Stefanini|url=http://www.loccidentale.it/articolo/grandi+coalizioni.+gli+anni+della+solidariet%C3%A0+nazionale|titolo=Grandi coalizioni. Gli anni della solidarietà nazionale|pubblicazione=l'Occidentale|data=6 aprile 2008|accesso=28 agosto 2008|urlmorto=sì|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20090122123642/http://www.loccidentale.it/articolo/grandi+coalizioni.+gli+anni+della+solidariet%C3%A0+nazionale|dataarchivio=22 gennaio 2009}}</ref> Proprio nel 1976 gli alleati della NATO temevano il sorpasso del PCI sulla DC alle [[elezioni politiche in Italia del 1976|elezioni politiche]]: alla fine la DC raccolse il 38,71% dei voti mentre il [[Partito Comunista Italiano|PCI]] si fermò al 34,37%, ma i due partiti non erano mai stati così vicini prima di allora.
*Altri scenari, addirittura esoterici, sono evocati nel libro di [[Giovanni Fasanella]] e [[Giuseppe Rocca]] ''Il misterioso intermediario'' che chiama in causa il direttore d'orchestra [[Igor Markevic]] come oscura figura di raccordo sul caso Moro.
 
Il 16 marzo 1978, alla luce della notizia del rapimento e del clima di emergenza, il [[governo Andreotti IV]] incassò un'ampia e rapida fiducia: votarono contro soltanto [[Partito Liberale Italiano|PLI]], [[Movimento Sociale Italiano - Destra Nazionale|MSI]], [[Democrazia Proletaria]] e i [[Partito Radicale (Italia)|radicali]]. L'esecutivo fu un monocolore DC che si resse grazie all'appoggio esterno dei comunisti (nell'[[governo Andreotti III|esecutivo precedente]] si erano invece astenuti, formando il cosiddetto «governo della non sfiducia»).
*Molte di queste teorie si basano sull'ipotesi che il lavoro duro che Moro aveva prodotto per ammettere i membri del [[Partito Comunista Italiano]] in un governo di coalizione, stava profondamente disturbando quegli interessi (la c.d. ''Pax Americana''); questo, secondo alcuni osservatori, avrebbe considerato che quanto accaduto a Moro poteva risultare vantaggioso per gli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]]. Questa posizione era stata espressa per la prima volta nello studio ''Chi ha ucciso Aldo Moro?'' (1978), diretto da [[Webster Tarpley]] e commissionato dal parlamentare della DC On. [[Giuseppe Zamberletti]].
 
È probabile che Moro sarebbe stato il candidato DC alla presidenza della Repubblica per l'imminente [[elezione del Presidente della Repubblica Italiana del 1978|elezione presidenziale]], prevista per il dicembre 1978; sembra chiaro che, dal Quirinale, avrebbe continuato a favorire l'alleanza DC-PCI.<ref name="spettacolo">Guy Debord, Prefazione alla quarta edizione italiana de ''La società dello spettacolo'' (Firenze, Vallecchi, 1979), (Parigi, Editions Champ Libre, 1979).</ref> Eliminato Moro, le BR continuarono a demolire la corrente [[morotei|morotea]] all'interno della DC, colpendo o intimorendo in diverse città italiane i suoi dirigenti locali.<ref name="Cereghino">{{Cita libro|autore=Mario José Cereghino|autore2=Giovanni Fasanella|titolo=Il golpe inglese. Da Matteotti a Moro: le prove della guerra segreta per il controllo del petrolio e dell'Italia|città=Milano|editore=Chiarelettere|anno=2011}}</ref> I vertici istituzionali del partito furono fatti segno di una campagna di stampa accusatoria; di lì a poco il Presidente della Repubblica [[Giovanni Leone]] fu costretto a dimettersi sei mesi prima della scadenza del suo mandato: gli successe un socialista, [[Sandro Pertini]].<ref name="repubblica" /> Perso il Quirinale, di lì a pochi anni la Democrazia Cristiana avrebbe perso anche la presidenza del Consiglio.
*La moglie di Moro in seguito, durante una sua deposizione, disse che, prima del misfatto, "Una figura politica statunitense di alto livello" disse ad Aldo Moro "O lasci perdere la tua linea politica o la pagherai cara". Il cambiamento era inteso come un abbandono di ogni ipotesi di accordi con i comunisti. Alcuni ritengono che quella figura fosse [[Henry Kissinger]], che già aveva parlato in termini inquietanti al Ministro degli Esteri Moro in un incontro a tu per tu nel 1974. Interpellato in merito, Kissinger ha smentito l'accaduto, a cominciare dalla data dell'ultimo "diktat" a latere di un meeting internazionale il 23 marzo 1976<ref>"Il sole 24 Ore" del 15 marzo 2008</ref>.
 
Infatti Pertini conferì l'incarico a esponenti DC fino al 1981: in questi tre anni ottennero il mandato [[Giulio Andreotti|Andreotti]], [[Francesco Cossiga|Cossiga]] e [[Arnaldo Forlani|Forlani]]. Il [[governo Andreotti IV]] era nato con la formula della «[[solidarietà nazionale]]», ma già un anno dopo la sua funzione fu considerata esaurita: dopo le dimissioni del successivo e breve [[governo Andreotti V]], Pertini sciolse le camere e si andò ad elezioni anticipate. Alla [[elezioni politiche in Italia del 1979|consultazione elettorale del 1979]] la DC rimase stabile, mentre il PCI subì un brusco arretramento,<ref name="spettacolo" /> come era avvenuto alle [[elezioni amministrative in Italia del 1978|elezioni amministrative del 1978]], tenutesi pochi giorni dopo l'uccisione di Moro:<ref name="piombo" /> questo esito segnò la fine dei governi di solidarietà nazionale e della possibilità di un'entrata dei comunisti nell'esecutivo.<ref>{{Cita libro|autore=Indro Montanelli|autore2=Mario Cervi|titolo=L'Italia degli anni di fango|città=Milano|editore=Rizzoli|anno=1993|isbn=9788817427296}}</ref>
*Si disse anche che Moro tenesse i contatti tra [[Enrico Berlinguer]], segretario del [[Partito Comunista Italiano|PCI]] e [[Giorgio Almirante]], segretario del [[Movimento Sociale Italiano|MSI]], rispettivamente i principali partiti di sinistra e di destra, con lo scopo - secondo questa ipotesi - di "raffreddare la tensione delle rispettive frange estremiste" ([[Brigate Rosse]] e [[Nuclei Armati Rivoluzionari]]), l'esatto opposto di quanto volevano gli [[Strategia della tensione|strateghi della tensione]]. Di certo, tra Berlinguer ed Almirante ci furono contatti personali e stima (come dimostrato dalla presenza di Almirante ai funerali di Berlinguer nel [[1984]], presenza ricambiata da [[Alessandro Natta]] ai funerali di Almirante nel [[1988]]).
 
Nel 1980 la DC si riunì a congresso: furono le prime assise dopo la morte di Moro. Prevalse una linea anti-comunista: [[Flaminio Piccoli]] divenne nuovo segretario sconfiggendo il candidato moroteo [[Benigno Zaccagnini]]. {{Senza fonte|Accadde proprio ciò che Moro aveva previsto nelle sue lettere dal carcere}}: con lui fuori gioco, fu interrotto il rapporto con [[Enrico Berlinguer]]. Nessuno dei ''leader'' DC che guidarono il partito dopo la sua morte volle raccoglierne l'eredità nel suo rapporto con i ''leader'' comunisti.<ref name="Cereghino"/>
== Le conseguenze politiche==
[[Immagine:Moro francobollo.jpg|thumb|150px|Francobollo commemorativo emesso nel venticinquennale della morte]]
L"''affaire''" Moro segnò profondamente la storia italiana del dopoguerra, e alcuni politologi si spingono ad affermare che la cosiddetta ''Prima Repubblica'' sia morta il [[9 maggio]] di quel tragico [[1978]], e non qualche anno più tardi con [[Tangentopoli]].
 
Nel 1981 [[Giovanni Spadolini]] ([[Partito Repubblicano Italiano|PRI]]) ricevette da Pertini l'incarico di formare un [[governo Spadolini I|nuovo esecutivo]] e ottenne la fiducia del Parlamento, diventando così il primo «laico» a guidare il Paese dal 1945. Negli anni successivi divennero Presidenti del Consiglio altri tre «laici»: [[Bettino Craxi]] (socialista, dal 1983 al 1987), [[Giuliano Amato]] (socialista, tra il 1992 e il 1993) e [[Carlo Azeglio Ciampi]] ([[indipendente (politica)|indipendente]], tra il 1993 e il 1994): la formula adottata fu quella del [[pentapartito]] (1981-1991), poi divenuto quadripartito (1991-1994) per l'uscita del PRI dalla maggioranza.
Il [[Compromesso Storico]] col [[PCI]] non era ben visto dai patner internazionali. Il 23 marzo [[1976]], Aldo Moro (in quella data presidente del consiglio) cerca di ottenere pareri da parte degli altri capi di stato del G7 a Portorico, che gli prospettarono la probabile perdita di aiuti internazionali se il PCI fosse entrato nel governo.<ref>[http://www.loccidentale.it/articolo/grandi+coalizioni.+gli+anni+della+solidariet%C3%A0+nazionale Grandi coalizioni. Gli anni della solidarietà nazionale], articolo di [[Maurizio Stefanini]] su "L'Occidente", del 06 aprile 2008</ref>
 
La DC restò comunque il partito più votato e quindi rimase al governo fino al 1994, oltre ad esprimere i Presidenti del Consiglio tra il 1987 e il 1992 ([[Giovanni Goria|Goria]], [[Ciriaco De Mita|De Mita]] e nuovamente [[Giulio Andreotti|Andreotti]]): solo alle [[elezioni politiche in Italia del 1992|elezioni politiche del 1992]] essa scese per la prima volta sotto il 30% dei voti. Di lì a poco le inchieste di [[Mani pulite|Tangentopoli]], che coinvolsero anche i restanti membri del pentapartito (più il PCI, rinominato [[Partito Democratico della Sinistra|PDS]]), le fecero ulteriormente perdere il consenso degli italiani. Agli inizi del 1994 la DC si sciolse, cambiando nome e diventando [[Partito Popolare Italiano (1994)|Partito Popolare Italiano]].
Nel [[giugno]] [[1976]], la [[Democrazia Cristiana|DC]] è al 38 per cento, seguita a breve distanza dal [[Partito Comunista Italiano|PCI]] di [[Berlinguer]] al 34. Moro è il probabile candidato alla presidenza della Repubblica, da dove sembra chiaro favorirà l'alleanza tra PCI e DC. Con il suo assassinio, si chiude definitivamente la stagione del [[compromesso storico]] e con esso i "governi di solidarietà nazionale", con ciò allontanando nel tempo, o ancor più precisamente rendendo impossibile in quel dato contesto storico, la realizzazione dell'antico anelito del PCI di pervenire al governo centrale.
<ref>Guy Debord, gennaio 1979, Prefazione alla quarta edizione italiana de "''La società dello spettacolo''" (editrice Vallecchi, Firenze, 1979) (Editions Champ Libre, Paris, febbraio 1979).</ref>
 
== Influenza culturale ==
Il 16 marzo 1978 , giorno del rapimento, il governo [[Governo Andreotti IV|Andreotti]] ottiene la fiducia: votano contro soltanto [[Partito Liberale Italiano (1943-1994)|liberali]], [[Movimento Sociale Italiano|missini]], [[Partito Radicale (Italia)|radicali]] e [[demoproletari]]. L'esecutivo è un monocolore DC che si regge grazie all'astensione dei comunisti (il cosiddetto governo della "non sfiducia").
=== Cinema ===
*''[[Il caso Moro]]'', regia di [[Giuseppe Ferrara]] (1986).<br />Tratto dal libro ''I giorni dell'ira. Il caso Moro senza censure'' (1980) di [[Robert Katz]], il film è stato il primo a raccontare l'intera vicenda del sequestro dello statista [[Democrazia Cristiana|democristiano]]. Moro è interpretato da [[Gian Maria Volonté]].
* ''[[L'anno del terrore]]'' (''Year of the Gun''), regia di [[John Frankenheimer]] (1991).<br />Film statunitense tratto dal romanzo ''Year of the Gun'' (1984) di [[Michael Mewshaw]], e interpretato da [[Andrew McCarthy]], [[Valeria Golino]] e [[Sharon Stone]]. La pellicola, ambientata nel 1978, racconta la vita in [[Italia]] di un giovane giornalista americano, il quale vuole scrivere un romanzo sullo sfondo degli [[anni di piombo]]. Insieme con una sua amica fotoreporter, i due rimangono loro malgrado invischiati nelle trame ordite dalle [[Brigate Rosse]] per l'assassinio di Aldo Moro, che è interpretato dal [[caratterista]] [[Aldo Mengolini]].
* ''[[Piazza delle Cinque Lune]]'', regia di [[Renzo Martinelli]] (2003).<br />Venticinque anni dopo la morte di Moro, al procuratore di [[Siena]] (all'epoca giovane giudice a [[Roma]]) viene fatto recapitare in forma anonima un vecchio video in [[Super 8 millimetri|Super 8]] che documenta il rapimento del presidente democristiano in via Fani. Partendo da questo nuovo e incredibile documento, insieme con una sua giovane collega e alla sua guardia del corpo, i tre cominciano a indagare e a ricostruire le fasi della vicenda storica. La pellicola è interpretata da [[Donald Sutherland]], [[Giancarlo Giannini]] e [[Stefania Rocca]]. Il vero Moro appare in immagini di repertorio, mentre nella finzione cinematografica il suo ruolo è ricoperto da un caratterista (mai in primo piano). Il film è dedicato al nipote [[Luca Bonini Moro]], che compare sui titoli di coda in veste di [[cantautore]] interpretando il brano ''Maledetti voi''; sullo sfondo del ragazzo (figlio di Maria Fida Moro e spesso affettuosamente citato nelle lettere di Moro durante la prigionia), alcune fotografie di lui a due anni col nonno nei giorni immediatamente precedenti il sequestro.
* ''[[Buongiorno, notte]]'', regia di [[Marco Bellocchio]] (2003). Liberamente ispirata al libro ''Il prigioniero'' (1998) della ex brigatista [[Anna Laura Braghetti]], la pellicola narra il sequestro e la detenzione di Aldo Moro dal punto di vista dei suoi carcerieri, soffermandosi sul dramma umano vissuto da Moro e sui dubbi che hanno assalito i brigatisti. Moro è interpretato da [[Roberto Herlitzka]], mentre [[Maya Sansa]] è la brigatista assalita da scrupoli di [[coscienza (filosofia)|coscienza]].
* ''[[Se sarà luce sarà bellissimo]]'', regia di [[Aurelio Grimaldi]] (2004). L'opera, centrata sul rapimento di Aldo Moro, uscì, per problemi produttivi, soltanto nel 2008. Il film è conosciuto anche col titolo ''Se sarà luce sarà bellissimo - Moro: Un'altra storia''.
* ''Non è un caso, Moro'', regia di Tommaso Minniti, tratto dall'inchiesta di Paolo Cucchiarelli. Docufilm con Carlo Simoni, Sergio Damiano, Leonardo Sbragia. Pubblicato nel 2021, uscito in TV nel 2022 e proiettato in poche sale cinematografiche, è un film che rivoluziona la storiografia sul delitto Moro.
* ''[[Esterno notte (film)|Esterno notte]]'', regia di [[Marco Bellocchio]] (2022). Film presentato in anteprima al [[Festival di Cannes 2022]], uscito al cinema in due parti (rispettivamente il 18 maggio e il 9 giugno) e trasmesso sulla Rai nell'autunno, con [[Fabrizio Gifuni]] nel ruolo di Moro, [[Margherita Buy]] come Eleonora Moro e [[Toni Servillo]] come Paolo VI.
 
=== Televisione ===
Le conseguenze politiche del rapimento di Moro furono da un lato l'esclusione del PCI da ogni ipotesi di governo per gli anni successivi, e dall'altro un ridisegno del cosiddetto "regime democristiano": la DC di Andreotti rimase partito di governo fino al [[1992]] anno di [[tangentopoli]], partecipando sempre a maggioranze che lasciarono il PCI all'opposizione, ma queste politiche tuttavia portarono dal [[1981]], col [[Governo Spadolini I|primo Governo Spadolini]] ad avere alternanze di presidenti del consiglio democristiani con altri "laici", rompendo quindi il monopolio democristiano. All'interno del [[Partito socialista italiano]] (PSI), che aveva sostenuto la possibilità di uno scambio di prigionieri per liberare Moro, vinse la linea di [[Bettino Craxi]] per l'esclusione del PCI dal governo, e iniziò una lotta politica con lo stesso per tentare di superarlo nelle elezioni.
* ''[[La notte della Repubblica]]'': tre puntate della serie di inchieste di [[Sergio Zavoli]], andate in onda su [[Rai 2]] il 21, il 28 febbraio e il 7 marzo 1990.<ref>{{Cita news|autore=|url=http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,28/articleid,1300_02_1990_0049_0028_18950772/|titolo=OGGI IN TV|pubblicazione=''Stampa Sera''|data=21 febbraio 1990|accesso=20 novembre 2015}}</ref><ref>{{Cita news|autore=|url=http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,22/articleid,1300_02_1990_0056_0022_18952284/|titolo=OGGI IN TV|pubblicazione=''Stampa Sera''|data=28 febbraio 1990|accesso=20 novembre 2015}}</ref><ref>{{Cita news|autore=|url=http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,28/articleid,1301_02_1990_0063_0028_18953539/|titolo=OGGI IN TV|pubblicazione=''Stampa Sera''|data=7 marzo 1990|accesso=20 novembre 2015}}</ref>
Le [[elezioni anticipate]] del [[giugno]] [[1979]] vedranno una tenuta della [[Democrazia Cristiana|DC]] e un sensibile calo del [[Partito Comunista Italiano|PCI]].
* ''[[Mixer (programma televisivo)|Mixer]] Speciale dedicato al caso Moro'': puntata del programma ideato e condotto da [[Giovanni Minoli]], andata in onda su [[Rai 3]] il 17 marzo 1998 alle 22:55, dedicata al ventennale della vicenda<ref name=arc>{{Cita news|autore=|url=http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,23/articleid,0539_01_1998_0075_0025_7514160/anews,true/|titolo=ANTENNA|pubblicazione=''La Stampa''|data=17 marzo 1998|accesso=20 novembre 2015}}</ref> con le testimonianze di [[Giulio Andreotti]], [[Alfredo Reichlin]], [[Corrado Guerzoni]], il magistrato [[Antonio Marini (magistrato)|Antonio Marini]], [[Umberto Improta]] e [[Prospero Gallinari]].<ref name=arc/>
* ''[[Aldo Moro - Il presidente]]'', regia di [[Gianluca Maria Tavarelli]] – miniserie TV (2008).<br />La miniserie racconta la genesi, la messa in atto e l'epilogo del sequestro Moro. L'ex presidente democristiano è interpretato da [[Michele Placido]]. La miniserie è andata in onda in occasione del 30º anniversario dell'uccisione di Moro, ma non è stata gradita dai suoi familiari e da quelli degli agenti della scorta, e molti esponenti dell'epoca della [[Democrazia Cristiana]] ne hanno preso le distanze.
*''[[Aldo Moro - Il professore]]'', regia di [[Francesco Miccichè (regista)|Francesco Miccichè]] - [[Docu-drama]] per [[Rai 1|Raiuno]] (2018). L'opera racconta il sequestro di Aldo Moro interpretato da Sergio Castellitto e visto attraverso gli occhi dei suoi studenti della Facoltà di Scienze Politiche dell'Università La Sapienza di Roma.
 
===Letteratura===
La figura di Moro fu in seguito appannata dalle risultanze di alcune indagini circa malversazioni riguardanti importanti società petrolifere. Uno dei principali collaboratori di Moro, [[Sereno Freato]], fu pesantemente coinvolto in ciò che sarebbe stato poi chiamato lo "[[scandalo dei petroli]]", che portò addirittura all'arresto dell'allora comandante generale della [[Guardia di Finanza]] (in armi), ed in contestazioni minori circa appalti di ditte di trasporti e costruttori pugliesi.
* [[Andrea Pomella]], ''Il dio disarmato'', Torino, Einaudi, 2022, ISBN 9788806251048.
* [[Wu Ming]], [[Ufo 78]], Torino, Einaudi, 2022, ISBN 9788806248918.
 
=== Teatro ===
Lo Stato avrebbe sconfitto le BR senza antidemocratiche leggi di emergenza e senza mediazioni politiche, ma con la giustizia ordinaria e le leggi vigenti. All'epoca era contestata la conduzione di regolari processi, con la presenza di avvocati in difesa dei Brigatisti, e dei gradi di appello. I Brigatisti rifiutavano la Difesa e il processo, proclamandosi prigionieri politici e il diritto di asilo. Applicando le leggi come a qualunque cittadino, senza riconoscere alle BR uno "status privilegiato", anche la giustizia ordinaria ha contribuito al loro disconoscimento politico.
* ''L'ira del sole, un 9 di maggio'' (1998) di [[Maria Fida Moro]] e [[Antonio Maria Di Fresco]], regia di [[Antonio Raffaele Addamo]]. Con [[Maria Fida Moro]] e [[Luca Bonini Moro]]. Teatro Biondo Stabile di Palermo.
* ''Corpo di Stato'' (1998) scritto e interpretato da [[Marco Baliani]].
* ''Aldo Moro – Una tragedia italiana'' (2007) di [[Corrado Augias]] e [[Vladimiro Polchi]], regia di [[Giorgio Ferrara (regista)|Giorgio Ferrara]]. Con [[Paolo Bonacelli]] (Aldo Moro) e [[Lorenzo Amato]] (il narratore). Teatro Stabile della Sardegna, Teatro Eliseo di Roma.
* ''Se ci fosse luce – i misteri del caso Moro'' (2007) scritto, diretto e interpretato da [[Giancarlo Loffarelli]]. Con [[Emiliano Campoli]], [[Marina Eianti]], [[Giancarlo Loffarelli]], [[Luigina Ricci]], [[Elisa Ruotolo]], [[Maurizio Tartaglione]]. Compagnia ''Le colonne''.
* ''Roma, Via Caetani, 55º giorno'' (2008) scritto e interpretato da Lucilla Falcone – Associazione Culturale ''La Buona Creanza''.
* ''Aldo Morto/Tragedia'' (2012) scritto, diretto e interpretato da [[Daniele Timpano]] – ''amnesiA vivacE''.
* ''L'Agguato''. Scritto, diretto e interpretato da Pino Casamassima.
 
== Note ==
{{references|2Note strette}}
 
==Filmografia Bibliografia ==
* [[Gennaro Acquaviva]] e [[Luigi Covatta]], ''Moro-Craxi. Fermezza e trattativa trent'anni dopo'', Venezia, Marsilio, 2009.
*''[[Todo modo (film)|Todo modo]]'' film di [[Elio Petri]], [[1976]], nel quale il personaggio del presidente, interpretato da [[Gian Maria Volonté]], è palesemente ispirato ad Aldo Moro. Il film è tratto dall'omonimo romanzo di [[Leonardo Sciascia]].
* [[Emmanuel Amara]], ''Abbiamo ucciso Aldo Moro. Dopo 30 anni un protagonista esce dall'ombra'', Roma, Cooper, 2008 (''Nous avons tué Aldo Moro'', Parigi, Patrick Robin Editions, 2006).
*''[[Il caso Moro (film)|Il caso Moro]]'' film di [[Giuseppe Ferrara]], [[1986]]. Il protagonista è di nuovo Gian Maria Volonté.
* [[Gianni Baget Bozzo]] e [[Giovanni Tassani]], ''Aldo Moro. Il politico nella crisi (1962-1973)'', Firenze, Sansoni, 1983.
*''[[Piazza delle Cinque Lune]]'' film di [[Renzo Martinelli]], [[2003]]. Il vero Moro appare in immagini di repertorio. Quello finto è interpretato da un caratterista mai in primo piano. Il film è dedicato all'allora 27enne nipote [[Luca Bonini Moro]], che compare sui titoli di coda in veste di cantautore interpretando il brano ''Maledetti voi''; sullo sfondo del ragazzo (figlio di Maria Fida Moro e spesso affettuosamente citato nelle lettere dello statista durante la prigionia), alcune fotografie di lui a due anni col nonno nei giorni immediatamente precedenti il sequestro.
* [[Giovanni Bianco]], ''L'affaire Moro'', in ''Mosaico di pace'', (n. 6/2007).
*''[[Buongiorno, notte]]'' film di [[Marco Bellocchio]], [[2003]]. Moro è interpretato da [[Roberto Herlitzka]].
* [[Romano Bianco]] e [[Manlio Castronuovo]], ''Via Fani ore 9.02. 34 testimoni oculari raccontano l'agguato ad Aldo Moro'', Roma, Nutrimenti, 2010.
*Il [[9]] e [[11]] [[Maggio]] [[2008]] [[Canale 5]] ha trsmesso una [[fiction televisiva]] in due puntate dal titolo [[Aldo Moro - Il Presidente]] in occasione del trentesimo anniversario dell'uccisione dello statista. La fiction, prodotta dalla [[TaoDue]] di [[Piero Valsecchi]], è stata diretta da [[Gianluca Maria Tavarelli]] e interpretata da [[Michele Placido]] nei panni di [[Moro]].
* [[Giovanni Bianconi (giornalista)|Giovanni Bianconi]], ''Eseguendo la sentenza. Roma, 1978. Dietro le quinte del sequestro Moro'', Torino, Einaudi, 2008.
* [[Nicola Biondo]] e [[Massimo Veneziani]], ''Il falsario di Stato. Uno spaccato noir della Roma degli anni di piombo'', Roma, Cooper, 2008.
* [[Nicola Biondo]], ''Una primavera rosso sangue. L'«Affaire» Moro, i documenti ufficiali, gli attori, i protagonisti, le fazioni ancora in lotta'', Cosenza, Memoria, 1998.
* [[Francesco Biscione]] (a cura di), ''Il memoriale di Moro rinvenuto in via Monte Nevoso a Milano'', Roma, Nuova Colletti, 1993.
* [[Francesco Biscione]], ''Il delitto Moro. Strategie di un assassinio politico'', Roma, Editori Riuniti, 1998.
* [[Carlo Bo]], ''Aldo Moro. Delitto d'abbandono'', Pesaro, Quattroventi, 1988.
* [[Giorgio Bocca]] (a cura di), ''Moro, una tragedia italiana'', Milano, Bompiani, 1978.
* [[Anna Laura Braghetti]] e [[Paola Tavella]], ''Il prigioniero'', Milano, Mondadori, 1998 – libro da cui è tratto il film di [[Marco Bellocchio]] ''[[Buongiorno, notte]]''.
* [[Pino Casamassima]], ''Il libro nero delle Brigate Rosse'', Roma, Newton Compton, 2007, ISBN 978-88-541-0668-0.
* [[Pino Casamassima]], ''Gli Irriducibili'', Roma-Bari, Laterza, 2011, ISBN 978-88-420-9680-1.
* [[Pino Casamassima]], ''Troveranno il corpo'', Milano, Sperling&Kupfer, 2014, ISBN 978-88-200-5839-5.
* [[Manlio Castronuovo]], ''Vuoto a perdere. Le Brigate Rosse, il rapimento, il processo e l'uccisione di Aldo Moro'', Nardò, Besa, 2008.
* [[Marco Clementi]], ''La "pazzia" di Aldo Moro'', Roma, Odradek, 2001.
* [[Andrea Colombo (giornalista)|Andrea Colombo]], ''Un affare di Stato. Il delitto Moro e la fine della Prima Repubblica'', Milano, Cairo, 2008.
* [[Pino Corrias]], ''In via Fani, partendo da un dettaglio in marmo'', in ''Luoghi comuni. Dal Vajont a Arcore, la geografia che ha cambiato l'Italia'', Milano, Rizzoli, 2006.
* [[Eugenio Cutolo]], ''Aldo Moro. La vita, l'opera, l'eredità'', Milano, Teti, 1980.
* [[Augusto D'Angelo]], ''Moro. I vescovi e l'apertura a sinistra'', Roma, Edizioni Studium, 2005.
* [[Giuseppe De Lutiis]], ''Perché Aldo Moro'', Roma, Editori Riuniti, 1988.
* [[Giuseppe De Lutiis]], ''Il golpe di via Fani'', Milano, Sperling & Kupfer, 2007.
* [[Giovanni Di Capua]], ''Aldo Moro. Il potere della parola (1943-1978)'', Roma, Edizioni Erbe, 1988.
* [[Rita Di Giovacchino]], ''Il libro nero della prima Repubblica'', Roma, Fazi, 2003.
* [[Roberto Ducci]], ''I Capintesta'', Milano, Rusconi, 1982.
* [[Giovanni Fasanella]], [[Giovanni Pellegrino]] e [[Claudio Sestieri]], ''Segreto di Stato. La verità da Gladio al caso Moro'', Torino, Einaudi, 2000.
* [[Giovanni Fasanella]] e [[Giuseppe Rocca]], ''Il misterioso intermediario. Igor Markevic e il caso Moro'', Torino, Einaudi, 2003, ISBN 88-06-16087-7.
* [[Giovanni Fasanella]] e [[Alberto Franceschini]], ''Che cosa sono le BR. Le radici, la nascita, la storia, il presente. Chi erano veramente i brigatisti e perché continuano a uccidere. Una nuova testimonianza del fondatore delle Brigate Rosse. Postfazione del giudice Rosario Priore'', Milano, BUR, 2004, ISBN 88-17-00234-8.
* [[Giovanni Fasanella]] e [[Giovanni Pellegrino]], ''La guerra civile. Da Salò a Berlusconi. Perché in Italia la guerra fredda non si è ancora conclusa? I protagonisti e le storie di uno scontro che dura da più di sessant'anni'', Milano, BUR, 2005.
* [[Giovanni Fasanella]] e [[Rosario Priore]], ''Intrigo internazionale. Perché la guerra in Italia. Le verità che non si sono mai potute dire'', Milano, Chiarelettere, 2010.
* [[Giovanni Fasanella]] e [[Mario José Cereghino]], ''Il golpe inglese. Da Matteotti a Moro: le prove della guerra segreta per il controllo del petrolio e dell'Italia'', Milano, Chiarelettere, 2011.
* [[Giovanni Fasanella]] e [[Giuseppe Rocca]], ''La storia di Igor Markevic, un direttore d'orchestra nel caso Moro'', Milano, Chiarelettere, 2014.
* [[Giovanni Fasanella]], ''Il puzzle Moro. Da testimonianze e documenti inglesi e americani desecretati, la verità sull'assassinio del leader Dc''. Chiarelettere, 2018. ISBN 978-88-6190-031-8.
* [[Sergio Flamigni]], ''La tela del ragno. Il delitto Moro'', Roma, Edizioni Associate, 1988; Milano, Kaos edizioni 1993.
* [[Sergio Flamigni]], ''«Il mio sangue ricadrà su di loro». Gli scritti di Aldo Moro prigioniero delle Br'', Milano, Kaos edizioni, 1997.
* Alessandro Forlani, ''La zona franca. Così è fallita la trattativa segreta che doveva salvare Aldo Moro'', Roma, Castelvecchi, 2013.
* [[Giorgio Galli]], ''Piombo rosso. La storia completa della lotta armata in Italia dal 1970 a oggi'', Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2004.
* [[Giovanni Galloni]], ''30 anni con Aldo Moro'', Roma, Editori Riuniti, 2008.
* [[Agostino Giovagnoli]], ''Il caso Moro. Una tragedia repubblicana'', Bologna, il Mulino, 2005.
* [[Paolo Parisi]], ''Il sequestro Moro, storie dagli anni di piombo'', Padova, BeccoGiallo, 2006.
* [[Miguel Gotor]] (a cura di), Aldo Moro, ''Lettere dalla prigionia'', Torino, Einaudi, 2008.
* [[Miguel Gotor]], ''[http://www.treccani.it/enciclopedia/9-maggio-1978-lo-schiaffo-a-paolo-vi-storia-e-fallimento-della-mediazione-vaticana-per-la-liberazione_%28Cristiani-d%27Italia%29/ 9 maggio 1978: lo schiaffo a Paolo VI. Storia e fallimento della mediazione vaticana per la liberazione]'', in: ''Cristiani d'Italia'' (2011), [[Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani]].
* [[Stefano Grassi]], ''Il caso Moro. Un dizionario italiano'', Milano, Mondadori, 2008.
* [[Ferdinando Imposimato]] e [[Sandro Provvisionato]], ''Doveva morire. Chi ha ucciso Aldo Moro. Il giudice dell'inchiesta racconta'', Milano, Chiarelettere, 2008, ISBN 978-88-6190-025-7.
* [[Robert Katz]], ''I giorni dell'ira. Il caso Moro senza censure'', Roma, Adnkronos Libri, 1982 (''Days of Wrath: The Ordeal of Aldo Moro, the Kidnapping, the Execution, the Aftermath, Doubleday'', New York, Doubleday, 1980) – libro da cui è tratto il film di [[Giuseppe Ferrara]] ''[[Il caso Moro]]''.
* [[Daniele Luttazzi]], ''[[Stanotte e per sempre]]'', racconto grottesco su [[Giulio Andreotti|Andreotti]] e il caso Moro, 2003.
* [[Renzo Magosso]] e [[Roberto Arlati]], ''Le carte di Moro, perché Tobagi'', Milano, Franco Angeli, 2003.
* [[Roberto Martinelli]] e [[Antonio Padellaro]], ''Il delitto Moro'', Milano, Rizzoli, 1979.
* [[Michael Mewshaw]], ''Year of the Gun'', New York, Atheneum, 1984 – libro da cui è tratto il film di [[John Frankenheimer]] ''[[L'anno del terrore]]''.
* Marco Monetta, ''"Concludiamo... eseguendo". I 55 giorni del sequestro Moro raccontati da "Lotta continua"'', Civitavecchia, Prospettiva, 2009.
* [[Indro Montanelli]] e [[Mario Cervi]], ''L'Italia degli anni di piombo (1965-1978)'', Milano, Rizzoli, 1991.
* [[Indro Montanelli]] e [[Mario Cervi]], ''L'Italia degli anni di fango (1978-1993)'', Milano, Rizzoli, 1993.
* [[Mario Moretti]], [[Rossana Rossanda]] e [[Carla Mosca]], ''Brigate Rosse. Una storia italiana'', Milano, Edizioni Anabasi, 1994.
* [[Agnese Moro]], ''Un uomo così. Ricordando mio padre'', Milano, BUR, 2003.
* [[Carlo Alfredo Moro]], ''Storia di un delitto annunciato. Le ombre del caso Moro'', Roma, Editori Riuniti, 1998.
* [[Maria Fida Moro]] (a cura di), ''La nebulosa del caso Moro'', Milano, Selene, 2004.
* [[Valerio Morucci]], ''La peggio gioventù. Una vita nella lotta armata'', Milano, Rizzoli, 2004.
* [[Carlo Palermo]], ''La bestia. Dai misteri d'Italia ai poteri massonici che dirigono il nuovo ordine mondiale,'' Sperling & Kupfer, 2018.
* [[Roberto Pantanelli]], ''Ammazzate Moro'', Pesaro, Flaminia, 1987.
* [[Roberto Ruffilli]], ''Vicenda Moro e sistema politico'', Bologna, il Mulino, 1978.
* [[Vladimiro Satta]], ''Odissea nel caso Moro. Viaggio controcorrente attraverso la documentazione della Commissione Stragi'', Roma, Edup, 2003.
* [[Vladimiro Satta]], ''Il caso Moro e i suoi falsi misteri'', Soveria Mannelli, Rubbettino, 2006.
* [[Salvatore Savoia]], ''Aldo Moro. « [...] L'iniqua ed ingrata sentenza della D.C.»'', Massafra, Dellisanti Editore, 2006.
* [[Leonardo Sciascia]], ''[[L'affaire Moro]]'', Palermo, Sellerio, 1978.
* Leonardo Sciascia, L'affare Moro, Adelphi 1994, ISBN 8845910830
* [[Leonardo Sciascia]], ''[[Todo modo (romanzo)|Todo modo]]'', Milano, Adelphi, 1995, ISBN 978-88-459-1112-5.
* [[Webster Tarpley]], ''[[Chi ha ucciso Aldo Moro?]]'' (''Who Killed Aldo Moro?''), studio commissionato dal deputato Zamberletti, 1978.
* [[Vittorio Vettori]], ''Diario apocrifo di Aldo Moro prigioniero'', Palermo, I.L.A. Palma, 1982.
*Rocco Turi, ''Gladio Rossa. Una catena di complotti e delitti, dal dopoguerra al caso Moro'', Marsilio, Venezia, 2004.
*Rocco Turi, ''Storia segreta del PCI. Dai partigiani al caso Moro'', Rubbettino Editore, 2014
* [[Sergio Zavoli]], ''La notte della Repubblica'', Roma, Nuova Eri, 1992.
* VIII Legislatura Parlamento Italiano. Documento nr. 5 Vol. primo del 29 giugno 1983. ''Relazione della Commissione d'inchiesta sulla strage di via Fani sul sequestro e l'assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia''. Online in Rete degli Archivi per non dimenticare.
* Mirco Dondi, ''L'eco del boato: storia della strategia della tensione 1965-1974'', Laterza 2015.
* Parlamento Italiano, ''Relazioni della Commissione parlamentare d'inchiesta sul sequestro e l'assassinio di Aldo Moro,'' On. [[Giuseppe Fioroni]].
* Marco Damilano, ''Un atomo di verità. Aldo moro e la fine della politica in Italia,'' e-book, Feltrinelli 2018.
* Riccardo Ferrigato, ''Non doveva morire. Come Paolo VI cercò di salvare Aldo Moro'', San Paolo, 2018.
* {{Cita testo|titolo=Epoca – Settimanale politico di grande informazione|url=https://archive.org/details/epoca-1978-1433|numero=1433|data=22 marzo 1978|editore=Mondadori|tipo=edizione straordinaria sul rapimento di Aldo Moro}}
 
== Voci correlate ==
==Teatro==
* [[Aldo Moro]]
*''L'ira del sole, un 9 di maggio'' ([[1998]]) di [[Maria Fida Moro]] e [[Antonio Maria Di Fresco]], regia di [[Antonio Raffaele Addamo]]. Con [[Maria Fida Moro]] e [[Luca Bonini Moro]]. Teatro Biondo Stabile di Palermo.
* [[Agguato di via Fani]]
*''Aldo Moro - Una tragedia italiana'' ([[2007]]) di [[Corrado Augias]] e [[Vladimiro Polchi]], regia di [[Giorgio Ferrara]]. Con [[Paolo Bonacelli]] (Aldo Moro) e [[Lorenzo Amato]] (il narratore). Teatro Stabile della Sardegna, Teatro Eliseo di Roma.
* [[Commissione Stragi]]
*''"Se ci fosse luce - i misteri del caso Moro"'' ([[2007]]) scritto, diretto e interpretato da [[Giancarlo Loffarelli]]. Con [[Emiliano Campoli]], [[Marina Eianti]], [[Giancarlo Loffarelli]], [[Luigina Ricci]], [[Elisa Ruotolo]],[[Maurizio Tartaglione]]. Compagnia "Le colonne".
* [[Commissione Moro]]
* [[Cronaca del sequestro Moro]]
* [[Ipotesi sul caso Moro]]
* [[Memoriale Moro]]
* [[Vittime delle Brigate Rosse]]
 
== Altri progetti ==
==Bibliografia==
{{interprogetto|q|s=Le lettere di Aldo Moro dalla prigionia alla storia}}
* [[Manlio Castronuovo]]. "Vuoto a perdere. Le BR il rapimento, il processo e l'uccisione di Aldo Moro", BESA 2008 ISBN 978849704426
* [[Giorgio Bocca]] e [[Silvia Giacomoni]]. ''Moro: una tragedia italiana''. 1978.
* Pino Casamassima, ''Il libro nero delle brigate rosse'', Newton Compton Editori, 2007, ISBN 9788854106680
* [[Roberto Ruffilli]]. ''Vicenda Moro e sistema politico'', ne ''Il Mulino'', 4 luglio-agosto 1978, pp. 668-fine
* [[Webster Tarpley]] et al. ''[[Chi ha ucciso Aldo Moro?]]'' studio commissionato dall'On. Zamberletti. 1978.
* [[Roberto Martinelli]] e [[Antonio Padellaro]]. ''Il Delitto Moro''. Rizzoli, 1979.
* [[Eugenio Cutolo]]. ''Aldo Moro: La vita, l'opera, l'eredità''. 1980.
* [[Roberto Ducci]]. ''I Capintesta''. Rusconi, 1982.
* [[Vittorio Vettori]]. ''Diario apocrifo di Aldo Moro prigioniero''. 1982.
* [[Gianni Baget Bozzo]] e [[Giovanni Tassani]]. ''Aldo Moro: il politico nella crisi'', [[1983]].
* [[Robert Katz]]. ''I giorni dell'ira''. 1986 (libro da cui è tratto il film di [[Giuseppe Ferrara]] ''[[Il caso Moro (film)|Il caso Moro]]'')
* [[Roberto Pantanelli]]. ''Ammazzate Moro''. 1987.
* [[Carlo Bo]]. ''Aldo Moro. Delitto d'abbandono''. 1988.
* [[Giovanni Di Capua]]. ''Aldo Moro: il potere della parola (1943-1978)''. 1988.
* [[Francesco Biscione]]. ''Il memoriale di Moro rinvenuto in Via Monte Nevoso a Milano''. Roma, 1993.
* [[Leonardo Sciascia]]. ''L'affaire Moro''. Adelphi, 1994.
* [[Leonardo Sciascia]]. ''[[Todo modo (romanzo)|Todo modo]]''. Adelphi, 1995. ISBN 9788845911125.
* [[Nicola Biondo]]. ''Una primavera rosso sangue''. Cosenza, Ed. Memoria, 1998.
* [[Francesco Biscione]]. ''Il delitto Moro: strategie di un assassinio politico''. 1998.
* [[Annalaura Braghetti]] e [[Paola Tavella]]. ''Il prigioniero''. 1998.
* [[Giuseppe De Lutis]]. ''Perché Aldo Moro''. 1988
* [[Sergio Flamigni]]. ''Il mio sangue ricadrà su di loro''. Milano, 1997.
* [[Carlo Alfredo Moro]]. ''Storia di un delitto annunciato''. 1998.
* [[Marco Clementi]]. ''La "pazzia" di Aldo Moro''. 2001.
* [[Mario Moretti]], [[Rossana Rossanda]], [[Carla Mosca]]. ''Brigate Rosse. Una storia italiana''. 2002.
* [[Rita Di Giovacchino]]. ''Il libro nero della prima Repubblica''. Roma, Fazi, 2003.
* [[Giovanni Fasanella]] e [[Giuseppe Rocca]]. ''Il misterioso intermediario. Igor Markevic e il caso Moro''. Torino, Einaudi, 2003. ISBN 8806160877.
* [[Paolo Franchi]]. ''Non solo BR, tutti i nemici del Gran Tessitore''. in ''Corriere della sera'', (18/11/2003)
* [[Sergio Flamigni]]. ''La tela del ragno. Il delitto Moro''. Milano, 2003 (2a ed.).
* [[Agnese Moro]]. ''Un uomo così''. 2003.
* [[Vladimiro Satta]]. ''Odissea nel caso Moro''. 2003.
* [[Daniele Luttazzi]]. ''[[Stanotte e per sempre]]'', racconto [[grottesco]] su [[Giulio Andreotti|Andreotti]] e il caso Moro, 2003.
* [[Giovanni Fasanella]] e [[Alberto Franceschini]]. ''Che cosa sono le BR''. Milano, Rizzoli, 2004. ISBN 8817002348.
* [[Maria Fida Moro]] (a cura di). ''La nebulosa del caso Moro''. Milano, 2004.
* [[Augusto D'Angelo]]. ''Moro. I vescovi e l'apertura a sinistra''. 2005.
* [[Agostino Giovagnoli]]. ''Il caso Moro. Una tragedia repubblicana''. Il Mulino, 2005.
* [[Pino Corrias]]. ''In via Fani, partendo da un dettaglio in marmo'', in ''Luoghi comuni. Dal Vajont a Arcore, la geografia che ha cambiato l'Italia''. Milano, Rizzoli, 2006. pp. 63-86. ISBN 9788817010801.
* [[Vladimiro Satta]]. ''Il caso Moro e i suoi falsi misteri''. Rubbettino, Soveria Mannelli, 2006.
* [[Salvatore Savoia]], Aldo Moro. ''L'iniqua ed ingrata sentenza della D.C....'', Dellisanti editore, Massafra, 2006.
* [[Giovanni Bianco]], ''L'affaire Moro'', in "Mosaico di pace", (n. 6/2007)
* [[Emmanuel Amara]]. ''Abbiamo ucciso Aldo Moro. La vera storia del rapimento Moro''. Roma, Cooper, 2008. ISBN 9788873941057.
* [[Giovanni Bianconi]]. ''Eseguendo la sentenza''. Torino, Einaudi, 2008.
* [[Nicola Biondo]] e [[Massimo Veneziani]]. ''Il falsario di Stato. Uno spaccato noir della Roma degli anni di piombo''. Roma, Cooper, 2008. ISBN 9788873941071.
* [[Giuseppe De Lutis]]. ''Il golpe di Via Fani''. Roma, 2008.
* [[Giovanni Galloni]]. ''30 anni con Aldo Moro''. Roma, 2008.
* [[Giorgio Galli]]. ''Piombo rosso''. Milano, 2008.
* [[Miguel Gotor]] (a cura di), Aldo Moro. ''Lettere dalla prigionia''. Torino, Einaudi, 2008.
* [[Stefano Grassi]]. ''Il caso Moro. Un dizionario italiano''. Mondadori, Milano, 2008.
* [[Sandro Provvisionato]], [[Ferdinando Imposimato]]. ''Doveva morire. Chi ha ucciso Aldo Moro. Il giudice dell'inchiesta racconta''. Chiarelettere, 2008. ISBN 9788861900257.
 
== Collegamenti esterni ==
* [http://www.regione.toscana.it/regione/export/RT/sito-RT/Contenuti/sezioni/diritti/legalita/rubriche/visualizza_asset.html_1545454782.html Elenco dei volumi pubblicati dalla Commissione Parlamentare d'inchiesta sulla strage di via Fani sul sequestro e l'assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20120125094030/http://www.regione.toscana.it/regione/export/RT/sito-RT/Contenuti/sezioni/diritti/legalita/rubriche/visualizza_asset.html_1545454782.html |data=25 gennaio 2012 }} consultabili presso il [[Centro di documentazione Cultura della legalità democratica]]
*[http://www.vuotoaperdere.org Vuotoaperdere.org, Sito aggiornato ed interattivo di approfondimento sul caso Moro]
* {{Collegamento interrotto|1=[{{collegamento interrotto|1=http://www.archivioflamigni.org/_dynmate/Documenti/IndiceAttiCommissioneMoro.pdf |data=aprile 2018 |bot=InternetArchiveBot }} Commissione Parlamentare d'inchiesta sulla strage di via Fani sul sequestro e l'assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia. Indice di tutti i volumi pubblicati] |data=maggio 2019 |bot=InternetArchiveBot }} Versione pdf a cura dell'Archivio Flamigni
*[http://www.archivio900.it/it/documenti/finestre-900.aspx?c=1138 Archivio900, Gli ultimi discorsi di Aldo Moro in Parlamento]
** {{Cita web|url=http://www.archivioflamigni.org/doc/indice-atti-commissione-moro.pdf |titolo= Indice dei volumi pubblicati dalla Commissione Parlamentare d'inchiesta sul Caso Moro|sito= Archivio Flamigni|accesso=9 maggio 2024|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20141007014646/http://www.archivioflamigni.org/doc/indice-atti-commissione-moro.pdf|urlmorto=no}}
*[http://clarence.supereva.com/contents/societa/memoria/moro/ Il Memoriale Moro]
*[https://patrimonio.archivio.senato.it/inventario/scheda/terrorismo-e-stragi-x-xiii-leg/IT-SEN-114-015225/stenografico-originale-gruppo-lavoro-sul-caso-moro-audizione-on-piccoli-30-10-91 Commissione stragi, X legislatura, Resoconto stenografico del Gruppo di lavoro sul caso Moro. Audizione on. Piccoli 30.10.91" (3 marzo 1992)], in Archivio storico del Senato della Repubblica (ASSR), Terrorismo e stragi (X-XIII leg.), 1.1
*[http://www.ilcassetto.it/notizia.php?tid=154 Caso Moro dalla A alla Z]
*[https://patrimonio.archivio.senato.it/inventario/scheda/terrorismo-e-stragi-x-xiii-leg/IT-SEN-114-015226/stenografico-originale-gruppo-lavoro-sul-caso-moro-riunione-del-28-1-92-incontro-ministro-interno-scotti-e-prefetto-parisi Commissione stragi, X legislatura, Resoconto stenografico del Gruppo di lavoro sul caso Moro. Riunione del 28.1.92. Incontro con il ministro dell'Interno Scotti e con il prefetto Parisi" (27 febbraio 1992 - 27 marzo 1992)], in Archivio storico del Senato della Repubblica (ASSR), Terrorismo e stragi (X-XIII leg.), 1.2
*[http://www.archivio900.it/it/documenti/finestre-900.aspx?c=1042 Gli scritti di Aldo Moro dal carcere brigatista]
*[https://patrimonio.archivio.senato.it/inventario/scheda/terrorismo-e-stragi-x-xiii-leg/IT-SEN-114-015228/stenografico-originale-gruppo-lavoro-sul-caso-moro-seduta-10-ottobre-1991-audizione-on-anselmi Commissione stragi, X legislatura, Resoconto stenografico del Gruppo di lavoro sul caso Moro. Seduta 10 ottobre 1991. Audizione on. Anselmi" (3 marzo 1992)], in Archivio storico del Senato della Repubblica (ASSR), Terrorismo e stragi (X-XIII leg.), 1.4
*[http://www.parlamento.it/parlam/bicam/terror Sito della Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo]
*[https://patrimonio.archivio.senato.it/inventario/scheda/terrorismo-e-stragi-x-xiii-leg/IT-SEN-114-015229/stenografico-originale-gruppo-lavoro-sul-caso-moro-seduta-del-10-ottobre-1991-audizione-del-dott-alfredo-carlo-moro Gruppo di lavoro sul caso Moro. Seduta del 10 ottobre 1991. Audizione del dott. Alfredo Carlo Moro" (3 marzo 1992)], in Archivio storico del Senato della Repubblica (ASSR), Terrorismo e stragi (X-XIII leg.), 1.5
*[http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=40 ''Il caso Moro'' da ''La Storia Siamo Noi'': filmati e documenti]
*[https://patrimonio.archivio.senato.it/inventario/scheda/terrorismo-e-stragi-x-xiii-leg/IT-SEN-114-015230/stenografico-originale-gruppo-lavoro-sul-caso-moro-seduta-10-ottobre-1991-audizione-del-sen-flamigni Commissione stragi, X legislatura, Resoconto stenografico del Gruppo di lavoro sul caso Moro. Seduta 10 ottobre 1991. Audizione del sen. Flamigni" (3 marzo 1992)], in Archivio storico del Senato della Repubblica (ASSR), Terrorismo e stragi (X-XIII leg.), 1.6
*[http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=389& ''Tre milizie, tre fedeltà: storia della Democrazia Cristiana'' da ''La storia siamo noi'' - Rai Educational]
* {{cita web|http://www.vuotoaperdere.org|Vuotoaperdere.org, Sito aggiornato ed interattivo di approfondimento sul caso Moro}}
*[http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=96 ''Moro, mio padre'' Intervista a Giovanni Moro di Giovanni Minoli]
* {{cita web|url=http://www.archivio900.it/it/documenti/finestre-900.aspx?c=1138|titolo=Archivio900, Gli ultimi discorsi di Aldo Moro in Parlamento}}
*[http://archivio.odeontv.net/Rebus/Rebus_Archivio_dettaglio_02.htm ''Rebus Speciale: Aldo Moro, il complotto?'': trasmissione di Odeon dedicata alle teorie complottiste sul rapimento Moro]
* {{cita web |1=http://clarence.supereva.com/contents/societa/memoria/moro/ |2=Il Memoriale Moro |accesso=11 marzo 2008 |urlarchivio=https://web.archive.org/web/20060509062551/http://clarence.supereva.com//contents/societa/memoria/moro/# |dataarchivio=9 maggio 2006 |urlmorto=sì }}
*[http://www.itccapitini.it/archivio/caso_moro.htm ''"L'Affaire Moro": testo e contesto di un mistero italiano'' (con il testo della relazione di minoranza presentata da Sciascia)]
* {{cita web|url=http://www.ilcassetto.it/notizia.php?tid=154|titolo=Caso Moro dalla A alla Z|accesso=11 marzo 2008|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20060508064229/http://www.ilcassetto.it/notizia.php?tid=154|dataarchivio=8 maggio 2006|urlmorto=sì}}
*[http://193.111.46.146/geaarchivio/Objects_SenArchivio/Atti%20parlamentari/Commissione%20moro/Doc.XXIII%20nr.%205/VIII%20leg.%20Doc.%20XXIII,%205,%20vol.%20002/VIII%20leg.%20Doc.%20XXIII,%205,%20vol.%20002,%20pp.%20397-413.pdf Relazione di minoranza del deputato Leonardo Sciascia] sul sito dell'[http://193.111.46.146/geaarchivio/html/consultazione.htm Archivio Storico del Senato della Repubblica]
* {{cita web|1=http://www.revuedroledepoque.com/articles/n10/complot.html/|2=L'affaire Moro et la narration complottiste|lingua=fr|accesso=15 settembre 2012|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20090518012205/http://www.revuedroledepoque.com/articles/n10/complot.html|dataarchivio=18 maggio 2009|urlmorto=sì}}
* [http://www.chiarelettere.it/?id_blogdoc=1808516 Rassegna stampa del libro ''Doveva morire'' e video della presentazione al Festival del Libro, con Imposimato, Provvisionato, Bianconi, Colombo, Fasanella e Gotor]
* {{cita web|url=http://www.archivio900.it/it/documenti/finestre-900.aspx?c=1042|titolo=Gli scritti di Aldo Moro dal carcere brigatista}}
* [http://www.televisionando.it/foto/la-pagine-del-sequestro-moro/ ''Le pagine del sequestro Moro'': foto delle prime pagine di quotidiani dell'epoca, su televisionando.it]
* {{cita web|url=http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=40|titolo=''Il caso Moro'' da ''La Storia Siamo Noi'': filmati e documenti|urlmorto=sì|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20101206083035/http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=40|dataarchivio=6 dicembre 2010}}
* {{cita web|url=http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=389|titolo=''Tre milizie, tre fedeltà: storia della Democrazia Cristiana'' da ''La storia siamo noi'' - Rai Educational|urlmorto=sì|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20071102232917/http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=389&|dataarchivio=2 novembre 2007}}
* {{cita web|url=http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=96|titolo=''Moro, mio padre'' Intervista a Giovanni Moro di Giovanni Minoli|urlmorto=sì|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20080320050412/http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=96|dataarchivio=20 marzo 2008}}
* {{cita web | 1 = http://archivio.odeontv.net/Rebus/Rebus_Archivio_dettaglio_02.htm | 2 = ''Rebus Speciale: Aldo Moro, il complotto?'': trasmissione di Odeon dedicata alle teorie complottiste sul rapimento Moro | accesso = 11 marzo 2008 | dataarchivio = 19 marzo 2008 | urlarchivio = https://web.archive.org/web/20080319021937/http://archivio.odeontv.net/Rebus/Rebus_Archivio_dettaglio_02.htm | urlmorto = sì }}
* {{Collegamento interrotto|1=[{{collegamento interrotto|1=http://www.itccapitini.it/archivio/caso_moro.htm |data=aprile 2018 |bot=InternetArchiveBot }} ''"L'Affaire Moro"'': testo e contesto di un mistero italiano (con il testo della relazione di minoranza presentata da Sciascia)] |data=maggio 2019 |bot=InternetArchiveBot }}
* {{Collegamento interrotto|1=[http://193.111.46.146/geaarchivio/Objects_SenArchivio/Atti%20parlamentari/Commissione%20moro/Doc.XXIII%20nr.%205/VIII%20leg.%20Doc.%20XXIII,%205,%20vol.%20002/VIII%20leg.%20Doc.%20XXIII,%205,%20vol.%20002,%20pp.%20397-413.pdf Relazione di minoranza del deputato Leonardo Sciascia] |data=maggio 2019 |bot=InternetArchiveBot }} sul sito dell'{{Collegamento interrotto|1=[{{collegamento interrotto|1=http://193.111.46.146/geaarchivio/html/consultazione.htm |data=aprile 2018 |bot=InternetArchiveBot }} Archivio Storico del Senato della Repubblica] |data=maggio 2019 |bot=InternetArchiveBot }}
* {{cita web|url=http://www.chiarelettere.it/?id_blogdoc=1808516|titolo=Rassegna stampa del libro ''Doveva morire'' e video della presentazione al Festival del Libro, con Imposimato, Provvisionato, Bianconi, Colombo, Fasanella e Gotor}}
* {{cita web |1=http://www.televisionando.it/foto/la-pagine-del-sequestro-moro/ |2=''Le pagine del sequestro Moro'': foto delle prime pagine di quotidiani dell'epoca, su televisionando.it |accesso=4 luglio 2008 |urlarchivio=https://web.archive.org/web/20080714222718/http://www.televisionando.it/foto/la-pagine-del-sequestro-moro/ |dataarchivio=14 luglio 2008 |urlmorto=sì }}
 
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