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Tito Labieno
 
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{{nota disambigua|l'omonimo storico romano|Tito Labieno (storico)}}
{{Magistrato romano
|nome = Tito Labieno
|titolo = [[Pretore (storia romana)|Pretore]] della [[Repubblica romana]]
|immagine = Medaglia-(1)-TITO-LABIENO.jpg
|legenda = Testa elmata di Tito Labieno - nel contorno “TITVS LABIENVS”
|altrititoli =
|nome completo = ''Titus Labienus''
|coniuge 1 =
|coniuge 2 =
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|figli = [[Quinto Labieno]]
|padre =
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|Gens = [[Gens Atia]] (?)
|data di nascita = [[100 a.C.]] circa
|luogo di nascita = [[Cingoli]]
|data di morte = 17 marzo [[45 a.C.]]
|luogo di morte = [[Munda (Spagna)|Munda]]<ref>[[Appiano di Alessandria]], ''Guerre civili'', II, 105.</ref>
|pretura = [[59 a.C.]]
|legatus_legionis = [[58 a.C.]] - [[50 a.C.]] - [[45 a.C.]]
|propretura = [[50 a.C.]]
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|tribunato della plebe = [[63 a.C.]]
|prefetto = [[Praefectus equitum|della cavalleria]] in [[Gallia]] sotto [[Gaio Giulio Cesare]]
|dittatura =
}}
{{Bio
|Nome = Tito
|Cognome = Labieno
|PreData = {{latino|Titus Labienus}}
|Sesso = M
|PreData = [[lingua latina|latino]]: ''Titus Labienus''
|LuogoNascita = Cingoli
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|AnnoNascita = [[100 a.C.]] circa
|LuogoMorte = Munda
|LuogoMorteLink = Munda (Spagna)
|GiornoMeseMorte = 17 marzo
|AnnoMorte = 45 a.C.
|Epoca = I a.C.
|Attività = generale
|Attività = generale
|Epoca = tarda repubblica romana (I secolo a.C.)
|Nazionalità = romano
|PostNazionalità =, [[tribuno della plebe]] e comandante di cavalleria, [[luogotenente]] di [[Gaio Giulio Cesare]] in [[Gallia]]
|PostNazionalità =
|FineIncipit = fu un [[generale (storia romana)|generale]] della [[Repubblica romana]], tribuno della plebe e comandante di cavalleria, collaboratore prima e avversario poi di [[Gaio Giulio Cesare]]. Da non confondersi con lo storico di età augustea [[Tito Labieno (storico)|Tito Labieno]]
|Immagine = Medaglia-(1)-TITO-LABIENO.jpg
|Didascalia = Testa elmata di Tito Labieno - nel contorno “TITVS LABIENVS”
}}
 
== Biografia ==
Dopo aver rivestito la carica di tribuno della plebe nel [[63 a.C.]], Labieno fu legato di Cesare in [[Gallia]] e seppe mostrare le sue doti di abile comandante durante i conflitti contro le popolazioni [[Celti|celtiche]] dei Tigurini ([[58 a.C.]]), dei [[Treveri]] ([[54 a.C.]]) e dei Belgi ([[53 a.C.]]); si dimostrò particolarmente abile nel sedare una rivolta scoppiata nella regione di [[Lutezia]] nel [[52 a.C.]]
 
La famiglia di Labieno proveniva dalla borghesia locale e dalla classe degli equites<ref>Cicerone, Pro ''C.Rabirio Perduellonis reo, 20''</ref>, mentre Tito Labieno passerà successivamente al ceto senatorio<ref>Gianfranco Paci, ''Lectio Magistralis su Tito Labieno'', QDM del 5 maggio 2019</ref>. Tito Labieno, padre di [[Quinto Labieno|Quinto]], poté forse avere l'occasione di conoscere e combattere insieme a [[Giulio Cesare]], nel [[78 a.C.]], nella campagna navale di [[Publio Servilio Vatia Isaurico (console 79 a.C.)|Publio Servilio Vatia Isaurico]] ([[proconsole]] in [[Cilicia]] dal [[78 a.C.|78]] al [[75 a.C.|75]]) contro i [[pirati]] [[cilicia|cilici]]. Questa ipotesi, per quanto possibile, non è certa<ref>W. Blake Tyrrell, ''Biography of Titus Labienus, Caesar’s Lieutenant in Gaul''</ref> in quanto Cesare “prestò servizio anche in Cilicia, agli ordini di Servilio Isaurico, ma per poco tempo”<ref>Svetonio, ''Vita dei Cesari, Cesare, 3''</ref>.
Nel [[51 a.C.]] gli fu affidato, da parte di Cesare, il governo della [[Gallia Cisalpina]].
Prima che Cesare attraversasse il [[Rubicone]], Labieno, pur essendo stato precedentemente il favorito del futuro dittatore (tanto da essere l'unico ''legatus'' ad essere citato per nome nel [[De Bello Gallico]], lasciò il suo esercito mentre era ancora in Gallia e si unì a [[Pompeo]] portando con sé circa 3.700 cavalieri gallici e germanici. Pompeo lo nominò comandante della cavalleria.
Dopo la sconfitta di Pompeo a [[battaglia di Farsalo|Farsalo]] nel [[48 a.C.]], fuggì a [[Corfù]] e poi in Africa dove, ricostituito un nuovo esercito, riorganizzò la resistenza repubblicana. Grazie al riorganizzato esercito, riportò una vittoria contro lo stesso Cesare presso [[Ruspina]] nel [[46 a.C.]] Malgrado ciò, Labieno fu sconfitto nella [[battaglia di Tapso]] fu costretto a fuggire di nuovo, rifugiandosi presso [[Sesto Pompeo]] in Spagna. Durante la [[battaglia di Munda]], il 17 marzo del [[45 a.C.]], una sua errata manovra militare causò, seppur in parte, l'annientamento dell'esercito repubblicano e la sua stessa fine.
 
Labieno, che era un giovane eques, potrebbe aver ricoperto diverse cariche nell'esercito di Servilio, tra cui una probabile è quella di [[Tribuno angusticlavio|tribuno militare angusticlavius]] (tribuno militare di origine non senatoria)<ref>P. Southern, ''The Roman Army: A Social & Institutional History'', op. cit. in Ingar Eftedal Høgstedt, ''Titus Labienus Fra Homo Novus a Homo Militaris'', Universitas Bergensis</ref>. Il giovane Tito Labieno può essere considerato un “homo militaris” ovvero un “[[homo novus]]” che tenta la scalata sociale attraverso le proprie capacità di soldato, così come un “homus novus” come [[Marco Tullio Cicerone|Cicerone]] aveva percorso il suo [[cursus honorum]] partenendo dalle sue capacità oratorie e dall’attività di avvocato<ref>Ingar Eftedal Høgstedt, ''Titus Labienus Fra Homo Novus a Homo Militaris, Universitas Bergensis''</ref>. Il [[Theodor Mommsen|Mommsen]], che giudica Labieno una di quelle nature che al talento militare associano “la più crassa ignoranza politica”, ipotizza anche una condivisione con Cesare da parte di Tito Labieno delle “tribolazioni” dell’epoca [[Lucio Sergio Catilina|catilinaria]]<ref>Mommsen, ''Storia di Roma antica'', Libro V, capitolo X, p. 315</ref>.
{{Portale|Antica Roma|biografie}}
 
Dopo aver rivestito la carica di [[tribuno della plebe]] nel [[63 a.C.]]; con la pretesa di vendicare la morte dello zio Quinto e di [[Lucio Apuleio Saturnino|Saturnino]]<ref name="ref_A">''Tito Labieno luogotenente di Cesare in Gallia, comandante della cavalleria pompeiana durante la guerra civile, Cingulum, Cingoli, gens labiena'', su antiqui.it.</ref>, accusò [[Gaio Rabirio (politico)|Gaio Rabirio]] di [[perduellio]]. La ragione vera di questa presa di posizione era quella di favorire [[Gaio Giulio Cesare]]. Rabirio in questo processo fu difeso da Cicerone che poi pubblicò l’orazione [[Pro Rabirio perduellionis reo|Pro Rabirio]] da cui si possono trarre le prime notizie sulla vita di Tito Labieno. Fu molto probabilmente su suggerimento di Cesare, ansioso di dimostrare la propria riconoscenza verso [[Pompeo Magno|Pompeo]], che Labieno e il suo collega [[Tito Ampio Balbo]] proposero di riservare onori (abbigliamenti trionfali durante i ludi circensi e le rappresentazioni teatrali) a Pompeo<ref name="ref_A" />. In base a ad un plebiscito di Labieno fu ripristinata la Lex Domitia, restituendo così ai comizi il diritto di eleggere il [[Pontefice massimo|pontifex maximus]], e per Cesare fu facile farsi eleggere ed ottenere la dignità di [[Pontefice massimo (storia romana)|pontefice massimo]] quello stesso anno<ref>F. Russo, [https://journals.openedition.org/historika/298 ''Elezione o cooptazione per i pontifices e gli augures di Urso ?''] in Historika VIII - ISSN 2240-774X e-ISSN 2039-4985.</ref>.
[[Categoria:Personalità delle guerre galliche|Labieno]]
 
Nel [[59 a.C.]] fu [[Pretore (storia romana)|pretore]], durante il [[Console (storia romana)|consolato]] di Cesare. Questa ipotesi, non documentata, si desume dal fatto che Cesare successivamente nominò Labieno pro praetore in Gallia<ref>Cesare, ''De Bello Gallico'', I, 21, 2</ref> e, poiché il propretore, durante la Repubblica, è un pretore che, esercitata per un anno questa carica, era destinato al comando di un esercito o di una provincia, necessariamente avrebbe dovuto essere stato pretore in precedenza<ref>{{treccani.it|enciclopedia/propretore}}</ref><ref name="ref_A" />
 
Labieno fu [[legatus|legato]] di Giulio Cesare in [[Gallia]] e seppe mostrare le sue doti di abile comandante durante i sette anni della [[Conquista della Gallia|campagna gallica]]; riportò importanti vittorie contro le popolazioni dei [[Tigurini]] ([[58 a.C.]]), dei [[Belgi (popolo antico)|Belgi]], degli [[Atrebati]], dei [[Morini (popolo)|Morini]], dei [[Treveri]] ([[54 a.C.]]) in più di un'occasione, dei [[Belgi (popolo antico)|Belgi]] ([[53 a.C.]]); si dimostrò particolarmente abile nel sedare una rivolta scoppiata nella regione di [[Lutetia Parisiorum|Lutezia]] nel [[52 a.C.]] Cesare riponeva in lui grande fiducia e regolarmente gli lasciava il comando ogni qualvolta doveva assentarsi dalla Gallia. Da alcuni episodi narrati nel [[De Bello Gallico]] si possono dedurre due caratteristiche militari di Tito Labieno militare<ref>Ingar Eftedal Høgstedt, ''Titus Labienus Fra Homo Novus a Homo Militaris'', Universitas Bergensis</ref>: una certa propensione allo stratagemma (come quando fece diffondere la falsa notizia che avrebbe ordinato lo sgombero del campo, di modo che questa voce fosse riportata ai [[Treviri (tribù)|treviri]]<ref>Cesare, ''De Bello Gallico'', VI, 6, 7, 1</ref>, nella finta ritirata in occasione dello scontro contro i [[Parisi (Gallia)|parisi]] e l’uccisione del loro capo [[Camulogeno]]<ref>Cesare, ''De Bello Gallico, VII, 61, 1-5''</ref>, nel tentativo di far sopprimere da [[Gaio Voluseno Quadrato]] il capo [[Atrebati|artebate]] [[Commio]] durante un colloquio<ref>Cesare, ''De Bello Gallico'', VIII, 23.2-6</ref> e il sapiente utilizzo della cavalleria, come nel caso del loro intervento risolutivo contro il treviro [[Induziomaro]]<ref>Cesare, ''De Bello Gallico'', V, 58.1-6</ref>.
 
È probabile che in [[Gallia]] Labieno abbia accumulato grandi ricchezze<ref>Cicerone, ''Lettere ad Attico VII, 7, 6'' op. cit. ''in Luciano Canfora Giulio Cesare, Il dittatore democratico, pag. 180''</ref> e che con parte di queste abbia provveduto ai lavori in [[Cingoli]] (Curia, Magistratura e il Municipio)<ref>Gianfranco Paci, ''Lectio Magistralis su Tito Labieno, QDM del 05/05/2019''</ref>. Nel [[51 a.C.]] Cesare gli affidò il governo della [[Gallia Cisalpina]], in qualità di [[propretore]] e [[Theodor Mommsen|Mommsen]] ipotizza che in questo stesso periodo Cesare volesse promuovere al tempo stesso Labieno nella sua candidatura per il consolato<ref>T. Mommsen, ''Storia di Roma antica'', Libro V, capitolo X, pag. 316</ref>.
 
=== Il “passaggio” alla parte repubblicana ===
Prima che Cesare attraversasse il [[Rubicone]], Labieno abbandonò Cesare e si unì a [[Gneo Pompeo Magno|Pompeo]] portando con sé numerosi cavalieri gallici e [[germani]]ci. Pompeo lo ricompensò nominandolo comandante della cavalleria. Racconta [[Plutarco]] che “persino Labieno, che di Cesare era stato amico tra i più intimi e luogotenente, che aveva lottato al suo fianco con grande ardore durante tutte le guerre in Gallia, ora lo abbandonò e raggiunse [[Gneo Pompeo Magno|Pompeo]]. Ciò nonostante Cesare gli fece avere i suoi denari e il baglio”<ref name="ref_C">Plutarco, ''Le vite parallele, La vita di Cesare'', 34</ref>. La notizia del passaggio di Labieno dalla parte del senato e di Pompeo è stata data da Pompeo nella seduta del senato del 17 gennaio 49 a.c. ([[Marco Tullio Cicerone|Cicerone]], ''Ad Atticum'', VII,11,1). L’effetto fu sopravvalutato: parve l’inizio del disfacimento delle forze cesariane, e lo stesso Labieno rivelò non solo i piani, ma anche i punti deboli di Cesare<ref>Florilegium, ''Serie Latina, Volume XIII, Cesare'', Parte II</ref><ref>Plutarco, ''Le vite parallele, La vita di Cesare'', 3</ref>. Dello stretto legame e della sorpresa dovuta al passaggio di Tito Labieno alla fazione senatoria, si trova traccia in [[Plutarco]]<ref name="ref_C" />.
 
=== Le interpretazioni ===
 
Circa i motivi sul passaggio di Labieno, uomo di Cesare, alla parte repubblicana sotto gli ordini di Pompeo, sono state elaborate numerose spiegazioni:
 
* motivazioni personali, anche psicologiche, conseguenza delle dinamiche leader- comprimario (insoddisfazione circa i riconoscimenti, percezione di un distacco da parte del leader a favore di nuovi personaggi emergenti come [[Marco Antonio]]), nuove prospettive di carriera nella parte repubblicana;
* motivi ideologici, ovvero la fedeltà non ad una parte, al capo carismatico e dell’esercito, ma all’ideale repubblicano;
* motivi clientelari, sulla base dell’ipotesi che Labieno e la sua famiglia facessero parte delle clientele picene di Pompeo.
 
==== Dinamiche leader - comprimario ====
 
Le motivazioni psicologiche e personali si basano soprattutto su di un passo di Cassio Dione in cui si afferma che, arricchitosi con le guerre galliche, Labieno si stesse comportando oltre le sue prerogative perdendo così il favore di Cesare<ref>Cassio Dione,'' Storia romana, IV, I, 4,4'' op.citata in Laura Cappelletti, ''Paideia, Il Padre di Tito Labieno fu proscritto nel 43 a.c. ?''</ref>. Cambiamento di atteggiamento che potrebbe essere in parte suffragato dalla lettura di alcuni passi del [[De Bello Gallico]] nel quale, se è vero che, dopo Cesare stesso, Tito Labieno è il personaggio più citato, si può però anche notare che alcuni suoi successi sono ottenuti “in nome” di Cesare<ref>Cesare, ''De Bello Gallico, VI, 8, 1 e VII, 62,1-10''</ref> e che Cesare lo indica come uomo fortunato<ref>Cesare, ''De Bello Gallico, V, 58, 1-6''</ref>, anche se, in quest’ultimo caso, non necessariamente si deve interpretare nel senso di una definizione volta a diminuirne le capacità, se si pensa, ad esempio, al "favore degli dei" concesso agli uomini di virtù (la fortuna di [[Lucio Cornelio Silla|Silla]])<ref>G. Brizzi, ''Silla, pag. 67''</ref> e la stessa fortuna di Cesare<ref>[[Appiano di Alessandria]], ''[[Storia romana (Appiano)|Storia Romana]]''</ref>. Tyrrell<ref>W. Blake Tyrrell, B''iography of Titus Labienus, Caesar’s Lieutenant in Gaul''</ref>, ritiene di trovare nel De Bello Gallico indicazioni di un continuo mutamento del rapporto di fiducia di Cesare nei confronti di Tito Labieno in quanto, da comandante di legioni, a volte viene relegato al ruolo di semplice comandante di cavalleria con missioni quasi di complemento, quali quella di intercettare una irruzione germanica<ref>Cesare, ''De Bello Gallico III, 11.1, 2''</ref>.
 
Sempre nel [[De Bello Gallico|De bello Gallico]], ma nel libro VIII, attribuito a [[Aulo Irzio|Irzio]], proprio nella parte antecedente a quella in cui si comunica l’incarico a Labieno di curare gli interessi romani in Gallia, l'autore mette in evidenzia l’attività di Cesare in favore dell'elezione di [[Marco Antonio]] come [[augure]]. [[Theodor Mommsen|Mommsen]] nota infatti una certa tendenza di Cesare ad utilizzare i collaboratori come semplici subordinati e quindi a seconda delle esigenze e delle valutazioni contingenti. Conseguentemente, sempre il Mommsen ipotizza che, credendosi Labieno secondo comandante della democrazia e non essendo riconosciuta questa pretesa, abbia cambiato campo<ref>Mommsen, ''Storia di Roma antica, Libro V, capitolo X, pag. 316''</ref>.
 
Coerentemente a questa possibile natura "opportunista" di Cesare, andando avanti nel tempo rispetto ai fatti di cui si sta trattando, dopo il periodo di potere di [[Marco Antonio]] a Roma e i relativi fatti di quel periodo che non dovettero piacere a Cesare (48-47 a.C.), costui non gli rinnovò l’incarico a “[[magister equitum]]”, seconda carica dopo quella di [[Dittatore (storia romana)|dittatore]], ma incaricò [[Marco Emilio Lepido|Lepido]]. Infine, vale notare che, per quanto Marco Antonio nel discorso tenuto in occasione dei funerali di Cesare raccontato da [[Cassio Dione|Dione Cassio]] si sia indicato come “l’erede [politico] designato”<ref>Cassio Dione,'' Storia romana, XLIV 36-50, 2,''</ref>, è tuttavia noto che nel terzo e ultimo testamento venne nominato erede il suo congiunto [[Augusto|Ottaviano]], mentre nel primo testamento era indicato suo genero [[Gneo Pompeo Magno|Pompeo]]. A chiusura di questo ragionamento vale indicare che secondo [[Luciano Canfora|Canfora]] anche nel secondo sarebbe stato indicato un parente, suo cugino [[Sesto Giulio Cesare (cugino di Cesare)|Sesto Giulio Cesare]] che poi morì durante una sedizione delle legioni in Siria<ref>Luciano Canfora, ''Giulio Cesare, Il dittatore democratico, pag. 264 e268, 269''</ref>. Il tutto a conferma che per Cesare valevano i legami famigliari più di quelli camerateschi o di fazione.
 
==== Il bene della patria/l’adesione agli ideali repubblicani ====
 
L’adesione agli ideali repubblicani deriva dalla lettera di [[Marco Tullio Cicerone|Cicerone]] ad Attico nella quale l’oratore elogia Labieno come un eroe per essere passato alla parte repubblicana<ref>Cicerone, ''Ad Atticum, VII, 13,1 op. citata in Tito Labieno luogotenente di Cesare in Gallia,comandante della cavalleria pompeiana durante la guerra civile, Cingulum, Cingoli,gens labiena, su antiqui.it.''</ref>. Aderente ad una visione di un Labieno campione della causa repubblicana Tyrrel evidenzia come possa essere più naturale aderire alla causa repubblicana piuttosto che alla sedizione di un proconsole<ref>W.B. Tyrrell, ''Military and political career of T. Labienus, VII- The thesis 1970''</ref>. Altri storici, quali Brunt, fanno notare che sono ancora presenti nella cultura di fine repubblica quegli ideali di interesse, di tutela dello stato e “un primato quindi dei “diritti dello stato” rappresentati dagli esempi civici che si ritrovano negli episodi di [[Orazio Coclite]], [[Gaio Muzio Scevola|Muzio Scevola]], [[Marco Atilio Regolo|Attilio Regolo]], ecc… e che ancora [[Marco Tullio Cicerone|Cicerone]] all’epoca che l’interesse dello stato fosse da preferire all’amicizia<ref>Brunt, ''La caduta della Repubblica romana, pagg. 60-63''</ref>.
 
==== Vincoli di amicizia/legami clientelari ====
 
Il riferimento invece all’appartenenza di Labieno alla clientela di Pompeo trova fondamento in una interpretazione di [[Ronald Syme|Syme]] che associa le origini picene di Labieno alle clientele di [[Gneo Pompeo Strabone]] nella zona e sulla possibilità che le leggi promosse da Labieno in favore di [[Gneo Pompeo Magno|Pompeo Magno]] fossero dovute a contatti con agenti di Pompeo se non con Pompeo stesso. Si tratterebbe quindi di un vincolo di “amicizia” di lunga data che legherebbe Labieno a Pompeo, dove per amicizia si deve intendere quel valore che “presiede al funzionamento della vita pubblica romana”, creando legami, anche famigliari e quindi ereditari e sarebbe il fulcro dei raggruppamenti poilitici<ref>R. Syme, ''Roman revolution op.cit. in Luciano Canfora, Giulio Cesare, Il dittatore democratico, pagg. 177-180''</ref>.
 
Un esempio di questo tipo di rapporto clientelare lo si può trovare nell’episodio, precedente questi fatti e raccontato da [[Gaio Sallustio Crispo|Sallustio]] nelle [[Guerra giugurtina]], LXIV, nel quale si racconta che [[Gaio Mario|Mario]], ascrivibile alla clientela dei [[Caecilii Metelli|Metelli]], chiese una licenza per potersi recare a Roma al fine di concorrere al consolato e che [[Quinto Cecilio Metello Numidico|Q. Cecilio Metello]], a capo della spedizione militare contro [[Giugurta]], dopo averlo sconsigliato di voler salire al di sopra della sua posizione, lo avesse invitato ad aspettare la candidatura assieme a quella di suo figlio, all’epoca ventenne, conseguentemente circa altri vent’anni.
 
Anche le leggi tribunizie poste in essere da Labieno a favore degli abbigliamenti trionfali di Pompeo vengono prese in considerazione da R. Syme per supportare la sua tesi secondo cui Labieno aveva vincoli di clientela e lealtà con Pompeo fin dagli inizi della sua carriera politica<ref>R. Syme, ''The Allegiance of Labienus, e N. Alfieri, Labieno, Cingoli e l'inizio della guerra civile nel 49 a.C., cit., p. 119 op.citate in Tito Labieno luogotenente di Cesare in Gallia,comandante della cavalleria pompeiana durante la guerra civile,Cingulum,Cingoli,gens labiena, su antiqui.it.''</ref>.
 
[[Luciano Canfora|L. Canfora]] afferma che Labieno fosse un “infiltrato” ai vertici dello stato maggiore di Cesare fin dall’inizio della sua azione politica<ref>Luciano Canfora, ''Giulio Cesare, Il dittatore democratico, pag. 196''</ref><ref>Luciano Canfora, ''Giulio Cesare, un dittatore democratico- Alle otto della sera Rai radio 2''</ref>.
 
L’appartenenza di Labieno alla clientela di Pompeo, però, non da tutti viene ritenuta sicura sia perché non risultante esplicitamente da fonti dell’epoca sia perché il luogo più probabile delle clientele pompeiane è [[Osimo|Auximum]] (Osimo)<ref>Ingar Eftedal Høgstedt, T''itus Labienus Fra Homo Novus a Homo Militaris, Universitas Bergensis''</ref>.
 
Brunt, inoltre, mette in discussione la stessa idea che le clientele in Roma nel periodo della tarda repubblica potessero essere così nette e vincolanti come l’interpretazione di [[Ronald Syme|Syme]] farebbe presumere e questo, sia per il fatto che le più importanti famiglie romane erano tutte imparentate tra di loro per il tramite di vincoli matrimoniali, sia perché nelle guerre civili alcune famiglie si divisero” per seguire il bene comune piuttosto che la “politica spicciola”<ref>Brunt, ''La caduta della Repubblica romana, pag. 60''</ref>.
 
=== Inimicizia ===
 
In ogni caso, Labieno, dopo il passaggio alla parte repubblicana, manifesta il caratteristico comportamento del traditore che cerca di convincere i nuovi compagni a prestargli fiducia con l’adesione più fanatica alla causa. In questo senso la strenua opposizione di Labieno alle trattative di pace affidate da Cesare a Vibulo Rufo Cesare<ref name="ref_B">Luciano Canfora, ''Giulio Cesare, Il dittatore democratico, pag. 199''</ref> e l’eccidio di prigionieri Cesariani<ref>Luciano Canfora, ''Giulio Cesare, Il dittatore democratico, pagg. 201, 202''</ref>.
Si può anche pensare che tale comportamento non sia soltanto dovuto alla necessità del transfuga che si deve far accettare dai nuovi compagni<ref>Luciano Canfora, ''Giulio Cesare, Il dittatore democratico, pag. 201''</ref>, ma, considerato unitamente al comportamento di Cesare che non riserva a Labieno la “[[Clementia|clementia caesaris]]” riservata ad altri oppositori, possa essere considerata un esempio di ”inimicizia”, la “controprova” del meccanismo dell’amicizia. Si era generato, a seguito del passaggio alla parte senatoria, un insanabile vincolo di “inimicizia” che si concluderà con la consegna della testa di Labieno a Cesare dopo la battaglia di Munda<ref name="ref_B" />.
 
Eco negativa di questo passaggio di campo da parte di Labieno si ha ancora anni dopo in [[Marco Anneo Lucano|Lucano]], che, nonostante l’apprezzamento dell’autore per la parte repubblicana, in particolare di [[Marco Porcio Catone Uticense|Catone]], scrive “Labieno, prode in armi casaree, ora transfuga vile, s’aggira per terre e per mari con il nuovo capo”<ref>Lucano, ''[[Farsaglia]], V, 346-347'':</ref>.
 
===Dopo Farsalo===
Premesso che prima della battaglia di Farsalo Labieno si contraddistinse anche per aver cercato di convincere Pompeo ad accettare battaglia adducendo che l’esercito di Cesare non era più quello di una volta e eccitando gli animi<ref>Cesare De bello civili, III, 87: giurò [Labieno] che non sarebbe tornato nell’accampamento se non da vincitore ed esortò gli altri a fare la stessa cosa</ref>; successivamente, durante la battaglia il comportamento della cavalleria comandata da Labieno fu probabilmente uno dei fatti determinanti ai fini della sconfitta della parte pompeiana, come riportato da Lucano quando racconta che “Appena un corsiero, trapassato il petto da un dardo, calpestò il corpo del cavaliere disarcionato a capofitto, tutti i cavalieri [comandati da Labieno] si ritrassero dal campo, e, nube compatta si rovesciarono, volte le briglie, sulle loro stesse schiere”<ref>Lucano, ''Farsaglia, VII, 528-531''</ref>; infine dopo la sconfitta dei pompeiani a Farsalo, Labieno fuggì a [[Dyrrhachium]], dove trovò [[Cicerone]] e lo informò della disfatta<ref>Cicerone, ''De divinatione'', I, 32</ref>, ma allo stesso tempo, per incoraggiare la fazione pompeiana, sostenne che Cesare fosse stato severamente ferito nella battaglia<ref>[[Sesto Giulio Frontino|Frontino]], ''[[Strategemata]]'', II, 7</ref>. Da Dyrrhachium riparò con [[Lucio Afranio (console 60 a.C.)|Lucio Afranio]] prima a [[Corfù|Corcira]] e poi a [[Cirene]] in [[Africa]] per incontrarsi con [[Marco Porcio Catone Uticense|Catone]], ma questi si rifiutò d'incontrarlo<ref>[[Plutarco]], ''Catone minore'', 56</ref>.
Alla fine riuscì a riunirsi con i resti dell'esercito pompeiano in Africa; qui [[Quinto Cecilio Metello Pio Scipione Nasica|Scipione]] e Catone, due dei maggiori comandanti rimasti della parte pompeiana, avevano costituito un nuovo esercito e riorganizzato la resistenza repubblicana.
 
A Labieno fu affidato il comando di un'armata nei pressi di [[Ruspina]] e riportò una prima vittoria contro lo stesso Cesare presso [[Battaglia di Ruspina|la stessa città]] nel [[46 a.C.]], questa non fu decisiva in quanto, dopo che lo stesso cavallo di Labieno era stato colpito, facendolo cadere a terra, [[Marco Petreio|Petreio]] convinse i suoi a non continuare la battaglia per non togliere l’onore della guerra al capo dell’esercito [[Quinto Cecilio Metello Numidico|Scipione]]. Secondo [[Appiano di Alessandria|Appiano]], che riporta questo episodio, come esempio della fortuna di Cesare, quando, essendo i nemici ormai vincitori, gli stessi decisero di non portare a termine la battaglia<ref>Appiano, ''Historia Romana, libro XIV, De bellis civilibus II, 95''</ref>. Alla fine comunque i pompeiani dovettero ritirarsi. Poco dopo Labieno unì le proprie forze con quelle di Scipione, sotto il quale servì come legato per il resto della campagna africana<ref>[[Dione Cassio]], XLII, 10, XLIII, 2</ref><ref>[[Appiano di Alessandria]], ''[[Storia romana (Appiano)|Storia Romana]]'', ''De bellis civilibus'', II, 95</ref>. Fu sconfitto tre mesi dopo nella [[battaglia di Tapso]] e nuovamente costretto a fuggire, rifugiandosi presso [[Gneo Pompeo il Giovane]] in [[Spagna romana|Spagna]].
 
Successivamente, nella [[Battaglia di Munda (45 a.C.)|battaglia di Munda]], mentre l’esito dello scontro era incerto, alcune fonti<ref>Cassio Dione, ''Historia Romana, XLIII, 38'' e Publio Annio Floro, ''Epitoma di Tito Livio, II, 13''</ref> attribuiscono l’esito infausto ai pompeiani agli ordini di Labieno che, per bloccare un tentativo di aggiramento nemico che era arrivato alle spalle fino all’accampamento pompeiano, inviò la cavalleria verso quel settore del campo di battaglia. Tale movimento venne interpretato dai legionari pompeiani come una fuga e costituì quindi l’iniziò della disfatta dell’esercito repubblicano<ref>Si Sheppard, ''Farsalo, Cesare contro Pompeo, pag. 89''</ref>. Morì combattendo durante la [[Battaglia di Munda (45 a.C.)|battaglia di Munda]] il 17 marzo del [[45 a.C.]]; secondo Appiano la sua testa mozzata fu portata a Cesare<ref>[[Appiano di Alessandria]], ''[[Storia romana (Appiano)|Storia Romana]]'', ''De bellis civilibus'', II, 105</ref> che, “esperto gestore dell’altrui morte, gli riservò stupende esequie”<ref>Luciano Canfora, Giulio Cesare, ''Il dittatore democratico, pag. 272''”</ref>.
 
Infine, Laura Cappelletti ha ipotizzato che il padre sia stato inserito nelle liste di proscrizione del 43 e che sia quel Labieno citato da [[Appiano di Alessandria|Appiano]] nel [[Storia romana (Appiano)|Bellum civilis]] che, avendo catturato e ucciso molti proscritti da Silla, aveva ritenuto onorevole non fuggire, ma aspettare seduto davanti a casa i sicari che lo avrebbero dovuto giustiziare in quanto inserito nelle liste di proscrizione del 43 a.C<ref>Laura Cappelletti, ''Paideia, Il Padre di Tito Labieno fu proscritto nel 43 a.c. ?''</ref>.
 
== Gens ==
Lo studioso veneziano [[Paolo Manuzio]] nel suo ''Antiquitatum Romanarum Liber de Legibus'' si fece sostenitore di una tesi per cui Labieno, non essendo mai citato con un [[gentilizio]], sarebbe appartenuto alla [[Gens Atia]]; in conseguenza di ciò, nel corso del [[Rinascimento]] venne fatto sempre più spesso riferimento a Labieno col nome completo di '''Tito Azio Labieno''', in [[Lingua latina|latino]] ''Titus Atius Labienus''.<ref name=":05">{{Cita libro|nome=Giovanni|cognome=Rotondi|titolo=Leges publicae populi romani: elenco cronologico con una introduzione sull'attività legislativa dei comizi romani|ed=1|collana=Enciclopedia Giuridica Italiana|annooriginale=1912|anno=1912|editore=Società editrice libraria|città=Milano|lingua=it}}</ref> Non essendo però mai stato attestato il ''[[cognomen]]'' ''Labienus'' negli esponenti della gens Atia, si è pensato che si trattasse di un'altra famiglia.<ref>{{Cita web|url=http://www.antiqui.it/doc/personaggi/titolabieno.htm|titolo=Tito Labieno luogotenente di Cesare in Gallia,comandante della cavalleria pompeiana durante la guerra civile,Cingulum,Cingoli,gens labiena|accesso=2021-04-20}}</ref><ref>{{Cita web|url=https://www.romanoimpero.com/2012/12/gens-atia-o-azia.html|titolo=GENS ATIA O AZIA {{!}} romanoimpero.com|accesso=2021-04-20}}</ref>
 
== Nella cultura di massa ==
 
* Tito Labieno è menzionato nell'[[Episodi di Arsenio Lupin (seconda stagione)|episodio 5 della stagione 2]] della serie televisiva ''[[Arsenio Lupin]]'' ([[1973]]): in esso si ipotizza che Labieno abbia nascosto un favoloso tesoro in [[Normandia]].
 
* Tito Labieno è l'antagonista umano ricorrente nella serie animata francese ''[[Idefix e gli Irriducibili]]'', [[prequel]] e [[spin-off (mass media)|spin-off]] di ''[[Asterix]]'': viene riportato come il governatore di [[Lutezia]], dopo la sconfitta di [[Camulogeno]], con l'obbiettivo di [[Romanizzazione (storia)|romanizzare]] la città; possiede una gatta di nome Monna Lisa e tenta di mantenere l'ordine grazie alle sue truppe e ad una muta di cani comandata dal [[pastore tedesco]] Archibugius.
 
==Note==
<references/>
 
==Collegamenti esterni==
* {{Collegamenti esterni}}
*{{cita web|https://www.msu.edu/~tyrrell/labienus.htm|"Biography of Titus Labienus, Caesar's Lieutenant in Gaul" di Wm. Blake Tyrrell|lingua=En}}
*{{cita web|1=http://www.ancientlibrary.com/smith-bio/1804.html|2=William Smith, ''Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology'' (1867), vol. 2, p. 697|lingua=En|accesso=5 giugno 2010|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20080419000106/http://www.ancientlibrary.com/smith-bio/1804.html|dataarchivio=19 aprile 2008|urlmorto=sì}}
 
{{Conquista della Gallia (58-50 a.C.)}}
{{Guerra civile romana (49-45 a.C.)}}
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