Eccidio dell'ospedale psichiatrico di Vercelli: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Ennesimo uso di militi a sproposito. Si preferisca un più neutrale militari o fascisti
Etichette: Modifica visuale Modifica da mobile Modifica da web per mobile
 
(322 versioni intermedie di 83 utenti non mostrate)
Riga 1:
{{Incidente
{{P|Voce basata in parte su fonti palesemente schierate e di dubbia rilevanza storiografica. Accentuazioni non neutrali da modificare.|storia|dicembre 2010}}
|titolo = Eccidio dell'ospedale psichiatrico di Vercelli
{{Strage
|titoloimmagine =Eccidio dell'ospedaleOspedale psichiatrico di Vercelli.JPG
|immaginedidascalia =Ospedale L'ospedale psichiatrico di Vercelli.JPG
|nazione = ITA 1861-1946
|didascalia=L'ospedale psichiatrico di Vercelli
|tipo = Esecuzioni sommarie
|nazione=ITA
|luogo = [[Vercelli]] e provincia
|data =[[12 maggio|12]]-[[13 maggio]] [[1945]]
|vittime = Membri della [[Guardia Nazionale Repubblicana|GNR]] e delle [[Brigate Nere]] (da 51 a 65, a seconda delle fonti)<ref name=numerovittime>La questura di Vercelli pubblicò un elenco di 51 nomi di fascisti uccisi: questo è il numero presente, per esempio, in {{cita|Uboldi|p. 324}}. {{cita|Bermani|p. 330}}, riporta invece il numero di 62 fascisti prelevati dal campo di concentramento di [[Novara]], lasciando intendere che tutti furono eliminati. 65 sono invece le vittime indicate in {{cita|Pansa 2003|p. 83}}, sulla base di quanto comunicato all'autore dal ricercatore Pierangelo Pavesi.</ref>
|obiettivo=
|esecutori = [[Resistenza italiana|Partigiani]] della 182ª Brigata Garibaldi "Pietro Camana"
|ora=
|motivazione = Ritorsione<ref name=pavone492>{{cita|Pavone|p. 492}}.</ref><ref name=ambrosio>Piero Ambrosio, ''[http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/insurrezionevc.html L'insurrezione in provincia di Vercelli. Brevi cenni] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20210916150753/http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/insurrezionevc.html |date=16 settembre 2021 }}'', dal sito dell'Istituto per la Storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli.</ref>
|tipologia=Esecuzioni sommarie
|evento =
|vittime=Militi fascisti della [[Guardia Nazionale Repubblicana|GNR]] e delle [[Brigate Nere]] (da 51 a 65, a seconda delle fonti)<ref name="numerovittime">La questura di Vercelli pubblicò un elenco di 51 nomi di fascisti uccisi: questo è il numero presente, per esempio, in {{cita|Uboldi|p. 324}}. {{cita|Bermani|p. 330}}, riporta invece il numero di 62 fascisti prelevati dal campo di concentramento di [[Novara]], lasciando intendere che tutti furono eliminati. 65 sono invece le vittime indicate in {{cita|Pansa|p. 83}}, sulla base di quanto comunicato all'autore dal ricercatore Pierangelo Pavesi.</ref>
|feriti=
|esecutori=Partigiani della 182ª Brigata Garibaldi "Pietro Camana"
|sospetti=
|motivazione=Ritorsione
}}
Con L{{'}}''Eccidio'eccidio dell'ospedale psichiatrico di Vercelli''' si intendefu l'esecuzione sommaria ad opera di alcuni [[Resistenza italiana|partigiani]] della 182ª [[Brigate Garibaldi|Brigata Garibaldi]] "[[Pietro Camana]]" di un gruppo di militi della [[Repubblica Sociale Italiana]] (RSI) prelevati daldallo campo[[Stadio diEnrico prigioniaPatti|stadio di Novara]], allora adibito a campo di concentramento.<ref name="bermani330">{{cita|Bermani|p. 330}}.</ref>. Secondo le diverse fonti, i militifurono uccisi furono tra i cinquantuno e sessantacinque fascisti.<ref name="numerovittime"/>. L'eccidio ebbe luogo in parte nel comune di [[Vercelli]] e in parte nel comune di [[Greggio (Italia)|Greggio]] tra il [[12 maggio|12]] ed il [[13 maggio]] [[1945]]. La memoria dell'evento fu per decenni tramandata quasi unicamente dai reduci della RSI: solo in anni più recenti alcuni storici hanno ripreso il tema, oggi ricostruito in modo sufficientemente esauriente nelle sue linee generali, pur differendo in alcuni particolari a seconda delle fonti.
 
== Le fonti ==
La prima trattazione storiografica dell'eccidio di Vercelli fu quella di [[Domenico Roccia]] – partigiano e rappresentante del [[Partito d'Azione]] presso la commissione per l'epurazione istituita dal [[Comitato di Liberazione Nazionale|CLN]] locale – che nella sua opera ''Il Giellismo Vercellese'' del 1949 pubblicò i nomi delle vittime, oltre a stralci del diario di un tenente della [[Brigate Nere|Brigata Nera]] "Bruno Ponzecchi" detenuto allo stadio di Novara.<ref>{{cita|Roccia|pp. 218-224}}.</ref>
L'eccidio di Vercelli per molti anni non è stato trattato dagli storici. Le notizie sui fatti rimasero quindi riportate nelle fonti di polizia, giudiziarie e parlamentari, oltre che in articoli giornalistici: alcuni di essi risalenti ancora alla fine degli [[anni quaranta]],<ref>{{Cita|Bermani|p. 330}}, cita un articolo de ''[[Il Tempo]]'' del 22 novembre 1949.</ref> altri invece scritti in occasione delle varie richieste di [[autorizzazione a procedere]] nei confronti di alcuni personaggi accusati dell'eccidio, in seguito divenuti [[Parlamento della Repubblica Italiana|parlamentari]].<ref>A titolo d'esempio si vedano: {{Cita news|url = http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/action,page/id,0042_01_1949_0276_0001_24762360&s=1fa47c8076f379bd10b41495c63de39b|titolo = Richiesta di autorizzazione a procedere contro i deputati Moranino e Ortona|pubblicazione = [[La Stampa]]|giorno = 22|mese = novembre|anno = 1949|pagina = 1}}; {{Cita news|url = http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/action,page/id,0057_01_1955_0238_0007_14229607&s=1fa47c8076f379bd10b41495c63de39b|titolo = Autorizzazione a procedere centro gli on.li Moranino e Ortona|pubblicazione = [[La Stampa]]|giorno = 7|mese = ottobre|anno = 1955|pagina = 7}}</ref>
 
In seguito, per anni, l'argomento non fu trattato dagli storici. Le notizie sui fatti rimasero quindi riportate nelle fonti di polizia, giudiziarie e parlamentari, oltre che in articoli giornalistici: alcuni di essi risalenti ancora alla fine degli [[anni 1940|anni quaranta]],<ref>{{cita|Bermani|p. 330}}, cita un articolo de ''[[Il Tempo]]'' del 22 novembre 1949.</ref> altri invece scritti in occasione delle varie richieste di [[autorizzazione a procedere]] nei confronti degli ex comandanti partigiani accusati dell'eccidio, nel frattempo divenuti [[Deputato della Repubblica Italiana|deputati]].<ref>A titolo d'esempio si vedano: {{Cita news|url = http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/action,page/id,0042_01_1949_0276_0001_24762360&s=1fa47c8076f379bd10b41495c63de39b|titolo = Richiesta di autorizzazione a procedere contro i deputati Moranino e Ortona|pubblicazione = [[La Stampa]]|giorno = 22|mese = novembre|anno = 1949|pagina = 1}}; {{Cita news|url = http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/action,page/id,0057_01_1955_0238_0007_14229607&s=1fa47c8076f379bd10b41495c63de39b|titolo = Autorizzazione a procedere centro gli on.li Moranino e Ortona|pubblicazione = [[La Stampa]]|giorno = 7|mese = ottobre|anno = 1955|pagina = 7}}</ref> Inoltre, ne fecero menzione il giornalista e scrittore [[Giampaolo Pansa]] nel suo ''La Resistenza in Piemonte: guida bibliografica 1943-1963'' pubblicato nel [[1965]],<ref>Pansa nella sua guida bibliografica cataloga un discreto numero di fonti giornalistiche tra cui alcuni articoli de ''Il Popolo Nuovo'' di Torino e de ''La Verità'' di Vercelli. Nel capitolo intitolato ''La liberazione di Vercelli'' cita un articolo di Tino Morbelli dal titolo ''Svelato il mistero dell'Ospedale Psichiatrico'', (''La Verità'', Vercelli, 8 giugno 1946, pp. 1-2), aggiungendo che in esso vi fossero «i nomi dei 64 fascisti repubblicani fucilati all'ospedale di Vercelli dopo la liberazione e l'elenco degli scampati.» Vedi {{cita|Pansa 1965|p. 127}}.</ref> ed il giornalista storico [[Giorgio Pisanò]], reduce della [[Repubblica Sociale Italiana|RSI]], in ''Storia della guerra civile in Italia'' del 1972.<ref>Giorgio Pisanò, ''Storia della guerra civile in Italia'', Milano, FPE, 1972, p. 1640: [...] nessun processo venne mai intentato a Moranino e Ortona responsabili, tra l'altro, anche dello spaventoso massacro dell'ospedale psichiatrico di Vercelli, dove, settanta fascisti vennero massacrati con inaudita ferocia sotto le ruote di camion in movimento nel cortile dell'edificio". Il numero di settanta morti è ritenuto non documentato – così come tutti i dati relativi ai fascisti uccisi in provincia di Vercelli forniti da Pisanò – da Piero Ambrosio, ''[http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/insurrezionevc.html L'insurrezione in provincia di Vercelli. Brevi cenni] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20210916150753/http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/insurrezionevc.html |date=16 settembre 2021 }}, op. cit.'', [http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/noteinsurrezionevc.html#42 nota 42] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20100421082232/http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/noteinsurrezionevc.html#42 |date=21 aprile 2010 }}.</ref>
Solo molti anni dopo vennero elaborate alcune ricostruzioni. Nel 1991 [[Claudio Pavone]] ne parlò nel suo ''Una guerra civile''<ref name="pavone492">{{cita|Pavone|p. 492}}.</ref>. Nel [[1996]], l'Istituto per la Storia della Resistenza e della società contemporanea di Vercelli "[[Cino Moscatelli]]"<ref>Successivamente alla creazione della [[provincia di Biella]], l'Istituto ha modificato la propria denominazione aggiungendo anche il nome di Biella.</ref> mandò alle stampe il terzo volume di un'opera di [[Cesare Bermani]] sulla storia delle Brigate Garibaldi in [[Valsesia]], all'interno del quale venne ricostruita quella che viene chiamata "la vicenda di Vercelli".<ref>{{Cita|Bermani|pp. 329-330}}.</ref> Il giornalista e scrittore [[Giampaolo Pansa]] riportò l'episodio in alcune pagine del suo ''[[Il sangue dei vinti]]'', citando espressamente come sue fonti il già menzionato Bermani e Pierangelo Pavesi, un giornalista vicino alle associazioni reducistiche della RSI che nel 2002 aveva pubblicato la prima edizione de ''La colonna Morsero''. Nel 2004, il giornalista e scrittore Raffaello Uboldi scrisse dell'eccidio di Vercelli nel saggio ''25 aprile 1945. I giorni dell'odio e della libertà'', chiamando l'episodio "strage dell'ospedale psichiatrico di Vercelli".<ref>{{cita|Uboldi|p. 324}}.</ref>
 
Nel 1991 lo storico ed ex-partigiano [[Claudio Pavone]] ne scrisse nel suo ''[[Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza]]''.<ref name=pavone492/> Nel [[1996]], l'Istituto per la Storia della Resistenza e della società contemporanea di Vercelli "[[Cino Moscatelli]]"<ref>Successivamente alla creazione della [[provincia di Biella]], l'Istituto ha modificato la propria denominazione aggiungendo anche il nome di Biella.</ref> mandò alle stampe il terzo volume di un'opera di [[Cesare Bermani]] sulla storia delle Brigate Garibaldi in [[Valsesia]], all'interno del quale venne ricostruita quella che viene chiamata "la vicenda di Vercelli".<ref>{{cita|Bermani|pp. 329-330}}.</ref>
==Contesto storico==
===La guerra di liberazione nella provincia di Vercelli===
[[File:Minacce della Tagliamento (Borgosesia 22-12-1943).jpg|200px|thumb|right|Minaccia di fucilare tutto il paese della [[Legione Tagliamento]]<ref>La minaccia è tracciata su una serranda in seguito all'[[eccidio di Borgosesia]], ivi consumato il [[22 dicembre]] [[1943]].</ref>]]
 
Giampaolo Pansa nel 2003 riportò l'episodio in alcune pagine del suo ''[[Il sangue dei vinti]]'', citando espressamente come sue fonti il già menzionato Bermani e Pierangelo Pavesi, un giornalista vicino alle associazioni reducistiche della RSI che nel 2002 aveva pubblicato la prima edizione de ''La Colonna Morsero''. L'anno successivo, il giornalista e scrittore Raffaello Uboldi scrisse dell'eccidio di Vercelli nel saggio ''25 aprile 1945. I giorni dell'odio e della libertà'', chiamando l'episodio "strage dell'ospedale psichiatrico di Vercelli".<ref>{{cita|Uboldi|p. 324}}.</ref>
Nella provincia di Vercelli<ref>Oggi il territorio è suddiviso fra le province di Biella e Vercelli.</ref><ref>Il paragrafo è un sunto di Piero Ambrosio, ''[http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/brevestoria.html La Resistenza in provincia di Vercelli. Brevi cenni]'', dal sito dell'Istituto per la Storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli.</ref>, la prima azione partigiana nell'ambito della [[guerra di liberazione italiana|guerra di liberazione]] risale al [[2 dicembre]] [[1943]] quando fu attaccato il presidio della [[MVSN]] di [[Varallo]] e i fascisti riportarono il loro primo caduto<ref>''[http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/provvcrsi.html]'', dal sito dell'Istituto per la Storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli.:"Il 2 dicembre un reparto di camicie nere inviato a Varallo, per presidiare una zona che stava diventando "nevralgica", era stato attaccato poco dopo il suo arrivo ed i fascisti avevano avuto in quell'occasione il loro primo soldato caduto in provincia, il caposquadra della Milizia Leandro Guida"</ref> e al [[10 dicembre]] con un nuovo attacco contro i fascisti impegnati a reprimere uno sciopero a [[Tollegno]]. L'[[11 dicembre]] fu invece ucciso dai partigiani il commissario del [[PFR]] di [[Ponzone]] [[Bruno Ponzecchi]]<ref>''[http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/provvcrsi.html]'', dal sito dell'Istituto per la Storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli.:"La sera dell'11, a Ponzone, era stato ucciso dai partigiani il locale commissario del fascio, Bruno Ponzecchi, il primo fascista della zona caduto"</ref> Le azioni partigiane furono la premessa e si accompagnarono agli scioperi generali delle maestranze del Biellese e della Valsesia<ref>Piero Ambrosio, ''[http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/brevestoria.html La Resistenza in provincia di Vercelli. Brevi cenni op. cit]'': "La prima vera azione di guerra ebbe luogo a Varallo dove, il 2 dicembre, i garibaldini del distaccamento "Gramsci", comandato da Cino Moscatelli, attaccarono un contingente di camicie nere accasermato nel Municipio: i fascisti ebbero un morto, i partigiani alcuni feriti. Pochi giorni dopo, il 10 dicembre, i garibaldini biellesi attaccarono i fascisti che stavano deportando alcuni operai colpevoli di avere organizzato uno sciopero alla Filatura di Tollegno.
Queste azioni furono la premessa di un deciso intervento dei partigiani in appoggio agli scioperi che cominciarono a svilupparsi in Valsessera a partire dal [[15 dicembre]], e che sfociarono nello sciopero generale delle maestranze del Biellese e della Valsesia".</ref>. Il [[19 dicembre]] fu fatta affluire a [[Vercelli]] la [[Legione Tagliamento]], che fin dai primi giorni, tramite l'affissione di bandi, minacciò la fucilazione di dieci ostaggi per ogni uccisione di militi della [[Repubblica Sociale Italiana|RSI]] o di soldati tedeschi. La minaccia fu attuata la prima volta a [[Borgosesia]] il [[22 dicembre]], a seguito dell'uccisione il giorno precedente di due militi della Legione<ref>Piero Ambrosio, ''[http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/borgosesia.html]'', dal sito dell'Istituto per la Storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli.:"Infine la minaccia contenuta nel bando: “l’uccisione di un militare della Guardia Nazionale Repubblicana o di ogni altro agente della forza pubblica o di un militare germanico costerà la vita a 10 individui del luogo” fu attuata in seguito all’uccisione avvenuta a [[Borgosesia]] il 21 dicembre di (non uno ma) due militi del 63° battaglione"</ref>. La Legione si rese inoltre colpevole di massacri, incendi e saccheggi fin dai primi giorni di attività nella provincia<ref>Piero Ambrosio, ''[http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/brevestoria.html La Resistenza in provincia di Vercelli. Brevi cenni op. cit]'': "Le azioni partigiane e gli scioperi richiamarono l'attenzione delle "autorità" della Repubblica di Salò su quanto stava avvenendo in queste zone. [...] venne inviato a Vercelli, e successivamente in Valsesia e nel Biellese, il 63º battaglione "Tagliamento" che si rese responsabile di efferati massacri, incendi, saccheggi fin dai primi giorni della sua attività nella nostra provincia".</ref>. La guerra partigiana nel Vercellese fu caratterizzata dalla presenza in zona di molteplici unità partigiane, che s'impegnarono non solo nelle classiche azioni di guerriglia locale, ma anche in operazioni di scontri in montagna e in pianura in campo aperto, con alcuni successi locali, alternati a sconfitte<ref>A titolo d'esempio fra le sconfitte si pensi alla cosiddetta "Caporetto di Alagna" (luglio 1944), quando le forze partigiane liberarono la Valsesia e la Valsassera per un breve periodo, per poi essere battute ad Alagna, si piedi del Monte Rosa. In merito Piero Ambrosio, ''[http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/brevestoria.html La Resistenza in provincia di Vercelli. Brevi cenni op. cit]''</ref>. Oltre a ciò, le forze partigiane tentarono di liberare alcune zone della provincia, venendo a costituire delle vere e proprie [[enclave]] all'interno del territorio controllato dai fascisti e dai tedeschi: è il caso per esempio della [[Repubblica della Valsesia]] e della [[Valsessera]], libere fra giugno e luglio del 1944 e poi – la seconda – da marzo del 1945. L'ultimo eccidio perpetrato dai fascisti in provincia ebbe luogo il [[9 marzo]] [[1945]] a [[Salussola]], con l'uccisione di ventuno partigiani<ref>Piero Ambrosio, ''[http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/brevestoria.html La Resistenza in provincia di Vercelli. Brevi cenni op. cit]'', "Il 9 marzo, a Salussola, avvenne l'ultimo eccidio perpetrato dai fascisti: dopo orrende torture, ventun partigiani furono fucilati. In risposta il Cln di Biella ordinò lo sciopero generale di protesta [...] che si effettuò imponente in tutte le fabbriche".</ref>.
 
== Contesto storico ==
===L'ultimo mese di guerra nel Vercellese===
=== La guerra di liberazione nella provincia di Vercelli ===
Verso la metà di aprile del 1945 i tedeschi e i fascisti disponevano nel Biellese e nel Vercellese di circa 4.500 uomini, ai quali i partigiani opponevano nella zona chiamata militarmente "Biellese" – comprendente però anche Vercelli e dintorni – sei brigate garibaldine, una brigata [[Giustizia e Libertà|gielle]], una brigata di polizia<ref>La brigata di polizia partigiana fu un ''unicum'' del Biellese: venne formata nel gennaio del 1944, col principale compito di garantire l'ordine interno alle altre brigate operanti in zona, perseguendo i reati compiuti dai partigiani, e di tenere i rapporti con la popolazione civile (si veda «La brigata di polizia partigiana nel Biellese. Intervista di Gladys Motta a Ezio Peraldo», in ''L'impegno'', anno V, n. 4, dicembre 1985).</ref> e due brigate [[Squadre di Azione Patriottica|SAP]]<ref>Tutto l'inquadramento storico del paragrafo è tratto per riassunto da {{cita|Angeli|pp. 475-488}}.</ref>. Il 18 aprile a Biella vi furono alcune azioni isolate di [[sciopero]]: nonostante una pronta reazione delle autorità fasciste della zona – capeggiate dal Capo della Provincia<ref>I prefetti avevano assunto questa nuova denominazione nella Repubblica Sociale Italiana a novembre del 1943.</ref> [[Michele Morsero]] – il giorno successivo lo sciopero divenne di massa, espandendosi anche nella [[Valle di Mosso]] e in Valsessera – già zona libera dal marzo precedente – dove si svolse un'imponente manifestazione popolare, nel corso della quale parlarono i comandanti partigiani [[Francesco Moranino]] e [[Cino Moscatelli]]. L'astensione dal lavoro durò fino al 20 aprile, per poi lentamente rientrare<ref>{{cita|Angeli|pp. 475-479}}, "Il 20, alle 10.30, il commissario prefettizio di Biella telefonò al capo della provincia, riferendo che il lavoro era ripreso "adagino, ma in modo quasi normale", anche se si erano verificate delle incomprensioni: un tram carico di operai era stato rimandato indietro ad un posto di blocco; altri operai avevano trovato l'ingresso dello stabilimento chiuso perché era assente l'ufficiale addetto al posto di blocco, che teneva la chiave in tasca, ed erano quindi stati rimandati a casa; operai residenti nelle zone in cui vi erano state azioni di rastrellamento erano sottoposti al coprifuoco fino alle 6 del 21; diversi stabilimenti erano fermi per mancanza di energia; altri infine non avevano potuto riprendere il lavoro perché si erano presentati operai in numero insufficiente".</ref>.
[[File:Minacce della Tagliamento (Borgosesia 22-12-1943).jpg|thumb|Minacce di rappresaglie della [[Legione Tagliamento]]<ref>La minaccia fu tracciata su una serranda in seguito all'[[eccidio di Borgosesia]], ivi consumato il 22 dicembre [[1943]].</ref>]]
 
Nella provincia di Vercelli,<ref>Oggi il territorio è suddiviso fra le province di Biella e Vercelli.</ref><ref>Il paragrafo è un sunto di Piero Ambrosio, ''[http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/brevestoria.html La Resistenza in provincia di Vercelli. Brevi cenni] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20111120022113/http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/brevestoria.html |date=20 novembre 2011 }}'', dal sito dell'Istituto per la Storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli.</ref> la prima azione partigiana nell'ambito della [[guerra di liberazione italiana|guerra di liberazione]] fu l'attacco sferrato il 2 dicembre [[1943]] contro un presidio di [[Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale|camicie nere]] a [[Varallo]], in seguito al quale i fascisti riportarono il loro primo caduto nella zona.<ref>Piero Ambrosio, ''[http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/provvcrsi.html La provincia di Vercelli durante la Rsi. Cenni storici] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20080413062057/http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/provvcrsi.html |date=13 aprile 2008 }}'', dal sito dell'Istituto per la Storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli: "Il 2 dicembre un reparto di camicie nere inviato a Varallo, per presidiare una zona che stava diventando "nevralgica", era stato attaccato poco dopo il suo arrivo ed i fascisti avevano avuto in quell'occasione il loro primo soldato caduto in provincia, il caposquadra della Milizia Leandro Guida".</ref> Il 10 dicembre fu ucciso un secondo fascista, impegnato col suo reparto a reprimere uno sciopero a [[Tollegno]]. Il giorno successivo fu invece ucciso dai partigiani il commissario del [[Partito Fascista Repubblicano]] di [[Trivero|Ponzone di Trivero]], Bruno Ponzecchi.<ref>Piero Ambrosio, ''[http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/provvcrsi.html La provincia di Vercelli durante la Rsi. Cenni storici] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20080413062057/http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/provvcrsi.html |date=13 aprile 2008 }}, op. cit.'': "La sera dell'11, a Ponzone, era stato ucciso dai partigiani il locale commissario del fascio, Bruno Ponzecchi, il primo fascista della zona caduto".</ref> Tali azioni partigiane furono la premessa e si accompagnarono agli scioperi generali delle maestranze del Biellese e della Valsesia.<ref>Piero Ambrosio, ''[http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/brevestoria.html La Resistenza in provincia di Vercelli. Brevi cenni] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20111120022113/http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/brevestoria.html |date=20 novembre 2011 }}, op. cit.'': "La prima vera azione di guerra ebbe luogo a Varallo dove, il 2 dicembre, i garibaldini del distaccamento "Gramsci", comandato da Cino Moscatelli, attaccarono un contingente di camicie nere accasermato nel Municipio: i fascisti ebbero un morto, i partigiani alcuni feriti. Pochi giorni dopo, il 10 dicembre, i garibaldini biellesi attaccarono i fascisti che stavano deportando alcuni operai colpevoli di avere organizzato uno sciopero alla Filatura di Tollegno. Queste azioni furono la premessa di un deciso intervento dei partigiani in appoggio agli scioperi che cominciarono a svilupparsi in Valsessera a partire dal 15 dicembre, e che sfociarono nello sciopero generale delle maestranze del Biellese e della Valsesia".</ref>
Frattanto, il 19 aprile, tedeschi e fascisti avevano scatenato un'ultima offensiva contro le formazioni partigiane, allo scopo di aprirsi una via di fuga e di bloccare la preparazione dell'insurrezione. L'attacco concentrico, da Biella e Ivrea, coinvolse la 75ª Brigata "Maffei", la 76ª e la 183ª Brigata della VII Divisione Garibaldina "Aosta" e un reparto della 182ª Brigata "Camana". Dopo aspri scontri, all'alba del 24 aprile i tedeschi lasciarono Biella, paralizzata dallo sciopero insurrezionale, mentre i fascisti rimasero in città fino a quando, a seguito di lunghe trattative col comando partigiano, venne loro concesso di lasciarla: una colonna fascista composta dai battaglioni "Pontida" e "Montebello" della [[Guardia Nazionale Repubblicana]] e da alcuni reparti delle [[Brigate Nere]] si mosse quindi in direzione di Vercelli fra le 14:00 e le 16:00. Il 25 aprile, Biella rese omaggio ai partigiani nella città liberata<ref>{{cita|Angeli|pp. 481-483}}.</ref>.
 
Il 19 dicembre fu fatta affluire a [[Vercelli]] la [[Legione Tagliamento]], che tramite l'affissione di bandi minacciò la fucilazione di dieci ostaggi per ogni milite della [[Repubblica Sociale Italiana|RSI]] o soldato tedesco ucciso. La minaccia fu attuata la prima volta a [[Borgosesia]] il 22 dicembre, a seguito dell'uccisione il giorno precedente di due militi del 63º Battaglione "M".<ref>Piero Ambrosio, ''[http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/borgosesia.html La provincia di Vercelli durante la Rsi. Cenni storici] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20150924110746/http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/borgosesia.html |date=24 settembre 2015 }}, op. cit.'': "Infine la minaccia contenuta nel bando: "l'uccisione di un militare della Guardia Nazionale Repubblicana o di ogni altro agente della forza pubblica o di un militare germanico costerà la vita a 10 individui del luogo" fu attuata in seguito all'uccisione avvenuta a [[Borgosesia]] il 21 dicembre di (non uno ma) due militi del 63º battaglione". Del reparto faceva parte anche lo scrittore [[Carlo Mazzantini (scrittore)|Carlo Mazzantini]] (padre della scrittrice [[Margaret Mazzantini|Margaret]]), che rievocherà l'intera vicenda nel suo ''A cercar la bella morte'', Venezia, Marsilio 1995, pp. 74 ss.</ref> La Tagliamento si rese inoltre colpevole di massacri, incendi e saccheggi fin dai primi giorni di attività nella provincia.<ref>Piero Ambrosio, ''[http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/brevestoria.html La Resistenza in provincia di Vercelli. Brevi cenni] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20111120022113/http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/brevestoria.html |date=20 novembre 2011 }}, op. cit.'': "Le azioni partigiane e gli scioperi richiamarono l'attenzione delle "autorità" della Repubblica di Salò su quanto stava avvenendo in queste zone. [...] venne inviato a Vercelli, e successivamente in Valsesia e nel Biellese, il 63º battaglione "Tagliamento" che si rese responsabile di efferati massacri, incendi, saccheggi fin dai primi giorni della sua attività nella nostra provincia".</ref>
Le forze partigiane decisero quindi di convergere su Vercelli, passando prevalentemente per le località di [[Cavaglià]] e [[Santhià]] (liberata la sera del 25): i primi sporadici scontri nelle periferie del capoluogo avvennero quella sera stessa. Nel frattempo, a Vercelli erano concentrate da varie località della zona, oltre ad un presidio di 500 tedeschi, le residue forze della RSI: vari reparti delle Brigate Nere, soldati delle divisioni "[[4ª Divisione Alpina Monterosa|Monterosa]]" e "Littorio", granatieri, militi della [[Legione Autonoma Mobile Ettore Muti|Legione "Muti"]] e della Guardia Nazionale Repubblicana, oltre a vari superstiti di diversi presidi, per un totale di circa 2.500 uomini. Assieme a loro, alcuni avevano le proprie famiglie<ref>{{cita|Angeli|pp. 482-484}}.</ref>.
 
La guerra partigiana nel Vercellese fu caratterizzata dalla presenza in zona di molteplici unità partigiane, che s'impegnarono non solo nelle classiche azioni di guerriglia locale, ma anche in operazioni di scontri in montagna e in pianura in campo aperto, con alcuni successi locali, alternati a sconfitte.<ref>A titolo d'esempio fra le sconfitte si pensi alla cosiddetta "Caporetto di Alagna" (luglio 1944), quando le forze partigiane liberarono la Valsesia e la Valsassera per un breve periodo, per poi essere battute ad [[Alagna Valsesia|Alagna]], si piedi del Monte Rosa. In merito Piero Ambrosio, ''[http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/brevestoria.html La Resistenza in provincia di Vercelli. Brevi cenni] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20111120022113/http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/brevestoria.html |date=20 novembre 2011 }}, op. cit.''</ref> Oltre a ciò, le forze partigiane tentarono di liberare alcune zone della provincia, venendo a costituire delle vere e proprie [[enclave]] all'interno del territorio controllato dai fascisti repubblicani e dai tedeschi: è il caso per esempio della [[Repubblica della Valsesia]] e della [[Valsessera]], libere fra giugno e luglio del 1944 e poi – la seconda – da marzo del 1945. L'ultima rappresaglia perpetrata dai fascisti nella provincia ebbe luogo il 9 marzo [[1945]] a [[Salussola]] con la fucilazione di venti o ventuno partigiani, in risposta un'imboscata partigiana condotta il 6 marzo nella stessa località e che causò la morte di quattro fascisti.<ref name=salussola>Piero Ambrosio, ''[http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/brevestoria.html La Resistenza in provincia di Vercelli. Brevi cenni] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20111120022113/http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/brevestoria.html |date=20 novembre 2011 }}, op. cit.'': «Il 9 marzo, a Salussola, avvenne l'ultimo eccidio perpetrato dai fascisti: dopo orrende torture, ventun partigiani furono fucilati. In risposta il Cln di Biella ordinò lo sciopero generale di protesta [...] che si effettuò imponente in tutte le fabbriche». Altre fonti affermano invece che i partigiani uccisi furono venti; si veda per esempio [http://www.salussola.net/eccidio1945/ ''L'eccidio di Salussola: 8 e 9 marzo 1945''], dal sito/portale del paese di Salussola.</ref><ref>Piero Ambrosio (a cura di), ''[http://www.storia900bivc.it/pagine/editoria/ambrosio185B.html Verso la vittoria. I bollettini militari delle formazioni partigiane della provincia di Vercelli (gennaio-aprile 1945)] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20150724040406/http://www.storia900bivc.it/pagine/editoria/ambrosio185B.html |date=24 luglio 2015 }}'' da "L'impegno", a. V, n. 1, marzo 1985, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli, Cit. (da bollettino partigiano): «Il sei marzo una colonna nemica in movimento tra Zimone e Salussola è attaccata da una pattuglia della brigata Gl… 4 morti e 2 gravi, 3 prigionieri, 2 autocarri, un fucile mitragliatore, 7 moschetti, pistole e bombe a mano. In seguito a questo brillante attacco il nemico sfogò la sua ira con le feroci fucilazioni di Salussola.» Le frequenti azioni partigiane nei dintorni di Salussola, principalmente della 75ª brigata Garibaldi "Maffei" e della brigata GL locale, dall'inizio del 1945 inflissero importanti e frequenti perdite tra i reparti fascisti.</ref>
Il mattino del 26 si svolsero delle trattative fra i comandi partigiani e Morsero: quest'ultimo propose di non combattere in città, ma la proposta fu respinta al mittente con un ''[[ultimatum]]'': resa dei fascisti o partenza da Vercelli entro le ore 15:00. Nel pomeriggio la colonna fascista – composta da circa 2.000 militari e 200 fra donne e bambini – lasciò quindi la città. Sempre nel pomeriggio del 26, il presidio tedesco di Vercelli si arrese<ref name=rendina>[[Massimo Rendina]], ''Dizionario della Resistenza italiana'', [[Editori Riuniti]], Roma, 1995, ISBN 88-359-4007-9, p. 203.</ref>: la città era liberata. Attaccata ripetutamente dai partigiani, la colonna si fermò presso la località di [[Castellazzo Novarese]], arrendendosi al mattino del 28 aprile<ref>Per {{cita|Angeli|p. 483}}, la colonna Morsero si arrese alle 7 del mattino del 29 aprile, ma le altre fonti sono concordi nel riportare la data del 28.</ref>.
 
==== L'eccidioultimo mese di Santhiàguerra nel Vercellese ====
Verso la metà di aprile del 1945 i tedeschi e i fascisti disponevano nel Biellese e nel Vercellese di circa 4.500 uomini, ai quali i partigiani opponevano nella zona chiamata militarmente "Biellese" – comprendente però anche Vercelli e dintorni – sei brigate garibaldine, una brigata [[Giustizia e Libertà|gielle]], una brigata di polizia<ref>La brigata di polizia partigiana fu un ''unicum'' del Biellese: venne formata nel gennaio del 1944, col principale compito di garantire l'ordine interno alle altre brigate operanti in zona, perseguendo i reati compiuti dai partigiani, e di tenere i rapporti con la popolazione civile (si veda «La brigata di polizia partigiana nel Biellese. Intervista di Gladys Motta a Ezio Peraldo», in ''l'impegno'', anno V, n. 4, dicembre 1985).</ref> e due brigate [[Squadre di Azione Patriottica|SAP]].<ref>Tutto l'inquadramento storico del paragrafo è tratto per riassunto da {{cita|Ambrosio|pp. 475-488}}.</ref> Il 18 aprile a Biella vi furono alcune azioni isolate di [[sciopero]]: nonostante una pronta reazione delle autorità fasciste della zona – capeggiate dal capo della provincia<ref>I prefetti avevano assunto questa nuova denominazione nella Repubblica Sociale Italiana a novembre del 1943.</ref> [[Michele Morsero]] – il giorno successivo lo sciopero divenne di massa, espandendosi anche nella [[Valle di Mosso]] e in Valsessera – già zona libera dal marzo precedente – dove si svolse un'imponente manifestazione popolare, nel corso della quale parlarono i comandanti partigiani [[Francesco Moranino]] e [[Cino Moscatelli]]. L'astensione dal lavoro durò fino al 20 aprile, per poi lentamente rientrare.<ref>{{cita|Ambrosio|pp. 475-479}}, "Il 20, alle 10:30, il commissario prefettizio di Biella telefonò al capo della provincia, riferendo che il lavoro era ripreso "adagino, ma in modo quasi normale", anche se si erano verificate delle incomprensioni: un tram carico di operai era stato rimandato indietro ad un posto di blocco; altri operai avevano trovato l'ingresso dello stabilimento chiuso perché era assente l'ufficiale addetto al posto di blocco, che teneva la chiave in tasca, ed erano quindi stati rimandati a casa; operai residenti nelle zone in cui vi erano state azioni di rastrellamento erano sottoposti al coprifuoco fino alle 6 del 21; diversi stabilimenti erano fermi per mancanza di energia; altri infine non avevano potuto riprendere il lavoro perché si erano presentati operai in numero insufficiente".</ref>
La provincia di Vercelli fu in seguito attraversata da un'altra forte colonna, costituita essenzialmente da reparti tedeschi in ritirata dalla [[Liguria]], da [[Torino]] e dalla [[Valle d'Aosta]], che il 28 aprile occupò le località di [[Cigliano]] e [[Tronzano Vercellese]]: il 29 raggiunse [[Borgo d'Ale]], [[Cavaglià]] e [[Salussola]], entrando in seguito verso sera a Santhià. Fra il 29 e il 30 aprile, i tedeschi attaccarono alcune cascine occupate dai partigiani, commettendo nel contempo una serie di atrocità contro i civili. Al termine degli scontri si contarono quarantotto morti: ventuno partigiani e ventisette civili<ref>''[http://sites.google.com/site/santhiastoria/home/articoli/eccidio/relazione-del-sindaco Saccheggio di Santhià da parte delle truppe tedesche. Eccidio della Popolazione]'', Relazione del Sindaco di Santhià del 12 maggio 1945.</ref>. L'attacco successivo dell'aviazione alleata nei confronti delle forze tedesche spinse il comandante della colonna, il generale [[Hans Schlemmer]], ad accettare la proposta di resa nelle mani degli Alleati. L'eccidio di Santhià è da alcuni considerato la causa scatenante del successivo eccidio di Vercelli<ref name="pavone492"/>.
 
Frattanto, il 19 aprile, tedeschi e fascisti avevano scatenato un'ultima offensiva contro le formazioni partigiane, allo scopo di aprirsi una via di fuga e di bloccare la preparazione dell'insurrezione. L'attacco concentrico, da Biella e Ivrea, coinvolse la 75ª Brigata "Maffei", la 76ª e la 183ª Brigata della VII Divisione Garibaldi "Aosta" e un reparto della 182ª Brigata "Camana". Dopo aspri scontri, all'alba del 24 aprile i tedeschi lasciarono Biella, paralizzata dallo sciopero insurrezionale, mentre i fascisti rimasero in città fino a quando, a seguito di lunghe trattative col comando partigiano, venne loro concesso di lasciarla: una colonna fascista composta dai battaglioni "Pontida" e "Montebello" della [[Guardia Nazionale Repubblicana]] e da alcuni reparti delle [[Brigate Nere]] si mosse quindi in direzione di Vercelli fra le 14:00 e le 16:00. Il 25 aprile, Biella rese omaggio ai partigiani nella città liberata.<ref>{{cita|Ambrosio|pp. 481-483}}.</ref>
===La resa tedesca===
 
Gli Alleati giunsero a Vercelli il 2 maggio. Lo stesso giorno fu firmata la resa tedesca nella zona, con decorrenza dalle ore 00:00 del 3 maggio successivo<ref>Il firmatario del documento di resa fu il colonnello Faulmüller, capo di stato maggiore del 75º Corpo d'Armata Tedesco. Per gli Alleati erano presenti il capitano Patrick Amoore, della missione alleata presso il comando partigiano della zona e il colonnello statunitense John Breit. Per i partigiani, erano presenti: Felice Mautino "Monti", Domenico Bricarello "Walter" e Primo Corbelletti "Timo", in rappresentanza dei comandi di Ivrea, Biella e Aosta; per il Cln di Ivrea l'ingegner Giulio Borello.</ref>. Secondo un rapporto del 4 maggio, s'erano arresi 61.000 tedeschi e 12.000 fascisti<ref>{{cita|Angeli|pp. 486-487}}. Le cifre relative ai tedeschi e ai fascisti arresi sono contenute in un rapporto firmato dal comandante partigiano Felice Mautino "Monti", citato in ''L'insurrezione in Piemonte'', Franco Angeli, Milano 1987, pp. 363-364.</ref>.
Le forze partigiane decisero quindi di convergere su Vercelli, passando prevalentemente per le località di [[Cavaglià]] e [[Santhià]] (liberata la sera del 25): i primi sporadici scontri nelle periferie del capoluogo avvennero quella sera stessa. Nel frattempo, a Vercelli erano concentrate da varie località della zona, oltre ad un presidio di 500 tedeschi, le residue forze della RSI: vari reparti delle Brigate Nere, soldati delle divisioni [[4ª Divisione alpina "Monterosa"|"Monterosa]]" e [[2ª Divisione granatieri "Littorio"|"Littorio"]], granatieri, militi della [[Legione Autonoma Mobile Ettore Muti|Legione "Muti"]] e della Guardia Nazionale Repubblicana, oltre a vari superstiti di diversi presidi, per un totale di circa 2.500 uomini. Assieme a loro, alcuni avevano le proprie famiglie.<ref>{{cita|Ambrosio|pp. 482-484}}.</ref>
 
Il mattino del 26 si svolsero delle trattative fra i comandi partigiani e Morsero: quest'ultimo propose di non combattere in città, ma la proposta fu respinta al mittente con un ''[[ultimatum]]'': resa dei fascisti o partenza da Vercelli entro le ore 15:00. Nel pomeriggio la colonna fascista – composta da circa 2.000 militari e 200 fra donne e bambini – lasciò quindi la città. Sempre nel pomeriggio del 26, il presidio tedesco di Vercelli si arrese:<ref name="rendina">[[Massimo Rendina]], ''Dizionario della Resistenza italiana'', [[Editori Riuniti]], Roma, 1995, ISBN 88-359-4007-9, p. 203.</ref> la città era liberata. Attaccata ripetutamente dai partigiani, la colonna si fermò presso la località di [[Castellazzo Novarese]], arrendendosi al mattino del 28 aprile.<ref>Per {{cita|Ambrosio|p. 483}}, la colonna Morsero si arrese alle 7 del mattino del 29 aprile, ma le altre fonti sono concordi nel riportare la data del 28.</ref>
 
==== L'eccidio di Santhià ====
La provincia di Vercelli fu in seguito attraversata da un'altra forte colonna, costituita da reparti tedeschi in ritirata dalla [[Liguria]], da [[Torino]] e dalla [[Valle d'Aosta]], che il 28 aprile occupò le località di [[Cigliano]] e [[Tronzano Vercellese]]: il 29 raggiunse [[Borgo d'Ale]], [[Cavaglià]] e [[Salussola]], entrando in seguito verso sera a [[Santhià]]. Fra il 29 e il 30 aprile, i tedeschi attaccarono alcune cascine occupate dai partigiani, commettendo nel contempo una serie di atrocità contro i civili. Al termine degli scontri si contarono quarantotto morti: ventuno partigiani e ventisette civili.<ref>''[https://sites.google.com/site/santhiastoria/home/articoli/eccidio/relazione-del-sindaco Saccheggio di Santhià da parte delle truppe tedesche. Eccidio della Popolazione] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20201024054815/https://sites.google.com/site/santhiastoria/home/articoli/eccidio/relazione-del-sindaco |date=24 ottobre 2020 }}'', Relazione del Sindaco di Santhià del 12 maggio 1945.</ref> L'attacco successivo dell'aviazione alleata nei confronti delle forze tedesche spinse il comandante della colonna, il generale [[Hans Schlemmer]], ad accettare la proposta di resa nelle mani degli Alleati. L'eccidio di Santhià è da alcuni considerato la causa scatenante del successivo eccidio di Vercelli.<ref name=pavone492/><ref name=ambrosio/>
 
==== La resa tedesca ====
Gli [[Alleati della seconda guerra mondiale|Alleati]] giunsero a Vercelli il 2 maggio. Lo stesso giorno fu firmata la resa tedesca nella zona, con decorrenza dalle ore 00:00 del 3 maggio. Il firmatario del documento di resa fu il colonnello Hans-Georg Faulmüller, capo di stato maggiore del 75º Corpo d'Armata tedesco. Per gli Alleati erano presenti il capitano Patrick Amoore, della missione alleata presso il comando partigiano della zona e il colonnello statunitense John Breit. Per i partigiani, erano presenti: Felice Mautino "Monti", [[Domenico Bricarello]] "Walter" e Primo Corbelletti "Timo", in rappresentanza dei comandi di Ivrea, Biella e Aosta; per il [[Comitato di Liberazione Nazionale|CLN]] di Ivrea l'ingegner Giulio Borello.<ref name=ambrosio/> Secondo un rapporto del 4 maggio, s'erano arresi 61.000 tedeschi e 12.000 fascisti.<ref>{{cita|Ambrosio|pp. 486-487}}. Le cifre relative ai tedeschi e ai fascisti arresi sono contenute in un rapporto firmato dal comandante partigiano Felice Mautino "Monti", citato in ''L'insurrezione in Piemonte'', Franco Angeli, Milano 1987, pp. 363-364.</ref>
 
== La "Colonna Morsero" ==
=== La costituzione ===
Tra il [[23 aprile|23]] e il [[26 aprile]] [[1945]] affluirono a Vercelli dai vari presidi della provincia le forze armate della [[Repubblica Sociale Italiana]] ancora in armi, ponendosi sotto il comando del Capocapo della Provinciaprovincia [[Michele Morsero]]. SiAd esse si aggiunse anche il [[Truppe d'assalto|battaglione d'assalto]] "Pontida" della [[Guardia Nazionale Repubblicana]] (GNR) giunto da [[Biella]]. LeAi truppe fasciste, cui in taluni casimiliti si erano aggiuntiaggiunsero anche civili con i propri familiari,<ref>{{cita|Pavesi|p. 34}}; per Piero Ambrosio, ''[http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/insurrezionevc.html L'insurrezione in provincia di Vercelli. Brevi cenni]'' {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20210916150753/http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/insurrezionevc.html |date=16 settembre 2021 }}, op. cit.'', [http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/noteinsurrezionevc.html#28 nota 28] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20100421082232/http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/noteinsurrezionevc.html#28 |date=21 aprile 2010 }}, la colonna sarebbe stata costituita da "2.'000 militari e duecento tra donne e bambini".</ref>, costituironocostituendo la cosiddetta "Colonna Morsero" formata da più di 2.000 persone.<ref name=rendina/>. L'intenzione era di raggiungere [[Novara]] per poi dirigersi verso il [[Ridotto alpino repubblicano|ridotto della Valtellina]].
 
La colonna era costituita dai resti dei seguenti reparti:
* 604º Comando Provinciale della GNR di Vercelli, comandato dal colonnello [[Giovanni Fracassi]];<ref>"Giovanni Fracassi (1900), colonnello della Gnr a capo della compagnia Op, fu accusato di rastrellamento nelle zone di Borgo d'Ale e Strambino, di arresto e uccisione di partigiani (catturati nel Biellese, a Olcenengo, ad Arborio, a Trino), della cattura nella zona di Crescentino di quattrocento renitenti alla leva e di aver consentito all'Ufficio politico investigativo persecuzioni, soprusi e sevizie. Costituì tribunali straordinari della Gnr, in cui vennero fucilati i partigiani Burzio, Cassetta, Dejana, Dreussi, Mosca, Orlando e Pluda". La citazione è tratta da Marilena Vittone, ''[http://www.storia900bivc.it/pagine/editoria/vittone108.html Un processo a collaborazionisti vercellesi tra amnistia e giustizia penale] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20090612062554/http://www.storia900bivc.it/pagine/editoria/vittone108.html |date=12 giugno 2009 }}'', dal Sito dell'Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli, originariamente pubblicato in "L'impegno", a. XXVIII, n. 1, giugno 2008.</ref>
* del 604º Comando Provinciale della GNR di Vercelli, comandato dal colonnello [[Giovanni Fracassi]];
* della VII [[Brigate Nere|Brigata Nera]] (BN) "Bruno Ponzecchi" di Vercelli;
* della XXXVI BN "Mussolini" di [[Lucca]];
* del CXV battaglione "Montebello";
* del I battaglione granatieri "Ruggine";
* del I battaglione d'assalto "Ruggine";
* del I battaglione rocciatori (poi controcarro) "Ruggine";
* del III battaglione d'assalto "Pontida".<ref>Il battaglione "Montebello", i tre battaglioni "Ruggine" e il battaglione "Pontida" facevano parte della GNR. Sul tema [http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/gnrvc.html Piero Ambrosio, ''Le forze armate della Rsi in provincia di Vercelli. La Guardia nazionale repubblicana''] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20140606210029/http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/gnrvc.html |date=6 giugno 2014 }}, dal sito dell'Istituto per la Storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli.</ref>.
 
La colonna si mise in movimento intorno alle ore 15.:00 del [[26 aprile]] 1945, sotto il comando di Morsero e del colonnello della GNR Fracassi. Uscita dalla città, fu fatta oggetto da un fitto fuoco di fucileria presso il ponte sul fiume [[Sesia]], cui fu risposto in maniera disordinata. Per il resto della giornata la colonna si mosse senza problemi in direzione di Novara fino a [[Biandrate]], dove fu impegnata in uno nuovo scambio di fucileria con i partigiani. Il mattino presto, dopo aver passato la notte in marcia, la colonna raggiunse [[Castellazzo Novarese]].
 
=== La resa ===
[[File:Resa colonna Morsero.jpg|thumb|left|[[Castellazzo Novarese]], 27 aprile 1945: il tenente colonnello della GNR Vittorio Mariani (al centro)<ref>Mariani era il comandante del I battaglione granatieri "Ruggine". Si veda in merito [http://www.storia900bivc.it/pagine/resistenza/gnrvc.html Piero Ambrosio, ''Le forze armate della Rsi in provincia di Vercelli. La Guardia nazionale repubblicana''], dal sito dell'Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli.</ref> durante le trattative con i comandanti partigiani Mario Vinzio "Pesgu" (a sinistra) e Alessandro Boca "Andrej" (a destra)<ref>Sui partigiani "Pesgu" e "Andrej" si vedano alcune note biografiche in [http://www.storia900bivc.it/pagine/editoria/tenconimagnani205.html Massimiliano Tenconi, Alberto Magnani, ''La brigata "Ticino". Un pugno di partigiani tra Lombardia e Valsesia'', in ''l'impegno'', a. XXV, n. 2, dicembre 2005].</ref>]]
La colonna giunta a Castellazzo Novarese la mattina del [[27 aprile]] 1945 si arroccò nel locale castello. Stabilita una tregua, proposta dall'avvocato Leoni, furono quindi avviate frenetiche trattative nel corso delle quali i partigiani proposero di condurre a Novara alcuni ufficiali fascisti per verificare l'avvenuta resa del presidio cittadino ed incontrarsi con i rappresentanti del [[Comitato di Liberazione Nazionale]]. Si recarono quindi a Novara il capitano Angelo Nessi (del "Ruggine") e il capitano Paolo Pasqualini (del "Pontida"), i quali, ritornati a Castellazzo Novarese, comunicarono le proposte del CLN: resa con l'onore delle armi (ossia diritto per gli ufficiali di conservare l'arma di ordinanza) e salvacondotti per la truppa<ref>{{cita|Pavesi|p. 82}}: "onore delle armi, agli ufficiali viene concesso di tenere la pistola; salvacondotto per la truppa; trattamento dei prigionieri come previsto dalle convenzioni internazionali".</ref>. Morsero e il colonnello Fracassi decisero quindi di accettare le condizioni di resa, contestati però da parte degli ufficiali, che non fidandosi dei partigiani erano convinti di poter resistere fino all'arrivo degli [[Alleati della seconda guerra mondiale|Alleati]]<ref>{{cita|Pavesi|p. 168}}, citazione di Carlo Riboldazzi, comandante partigiano di un battaglione delle Brigate Garibaldi: "Personalmente non mi sono mai capacitato della resa dei fascisti, cosa stranissima; potevano benissimo resistere; ho visto le armi che avevano! Potevano stare lì tranquilli ed aspettare l'arrivo degli alleati; invece no, si sono arresi".</ref>. Le stesse condizioni di resa furono accettate nelle stesse ore da un vicino presidio tedesco<ref>{{cita|Pavesi|p. 85}}, citazione di Carlo Riboldazzi, comandante partigiano di un battaglione delle Brigate Garibaldi: "Chiedo la resa pura e semplice, salvo l'onore delle armi. Netto rifiuto. Bluffo, invento divisioni che devono transitare, minaccio bombardamenti a tappeto, accenno alla possibilità di vittime civili e conseguente reato di crimine di guerra. Il capitano tentenna, l'ufficiale delle compagnie di sicurezza fa il muso duro [...]. Cade ogni resistenza. Si concorda la resa; chiedono garanzie, onore delle armi, un sacco di cose. Prometto, anche se so che non potrò mantenere le promesse che in parte. Con i tedeschi ho un grosso credito in quanto promesse non mantenute. Firmata la resa, il documento scomparirà dopo pochi giorni [...]".</ref>.
La colonna giunse a [[Castellazzo Novarese]] la mattina del 27 aprile e qui si acquartierò nel locale castello, che i partigiani della 82ª Brigata "Osella" circondarono ed assalirono più volte, perdendo due uomini nei combattimenti.<ref>{{cita|Pavesi|p. 78}}.</ref> Fu allora deciso di inviare alcuni ufficiali incontro ai partigiani per discutere di un libero transito fino a [[Oleggio]], dove sarebbe stato attraversato il [[Ticino (fiume)|Ticino]]. L'inizio delle trattative fu fissato per le ore 12:00. Stabilita una tregua su proposta dell'avvocato Leoni, furono quindi avviati frenetici negoziati nel corso dei quali i partigiani chiesero la resa della colonna.
[[File:Stadio Novara 1950.jpg|thumb|right|230px|Lo stadio di [[Novara]] nei primi [[anni cinquanta]]]]
Il giorno seguente, [[28 aprile]], avvenne la resa della "colonna Morsero" alle forze partigiane e la consegna delle armi, molte delle quali furono previamente rese inservibili. I militari furono poi separati dalle donne e dai bambini. Il prefetto Morsero fu invece prelevato dai partigiani e trasferito a Vercelli, dove fu incarcerato.
 
Al fine di valutare la richiesta partigiana, alle 16:00 i comandi della colonna indissero un [[consiglio di guerra]], che si riunì nella Sala della Consulta presso il comune, a cui oltre al prefetto Morsero parteciparono tutti gli ufficiali più alti in grado. I delegati partigiani furono ammessi nella sala del Consiglio e proposero di scortare a [[Novara]] una delegazione di ufficiali repubblicani, in modo che verificassero l'avvenuta resa del presidio cittadino e che si incontrassero con i rappresentanti del [[Comitato di Liberazione Nazionale]].<ref>{{cita|Roccia|p. 221}}: "I parlamentari furono infine ammessi nella sala del Consiglio di Guerra al quale portarono le notizie della resa di Novara, Alessandria e Genova. Dopo un'ora una commissione di ufficiali repubblicani partiva a bordo delle macchine dei partigiani con i parlamentari, recanti bandiera bianca, alla volta di Novara per accertarsi se la notizia della resa della città rispondesse al vero".</ref> Si recarono quindi a Novara il capitano Angelo Nessi (del "Ruggine") e il capitano Paolo Pasqualini (del "Pontida"), i quali, ritornati a Castellazzo Novarese, comunicarono le proposte del CLN: resa con l'onore delle armi, diritto per gli ufficiali di conservare l'arma di ordinanza, e salvacondotti per la truppa che autorizzassero il ritorno alle proprie famiglie o alla località desiderata.<ref>{{cita|Pavesi|p. 82}}: "Gli ufficiali Nessi e Pasqualini, di ritorno finalmente da Novara, espongono le condizioni dei partigiani: onore delle armi, agli ufficiali viene concesso di tenere la pistola; salvacondotto per la truppa; trattamento dei prigionieri come previsto dalle convenzioni internazionali".</ref><ref>{{cita|Roccia|p. 221}}: "Si diffuse verso sera la notizia della decisione: «resa con l'onore delle armi, rilascio a tutti di un documento autorizzante il ritorno alle proprie famiglie o alla località desiderata»".</ref>
I prigionieri furono trasferiti a Novara e rinchiusi dai partigiani in un [[campo di prigionia]], ricavato in quei giorni nello stadio di [[Novara]]<ref>{{cita|Pansa|p. 81}}; {{cita|Bermani|p. 329}}. Secondo Bermani, a Novara i fascisti fatti prigionieri alla fine delle ostilità vennero rinchiusi anche all'interno della caserma Tamburini. Questa caserma era stata [http://www.isrn.it/dvd/citta_guerra/la_citta_occupata/2_10.htm una delle sedi della Guardia Nazionale Repubblicana].</ref>, in viale Alcarotti. Durante il trasferimento anche gli ufficiali furono privati delle proprie armi conservate fino a quel momento<ref>{{cita|Pavesi|p. 106}}, citazione del libro ''La mia guerra'' di Gabriello Ciapetti, sottufficiale dei carabinieri: "Mi si presenta un partigiano e a muso duro mi dice: Tu, vai dal tuo colonnello e fatti dare il cinturone con la pistola! Io esitai a muovermi, ma il partigiano mi assestò una pedata negli stinchi urlando di nuovo: Vai muoviti!, io balbettai qualcosa al colonnello Fracassi che aveva già intuito quanto accadeva e mi consegnò il cinturone con la pistola".</ref>.
 
Morsero e il colonnello Fracassi decisero infine di accettare le condizioni di resa, contestati però da parte degli ufficiali,<ref>{{cita|Pavesi|p. 83}}: "Avviene così l'ultimo consiglio di guerra: il colonnello Fracassi ed il prefetto Morsero propongono di accettare le condizioni di resa; i giovani ufficiali sono di parere contrario e si vorrebbero ribellare".</ref> che non fidandosi dei partigiani erano convinti di poter resistere fino all'arrivo degli [[Alleati della seconda guerra mondiale|Alleati]].<ref>{{cita|Pavesi|p. 168}}, citazione di Carlo Riboldazzi, comandante partigiano di un battaglione delle Brigate Garibaldi: "Personalmente non mi sono mai capacitato della resa dei fascisti, cosa stranissima; potevano benissimo resistere; ho visto le armi che avevano! Potevano stare lì tranquilli ed aspettare l'arrivo degli alleati; invece no, si sono arresi".</ref> Le stesse condizioni di resa furono accettate nelle stesse ore da un vicino presidio tedesco.<ref>{{cita|Pavesi|p. 85}}, citazione di Carlo Riboldazzi, comandante partigiano di un battaglione delle Brigate Garibaldi: "Chiedo la resa pura e semplice, salvo l'onore delle armi. Netto rifiuto. Bluffo, invento divisioni che devono transitare, minaccio bombardamenti a tappeto, accenno alla possibilità di vittime civili e conseguente reato di crimine di guerra. Il capitano tentenna, l'ufficiale delle compagnie di sicurezza fa il muso duro [...]. Cade ogni resistenza. Si concorda la resa; chiedono garanzie, onore delle armi, un sacco di cose. Prometto, anche se so che non potrò mantenere le promesse che in parte. Con i tedeschi ho un grosso credito in quanto promesse non mantenute. Firmata la resa, il documento scomparirà dopo pochi giorni [...]".</ref> Il giorno seguente, 28 aprile, avvenne la resa della colonna alle forze partigiane e la consegna delle armi, molte delle quali furono previamente rese inservibili. Il prefetto Morsero fu prelevato dai partigiani e trasferito a Vercelli, dove fu incarcerato. I prigionieri, separati dalle donne e dai bambini, furono invece condotti a Novara e rinchiusi dai partigiani nello [[Stadio Enrico Patti|stadio di viale Alcarotti]], in quei giorni adibito a [[campo di concentramento]].<ref>{{cita|Pansa 2003|p. 81}}; {{cita|Bermani|p. 329}}. Secondo Bermani, a Novara i fascisti fatti prigionieri alla fine delle ostilità vennero rinchiusi anche all'interno della caserma Tamburini. Questa caserma era stata [http://www.isrn.it/dvd/citta_guerra/la_citta_occupata/2_10.htm una delle sedi della Guardia Nazionale Repubblicana] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20110122140945/http://www.isrn.it/dvd/citta_guerra/la_citta_occupata/2_10.htm |data=22 gennaio 2011 }}.</ref> Durante il trasferimento, nonostante i termini della resa anche gli ufficiali furono privati delle proprie armi, conservate fino a quel momento.<ref>{{cita|Pavesi|p. 106}}, citazione del libro ''La mia guerra'' di Gabriello Ciapetti, sottufficiale della GNR proveniente dai Carabinieri: «Mi si presenta un partigiano e a muso duro mi dice: Tu, vai dal tuo colonnello e fatti dare il cinturone con la pistola! Io esitai a muovermi, ma il partigiano mi assestò una pedata negli stinchi urlando di nuovo: Vai muoviti!, io balbettai qualcosa al colonnello Fracassi che aveva già intuito quanto accadeva e mi consegnò il cinturone con la pistola».</ref>
La sera stessa le donne del [[Servizio Ausiliario Femminile]] furono separate dagli altri militari e portate all'asilo Negroni e alla scuola Ferrandi, ed in seguito tradotte alla caserma Tamburini<ref>{{cita|Pavesi|p. 111}}: "La gran parte dei prigionieri viene concentrata allo Stadio; le donne all'Asilo Negroni in quartiere San Martino ed alla scuola Ferrandi prima ed alla caserma Tamburini, già della GNR, poi".</ref>. L'[[amministratore apostolico]] della [[diocesi di Novara]], [[Leone Giacomo Ossola]], intervenne in loro difesa ed evitò che fossero fatte sfilare nude per la città, ma nonostante il suo intervento alcune di esse furono fucilate, mentre quelle che si salvarono vennero trasferite al campo di concentramento di [[Scandicci]], nei pressi di [[Firenze]]<ref>[[Silvio Bertoldi]], ''Soldati a Salò. L'ultimo esercito di Mussolini'', Rizzoli, Milano, 1995, ISBN 88-17-84413-6, p. 272: "A Vercelli trecento ausiliarie tentarono di ripiegare verso la Valtellina, ma al passaggio del Sesia furono bloccate, tradotte a Castellazzo Novarese, poi a Novara e rinchiuse nella caserma Tamburini. Volevano farle sfilare nude per le vie della città, le salvò soltanto l'intervento indignato del Vescovo. Le salvò dalla vergogna, non dal loro destino: alcune furono fucilate, soltanto le più fortunate finirono nel campo di concentramento di Scandicci, presso Firenze".</ref><ref>[[Luciano Garibaldi]], ''Le soldatesse di Mussolini'', Mursia, Milano, 1995, ISBN 88-425-1876-X, p. 86: "A Novara, invece, il vescovo riuscì ad impedire il progetto di fare sfilare nude tutte le ausiliarie catturate, circa trecento, per le vie della città".</ref><ref>{{cita|Pavesi|p. 112-113}}, cita dalle memorie dell'ausiliaria Alda Paoletti, detenuta a Scandicci: "Il 30 aprile venne un sacerdote a confessarci, dicendo di farlo bene perché poteva essere l'ultima confessione della nostra vita. Infatti il giorno dopo, primo maggio, dovevamo essere fucilate. I partigiani che ci avevano fatto la guardia giorno e notte, ci dissero però che era intervenuto il vescovo di Novara nei confronti di Moscatelli minacciando di trovarsi davanti a noi al momento della fucilazione per precederci nella morte [...]".</ref><ref>{{cita|Pavesi|p. 113}}, cita dalle memorie di monsignor Carlo Brugo: "I partigiani volevano fare sfilare nude per Novara le Ausiliarie prigioniere, ma il vescovo Monsignor Ossola, venuto a conoscenza di quanto si stava progettando, si presentò al comando partigiano e minacciò di sfilare anche lui nudo, assieme alle prigioniere, dopodiché i partigiani rinunciarono a mettere in atto il loro progetto".</ref>.
 
[[File:Stadio Novara2.jpg|thumb|L'ingresso dello stadio di Novara in via Alcarotti. Al centro, il mercato.]]
All'interno dello stadio di Novara vennero concentrati in tutto 1.500/1.800 prigionieri, che vivevano sotto tende improvvisate in vista dal mercato coperto dirimpetto, divenuto una sorta di [[loggia|loggione]] ove si radunavano cittadini e curiosi a fare commenti ostili<ref name="bermani329">{{cita|Bermani|p. 329}}.</ref>. Le condizioni igieniche divennero sempre più precarie, e immediatamente cominciarono i prelevamenti: ogni giorno qualche ufficiale fascista veniva portato via per essere interrogato ed alcuni di essi furono probabilmente sommariamente giudicati e giustiziati<ref>{{cita|Pansa|p. 81}}.</ref>.
All'interno dello stadio di Novara vennero concentrati in tutto 1.500/1.800 prigionieri, che vivevano sotto tende improvvisate in vista dal mercato coperto dirimpetto, divenuto una sorta di [[loggia|loggione]] ove si radunavano cittadini e curiosi a fare commenti ostili.<ref name=bermani329>{{cita|Bermani|p. 329}}.</ref> Le condizioni igieniche divennero sempre più precarie, e immediatamente cominciarono i prelevamenti: ogni giorno qualche ufficiale fascista veniva portato via per essere interrogato, ed alcuni di essi furono sommariamente giudicati e giustiziati.<ref name=pansa81>{{cita|Pansa 2003|p. 81}}: "[...] cominciarono subito i prelevamenti. Ogni giorno, qualche ufficiale fascista veniva condotto fuori dal campo per essere interrogato. Talvolta tornava, pestato di brutto, talvolta no. Uno che non tornò fu il tenente Carlo Cecora, che aveva comandato il presidio della Gnr a Vallemosso, nel Biellese. Da Novara lo portarono a Vercelli, poi a Biella e quindi a Vallemosso. Qui lo trascinarono per le strade legato a un carro e infine lo fucilarono, il 2 maggio". Il prelevamento di Cecora fu ordinato da Francesco Moranino (Gemisto), come testimoniato anche dal comandante partigiano Annibale Giachetti (Danda), ''C'era una volta. la Resistenza. Partigiani e popolazione nel Biellese e Vercellese'', Vercelli, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli "Cino Moscatelli", 2000, p. 201.</ref><ref>{{cita|Roccia|p. 222}}: «Venivano chiamati nominativi con l'ordine di presentarsi immediatamente all'ingresso del recinto. Il Federale Bertozzi, Gadina, Verro, Zarino, Veghi Adamo e fratello, Martinotti, Dogliotti, De Majda, Fracassi, Mariani, Deangeli, Fossati, ecc. Ci alzammo e ci avviamo accompagnati dai più neri presentimenti. Ad uno ad uno entrammo in un ufficio ove fummo interrogati da tre borghesi; dati anagrafici, rapida istruttoria. [...] Restammo rinchiusi sino alle 12 nel grande spogliatoio. Il tenente Martinotti venne sorpreso mentre scriveva un biglietto che sperava di inviare con qualche mezzo alla moglie, descrivendo -con frasi colorite- la situazione in cui si trovava. Venne colpito da violenti colpi.»</ref>
 
=== Le donne del SAF ===
==I primi prelevamenti di prigionieri dal campo di Novara==
La sera stessa le donne del [[Servizio Ausiliario Femminile]], circa trecento, furono separate dagli altri militari e portate all'asilo "Negroni" e alla scuola "Ferrandi"; in seguito furono tradotte alla caserma "Tamburini".<ref>{{cita|Pavesi|p. 111}}: "La gran parte dei prigionieri viene concentrata allo Stadio; le donne all'Asilo Negroni in quartiere San Martino ed alla scuola Ferrandi prima ed alla caserma Tamburini, già della GNR, poi".</ref> Diverse fonti affermano che intervenne in loro difesa monsignor [[Leone Ossola]], [[amministratore apostolico]] della [[diocesi di Novara]].<ref name="bertoldi-paoletti">[[Silvio Bertoldi]], ''Soldati a Salò. L'ultimo esercito di Mussolini'', Rizzoli, Milano, 1995, ISBN 88-17-84413-6, p. 272: «A Vercelli trecento ausiliarie tentarono di ripiegare verso la Valtellina, ma al passaggio del Sesia furono bloccate, tradotte a Castellazzo Novarese, poi a Novara e rinchiuse nella caserma Tamburini. Volevano farle sfilare nude per le vie della città, le salvò soltanto l'intervento indignato del Vescovo. Le salvò dalla vergogna, non dal loro destino: alcune furono fucilate, soltanto le più fortunate finirono nel campo di concentramento di Scandicci, presso Firenze». La fucilazione non è confermata da altre fonti. L'ausiliaria Alda Paoletti afferma in una sua memoria ({{cita|Pavesi|pp. 112-113}}) che il pericolo della fucilazione sarebbe stato scongiurato dall'intervento di monsignor Ossola: "Il 30 aprile venne un sacerdote a confessarci, dicendo di farlo bene perché poteva essere l'ultima confessione della nostra vita. Infatti il giorno dopo, primo maggio, dovevamo essere fucilate. I partigiani che ci avevano fatto la guardia giorno e notte, ci dissero però che era intervenuto il vescovo di Novara nei confronti di Moscatelli minacciando di trovarsi davanti a noi al momento della fucilazione per precederci nella morte [...]".</ref> Secondo quanto riportato dalla storica [[Anna Lisa Carlotti]], da [[Silvio Bertoldi]], da [[Luciano Garibaldi]] e da Pavesi – che sul punto riporta la testimonianza dell'assistente di Ossola, don Carlo Brugo – tra i partigiani sarebbe maturato il proposito di far sfilare le ausiliarie nude per le vie della città, ma questo non sarebbe avvenuto grazie all'opposizione del religioso.<ref>Anna Lisa Carlotti, ''Italia 1939-1945. Storia e memoria'', Vita e Pensiero, Milano, 1996, ISBN 88-343-2458-7, pp. 365-366: «Numerosi furono i casi di violenza carnale. Molte di queste ragazze non hanno avuto mai il coraggio di parlare (salvo con le compagne al momento dei fatti) ed è molto difficile intervistarle. Moltissime furono rapate a zero e fatte sfilare fra le grida della gente per le strade della città. A Novara il vescovo si oppose all'idea di farle sfilare nude. I partigiani si dovettero "accontentare di raparle a zero"». In questo libro sono citate diverse testimonianze, tra cui quella di Velia Mirri, classe 1927, che riassume così gli eventi di quei giorni: «dal 28 aprile, al 16 maggio [fui] prigioniera dei partigiani di Moscatelli a Novara, prima alla caserma Ferrandi e alla caserma Tamburini e quella è una esperienza da dimenticare. In seguito, dal 16 maggio al 28 novembre del '45 sono stata prigioniera degli americani che poi nel settembre cedettero il nostro gruppo di prigioniere alle autorità italiane» (p. 446); Silvio Bertoldi, ''op. cit.'', p. 272; [[Luciano Garibaldi]], ''Le soldatesse di Mussolini'', Mursia, Milano, 1995, ISBN 88-425-1876-X, p. 86: «A Novara, invece, il vescovo riuscì ad impedire il progetto di fare sfilare nude tutte le ausiliarie catturate, circa trecento, per le vie della città»; {{cita|Pavesi|p. 113}}, così cita dalle memorie di monsignor Carlo Brugo, assistente del vescovo Ossola: «I partigiani volevano fare sfilare nude per Novara le Ausiliarie prigioniere, ma il vescovo Monsignor Ossola, venuto a conoscenza di quanto si stava progettando, si presentò al comando partigiano e minacciò di sfilare anche lui nudo, assieme alle prigioniere, dopodiché i partigiani rinunciarono a mettere in atto il loro progetto».</ref> Successivamente furono trasferite al campo di prigionia di [[Scandicci]], alla periferia di Firenze.<ref name=bertoldi-paoletti/>
Dallo stadio di Novara furono più volte portati via dei prigionieri, oltre al maggior prelevamento che si concluse con l'eccidio dell'ospedale psichiatrico.
 
== L'eccidio ==
<div style="clear:both; text-align:center"><gallery widths=200px>
=== I primi prelevamenti di prigionieri dal campo di Novara e prime uccisioni ===
File:Stadio Novara2.jpg|L'ingresso dello stadio di Novara in via Alcarotti. Al centro, il mercato.
Dallo [[Stadio Enrico Patti|stadio di Novara]] diversi gruppi di prigionieri furono in più occasioni prelevati dai partigiani e tradotti presso altre strutture; il maggior prelevamento si concluse con l'eccidio dell'[[Ex ospedale psichiatrico di Vercelli|ospedale psichiatrico]].<ref name=pansa81/>
File:Prelevamento prigionieri Campo di Novara - 1.jpg|Prelevamento prigionieri dal campo di Novara (1/3)<ref>La didascalia delle tre foto di prelevamento prigionieri dal campo di Novara recita: "Novara, fine aprile, primi giorni di maggio. Un gruppo di prigionieri fascisti raccolti nello stadio comunale vengono prelevati", in ''Novara Ieri-Oggi - Annali dell'Istituto Storico della Resistenza della provincia di Novara'', dicembre 1996, nn. 4-5, p. 240.</ref>
File:Prelevamento prigionieri Campo di Novara - 2.jpg|Prelevamento prigionieri dal campo di Novara (2/3)
File:Prelevamento prigionieri Campo di Novara - 3.jpg|Prelevamento prigionieri dal campo di Novara (3/3)
</gallery></div>
 
{{Immagine multipla
Il [[1º maggio]] furono prelevate le personalità più in vista del caduto regime fascista come l'ex federale di Vercelli [[Gaspare Bertozzi]] e il colonnello Fracassi: furono tutti percossi e feriti.<ref>{{cita|Pavesi|p. 126}}.</ref> La sera stessa il colonnello Fracassi fu nuovamente prelevato, questa volta da agenti americani, che lo trasferirono nel [[campo di concentramento di Coltano]].
| allinea = center
| larghezza totale = 700
| immagine1 = Prelevamento prigionieri Campo di Novara - 1.jpg
| immagine2 = Prelevamento prigionieri Campo di Novara - 2.jpg
| immagine3 = Prelevamento prigionieri Campo di Novara - 3.jpg
| sotto = Prelevamento di prigionieri dal campo di Novara<ref>La didascalia delle tre foto di prelevamento prigionieri dal campo di Novara recita: "Novara, fine aprile, primi giorni di maggio. Un gruppo di prigionieri fascisti raccolti nello stadio comunale vengono prelevati", in ''Novara Ieri-Oggi – Annali dell'Istituto Storico della Resistenza della provincia di Novara'', dicembre 1996, nn. 4-5, p. 240.</ref>. Le immagini fanno riferimento ai prelevamenti del 3 maggio 1945: tutti i prelevati verranno fucilati il giorno stesso. In giacca bianca si riconosce il segretario politico del [[Partito Fascista Repubblicano|PFR]] di Biella Antonio Giraudi.
}}
 
Il 1º maggio furono prelevate le personalità più in vista del caduto regime fascista come l'ex federale di Vercelli e comandante della Brigata Nera "Bruno Ponzecchi" [[Gaspare Bertozzi]], e il colonnello Fracassi: furono tutti percossi e feriti.<ref>{{cita|Pavesi|p. 126}}.</ref> La sera stessa Fracassi fu nuovamente prelevato, stavolta da agenti americani che lo trasferirono nel [[campo di concentramento di Coltano]]. In seguito — come riporta il diario di un tenente della Brigata Nera "Bruno Ponzecchi" edito da [[Domenico Roccia]] — circa quaranta ufficiali del Comando Militare di Vercelli furono schedati, prelevati dal campo di Novara e tradotti a Vercelli presso la caserma "Conte di Torino".<ref>{{cita|Roccia|p. 222}}: «Il mattino all'alba, venimmo chiamati all'appello. Quaranta ufficiali del Comando Militare di Vercelli. Ci dissero che ci portavano a Vercelli perché ''"la popolazione aveva reclamato il diritto di giudicarci"''».</ref> Una volta all'interno furono percossi e rinchiusi nei locali di detenzione dell'edificio,<ref>{{cita|Roccia|p. 223}}: «Non appena varcata la soglia dell'ingresso fummo percossi al capo da colpi di moschetto vibrati da un partigiano, indi passando nel tragitto tra due ali di partigiani fummo ripetutamente colpiti da calci, pugni, colpi di staffile. Alla fine ci contammo: nello spazio quadrato e tetro eravamo quarantuno. Ci guardammo nei volti oramai resi grotteschi dalle contusioni e dal sangue che grondava dalle ferite».</ref> mentre i partigiani confiscarono loro tutti i beni e gli effetti personali.<ref>{{cita|Roccia|p. 223}}: «Sopra un tavolino in un angolo della cella venne stesa una coperta e su questa si ammucchiarono orologi, portafogli, banconote, penne stilografiche e tutto ciò che era possibile portare negli abiti o dissimulare sul corpo. In quel critico frangente perdemmo circa 150'000 lire, tutti i documenti personali e persino i lacci delle calzature».</ref> Alcuni rimasero menomati o morirono a causa delle violenze subite, altri furono trasferiti ed in seguito giustiziati, mentre i sopravvissuti il 13 maggio furono tradotti a [[Campo di concentramento di Coltano|Coltano]].<ref>{{cita|Roccia|p. 223}}: «Il Federale Bertozzi aveva il volto e la testa completamente lividi. Fra i più mal conci appariva Gadina il quale, sotto le percosse ricevute in testa e in volto aveva perduta totalmente la vista; Dogliotti era malmesso da sembrare una maschera. Il maggiore Scunz della GNR accusava la perdita dei denti ed aveva la bocca ed il volto deformati. Ancor più gravi erano le condizioni del tenente Cecora: quando venne buttato nella stanza cadde, né più si rialzò; respirava faticosamente, il volto irriconoscibile, incrostato di sangue e di fango, la bocca piegata nella contrazione di una smorfia di dolore. Venne il parroco di San Cristoforo il quale si impegno di ritornare la mattina seguente per impartirci la Comunione essendo stata differita l'esecuzione. Verso sera si aperse la porta della cella e venne scaraventato all'interno il ten. Benasso Mario, che in seguito alle ferite riportate [...] aveva una gamba fratturata e perciò non poteva reggersi in piedi». Roccia afferma che chi non fu ucciso alla caserma Conte di Torino, "dopo varie peripezie" fu inviato il 13 maggio nei campi di concentramento (fra i quali quello di Coltano). Tra i nominati, il tenente Benasso venne prelevato e trasportato fuori Vercelli e – secondo Roccia – "se ne ignora la sorte". Il tenente Cecora ed il capitano Pastoretti vennero giustiziati rispettivamente a [[Vallemosso]] e a [[Crevacuore]].</ref>
[[File:La fucilazione del prefetto fascista di Vercelli console Michele Morsero 2 maggio 1945.jpg|thumb|right|Il prefetto di Vercelli [[Michele Morsero]] davanti al plotone di esecuzione, [[2 maggio]] [[1945]]]]
Lo stesso giorno, Michele Morsero, che era stato precedentemente incarcerato a Vercelli, fu portato a Novara per essere giudicato da un tribunale di guerra, che però si dichiarò incompetente, reinviandolo a Vercelli. Il [[2 maggio]] venne quindi condotto di fronte al tribunale di guerra di Vercelli, ove alle 12:30 circa fu condannato a morte, venendo fucilato poco dopo all'esterno del cimitero di Vercelli<ref>{{cita|Pansa|p. 82}}.</ref> assieme ad altri cinque fascisti tra cui il podestà della città [[Angelo Mazzucco]]<ref>Gli altri erano il vicequestore Emilio Aquilini, i due vicefederali Giraudi e Sandri, ed il professor Grovi dell'[[Opera Nazionale Balilla]]. I nomi in {{cita|Pansa|p. 82}}, e {{cita|Pavesi|p. 145}}.</ref>.
 
[[File:La fucilazione del prefetto fascista di Vercelli console Michele Morsero 2 maggio 1945.jpg|thumb|left|Il capo della provincia di Vercelli [[Michele Morsero]] davanti al plotone di esecuzione, 2 maggio [[1945]]]]
Il [[3 maggio]] dallo stadio di Novara vennero prelevati dodici militari fascisti con un ordine falsificato del Comando di raggruppamento partigiano, poi uccisi e gettati nel [[canale Cavour]]<ref>{{cita|Bermani|p. 329}}, afferma che quello fu uno dei "fattacci del periodo successivo all'insurrezione".</ref>. Nello stesso giorno a Novara si installò l'[[Allied Military Government|Amministrazione militare alleata per i territori occupati]] presieduta dal capitano statunitense Fred De Angelis<ref>[http://www.isrn.it/dvd/citta_guerra/apparati/cronologia.htm Cronologia degli avvenimenti di Novara durante la seconda guerra mondiale] tratta dal sito dell'Istituto storico della Resistenza e della società contemporanea nel Novarese e nel Verbano Cusio Ossola "Piero Fornara".</ref>.
Sempre il 1º maggio Michele Morsero, che era stato precedentemente incarcerato a Vercelli, fu portato a Novara per essere giudicato da un tribunale di guerra, che però si dichiarò incompetente, rimandandolo indietro. Il 2 maggio venne quindi condotto di fronte al tribunale di guerra di Vercelli, ove alle 12:30 circa fu condannato a morte, venendo fucilato poco dopo all'esterno del cimitero cittadino Billiemme<ref>{{cita|Pansa 2003|p. 82}}.</ref> assieme ad altri cinque fascisti tra cui il podestà della città [[Angelo Mazzucco]].<ref>Gli altri erano il vicequestore Emilio Aquilini, i due vicefederali Giraudi e Sandri, ed il professor Grovi dell'[[Opera Nazionale Balilla]]. I nomi in {{cita|Pansa 2003|p. 82}}, e {{cita|Pavesi|p. 145}}.</ref>
 
Il 3 maggio dallo stadio di Novara vennero prelevati dodici militari fascisti con un ordine falsificato del Comando di raggruppamento partigiano, poi uccisi e gettati nel [[canale Cavour]].<ref>{{cita|Bermani|p. 329}}, afferma che quello fu uno dei "fattacci del periodo successivo all'insurrezione".</ref> Nello stesso giorno a Novara si installò l'[[Allied Military Government|Amministrazione militare alleata per i territori occupati]] presieduta dal capitano statunitense Fred De Angelis.<ref>[http://www.isrn.it/dvd/citta_guerra/apparati/cronologia.htm Cronologia degli avvenimenti di Novara durante la seconda guerra mondiale] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20060920191011/http://www.isrn.it/dvd/citta_guerra/apparati/cronologia.htm |data=20 settembre 2006 }} tratta dal sito dell'Istituto storico della Resistenza e della società contemporanea nel Novarese e nel Verbano Cusio Ossola "Piero Fornara".</ref> L'8 maggio altri cadaveri di militi fascisti vennero ripescati dal [[canale Quintino Sella]],<ref>''[[Corriere di Novara]]'', 8 maggio 1945; {{cita|Pansa 2003|p. 83}}.</ref> diramatore del canale Cavour.
L'[[8 maggio]] altri cadaveri di militi fascisti vennero ripescati dal [[canale Quintino Sella]]<ref>''Corriere di Novara'', 8 maggio 1945; {{cita|Pansa|p. 83}}.</ref>.
 
Nel frattempo iniziarono ad affluire a Novara le prime truppe alleate, che il [[13 maggio]] iniziarono a presidiare anche lo stadio, rilevando i partigiani nella sorveglianza dei prigionieri.<ref name="bermani329"/>. Fra il [[16 maggio|16]] e il [[18 maggio]] i prigionieri di Novara vennero prelevati dagli Alleati, che utilizzarono per il trasporto quattordici camion: nove partiti dallo stadio, cinque dalla caserma Tamburini. Gli uomini vennero trasportati prevalentemente a Bologna e da lì smistati in vari luoghi, fra i quali il [[campo di concentramento di Coltano]], mentre le donne (caricate su due camion) vennero portate a Milano, a disposizione della V Armata per lo sgombero di macerie ed altri lavori.<ref name="bermani329"/>.
 
=== Il trasferimento all'ospedale psichiatrico e le esecuzioni sommarie ===
== L'eccidio ==
{{Doppia immagine|destra|Ponte di Greggio.JPG|217|Cadaveri delle vittime di Greggio ripescati.jpg|275|Il ponte di [[Greggio (Italia)|Greggio]]|Ripescaggio di cadaveri gettati nel [[Canale Cavour]]}}
Il [[12 maggio]], un gruppo di partigiani della 182ª Brigata Garibaldi "Pietro Camana" partì alla volta di Novara con un autobus ed un autocarro ed un elenco di 170 nomi di prigionieri fascisti da prelevare<ref>L'evento è descritto negli stessi termini sia in {{cita|Bermani|p. 330}}, che in {{cita|Pansa|p. 83}}. Il secondo riporta in più la notizia dell'elenco di 170 nomi.</ref>. Giunti costoro sul posto, i fascisti da prelevare furono chiamati tramite appello e in tutto ne furono individuati 75, che furono caricati sugli automezzi e portati a Vercelli<ref>La ricostruzione dettagliata dei fatti è riportata dalla «[http://legislature.camera.it/_dati/leg01/lavori/stampati/pdf/002_144001.pdf Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro i deputati Moranino e Ortona]», presentata alla Camera dei Deputati dal Procuratore Generale del Tribunale di Torino Ciaccia il 24 giugno del 1949. Il numero di 75 prigionieri prelevati è contenuto in tale documento e confermato pure da {{cita|Pansa|p. 83}}; secondo {{cita|Bermani|p. 330}}, i fascisti caricati sui carri furono 62; secondo invece {{cita|Uboldi|p. 324}}, da Novara fu prelevata una "settantina di militi fascisti".</ref>, rinchiudendoli all'interno del locale Ospedale Psichiatrico dopo aver costretto il personale ospedaliero ad uscire<ref name=dom144p2>«Domanda di autorizzazione a procedere [...] contro Moranino e Ortona» (1949), cit., p. 2.</ref>. Lì vennero percossi violentemente<ref name=dom144p2>«Domanda di autorizzazione a procedere [...] contro Moranino e Ortona» (1949), cit., p. 2.</ref> e divisi in gruppi. Fra il pomeriggio del 12 e le prime ore del 13 maggio, quasi tutti i prigionieri vennero eliminati, secondo le seguenti modalità:
Il 12 maggio, un gruppo di partigiani della 182ª Brigata Garibaldi "Pietro Camana" partì alla volta di Novara con un autobus ed un autocarro, fornito di un elenco di 170 nomi di prigionieri fascisti da prelevare.<ref>L'evento è descritto negli stessi termini sia in {{cita|Bermani|p. 330}}, che in {{cita|Pansa 2003|p. 83}}. Il secondo riporta in più la notizia dell'elenco di 170 nomi.</ref> Giunti sul posto, chiamarono tramite appello i fascisti dell'elenco: ne individuarono in tutto 75, li caricarono sugli automezzi e li portarono a Vercelli,<ref>La ricostruzione dettagliata dei fatti è riportata dalla «[http://legislature.camera.it/_dati/leg01/lavori/stampati/pdf/002_144001.pdf Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro i deputati Moranino e Ortona]», presentata alla Camera dei Deputati dal Procuratore Generale del Tribunale di Torino Ciaccia il 24 giugno del 1949. Il numero di 75 prigionieri prelevati è contenuto in tale documento e confermato pure da {{cita|Pansa 2003|p. 83}}; secondo {{cita|Bermani|p. 330}}, i fascisti caricati sui carri furono 62; secondo invece {{cita|Uboldi|p. 324}}, da Novara fu prelevata una "settantina di militi fascisti".</ref> rinchiudendoli all'interno del locale ospedale psichiatrico dopo aver costretto il personale ospedaliero ad uscire.<ref name="dom144p2">«Domanda di autorizzazione a procedere [...] contro Moranino e Ortona» (1949), cit., p. 2.</ref> Lì vennero percossi violentemente<ref name="dom144p2"/> e divisi in gruppi. Fra il pomeriggio del 12 e le prime ore del 13 maggio, la maggioranza dei prigionieri venne eliminata, secondo le seguenti modalità:
[[File:Ponte di Greggio.JPG|thumb|230px|right|Il ponte di [[Greggio (Italia)|Greggio]]]]
* Undici vennero trasportati nella vicina frazione di [[Larizzate]], fucilati e sommariamente seppelliti in una trincea di difesa antiaerea<ref>La ricostruzione della sorte di questi undici prigionieri è tratta da «Domanda di autorizzazione a procedere [...] contro Moranino e Ortona» (1949), cit., p. 2, da {{cita|Bermani|p. 330}} e da {{cita|Uboldi|p. 325}}.</ref>.
* Secondo la procura di Torino, poco più di dieci prigionieri vennero legati col fil di ferro, stesi a terra nel piazzale dell'ospedale e schiacciati sotto le ruote di due autocarri, utilizzati "a guisa di due rulli compressori"<ref>La frase virgolettata è tratta da ''[[Il Tempo]]'' del 22 novembre 1949, citato in {{cita|Bermani|p. 330}}. Identica ricostruzione nella «Domanda di autorizzazione a procedere [...] contro Moranino e Ortona» (1949), cit., p. 2.</ref>. Cesare Bermani ricostruisce l'episodio specifico in modo dubitativo: i prigionieri "sarebbero stati legati col fil di ferro, stesi a terra e schiacciati sotto le ruote di due autocarri"<ref name="bermani330"/>. Per Uboldi, invece, venti prigionieri sono stati "trucidati" all'interno dell'ospedale psichiatrico e successivamente "i corpi (furono) portati sul piazzale antistante l'ospedale e una camionetta vi (passò) ripetutamente sopra [...]"<ref>{{cita|Uboldi|p. 324}}.</ref>. I corpi di questi prigionieri non sono mai stati ritrovati<ref>{{cita|Uboldi|p. 325}}; Walter Camurati, ''Senza esito gli scavi all'ex Opn'', in ''La Stampa'', 30 maggio 1996, p. 36; F.Co., ''I fucilati dell'ex Opn meritano sepoltura'', in ''La Stampa'', 25 ottobre 1998, p. 38.</ref>.
* Altri prigionieri sarebbero stati defenestrati o uccisi alla spicciolata, sempre nei locali o nell'orto dell'ospedale<ref>Questo fatto è riportato da {{cita|Bermani|p. 330}} e {{cita|Pansa|p. 83}}.</ref>.
* Il grosso fu portato a [[Greggio (Italia)|Greggio]], comune in provincia di Vercelli, ed ucciso in piena notte sul ponte del [[Canale Cavour]] alla luce dei fari di due camion<ref>{{cita|Pansa|p. 83}}; «Domanda di autorizzazione a procedere [...] contro Moranino e Ortona» (1949), cit., p. 2.; per {{cita|Uboldi|p. 325}}, furono esattamente 20 i militi uccisi a Greggio.</ref>. I loro corpi vennero in seguito gettati in acqua<ref>{{cita|Bermani|p. 330}}; {{cita|Pansa|p. 83}}; «Domanda di autorizzazione a procedere [...] contro Moranino e Ortona» (1949), cit., p. 2.</ref>: in parte furono ritrovati nei giorni successivi<ref>{{cita|Uboldi|p. 325}}.</ref>.
 
* Undici vennero trasportati nella vicina frazione di [[Larizzate]], fucilati e sommariamente seppelliti in una trincea di difesa antiaerea.<ref>La ricostruzione della sorte di questi undici prigionieri è tratta da «Domanda di autorizzazione a procedere [...] contro Moranino e Ortona» (1949), cit., p. 2, da {{cita|Bermani|p. 330}} e da {{cita|Uboldi|p. 325}}.</ref>
Secondo la Procura di Torino, una dozzina di prigionieri venne tradotta dall'ospedale psichiatrico di Vercelli al locale carcere giudiziario, contribuendo successivamente alla ricostruzione dei fatti con la propria testimonianza<ref name=dom144p2/><ref>Per {{cita|Uboldi|p. 325}}, invece i fascisti che si salvarono furono ventiquattro.</ref>.
* Secondo la ricostruzione della procura di Torino, poco più di dieci prigionieri furono legati col fil di ferro, stesi a terra nel piazzale dell'ospedale e schiacciati sotto le ruote di due autocarri, utilizzati "a guisa di due rulli compressori".<ref>La frase virgolettata è tratta da ''[[Il Tempo]]'' del 22 novembre 1949, citato in {{cita|Bermani|p. 330}}. Identica ricostruzione nella «Domanda di autorizzazione a procedere [...] contro Moranino e Ortona» (1949), cit., p. 2.</ref> Cesare Bermani ricostruisce l'episodio specifico in modo dubitativo: i prigionieri "sarebbero stati legati col fil di ferro, stesi a terra e schiacciati sotto le ruote di due autocarri".<ref name=bermani330/> Per Uboldi, invece, venti prigionieri furono "trucidati" all'interno dell'ospedale psichiatrico e successivamente "i corpi [vennero] portati sul piazzale antistante l'ospedale e una camionetta vi [passò] ripetutamente sopra [...]".<ref>{{cita|Uboldi|p. 324}}: "[...] i corpi vengono portati sul piazzale antistante l'ospedale e una camionetta vi passa ripetutamente sopra fino a ridurli a un macabro viluppo di ossa, carne e sangue".</ref> I corpi di questi prigionieri non sono mai stati ritrovati.<ref>{{cita|Uboldi|p. 325}}; Walter Camurati, ''Senza esito gli scavi all'ex Opn'', in ''La Stampa'', 30 maggio 1996, p. 36; F.Co., ''I fucilati dell'ex Opn meritano sepoltura'', in ''La Stampa'', 25 ottobre 1998, p. 38.</ref>
* Altri prigionieri sarebbero stati defenestrati o uccisi alla spicciolata, sempre nei locali o nell'orto dell'ospedale.<ref>Questo fatto è riportato da {{cita|Bermani|p. 330}} e {{cita|Pansa 2003|p. 83}}.</ref>
 
Il grosso dei prigionieri fu portato a [[Greggio (Italia)|Greggio]], comune in provincia di Vercelli, e fu ucciso in piena notte sul ponte del [[Canale Cavour]] alla luce dei fari di due camion. Il numero delle vittime riportato dalle fonti è variabile da un minimo di 20 ad un massimo di 50.<ref>{{cita|Pansa 2003|p. 83}}; «Domanda di autorizzazione a procedere [...] contro Moranino e Ortona» (1949), cit., p. 2; per {{cita|Uboldi|p. 325}}, furono esattamente 20 i militi uccisi a Greggio. Per {{cita|Roccia|p. 224 e ss.}} furono 25 nominativi più 24 non identificati.</ref> I loro corpi vennero gettati in acqua:<ref>{{cita|Bermani|p. 330}}; {{cita|Pansa 2003|p. 83}}; «Domanda di autorizzazione a procedere [...] contro Moranino e Ortona» (1949), cit., p. 2.</ref> alcuni furono ritrovati solo dopo alcuni giorni e in certi casi anche diversi chilometri a valle del luogo in cui furono uccisi.<ref>{{cita|Roccia|p. 224 e ss.}}; {{cita|Uboldi|p. 325}}.</ref>
===Le vittime===
Il numero esatto delle vittime è ignoto. La questura di Vercelli ne indicò nominativamente cinquantuno<ref>{{cita|Pansa|p. 83}}; «Domanda di autorizzazione a procedere [...] contro Moranino e Ortona» (1949), cit., p. 2.</ref>, ma la Procura di Torino nel 1949 ipotizzò che fosse "lecito" ritenere che il loro numero "superi notevolmente" tale cifra, tenuto conto "che nelle acque del canale Cavour, alle [[chiusa (ingegneria)|chiuse]] di [[Veveri]], vennero pescati nel secondo semestre del 1945 una cinquantina di cadaveri [...]; che dei 75 prelevati a Novara poco più di una dozzina ebbe salva la vita; che altri militi fascisti catturati fuori del campo di concentramento di Novara ebbero morte la stessa notte del 12 maggio"<ref name=dom144p2/>. La questione è stata affrontata in tempi recenti solo dalle associazioni dei reduci della Repubblica Sociale Italiana o da autori di aree politiche affini: il numero in tali casi sale a circa sessantacinque vittime<ref>{{cita|Pansa|p. 84}}, rileva come Pierangelo Pavesi sia raggiunto a tale numero sulla base di ricerche successive all'uscita del suo libro.</ref>.
 
Secondo la Procura di Torino, una dozzina di prigionieri venne tradotta dall'ospedale psichiatrico di Vercelli al locale carcere giudiziario, contribuendo successivamente alla ricostruzione dei fatti con la propria testimonianza.<ref name=dom144p2/><ref>Per {{cita|Uboldi|p. 325}}, invece i fascisti che si salvarono furono ventiquattro.</ref>
I cinquantuno nominativi indicati dalla questura di Vercelli<ref>L'elenco è riportato anche in un trafiletto dal titolo ''Gli uccisi'' in ''La Stampa'', 30 maggio 1996, p. 36, con alcune varianti in una decina di nomi e nei cognomi.</ref> sono i seguenti:
 
=== Le vittime ===
{| style="width:100%; background:transparent"
Il numero esatto delle vittime è ignoto. La questura di Vercelli ne indicò nominativamente cinquantuno,<ref>{{cita|Pansa 2003|p. 83}}; «Domanda di autorizzazione a procedere [...] contro Moranino e Ortona» (1949), cit., p. 2.</ref> ma la Procura di Torino nel 1949 ipotizzò che fosse "lecito" ritenere che il loro numero "superi notevolmente" tale cifra, tenuto conto "che nelle acque del canale Cavour, alle [[chiusa (ingegneria)|chiuse]] di [[Veveri]], vennero pescati nel secondo semestre del 1945 una cinquantina di cadaveri [...]; che dei 75 prelevati a Novara poco più di una dozzina ebbe salva la vita; che altri militi fascisti catturati fuori del campo di concentramento di Novara ebbero morte la stessa notte del 12 maggio".<ref name=dom144p2/> La questione è stata affrontata in tempi recenti solo dalle associazioni dei reduci della Repubblica Sociale Italiana o da autori di aree politiche affini: il numero in tali casi sale a circa sessantacinque vittime.<ref>{{cita|Pansa 2003|p. 84}}, rileva come Pierangelo Pavesi sia raggiunto a tale numero sulla base di ricerche successive all'uscita del suo libro.</ref>
 
I cinquantuno nominativi indicati dalla questura di Vercelli<ref>L'elenco è riportato anche in un trafiletto dal titolo ''Gli uccisi'' in ''La Stampa'', 30 maggio 1996, p. 36, con alcune varianti in una dozzina fra nomi o cognomi, come riportato nella note successive.</ref> sono i seguenti:
 
{| style="width:100%; background:transparent; "
| align="center" |
{| class="prettytablewikitable sortable"
! width="125" | Nome !! width="150" | Cognome !! width="150" | Luogo di nascita !! width="150" | Data di nascita !! width="150" | Reparto !! width="150" | Grado
|-
Riga 119 ⟶ 128:
| Casimiro || Battaglia || Montagnana (MO) || 24 luglio 1906 || GNR || Milite
|-
| Alessandro || Biagioni<ref>Biagione.</ref> || Castelnuovo di Garfagnana (LU) || 31 anni || GNR || Brigadiere
|-
| Luigi || Biagioni || Potenza || ND || GNR || Milite
|-
| Giovanni || Cappio Barazzone<ref>Cappio.</ref> || Croce Mosso (VC) || 16 agosto 1901 || GNR || Milite
|-
| Costantino<ref>Costante.</ref> || Castaldi || Graglia (VC) || ND || GNR || Milite (ex vigile urbano)
|-
| Nicola || Cesare<ref>Nell'articolo de ''La Stampa'' nome e cognome sono invertiti: Cesare Nicola.</ref> || ND || ND || ND || ND
|-
| Giuseppe || Coggiola || Trino (VC) || 12 gennaio 1899 || GNR || Milite
Riga 135 ⟶ 144:
| Luigi || Del Vecchio || Terlizzi (BA) || 23 settembre 1928 || Brigate Nere || Squadrista
|-
| Giustino || Fangini<ref>Francini.</ref> || ND || 1908 || GNR || Milite
|-
| Alberto || Ferrari<ref>Ferraris.</ref> || Biella || 21 maggio 1921 || Brigate Nere || Squadrista
|-
| Danilo || Ferro || Oderzo (TV) || 1917 || GNR || Tenente
Riga 155 ⟶ 164:
| Domenico || Lorenzoni || Rieti || 1909 || GNR || Capitano
|-
| Marcello || Maddetti<ref>Mazzetti.</ref> || ND || ND || GNR || Milite
|-
| Ennio || Marchi || Vezzano sul Crostolo (RE) || 18 dicembre 1897 || Brigate Nere || Capitano
|-
| DomenicoRaffaello || MarescalchiMorescalchi || Viareggio (LU) || ND || GNR || Maggiore
|-
| Costanzo || Marola || Vercelli || 10 agosto 1905 || GNR || Aiutante
Riga 167 ⟶ 176:
| Alfredo || Mazzocchi || ND || ND || ND || ND
|-
| Vittorio || Melkar<ref>Mercar.</ref> || ND || ND || GNR || Milite
|-
| Walter || Mezzedini<ref>Mazzedini.</ref> || ND || ND || GNR || Milite
|-
| Giovanni || Milano<ref>Gianni Milani.</ref> || ND || ND || GNR || Milite
|-
| Alberto || Perfetti || Rovito (CS) || 20 agosto 1901 || GNR || Tenente Colonnello
Riga 191 ⟶ 200:
| Antonio || Scarabello || ND || ND || ND || ND
|-
| Giuseppe || Scarantino<ref>{{Cita|Uboldi|p. 325}}, lo riporta come "Giuseppe Scarantina, di sedici anni".</ref> || Caltanissetta || 1929 || GNR || Milite
|-
| Aldo || Secchi || Induno Olona (VA) || 13 novembre 1926 || GNR || Sottotenente
Riga 199 ⟶ 208:
| Luca || Signorelli || San Martino in Rio (RE) || 28 marzo 1892 || GNR || Maggiore
|-
| Livio<ref>Lilio.</ref> || Stefanucci || Fabrica di Roma || 15 agosto 1900 || GNR || Capitano
|-
| Giovanni Battista<ref>Battista.</ref> || Terrile || Genova || 28 giugno 1907 || GNR || Aiutante
|-
| Giovanni || Testa || Camagna Monferrato (AL) || 1900 || GNR || Capitano
Riga 217 ⟶ 226:
|}
 
== I presunti responsabili, il procedimento giudiziario e le polemiche politiche ==
Malgrado le indagini sul caso avessero inizio fin dal [[1946]],<ref>La data si ricava dalle autorizzazioni a procedere a carico dei due deputati, accusati dalla Procura di Torino di essere i mandanti delle uccisioni.</ref> il procedimento giudiziario per l'uccisione dei prigionieri di Vercelli non arrivò mai alla [[fase dibattimentale]]:<ref>{{cita|Uboldi|p. 324}}: «Silvio Ortona, il comandante della 2ª brigata "Garibaldi", non è mai comparso in un'aula di tribunale, pur se grava su di lui più di un sospetto per la strage dell'ospedale psichiatrico di Vercelli e del Canale Cavour di Greggio».</ref> di conseguenza, non esiste alcuna condanna per l'eccidio del 12-13 maggio.
[[File:Audisio e Moranino.jpg|thumb|230px|right|Francesco Moranino (a destra), assieme a [[Ilio Barontini]] e [[Walter Audisio]]]]
[[File:Silvio Ortona.jpg|thumb|right|230px|[[Silvio Ortona]] in una foto del 1947]]
Il processo per la soppressione dei prigionieri di Vercelli non venne mai celebrato<ref>{{cita|Uboldi|p. 324}}: "Silvio Ortona, il comandante della 2ª brigata "Garibaldi", non è mai comparso in un'aula di tribunale, pur se grava su di lui più di un sospetto per la strage dell'ospedale psichiatrico di Vercelli e del Canale Cavour di Greggio."</ref>: di conseguenza, non esiste alcuna condanna per l'eccidio perpetrato all'ospedale tra il 12 e il 13 maggio. Purtuttavia le indagini sul caso ebbero inizio fin dal [[1946]]<ref>La data si ricava dalle autorizzazioni a procedere a carico dei due deputati, accusati dalla Procura di Torino di essere i mandanti delle uccisioni.</ref>.
 
Il 24 giugno [[1949]] il procuratore generale del Tribunale di Torino, Giuseppe Ciaccia, inviò al presidente della [[Camera dei Deputatideputati (Italia)|Camera dei deputati]] [[Giovanni Gronchi|Gronchi]], per il tramite del [[ministroMinistri di Graziagrazia e Giustiziagiustizia della Repubblica Italiana|Ministro di grazia e giustizia]] [[Giuseppe Grassi (politico)|Grassi]], una [[autorizzazione a procedere|domanda di autorizzazione a procedere in giudizio]] contro i deputati [[Francesco Moranino|Moranino]] e [[Silvio Ortona|Ortona]], entrambi del [[Partito Comunista Italiano]], in relazione all'eccidio. Il reato ipotizzato era quello di [[omicidio]] [[aggravante|aggravato]] [[reato continuato|continuato]].<ref>«Domanda di autorizzazione a procedere [...] contro Moranino e Ortona» (1949), cit., p. 1.</ref>. Il capo di imputazione faceva espresso riferimento ad una "«soppressione in massa"» effettuata "«con crudeltà"» di "«51 miliziani fascisti"» che "«essendosi arresi alle forze della [[Resistenza italiana|Resistenza]] [...] avevano definitivamente cessato di costituire ostacolo o remora alla conclusione della lotta contro il fascismo"».<ref name=dom144p2/>.
 
Secondo l'ipotesi accusatoria della procura, l'eccidio era da attribuirsi a elementi della 182ª Brigata Garibaldi agli ordini di Giulio CasolareCasolaro (comandante) e [[Giovanni Baltaro]] (commissario politico), mentre i mandanti sarebbero stati due capi partigiani noti coi nomi convenzionali di "Lungo" ([[Silvio Ortona]]) e "Gemisto" ([[Francesco Moranino]]), rispettivamente al comando di zona di Biella e di Vercelli.<ref name=dom_p3>«Domanda di autorizzazione a procedere [...] contro Moranino e Ortona» (1949), cit., p. 3.</ref>. Il numero complessivo degli imputati assommava allo stato a ventisette.<ref name=dom144p2/>.
 
<div style="clear:both; text-align:center"><gallery widths="200px">
Sempre secondo l'ipotesi accusatoria, Ortona nel corso dell'indagine avrebbe "esplicitamente ammesso di avere impartito a nome del comando della zona biellese l'ordine di prelevare e sopprimere i prigionieri", mentre "Moranino è chiamato in causa dal suo capo di stato maggiore "Attila" (Colombo Remo), come colui che in veste di comandante della piazza di Vercelli scrisse e sottoscrisse con l'Attila predetto e col vicecomandante "Spartano" l'ordine di consegna dei prigionieri medesimi alle forze della 182ª Brigata Garibaldi"<ref>«Domanda di autorizzazione a procedere [...] contro Moranino e Ortona» (1949), cit. p. 3.</ref>.
File:Audisio e Moranino.jpg|Francesco Moranino (a destra), assieme a [[Ilio Barontini]] (a sinistra) e [[Walter Audisio]] (al centro)
File:Silvio Ortona.jpg|[[Silvio Ortona]] in una foto del 1947
File:Giovanni Baltaro.png|[[Giovanni Baltaro]] in una foto degli anni sessanta
</gallery></div>
 
Sempre secondo la Procura di Torino, Ortona nel corso dell'indagine avrebbe «esplicitamente ammesso di avere impartito a nome del comando della zona biellese l'ordine di prelevare e sopprimere i prigionieri», mentre «Moranino è chiamato in causa dal suo capo di stato maggiore Attila (Colombo Remo), come colui che in veste di comandante della piazza di Vercelli scrisse e sottoscrisse con l'Attila predetto e col vicecomandante "Spartano" l'ordine di consegna dei prigionieri medesimi alle forze della 182ª Brigata Garibaldi».<ref name=dom_p3/>
Precedentemente alla domanda di autorizzazione a procedere, s'era parlato del procedimento giudiziario aperto contro gli autori dell'eccidio di Vercelli nel corso della seduta della Camera dei Deputati del 25 febbraio 1949<ref>[http://legislature.camera.it/_dati/leg01/lavori/stenografici/sed0184/sed0184.pdf Seduta di venerdì 25 febbraio 1949], in ''Atti Parlamentari. Camera dei Deputati'', pp. 6507 ss.</ref>. La discussione si concentrò quasi esclusivamente sul recentissimo caso della blanda condanna di [[Junio Valerio Borghese]], che aveva permesso all'ex comandante della [[Xª Flottiglia MAS (Repubblica Sociale Italiana)|Decima MAS]] di essere immediatamente scarcerato, scatenando le reazioni di molti deputati. In quell'occasione, [[Luigi Longo]] ([[Partito Comunista Italiano|PCI]]) affermò che i morti di Vercelli sarebbero stati "rastrellatori, seviziatori e banditi fascisti" e che la loro uccisione sarebbe stata giustificata dalle "direttive insurrezionali", che prevedevano di salvare la vita solo a chi fra i [[nazifascisti]] si fosse arreso "se non si sarà macchiato personalmente di gravi delitti contro il movimento di liberazione nazionale"<ref>''Seduta di venerdì 25 febbraio 1949'', cit., pp. 6522-6523. Parte del discorso di Longo è riportato anche in {{cita|Bermani|p. 330}}.</ref>.
 
Precedentemente alla domanda di autorizzazione a procedere, s'era parlato del procedimento giudiziario aperto contro gli autori dell'eccidio di Vercelli nel corso della seduta della Camera dei Deputati del 25 febbraio 1949.<ref>[http://legislature.camera.it/_dati/leg01/lavori/stenografici/sed0184/sed0184.pdf Seduta di venerdì 25 febbraio 1949], in ''Atti Parlamentari. Camera dei Deputati'', pp. 6507 ss.</ref> La discussione si concentrò quasi esclusivamente sul recentissimo caso della blanda condanna di [[Junio Valerio Borghese]], che aveva permesso all'ex comandante della [[Xª Flottiglia MAS (Repubblica Sociale Italiana)|Decima MAS]] di essere immediatamente scarcerato, scatenando le reazioni di molti deputati. In quell'occasione, [[Luigi Longo]] ([[Partito Comunista Italiano|PCI]]) affermò che i morti di Vercelli sarebbero stati "rastrellatori, seviziatori e banditi fascisti" e che la loro uccisione sarebbe stata giustificata dalle "direttive insurrezionali", che prevedevano di salvare la vita solo a chi fra i [[nazifascismo|nazifascisti]] si fosse arreso «se non si sarà macchiato personalmente di gravi delitti contro il movimento di liberazione nazionale».<ref>''Seduta di venerdì 25 febbraio 1949'', cit., pp. 6522-6523. Parte del discorso di Longo è riportato anche in {{cita|Bermani|p. 330}}.</ref>
In particolare, Longo accusò i fascisti uccisi a Vercelli di aver "compiuto stragi, distruzioni di cascine e di monumenti", citando specificamente l'omicidio di tre persone a [[Occhieppo]] avendo schiacciato "le loro vittime contro il muro con il paraurto dell'automobile"; la fucilazione al completo del Comando della 76ª Brigata Garibaldi; l'uccisione dei sacerdoti di Porrazzo e di [[Sala Biellese]]; la partecipazione al massacro di Santhià del 29/30 aprile 1945; l'eccidio di vari partigiani a [[Salussola]], [[Buronzo]] e [[Biella]] e lungo l'[[Autostrada A4 (Italia)|autostrada Milano-Torino]]. "La fucilazione di tutti costoro" – concludeva Longo – "è stata conforme alle direttive del Comando generale"<ref>Seduta di venerdì 25 febbraio 1949, cit., p. 6523.</ref>. Successivi studi storiografici misero in luce che fra i delitti segnalati da Longo, il massacro di Santhià e l'uccisione del comando della 76ª Brigata Garibaldi furono opera di truppe tedesche<ref>Sul primo si vedano le conclusioni di Ezio Manfredi «Dalle Alpi occidentali a Santhià. La strage dell'aprile 1945 e la resa del 75º Corpo d'Armata», in ''L'impegno'', n. 3, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli, dicembre 2001, che ritiene anche "poco probabile che" i tedeschi "siano stati guidati" verso alcune cascine nelle quali si trovavano i partigiani "da una spia del paese"; sul secondo episodio si veda Mario Vaira, «Walter Fillak, il comandante Martin», in ''Canavèis. Natura, arte, storia e tradizioni del Canavese e delle Valli del Lanzo'', Autunno 2008 – Inverno 2009, Cumbe Edizioni 2008, per il quale a catturare i partigiani furono dei reparti tedeschi "grazie alla delazione di una spia", così come a condannarli e a giustiziarli furono unicamente dei tedeschi.</ref>. Oltre a ciò, l'omicidio di don Francesco Cabrio avvenuto il 15 novembre 1944 a [[Torrazzo]] (da Longo erroneamente indicato come "Porrazzo") fu opera del sottotenente della Divisione "Littorio" Gian Francesco del Corto, non compreso fra le vittime dell'eccidio di Vercelli<ref>Si veda in merito la [http://www.anpi.it/donne-e-uomini/don-francesco-cabrio biografia] di don Cabrio presente nel sito dell'[[ANPI]].</ref>.
 
In particolare, Longo accusò i fascisti uccisi a Vercelli di aver «compiuto stragi, distruzioni di cascine e di monumenti», citando specificamente l'omicidio di tre persone a Occhieppo<ref>Longo non specificò nel suo discorso se si trattasse della località di [[Occhieppo Superiore]] od [[Occhieppo Inferiore]]: in queste due località non risultano comunque delle memorie relative a questo omicidio.</ref> avendo schiacciato «le loro vittime contro il muro con il paraurto dell'automobile»; la fucilazione al completo del Comando della 76ª Brigata Garibaldi; l'uccisione dei sacerdoti di [[Torrazzo]] (da Longo erroneamente chiamato "Porrazzo") e di [[Sala Biellese]]; la partecipazione al massacro di Santhià del 29/30 aprile 1945; l'eccidio di vari partigiani a [[Salussola]], [[Buronzo]] e [[Biella]] e lungo l'[[Autostrada A4 (Italia)|autostrada Milano-Torino]]. «La fucilazione di tutti costoro» concludeva Longo «è stata conforme alle direttive del Comando generale».<ref>Seduta di venerdì 25 febbraio 1949, cit., p. 6523.</ref> Tuttavia, successivi studi storiografici misero in luce che, fra i delitti segnalati da Longo, il massacro di Santhià, l'uccisione del comando della 76ª Brigata Garibaldi e l'eccidio di Buronzo (o della Garella) erano stati perpetrati da truppe tedesche.<ref>Sul primo si vedano le conclusioni di Ezio Manfredi, ''[http://www.storia900bivc.it/pagine/editoria/manfredi301.html Dalle Alpi occidentali a Santhià. La strage dell'aprile 1945 e la resa del 75º Corpo d'armata] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20090926210006/http://www.storia900bivc.it/pagine/editoria/manfredi301.html |date=26 settembre 2009 }}'', in ''l'impegno'', n. 3, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli, dicembre 2001, che ritiene anche "poco probabile che" i tedeschi "siano stati guidati" verso alcune cascine nelle quali si trovavano i partigiani "da una spia del paese". Sul secondo episodio si veda Mario Vaira, «Walter Fillak, il comandante Martin», in ''Canavèis. Natura, arte, storia e tradizioni del Canavese e delle Valli del Lanzo'', Autunno 2008 – Inverno 2009, Cumbe Edizioni 2008, per il quale a catturare i partigiani furono dei reparti tedeschi "grazie alla delazione di una spia", così come a condannarli e a giustiziarli furono unicamente dei tedeschi. Sull'eccidio di Buronzo del 15 marzo 1945, rappresaglia germanica per un attacco partigiano di tre giorni prima, si veda ''[http://www.storia900bivc.it/pagine/itinerari/biellese2c.html Itinerari della resistenza biellese] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20160304084536/http://www.storia900bivc.it/pagine/itinerari/biellese2c.html |date=4 marzo 2016 }}'', dal sito dell'Istituto Storico per la storia della Resistenza e della società contemporanea delle province di Biella e Vercelli.</ref> Oltre a ciò, l'omicidio di don Francesco Cabrio avvenuto il 15 novembre 1944 a [[Torrazzo]] fu opera del sottotenente della Divisione "Littorio" Gian Francesco del Corto, non compreso fra le vittime dell'eccidio di Vercelli.<ref>Si veda in merito la [http://www.anpi.it/donne-e-uomini/don-francesco-cabrio biografia] di don Cabrio presente nel sito dell'[[Associazione Nazionale Partigiani d'Italia|ANPI]].</ref> Infine, il parroco di Sala Biellese&nbsp;– don Tabarolo&nbsp;– risulterebbe morto a causa dello scoppio di una granata nel corso di una battaglia fra nazifascisti e partigiani, il 1º febbraio 1945.<ref>''[http://www.anpi.it/donne-e-uomini/piero-germano/ Piero Germano]'', dal sito dell'ANPI. Sulla battaglia di Sala Biellese, si veda la ricostruzione storica in [http://www.storia900bivc.it/pagine/editoria2/germano482.html Piero Germano, ''La battaglia di Sala Biellese. 1º febbraio 1945''] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20071028025401/http://www.storia900bivc.it/pagine/editoria2/germano482.html |date=28 ottobre 2007 }}, dal sito dell'Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli, originariamente pubblicato in ''L'Impegno'', a. II, n. 4, dicembre 1982.</ref> L'[[eccidio di Salussola]] (8 e 9 marzo 1945),<ref>[http://www.salussola.net/eccidio1945/ ''L'eccidio di Salussola: 8 e 9 marzo 1945''], dal sito/portale del paese di Salussola.</ref> nel quale furono fucilati venti o ventuno partigiani,<ref name=salussola /> venne invece immediatamente attribuito al CXV battaglione "Montebello" della GNR, i cui resti facevano effettivamente parte della colonna Morsero.<ref>Pierfrancesco Manca, [http://www.storia900bivc.it/pagine/editoria/manca300.html ''Guerra civile e guerra di popolo nel Biellese''] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20071027095430/http://www.storia900bivc.it/pagine/editoria/manca300.html |date=27 ottobre 2007 }} dal sito dell'Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli, originariamente in "L'Impegno", a. XX, n. 3, dicembre 2000 e a. XXI, n. 1, aprile 2001: «Il 9 marzo 1945 il comando della V divisione "Garibaldi" rivolgeva al comando del 115º battaglione "Montebello" della GNR una richiesta curiosa: "A seguito dell'odierna esecuzione di Salussola, abbiamo provveduto a denunciare il vostro reparto e al Governo Italiano quali 'criminali di guerra'. In caso che l'esecuzione non fosse stata opera vostra, vogliate precisarci il reparto e gli ufficiali responsabili per le rettifiche del caso"».</ref>
Il 16 maggio 1950 il procuratore della Repubblica di Torino, Andriano, inviò alla presidenza della Camera dei Deputati, per il tramite del ministro di Grazia e Giustizia [[Attilio Piccioni|Piccioni]], un'integrazione alla precedente domanda di autorizzazione a procedere, richiedendo l'arresto dei deputati "per evitare eventuali eccezioni che potrebbero compromettere e ostacolare il normale svolgimento dell'istruttoria"<ref>«[http://legislature.camera.it/_dati/leg01/lavori/stampati/pdf/002_144002.pdf Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro i deputati Moranino e Ortona]», doc. II, n. 144-bis, 23 giugno 1950.</ref>. La Camera tuttavia non discusse la richiesta di autorizzazione a procedere, che conseguentemente decadde nel [[1953]], al termine della [[I Legislatura della Repubblica Italiana|I legislatura]].
[[File:Cippo ospedale psichiatrico di Vercelli.JPG|160px|thumb|Il cippo dell'ospedale psichiatrico]]
[[File:Cippo ponte di Greggio.JPG|160px|thumb|Il memoriale presso il ponte di Greggio]]
 
Il 16 maggio 1950 il procuratore della Repubblica di Torino, Sisto Angelo Andriano, inviò alla presidenza della Camera dei Deputati, attraverso il [[Ministri di grazia e giustizia della Repubblica Italiana|Ministro di grazia e giustizia]] [[Attilio Piccioni|Piccioni]], un'integrazione alla precedente domanda di autorizzazione a procedere, richiedendo l'arresto dei deputati «per evitare eventuali eccezioni che potrebbero compromettere e ostacolare il normale svolgimento dell'istruttoria».<ref>«[http://legislature.camera.it/_dati/leg01/lavori/stampati/pdf/002_144002.pdf Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro i deputati Moranino e Ortona]», doc. II, n. 144-bis, 23 giugno 1950.</ref> La Camera tuttavia non discusse la richiesta di autorizzazione a procedere, che conseguentemente decadde nel [[1953]], al termine della [[I legislatura della Repubblica Italiana|I legislatura]].
Con l'inizio della [[II Legislatura della Repubblica Italiana|II legislatura]], il [[17 agosto]] [[1953]] il procuratore generale di Torino, Nigro, inoltrò, per il tramite del ministro di grazia e giustizia [[Antonio Azara|Azara]], una nuova domanda di autorizzazione a procedere e all'arresto dei due deputati<ref>«[http://legislature.camera.it/_dati/leg02/lavori/stampati/pdf/002_137001.pdf Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro i deputati Moranino e Ortona]», doc. II, n. 137, 17 agosto 1953.</ref>. Nigro integrò la domanda il [[12 novembre]] [[1954]], revocando la richiesta di arresto<ref>«[http://legislature.camera.it/_dati/leg02/lavori/stampati/pdf/002_137002.pdf Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro i deputati Moranino e Ortona]», doc. II, n. 137-bis, 12 novembre 1954.</ref> per effetto dell'amnistia nel frattempo intervenuta a dicembre del 1953<ref>La cosiddetta "amnistia Azara", dal nome del Guardasigilli [[Antonio Azara]]: DPR 19 dicembre 1953, n. 922.</ref>. L'[[8 luglio]] [[1957]] la [[Giunta parlamentare|Giunta per le autorizzazioni a procedere]] espresse a maggioranza parere favorevole sull'autorizzazione a procedere in giudizio, "non essendo affiorato alcun elemento, in base al quale si possa parlare di persecuzione politica" contro Ortona e Moranino<ref>«[http://legislature.camera.it/_dati/leg02/lavori/stampati/pdf/002_137003.pdf Relazione della giunta per le autorizzazioni a procedere sulla domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro i deputati Moranino e Ortona]», doc. II, nn. 137 e 137-bis A, 8 luglio 1957.</ref>. La richiesta tuttavia non venne discussa in aula entro il termine della legislatura. Per la stessa tipologia di reati e relativamente allo stesso fatto, l'[[11 luglio]] [[1957]] il procuratore generale di Torino, Trombi, presentò alla Camera dei Deputati, per il tramite del ministro di Grazia e Giustizia [[Guido Gonella|Gonella]], un'ulteriore domanda di autorizzazione a procedere contro il deputato [[Partito Socialista Italiano|socialista]] [[Giovanni Baltaro]] ritenuto dall'accusa "correo del Moranino e dell'Ortona"<ref>«[http://legislature.camera.it/_dati/leg02/lavori/stampati/pdf/002_137004.pdf Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Baltaro]», doc. II, n. 137-ter, 11 luglio 1957.</ref>. Questa domanda di autorizzazione a procedere non risulta discussa né in giunta per le autorizzazioni a procedere, né in aula.
 
Con l'inizio della [[II legislatura della Repubblica Italiana|II legislatura]], il 17 agosto [[1953]] il procuratore generale di Torino, Gabriele Nigro, inoltrò, per il tramite del [[Ministri di grazia e giustizia della Repubblica Italiana|Ministro di grazia e giustizia]] [[Antonio Azara|Azara]], una nuova domanda di autorizzazione a procedere e all'arresto dei due deputati.<ref>«[http://legislature.camera.it/_dati/leg02/lavori/stampati/pdf/002_137001.pdf Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro i deputati Moranino e Ortona]», doc. II, n. 137, 17 agosto 1953.</ref> Nigro integrò la domanda il 12 novembre [[1954]], revocando la richiesta di arresto<ref>«[http://legislature.camera.it/_dati/leg02/lavori/stampati/pdf/002_137002.pdf Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro i deputati Moranino e Ortona]», doc. II, n. 137-bis, 12 novembre 1954.</ref> per effetto dell'amnistia nel frattempo intervenuta a dicembre del 1953.<ref>La cosiddetta "amnistia Azara", dal nome del Guardasigilli [[Antonio Azara]]: DPR 19 dicembre 1953, n. 922.</ref> L'8 luglio [[1957]] la [[Giunta parlamentare|Giunta per le autorizzazioni a procedere]] espresse a maggioranza parere favorevole sull'autorizzazione a procedere in giudizio, «non essendo affiorato alcun elemento, in base al quale si possa parlare di persecuzione politica» contro Ortona e Moranino.<ref>«[http://legislature.camera.it/_dati/leg02/lavori/stampati/pdf/002_137003.pdf Relazione della giunta per le autorizzazioni a procedere sulla domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro i deputati Moranino e Ortona]», doc. II, nn. 137 e 137-bis A, 8 luglio 1957.</ref> La richiesta tuttavia non venne discussa in aula entro il termine della legislatura. Per la stessa tipologia di reati e relativamente allo stesso fatto, l'11 luglio [[1957]] il procuratore generale di Torino, Pietro Trombi, presentò alla Camera dei Deputati, per il tramite del [[Ministri di grazia e giustizia della Repubblica Italiana|Ministro di grazia e giustizia]] [[Guido Gonella|Gonella]], un'ulteriore domanda di autorizzazione a procedere contro il deputato [[Partito Comunista Italiano|comunista]] [[Giovanni Baltaro]], ritenuto dall'accusa «correo del Moranino e dell'Ortona».<ref>«[http://legislature.camera.it/_dati/leg02/lavori/stampati/pdf/002_137004.pdf Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro il deputato Baltaro]», doc. II, n. 137-ter, 11 luglio 1957.</ref> Questa domanda non risulta discussa né in giunta per le autorizzazioni a procedere, né in aula.
==L'assunzione di responsabilità politica dell'eccidio==
Secondo notizie apparse sulla stampa in occasione della morte di Ortona ([[6 marzo]] [[2005]]), l'ex comandante partigiano fu "una delle persone rare capaci di assumersi la responsabilità politica di un fatto, l'eccidio dell'Opn<ref>Opn sta per "Ospedale Neuro Psichiatrico".</ref> di cui, in verità, non fu testimone diretto né indiretto"<ref>Donata Belossi, ''Il partigiano-ebreo che amava Cogne'', in ''[[La Stampa]]'', 11 marzo 2005, p. 45.</ref>.
 
Il 9 maggio [[1961]] infine, il giudice [[Giuseppe Ottello]], presidente della Sezione Istruttoria della Corte d'Appello di Torino, prosciolse gli imputati coinvolti «per la natura politica del reato» ed emise una [[sentenza di non luogo a procedere]] anche nei confronti di Francesco Moranino, all'epoca ancora latitante, sia pure solamente per insufficienza di prove, revocando così il mandato di cattura emesso nei suoi confronti. La corte ebbe modo di sottolineare come vi fossero, evidenziati dalle risultanze processuali, «gravi dubbi sulla responsabilità del Moranino sotto il profilo di una determinazione al delitto, da altri certamente eseguito».<ref>Archivio di Stato di Vercelli, Prefettura – Gabinetto (II versamento, mazzo n.66) S.I. della Corte d'Appello di Torino, “Sentenza nel procedimento penale contro Moranino Francesco (…) ed altri”, Torino, 9 maggio 1961</ref>
== La memoria==
A ricordo dei caduti furono eretti due monumenti: un memoriale presso il [[canale Cavour]] a [[Greggio (Italia)|Greggio]], e un [[cippo]] in pietra sullo spiazzo dell'ospedale psichiatrico di Vercelli. Alcune associazioni reducistiche o di estrema destra ricordano ogni anno l'eccidio con una commemorazione nei luoghi in cui esso ebbe luogo<ref>Mario Cassano, «[http://www.fondazionersi.org/mediawiki/images/d/da/Acta66.pdf Vercelli, il 12 maggio 1945]», articolo e documentazione fotografica su ''Acta'', bimestrale culturale scientifico informativo dell'Istituto Storico della Fondazione della RSI, anno XXII, n. 2 (66) maggio-luglio 2008, pp. 12-13.</ref>.
 
Secondo notizie apparse sulla stampa in occasione della morte di Silvio Ortona (6 marzo [[2005]]), l'ex comandante partigiano fu «una delle persone rare capaci di assumersi la responsabilità politica di un fatto, l'eccidio dell'Opn<ref>Opn sta per "Ospedale Neuro Psichiatrico".</ref> di cui, in verità, non fu testimone diretto né indiretto».<ref>Donata Belossi, ''Il partigiano-ebreo che amava Cogne'', in ''[[La Stampa]]'', 11 marzo 2005, p. 45.</ref>
==La qualificazione storiografica==
[[Claudio Pavone]] ha espressamente definito l'eccidio di Vercelli come "rappresaglia": "Quando, fra il 28 e il 29 aprile 1945, i tedeschi che cercavano di aprirsi un varco verso oriente operarono stragi di partigiani e di civili nella zona di [[Santhià]], i partigiani fucilarono per rappresaglia, a Vercelli, un ugual numero di fascisti"<ref name="pavone492"/>.
 
== La memoria ==
Cesare Bermani ha così qualificato i fatti: "La vicenda di Vercelli, se effettivamente svoltasi con le modalità indicate dai documenti di polizia, sembrerebbe confermare, sin nelle forme della ritorsione, la logica dell'"[[Legge del taglione|occhio per occhio]]", con introiezione talvolta di comportamenti già assunti dal nemico, che è presente in ogni guerra civile".<ref name="bermani330"/>
In ricordo dei caduti furono eretti due monumenti: un memoriale presso il ponte sul [[canale Cavour]] a [[Greggio (Italia)|Greggio]], e un cippo in granito sullo spiazzo antistante l'ospedale psichiatrico di Vercelli. Entrambi i monumenti riportano lo stesso epitaffio, sulla stele commemorativa di Vercelli è presente anche una dedica ai caduti.
 
{{Immagine multipla
|allinea = center
|larghezza totale = 800
|immagine1 = Il cippo presso l'ospedale psichiatrico.JPG
|immagine2 = Cippo ospedale psichiatrico di Vercelli.JPG
|immagine3 = Il monumento presso il ponte di Greggio.JPG
|immagine4 = Cippo ponte di Greggio.JPG
|sotto = {{Colonne|90%}} Cippo in memoria della strage presso l'OPN (Vercelli) {{Colonne spezza}} Il memoriale presso il ponte Cavour (Greggio) {{Colonne fine}}
}}
 
Associazioni reducistiche e d'arma ricordano ogni anno l'eccidio con una messa al campo di Novara e commemorazioni nei luoghi in cui esso ebbe luogo.<ref>Mario Cassano, «[http://www.fondazionersi.org/mediawiki/images/d/da/Acta66.pdf Vercelli, il 12 maggio 1945]», articolo e documentazione fotografica su ''Acta'', bimestrale culturale scientifico informativo dell'Istituto Storico della Fondazione della RSI, anno XXII, n. 2 (66) maggio-luglio 2008, pp. 12-13.</ref>
 
== La qualificazione storiografica ==
[[Claudio Pavone]] ha espressamente definito l'eccidio di Vercelli una "rappresaglia": «Quando, fra il 28 e il 29 aprile 1945, i tedeschi che cercavano di aprirsi un varco verso oriente operarono stragi di partigiani e di civili nella zona di [[Santhià]], i partigiani fucilarono per rappresaglia, a Vercelli, un ugual numero di fascisti».<ref name=pavone492/>
 
Cesare Bermani ha così qualificato i fatti: «La vicenda di Vercelli, se effettivamente svoltasi con le modalità indicate dai documenti di polizia, sembrerebbe confermare, sin nelle forme della ritorsione, la logica dell'"[[Legge del taglione|occhio per occhio]]", con introiezione talvolta di comportamenti già assunti dal nemico, che è presente in ogni guerra civile».<ref name=bermani330/>
 
== Note ==
{{<references|2}}/>
 
== Bibliografia ==
=== Atti parlamentari ===
In ordine cronologico.
* [http://legislature.camera.it/_dati/leg01/lavori/stenografici/sed0184/sed0184.pdf ''Seduta di venerdì 25 febbraio 1949''], in ''Atti Parlamentari. Camera dei Deputati''], pp. &nbsp;6507 ss.
* ''[http://legislature.camera.it/_dati/leg01/lavori/stampati/pdf/002_144001.pdf Domanda di [[autorizzazione a procedere]] in giudizio] contro i deputati [[Francesco Moranino|Moranino]] e [[Silvio Ortona|Ortona]]'', doc. II, n. 144, 3 ottobre 1949
** ''[http://legislature.camera.it/_dati/leg01/lavori/stampati/pdf/002_144002002_144001.pdf Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio] contro i deputati Moranino e Ortona'', doc. II, n. 144 bis, 233 giugnoottobre 19501949]
** ''[http://legislature.camera.it/_dati/leg02leg01/lavori/stampati/pdf/002_137001002_144002.pdf Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio] contro i deputati Moranino e Ortona'', doc. II, n. 137144 bis, 1723 agostogiugno 19531950]
** ''[http://legislature.camera.it/_dati/leg02/lavori/stampati/pdf/002_137002002_137001.pdf Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio] contro i deputati Moranino e Ortona'', doc. II, n. 137 bis, 1217 novembreagosto 19541953]
** ''[http://legislature.camera.it/_dati/leg02/lavori/stampati/pdf/002_137003002_137002.pdf doc. II, n. 137 bis, 12 novembre 1954]
* ''Relazione della giunta per le autorizzazioni a procedere sulla domanda di autorizzazione a procedere in giudizio] contro i deputati Moranino e Ortona'', [http://legislature.camera.it/_dati/leg02/lavori/stampati/pdf/002_137003.pdf doc. II, nn. 137 e 137 bis A, 8 luglio 1957].
* ''[http://legislature.camera.it/_dati/leg02/lavori/stampati/pdf/002_137004.pdf Domanda di autorizzazione a procedere in giudizio] contro il deputato [[Giovanni Baltaro|Baltaro]]'', [http://legislature.camera.it/_dati/leg02/lavori/stampati/pdf/002_137004.pdf doc. II, n. 137 ter, 11 luglio 1957].
 
=== Libri e saggi ===
* {{Cita libro|autore = Piero Angeli|titolo = Ambrosio|L'insurrezione in Piemonte|capitolo = "Biellese e Vercellese"|anno = 1987|editore = [[FrancoAngeli]]|città = Milano|id isbn= {{NoISBN}}no|cid = AngeliAmbrosio}}
* {{Cita libro|autoreCesare|Bermani|wkautore = Cesare Bermani|titolo = Pagine di guerriglia:. lL'esperienza dei garibaldini della Valsesia|anno = 1996|editore = Istituto per la Storia della Resistenza e della società contemporanea nelle provincie di Biella e Vercelli "Cino Moscatelli"|città = Borgosesia|edizione = Nuova Edizione 1996-2000, Vol. III|id Borgosesia|isbn= {{NoISBN}}no|cid = Bermani}}
* {{Cita libro|autoreGiampaolo|Pansa 2003|wkautore = [[Giampaolo Pansa]]|titolo = La Resistenza in Piemonte:. guidaGuida bibliografica 1943-1963|anno = 1965|editore = [[Giappichelli Editore]]|città Torino|isbn= Torinono|id cid = {{NoISBN}}Pansa 1965}}
* {{Cita libro|autore = [[Giampaolo |Pansa]]|titolo = [[Il sangue dei vinti]]|anno = 2003|editore = [[Sperling & Kupfer]]|città = Milano|id isbn= ISBN 88-200-3566-9|cid = Pansa 2003}}
* {{Cita libro|autore = Pierangelo |Pavesi|titolo = La colonnaColonna Morsero|anno = 2007|editore = Grafica Ma. Ro. Editrice|città = Copiano (PV)|id isbn= ISBN 978889018078188-901807-8-1|cid = Pavesi}} <small>Edizione originale: Trieste, Edizioni degli ignoranti saggi-Nuovo Fronte, 2002.</small>
* {{Cita libro|autoreClaudio|Pavone|wkautore = [[Claudio Pavone]]|titolo = [[Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza]]|anno = 1991|editore = [[Bollati Boringhieri]]|città = Torino|id isbn= ISBN 88-339-0629-9|cid = Pavone}}
* {{Cita libro|Domenico|Roccia|wkautore = Domenico Roccia|Il Giellismo Vercellese|1949|Tip. Ed. La Sesia|Vercelli|isbn=no|cid = Roccia}}
* {{Cita libro|autore = Raffaello Uboldi|titolo = 25 aprile 1945: i giorni dell'odio e della libertà|anno = 2004|editore = [[Arnoldo Mondadori Editore|Mondadori]]|città = Milano|id = ISBN 88-04-52677-7|cid = Uboldi}}
* {{Cita libro|Raffaello|Uboldi|25 aprile 1945. I giorni dell'odio e della libertà|2004|[[Arnoldo Mondadori Editore|Mondadori]]|Milano|isbn=88-04-52677-7|cid = Uboldi}}
 
=== Articoli ===
* Donata Belossi, ''Il partigiano-ebreo che amava Cogne'', in ''La Stampa'', 11 marzo 2005, p. &nbsp;45.
 
== Voci correlate ==
* [[Resistenza italiana]]
* [[Brigate Garibaldi]]
* [[Lista delle stragi avvenute in Italia]]
* [[Campo di concentramento]]
* [[Guerra civile in Italia (1943-1945)]]
* [[Michele Morsero]]
 
== Altri progetti ==
{{interprogetto|preposizione=sull'}}
 
== Collegamenti esterni ==
* Maria Vittoria Cascino, ''[http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=45569 Il Giornale, "La guerra dei fascicoli sulle stragi dei partigiani"]'', ''[[Il Giornale]]'', 25 novembre 2005.
 
{{Portale|Piemonte|seconda guerra mondiale|storia}}
{{Voce di qualità|valutazione=Wikipedia:Voci di qualità/Segnalazioni/Eccidio dell&#39;ospedale psichiatrico di Vercelli|arg=storia d'Italia|arg2=|giorno=20|mese=08|anno=2012}}
 
[[Categoria:Stragi commesse in Italia|Vercelli]]
[[Categoria:Brigate Garibaldi]]
[[Categoria:Stragi commessepartigiane in Italia durante la seconda guerra mondiale|Vercelli]]
[[Categoria:Storia di Vercelli]]