Alasdair MacIntyre: differenze tra le versioni
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{{F|filosofi britannici|agosto 2013}}
{{Bio
|Nome = Alasdair
|Cognome = MacIntyre
|Sesso = M
|Immagine = Alasdair MacIntyre.jpg
|Didascalia = Alasdair MacIntyre nel 2009
|LuogoNascita = Glasgow
|GiornoMeseNascita = 12 gennaio
|AnnoNascita = 1929
|LuogoMorte = South Bend
|LuogoMorteLink = South Bend (Indiana)
|GiornoMeseMorte = 21 maggio
|AnnoMorte = 2025
|NoteMorte = <ref>{{cita web|url=https://www.wordonfire.org/articles/remembering-alasdair-macintyre-1929-2025/|titolo=Remembering Alasdair MacIntyre (1929-2025)|sito=www.wordonfire.org|data=22 maggio 2025|accesso=22 maggio 2025|lingua=en}}</ref>
|Epoca = 1900
|Attività = filosofo
|Nazionalità = britannico
|PostNazionalità = , noto per i suoi contributi nella [[filosofia morale]] e [[filosofia politica|politica]] e alcune opere di [[storia della filosofia]] e della [[teologia]]: criticando l'impostazione moderna del problema etico, riprende invece il pensiero di [[Aristotele]] e soprattutto di [[Tommaso d'Aquino]]
}}
== Biografia ==
Alasdair MacIntyre nasce a [[Glasgow]] nel [[1929]], studia a [[Londra]] e a [[Manchester]], città dove inizia la sua carriera universitaria nel [[1951]] come professore di [[filosofia della religione]]. La sua formazione universitaria è permeata dalla filosofia linguistica della scuola di [[Oxford]], che predomina in quegli anni nelle maggiori sedi accademiche. Il suo contributo filosofico verte inizialmente su temi [[etica|etico]]-[[filosofia politica|politici]] e religiosi; all'età di 23 anni pubblica ''Marxism. An interpretation'', anticipando il dibattito tipico degli anni successivi
Dopo aver insegnato filosofia all'[[Università di Leeds]] dal [[1957]] al [[1961]], entra a far parte del corpo accademico oxoniense, prima al "Nuffield College" ([[1961]]-[[1962|62]] e [[1965]]- [[1966|66]]) poi all'"University College" ([[1963]]-[[1966|66]]). Nel frattempo è Senior Fellow al ''Council of the Humanities'' dell'[[Università di Princeton]] (1962-'63). Dal [[1966]] al [[1970]] occupa la cattedra di [[sociologia]] all'[[Università
Qui la sua impostazione si allontana ben
L'interesse di MacIntyre, inizialmente rivolto a questioni religiose, si sposta gradualmente
Come nel volume precedente l'Autore considera il marxismo un prodotto della cultura cristiana. Infatti egli afferma che, con la secolarizzazione della morale e l'avvento dell'[[Illuminismo]], il senso della vita umana così come era concepito dalla tradizione cristiana, fu sostituito da una interpretazione razionalistica dei concetti di uomo e di natura. Gli interrogativi tipici della cultura religiosa, come le questioni teologiche relative a Dio, l'immortalità, la libertà e la morale, non poterono ricevere più le risposte attinenti a quel contesto, ma acquisirono un nuovo contenuto laico.
Tra la molteplicità delle dottrine secolari che emersero, solo il [[marxismo]] salvò lo scopo del cristianesimo medievale, ovvero quello di conservare la ricerca del senso di una vita umana vista non solo come identità sociale e appartenenza ad un gruppo, ma anche come superamento dei propri limiti in una tensione ideale verso la perfezione. Scrive MacIntyre: «''Only one secular doctrine retains the scope of traditional religion in offering an interpretation of human existence by means of which men may situate themselves in the world and direct their actions to ends that trascend those offered by their immediate situation: Marxism''».
Non
Il passaggio dalla filosofia alla pratica è attuato da [[Karl Marx|Marx]]. Egli dimostra che il fallimento della teoria politica
MacIntyre spiega come la teologia si conservò in maniera latente lungo la linea della tradizione inaugurata da Hegel sino a giungere al marxismo più maturo, per il quale la religione svolge due funzioni: quella di giustificare per autorità divina un certo ordine sociale insieme a quella di fornire un modello di comportamento umano. Se, da una parte, il [[comunismo]] considera la religione come "l'oppio dei popoli", dall'altra, riconosce che essa originariamente possedeva un vero e proprio spirito rivoluzionario, come quello espresso dal millenarismo, e che andò perduto quando il tentativo di attuare la liberazione sulla terra fallì. In conclusione sia il marxismo che il cristianesimo sono accomunati poiché essi «''rescue individual lives from the insignificance of finitude (to use an Hegelian expression) by showing the individual that he has or can have
Nella produzione di MacIntyre a partire dagli anni
Ma il progetto postfilosofico e postanalitico di rifondare un'etica ormai morta si rivela appieno nella sua opera più citata e recensita: ''After Virtue: a Study in Moral Theory''. In un quadro di decadenza MacIntyre avanza una soluzione originale, forse un po' nostalgico-conservatrice: il ritorno ad una comunità medievale pre-marxista che si ispiri per certi versi ad Aristotele e per certi altri a San Benedetto. Del 1983 è un'altra raccolta di saggi pubblicata in collaborazione con S. Hauerwas
In quest'opera ci si domanda se esista ancora qualche criterio di razionalità comune a giudizi alternativi, talvolta totalmente incommensurabili e se sia possibile scegliere razionalmente tra opposte teorie della giustizia. Come nel libro precedente, il principale indiziato di reato è l'[[Illuminismo]], qui colpevole di aver universalizzato un unico modello di ragione che presto si è trovato invece bersagliato dal proliferare di standard diversi tra i quali non è possibile scegliere con argomentazioni valide. Alla domanda su quale possa essere la via d'uscita dal rischio di relativismo, MacIntyre risponde avanzando una soluzione storicistica: {{Citazione|''So rationality itself, whether theoretical or practical, is a concept with a history: indeed, since there are diversity of traditions of enquiry, with histories, there are, so it will turn out, rationalities rather than rationality, just as it will also turn out that there are justices rather than justice.''}}
MacIntyre delinea quattro principali tradizioni che vengono esaminate per buona parte del libro: quella aristotelica, quella agostiniana, quella scozzese (fusione dell'agostinismo calvinistico e dell'aristotelismo classico) e quella liberale moderna (vengono brevemente analizzate anche altre tradizioni tra cui quella luterano-kantiana, quella [[islam]]ica, quella [[india]]na e quella [[
Nella prima parte l'Autore si sofferma sul mondo greco. Mentre la società omerica non distingueva i valori ontologici da quelli deontologici, ovvero quelli che ci permettono di conseguire un fine per il suo valore intrinseco da quelli che ci consentono di perseguirlo per motivazioni ad esso esterne, con Aristotele tale distinzione viene evidenziata. La giustizia per Omero non prevedeva una separazione tra intenzioni e azioni, né fra il concetto di ''agathos'' (uomo virtuoso) e quello di dikaios (giusto). Con Aristotele il problema della giustizia è molto più complesso e presuppone una dottrina della virtù che si fondi sulla conoscenza del fine ultimo della vita umana, il cosiddetto telos.
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Passando all'esame un'altra tradizione, MacIntyre analizza la risposta del cristianesimo agostiniano alla sfida lanciata da Aristotele. Secondo Sant'Agostino, infatti, la teoria aristotelica non era in grado di fornire in adeguata misura un mezzo atto alla soluzione di tutti i problemi umani; solo [[Dio]], con la sua provvidenza, può salvare l'uomo dalla sua limitatezza. MacIntyre elogia [[Tommaso d'Aquino]] per il fatto di essere stato in grado di fondere elementi appartenenti alla tradizione aristotelica con altri ereditati da [[Sant'Agostino]] e relativi alla tradizione cristiana.
Le concezioni tomistiche della giustizia e della razionalità pratica mettono in evidenza i limiti della ragione umana e l'importanza della grazia divina. MacIntyre si sposta successivamente sulla tradizione dell'illuminismo scozzese, del quale mette in risalto gli importanti contributi di pensatori come
Gli ultimi tre capitoli costituiscono la parte fondamentale dell'opera poiché affrontano temi come la traducibilità fra linguaggi diversi, la razionalità delle tradizioni, l'importanza della storia, l'analisi dei quali verrà approfondita successivamente.
La riflessione storico-filosofica sul significato delle varie razionalità pratiche e delle varie teorie della giustizia, porta sia al rifiuto di una
== Dopo la virtù. Saggio di teoria morale ==
L'opera ''After Virtue'', del 1981, scatena un grande dibattito perché si propone una confutazione radicale del liberalismo, fuori dagli schemi consueti. La stessa appartenenza dell'Autore al [[comunitarismo]] (antagonista classico del liberalismo) è problematica, in quanto dalla sua posizione vede gli assunti di base di entrambe le correnti come due facce della stessa deriva nichilistica: l'arbitrio individuale e la razionalità burocratica e impersonale. Sullo sfondo la ripresa possibile di un'etica di stampo aristotelico, unica vera alternativa al progetto illuministico e alla sua crisi.
L'esperimento mentale con cui l'Autore comincia la sua ricostruzione è quella di una catastrofe che abbia lasciato un'epoca alle prese con le rovine delle istituzioni scientifiche e priva di coloro che possiedono il contesto, l'insieme e i nessi dei saperi scientifici. Resterebbero solo frammenti privi di senso. L'uso di questi frammenti nelle pratiche residuali, imitative, sarebbe niente più che uno scimmiottamento, una farsa arbitraria. L'ipotesi di MacIntyre è che questa situazione, immaginaria per la scienza naturale, sia vera, effettiva per il linguaggio morale.
Di questa catastrofe nella quale si è immersi, si è solo parzialmente consapevoli, da qui la difficoltà di assumere la distanza che occorre per comprenderlo/situarlo storicamente e per immaginare una riforma delle pratiche e del discorso morale. L'Autore ha quindi in mente, più che un'opera di storia e critica della filosofia morale, un vero e proprio progetto, l
Il metodo da seguire è genetico, genealogico: non costruire una teoria astratta o avalutativa ma una storia filosofica valutativa, che permetta di far riaffiorare dall'oblio diffuso questa condizione e di ricostruire/immaginare le tappe che vi hanno condotto.
Il discorso morale contemporaneo è descritto da MacIntyre come il luogo di dissensi incompatibili, incommensurabili, il luogo di dissensi interminabili su questioni di pubblico e pressante interesse. Nella ricostruzione delle tappe storiche MacIntyre va a ritroso, cominciando con la dottrina che secondo lui esprime emblematicamente il disagio contemporaneo in materia morale, l'emotivismo: «L'emotivismo è la dottrina secondo cui tutti i giudizi di valore, e più specificatamente tutti i giudizi morali, ''non sono altro che'' espressioni di una preferenza, espressioni di un atteggiamento o di un sentimento, e appunto in questo consiste il loro carattere di giudizi morali o di valore»<ref>
Quello che è stato descritto come l'io emotivista, che accompagna la condizione contemporanea di frammentazione e arbitrarietà della morale, sostiene MacIntyre, è stato reso possibile da alcuni precisi
«In quel periodo "morale" divenne il nome di quella sfera particolare in cui a regole di condotta che non siano né teologiche, né giuridiche né estetiche è concesso uno spazio culturale autonomo»<ref>
In alcuni esponenti di questa ricostruzione l'autonomia si correla con una concezione individualista, in altri con una universalista, in alcuni si ritiene fondata sul sentimento morale ([[David Hume|Hume]]), in altri sulla ragione ([[Immanuel Kant|Kant]]), in altri ancora sulla scelta ([[Søren Kierkegaard|Kierkegaard]]) ma il rendersi autonomo, lo specializzarsi della morale, è il vero punto: tutti gli autori in questione, pur nelle loro enormi diversità, intendono fondare le regole morali senza ricorrere a criteri rintracciabili altrove che nell'attore morale. È proprio questa riduzione il gesto che prelude al fallimento del progetto illuminista in campo morale, e alla frammentazione che si è descritta come tipica dell'età contemporanea.
La crisi diviene pienamente visibile nel Kierkegaard di ''[[Enten-Eller]]'', in cui la morale sembra avere uno statuto preciso almeno quanto in Kant, come morale del puro dovere, ma manca completamente di “buone ragioni”, si fonda unicamente sulla scelta individuale. La scelta in favore del dovere non è
Andando a ritroso, MacIntyre rintraccia però già in Kant un preludio di consapevolezza della fragilità di un progetto morale totalmente autonomo: egli infatti
Continuando a risalire a ritroso, MacIntyre afferma che «se comprendiamo la scelta kierkegaardiana come un surrogato della ragione kantiana, dobbiamo comprendere anche che Kant stava a sua volta reagendo a un episodio filosofico precedente, che l'appello di Kant alla ragione è stato l'erede e il successore storico degli appelli di Diderot e di Hume al desiderio e alle passioni»<ref>Alastir MacIntyre, ''Dopo la virtù. Saggio di teoria morale'', 2007, Armando Editore, pag. 80.</ref>. L'intenzione di Hume e Diderot non è individualistica né tantomeno relativistica, ma la dottrina ha un nucleo analogo a quello dell'emotivismo contemporaneo, pronto a emergere nella sua portata nichilista non appena venga meno lo sfondo sociale e culturale che sorregge il pacchetto di valori di riferimento (conservatori) e consente la distinzione fra passioni buone e cattive.
L'utilitarismo, prima di [[Jeremy Bentham|Bentham]] e poi di [[John Stuart Mill|Stuart Mill]], rappresenta per MacIntyre la reazione più coerente al fallimento del progetto illuministico: fa ricorso a un criterio apparentemente inconfutabile, radicato nell'individualità concreta e al tempo stesso capace di garantire il buon funzionamento di una collettività, la felicità. Dopo essere stata da Kant esclusa, in quanto movente inadeguato di una morale autonoma, la felicità torna in auge. Il calcolo dei piaceri perseguibili dagli individui viene sottoposto al criterio della crescita complessiva della felicità “oggettiva”, per il maggior numero.
Il tema delle regole, in questo excursus, sembra il vero scopo della riflessione morale. Ma le regole si rivelano in ultima istanza infondate. Ci si può chiedere se invece non sia proprio questo il problema, aver ridotto la morale a una questione di regolamentazione quando probabilmente per le regole sarebbe sufficiente il costume. Invece la vocazione della morale potrebbe essere quella di affrontare l'eccezione, il caso di insufficienza delle regole. La situazione della morale potrebbe essere più simile a quella dell'arte, che dà luogo a forme il cui valore deve poter essere giustificato e condiviso, ma che non possono essere l'esecuzione precisa di regole a priori. Le forme riuscite, nell'arte come nella morale, sono modelli, non regole. La stessa nozione di responsabilità, che ha il suo habitat nel discorso morale, non può reggersi se si appella a un'universalità a priori, eppure guarda all'universalità. Essa riguarda un fare che dà realizzazione a un principio assoluto, ma il principio non è evidente se non nell'atto realizzato.
Dal momento in cui il centro della riflessione morale diviene la regola si fa sempre più difficile cogliere la differenza fra la riflessione morale e l'ingegneria sociale. La ragione, che si inibisce dalla modernità in avanti dall'occuparsi dei fini, delle essenze, dei valori in sé e ne diviene di conseguenza incapace, si auto-riduce all'ambito dei mezzi, dei modi per ottenere risultati, dell'how to do it, dell'efficienza e dell'efficacia. La seconda e non meno importante conseguenza dell'abbandono da parte della ragione dell'ambito dei fini e delle essenze, considerate qualità occulte, o ipotesi metafisiche improprie, è che i valori ultimi, che orientano e che occupano il posto dei fini, decadono a oggetti di scelte arbitrarie, individualissime, libere ma di una libertà non giustificabile. Ciò non toglie che il linguaggio morale rivesta continuamente quella inquietante arbitrarietà di più rassicuranti abiti pseudorazionali. Proprio di questi [[pseudoconcetto|pseudoconcetti]] è fatta la storia della filosofia morale/politica dopo la crisi del progetto illuminista. Sono finzioni come i concetti di utilità, di diritto, di efficienza, di fatto empirico, di competenza.
L'utilitarismo: la parabola da Bentham a Stuart Mill a Sidgwick mostra che la morale fondata sulla psicologia dà luogo all'incommensurabilità dei valori e dei fini. La giustificazione della morale su base individuale, ancorché razionale, sfocia nell'impotenza della ragione a universalizzare come principi i moventi individuali, quindi nell'emotivismo.
La teoria analitica, che in campo morale si propone come teoria dei diritti ([[Ronald Dworkin|Dworkin]]), è un altro esempio di tentativo di far sopravvivere il discorso morale al fallimento del progetto illuminista, fondandolo su premesse minime ma perfettamente razionali perché analitiche. Il problema è che il concetto di diritto appartiene all'ambito dell'universale, è indeducibile analiticamente dai bisogni e dai desideri. È eterogeneo, richiede un contesto di regole condivise che lo riconoscano e lo stabilizzino.
I personaggi che incarnano gli ideali morali della società emotivista: l'esteta, il terapeuta, il manager. A vario titolo essi incarnano l'emotivismo, ne confermano la base teorica, l'abolizione della differenza fra azioni manipolative e non manipolative, la coesistenza schizofrenica di autonomia (arbitrio) e manipolazione, di individualismo e collettivismo.
Il caso della finzione burocratica: fatti, efficienza, competenza, leggi predittive, il mito della spiegazione. L'esclusione della teleologia dalle spiegazioni scientifiche si estende al comportamento umano, provocando una trasformazione del concetto di fatto che lo priva di qualunque riferimento al valore, il fatto è senza valore, occuparsi di questioni di fatto significa liberarli dal fardello delle credenze, delle valutazioni. Se la fede nel controllo sociale efficiente e giustificato, che si avvale di generalizzazioni sui comportamenti umani è illusoria, la figura del manager burocratico neutro moralmente è una mascherata, c'è in realtà una “perpetuazione del fraintendimento”.
Dunque: Nietzsche o Aristotele. In particolare: è vero che possiamo lasciare fuori dall'ambito pubblico, delle regole, la questione di che persone vogliamo diventare? È vero che la neutralità morale è dovuta nelle questioni pubbliche? Ma se questo è vero e Aristotele è irrecuperabile, non rimane che Nietzsche, la volontà senza ragioni altre che se stessa, il rovescio nichilistico della coincidenza di ragione e volontà di Kant.
=== La società eroica ===
Il rango è il cardine che stabilisce doveri e privilegi di ogni uomo con certezza, il suo posto nella società e la sua identità dipendono da parentela e casato.
«Le questioni assiologiche sono questioni di dati di fatto sociali.
L<nowiki>’</nowiki>''[[areté]]'', in seguito tradotta come virtù, «nei poemi omerici è usata per designare
Secondo MacIntyre comunque quando parliamo della “visione greca delle virtù” dobbiamo essere consapevoli che ce n'erano almeno quattro: quella dei sofisti, quella di Platone, quella di Aristotele e quella dei tragici. I sofisti sostengono i concetti di bene, giustizia, virtù come qualità che conducono al successo e alla felicità individuale. Nelle versioni più radicali, come quella di Callicle, questa visione è difficilmente scalzabile. Platone rifiuta che la felicità individuale risieda nell'esercizio di un potere individuale e introduce l'accezione di dikaiosyne come «virtù che assegna a ciascuna parte dell'anima la sua funzione particolare». Concezione (condivisa da Aristotele e poi da Tommaso) che considera virtù e conflitto incompatibili in quanto c'è un ordinamento cosmico delle virtù stesse, e «la verità, nella sfera morale, consiste nella conformità del giudizio morale all'ordine di questo schema». I tragici, Sofocle in particolare, presentano una visione che da un lato ammette il conflitto fra virtù diverse o fra interpretazioni della stessa virtù, ma non rifiuta l'idea dell'ordine cosmico, non rifiuta «la proprietà di essere veri o falsi» ai giudizi morali.
=== L'interpretazione aristotelica delle virtù ===
Aristotele parla di una prassi precisa, inserita in una precisa forma politica, quella della “migliore città stato”, e di questa elabora la forma razionale. Il baricentro dell'intera morale aristotelica è il ragionamento pratico: la premessa maggiore dice che una certa azione è buona per l'uomo, la premessa minore che questo caso rientra nella fattispecie delle azioni descritte nella maggiore, ne consegue l'azione. L'azione dunque può essere vera o falsa. Il motivo risiede nell'intima connessione fra tutti i tasselli del mosaico. L'azione, come il giudizio, si radica nelle convinzioni profonde e condivise riguardo a ciò che è bene, nella conoscenza teoretica dei fini, di ciò che è buono per l'uomo, nella capacità, educata dall'educazione morale/sentimentale di giudicare se il caso in questione rientri nel modello generale. «L'etica di Aristotele presuppone la sua biologia metafisica».
La determinazione di cos'è bene per l'uomo è fondamentale: il telos, il fine dell'uomo non è un possesso, un culmine, un momento di felicità o di prosperità, ma «un'intera vita umana vissuta nel modo migliore, e l'esercizio delle virtù è una parte necessaria e fondamentale di una vita del genere, non un semplice esercizio preparatorio per assicurarsela. Perciò non possiamo dare una caratterizzazione adeguata del bene per l'uomo senza aver fatto riferimento alle virtù». Ci si pongono fini buoni nell'agire in quanto si esercita una virtù, essa conduce alla scelta giusta e all'azione giusta. E la virtù è disposizione che si acquista, coltivabile ed educabile, ad agire ma anche a «sentire» nel modo “giusto”. L'educazione morale è educazione anche sentimentale, che educa le inclinazioni. Il giudizio morale è un giudizio in situazione, non è un giudizio che applichi meccanicamente regole. Leggi e virtù richiedono valutazione in relazione a un bene che viene prima, il bene della comunità e il bene per l'uomo. Il giudizio di ciò che richiede la giustizia nelle circostanze particolari non applica formule statiche ed è definito da Aristotele un agire «kata ton orthón lógon», secondo giusta ragione. È un uso saggio e complesso della ragione che non ha nulla di esecutivo, per questo occorre la phrónesis, la saggezza pratica ed educata. Aristotele – come già Platone - vede in connessione sistematica tutte le virtù: come il telos e il ragionamento pratico come l'azione giusta da compiere in ciascun tempo e luogo particolare».
Dopo aver indicato gli elementi più preziosi della concezione morale aristotelica, M. si pone il problema della loro recuperabilità all'interno di un tempo e di un contesto così radicalmente mutati, e articola il problema in tre punti precisi. È plausibile immaginare di tenere la teleologia aristotelica senza la sua biologia metafisica? E di tenere l'etica in assenza della struttura sociale della polis che la sostiene? E ancora, può esistere un aristotelismo etico senza la concezione armonicista e ostile al conflitto? Su quest'ultimo punto specialmente MacIntyre ravvisa un errore di Aristotele, più che una circostanza storica: Aristotele non ha compreso la condizione conflittuale, lo scontro di bene e male che fa da sfondo alla tragedia greca e l'ha ridotta a espressione contingente e eliminabile di un deficit di conoscenza e di educazione morale dell'eroe rappresentato.
=== Aspetti e situazioni medievali ===
La società medievale appare alle prese con una difficile opera di educazione e civilizzazione, che fa i conti con un insieme composito di stili di vita, ideali, modelli in conflitto. Una società che lavora incessantemente, in assenza di istituzioni stabili (a cominciare dal diritto) ma con
La concezione cristiana introduce virtù inedite, di cui Aristotele non sapeva nulla, la più importante delle quali è la carità; il progetto cristiano ha a disposizione la categoria del perdono oltre a quella della punizione. Da tutte queste esemplificazioni cosa si può ricavare in merito alla questione divenuta irrimandabile di “che cosa è la virtù”? Per ricostruire il concetto unitario di virtù occorre seguire tre piste, che corrispondono ad altrettanti ingredienti imprescindibili della concezione fondamentale della virtù, e di ognuno di questi ingredienti occorre dare
«Per pratica intenderò qualsiasi forma coerente e complessa di attività umana cooperativa socialmente stabilita, mediante la quale valori insiti in tale forma di attività vengono realizzati». Attraverso una pratica così intesa, e solo attraverso di essa, si estendono al contempo «le facoltà umane di raggiungere l'eccellenza» ma anche o soprattutto «le concezioni umane dei fini e dei valori impliciti». Questo è il nodo centrale del concetto di pratica utile per la definizione della virtù: i valori insiti nella pratica, sono altro dai risultati esterni perseguiti attraverso di essa; là dove in una pratica contasse solo il risultato (es. vincere per il gioco degli scacchi) non ci sarebbe alcuna controindicazione nel machiavellismo, cioè nell'usare qualunque mezzo per ottenerlo (es. barare al gioco). Là dove invece di una pratica si comprendano i valori/fini intrinseci, nell'atto stesso di farne esperienza, l'adozione di mezzi estranei e impropri diviene una sconfitta, perché il risultato esterno passa in secondo piano rispetto alla conquista di quei valori. Conquistarli e apprenderli è tutt'uno, e per entrambi gli scopi la pratica in prima persona non è sostituibile con un apprendimento passivo o teorico. Altro elemento fondamentale per le pratiche è la presenza di modelli (i migliori fino a quel momento realizzati) di eccellenza, che comportano l'obbedienza a regole e l'esposizione di chi pratica al giudizio sulla base di quei modelli.
«Nel campo delle pratiche, l'autorità dei valori e dei modelli opera in modo tale da escludere ogni analisi soggettivista ed emotivista del giudizio. De gustibus est disputandum».
La prima definizione della virtù che scaturisce dall'esame delle pratiche è la seguente:
«La virtù è una qualità umana acquisita il cui possesso ed esercizio tende a consentirci di raggiungere quei valori che sono interni alle pratiche, e la cui mancanza ci impedisce effettivamente di raggiungere qualsiasi valore del genere».
«Ogni pratica richiede un certo genere di rapporto fra coloro che vi partecipano»,
Le pratiche non vanno confuse con le istituzioni che le promuovono e le sostengono nel tempo. In genere le istituzioni si occupano dei valori esterni, di procurare e incrementare i mezzi per il perseguimento dei fini. «Gli ideali e la creatività della pratica sono sempre minacciati
Dunque, se consideriamo la politica come una pratica, non possiamo secondo MacIntyre intenderla come
In ottica comunitaria, MacIntyre aspira “alla costruzione di nuove forme di comunità entro cui la vita morale possa essere sostenuta, in modo che sia la civiltà sia la morale abbiano la possibilità di sopravvivere all’epoca incipiente di barbarie e di oscurità”.<ref>{{Cita web|lingua=it|url=https://www.avvenire.it/agora/pagine/addio-al-filosofo-cattolico-macintyre-teorico-del-comunitarismo|titolo=Il pensatore scozzese. Addio al filosofo cattolico MacIntyre, teorico del comunitarismo|sito=www.avvenire.it|data=2025-05-23|accesso=2025-05-28}}</ref>
=== Le virtù, l'unità della vita umana e il concetto di tradizione ===
La separazione è il motto della modernità. L'identità personale sembra fluidificata nei ruoli o blindata per non contaminarsi. Ma il concetto di soggettività inteso come un io unitario in virtù della narrazione continua che va dalla nascita alla morte, non è scomparso. Pensiamo all'io in [[Identità narrativa|forma narrativa]] molto spesso. Per rendere intelligibile un comportamento non ci limitiamo mai a descriverlo isolatamente, ma lo collochiamo in un contesto e in una storia che rendano conto delle intenzioni. Le intenzioni vanno ordinate secondo priorità, in una concatenazione causale e temporale. Le credenze del soggetto sono da mettere in conto. L'esito è un'azione di cui qualcuno può ritenersi responsabile. Dunque, la spiegazione delle azioni umane è sempre una narrazione, e il soggetto ne è sempre attore e autore. L'imprevedibilità è connaturata a questa situazione intricata, la «struttura narrativa della vita umana» è «imprevedibile» e «teleologica» al tempo stesso:
«L'uomo nelle sue azioni e nella sua prassi tanto quanto nelle sue finzioni, è essenzialmente un animale che racconta storie. Non è essenzialmente, ma diventa attraverso la sua storia, un narratore di storie che aspira alla verità [...] La narrazione di storie [è] una parte fondamentale della nostra educazione alle virtù». Quell'unità narrativa ci permette di considerare la vita individuale come una ricerca che ha un telos, di chiederci se è riuscita, che cosa è bene per qualcuno, se sta tendendo verso il proprio compimento.
Nella considerazione della vita individuale da un punto di vista morale e teleologico non può mancare l'orizzonte sociale e culturale nel quale è inserita e dal quale eredita obblighi e aspettative, parti cospicue dell'identità. L'eredità, in una tradizione vivente come quella delle istituzioni che sorreggono le pratiche, viene ridiscussa costantemente, ma per esserlo deve essere riconosciuta.
«Le tradizioni, quando sono vitali, implicano continui conflitti».
Anche per mantenere vitali le tradizioni, che a loro volta sono indispensabili per sorreggere le pratiche, occorrono virtù: «La mancanza di giustizia, la mancanza di veridicità, la mancanza di coraggio, la mancanza delle virtù intellettuali appropriate; tutto questo corrompe le tradizioni, esattamente come corrompe le istituzioni e le pratiche».
=== Dalle virtù alla virtù e dopo la virtù ===
MacIntyre ritorna nelle utili e chiare pagine iniziali del capitolo su tutti i nodi del suo schema interpretativo. Tutto nel campo della morale diventa difficile, in questo quadro in cui
Un'altra caratteristica dominante almeno da Hume in avanti è che al posto delle virtù al plurale si parla di virtù al singolare. Le virtù plurali servivano al conseguimento di un bene condiviso nel suo significato; la virtù al singolare è fine a sé stessa, enigmatica nel suo contenuto, spesso coincidente nell'immaginario sociale con la morigeratezza sessuale, o comunque con il controllo delle passioni e con il “seguire le regole”. La morale è fatta di regole, è obbedienza alle regole, le regole servono a garantire che nelle comunità umane non ci si distrugga a vicenda e si possano perseguire l'utile e il piacevole.
«La sostanza della morale si va facendo sempre più sfuggente. Tale carattere sfuggente trasforma la natura sia della vita privata sia di quella pubblica. Ciò che questo comporta in particolare per la vita pubblica dipende dalla sorte della concezione di una specifica virtù, quella della giustizia».
=== La giustizia come virtù: mutamento di concezioni ===
Le regole nascono per tutelare diritti (e ogni regola li limita, spesso
Due teorie della giustizia sono più rilevanti al tempo della redazione del saggio, quella di Robert Nozick e quella di John Rawls (rispettivamente contenute in ''Anarchy, State and Utopie'', del 1974, e in ''A
Osserva MacIntyre che le due concezioni, così diverse e sostanzialmente incompatibili, hanno in comune anzitutto l'impossibilità razionale di far riferimento al concetto di merito e poi il fatto che gli individui pensati da entrambe le teorie sono immaginati entrare a far parte di una società come se questa fosse un semplice insieme di regole. Partono da considerazioni razionali che fanno capo ai loro interessi privati, da preservare e da considerare come limiti invalicabili nei confronti dei vincoli (le regole) reciproci che è ammissibile imporsi.
La critica allo Stato moderno è dunque l'ultima parola di MacIntyre, non in un'accezione anarchica, perché non viene affatto respinta «l'idea che certe forme di governo siano necessarie e legittime», ma in funzione della difesa e della riproposizione di quella tradizione delle virtù che è risultata incompatibile con l'ordinamento politico moderno, con la sua sostanziale sovrapposizione con il mercato e i suoi valori e con l'individualismo.
=== Dopo la virtù: Nietzsche o Aristotele, Trotzkij e San Benedetto ===
Nietzsche non vince contro Aristotele, e neppure rappresenta una vera alternativa
Perché Trotzskij e San Benedetto? Perché in conclusione del capitolo e del libro MacIntyre affronta rapidamente il tema del marxismo, già più volte accennato nel corso della trattazione, per sostenere che esso, pur avendo rappresentato «una delle più ricche fonti di idee sulla società moderna», come tradizione politica sia esaurito (e Trotzskij lo ha reso manifesto con il suo pessimismo rispetto alla possibilità che dal capitalismo avanzato e dal suo fallimento potessero scaturire le condizioni per un futuro migliore). In sostanza tutte le tradizioni politiche interne alla nostra cultura sono esaurite. La situazione somiglia a quella dei secoli bui del declino
==
* {{Cita libro
|titolo = Marxism: An Interpretation
|editore = SCM Press
|città = Londra
|anno = 1953
|lingua = inglese
}}
* {{Cita libro
|titolo = New Essays in Philosophical Theology
|curatore = Alasdair MacIntyre e Anthony Flew
|editore = SCM Press
|città = Londra
|anno = 1955
|lingua = inglese
}}
* {{Cita libro
|titolo = The Unconscious: A Conceptual Analysis
|editore = Routledge & Kegan Paul
|città = Londra
|anno = 2004
|annooriginale = 1958
|lingua = inglese
}}
* {{Cita libro
|titolo = Difficulties in Christian Belief
|editore = SCM Press
|città = Londra
|anno = 1959
|lingua = inglese
}}
* {{Cita libro
|titolo = Hume's Ethical Writings
|editore = Collier
|città = New York
|anno = 1965
|lingua = inglese
}}
* {{Cita libro
|titolo = A Short History of Ethics
|editore = Macmillan
|città = New York
|anno = 1998
|annooriginale = 1966
|edizione = 2ª ed.
|lingua = inglese
}}
* {{Cita libro
|titolo = Secularization and Moral Change
|editore = Oxford University Press
|anno = 1967
|lingua = inglese
}}
* {{Cita libro
|titolo = The Religious Significance of Atheism
|autore = Alasdair MacIntyre e Paul Ricoeur
|editore = Columbia University Press
|città = New York
|anno = 1969
|lingua = inglese
}}
* {{Cita libro
|titolo = Herbert Marcuse: An Exposition and a Polemic
|url = https://archive.org/details/herbertmarcuseex00maci
|editore = The Viking Press
|città = New York
|anno = 1970
|lingua = inglese
}}
* {{Cita libro
|titolo = Against the Self-Images of the Age: Essays on Ideology and Philosophy
|editore = Duckworth
|città = Londra
|anno = 1971
|lingua = inglese
}}
* {{Cita libro
|titolo = After Virtue
|editore = University of Notre Dame Press
|anno = 2007
|annooriginale = 1981
|edizione = 3ª ed.
|lingua = inglese
}}
* {{Cita libro
|titolo = Whose Justice? Which Rationality?
|editore = University of Notre Dame Press
|anno = 1988
|lingua = inglese
}}
* {{Cita libro
|titolo = Three Rival Versions of Moral Enquiry
|editore = University of Notre Dame Press
|anno = 1990
|collana = The Gifford Lectures
|lingua = inglese
}}
* {{Cita libro
|titolo = Marxism and Christianity
|editore = Duckworth
|città = Londra
|anno = 1995
|edizione = 2ª ed.
|lingua = inglese
}}
* {{Cita libro
|titolo = The MacIntyre Reader
|curatore = Kelvin Knight
|editore = University of Notre Dame Press
|anno = 1998
|lingua = inglese
}}
* {{Cita libro
|titolo = Dependent Rational Animals: Why Human Beings Need the Virtues
|editore = Open Court
|città = Chicago
|anno = 1999
|lingua = inglese
}}
* {{Cita libro
|titolo = Edith Stein: A Philosophical Prologue, 1913–1922
|editore = Rowman & Littlefield Publishers
|anno = 2005
|lingua = inglese
}}
* {{Cita libro
|titolo = The Tasks of Philosophy: Selected Essays, Volume 1
|editore = Cambridge University Press
|anno = 2006
|lingua = inglese
}}
* {{Cita libro
|titolo = Ethics and Politics: Selected Essays, Volume 2
|editore = Cambridge University Press
|anno = 2006
|lingua = inglese
}}
* {{Cita libro
|titolo = Alasdair MacIntyre's Early Marxist Writings: Essays and Articles 1953–1974
|curatore = Paul Blackledge e Neil Davidson
|editore = Brill
|anno = 2008
|lingua = inglese
}}
* {{Cita libro
|titolo = God, Philosophy, Universities: A History of the Catholic Philosophical Tradition
|editore = Continuum
|città = Londra
|anno = 2009
|lingua = inglese
}}
* {{Cita libro
|titolo = Ethics in the Conflicts of Modernity: An Essay on Desire, Practical Reasoning, and Narrative
|editore = Cambridge University Press
|anno = 2016
|lingua = inglese
}}
===In italiano===
* {{Cita libro
|titolo = Dopo la virtù. Saggio di teoria morale
|titolooriginale = After Virtue
|curatore = M. D'Avenia
|traduttore =
|editore = Armando Editore
|città = Roma
|anno = 2007
|annooriginale = 1981
|collana = Studi di filosofia
|edizione = 2ª ed.
|ISBN = 9788883589218
}}
* {{Cita libro
|titolo = Marxismo e cristianesimo
|titolooriginale = Marxism and Christianity
|traduttore = C. Scarpa
|editore = NovaEuropa Edizioni
|città = Roma
|anno = 2019
|ISBN = 8885242200
}}
== Note ==
<references/>
==
{{interprogetto}}
== Collegamenti esterni ==
* {{Collegamenti esterni}}
* {{SEP|ethics-virtue|Virtue Ethics|Rosalind Hursthouse, Glen Pettigrove}}
* {{cita web|autore=Christopher Stephen Lutz|url=https://www.iep.utm.edu/mac-over/|titolo=Alasdair Chalmers MacIntyre (1929— )|sito=Internet Encyclopedia of Philosophy|lingua=en}}
* {{cita web|autore=Ted Clayton|url=https://www.iep.utm.edu/p-macint/|titolo=Political Philosophy of Alasdair MacIntyre|sito=Internet Encyclopedia of Philosophy|lingua=en}}
{{Controllo di autorità}}
{{Portale|biografie|Filosofia}}
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