=='''Introduzione'''==
[[Immagine:Macina.jpg|thumb|200px|right|Macina.]]
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Giovanni Presta, celebre medico e studioso Gallipolino del XVIII secolo, è noto per i suoi approfonditi studi sull’olivicoltura nel Salento. Egli infatti decise di dedicarsi allo studio “degli ulivi, interrogandone non men gli Autori che il gran libro della Natura e la infallibil Maestra della verità, la sperienza”. Quest’ultima frase, che si riporta integralmente, è contenuta in una delle quattro lettere che il Presta scrisse nel 1783 al “Veneratissimo Signor Proposto Marco Lastri”, illustre letterato fiorentino. Un decennio dopo, precisamente nel 1794 pubblicherà un trattato, “Degli ulivi, delle ulive e della maniera di cavar l’olio” che sarà il più completo e documentato testo sull’argomento. Cittadino illustre di questo lembo di terra della Puglia il Presta diede un notevole impulso all’olivicoltura salentina di quegli anni; “nel giro di cinque anni”, scrive nel 1794, “almeno cinquantamila ulivi erano stati piantati nel Salento su terre incolte e macchiose”. L’olivo nella sua forma selvatica (Olea europea oleaster) è presente allo stato spontaneo nelle macchie e nei boschi salentini, mentre nella sua forma coltivata (Olea europea sativa) è la coltura arborea più diffusa nel Salento. Sono i Romani a diffondere l’uso alimentare dell’olio che in precedenza era sempre stato secondario. Nella concezione romana era molto radicata l’idea che l’oliveto costasse poco e rendesse bene, “tra tutte le piante l’olivo è quello che richiede spesa minore, mentre tiene tra tutte il primo posto” scriveva Lucio Giunio Moderato Columella nell’Arte dell’Agricoltura, I secolo dopo Cristo.
Nel Salento, la più antica delle terre pugliesi, si produce l’olio extra vergine d’oliva TERRA D’OTRANTO DOP (denominazione di origine protetta) ottenuto dalle varietà Cellina di Nardò e Ogliarola Leccese, per almeno il 60%. Terra d’Otranto è il nome con cui fu chiamato il Salento nel Medioevo. L’area interessata comprende l’intera provincia di Lecce e parte di quella di Brindisi e Taranto. Una società dell’olio e dell’olivo si affermò in terra d’Otranto a partire dal basso medioevo. Dal 400 e soprattutto dal 500, l’olivo si estese su tutta la superficie salentina. Nell’età moderna, per facilitarne l’esportazione, furono potenziati i porti adriatici e ionici, dai quali, fino a tutto l’800, partivano bastimenti carichi di olio per tutta l’Europa. Nel XVIII secolo la coltura dell’olivo si caratterizzò come monospecifica e costituì il settore portante dell’economia provinciale. Accanto alla coltura dell’olivo viveva un’economia legata alla trasformazione del prodotto che avveniva nei cosiddetti “trappeti”, dove venivano portate le olive raccolte. I trappeti potevano essere a pianterreno o sotterranei, scavati nella roccia. Questi ultimi erano preferiti perché garantivano un ambiente più caldo durante la spremitura delle olive, così che l’olio non solidificasse durante l’estrazione. I trappeti sotterranei sono rimasti pienamente attivi fino alla metà dell’800 e in alcuni casi fino ai primi del 900, poi completamente abbandonati. In questi ultimi anni sono stati rivalutati, quali segni della civiltà contadina. Essi rappresentano una cultura del lavoro che è parte della nostra storia sociale.
L’organo di lavoro principale nel trappeto è la macina a ruota con la quale si effettuavano contemporaneamente tre operazioni: schiacciamento, frangitura e impastamento. La vasca, di grandi dimensioni e cilindrica, ospitava due macine di pietra durissima: una (funnu) posta orizzontalmente a costituire il fondo e l’altra (petra) posta verticalmente e ruotante intorno ad un albero. Le superfici della macina e del fondo venivano lavorate col piccone e rese scabre affinché le olive non sfuggissero. La macina era fatta girare da un mulo legato alla stanga, bendato e fornito di campanella. Per la spremitura della pasta, dalla quale si otteneva l’olio, si utilizzavano i torchi. I torchi più diffusi nel Salento per lungo tempo sono stati i torchi “alla calabrese”, poi sostituiti da quelli “alla genovese”. Il nachiru incolonnava 20-25 “fisculi” riempiti sotto il torchio, quindi cominciava a compiere lenti giri col torchio. Dal torchio colava in un pozzetto antistante (anciulu) olio misto a morchia. Con una brocca, si raccoglieva l’olio galleggiante, in modo da separarlo dalla morchia (crisciri l’uejiu) e lo si versava negli “zirri” (rcipienti di capacità variabile da 50 litri a 6 quintali). In una giornata lavorativa (18 ore) si lavoravano 10-12 quintali di olive. Il periodo di attività dei trappeti cominciava a settembre-ottobre con le olive verdi e proseguiva con l’olio maturo, senza che le fasi di lavorazione variassero.
=='''Biografia'''==
Presta, unico figlio di Lazaro Presta e Caterina Gaggiulla, fu istruito dai sacerdoti Don Nicola Pirelli e Don Quintino Mastroleo. A sedici anni si trasferì a Napoli per studiare medicina, lì si dedicò anche agli studi di matematica e astronomia. Grazie alle sue doti di letterato e poeta iniziò subito a frequentare luoghi colti e raffinati e fu aggregato all’accademia Rossanese. Nel 1741 dopo aver conseguito la laurea in medicina a Napoli il padre lo fece tornare a Gallipoli a svolgere la sua professione. Divenne il più stimato medico della provincia ed esercitò in tutto il Salento. In seguito si interessò a migliorare i due settori più importanti della produzione agricola salentina di quel tempo: la tabacchicoltura, di cui cercò di migliorare le tecniche di piantagione, e l’olivicoltura su cui concentrò gli studi. Egli offrì un importante contributo al dibattito sull’olivicoltura che si svolse nel diciottesimo secolo in Terra d’Otranto. I suoi studi sono testimoniati nelle sue tre importanti opere: “''Memoria su i saggi diversi di olio e su della ragia di ulivo della penisola salentina messi come in offerta a Sua Maestà Imperiale Caterina II, la Pallade delle Russie''” (1786); “''Memoria intorno ai sessantadue saggi diversi di olio presentati alla Maestà di Ferdinando IV, Re delle due Sicilie, ed esame critico dell’antico frantoio trovato a Stabia''” (1788); “''Degli ulivi, delle ulive e della maniera di cavar l’olio''” (1794). Il 18 agosto 1797 morì a Gallipoli e fu sepolto nella Cattedrale.
[[Immagine: Giovanni_Presta.jpg|thumb|150px|right|Giovanni Presta.]]
Presta nacque a Gallipoli il 24 giugno 1720, unico figlio di Lazaro Presta e Caterina Gaggiulla. Fu istruito dai sacerdoti Don Nicola Pirelli e Don Quintino Mastroleo, la cui educazione contribuì allo sviluppo del suo talento. A sedici anni si trasferì a Napoli per studiare medicina, dove si dedicò anche agli studi di matematica e astronomia. Grazie alle sue doti di letterato e poeta iniziò subito a frequentare luoghi colti e raffinati e fu aggregato nell’accademia Rossanese. Nel 1741 si laureò in medicina a Napoli ma il padre lo fece tornare a Gallipoli a svolgere la sua professione. Divenne il più stimato medico della provincia ed esercitò il suo ruolo in tutto il Salento. In seguito si interessò a migliorare i due settori più importanti della produzione agricola salentina di quel tempo: la tabacchicoltura, di cui cercò di migliorare le tecniche di piantagione, e in particolare concentrò i suoi studi sull’olivicoltura. Egli, ogni anno, faceva piantare del tabacco nei suoi terreni per uso personale ed era proprio questo il migliore tabacco che si aveva nella sua provincia. Riguardo i suoi interessi offrì un importante contributo al dibattito sull’olivicoltura che si svolse nel diciottesimo secolo in Terra d’Otranto. I suoi studi sono testimoniati nelle sue tre importanti opere: “Memoria su i saggi diversi di olio e su della ragia di ulivo della penisola salentina messi come in offerta a Sua Maestà Imperiale Caterina II, la Pallade delle Russie” (1786); “Memoria intorno ai sessantadue saggi diversi di olio presentati alla Maestà di Ferdinando IV, Re delle due Sicilie, ed esame critico dell’antico frantoio trovato a Stabia” (1788); “Degli ulivi, delle ulive e della maniera di cavar l’olio” (1794). Il 18 agosto 1797 morì a Gallipoli e fu sepolto nella Cattedrale.
=='''Metodologia'''==
Presta intendevaPer migliorare la produzione agricola nel Salento., I suoi studiPresta non si fermavano, quindi,limitò all’analisi delle condizioni agricole del territorio ma cercavanoindagò sulle cause storiche che le avevano determinate e cercò di trovare delle soluzioni. eEgli disi indagarededicò sulleallo lorostudio cause"degli storiche.ulivi, Egliinterrogandone volevanon rimuoveremen gli Autori che il problemagran allalibro radice,della sfruttandoNatura soprattuttoe la infallibil Maestra della verità, la l’esperienzasperienza". Presta seguiva gli insegnamenti di Antonio Genovesi il quale considerava fondamentale che gli intellettuali s’interessassero a risolvere i problemi concreti della società, che non si fermassero a commentare il degrado nel Meridione, ma che avrebbero dovuto ricercare le cause di tale degrado e rimuoverle. Genovesi affermava che l’intellettuale, proprio per il ruolo che ricopriva, doveva avvertire il peso di una “missione” da compiere. Presta avvertiva proprio il senso di questa responsabilità auspicataproclamata dal Genovesi.
=='''Presta illuminista'''==
Giovanni Presta era fortementefu influenzato dal movimento culturale e filosofico del tempo: l’illuminismo. Gli illuministi seguivano una concezione del pensiero scientifico secondo cui la ragione umana attraverso l’osservazione dei fenomeni formulava dei principiilluminista. Il suo lavoro dell’autore si basava, infatti, sullo studio, sull’esperienza e sulla verifica, in seguito vi era la diffusione delle sue scoperte. Presta è un uomo che dedicò anni della sua vita allo studio della pianta di ulivo, dell’olio e alla maniera di ricavarlo. Proprio in questo notiamo il suo forte spirito illuministico: lo studio e laLa ragione sonoera alla base del suo lavoropensiero. Presta nelle sue opere rileva che la “perfezione” dell’olio fu persa a causa dell’ignoranza e delle “barbarie”,. quindiSecondo ill’autore caratterele illuministicotecniche èutilizzate dimostratodagli dallaantichi lottaper controestrarre l’ignoranza.l'olio GliOnfacino illuministi,che infatti, si caratterizzavano per la ferma convinzione"traevano di provenireulive da un epoca segnata dall’oscuritàacerbe, dall’ignoranzaolio ein dallavero superstizionepregiatissimo epiù di iniziareogni aaltro" dirigersisi versopersero una nuovocausa periododelle segnatopiccole daquantità unadi nuovaolio fedeche quellasi dellaricavavano ragionedalle eolive daiacerbe. progressiPertanto dellamolti scienza.lo Secondoadulterarono l’autoremescolando le tecnicheolive utilizzateverdi daglicon antichile perolive estrarremature l’olioe sicon perseroteneri agermogli causa dell’interesse diper produrne solo in gran quantità,. maCon aggiungeval'avvento anchedel cheperiodo conilluministico l’avventoperò, delsecondo periodo illuministicol'autore, vi fu la riscoperta dell’olio di ottima qualità.
=='''Lettere a Marco Lastri'''==
Presta inviò tra marzo e giugno del 1783 quattro lettere a Marco Lastri, figura importante nella stagione illuministica. Queste lettere, custodite nella biblioteca Moreniana di Firenze, sono rimaste inedite sino al 2001 quando vennero commentate dal Prof. Fabio D’Astore dell’Università di Lecce in una sua pubblicazione,“Dall’oblio alla Storia”. Esse dimostrano la frequentazione del Cenacolo gallipolino che diffondeva soluzioni per il sistema agricolo salentino. Sonosono la prova dell’attivitàdell'attività di ricerca sugli ulivi iniziata dadal Presta e dimostrano il suo impegno in questo lavoro. Il Presta, scrive il D’Astore chiese all’illustre amico di inviargli i tre tipi di ulivi coltivati in Toscana, “l’infrantoio, il coraggiuolo ed il moraiuolo, con tronco grosso come un manico di vanga, piantati in vasi di terracotta”. Oltre agli alberi di ulivo che sono coltivati in Toscana chiese, anche, “un picciol ma esatto modello in legno sì della macina solcata alla fiorentina che di tutta la macchina o strumento col quale usa costì d’infragner le ulive”. E continuò “Io devo alla vostra savia lezione la prima notizia, che costì si usa la macina solcata e non liscia; terminate dunque anche voi d’istruirmene con un modelluccio in legno”. Da tale richiesta si comprende, prosegue il D’Astore, come sia grande l’impegno del Presta a migliorare la coltivazione dell’ulivo, praticato nelle sue zone in modo alquanto primitivo ed antieconomico. Confrontare le diverse modalità di produzione dell’olio tra la Toscana ed il Salento voleva significare per Giovanni Presta un avanzamento qualitativo e quantitativo. L’autore riteneva importante e decisivo il parere dell’amico per la prosecuzione dell’opera. Tutto questo rappresenta l’inizio della sua attività di osservazione e sperimentazione. Egli decise di creare un progetto sull’ammodernamento e sull’incremento delle colture agricole. Tale progetto è documentato nella sua terza opera: “Degli ulivi, delle ulive e della maniera di cavar l’olio”. Le lettere scritte a Marco Lastri sono prova fondamentale per ripercorrere le fasi del progetto di Giovanni Presta.
=='''PrimaMemoria operasu i saggi diversi di olio'''==
'''MEMORIA SU I SAGGI DIVERSI DI OLIO E SU DELLA RAGIA DI ULIVO DELLA PENISOLA SALENTINA'''
Giovanni Presta dedicò la sua prima opera all’imperatrice [[Caterina II di Russia]], dalla quale “per mezzo del Ministro di Napoli signor duca di Serracapriola ricevè in segno di gradimento duecento Zecchini effettivi di Olanda, ed un medaglione di oro col busto dell’Augusta Imperatrice da una parte, e la statua equestre di Pietro il Grande dall’altra”.
[[Immagine: Ulivo1.jpg|thumb|300px|left]]
==='''Dedica'''===
Giovanni Presta dedicò la sua prima opera all’imperatrice di Russia Caterina II che “per mezzo del Ministro di Napoli signor duca di Serracapriola ricevè in segno di gradimento duecento Zecchini effettivi di Olanda, ed un medaglione di oro col busto dell’Augusta Imperatrice da una parte, e la statua equestre di Pietro il Grande dall’altra”.
La lettera dedicatoria fu scritta a Napoli e datata 25 aprile 1786. Presta in questa lettera scrive che la sua opera sarà accompagnata da alcuni campioni di olio. L'autore prega, anche, l’imperatrice di diffondere questo suo scritto in modo da riuscire a far riacquistare al suo territorio la notorietà per la produzione dell’olio.
==='''Lettera dedicatoria'''===
La lettera dedicatoria fu stampata in Napoli il 25 aprile 1786. Presta in questa lettera, precisa che la sua opera sarà consegnata all’Imperatrice Caterina II dal duca di Serracapriola, ministro di re Ferdinando IV accompagnata da alcuni campioni di olio. Presta prega, anche, l’imperatrice di diffondere questo suo scritto in modo da riuscire a far riacquistare al suo territorio la notorietà per la produzione dell’olio.
==='''Contenuto'''===
Lo scritto inizia con un’accuratauna descrizione sull’ulivodell’ulivo: “l’Ulivo è un Albero di statura ordinariamente mezzana, ma che tal ora sa pareggiare anche la Quercia. Fa gran ceppaia, e gran tronco, che di sovente è nodoso e bitorzoluto: Getta assai rami, e fronzuti molto; e conserva ei sempre la sua verdura. Il suo legno è fitto, pesante, odoroso, di gran durata, e di bel marezzo”. Presta, poi, aggiunge una nota polemica precisando che a causa dell’ignoranza e delle barbarie non furono più utilizzate le tecniche di una volta per produrre l’olio perché con il passare degli anni si andò puntando solo sulla quantità e non sulla qualità. Questo interesse dell’autore di migliorare la qualità dell’olio nel Salento ben si identifica con il tema illuministico contro l’ignoranza. L’abbandono delle tecniche usate in passato aveva causato la perdita del successo dell’olio salentino. PrestaL'autore teneva in considerazione i metodi usati in passato cercando di migliorarli e di aggiungere le conoscenze acquisite con la sua esperienza. Dal passato riprese sicuramente la divisione di quattro tipi diversi di olio derivati dal grado di maturazione dell’oliva:
* “onphachinon o oleum acerbum” di olive del tutto acerbe;
* “oleum viride” di olive semiacerbe;
* “oleum maturum” di olive già nere;
* “oleum cibarium” di olive ormai rovinate.
La specie di Ulivo, il modo in cui le olive erano raccolte e il periodo scelto erano parametri fondamentali che Presta decise di utilizzare per cercare di migliorare la produzione dell’olio. Le specie di ulivi locali usate per estrarre l’olio erano:
* “la Cellina”, cui si dava il vanto per la bontà di olio;
* “la Pasola”;
* “l’oliva di Spagna”, che presentava le olive più grosse in quelle zone;
* “la Corniola”;
* “l’uliva dolce".
Tutti i tipi di olio che egli aveva prodotto grazie all’uso delle sue tecniche e di quelle degli antichi, erano stati inviati da Giovanni Presta all’ imperatrice Caterina II. Alla fine del libro, l’autore analizza anche la “ragia” degli alberi di ulivo ottenuta senza alcun tipo d’incisione o di tecnica in quanto usciva da sola dai rami dell’albero. Presta dice che la “ragia” non apparteneva a tutti gli alberi ma negli ulivi era molto presente. Egli subito dichiara che le notizie sulla “ragia” erano state prese dal marchese Giuseppe Palmieri, economista leccese tra le figure più rappresentative del settecento napoletano ma attivo anche nel Salento.
=='''Memoria intorno ai sessantadue saggi diversi di olio'''==
- “onphachinon o oleum acerbum” di olive del tutto acerbe;
Presta con la sua prima opera riuscì a raggiungere un gran successo, per questo decise di iniziare un nuovo progetto molto più ampio. Questo suo secondo lavoro lo dedicò a Ferdinando IV, re delle due Sicilie.
- “oleum viride” di olive semiacerbe;
==='''Dedica'''===
- “oleum maturum” di olive già nere;
La lettera dedicatoria fu scritta a Gallipoli e datata 4 settembre 1788. Insieme a questa lettera Presta inviò al sovrano sessantadue campioni di olio, pregandolo di dare il suo parere e di decidere quali tra questi erano i più gradevoli solo dopo aver letto la sua opera. Presta affermava, anche, che con l’approvazione del re si sarebbe concentrato sulla sua terza opera che avrebbe dedicato, nuovamente, a Ferdinando IV: “Degli ulivi, delle ulive, e della maniera di cavar l’olio”.
- “oleum cibarium” di olive ormai rovinate.
==='''Prima parte'''===
La specie di Ulivo, il modo in cui le olive erano raccolte e il periodo scelto erano parametri fondamentali che Presta decise di aggiungere per rendere migliore la produzione dell’olio. Le specie di ulivi locali utilizzati per estrarre l’olio erano:
Presta iniziò il lavoro con un riferimento al passato “la perfezione dell’Olio fu cosa in vero di non leggiera importanza appo degli Antichi”. Presta affermava che in passato vi era un grande consumo di olio finalizzato all’uso che l’uomo ne faceva sul proprio corpo ed era normale che non tutto l’olio fosse di ottima qualità. Dopo la caduta dell’impero romano si andò puntando solo sulla quantità di olio prodotta e fu perso qualsiasi tipo di interesse legato alla sua qualità. In seguito a questa prefazione, nella prima parte dell’opera Presta distingueva i vari tipi di olio secondo il grado di maturazione delle olive. La più comune tra queste era “l’Ogliara” dai latini chiamata “Salentina”. I primi quattro campioni di olio contenevano quello ricavato dalle olive acerbe:
- “la Cellina”, cui si dava il vanto per la bontà di olio;
* primo campione: olive raccolte nella prima metà di settembre;
* secondo campione: olive raccolte nella seconda metà di settembre;
* terzo campione: olive raccolte nella prima metà di ottobre;
* quarto campione: olive raccolte nella seconda metà di ottobre.
Questo olio era chiamato “Onfacino” ed era di colore verdegiallo e poco fluido ma l’autore trovò il modo per schiarire il suo colore. Il quinto e il sesto campione contenevano l'olio ricavato dalle olive semiacerbe che in passato era chiamato “strictivum oleum, oleum ad unguenta, oleum viride”:
* quinto campione: olive raccolte nella prima metà di novembre;
* sesto campione: olive raccolte nella seconda metà di novembre;
Presta definì questo olio “Semionfacino”. Il settimo e l'ottavo campione contenevano anch'essi olio “Onfacino” ricavato da olive ancora acerbe nonostante fossero raccolte a dicembre. Questo perché le olive appartenevano ad alberi differenti da quelle dei primi quattro campioni. Nei mesi a seguire le olive erano ormai mature e l’olio che si produceva era di scarsa qualità e probabilmente era proprio l’olio che in passato era dato agli schiavi, quello delle olive nere detto “Cibarium Oleum”. I campioni numero XV, XVI e XVII contenevano l’olio appartenente all’ “Ogliara” raccolta però a differente maturazione:
* il primo era di olive verdi e verdi biancastre, cioè di “Onfacino”;
* il secondo era di ulive rossonerastre, meno saporito del precedente;
* il terzo era di olive nere.
Il XVIII campione conteneva l’olio vergine da sempre considerato quello più prezioso.
==='''Seconda parte'''===
- “la Pasola”;
Nella seconda parte del libro l’autore analizzava la differenza dei tipi di olio dovuta alle varie specie di olive. Egli aveva riconosciuto quarantotto varietà di olive e precisava che, sicuramente, molte gli erano oscure. Per analizzare tutte queste varietà egli si fece mandare alcune specie di olive della Spagna, della Campania, di Genova, di Firenze per controllare almeno la quantità di olio che riuscivano a produrre e non la qualità. Dell’oliva di grandi dimensioni detta “Orchita ed Orchemora” che in Salento era chiamata, semplicemente, “oliva grossa” o “oliva di Spagna” vi erano sette specie ma Presta ne riuscì ad analizzare solo tre:
- “l’oliva di Spagna”, che presentava le olive più grosse in quelle zone;
* ovale con polpa “soda”;
* ovale con polpa “soda” ma più dolce della precedente;
* la terza oliva grossa “fatta a pendente” era dolcissima.
Un altro tipo di oliva era la “Mennella” di polpa tenerissima. Poi c'è “l’Usciana”, “l’Algiana”, l’oliva che i tarantini chiamavano “uliva dolce”, sempre per i tarantini la “Cerasola” simile alla “Mennella”, nel fiasco numero X “l’uliva Spagnola” di polpa soda e nel successivo la “Barisana” o “Varisana”. La “Pasola” che era nei quattro campioni di seguito, si distingueva in:
* “Pasola” ovale dolce;
* “Pasola” ovale amara;
* “Pasola” rotonda dolce;
* “Pasola” rotonda amara.
Nei campioni successivi abbiamo l’olio delle olive dette:
* “Corniola” o “Cornolara”;
* “Cellina”;
* “Termetone” chiamata dall’autore “Ulivastrona” che è una pianta che cresce spontaneamente con olive di polpa molto “soda”;
* “Palmierina”, così chiamata perché era di un albero dell’uliveto di Giuseppe Palmieri;
* “uliva Cilieggia” dal sapore delicatissimo, la cui forma è simile ad una ciliegia;
* “uliva a grappolo” di polpa “soda”;
* un’oliva molto comune che cambia nome in base al posto in cui si trova, viene detta “Cellina” o “Morella” o “uliva di Lecce” o “uliva di Nardò”;
* “Tardiccia”, la quale appartiene alla specia “contra humorem pugnaces”;
* “Ulivetta”, proviene da una pianta che nasce spontaneamente.
La specie preferita in passato era “l’Ogliara”, detta anche “Salentina”, che si poteva trovare nel fiasco numero XXIX. Presta di tutte queste specie di olive fece una descrizione accurata, precisando che la qualità dell’olio dipende dal tipo di oliva scelta e dal suo grado di maturazione mentre non è importante la presenza o meno del nocciolo come spiegherà nella terza parte dell’opera.
==='''Terza parte'''===
- “la Corniola”;
In quest’ultima parte Presta iniziò precisando, appunto, che mentre in passato tutti credevano che il nocciolo dell’oliva rovinasse il sapore dell’olio in realtà la sua presenza era indifferente. L’autore continua raffigurando le macchine utilizzate per la spremitura delle olive. Dai Greci era stato inventato il “Frantoio”, ritrovato negli scavi di Stabia. Per farlo funzionare c’era bisogno della spinta di braccia umane, quindi in passato erano gli schiavi a essere usati per macinare le olive. La vasca in cui avveniva questo lavoro con il “frantoio” non era molto ampia e doveva essere svuotata e poi riempita diverse volte, quindi questo lavoro richiedeva molto tempo. Nel periodo illuministico la macchina utilizzata per spremere le olive era la “Macina verticale”, ma sia con il “frantoio” sia con “la macina”, si notò che dal nocciolo non usciva olio, quindi tutto quello che si produceva apparteneva comunque alla polpa dell’oliva. In passato per capire se la presenza del nocciolo potesse rovinare il sapore dell'olio furono spremute sia le olive con il nocciolo sia quelle senza, ricavandone un olio dal sapore differente. Gli Antichi pensavano che il sapore diverso fosse dovuto alla presenza del nocciolo, Presta invece individuava nel grado di maturazione delle olive raccolte la causa di tale differenza.
- “l’uliva dolce”;
=='''Degli ulivi, delle ulive, e della maniera di cavar l'olio'''==
- “le Coccole di oleastro”, che in passato si credeva producessero un olio amaro in quanto le sue olive erano amare, invece, se raccolte mature davano all’olio un sapore gradevole.
“Degli ulivi, delle ulive, e della maniera di cavar l’olio” è l’opera più importante di Giovanni Presta sia per la ricchezza dei riferimenti letterari, sia per la lingua, sia per la descrizione delle sue esperienze. L’autore pubblicò questo libro nel 1794, anche se finì di scriverlo due anni prima.
Tutti i tipi di olio che egli aveva prodotto grazie all’uso delle sue tecniche e di quelle degli antichi, erano stati inviati da Giovanni Presta all’ imperatrice Caterina II. Alla fine del libro, l’autore analizza anche la “ragia” degli alberi di ulivo ottenuta senza alcun tipo d’incisione o di tecnica in quanto usciva da sola dai rami dell’albero. Presta dice che la “ragia” non apparteneva a tutti gli alberi ma negli ulivi era molto presente. Egli subito dichiara che le notizie sulla “ragia” erano state prese dal marchese Giuseppe Palmieri, economista leccese tra le figure più rappresentative del settecento napoletano ma attivo anche nel Salento. Presta fa, quindi, un’accurata classificazione degli oli confrontando anche le sue esperienze con il passato.
==='''Seconda operaLingua'''===
'''MEMORIA INTORNO AI SESSANTADUE SAGGI DIVERSI DI OLIO'''
Presta rispetto ai suoi colleghi usa un linguaggio molto più elaborato, un lessico selezionato e con precisi intendimenti stilistici. Fa uso di espressioni letterarie, di termini dotti, di parole toscane ma anche di termini dialettali accompagnati dalla spiegazione e dal loro significato. La complessità della materia richiede massima attenzione dal punto di vista linguistico.
Presta con la sua prima opera riuscì a raggiungere un gran successo, per questo decise di iniziare un nuovo progetto molto più ampio. Questo suo secondo lavoro lo dedicò a Ferdinando IV, re delle due Sicilie.
==='''Lettera dedicatoriaDedica'''===
La lettera dedicatoria fu stampatascritta a Gallipoli ilnel 4 settembre 17881793. InsiemeCome aaveva questapromesso letteranell'opera inviò"''Memoria alintorno sovranoa sessantadue campionisaggi diversi di olio''", pregandolol’autore didedicò dareanche ilquesto suolavoro parerea eFerdinando diIV, deciderere qualidelle traDue questiSicilie. eranoNella ilettera piùdedicatoria gradevoliPresta soloaffermò dopodi averriuscire lettoa laprodurre suadell’olio opera.che Prestasarebbe affermava,riuscito anche,a chefar contornare l’approvazioneprestigio delal reterritorio siper sarebbela concentratosua sullaalta suaqualità terzae operascrisse al re che qui avrebbe dedicato,descritto nuovamente,le atecniche Ferdinandodi IV:produzione “Deglidell’olio. ulivi,In dellequest’opera ulive,egli eaffrontò dellagli manieraargomenti diche aveva presentato nelle famose lettere a cavarMarco l’olio”Lastri.
==='''ContenutoPrefazione'''===
Presta all'inizio dell'opera dimostrò subito il suo carattere illuministico, poichè basava ancora una volta il suo lavoro sullo studio e sugli esperimenti. All'epoca l'olio prodotto nel Salento era considerato tra i migliori, tanto che l’olio salentino era tra i più rinomati come quelli di Provenza e di Lucca. La sua qualità dipendeva anche dall’efficacia del frantoio salentino. Presta analizzando i frantoi delle altre zone notò i loro difetti e non riuscì a trovare un frantoio migliore della “macina verticale” usata nel Salento. A suo dire, quello fiorentino era difettoso in quanto solcato, mentre quello Genovese e quello Provenzale erano di taglio strettissimo.
==='''Dell'ulivo'''===
Presta iniziò il lavoro con un riferimento al passato “la perfezione dell’Olio fu cosa in vero di non leggiera importanza appo degli Antichi”. Presta affermava che in passato vi era un grande consumo di olio finalizzato all’uso che l’uomo ne faceva sul proprio corpo, quindi era normale che non tutto l’olio fosse di ottima qualità. Dopo la caduta dell’impero romano si andò puntando solo sulla quantità di olio prodotta e fu perso qualsiasi tipo di interesse legato alla sua qualità. In seguito a questa prefazione, nella prima parte dell’opera Presta distingueva i vari tipi di olio secondo il grado di maturazione delle olive. La più comune tra questa era “l’Ogliara” dai latini chiamata “Salentina”. I primi campioni di olio contenevano quello ricavato dalle olive acerbe raccolte a settembre, chiamato “Onfacino”. Questo olio era di coloro verdegiallo e poco fluido ma l’autore trovò il modo per schiarire il suo colore. Dalle olive semiacerbe raccolte a novembre, si ricavava l’olio che in passato era chiamato “strictivum oleum, oleum ad unguenta, oleum viride” ma che Presta definì “Semionfacino”. Nei mesi successivi le olive erano ormai mature e l’olio che si produceva era di scarsa qualità e probabilmente era proprio l’olio che in passato era dato agli schiavi, quello delle olive nere detto “Cibarium Oleum”. Tutti questi tipi di olio appartenevano alla stessa oliva “l’Ogliara” raccolta però in periodi diversi. Nella seconda parte del libro l’autore analizzava la differenza dei tipi di olio dovuta alle varie specie di olive. Egli aveva riconosciuto quarantotto varietà di olive e precisava che, sicuramente, molte li erano oscure. Per analizzare tutte queste varietà egli si fece mandare alcune specie di olive della Spagna, della Campania, di Genova, di Firenze per controllare almeno la quantità di olio che riuscivano a produrre e non la qualità. Dell’oliva di grandi dimensioni detta “Orchita ed Orchemora” che in Salento era chiamata, semplicemente, “oliva grossa” vi erano sette specie ma Presta ne riuscì ad analizzare solo tre. La prima era ovale con polpa “soda”, la seconda era simile alla prima ma più dolce, la terza oliva grossa era dolcissima. Un altro tipo di oliva era la “Mennella” di polpa tenerissima quasi acquosa ma l’autore ne fece una nuova che chiamò “piccola Mennella” utilizzando l’oliva matura. Poi abbiamo “l’Usciana”, “l’Algiana”, l’oliva che i tarantini chiamavano “uliva dolce”, sempre per i tarantini la “Cerasola” simile alla “Mennella”, la “Pasola” che si distingue in ovale dolce e rotonda dolce, la “Corniola”, la “Cellina”, la “Termetone” chiamata dall’autore “Ulivastrona” che è una pianta che cresce spontaneamente con olive di polpa molto “soda”, ma quella preferita in passato era “l’Ogliara”. Presta di tutte queste specie di olive fece una descrizione accurata, precisando che la qualità dell’olio dipende dal tipo di oliva scelta e dal suo grado di maturazione, non è per niente importante la presenza o meno del nocciolo come spiegherà nella terza parte dell’opera. In quest’ultima parte Presta iniziò precisando, appunto, che mentre in passato tutti credevano che il nocciolo dell’oliva rovinasse il sapore dell’olio in realtà la sua presenza era indifferente, la qualità dell’olio non cambiava. Per spremere le olive era stato creato dai Greci il “Frantoio”, ritrovato negli scavi di Stabia. Per farlo funzionare c’era bisogno della spinta di braccia umane, quindi in passato erano gli schiavi a essere usati per macinare le olive. La vasca in cui avveniva questo lavoro con il “frantoio” non era molto ampia quindi doveva essere svuotata e poi riempita molte volte. Nel periodo illuministico le macchine utilizzate per spremere le olive erano le “Macine”, ma sia con il “frantoio” sia con “le macine”, si notò che dal nocciolo non usciva olio quindi tutto quello che si produceva apparteneva comunque alla polpa dell’oliva. L’errore che era stato fatto in passato era di spremere prima le olive senza il nocciolo e successivamente quelle con il nocciolo, la colpa del sapore differente fu data alla presenza del nocciolo, in realtà la qualità dell’olio dipendeva dal grado di maturazione dell’oliva.
Il tema scelto nella prima parte dell’opera è l’olivo. Presta aprì il trattato con un’accurata descrizione di questa pianta, dicendo che per quanto riguarda la sua utilità sicuramente tra tutte l’olivo era il migliore: “di quanti mai vi son’alberi finor noti sopra la terra, se si ha riguardo all’utilità, che ciascun arreca, si può dire senza fallo, che l’Ulivo è il migliore tra tutti, l’Ulivo è il primo tra tutti, l’Ulivo è il Re”. In questa prima parte c’era un riferimento ai tempi antichi dove si confermava la sua tesi, infatti i Greci consideravano l’ulivo una pianta “divina”. L’ulivo, diceva Presta, era una delle piante che vivevano più a lungo, sicuramente alcuni secoli, e riporta diverse tesi sulla sua propagazione:
=='''Terza opera'''==
* la “propaggine”, tecnica approvata da Catone consisteva nel ricoprire con terreno un ramo ancora attaccato alla pianta madre lasciando scoperta la parte apicale del ramo. Presta diceva di non aver mai utilizzato questo metodo in quanto vi erano mezzi molto più facili ed economici.
'''DEGLI ULIVI, DELLE ULIVE, E DELLA MANIERA DI CAVAR L’OLIO'''
* la “talea”, metodo molto usato, “facilissimo veramente, e di poca spesa” consisteva nel tagliare una piccola porzione di ramo per farla radicare;
* i “piantoni”, preferiti dai Romani, erano rami emessi dalla pianta nella zona del colletto o delle radici. Di questi si sceglievano quelli provvisti di radici pronti per essere piantati;
* i “Curmoni”, voce che deriva dal greco, erano olivastri adulti tagliati all'altezza delle branche più grosse e innestati sul posto. Dopo 2-3 anni si estirpavano e si trapiantavano;
* gli “uovoli” (ovoli), già accennati da Lucio Giunio Moderato Columella e usati dai calabresi con il nome di “topparelle”, sono protuberanze (iperplasie) alla base dell'olivo asportate e piantate;
* “gli ulivastrelli o nati spontaneamente, o fatti nascer dal seme, e innestati”, considerato da Presta il metodo migliore.
Dei metodi di propagazione dell’olivo elencati dal Presta, due sono quelli oggi utilizzati dai vivaisti:
* la talea (autoradicazione di talee semilegnose);
* l’innesto (propagazione per seme e successivo innesto).
Presta continuava analizzando il comportamento dei contadini e riportando le cause dei danni che l’ulivo poteva subire:
* “la seccagione pel freddo”, considerato il più grande nemico dell’olivo;
* “il mal della Brusca”, che colpiva solo gli ulivi “Ogliaroli” tipici del Salento;
* “i Gozzi, o Gobbe dai Greci appellate Gongri, da noi Testuggini”, che nascono sul tronco dell’albero;
* “la Ragia”, che esce o da qualche ramo o da qualche forellino;
* “il Musco”, presente sul tronco e sui rami dell’albero.
Le malattie dell’ulivo possono, anche, essere causate da numerosissimi insetti ma l’autore ne riporta solo alcuni esempi:
* le “Cantarelle”, che si trovano anche sulle Querce ma prendono soprattutto di mira l’olivo di cui rovinano le foglie e i fiori;
* il “Verme roditore”, che nasce nel midollo dei rami e lo logora;
* il morbo “Araneum o Bombacella” , che impedisce l’apertura dei fiori;
* il “kermes”, piccolo insetto che nasce sulla parte inferiore della foglia e in seguito si attacca al ramo dell’ulivo, rendendo la pianta molto debole;
* il “bruco minatore” .
==='''Dell'ulive'''===
“Degli ulivi, delle ulive, e della maniera di cavar l’olio” è l’opera più importante di Giovanni Presta sia per la ricchezza dei riferimenti letterari, sia per la lingua, sia per la descrizione delle sue esperienze. L’autore pubblicò questo libro nel 1794, anche se finì di scriverlo due anni prima. Come aveva promesso nella seconda opera dedicò anche questo lavoro a Ferdinando IV,re delle Due Sicilie. Nella lettera dedicatoria Presta affermava di riuscire a produrre dell’olio che sarebbe riuscito a far tornare il prestigio per la sua alta qualità al territorio. In quest’opera egli affrontò gli argomenti che aveva presentato nelle famose lettere a Marco Lastri.
Nella seconda parte l’autore riporta un elenco dei vari tipi di olive scoperti nel Salento: “così da anno in anno in questi nostri uliveti osservando mi è riuscito di rinvenircene non meno di cinquanta sorte diverse, e le anderò qui ad una ad una or dicendo, e parlerò poi di molte delle medesime, alloracchè di preciso esaminerò quali siano le ulive fornite di maggior quantità di olio, e quali il versar più delicato, e più fine, il chè è stato uno dei più importanti miei scopi.
==='''Lingua'''===
Le varietà di olive illustrate vengono descritte per peso lunghezza e colore, ma anche per quantità e qualità di olio prodotto:
* l’oliva grossa ovale detta “uliva grossa” o “uliva di Spagna”, chiamata dai Greci e dai Latini “Orcas, Orchis, Orchitis”. La sua polpa è “soda”e produce un olio molto delicato.
* L’oliva chiamata dai tarantini la “Mennella”e dal resto dei salentini “minna o minnedda”. Essa produce poco olio.
* La “piccola Mennella” presenta una varietà molto più piccola che l’autore chiama “piccolla mennella”, che ha un sapore quasi dolce.
* L’oliva “Cerasola” di Tricase, la quale matura è di colore rossastro ed ha un forma a pendente. Essa scarseggia di olio.
* L’oliva chiamata da Presta “uliva albicocca” in quanto è composta da due metà formate a cucchiaio come un’albicocca. Questa oliva non è adatta per produrre olio in quanto sarebbe di scarsa qualità.
* “L’uliva Baresana”, così chiamata perché giunse la prima volta da Bari. E’ molto nera, tenerissima e piena di polpa. Produce molto olio come “l’ogliarola”.
* La “Pasola”, anticamente “Pausia, Posia, e Posea”. Si divide in tonda dolce, tonda amara, ovale dolce e ovale amara.
* La “”Cornolara, o Corniola” che si divide in maggiore minore e piccola “Cornolara”. Scarseggia di olio però il suo olio mantiene un buon sapore per molti anni.
* L’oliva “Manna”, piccola e di sapore molto dolce, molto simile per il colore e la figura all’oliva “Ogliarola”.
* L’oliva detta “Cellina legittima”, “di un nero vivissimo, e lustro, quandocchè sia perfettamente matura”. Quest’ultima, conosciuta anche con altri nomi, Morella, Saracena, Scuranese, Cellina di Nardò ecc. , insieme all’Ogliarola è la varietà più coltivata oggi nel Salento.
Presta riporta anche altre varietà di olive e tra queste le tre olive di origine toscana, affermando che “l’infrantoia” è la migliore razza di ulivo.
==='''Della maniera di cavar l'olio'''===
Presta rispetto ai suoi colleghi usa un linguaggio molto più elaborato, un lessico selezionato e con precisi intendimenti stilistici. L’autore fa uso di espressioni letterarie, di termini dotti, di parole toscane ma riporta anche termini dialettali accompagnati dalla spiegazione e dal loro significato. La complessità della materia richiede massima attenzione anche dal punto di vista linguistico.
[[Immagine:Macina11.jpg|thumb|250px|right|Frantoio a macina verticale liscia]]
==='''Prefazione'''===
La terza parte illustra i metodi utilizzati per ricavare l’olio. Scrive il Presta, “la prima maniera dunque di cavar l’olio, par, che sia stata quella di spremere con le mani le ulive schiacciate, a un di presso, come tra noi costumano i contadini, o pur di cavarlo co’ piedi, siccome è di uso non che nel Regno di Marocco, ma in molti Paesi di questo medesimo Regno”. Sembra che in questo modo l’olio sia stato scoperto e il primo uso fu quello di spalmarlo sulla pelle e di usarlo come condimento per i cibi. In seguito venne molto utilizzato per illuminare le strade accendendo le fiaccole. I Greci, invece, utilizzavano il “Trapetum”, ritenendo che la tecnica sopra descritta fosse una grande perdita di tempo. Secondo il Presta il Trapetum dei Greci era il frantoio che nel 1780 fu ritrovato negli scavi di Stabia. Il frantoio si diceva riducesse in polvere anche il nocciolo e questo poteva rovinare il sapore dell’olio, in realtà questo non era vero. Il frantoio usato a Firenze era, però, molto difettoso rispetto agli altri paesi che usavano la più efficace macina verticale non solcata: “Tolta Firenze, gli altri noti olearii Paesi si vagliono di un Frantojo a macine verticale non solcata, ma liscia, o piuttosto col dosso un po’ scabro, acciochè le ulive, e i noccioli non sdrucciolino, e non isfuggano di sotto la macine, ma rimangano bene stacciati”. Dice il Presta che “quando la sollecitudine del lavoro, che di esso si vanta, fosse anche vera”, diversi sono i motivi per cui la macina verticale si fa preferire al frantoio. Dopo aver parlato del frantoio antico l’autore si sofferma sul torchio o strettoio “a’ tempi di Plinio inventatosi”, utilizzato per la spremitura della pasta dalla quale si ottiene l’olio. Nel capitolo IV della terza parte egli descrive la struttura e l’uso del torchio, soffermandosi in particolare sulla forza necessaria per azionare il torchio a due viti e il torchio a una vite, concludendo “che fia sempre meglio adoprar l’argano nel torchio a una vite, che al torchio a due, e del torchio a una vite, io dalla ragione, e dalla sperienza ammaestrato mi avvalgo”. Si può tranquillamente affermare, senza paura di essere smentiti che per migliorare la produzione dell’olio è fondamentale l’azione dell’uomo. E’ questo il motivo per cui Presta descrive le macchine e gli strumenti utilizzati per estrarre l’olio in maniera molto accurata. La terza parte è sicuramente la più importante perché ricca di “Avvertimenti intorno al Fattojo, intorno agli ordigni oleari, e intorno alle ulive per fabbricarne dell’olio fine”. Presta, con le sue opere, voleva spronare il lettore ad utilizzare i suoi metodi per dare un contributo allo sviluppo socio-economico del suo territorio.
Presta all’inizio dell’opera dimostrò subito il suo carattere illuministico, poiché basava ancora una volta il suo lavoro sullo studio e sugli esperimenti. Nella prefazione l’autore parlò un po’ della sua vita, fece un accenno alle accademie di quel tempo che affrontavano discorsi riguardanti la produzione agricola, poi parlò dell’ulivo come l’albero preferito da Minerva divinità della guerra, tutto ciò per conoscere meglio la pianta che egli stava studiando e per dare dignità alla propria ricerca. Egli, anche in quest’opera, confrontava tutti i suoi studi sulle tecniche del passato e su quelle moderne alla sua esperienza, tutto doveva essere verificato. Il Salento era considerato tra i migliori produttori di olio anche grazie all’efficacia del suo frantoio, dato che Presta analizzando i frantoi delle altre zone e notando i loro difetti non era riuscito a trovare un frantoio migliore della “macine verticale” usata nel Salento, ad esempio quello fiorentino era difettoso in quanto solcato. Grazie ai suoi successi e ai risultati da lui ottenuti il Salento continuava a ottenere prestigio per l’ottima produzione di olio.
=='''Bibliografia'''==
*''Giovanni Presta Opere'', Volume I, a cura di H.A. Cavallera. Edizioni del Grifo, Lecce 1988.
*''Giovanni Presta Opere'', Volume II, a cura di H.A. Cavallera. Edizioni del Grifo, Lecce 1989.
*''Dall'oblio alla storia: manoscritti di salentini tra sette e ottocento'', di F. D'Astore, 2001.
==='''Contenuto'''===
Presta divise l’opera in tre parti: nella prima parte il tema scelto è l’olivo, la seconda parla delle olive e la terza parte dimostra le sue doti e i suoi sforzi in quanto tratta della maniera di cavar l’olio. Nella prima parte l’autore analizzava i comportamenti dei contadini, i modi per propagare l’olivo e le malattie da cui poteva essere colpito. Presta aprì il trattato con un’accurata descrizione di questa pianta, dicendo che per quanto riguarda la sua utilità sicuramente tra tutte l’olivo era il migliore: “di quanti mai vi son’alberi finor noti sopra la terra, se si ha riguardo all’utilità, che ciascun arreca, si può dire senza fallo, che l’Ulivo è il migliore tra tutti, l’Ulivo è il primo tra tutti, l’Ulivo è il Re”. In questa prima parte c’era un riferimento ai tempi antichi dove si confermava la sua tesi, infatti i Greci consideravano l’ulivo una pianta “divina”. Nella seconda parte si passa all’illustrazione delle olive per peso lunghezza e colore. L’autore riportò proprio un elenco dei vari tipi di olive presenti nel Salento. Alcuni esempi sono: l’oliva grossa detta “uliva cazzarola” dai Tarantini o dal resto dei Salentini “uliva grossa da cazzare bianco”, l’oliva “cerasola” di Tricase , l’oliva “tonda di Galatone”. Presta riporta anche le tre olive di origine toscana, affermando che “l’infrantoia” è la migliore razza di ulivo, e le tecniche usate a Firenze che Marco Lastri gli aveva detto nella loro corrispondenza epistolare. La terza parte è sicuramente la più importante come abbiamo prima accennato. Presta riteneva importante gli usi del tempo ma soprattutto “le macine” che venivano usate in Salento al posto del difettoso frantoio. Nella terza parte egli ci mostra le tecniche usate e il modo per ricavare un buon olio. Presta, con le sue opere, voleva spronare il lettore ad utilizzare i suoi metodi per dare un contributo allo sviluppo socio-economico del suo territorio.
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