Antonio Gramsci: differenze tra le versioni

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{{nota disambigua|l'omonima città [[Albania|albanese]]|[[Gramsci (Albaniadisambigua)]]|Gramsci}}
{{Carica pubblica
{{Membro delle istituzioni italiane
| nome = Antonio Gramsci
| immagine = Gramsci (9 × 11).png
|istituzione=Camera del Ragno
| didascalia =
|immagine= Gramsci.png
| carica = [[Segretario generale]] del [[Partito Comunista d'Italia]]
|dimensione=250px
| mandatoinizio = agosto [[1924]]
|luogo_nascita= Ales
| mandatofine = [[1927]]
|data_nascita= [[22 gennaio]] [[1891]]
| predecessore = ''Comitato esecutivo''<ref>Composto da [[Palmiro Togliatti]], Antonio Gramsci, [[Mauro Scoccimarro]], Gustavo Mersù e [[Fabrizio Maffi]]</ref><ref>{{Cita|Spriano, 1976 (1)|p. 380}}.</ref>
|luogo_morte= [[Roma]]
| successore = [[Palmiro Togliatti]]
|data_morte= [[27 aprile]] [[1937]]
| carica2 = [[Camera dei deputati del Regno d'Italia|Deputato del Regno d'Italia]]
|titolo=
| mandatoinizio2 = 6 aprile 1924
|professione= Politico
| mandatofine2 = 9 novembre 1926
|partito= [[Partito Comunista d'Italia|PCd'I]]
| legislatura2 = {{NumLegRegno|D|XXVII}}
|legislatura= [[1924]]-[[1926]]
| sito2 = {{Deputati Regno}}
| partito = [[Partito Socialista Italiano|PSI]] <small>(1913-1921)</small><br>[[Partito Comunista d'Italia|PCd'I]] <small>(1921-1937)</small>
| titolo di studio =
| professione = Giornalista
| firma = Antonio Gramsci signature.svg
}}
{{quote|Non ho mai voluto mutare le mie opinioni, per le quali sarei disposto a dare la vita e non solo a stare in prigione [...] vorrei consolarti di questo dispiacere che ti ho dato: ma non potevo fare diversamente. La vita è così, molto dura, e i figli qualche volta devono dare dei grandi dolori alle loro mamme, se vogliono conservare il loro onore e la loro dignità di uomini|Antonio Gramsci, lettera alla madre, [[10 maggio]] [[1928]]}}
{{Bio
|Nome = Antonio Sebastiano Francesco
|Cognome = Gramsci
|Sesso = M
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|GiornoMeseMorte = 27 aprile
|AnnoMorte = 1937
|Attività = politico
|Epoca = 1900
|Attività = politico
|Attività2 = filosofo
|Attività3 = giornalistapolitologo
|AttivitàAltre = &nbsp;, [[giornalista]], [[antifascista]], [[linguistica|linguista]] e [[critica letteraria|critico letterario]]
|Nazionalità = italiano
|PostNazionalità =
}}
 
Nel 1921 fu tra i fondatori del [[Partito Comunista d'Italia]], ricoprendone la carica di segretario dall'agosto 1924. Nel 1926 fu arrestato e incarcerato dal [[Fascismo|regime fascista]]. Nel 1934, in seguito al grave deterioramento delle sue condizioni di salute, ottenne la libertà condizionata e fu ricoverato in clinica a Roma, dove trascorse gli ultimi anni di vita. Nel 1937
I suoi scritti&nbsp;– nei quali studiò e analizzò la struttura culturale e politica della società&nbsp;– sono considerati tra i più originali della tradizione filosofica [[marxismo|marxista]]. Uno dei suoi contributi principali fu il concetto di [[egemonia culturale]], secondo il quale le classi dominanti impongono i propri valori politici, intellettuali e morali a tutta la società, con l'obiettivo di saldare e gestire il potere intorno a un senso comune condiviso.
morì a seguito di [[emorragia cerebrale]].<ref>{{Cita|D'Orsi|p. 441}}.</ref><ref>{{Cita web|lingua=|url=https://www.raiscuola.rai.it/storia/articoli/2022/04/Antonio-Gramsci-949fa282-eca5-414b-bae1-a246a52c74d8.html|titolo=Antonio Gramsci – La vita e la politica|sito=''Rai Scuola''|accesso=25 settembre 2022|autore=}}</ref>
 
Considerato uno dei più importanti pensatori del XX secolo, nei suoi scritti, tra i più originali della tradizione filosofica [[marxismo|marxista]], Gramsci analizzò la struttura culturale e politica della società. Elaborò in particolare il concetto d'[[egemonia culturale|egemonia]], secondo il quale le classi dominanti impongono i propri valori politici, intellettuali e morali alla società, con l'obiettivo di saldare e gestire il potere intorno a un senso comune condiviso da tutte le classi sociali, soprattutto quelle [[Subalterno (postcolonialismo)|subalterne]].
Tra i fondatori del [[Partito Comunista d'Italia]] ([[1921]]), fu incarcerato dal regime [[fascista]] di [[Benito Mussolini|Mussolini]] nel [[1926]]. Nel [[1934]], in seguito al grave deterioramento delle sue condizioni di salute, gli venne concessa la libertà condizionata e fu ricoverato in clinica, dove passò gli ultimi due anni di vita.
 
== Biografia ==
=== OriginiL'infanzia familiarie i primi studi ===
La famiglia paterna di Antonio, i Gramsci, ha origine storica nel principato di [[Gramsh]] nell'Albania meridionale. La loro presenza è attestata in Italia almeno dal 1700, ma probabilmente risale alla diaspora albanese del XV secolo: il trisavolo don Gennaro Gramsci, il bisnonno Don Nicola del 1769 e il nonno Gennaro del 1810, sono nati a [[Plataci]], comunità [[arbereshe]] della [[Calabria Citra]], nel distretto di [[Castrovillari]], tutti membri dell'esercito del [[Regno di Napoli]]. Gennaro, nonno di Antonio, è di stanza a [[Gaeta]], dove conosce e sposa donna Teresa Gonzales, figlia di un insigne avvocato napoletano<ref>[http://www.ciaobalcani.com/forum/viewtopic.php?id=1001 Ciao Balcani]</ref><ref>[http://www.internationalgramscisociety.org/igsn/news/n09_11.shtml International Gramsci Society]</ref>.
 
[[File:Antonio Gramsci bambino.jpg|thumb|upright=0.8|Antonio Gramsci intorno al 1897]]
Il padre Francesco, originario di [[Gaeta]], di famiglia medio-borghese, era studente in [[legge]] quando morì suo padre, [[colonnello]] dei [[carabinieri]]; dovendo trovare subito un lavoro, nel [[1881]] partì per la [[Sardegna]] per impiegarsi nell'Ufficio del registro di [[Ghilarza]]. In questo paese, che allora contava circa 2.200 abitanti, conobbe Peppina, figlia di un esattore delle imposte e proprietario di alcune terre. La sposò nel [[1883]], malgrado l'opposizione dei genitori, rimasti in [[Campania]], che consideravano i Marcias una famiglia di rango inferiore alla propria, non solo da un punto di vista sociale, ma anche culturale: la madre di Antonio aveva studiato fino alla terza elementare. Dal matrimonio nascerà Gennaro, nel [[1884]], e dopo che l'ufficio fu trasferito da Ghilarza ad Ales, Grazietta nel [[1887]], Emma nel [[1889]] e, il [[22 gennaio]] [[1891]], Antonio, battezzato il [[29 gennaio]].
 
Antonio Gramsci nacque ad [[Ales]] il 22 gennaio 1891 da Francesco Gramsci (1860-1937), i cui avi erano di origine [[arbëreshë]], e da Giuseppina Marcias (1861-1932), di lontana ascendenza ispanica. I due si conobbero a [[Ghilarza]], si sposarono nel 1883 e dopo un anno nacque il primogenito Gennaro; poi la famiglia si trasferì ad [[Ales]] dove Giuseppina Marcias diede alla luce Grazietta (1887-1962), Emma (1889-1920) e Antonio. Nell'autunno del 1891 il padre divenne responsabile dell'Ufficio del Registro di [[Sorgono|Sòrgono]] e i Gramsci traslocarono nel paese che era centro amministrativo della [[Mandrolisai|Barbagia Mandrolisai]];<ref>{{cita|D'Orsi|pp. 22, 23 e 25-26}}.</ref> qui nacquero altri tre figli: [[Mario Gramsci|Mario]] (1893-1945), Teresina (1895-1976) e Carlo (1897-1968).<ref>{{cita|Fiori|p. 13}}.</ref> Infine la famiglia rientrò a Ghilarza nel 1898 e lì fissò la dimora definitiva.<ref>{{cita|D'Orsi|p. 27}}.</ref>
Le lontane origini albanesi erano conosciute allo stesso Antonio Gramsci, che tuttavia le immaginava più recenti. Cosi scriveva in una lettera alla cognata Tatiana Schucht dal carcere di [[Turi]] (Bari) del 12 ottobre del 1931:
{{quote|io stesso non ho alcuna razza; mio padre è di origine [[Albanesi|albanese]] (la famiglia scappò dall'Epiro durante la guerra del [[1821]] e si [[italianizzazione|italianizzò]] rapidamente) . Tuttavia la mia cultura è italiana, fondamentalmente questo è il mio mondo; non mi sono mai accorto di essere dilaniato tra due mondi. L'essere io [[oriundo]] albanese non fu messo in giuoco perché anche [[Crispi]] era albanese, educato in un collegio albanese e parlava albanese}}
 
Il piccolo Antonio aveva solo diciotto mesi quando sulla sua schiena si manifestarono i segnali del [[morbo di Pott]], una tubercolosi ossea che causa il cedimento della spina dorsale e la comparsa della gobba. Ma la famiglia scelse di rifugiarsi nella superstizione, rifiutando di affidarsi alla medicina che, con una diagnosi tempestiva e un intervento chirurgico, avrebbe evitato che gli effetti della malattia provocassero danni permanenti allo scheletro e a tutto l'organismo.<ref>{{cita|D'Orsi|pp. 27-28}}.</ref> All'età di quattro anni, Antonio per tre giorni di seguito soffrì di emorragie associate a convulsioni; secondo i medici tali avvisaglie avrebbero portato a un esito fatale, tanto che vennero comperati una piccola cassa da morto e un abito per la sepoltura.<ref>{{cita|Fiori|p. 18}}.</ref>
=== In Sardegna ===
Antonio Gramsci nacque ad [[Ales]], nei pressi di [[Oristano]],all'epoca facente parte della [[provincia di Cagliari]], da Francesco Gramsci ([[1860]]-[[1937]]) e Giuseppina Marcias ([[1861]]-[[1932]]).
 
[[File:Gramscis museum.jpg|thumb|upright=0.7|left|La casa di [[Ghilarza]] dove Gramsci trascorse l'infanzia, ora [[casa museo Antonio Gramsci|museo a lui dedicato]]]]
L'anno dopo la famiglia si trasferì a [[Sorgono]], il paese di cui la madre era originaria, e qui nacquero gli altri figli, [[Mario Gramsci|Mario]] nel [[1893]], Teresina nel [[1895]] e Carlo nel [[1897]]. Antonio, a due anni, si ammalò del [[morbo di Pott]], una [[tubercolosi]] ossea che in pochi anni gli deformò la [[colonna vertebrale]] e gli impedì una normale crescita: adulto, Gramsci non supererà il metro e mezzo di altezza; i genitori pensavano che la sua deformità fosse la conseguenza di una caduta e anche Antonio rimase convinto di quella spiegazione. Ebbe sempre una salute delicata: a quattro anni, soffrendo di emorragie e convulsioni, fu dato per spacciato dai medici, tanto che la madre comprò la bara e il vestito per la sepoltura.<ref>Così Gramsci ricordava con ironia l'episodio, nella lettera dal carcere alla cognata Tatiana, il 7 settembre 1931, aggiungendo che «una zia sosteneva che ero risuscitato quando lei mi unse i piedini con l'olio di una lampada dedicata a una madonna e perciò, quando mi rifiutavo di compiere gli atti religiosi, mi rimproverava aspramente, ricordando che alla madonna dovevo la vita»</ref>
 
L'infanzia di Gramsci fu anche turbata dall'arresto del padre, dopo un'ispezione nell'ufficio di Sòrgono e a seguito di un'inchiesta che rilevò a suo carico illeciti penali; il processo per peculato, concussione e falso in atto pubblico si concluse il 27 ottobre 1900 e Francesco Gramsci, giudicato colpevole, fu condannato a cinque anni, otto mesi e ventidue giorni di reclusione, con la sospensione dall'impiego e la perdita dello stipendio. La famiglia restò priva di sostegno economico e Giuseppina Marcias dovette dedicarsi al sostentamento dei figli lavorando senza sosta<ref>{{cita|Fiori|pp. 15-16}}.</ref> e lasciando nel figlio Antonio un'impronta di rigore, orgoglio e abnegazione.<ref>{{cita|D'Orsi|pp. 34-35}}.</ref>
Il padre Francesco fu arrestato il [[9 agosto]] [[1898]] con l'accusa di [[peculato]], [[concussione]] e falsità in atti, e il [[27 ottobre]] [[1900]] venne condannato al minimo della pena con l'attenuante del «lieve valore»: 5 anni, 8 mesi e 22 giorni di carcere, da scontare a Gaeta; priva del sostegno dello stipendio del padre, per la famiglia Gramsci furono anni di estrema miseria che la madre affrontò vendendo la sua parte di eredità, tenendo a pensione il veterinario del paese e guadagnando qualche soldo cucendo camicie.<ref>«Noi eravamo tutti molto piccoli. Lei dunque doveva anche accudire alla casa. Trovava il tempo per i lavori di cucito rinunziando al sonno». Così ricordava quegli anni la sorella Teresina Gramsci, in G. Fiori, ''Vita di Antonio Gramsci'', p. 18</ref>
 
A Sòrgono, Gramsci frequentò un asilo religioso assieme a tre delle sue sorelle. Anche a causa delle precarie condizioni di salute, fu mandato alle scuole elementari all'età di sette anni. A casa aveva già imparato a leggere e divorava di tutto, da [[Carolina Invernizio]] a [[Emilio Salgari]]; questa sua curiosità culturale, unita al suo inizio scolastico in ritardo, gli permise alle elementari un percorso scolastico brillante e un eccellente punteggio di uscita.<ref>{{cita|D'Orsi|pp. 27, 36-37, 42-43}}.</ref> Per contribuire alla difficile situazione finanziaria della famiglia, nell'estate fra il quarto e il quinto anno delle elementari andò a lavorare con il fratello Gennaro dieci ore al giorno nell'Ufficio del catasto di Ghilarza per una misera paga, trasportando pesanti registri che spossavano il suo già fragile corpo.<ref>{{Cita|D'Orsi|p. 39}}.</ref> Parallelamente agli impegni di studio, sviluppò una grande capacità manuale: costruiva giocattoli, rudimentali attrezzi ginnici per irrobustire le braccia, e creò perfino un'ingegnosa struttura in lamiera per farsi la doccia.<ref>{{Cita|Fiori|pp. 19-20}}.</ref>
Proprio per le sue delicate condizioni di salute Antonio cominciò a frequentare la scuola elementare soltanto a sette anni: la concluse nel [[1903]] con il massimo dei voti, ma la situazione familiare non gli permise di iscriversi al ginnasio. Già dall'estate precedente aveva iniziato a dare il suo contributo all'economia domestica lavorando 10 ore al giorno nell'Ufficio del catasto di Ghilarza per 9 lire al mese - l'equivalente di un chilo di pane al giorno - smuovendo «registri che pesavano più di me e molte notti piangevo di nascosto perché mi doleva tutto il corpo».<ref>Lettera a Tatiana Schucht, 3 ottobre 1932: così Gramsci scriveva per invitare la cognata a non eccedere nelle sue preoccupazioni sulla sua vita di carcerato. La lettera prosegue infatti: «Ho conosciuto quasi sempre solo l'aspetto più brutale della vita e me la sono sempre cavata, bene o male»</ref>
 
[[File:Antonio Gramsci 15al anniginnasio.jpg|thumb|left|200pxupright=1.1|Antonio Gramsci (a fianco del professore) nel 19061905 al ginnasio di Santu Lussurgiu]]
Il [[31 gennaio]] [[1904]] Francesco Gramsci, grazie a un'[[amnistia]], anticipò di tre mesi la fine della sua pena: inizialmente guadagnò qualcosa come segretario in un'assicurazione agricola, poi, riabilitato, fece il patrocinante in conciliatura e infine fu riassunto come scrivano nel vecchio Ufficio del catasto, dove lavorò per il resto della sua vita. Così, pur affrontando gli abituali sacrifici, i genitori poterono iscrivere il quindicenne Antonio nel Ginnasio comunale di [[Santu Lussurgiu]], a 18 chilometri da Ghilarza, «un piccolo ginnasio in cui tre sedicenti professori sbrigavano, con molta faccia tosta, tutto l'insegnamento delle cinque classi».<ref>Lettera a Tatiana Schucht, 12 settembre 1932</ref>
 
Concluse il primo ciclo di studi nel 1903 ma le condizioni economiche della famiglia non gli permisero di iscriversi subito al ginnasio,<ref>{{Cita|Fiori|p. 30}}.</ref> e per aiutare le entrate domestiche compì lavori faticosi all'Ufficio del catasto non rinunciando però all'idea di proseguire nel percorso scolastico: studiò da autodidatta, con l'aiuto di qualche ripetizione e nel 1905 si iscrisse al ginnasio di [[Santu Lussurgiu]]. Nei tre anni del ginnasio, visse a pensione da una contadina durante la settimana; il sabato e la domenica rientrava a casa, che distava diciotto chilometri, a piedi o in diligenza.<ref>{{Cita|D'Orsi|pp. 43-44}}.</ref> Il diciassettenne Gramsci conseguì la licenza ginnasiale a [[Oristano]] nell'estate del 1908 e si iscrisse al [[Liceo classico Giovanni Maria Dettori]] di Cagliari, città in cui raggiunse il fratello Gennaro che vi si era stabilito dopo aver ottenuto il trasferimento al Catasto del capoluogo sardo. L'impiego fu però presto abbandonato perché Gennaro preferì fare il contabile in una fabbrica di ghiaccio per una paga modesta che presto si dimostrò insufficiente a garantire il mantenimento di due persone.<ref>{{Cita|D'Orsi|p. 49}}.</ref>
Con tale preparazione un poco avventurosa riuscì tuttavia a prendere la licenza ginnasiale a [[Oristano]] nell'estate del [[1908]] e a iscriversi al [[Liceo classico|Liceo Dettori]] di [[Cagliari]], stando a pensione, prima in un appartamento in via Principe Amedeo 24 poi, l'[[1909|anno dopo]], in corso Vittorio Emanuele 149, insieme con il fratello Gennaro il quale, terminato il servizio di leva a [[Torino]], lavorava per cento lire al mese in una fabbrica di [[ghiaccio]] del capoluogo sardo.
 
===Gramsci a Cagliari===
La modesta preparazione ricevuta nel ginnasio si fece sentire, perché inizialmente Gramsci nelle diverse materie ottenne appena la sufficienza, ma riuscì a recuperare in fretta: del resto, leggere e studiare era il suo impegno costante. Non si concedeva distrazioni, non soltanto perché avrebbe potuto permettersele solo con grandi sacrifici, ma anche perché l'unico vestito che possedeva, per lo più liso, non lo incoraggiava a frequentare né gli amici né i locali pubblici.<ref>Numerose sono le richieste di denaro al padre: il [[10 febbraio]] 1910 gli scrive di essere «proprio indecente con questa giacca che ha già due anni ed è spelacchiata e lucida [...] oggi non sono andato a scuola perché mi son dovuto risuolare le scarpe» e, il [[16 febbraio]], che «per non farvi vergognare non sono uscito di casa per dieci giorni interi»</ref>
 
[[File:Gramsci 1906.jpg|thumb|left|Antonio Gramsci a quindici anni]]
Il fratello Gennaro, che era tornato in [[Sardegna]] militante socialista, ai primi del [[1911]] divenne cassiere della Camera del lavoro e segretario della sezione socialista di [[Cagliari]]: «Una grande quantità di materiale propagandistico, libri, giornali, opuscoli, finiva a casa. Nino, che il più delle volte passava le sere chiuso in casa senza neanche un'uscita di pochi momenti, ci metteva poco a leggere quei libri e quei giornali»<ref>Testimonianza in G. Fiori, cit., p.65</ref> Leggeva anche i romanzi popolari di [[Carolina Invernizio]], di [[Anton Giulio Barrili]] e quelli di [[Grazia Deledda]], ma questi ultimi non li apprezzava, considerando [[folklore|folkloristica]] la visione che della [[Sardegna]] aveva la scrittrice sarda; leggeva «[[Il Marzocco (rivista)|Il Marzocco]]» e «[[La Voce (rivista)|La Voce]]» di [[Giuseppe Prezzolini]], [[Giovanni Papini|Papini]], [[Emilio Cecchi]] «ma in cima alle sue raccomandazioni, quando mi chiedeva di ritagliare gli articoli e di custodirli nella cartella, stavano sempre [[Benedetto Croce|Croce]] e [[Gaetano Salvemini|Salvemini]]».<ref>Testimonianza della sorella Teresina in G. Fiori, cit., p. 66</ref>
 
Il soggiorno a Cagliari costituì una tappa importante per la formazione del giovane Gramsci. All'epoca il capoluogo sardo era una cittadina nella quale prevalevano commercio e sedi amministrative e dove erano tuttavia presenti fasce di classe operaia soprattutto nei distretti minerari; era anche una sede universitaria che per sua natura costituiva un veicolo di circolazione della cultura e si rivelò centro di diffusione delle idee socialiste. Tra febbraio e maggio del 1906, l'alto costo della vita, che non aveva risparmiato i ceti medi, scatenò moti popolari in tutta l'isola, agitazioni che vedevano una unione fra proletariato urbano e minatori da un lato, e contadini e pastori dall'altro, in contrapposizione alla borghesia. Nonostante la dura repressione che soffocò i movimenti di protesta, l'indipendentismo sardo riprese vigore e innestò le proprie istanze nella saldatura tra strati medi urbani e proletariato. In compenso la vita culturale era fiorente, vi si pubblicavano tre quotidiani, c'erano due teatri, locali di varietà, circoli e cinema, e così gli interessi del giovane virarono verso il teatro, il giornalismo e la filologia. Inoltre, a Cagliari assistette alle lotte dei minatori dell'[[Iglesiente]] e poté per la prima volta prendere coscienza delle distanze sociali fra oppressori e oppressi.<ref>{{Cita|D'Orsi|pp. 49-51}}.</ref> La modesta formazione ricevuta al ginnasio gli consentì inizialmente di ottenere appena la sufficienza nelle diverse materie, ma con le sue ottime doti di recupero il giovane liceale riuscì a colmare in fretta le carenze dovute alla preparazione lacunosa del ginnasio: del resto, leggere e studiare erano i suoi impegni costanti;<ref>{{Cita|Fiori|pp. 60-62}}.</ref> ma il nuovo, misero alloggio, la denutrizione e il vestiario consunto dovuti alle ristrettezze finanziarie non agevolavano la socializzazione.<ref>{{Cita|D'Orsi|pp. 55-57}}.</ref>{{#tag:ref|Pressanti sono le richieste di denaro al padre: il 10 febbraio 1910 gli scrive di essere «proprio indecente con questa giacca che ha già due anni ed è spelacchiata e lucida [...] Oggi non sono andato a scuola perché mi son dovuto risuolare le scarpe.»<ref>In {{Cita|Fiori|p. 63}}.</ref>|group=E}}
Alla fine della seconda classe liceale, alla cattedra di lettere italiane del Liceo salì il professor Raffa Garzia, radicale e anticlericale, direttore de «[[L'Unione Sarda]]», quotidiano legato alle istanze sardiste rappresentate, in [[Parlamento]] da [[Francesco Cocco-Ortu]], allora impegnato in una dura opposizione al ministero di [[Luigi Luzzatti]]. Gramsci instaurò con il Garzia un buon rapporto, che andava oltre il naturale discepolato: invitato ogni tanto a visitare la redazione del giornale, ricevette nell'estate del [[1910]] la tessera di giornalista, con l'invito a «inviare tutte le notizie di pubblico interesse»: e il [[25 luglio]] Gramsci ebbe la soddisfazione di vedersi stampato il suo primo scritto pubblico, venticinque righe di cronaca ironica su un fatto avvenuto nel paese di [[Aidomaggiore]].<ref>L'articolo è riportato in G. Fiori, cit., p. 69</ref>
 
A scuola Gramsci instaurò con il nuovo professore di Lettere [[Raffa Garzia|Raffaele Garzìa]] – radicale e anticlericale, direttore de ''[[L'Unione Sarda]]''<ref>{{Cita|Fiori|p. 64}}.</ref> – un fecondo rapporto: i suoi compiti erano letti in classe ed era invitato ogni tanto a visitare la redazione del giornale.<ref>{{Cita|D'Orsi|p. 57}}.</ref> Soddisfacendo la curiosità giornalistica del suo alunno, il professore lo nominò "inviato" da [[Aidomaggiore]], essendo la sede di Ghilarza già coperta. E il 26 luglio 1910 Gramsci ebbe la soddisfazione di vedersi stampato su ''L'Unione Sarda'' il suo primo scritto pubblico nel quale descriveva con accuratezza e brio un'operazione in grande stile dei carabinieri rivelatasi un fiasco.<ref>{{Cita|Fiori|pp. 68-69}}.</ref>
In un tema dell'ultimo anno di liceo che ci è conservato, Gramsci scriveva, tra l'altro, che «Le guerre sono fatte per il [[commercio]], non per la [[civiltà]] [...] la [[Rivoluzione francese]] ha abbattuto molti privilegi, ha sollevato molti oppressi; ma non ha fatto che sostituire una classe all'altra nel dominio. Però ha lasciato un grande ammaestramento: che i privilegi e le differenze sociali, essendo prodotto della società e non della natura, possono essere sorpassate».<ref>Riportato in A. Gramsci, ''Scritti politici'', p. 53-55</ref> La sua concezione socialista, qui chiaramente espressa, va unita, in questo periodo, all'adesione all'indipendentismo sardo, in una sorta di «socialsardismo», nel quale egli esprimeva, insieme con la denuncia delle condizioni di arretratezza dell'isola e delle disuguaglianze sociali, l'ostilità verso le classi privilegiate del continente, fra i quali venivano compresi, secondo una polemica mentalità di origine contadina, gli stessi operai, concepiti come una corporazione elitaria fra i lavoratori salariati.
 
Per curiosità intellettuale il liceale Gramsci si accostò a [[Karl Marx]], ma leggeva anche [[Grazia Deledda]], che non amava, i romanzi popolari di [[Carolina Invernizio]] e di [[Anton Giulio Barrili]], assieme a ''[[La Domenica del Corriere]]'', ''[[Il Marzocco]]'' e ''[[La Voce (periodico)|La Voce]]'' di [[Giuseppe Prezzolini]]; e ancora [[Giovanni Papini|Papini]], [[Emilio Cecchi]] e, sopra tutti, [[Benedetto Croce|Croce]] e [[Gaetano Salvemini|Salvemini]].<ref>{{Cita|Fiori|pp. 65-66}}.</ref> Al di fuori delle attività didattiche, Gramsci prese a frequentare l'Associazione anticlericale dell'Avanguardia, punto di raccolta dei liceali e dell'intellettualità cagliaritana di idee prevalentemente socialiste. E a segnare l'itinerario culturale e politico gramsciano – oltre al professor Garzìa – fu anche la decisione del fratello Gennaro di candidarsi a cariche esecutive presso la locale Camera del Lavoro.<ref>{{Cita|D'Orsi|pp. 58-59}}.</ref>
Tra poco, Gramsci conoscerà da vicino la realtà operaia di una grande città del Nord: nell'estate del [[1911]] il conseguimento della licenza liceale con una votazione molto buona - tutti ''otto'' e un ''nove'' in italiano - gli prospetta la possibilità di continuare gli studi all'Università. Nell'autunno del [[1911]] il Collegio Carlo Alberto di [[Torino]] bandì un concorso, riservato a tutti gli studenti poveri licenziati dai licei del Regno, offrendo 39 borse di studio, ciascuna equivalente a 70 lire al mese per 10 mesi, per poter frequentare l'[[Università di Torino]]: Gramsci fu uno dei due studenti di [[Cagliari]] ammessi a sostenere gli esami a [[Torino]].
 
Nell'estate del 1911 Gramsci conseguì la licenza liceale con una brillante votazione – tutti "otto" e un "nove" in italiano – e poco dopo avrebbe conosciuto da vicino la realtà operaia di una grande città del Nord: gli si prospettava la possibilità di continuare gli studi all'Università. Nell'autunno del 1911, il Collegio Carlo Alberto di Torino bandì un concorso, riservato a tutti gli studenti poveri licenziati dai Licei del Regno, offrendo trentanove borse di studio per poter frequentare l'[[Università degli Studi di Torino|Università di Torino]]: Gramsci fu uno dei due studenti della sede di Cagliari ammessi a sostenere gli esami a Torino.
=== Studente a Torino ===
[[File:Loggiato.jpg|thumb|left|330px|Torino, il loggiato dell'Università]]
«Partii per Torino come se fossi in stato di sonnambulismo. Avevo 55 lire in tasca; avevo speso 45 lire per il viaggio in terza classe delle 100 avute da casa». Il [[27 ottobre]] [[1911]] conclude gli esami: li supera classificandosi nono; al secondo posto è uno studente genovese venuto da [[Sassari]], [[Palmiro Togliatti]].
 
=== Universitario a Torino ===
Si iscrive alla Facoltà di [[Lettere e filosofia|Lettere]], ma le 70 lire al mese non bastano nemmeno per le spese di prima necessità: oltre alle tasse universitarie, deve pagare 25 lire al mese per l'affitto della stanza di Lungo Dora Firenze 57, nel popolare quartiere di Porta Palazzo, e il costo della [[luce]], delle pulizia della biancheria, della [[carta]] e dell'[[inchiostro]], e ci sono i pasti - «non meno di due lire alla più modesta [[trattoria]]» - e la [[legna]] e il [[carbone]] per il riscaldamento: privo anche di un [[cappotto]], «la preoccupazione del freddo non mi permette di studiare, perché o passeggio nella camera per scaldarmi i piedi oppure devo stare imbacuccato perché non riesco a sostenere la prima gelata»;<ref>A. Gramsci. ''Lettere. 1908-1926'', p. 55</ref> Sono frequenti le richieste di denaro alla famiglia che però, da parte sua, non se la passava di certo molto meglio.
 
[[File:TO-Torino-1929-Atrio-R-Università.jpg|thumb|left|Atrio dell'Università di Torino, anni venti]]
L'[[Università di Torino]] vantava professori di alto livello e di diversa formazione: [[Luigi Einaudi]], [[Francesco Ruffini]], [[Vincenzo Manzini]], [[Pietro Toesca]], [[Achille Loria]], [[Gioele Solari]] e poi il giovane linguista [[Matteo Bartoli]]<ref>Progettando, in carcere, uno studio di linguistica comparata, mai realizzato, in una lettera dal carcere del [[19 marzo]] [[1927]] alla cognata Tatiana, ricorda come «uno dei maggiori "rimorsi" intellettuali della mia vita è il dolore profondo che ho procurato al mio buon professor Bartoli dell'Università di Torino, il quale era persuaso essere io l'arcangelo destinato a profligare definitivamente i "neogrammatici"» della linguistica. Tuttavia già nel 2003 l'economista [[Amartya Sen]] aveva avanzato l'ipotesi che il passsaggio ai giochi linguistici di [[Ludwig Wittgenstein]] nelle [[Ricerche filosofiche]] fosse stato ispirato dai Quaderni dal carcere. Nel suo recente studio ''Gramsci and Wittgenstein: an intriguin connection'', Franco Lo Pipero ha aggiunto nuovi elementi che dimostrano il collegamento fra Gramsci e Wittgenstein tramite [[Piero Sraffa]]. Infatti il filosofo viennese venne a conoscenza del Quaderno 29 nel 1935, grazie proprio al suo amico Sraffa che aveva conosciuto a [[Università di Cambridge|Cambridge]] nel 1929</ref>, che si legò di amicizia con Gramsci, come fece anche l'incaricato di letteratura italiana [[Umberto Cosmo]], contro il quale, nel 1920, indirizzò però un articolo violentemente polemico. Anni dopo, durante la dura esperienza in carcere, continuò comunque a ricordarlo con simpatia - «serbo del Cosmo un ricordo pieno di affetto e direi di venerazione [...] era e credo sia tuttora di una grande sincerità e dirittura morale con molte striature di quella ingenuità nativa che è propria dei grandi eruditi e studiosi»<ref>Lettera dal carcere del 23 febbraio 1931: in essa Gramsci ricorda ancora un simpatico e patetico episodio. Dopo la rottura avvenuta ala fine del 1920, a causa di quell'articolo che fece «piangere come un bambino e stette chiuso in casa [il Cosmo] per alcuni giorni», essi s'incontrarono nel 1922 nell'Ambasciata d'Italia a Berlino, dove il professore era segretario: «il Cosmo mi si precipitò addosso, inondandomi di lacrime e di barba e dicendo a ogni momento: ''Tu capisci perché! Tu capisci perché!'' Era in preda a una commozione che mi sbalordì, ma mi fece capire quanto dolore gli avessi procurato nel [[1920]] e come egli intendesse l'amicizia per i suoi allievi di scuola»</ref> - ricordando anche che, con questi e con molti altri intellettuali dei primi quindici anni del secolo, malgrado divergenze di varia natura, egli avesse questo in comune: «partecipavamo in tutto o in parte al movimento di riforma morale e intellettuale promosso in [[Italia]] da [[Benedetto Croce]], il cui primo punto era questo, che l'uomo moderno può e deve vivere senza [[religione]] rivelata o positiva o mitologica o come altro si vuol dire. Questo punto anche oggi mi pare il maggior contributo alla [[cultura]] mondiale che abbiano dato gli intellettuali moderni italiani».<ref>Lettera dal carcere a Tatiana Schucht del 17 agosto 1931</ref>
 
Partendo dalla Sardegna, Gramsci portò con sé impressioni profonde che più tardi, nella solitudine del carcere, si sarebbero concretizzate in una viva e feconda riflessione teorica. Aveva fatto esperienza diretta della povertà, visto la miseria assoluta di chi era più povero di lui, dei contadini delle campagne, e aveva compreso, certo in modo confuso mancando ancora il contatto con una grande città industrializzata, che l'arretratezza della sua isola era la prova lampante di come l'unificazione dell'Italia fosse ben lungi dall'essere stata realizzata e che il conflitto sociale discendeva anche da questo ritardo. Portò con sé il rispetto per la cultura popolare, ricca di canti e di racconti, la fascinazione per la lingua sarda, che si sarebbe riversata negli studi sulle origini del linguaggio.<ref>{{Cita|Joll|pp. 23-24}}.</ref> Ma non avrebbe mai avuto nostalgia per il mondo arcaico che s'era lasciato ventenne alle spalle e la cui ristretta concezione della vita fermava lo sviluppo dell'identità individuale allo stadio biologico, precludendole il passaggio alla fase "politica", quando cioè la persona può, grazie all'uso della ragione, liberarsi di sentimenti e istinti primordiali.<ref>{{Cita|Lepre|p. 10}},</ref>{{#tag:ref|Gramsci avrebbe scritto in proposito di aver sentito la necessità di «superare un modo di vivere e di pensare arretrato, come quello che era proprio di un sardo del principio del secolo, per appropriarsi ''[di]'' un modo di vivere e di pensare non più regionale e da "villaggio", ma nazionale».<ref>In {{Cita|Togliatti, 2001|p. 56}}.</ref>|group=E}}
[[File:Angelo Tasca.jpg|thumb|right|200px|Angelo Tasca]]
È a casa per le [[Elezioni politiche italiane del 1913|elezioni politiche del 26 ottobre 1913]], dopo la fine della [[guerra italo-turca]] contro l'[[Impero Ottomano]] per la conquista della [[Libia]]; votano, per la prima volta, anche gli analfabeti, ma la corruzione e le intimidazioni sono le stesse delle elezioni precedenti. Il timore che l'allargamento della base elettorale favorisse i socialisti portò al blocco delle candidature di tutte le forze politiche contro i candidati socialisti, indicati come il comune nemico da battere. In questo obbiettivo, «sardisti» e «continentali» si trovarono d'accordo e deposero le vecchie polemiche. Gramsci scrisse di quest'esperienza elettorale al compagno di studi [[Angelo Tasca]], giovane dirigente socialista torinese, il quale affermò che Gramsci «era stato molto colpito dalla trasformazione prodotta in quell'ambiente dalla partecipazione delle masse contadine alle elezioni, benché non sapessero e non potessero ancora servirsi per conto loro della nuova arma. Fu questo spettacolo, e la meditazione su di esso, che fece definitivamente di Gramsci un socialista».<ref>In G. Fiori, cit., p. 103</ref>
 
Gramsci arrivò a Torino ai primi di ottobre del 1911, periodo in cui la città festeggiava il [[cinquantenario dell'Unità d'Italia]]; lo studente sardo vi era giunto con l'intento di frequentare i corsi della facoltà di Filosofia e Lettere con indirizzo di Filologia moderna.<ref>{{Cita|D'Orsi|pp. 65 e 70-71}}.</ref> Insieme ad altri candidati fra i quali Maria Cristina Togliatti e [[Augusto Rostagni]] sostenne le prove d'esame che, tra scritti e orali, durarono circa due settimane e lo videro classificarsi al nono posto sui venti promossi; secondo giungeva un altro studente venuto dalla Sardegna: [[Palmiro Togliatti]].<ref>{{Cita|Fiori|pp. 82-83}}.</ref> Risale a questo momento l'incontro tra i due futuri dirigenti comunisti, cui sarebbe seguita un'assidua frequentazione e la scoperta di un comune orientamento politico.<ref name="Fiori">{{Cita|Fiori|p. 107}}.</ref>
Tornò a Torino ai primi di novembre del [[1913]], andando ad affittare una stanza all'ultimo piano del palazzo di via San Massimo 14, oggi Monumento nazionale; dovrebbe datarsi a questo periodo la sua iscrizione al Partito socialista. Si trovò in ritardo con gli esami, con il rischio di perdere il contributo della borsa di studio, a causa di «una forma di [[anemia]] cerebrale che mi toglie la [[memoria]], che mi devasta il [[cervello]], che mi fa impazzire ora per ora, senza che mi riesca di trovare requie né passeggiando, né disteso sul letto, né disteso per terra a rotolarmi in certi momenti come un furibondo». Riconosciuto «afflitto da grave nevrosi» gli fu concesso di recuperare gli esami nella sessione di primavera.<ref>In G. Fiori, cit., p. 105</ref>
 
I primi mesi furono particolarmente difficili per Gramsci, in un clima freddo e inospitale e in costante lotta per la sopravvivenza. Le settanta lire della borsa di studio non erano sufficienti neppure a pagare la pensione e le spese di prima necessità, perciò aveva bisogno di risorse finanziarie ben superiori alle venti lire che gli venivano inviate dai genitori. Le lettere alla famiglia di quel periodo erano una continua e pressante richiesta di denaro e una insistenza affinché fosse sollecitato l'invio dei documenti senza i quali la borsa di studio restava sospesa. Ridotto alla fame, senza un cappotto con cui potersi proteggere dal freddo, fu soccorso da un bidello; questi gli trovò una pensione che costava settanta lire al mese e dove si faceva credito.<ref>{{Cita|D'Orsi|pp. 72-73}}.</ref>
Prese anche lezioni private di [[filosofia]] dal professore [[Annibale Pastore]], il quale scrisse poi che «il suo orientamento era originalmente crociano ma già mordeva il freno e non sapeva ancora come e perché staccarsi [...] voleva rendersi conto del processo formativo della cultura agli scopi della rivoluzione [...] come fa il pensare a far agire [...] come le idee diventano forze pratiche». Gramsci stesso scriverà di aver sentito anche la necessità di «superare un modo di vivere e di pensare arretrato, come quello che era proprio di un sardo del principio del secolo, per appropriarsi un modo di vivere e di pensare non più regionale e da villaggio, ma nazionale» ma anche «di provocare nella classe operaia il superamento di quel provincialismo alla rovescia della ''palla di piombo'' [''come il Sud Italia era generalmente considerato nel Nord''] che aveva le sue profonde radici nella tradizione riformistica e corporativa del movimento socialista».<ref>In G. Fiori, cit., 108-109</ref>
 
[[File:Angelo Tasca.jpg|thumb|Angelo Tasca]]
L'iscrizione al partito gli permise di superare in parte un lungo periodo di solitudine: ora frequentava i giovani compagni di partito, fra i quali erano Tasca, Togliatti, [[Umberto Terracini|Terracini]]: «uscivamo spesso dalle riunioni di partito [...] mentre gli ultimi nottambuli si fermavano a sogguardarci [...] continuavamo le nostre discussioni, intramezzandole di propositi feroci, di scroscianti risate, di galoppate nel regno dell'impossibile e del sogno».<ref>In G. Fiori, cit., 112</ref>
 
Nella primavera del 1912 il suo stato talmente pietoso gli impedì per qualche mese persino di parlare.<ref>{{Cita|Fiori|p. 85}}.</ref> In tali condizioni, malnutrito, perseguitato dai rigori climatici e in un domicilio assai povero, con una salute compromessa già in partenza Gramsci faticava a studiare.<ref>{{Cita|Fiori|pp. 93-94}}.</ref> La sua solitudine umana venne alleviata da [[Angelo Tasca]] che gli regalò un'edizione in francese di ''[[Guerra e pace]]'', augurandosi nella dedica di averlo presto «compagno di battaglia» oltre che collega di studi – frase che rivela come Gramsci non fosse ancora inserito negli ambienti del socialismo torinese.<ref>{{Cita|Fiori|p. 92}}.</ref> Poi lentamente cominciò a legarsi a qualche coetaneo e a frequentare la sezione socialista, ma la carriera universitaria risentì del peggioramento delle condizioni di salute.<ref>{{Cita|D'Orsi|pp. 80-81}}.</ref>
Nell'Italia che ha dichiarato la propria neutralità nella [[Prima guerra mondiale]] in corso - neutralità affermata anche dal Partito socialista - scrive per la prima volta sul settimanale socialista torinese ''Il Grido del popolo'', il [[31 ottobre]] [[1914]], l'articolo ''Neutralità attiva e operante'' in risposta a quello apparso il [[18 ottobre]] sull'«Avanti!» di [[Benito Mussolini|Mussolini]] ''Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva e operante'',<ref>In A. Gramsci, ''Scritti politici'', I, p. 56-59</ref> senza però poter comprendere quale svolta politica stesse preparando l'allora importante e popolare esponente socialista.
 
La cultura che circolava nell'Università e gli stimoli intellettuali lasciarono in Gramsci una traccia profonda, a cominciare dai professori: nella sede accademica torinese insegnavano [[Luigi Einaudi]], [[Francesco Ruffini]], [[Vincenzo Manzini]], [[Gioele Solari]], [[Pietro Toesca]], [[Arturo Farinelli]], [[Rodolfo Renier]], [[Achille Loria]], [[Annibale Pastore]], docenti di varia estrazione culturale e inclinazione di pensiero. I professori con cui Gramsci familiarizzò furono [[Matteo Giulio Bartoli|Matteo Bartoli]] e [[Umberto Cosmo]], il primo per il comune interesse per la glottologia, il secondo per i valori socialisti che i due condividevano.<ref>{{Cita|Fiori|pp. 85-87}}.</ref> Era particolarmente versato nello studio delle lingue classiche, grazie agli insegnamenti di professori come Angelo Taccone e Luigi Valmaggi, tanto che, anni dopo, un giovane socialista ricorderà che "egli era un filologo più che un rivoluzionario".<ref>{{Cita|Fonzo|p. 15}}.</ref> Lo studente, assetato di cultura, frequentò anche corsi di altre facoltà universitarie, lezioni tenute da docenti magari lontani dai suoi ideali ma dai quali aveva comunque qualcosa da apprendere:<ref>{{Cita|D'Orsi|pp. 82-83}}.</ref> fra di essi spicca il nome di Annibale Pastore del quale Gramsci seguì un corso sull'interpretazione critica del marxismo.<ref>{{Cita|Fiori|pp. 108-109}}.</ref>
Sostenne il [[13 aprile]] [[1915]] quello che sarà, senza che lo sapesse ancora, il suo ultimo esame all'Università; il suo impegno politico si fece crescente con l'entrata in guerra dell'Italia e con il suo ingresso nella redazione torinese dell'«Avanti!».
 
Il dibattito politico, in previsione delle prime [[Elezioni politiche italiane del 1913|elezioni]] a suffragio allargato che dovevano tenersi in Sardegna nell'autunno del 1913, era animato da [[Attilio Deffenu]], un giovane intellettuale appena laureato che aveva fondato un Gruppo di azione e propaganda antiprotezionista. Un numero di agosto della ''[[La Voce (periodico)|Voce]]'' ospitò una dichiarazione sottoscritta da figure sarde di spicco: insegnanti, sindacalisti, un futuro deputato e due avvocati di tendenze repubblicane, [[Pietro Mastino]] e [[Michele Saba]]. Il documento denunciava le ragioni dell'immiserimento dell'Isola dovuto al regime di protezionismo che soffocava l'esportazione di prodotti del settore primario e condannava il Meridione al sottosviluppo, il tutto a vantaggio di qualche industria. L'appello richiedeva l'adesione politica dei progressisti alle tesi che vi si sostenevano; convinto della loro bontà, Gramsci aderì alle argomentazioni proposte e il suo consenso venne annotato nel numero di ottobre della rivista: si trattava per il futuro dirigente comunista della prima presa di posizione pubblica in una battaglia politica.<ref>{{Cita|Fiori|pp. 97-98}}.</ref> Secondo Tasca, la partecipazione di masse di elettori fino a quel momento esclusi colpì profondamente Gramsci; a quell'esperienza va ricondotta la definitiva scelta del campo socialista.<ref name="Fiori pp. 102-3">{{Cita|Fiori|pp. 102-103}}.</ref>
=== L'attività giornalistica: il critico teatrale ===
Dal [[1916]] gran parte della giornata di Gramsci trascorse all'ultimo piano nel palazzo dell'Alleanza Cooperativa Torinese al numero 12 di corso Siccardi (oggi [[Galileo Ferraris]]), dove, in tre stanze, erano situate la sezione giovanile del partito socialista e le redazioni del ''Grido del popolo'' e del foglio piemontese dell'''Avanti!'', che comprendeva la rubrica della cronaca torinese, ''Sotto la Mole''; in entrambi i giornali Gramsci pubblicava di tutto, dai commenti sulla situazione interna ed estera agli interventi sulla vita di partito, dagli articoli di polemica politica alle note di costume, dalle recensioni dei libri alla critica teatrale. Dirà più tardi di aver scritto in dieci anni di giornalismo, «tante righe da poter costituire quindici o venti volumi di quattrocento pagine, ma esse erano scritte alla giornata e dovevano morire dopo la giornata»<ref>Lettera dal carcere a Tatiana Schucht del 7 settembre 1931</ref> e di aver contribuito «molto prima di [[Adriano Tilgher]]» a rendere popolare il teatro di [[Luigi Pirandello|Pirandello]]: «ho scritto sul Pirandello, dal 1915 al 1920, tanto da mettere insieme un volumetto di duecento pagine e allora le mie affermazioni erano originali e senza esempio: il Pirandello era o sopportato amabilmente o apertamente deriso».<ref>Lettera dal carcere a Tatiana Schucht del 19 marzo 1927</ref>
 
Il ritorno dello studente sardo nella ex capitale fu segnato dalla ricaduta in una grave forma di nevrosi che gli impedì di dare esami universitari.<ref name="Fiori pp. 102-3" /> Nella primavera del 1914 con grande sforzo si riprese e sostenne tre esami, vedendosi riconosciuta la borsa di studio. Il miglioramento gli diede modo di tornare a frequentare Tasca e Togliatti, ai quali si era da poco aggregata una matricola diciannovenne, [[Umberto Terracini]].<ref>{{Cita|Fiori|pp. 105-107}}.</ref>
[[File:Luigi Pirandello2.jpg|thumb|left|180px|Luigi Pirandello]]
Della commedia di Pirandello ''[[Pensaci, Giacomino!]]'' scrisse che «è tutto uno sfogo di virtuosismo, di abilità letteraria, di luccichii discorsivi.<ref>Recensione del 24 marzo 1917</ref> I tre atti corrono su un solo binario. I personaggi sono oggetto di fotografia piuttosto che di approfondimento psicologico: sono ritratti nella loro esteriorità più che in una intima ricreazione del loro essere morale. È questa del resto la caratteristica dell'arte di Luigi Pirandello, che coglie della vita la smorfia, più che il sorriso, il ridicolo, più che il comico: che osserva la vita con l'occhio fisico del letterato, più che con l'occhio simpatico dell'uomo artista e la deforma per un'abitudine ironica che è l'abitudine professionale più che visione sincera e spontanea», mentre considerò ''[[Liolà (Pirandello)|Liolà]]''<ref>Recensione del 4 aprile 1917</ref> «il prodotto migliore dell'energia letteraria di Luigi Pirandello. In esso il Pirandello è riuscito a spogliarsi delle sue abitudini retoriche. Il Pirandello è un umorista per partito preso [...] troppo spesso la prima intuizione dei suoi lavori viene a sommergersi in una palude retorica di una moralità inconsciamente predicatoria, e di molta verbosità inutile».
 
[[File:Sigaraie Torino.jpg|thumb|left|upright=1.2|Lavoratrici in uno stabilimento torinese, 1920]]
''[[Il fu Mattia Pascal]]'', secondo Gramsci, è una sorta di prima stesura del ''Liolà'' che, liberato dalla zavorra moralistica del [[romanzo]], si è rinnovato diventando una pura rappresentazione, «una farsa che si riattacca ai drammi satireschi della Grecia antica, e che ha il suo corrispondente pittorico nell'arte figurativa vascolare [...] è una vita ingenua, rudemente sincera [...] una efflorescenza di paganesimo naturalistico, per il quale la vita, tutta la vita è bella, il lavoro è un'opera lieta, e la fecondità irresistibile prorompe da tutta la materia organica».
 
A quell'epoca Torino, oltre a costituire un importante polo universitario, era una realtà manifatturiera che, anche grazie alla crescita quantitativa dei lavoratori nell'industria, si andava delineando come uno dei centri del socialismo in discontinuità con la tradizione dei “ceti colti” che tramontava anche a causa della morte in quegli anni di simpatizzanti socialisti quali [[Cesare Lombroso|Lombroso]], [[Edmondo De Amicis|De Amicis]] e [[Arturo Graf|Graf]], personaggi di influenza e di stimolo nei confronti dei settori della società culturalmente più attrezzati; si faceva largo un nuovo socialismo che si distingueva sia dal riformismo che dal massimalismo. Al di là dell'esperienza e delle relazioni umane fra colleghi di studio e docenti nell'ambiente accademico, gli anni trascorsi nel capoluogo piemontese – specialmente il periodo 1913-1915 – produssero in Gramsci una crescita di consapevolezza politica attraverso i contatti con la realtà operaia, la cognizione del ruolo svolto dai ceti padronali e la scoperta del mondo della fabbrica,<ref>{{Cita|D'Orsi|pp. 81 e 85}}.</ref> quella grande fabbrica moderna che nel pensiero gramsciano era considerata non tanto come luogo di alienazione ma come scuola nella quale acquisire e portare a maturazione una coscienza collettiva contro il capitalismo.<ref>{{Cita|Hobsbawm|p. 323}}.</ref> Nel 1914, già iscritto al Partito socialista secondo quanto ricorda Togliatti,<ref name="Fiori"/> Gramsci cominciò a collaborare alla stampa di partito nel periodo in cui era appena scoppiata la Grande Guerra rispetto alla quale i socialisti erano attestati su una posizione neutralista. Mussolini, dirigente nazionale del PSI, mise in crisi l'unità schierandosi invece a favore dell'intervento. Gramsci scrisse un pezzo che poteva apparire di ambiguo consenso alle tesi mussoliniane; fu tacciato di interventismo e alle critiche ricevute si ripiegò su sé stesso isolandosi dalla comunità politica. Il 12 aprile 1915, con il professor Cosmo sostenne il suo ultimo esame, e da quella data si defilò dagli studi universitari intraprendendo un'altra strada.<ref>{{Cita|D'Orsi|pp. 82 e 88-89}}.</ref>
Severo fu invece il giudizio sul ''[[Così è (se vi pare)]]'':<ref>Recensione del 5 ottobre 1917</ref> dalla tesi - pseudologistica - che la verità in sé non esista, Pirandello «non ha saputo trarre dramma [...] e neppure motivo a rappresentazione viva e artistica di caratteri, di persone vive che abbiano un significato fantastico, se non logico. I tre atti di Pirandello sono un semplice fatto di letteratura [...] puro e semplice aggregato di parole che non creano né una verità né un'immagine [...] il vero dramma l'autore l'ha solo adombrato, l'ha accennato: è nei due pseudopazzi che non rappresentano però la loro vera vita, l'intima necessità dei loro atteggiamenti esteriori, ma sono presentati come pedine della dimostrazione logica».
 
===L'attività giornalistica===
=== La Rivoluzione russa ===
Su richiesta di alcuni giovani compagni, scrisse da solo il numero unico del giornale dei giovani socialisti ''La Città futura'', uscito l'[[11 febbraio]] [[1917]]. Qui mostra la sua intransigenza politica, la sua ironia, anche contro i socialisti riformisti, il fastidio verso ogni espressione retorica ma anche la sua formazione idealistica, i suoi debiti culturali nei confronti di [[Benedetto Croce|Croce]], superiori perfino a quelli dovuti a [[Karl Marx|Marx]]: «in quel tempo» - scriverà - «il concetto di unità di teoria e pratica, di filosofia e politica, non era chiaro in me e io ero tendenzialmente crociano».
 
[[File:Grido del Popolo-Gramsci.jpg|thumb|La redazione de ''Il Grido del Popolo'' nel luglio 1916. Antonio Gramsci è il primo da destra in seconda fila]]
[[File:Lenin CL.jpg|thumb|right|180px|Lenin]]
Nel marzo [[1917]] lo [[zar]] di [[Russia]] è facilmente rovesciato da pochi giorni di manifestazioni popolari, per lo più spontanee, che chiedono pane e la fine dell'[[autocrazia]]: viene instaurato un moderato governo liberale e, insieme, si ricostituiscono i Soviet, forme di rappresentanza su base popolare già creati nella precedente [[Rivoluzione russa (1905)|Rivoluzione russa del 1905]]; le notizie giungono in [[Italia]] parziali e confuse: i quotidiani «borghesi» sostengono che si tratta dell'avviamento di un processo di [[democrazia|democratizzazione]] in Russia, sull'esempio della grande [[Rivoluzione francese]], mentre Gramsci è convinto che «la rivoluzione russa è [...] un atto proletario ed essa naturalmente deve sfociare nel regime socialista [...] i rivoluzionari socialisti non possono essere [[giacobini]]:<ref>Il Grido del popolo, 29 aprile 1917, in ''Scritti politici'', cit., p. 109-110</ref> essi in Russia hanno solo attualmente il compito di controllare che gli organismi borghesi [...] non facciano essi del giacobinismo». Con il ritorno in Russia di [[Lenin]], che pone subito il problema della pace immediata e della consegna del potere ai Soviet, la lotta politica si radicalizza. Gramsci è convinto che Lenin abbia «suscitato energie che più non morranno. Egli e i suoi compagni [[bolscevismo|bolscevichi]] sono persuasi che sia possibile in ogni momento realizzare il [[socialismo]]». Gramsci nega esplicitamente la necessità dell'esistenza di ''condizioni obiettive'' affinché una rivoluzione trionfi, quando scrive che i bolscevichi «sono nutriti di pensiero [[marx]]ista. Sono rivoluzionari, non evoluzionisti. E il pensiero rivoluzionario nega il tempo come fattore di progresso. Nega che tutte le esperienze intermedie tra la concezione del socialismo e la sua realizzazione debbano avere nel tempo e nello spazio una riprova assoluta e integrale».<ref>Il Grido del popolo, 28 luglio 1917, in ''Scritti politici'', cit., p. 116</ref> È l'anticipazione dell'articolo, più famoso, che scriverà subito dopo la notizia del successo della [[Rivoluzione d'ottobre]].
 
Gramsci esordì nel giornalismo il 13 novembre 1915 quando ''[[Il Grido del Popolo]]'' ospitò un suo articolo riguardante un incontro fra delegati dei partiti socialisti europei avvenuto in Svizzera.<ref>{{Cita|Fiori|p. 115}}.</ref> Dopo il debutto, la sua attività di giornalista divenne regolare, e dai primi mesi del 1916 prese a trascorrere gran parte delle sue giornate all'ultimo piano nel palazzo dell'Alleanza Cooperativa Torinese dove, in tre stanze, si trovavano la sezione giovanile del Partito socialista e le redazioni de ''Il Grido del Popolo'' e del foglio piemontese dell{{'}}''[[Avanti!]]'' con la rubrica ''Sotto la Mole'' che si occupava della cronaca torinese. La redazione de l{{'}}''Avanti!'' era formata solamente da tre giornalisti: l'impiegato alle ferrovie [[Ottavio Pastore]], lo stravagante ex cameriere Leo Galetto e Antonio Gramsci,<ref>{{Cita|Fiori|pp. 118-119}}.</ref> ed era diretta da Giuseppe Bianchi, ex tipografo proveniente da Venezia dove aveva guidato ''Il Secolo Nuovo''.<ref>{{Cita|Spriano, 1972|p. 306}}.</ref> Bianchi dirigeva anche ''Il Grido del Popolo''; quando il 1º maggio del 1916 partì per il fronte, il suo posto a l{{'}}''Avanti!'' fu ricoperto formalmente da Pietro Rabezzana, nei fatti da Pastore; ''Il Grido del Popolo'' fu preso in mano da [[Maria Giudice]], una maestra lombarda con esperienza sindacale maturata in Puglia, combattiva e dinamica tanto da essere per qualche tempo anche segretaria della Camera del Lavoro.<ref>{{Cita|Spriano, 1972|pp. 356-7 e 359}}.</ref>
Anche in Italia la guerra interminabile, costata già centinaia di migliaia di morti e di mutilati, la penuria dei generi alimentari, la sconfitta di [[Caporetto]] e la stessa eco provocata dalla rivoluzione russa portarono a insofferenze che a Torino sfociarono, il [[23 agosto]] [[1917]], in un'autentica sommossa spontanea duramente repressa dal governo: oltre 50 morti, più di duecento feriti, la città dichiarata zona di guerra con la conseguente applicazione della legge marziale, arresti a catena che colpirono non solo i diretti responsabili ma, indiscriminatamente, anche gli elementi politici d'opposizione e segnatamente l'intero nucleo della sezione socialista, con l'accusa di istigazione alla [[rivoluzione]]. In conseguenza dell'emergenza venutasi a creare, la direzione della Sezione socialista torinese venne assunta da un comitato di dodici persone, del quale fece parte anche Gramsci, il quale rimane l'unico redattore de ''Il Grido del popolo'' che cesserà le pubblicazioni il [[19 ottobre]] [[1918]].
 
[[File:Luigi Pirandello 1924 (4).jpg|thumb|upright=0.8|left|Luigi Pirandello nel 1924]]
I bolscevichi avevano preso il potere in [[Russia]] il [[7 novembre]] [[1917]] ma per settimane in [[Europa]] giunsero solo notizie confuse, finché il [[24 novembre]] l'edizione nazionale dell'''Avanti!'' uscì con un editoriale dal titolo ''La rivoluzione contro il Capitale'', firmato da Gramsci:<ref>Avanti!, 24 novembre 1917, in ''Scritti politici'', pp. 130-133</ref>
 
In quegli anni Gramsci pubblicò di tutto, dai commenti sulla situazione interna ed estera agli interventi sulla vita di partito, dagli articoli di polemica politica alle note di costume, dalle recensioni letterarie alla critica teatrale.<ref>{{Cita|Davico Bonino|p. 12}}.</ref> In particolare si occupò di teatro, vedendolo correlato alla vita sociale; e lungi dal considerare la critica teatrale un'attività rivolta a una élite volle invece includerla fra gli strumenti di crescita e maturazione culturale delle classi [[Subalterno (postcolonialismo)|subalterne]] e del [[proletariato]], e fu pertanto un "critico militante", avendo come riferimento [[Francesco De Sanctis|De Sanctis]] piuttosto che Benedetto Croce secondo cui il teatro era una "sottospecie di oratoria di intrattenimento".<ref>{{Cita|Davico Bonino|pp. 21 e 26-30}}.</ref> Le sue recensioni mirarono ai drammaturghi a lui contemporanei: criticò [[Dario Niccodemi]], intravedendo nelle sue opere abilità teatrale ma al tempo stesso conformismo sentimentale e «sdolcinature piccolo-borghesi»,<ref>{{Cita|Davico Bonino|pp. 45-46, 49}}.</ref> apprezzò il teatro grottesco di [[Luigi Chiarelli|Chiarelli]] nel quale erano presenti molti elementi di vita sociale,<ref>{{Cita|Davico Bonino|p. 94}}.</ref> ma restò deluso dal teatro dialettale.<ref>{{Cita|Davico Bonino|pp. 60-65}}.</ref> Su [[Luigi Pirandello|Pirandello]], il critico manifestò una incomprensione nei confronti del drammaturgo<ref name="davico bonino">{{Cita|Davico Bonino|p. 81 e segg}}.</ref> e un atteggiamento ambivalente:<ref>{{Cita|Paggi|p. 179}}.</ref> otto recensioni su dieci risultarono essere delle stroncature dello scrittore siciliano. Si salvarono dalla penna severa di Gramsci ''[[Liolà]]'' e ''[[Il piacere dell'onestà]]'',<ref>{{Cita|Davico Bonino|pp. 102-113}}.</ref> del quale Gramsci riconosce il significativo ruolo culturale. Una valutazione genericamente positiva venne data dal giovane critico teatrale all'opera di «corrosione» del teatro pirandelliano nei confronti del "vecchio teatro" di tradizione cattolica, e il drammaturgo venne giudicato positivamente nella sua dimensione dialettale – da ciò il riconoscimento di ''Liolà'' come il capolavoro di Pirandello.<ref>{{Cita|Paggi|pp. 178-179}}.</ref>
«La rivoluzione dei bolscevichi è materiata di ideologia più che di fatti [...] essa è la rivoluzione contro il ''Capitale'' di Carlo Marx. Il ''Capitale'' di Marx era, in Russia, il libro dei borghesi, più che dei proletari. Era la dimostrazione critica della fatale necessità che in [[Russia]] si formasse una [[borghesia]], si iniziasse un'era capitalistica, si instaurasse una civiltà di tipo occidentale prima che il proletariato potesse neppure pensare alla sua riscossa, alle sue rivendicazioni di classe, alla sua rivoluzione. I fatti hanno superato le ideologie. I fatti hanno fatto scoppiare gli schemi critici entro i quali la storia della Russia avrebbe dovuto svolgersi secondo i canoni del materialismo storico [...] se i bolscevichi rinnegano alcune affermazioni del ''Capitale'', non ne rinnegano il pensiero immanente, vivificatore. Essi non sono «marxisti», ecco tutto; non hanno compilato sulle opere del Maestro una dottrina esteriore di affermazioni dogmatiche e indiscutibili. Vivono il pensiero marxista, quello che non muore mai, che è la continuazione del pensiero idealistico italiano e tedesco, che in Marx si era contaminato di incrostazioni [[positivismo|positivistiche]] e [[Naturalismo (filosofia)|naturalistiche]]».
 
Guardando a un orizzonte più ampio e di respiro cosmopolita, Gramsci si accostò con maggiore benevolenza alle produzioni teatrali straniere, anche se presto ne rimase disilluso.<ref>«Un convenzionalismo si sostituisce a un altro convenzionalismo». Riportato in {{Cita|Davico Bonino|pp. 66-67}}.</ref> Nel teatro ''[[Género chico|chico]]'' di [[Jacinto Benavente]] ravvisò superficialità e senso della predestinazione, mentre rilevò lo spessore di [[Henry Bataille]] e di [[Henri Bernstein]], pur dandone un giudizio negativo.<ref>{{Cita|Davico Bonino|pp. 68-70}}.</ref> Si espresse in termini lusinghieri sulle opere di [[Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais|Beaumarchais]] e di [[Ivan Sergeevič Turgenev|Turgenev]], entrambi elogiati come acutissimi interpreti dei processi storici.<ref>{{Cita|Davico Bonino|pp. 53-54}}.</ref> Altri commediografi che Gramsci avrebbe recensito nei suoi scritti sono [[Sacha Guitry|Guitry]], [[Oscar Wilde|Wilde]], [[Henrik Ibsen|Ibsen]] – poeta dei grandi conflitti etici del quale lodò la maggiore spiritualità, proprio ciò che lo rese alieno al pubblico italiano piccolo-borghese<ref>{{Cita|Davico Bonino|p. 77 e segg}}.</ref> – e [[Leonid Nikolaevič Andreev|Andreev]], anch'egli portatore di forti contrasti morali che sono lo specchio della conflittualità sul terreno sociale.<ref name="davico bonino" />
In realtà Marx, almeno negli ultimi anni, non aveva escluso che un paese arretrato potesse giungere al socialismo saltando fasi di sviluppo capitalistico:<ref>Nella lettera dell'8 marzo 1881 Marx scriveva a Vera Zasulič che la tipica proprietà comune agricola russa poteva essere salvata dalla distruzione minacciata dallo sviluppo dei rapporti capitalistici: «Per salvare la comune russa, occorre una rivoluzione russa. Se la rivoluzione scoppierà a tempo opportuno, se l'intelligencija concentrerà tutte le forze «vive del paese» nell'assicurare alla comune agricola un libero spiegamento, allora la comune ben presto evolverà come elemento di rigenerazione della società russa e, insieme, di superiorità sui paesi ancora asserviti dal regime capitalistico». E anche nella prefazione all'edizione russa del ''Manifesto'' del 1882, Marx ed Engels avevano scritto che «l'odierna proprietà comune potrà servire di partenza per una evoluzione comunista»</ref> ma qui interessa rilevare tanto la visione di Gramsci ancora idealistica, volontaristica, dell'azione politica, quanto la critica che di fatto Gramsci rivolgeva ai dirigenti socialisti europei, e italiani in particolare, di concepire lo sviluppo storico in modo meccanicistico.
 
Il giovane critico, nel rilevare che l'industria dello spettacolo tendeva a favorire le rappresentazioni di opere di carattere leggero quando non frivolo come l'operetta e il varietà a discapito di commedie e drammi con contenuto sociale, colse con prontezza le potenzialità del cinematografo quale elemento di liberazione nei confronti del decadimento degli spettacoli che venivano rappresentati in quel periodo.<ref>{{Cita|Sanguineti|pp. 157-158}}.</ref>
Finita la guerra e usciti dal carcere i dirigenti torinesi del partito, dal [[5 dicembre]] [[1918]] Gramsci lavorò unicamente all'edizione piemontese dell<nowiki>'</nowiki>''Avanti!'', che allora si stampava in via Arcivescovado 3, insieme con alcuni giovani colleghi: Giuseppe Amoretti, [[Alfonso Leonetti]], Mario Montagnana, Felice Platone; ma egli e altri giovani socialisti torinesi, come Tasca, Togliatti e Terracini, intendevano ormai esprimere, dopo l'esperienza della rivoluzione russa, esigenze nuove nell'attività politica, che non sentivano rappresentate dalla Direzione nazionale del partito: «L'unico sentimento che ci unisse, in quelle nostre riunioni, era quello suscitato da una vaga passione di una vaga cultura proletaria; volevamo fare, fare, fare; ci sentivamo angustiati, senza un orientamento, tuffati nell'ardente vita di quei mesi dopo l'armistizio, quando pareva immediato il cataclisma della società italiana».<ref>A. Gramsci, ''Ordine Nuovo'', 14 agosto 1920</ref> Il [[1º maggio]] [[1919]] uscì il primo numero dell'''Ordine nuovo'' con Gramsci segretario di redazione e animatore della rivista.
 
=== L'OrdineLa NuovoRivoluzione russa ===
[[File:After the capture of the Winter Palace 26 October 1917.jpg|thumb|Il Palazzo d'Inverno, 8 novembre 1917]]
{{Vedi anche|L'Ordine Nuovo}}
La rivista ebbe un avvio incerto: all'inizio «il programma fu l'assenza di un programma concreto, per una vana e vaga aspirazione ai problemi concreti [...] nessuna idea centrale, nessuna organizzazione intima del materiale letterario pubblicato» Tasca intendeva farne una pubblicazione culturale: «per "cultura" intendeva "ricordare", non intendeva "pensare", e intendeva "ricordare" cose fruste, cose logore, la paccottiglia del pensiero operaio [...] fu una rassegna di cultura astratta, di informazione astratta, con la tendenza a pubblicare novelline orripilanti e xilografie bene intenzionate; ecco cosa fu l'Ordine Nuovo nei suoi primi numeri [...]».<ref name=autogenerato5>A. Gramsci, ibidem</ref>
 
Nel febbraio del 1917, il Gramsci politico si rivolse alle giovani leve con un numero unico del giornale dei giovani socialisti ''La Città futura''. L'impianto degli interventi gramsciani era di stimolo ai giovani affinché essi assumessero coscienza dei compiti che li attendevano e si formassero un ''habitus'' mentale che permettesse loro di affrontarli con metodo, rigore e consapevolezza, attraverso l'abitudine allo sforzo costante e a una azione non scissa dal momento della riflessione, senza pretendere di avere una risposta pronta per ogni questione.<ref>{{Cita|Spriano, 1972|p. 373}}.</ref><ref>{{Cita web|lingua=|url=https://www.marxists.org/italiano/gramsci/17/cittafutura.htm|titolo=La città futura|curatore=''Archivio Gramsci''|data=|accesso=|autore=Antonio Gramsci}}</ref>
[[File:L'Ordine Nuovo.jpg|thumb|right|290px|Il primo numero dell'''Ordine Nuovo'']]
Gramsci intendeva invece definirlo su posizioni nettamente operaistiche, ponendo all'ordine del giorno la necessità d'introdurre nelle fabbriche italiane nuove forme di potere operaio, i Consigli di fabbrica, sull'esempio dei Soviet russi: «Ordimmo, io e Togliatti, un colpo di Stato redazionale; il problema delle commissioni interne fu impostato esplicitamente nel n. 7 della rassegna [...] il problema dello sviluppo della commissione interna divenne problema centrale, divenne l'idea dell'Ordine Nuovo; era esso posto come problema fondamentale della rivoluzione operaia, era il problema della "libertà" proletaria. L'Ordine Nuovo divenne, per noi e per quanti ci seguivano, "il giornale dei Consigli di fabbrica"; gli operai amarono l'Ordine Nuovo [...] perché negli articoli del giornale ritrovavano una parte di se stessi, la parte migliore di se stessi; perché sentivano gli articoli dell'Ordine Nuovo pervasi dallo stesso loro spirito di ricerca interiore: "Come possiamo diventar liberi? Come possiamo diventare noi stessi?". Perché gli articoli dell'Ordine Nuovo non erano fredde architetture intellettuali, ma sgorgavano dalla discussione nostra con gli operai migliori, elaboravano sentimenti, volontà, passioni reali».<ref name=autogenerato5 />
 
Nel febbraio-marzo del 1917, in una Russia affamata, con un esercito in sfacelo, ondate di scioperi, sommovimenti popolari spontanei o guidati dal protagonismo dei [[Soviet]], mentre la sorte dei sovrani era tutt'altro che chiara si verificò una grave crisi istituzionale con due governi, quello vecchio e il Comitato Provvisorio in embrione,<ref>{{Cita|Reiman|pp. 116-122}}.</ref> il lato istituzionale di quel più articolato squilibrio a cui [[Lev Trockij|Trockij]], definendolo il "dualismo di poteri", dedicò diverse pagine di riflessione.<ref>{{Cita|Trockij|p. 293 e segg}}.</ref>
Diversamente dalle Commissioni interne, già esistenti all'interno dalle fabbriche, che venivano elette soltanto dagli operai iscritti ai diversi sindacati, i Consigli dovevano essere eletti indistintamente da tutti gli operai e avrebbero dovuto, nel progetto degli ''ordinovisti'', non tanto occuparsi dei consueti problemi sindacali, ma porsi problemi politici, fino al problema della stessa organizzazione, della gestione operaia della fabbrica, sostituendosi al capitalista: nel settembre 1919, alla [[FIAT]] furono eletti i primi Consigli.
 
[[File:Lenin 1920.jpg|thumb|left|upright=0.8|Lenin nel 1920]]
La [[Confindustria]], nella sua Conferenza nazionale del marzo 1920, espresse chiaramente «la necessità che la borghesia del lavoro attinga in se stessa [...] il mezzo per un'energica azione contro deviazioni e illusioni».<ref>Corriere della Sera, 9 marzo 1920</ref> e il [[20 marzo]] i tre maggiori industriali torinesi, Olivetti, De Benedetti e Agnelli fecero presente al prefetto Taddei la loro volontà di ricorrere all'arma della serrata delle fabbriche contro «l'indisciplina e le continue esorbitanti pretese degli operai».<ref>Archivio Centrale dello Stato, Min. Int., Dir. Gen. PS, 1920, C 2, b 50</ref>
 
Nei mesi che seguirono la [[Rivoluzione di febbraio]] e la nascita del [[Governo Provvisorio russo]], le varie fazioni che avevano animato la rivoluzione entrarono in conflitto per indirizzare la politica della nuova entità statale;<ref>{{Cita|Reiman|pp. 125-135}}.</ref> si ebbero scontri fra il Soviet di Pietroburgo e il Governo Provvisorio<ref>{{Cita|Reiman|p. 153}}.</ref> e la lotta di potere non risparmiò i bolscevichi che furono però tenuti insieme dall'indiscusso prestigio di [[Lenin]].<ref>{{Cita|Reiman|pp. 176-195}}.</ref> Si giunse all'autunno in un clima di forte tensione fra le masse operaie e contadine e all'interno dell'esercito, con il Soviet di Pietroburgo che premeva per l'azione rivoluzionaria<ref>{{Cita|Reiman|pp. 324-332}}.</ref> alla quale si pervenne nella notte fra 25 e 26 ottobre con l'occupazione di centri governativi, la presa del [[Palazzo d'Inverno]] e l'arresto dei membri del Governo Provvisorio.<ref>{{Cita|Reiman|pp. 365-369}}.</ref>
Così quando in occasione di una controversia sindacale nelle Industrie Metallurgiche tre membri delle commissioni interne furono licenziati e gli operai protestarono con lo sciopero, l'Associazione degli industriali metalmeccanici rispose il [[29 marzo]] con la serrata di tutte le fabbriche torinesi. La lotta si estese fino allo sciopero generale proclamato a Torino il 15 aprile e in alcune province piemontesi, mentre il governo presidiava il capoluogo con migliaia di soldati. I tentativi degli ordinovisti di allargare la protesta, se non in tutta l'Italia, almeno nei maggiori centri industriali del paese, fallì e alla fine d'aprile gli operai furono costretti a riprendere il lavoro senza avere ottenuto nulla.
 
A causa delle difficoltà di comunicazione accentuate dalle rovine della guerra, le notizie che filtravano dalla Russia erano generiche e poco approfondite, spesso oggetto di deformazioni e censure. La stampa italiana trattò i fatti avvenuti a Pietroburgo come una ribellione di ubriaconi, mentre Gramsci intuì subito che quelle giornate di lotta rappresentavano uno snodo determinante. Le riflessioni di Gramsci trovarono posto nel celebre articolo pubblicato sull{{'}}''Avanti!'' del 24 novembre 1917 e intitolato ''La rivoluzione contro «Il Capitale»''.<ref>{{Cita|Spriano, 1972|p. 460}}.</ref><ref>{{Cita web|lingua=|url=https://www.marxists.org/italiano/gramsci/17/rivoluzionecontrocapitale.htm|titolo=La rivoluzione contro il Capitale|editore=Archivio Gramsci|data=|accesso=31 marzo 2024|autore=Antonio Gramsci}}</ref> In questo scritto Gramsci opponeva a un'interpretazione meccanicistica del marxismo una sua lettura più aderente alla realtà storica, e spiegava che i bolscevichi avevano attuato la rivoluzione proletaria in un Paese arretrato, in aperta discordanza quindi con le previsioni di Marx, secondo cui l'evento rivoluzionario non poteva che prodursi in una realtà socio-economica caratterizzata da una sensibile affermazione del capitalismo. Questa opinione fu terreno di scontro ideale con la rigidità di Bordiga che, non volendo abbandonare l'ortodossia marxista, si limitò pertanto a guardare alla rivoluzione russa come a un accadimento che, nel dimostrare l'incompatibilità fra democrazia e socialismo, aveva affermato la superiorità del secondo sulla prima. Un altro punto di dissenso fra i due dirigenti era il pensiero di più ampio respiro di Gramsci che considerava la necessità di un processo rivoluzionario mondiale, taglio estraneo allo spirito bordighiano.<ref>{{Cita|Pons|pp. 5-10}}.</ref> Per la formazione politica e culturale che aveva maturato, Gramsci vide la nascita del nuovo Stato operaio come fattore propulsivo di cambiamento dell'ordine mondiale, condividendo questa impostazione con Lenin.<ref>{{Cita|Pons|p. 14}}.</ref>
Lo [[sciopero]] fallì per la resistenza degli industriali ma anche per l'isolamento in cui la Camera del Lavoro, controllata dai socialisti riformisti, contrari alla costituzione dei Consigli operai, e lo stesso Partito socialista lasciarono i lavoratori torinesi; l'[[8 maggio]] Gramsci pubblicò sull'''Ordine Nuovo'' una sua relazione,<ref>Ordine Nuovo, 8 maggio 1920, in ''Scritti politici'', II, pp. 102-108</ref> approvata dalla Federazione torinese, che denunciava l'inefficienza e l'inerzia del Partito. Dopo aver sostenuto che era matura la trasformazione dell'«ordine attuale di produzione e di distribuzione» in un nuovo ordine che desse «alla classe degli operai industriali e agricoli il potere di iniziativa nella produzione», alla quale si opponevano gli industriali e i proprietari terrieri, appoggiati dallo Stato, Gramsci rilevava che «le forze operaie e contadine mancano di coordinamento e di concentrazione rivoluzionaria perché gli organismi direttivi del Partito socialista hanno rivelato di non comprendere assolutamente nulla della fase di sviluppo che la storia nazionale e internazionale attraversa nell'attuale periodo [...] il Partito socialista assiste da spettatore allo svolgersi degli eventi, non ha mai un'opinione sua da esprimere [...] non lancia parole d'ordine che possano essere raccolte dalle masse, dare un indirizzo generale, unificare e concentrare l'azione rivoluzionaria [...] il Partito socialista è rimasto, anche dopo il Congresso di Bologna<ref>Concluso l'8 ottobre 1919 con un ordine del giorno che prospettava la conquista violenta del potere e la dittatura del proletariato</ref>, un mero partito parlamentare, che si mantiene immobile entro i limiti angusti della democrazia borghese [...]».
 
=== L'Ordine Nuovo ===
Rilevò la mancanza di omogeneità nella composizione del partito, in cui continuavano a essere presenti riformisti e «opportunisti», contrari agli indirizzi della III Internazionale. Non solo: «mentre la maggioranza rivoluzionaria del partito non ha avuto una espressione del suo pensiero e un esecutore della sua volontà nella direzione e nel giornale, gli elementi opportunisti invece si sono fortemente organizzati e hanno sfruttato il prestigio e l'autorità del Partito per consolidare le loro posizioni parlamentari e sindacali [...] se il Partito non realizza l'unità e la simultaneità degli sforzi, se il Partito si rivela un mero organismo burocratico, senza anima e senza volontà, la classe operaia istintivamente tende a costituirsi un altro partito e si sposta verso tendenze anarchiche [...]».
 
[[File:L'Ordine Nuovo 1920.jpg|thumb|upright=1.2|left|Il numero dell'11 dicembre 1920]]
Il Partito socialista non svolge alcuna funzione di educazione e di spiegazione di quanto sta avvenendo nella scena internazionale, dalla quale esso è assente, non partecipando nemmeno alle riunioni dell'Internazionale comunista, le cui tesi non sono riportate nell'''Avanti!''. Analogamente, le edizioni socialiste non stampano le pubblicazioni comuniste: «valga per tutte il volume di Lenin ''Stato e rivoluzione''». Occorre pertanto, secondo Gramsci, che il Partito socialista acquisti «una sua figura precisa e distinta: da partito parlamentare piccolo borghese deve diventare il partito del proletariato rivoluzionario che lotta per l'avvenire della società comunista [...] i non comunisti rivoluzionari devono essere eliminati dal Partito [...] ogni avvenimento della vita proletaria nazionale e internazionale deve essere immediatamente commentata [...] per trarne argomenti di propaganda comunista e di educazione delle coscienze rivoluzionarie [...] le sezioni devono promuovere in tutte le fabbriche, nei sindacati, nelle cooperative, nelle caserme la costituzione di gruppi comunisti [...] l'esistenza di un Partito comunista coeso e fortemente disciplinato [...] è la condizione fondamentale e indispensabile per tentare qualsiasi esperimento di Soviet [...] il Partito deve lanciare un manifesto nel quale la conquista rivoluzionaria del potere politico sia posta in modo esplicito [...]».
 
Dopo aver fatto pratica come giornalista nella redazione dell{{'}}''Avanti!'' e avere familiarizzato con giovani colleghi come [[Alfonso Leonetti]], [[Mario Montagnana]] e [[Felice Platone (1896)|Felice Platone]], Gramsci si ritrovò con i vecchi compagni universitari Tasca, Terracini e Togliatti, e nel gruppo torinese emerse la necessità di allargare il dibattito su quanto accadeva in Russia e sulle prime opere di Lenin che cominciavano a filtrare in Italia. Quest'esigenza venne assolta da una nuova pubblicazione, ''[[L'Ordine Nuovo]]'', che vide la luce il 1º maggio del 1919, e nella quale si sarebbero alternati articoli di natura genericamente culturale – secondo le idee di Tasca – ad altri più strettamente politici, contributi dottrinari e proposte operative, traduzioni di interventi di alti dirigenti comunisti europei e testimonianze della vita di fabbrica. L'articolo ''Democrazia operaia'', scritto a quattro mani da Gramsci e Togliatti, lanciò il concetto di "dittatura del proletariato" con la conseguente instaurazione di uno Stato nuovo, ed ebbe larga eco suscitando grande interesse fra gli operai torinesi, tanto che la rivista divenne l'organo dei Consigli di fabbrica.<ref>{{Cita|Fiori|pp. 137-145}}.</ref>
=== L'occupazione delle fabbriche ===
La risoluzione dell'[[Internazionale comunista]] che chiedeva ai partiti socialisti l'allontanamento dei riformisti, venne disattesa dal Partito Socialista Italiano. Infatti, a dispetto dell'approvazione e dell'avallo ottenuto dagli ordinovisti da parte di Lenin nel corso del II Congresso dell'Internazionale,<ref>Il 30 luglio Lenin, nel suo discorso all'Internazionale Comunista, invitando a espellere dal partito socialista l'ala destra riformista, disse che «all'indirizzo dell'Internazionale Comunista corrisponde l'indirizzo dei militanti dell'Ordine Nuovo e non l'indirizzo dell'attuale maggioranza dei dirigenti del partito socialista e del loro gruppo parlamentare». Lenin, Opere, XXV, p.355</ref> alla quale il PSI aveva aderito con il congresso di [[Bologna]] tenuto nell'ottobre del 1919, i vecchi dirigenti del partito erano riluttanti di fronte alla svolta politica e sociale realizzatasi nel dopoguerra.
 
La rivista volle assumere un profilo innovativo estraneo al settarismo e alla rigidità di Bordiga, e prese invece atto della ricchezza di posizioni ideali e del pluralismo che caratterizzavano la società italiana. Divenuto quotidiano, ospitò fra le tante figure di spicco il liberale [[Piero Gobetti]] che ricoprì il ruolo di critico teatrale, e vide la presenza di molte figure femminili – [[Teresa Noce]], [[Rita Montagnana]], [[Camilla Ravera]], [[Felicita Ferrero]]. Nell'impostazione antidogmatica, si rivolse perfino a chi apparteneva al movimento dannunziano, purché non avesse simpatie per Mussolini e per il fascismo,<ref>{{Cita|Terracini|pp. 47-51}}.</ref> e non mancò di promuovere un confronto con fasce operaie che si rifacevano a posizioni [[Anarco-sindacalismo|anarco-sindacaliste]].<ref>{{Cita|Terracini|p. 36}}.</ref> Attorno al periodico, oltre a Platone e Montagnana, si radunarono personalità di varia estrazione: fra gli altri [[Piero Sraffa]], [[Teresa Recchia]], [[Paolo Robotti]], Teresa Noce, Rita Montagnana, [[Luigi Capriolo]], [[Celeste Negarville]], Camilla Ravera, Felicita Ferrero, [[Battista Santhià]]. L'originalità della pubblicazione nel panorama della stampa dell'epoca risiedeva nella proposta forte rivolta alle Commissioni interne di fabbrica affinché si trasformassero nei Consigli di fabbrica, organismi di autogoverno ed embrioni di un futuro Stato dei Consigli. Secondo Gramsci, una tale operazione avrebbe dovuto preparare la dissoluzione dello stato borghese avviando la creazione degli ingranaggi di un nuovo Stato a cominciare dal posto di lavoro. Il gruppo degli "ordinovisti", le cui posizioni divenivano sempre più popolari, fu avversato da [[Amadeo Bordiga|Bordiga]] e dalle componenti riformiste del PSI, attirando le critiche di [[Filippo Turati|Turati]] e di [[Giacinto Menotti Serrati|Serrati]], e venne bollato di anarco-sindacalismo.<ref>{{Cita|Spriano, 1976 (1)|pp. 46-50}}.</ref> Oltre alle posizioni polemiche provenienti dall'esterno, ''L'Ordine Nuovo'' fu terreno di scontro anche fra i fondatori. Le colonne del giornale ospitarono nel 1920 un'aspra disputa fra Gramsci e Tasca; quest'ultimo, formatosi politicamente con [[Bruno Buozzi]] nelle lotte dei lavoratori, tendeva a canalizzare il movimento operaio nell'alveo sindacale della [[Confederazione Generale del Lavoro|Confederazione del lavoro]], posizione che contrastava nettamente con quella del dirigente sardo.<ref>{{Cita|Fiori|p. 154}}.</ref>
[[File:Giolitti1.jpg|thumb|right|180px|Giovanni Giolitti]]
In Italia, la rivendicazioni salariali, rese necessarie dall'elevato indice d'inflazione, non trovavano accoglienza presso gli industriali. Il [[30 agosto]] 1920, a [[Milano]], a seguito della serrata dell'[[Alfa Romeo]], 300 fabbriche furono occupate dagli operai: la [[FIOM]] appoggiò l'iniziativa, ordinando l'occupazione di tutte le fabbriche metalmeccaniche d'Italia, con la speranza che una tale, estrema iniziativa provocasse l'intervento del governo a favore di una soluzione delle trattative. All'inizio di settembre tutte le maggiori fabbriche d'Italia erano occupate da mezzo milione di operai, parte dei quali armati, sia pure in modo rudimentale; alla FIAT di Torino, tuttavia, ci fu una novità: dell'ufficio di [[Giovanni Agnelli (senior)|Giovanni Agnelli]] prese possesso l'operaio comunista [[Giovanni Parodi]] e i Consigli di fabbrica decisero di continuare la produzione, per dimostrare che una grande fabbrica poteva funzionare anche in assenza del proprietario.
 
[[File:ON 28-10-1922.jpg|miniatura|Prima pagina del 28 ottobre 1922]]
Di fronte alla neutralità del governo [[Giovanni Giolitti|Giolitti]] e alla decisione della Confindustria di non cedere, il [[10 settembre]], nell'assemblea milanese che vide riuniti i dirigenti del Partito socialista e della Camera del Lavoro, questi ultimi si dimisero lasciando la gestione della difficile situazione al Partito, che tuttavia non aveva alcuna intenzione di prolungare l'agitazione: la proposta estrema dell'allargamento delle occupazioni a tutte le fabbriche del paese e alle campagne fu respinta dalla maggioranza dei rappresentanti. Un accordo salariale raggiunto con la mediazione di Giolitti pose termine, alla fine di settembre, alle occupazioni delle fabbriche.
 
Comunque la pensassero i detrattori, ''L'Ordine Nuovo'' viveva in una temperie in ebollizione e interpretava il clima di battaglia del proletariato italiano; ma il respiro del giornale non si limitava ai confini italiani, va invece inquadrato nelle esperienze rivoluzionarie europee, in Paesi arretrati ma anche in nazioni avanzate. L'articolo ''Per un rinnovamento del Partito socialista'', datato marzo 1920, sottolineò la necessità per il PSI di non rinchiudersi in una dimensione provinciale ma di rispettare i doveri di solidarietà internazionale, e vi si avvertivano le prime avvisaglie dello strappo con gli esponenti del riformismo italiano. L'orientamento espresso nel documento fu apprezzato da Lenin che stimò questo approccio la sola posizione giusta formulata dal Partito socialista. Osservazioni critiche emersero ''a posteriori'' anche dall'interno: Gramsci rimproverò l'incapacità di estendere al di fuori della realtà torinese le idee-forza e la complessità dell'elaborazione ideale svolta dal giornale; Togliatti, in una lettera indirizzata a Tasca, criticò l'eccedenza di argomenti sulla fabbrica che mettevano in secondo piano altri aspetti, a iniziare dalla questione contadina. E tuttavia, nonostante i limiti, alla realtà dell{{'}}''Ordine Nuovo'' vanno ricondotti spunti di crescita e maturazione in figure come Piero Gobetti, [[Carlo Rosselli]] e [[Rodolfo Morandi]].<ref>{{Cita|Spriano, 1978|pp. 67-76}}.</ref>{{#tag:ref|La vicenda de ''L'Ordine Nuovo'' venne giudicata da Piero Gobetti come «uno degli episodi più originali di pensiero marxista in Italia, anzi forse il primo tentativo di intendere Marx al di là delle caduche illusioni ideologiche nel suo significato di suscitatore d’azione».<ref>Citato in {{Cita|D'Orsi|p. 131}}.</ref>|group=E}}
Quell'esperienza dimostrò tanto la mancanza di una strategia dei dirigenti socialisti quanto l'impreparazione degli stessi operai a iniziative rivoluzionarie, per le quali occorrevano organizzazione e disciplina. In previsione del prossimo XVII Congresso del Partito socialista, Gramsci scrisse<ref>Ordine Nuovo, 4 dicembre 1920, in ''Scritti politici'', II, p. 172</ref> che «la costituzione del Partito comunista crea le condizioni per intensificare e approfondire l'opera nostra: liberati dal peso morto degli scettici, dei chiacchieroni, degli irresponsabili, liberati dall'assillo di dover continuamente, nel seno del Partito, lottare contro i riformisti e gli opportunisti, di dover sventare le loro insidie, di dover analizzare e criticare i loro atteggiamenti equivoci e la loro fraseologia pseudo-rivoluzionaria, noi potremo dedicarci interamente al lavoro positivo, all'espansione del nostro programma di rinnovamento, di organizzazione, di risveglio delle coscienze e delle volontà».
 
Subito dopo la [[Marcia su Roma]], squadre di fascisti devastarono la sede della tipografia nella quale si stampava il foglio, e questo causò l’interruzione delle pubblicazioni; infine il quotidiano venne definitivamente ridotto al silenzio da un’ordinanza prefettizia. Ma Gramsci non si rassegnava a tralasciare la pedagogia rivoluzionaria di cui il giornale si faceva portatore; e agli inizi del 1924, dalla temporanea residenza di Vienna avrebbe promosso una terza serie – di breve durata – de ''L'Ordine Nuovo'', questa volta in forma di rivista, che con slancio battagliero proponeva tematiche di attualità insieme ad articoli spesso tradotti dal russo, periodico indirizzato anche a lettori che desiderassero approfondire aspetti teorici del marxismo.<ref>{{Cita|D'Orsi|pp. 172 e 202-207}}.</ref>
Nell'ottobre 1920 si riunì a Milano il gruppo favorevole alla costituzione di un partito comunista e Gramsci, [[Nicola Bombacci]], [[Amadeo Bordiga]], [[Bruno Fortichiari]], [[Francesco Misiano]], [[Luigi Repossi]] e [[Umberto Terracini]] costituirono il ''Comitato provvisorio della frazione comunista del Partito Socialista''.
 
=== LaI fondazioneConsigli deldi Partito comunistafabbrica ===
[[File:21congresso.jpg|thumb|left|300px|Il congresso di Livorno]]
La [[Scissione di Livorno|scissione]] si realizzò il [[21 gennaio]] [[1921]], nel [[Teatro San Marco]] di [[Livorno]], con la nascita del «[[Partito Comunista d'Italia]], sezione italiana dell'[[Comintern|Internazionale]]». Il comitato centrale fu composto dagli ex-massimalisti ([[Nicola Bombacci]], [[Ambrogio Belloni]], [[Egidio Gennari]], [[Francesco Misiano]], [[Anselmo Marabini]], [[Luigi Repossi]] e [[Luigi Polano]]), dagli astensionisti ([[Amadeo Bordiga]], [[Ruggiero Grieco]], [[Giovanni Parodi]], [[Cesare Sessa]], [[Luduvico Tarsia]] e [[Bruno Fortichiari]]), e dagli ordinovisti Gramsci e [[Umberto Terracini|Terracini]].
 
Nell'estate del 1919 emerse con forza negli stabilimenti produttivi torinesi il movimento dei [[Consiglio di fabbrica#Storia|Consigli di fabbrica]], organismi spontanei che sostituivano le Commissioni interne e che si proponevano di capire i meccanismi dei processi produttivi nella prospettiva della loro direzione. Favoriti, stimolati e guidati da ''L'Ordine Nuovo'', venivano considerati da Gramsci e dagli altri ordinovisti una specie di Soviet, primo embrione delle future istituzioni di uno Stato dei Consigli, che esaltava il protagonismo operaio, e che il giornale seguì con attenzione, al contrario della noncuranza dimostrata da ''[[Il Soviet]]'' di ispirazione bordighiana. Il taglio gramsciano escludeva l'idea di gruppi settari e puntava invece a un movimento di massa; i Consigli erano perciò aperti anche a operai che si rifacevano alle idee anarchiche, e avevano diritto di voto anche i lavoratori non inquadrati in organizzazioni socialiste o sindacali.<ref>{{Cita|Spriano, 1976 (1)|pp. 48-51}}.</ref> L'impulso che il dirigente italiano volle dare al fenomeno venne riconosciuto dal [[II Congresso dell'Internazionale Comunista|II Congresso del Comintern]] che giudicò la posizione gramsciana come la più rispondente ai principi della [[Internazionale Comunista|III Internazionale]]; per questa ragione l'organismo suggerì che l'impianto teorico del dirigente sardo costituisse la piattaforma per il Congresso di Livorno del PSI che si sarebbe svolto nel gennaio del 1921.<ref>{{Cita|Togliatti, 1974|p. 16}}.</ref>
Dal [[1º gennaio]] 1921 Gramsci diresse l'''Ordine nuovo'', divenuto ora uno dei quotidiani comunisti insieme con ''Il Lavoratore'' di [[Trieste]] e ''Il Comunista'' di [[Roma]], quest'ultimo diretto da Togliatti. Non venne eletto [[deputato]] alle elezioni del [[15 maggio]]: Gramsci non ha capacità oratorie, è ancora giovane e anche la sua conformazione fisica non lo agevola nell'apprezzamento di molti elettori.
 
[[File:Biennio rosso settembre 1920 Milano operai armati occupano le fabbriche.jpg|thumb|left|Operai armati occupano le fabbriche a Milano, settembre 1920]]
Alla fine di maggio partì per [[Mosca]], designato a rappresentare il Partito italiano nell'esecutivo dell'Internazionale comunista. Vi arrivò già malato e nell'estate fu ricoverato in un sanatorio per malattie nervose di Mosca. Qui conobbe una degente russa, Eugenia Schucht, membro del Partito, figlia di [[Apollon Schucht]], dirigente del Pcus ed amico personale di Lenin,<ref>[http://archiviostorico.corriere.it/1999/febbraio/24/GRAMSCI_sposa_mandata_Lenin_co_0_9902241943.shtml GRAMSCI La sposa mandata da Lenin<!-- Titolo generato automaticamente -->]</ref> una violinista che ha vissuto alcuni anni in Italia e, attraverso di lei, la sorella Giulia (Julka) ([[1894]]-[[1980]]) che, anch'ella violinista, aveva abitato diversi anni a Roma diplomandosi al Liceo musicale romano.
 
Ma gli apprezzamenti del carattere antisettario nella concezione dei Consigli, ribaditi fra gli altri da [[Sylvia Pankhurst]] e [[Henri Barbusse]], raccolsero in Italia scarso consenso e crearono dissapori e disaccordi. Vi fu una contrarietà generale dei dirigenti socialisti italiani; Bordiga criticò l'assenza nei Consigli della problematica riguardante il controllo del potere centrale, Serrati biasimò severamente l'idea di mettere sullo stesso piano iscritti e non organizzati nel diritto al voto, la Confederazione Generale del Lavoro si pronunciò decisamente contro lo sciopero frenando le organizzazioni periferiche in fermento, [[Giuseppe Emanuele Modigliani|Modigliani]] propose di collaborare con il governo guidato da [[Francesco Saverio Nitti|Nitti]]. E si arrivò persino a forme di boicottaggio: la direzione socialista trasferì a Milano la sede di un convegno nazionale nell'aprile del 1920 il cui svolgimento era originariamente previsto a Torino, mentre nella città piemontese infuriava un'ondata di scioperi e la mobilitazione della classe operaia era a livelli altissimi. Il mancato appoggio alla lotta da parte delle organizzazioni operaie determinò il fallimento dell'azione insurrezionale, e l'indugio socialista in sterili dibattiti teorici senza guardare ciò che avveniva nelle fabbriche provocò un commento tagliente da parte di Gramsci,{{#tag:ref| «[...] mentre la massa operaia difendeva a Torino coraggiosamente i Consigli di fabbrica, la prima organizzazione basata sulla democrazia operaia, a Milano si chiacchierava intorno a progetti e metodi teorici per la formazione di Consigli come forma di potere politico da conquistare del proletariato; si discuteva sul modo di sistemare le conquiste non avvenute e si abbandonava il proletariato torinese al suo destino...»<ref>In {{Cita|Spriano, 1976 (1)|p. 53}}.</ref>|group=E}} preannuncio delle contraddizioni che sarebbero esplose di lì a poco. Questo forte contrasto strategico venne definito dal dirigente sardo «la scissione d'aprile».<ref>{{Cita|Spriano, 1976 (1)|pp. 50-58}}.</ref> Per tentare di riparare alla loro timidezza e alle loro esitazioni nell'appoggio alle lotte operaie di Torino, i dirigenti sindacali proclamarono una mobilitazione nazionale nell'agosto-settembre che sfociò nell'occupazione delle fabbriche;<ref>{{Cita|Galli, 2007|p. 176}}.</ref> ma, a causa dell'entusiasmo e della partecipazione di massa, d'accordo con [[Giovanni Giolitti|Giolitti]] fecero in modo che la situazione non sfuggisse loro di mano per dirigersi verso una soluzione rivoluzionaria, spalleggiati in questo dai politici riformisti – Turati, [[Claudio Treves|Treves]] e Modigliani; e in una convulsa assemblea lo sbocco insurrezionale venne respinto. L'esperienza di settembre fece emergere che non sussistevano in Italia i presupposti per una prospettiva rivoluzionaria: mancavano la preparazione e un partito organizzato e coeso. Gramsci avrebbe esplicitato a quattro anni di distanza il proprio pessimismo rispetto a uno sbocco rivoluzionario in Italia in quella contingenza, e del medesimo avviso si mostrò lo stesso Bordiga.<ref>{{Cita|Spriano, 1976 (1)|pp. 78-81}}.</ref>{{#tag:ref|Inoltre, a Gramsci stava divenendo chiaro che sarebbe stato centrale il ruolo giocato dal capitalismo finanziario a livello internazionale per contrastare una soluzione rivoluzionaria, e che quindi la presa e la gestione del sistema industriale da parte della classe operaia non sarebbero state sufficienti a instaurare un nuovo ordine sociale.<ref>{{Cita|D'Orsi|p. 147}}.</ref>|group=E}}
Giulia, ventiseienne, è bella, alta, ha un aspetto [[romanticismo|romantico]]; Gramsci ne è conquistato: ricorderà «il primo giorno che [...] non osavo entrare nella tua stanza perché mi avevi intimidito [...] al giorno che sei partita a piedi e io ti ho accompagnato fino alla grande strada attraverso la [[foresta]] e sono rimasto tanto tempo fermo per vederti allontanare tutta sola, col tuo carico da viandante, per la grande strada, verso il mondo grande e terribile [...] ho molto pensato a te, che sei entrata nella mia vita e mi hai dato l'amore e mi hai dato ciò che mi era sempre mancato e mi faceva spesso cattivo e torbido».<ref>Lettera del 30 giugno 1924, in A. Gramsci, ''Lettere 1908-1926''</ref> E quell'immagine di lei, viandante in un mondo grande e terribile, con il suo senso doloroso di distacco, ritornerà ancora dal carcere: «Ricordi quando sei ripartita dal bosco d'argento [...] ti ho accompagnata fino all'orlo della strada maestra e sono rimasto a lungo a vederti allontanare [...] così ti vedo sempre mentre ti allontani a passi brevi, col violino in una mano e nell'altra la tua borsa da viaggio, così pittoresca».<ref>Lettera dal carcere del 18 aprile 1927</ref> Si sposano nel [[1923]] e avranno due figli, Delio, il [[10 agosto]] [[1924]] e Giuliano, il [[30 agosto]] [[1926]]. Il figlio di questo ultimo (nato nel 1965), porta il nome del nonno, vive a Mosca e pratica la musica medievale <ref>[http://channelingstudio.ru/?page=persona Un profilo di Antonio Gramsci junior]</ref>. Julia diverrà nel 1924 membro della [[Komitet Gosudarstvennoj Bezopasnosti|OGPU]], il servizio di Sicurezza sovietico.<ref>Su alcune note di uno sconosciuto bolscevico Vladimir Diogot - che sosteneva, fra l'altro, di essere a conoscenza di un tentativo di rovesciamento della monarchia italiana da parte di [[Francesco Saverio Nitti|Nitti]] in accordo con i socialisti - lo storico Jaroslav Leontiev ha sostenuto nel 1999 che la conoscenza tra Gramsci e la Schucht sia stata "pilotata" da Lenin in persona: cfr. [http://archiviostorico.corriere.it/1999/febbraio/24/GRAMSCI_sposa_mandata_Lenin_co_0_9902241943.shtml Link archivio del Corriere]</ref>
 
=== La nascita del Partito comunista ===
A differenza di Bordiga, tutto inteso a salvaguardare la «purezza» programmatica del partito, e perciò contrario a qualunque iniziativa al di fuori della dittatura del proletariato, Gramsci guardava anche a obiettivi democratici, intermedi, raggiungibili utilizzando le contraddizioni presenti negli strati sociali e le forze che potevano rappresentare elementi di rottura, come il movimento sindacale cattolico di [[Guido Miglioli]] e l'intellettualità progressista liberale di cui [[Piero Gobetti]] è allora tra i maggiori rappresentanti.
 
[[File:Bordiga.gif|thumb|upright=0.8|Amadeo Bordiga (1925)]]
[[File:Julka Schucht Delio Giuliano Gramsci.jpg|thumb|right|240px|La moglie e i figli di Gramsci]]
Nel III Congresso dell'Internazionale comunista, di fronte al riflusso dell'ondata rivoluzionaria rappresentata dalle sconfitte delle esperienze comuniste in [[Germania]] e in [[Ungheria]], si decise la tattica del fronte unito con la socialdemocrazia. Bordiga e la maggioranza dei dirigenti comunisti italiani si oppose, elaborando le ''Tesi di Roma'', base programmatica del II Congresso del Partito, tenuto a [[Roma]] nel marzo del [[1922]]. Gramsci vi aderì ma scrisse di aver «accettato le tesi di Amadeo perché esse erano presentate come un'opinione per il Quarto Congresso [dell'Internazionale comunista] e non come un indirizzo d'azione. Ritenevamo di mantenere così unito il partito attorno al suo nucleo fondamentale, pensavamo che si potesse fare ad Amadeo questa concessione [...] senza nuove crisi e nuove minacce di scissione nel seno del nostro movimento».<ref>Lettera di Gramsci a Togliatti del 5 aprile 1924, P. Togliatti, ''La formazione del gruppo dirigente del Partito comunista italiano nel 1923-1924'', pp. 272-273</ref>
 
Nel 1920 la violenza fascista, sostenuta e finanziata dagli apparati statali monarchico-liberali e dai diversi strati della borghesia, agiva impunemente con la protezione del governo Giolitti. Le masnade fasciste, affiancate e spesso precedute da bande dello squadrismo agrario, bruciarono le [[Camere del Lavoro]], assaltarono municipi, sciolsero con la forza consigli comunali e aggredirono militanti socialisti ricorrendo all'umiliazione, alle bastonature e talvolta all'assassinio.<ref>{{Cita|Amendola|pp. 3-5}}.</ref>
Nel IV Congresso dell'Internazionale, tenutosi dal [[5 novembre]] al [[5 dicembre]] [[1922]], di fronte all'avvento al potere di [[Mussolini]], ai delegati comunisti italiani fu posta con ancora maggior forza la necessità di fondersi con corrente socialista degli internazionalisti, capeggiata da [[Giacinto Menotti Serrati]], e di costituire un nuovo Esecutivo, mettendo in minoranza Bordiga, sempre contrario a ogni accordo. Lo stesso Bordiga fu arrestato al suo rientro in Italia nel febbraio [[1923]] e, in settembre, a [[Milano]], furono incarcerati anche i rappresentanti del nuovo Esecutivo: Gramsci restò così il massimo dirigente del Partito e nel novembre del [[1923]] si trasferì a [[Vienna]] per seguire più da vicino la situazione italiana. Fu allora che egli ritenne necessario rompere con la politica di Bordiga: «Il suo stesso carattere inflessibile e tenace fino all'assurdo ci obbliga [...] a prospettarci il problema di costruire il partito e il centro di esso anche senza di lui e contro di lui. Penso che sulle questioni di principio non dobbiamo più fare compromessi come nel passato: vale meglio la polemica chiara, leale, fino in fondo, che giova al partito e lo prepara ad ogni evenienza».<ref>Lettera a Togliatti del 27 marzo 1924, ivi, p. 255</ref>
 
Nel settembre dello stesso anno l'occupazione delle fabbriche suscitò fra gli operai un moto assai forte che con il passare dei giorni si trovò però isolato non potendo contare su una sponda politica, e questo mise in luce l'atteggiamento cedevole del sindacato e la debolezza strategica del PSI rispetto a una situazione potenzialmente rivoluzionaria.<ref>{{Cita|Spriano, 1976 (1)|pp. 78-82}}.</ref> I settori più radicali rimproveravano al movimento socialista l'insufficienza di analisi della situazione postbellica che non consentiva di leggere la frattura fra lavoratori e reduci, fra masse operaie e contadine, fra nord e sud. Inoltre mancava un raccordo con l'[[Internazionale Comunista]] e, ancor di più, era evidente l'incapacità di approfittare del momento propizio dovuta anche alla mancanza di un'organizzazione rivoluzionaria disciplinata che superasse l'opportunismo di Serrati e l'inettitudine massimalistica e che fosse uno strumento necessario per affrontare con determinazione le future occasioni che le crisi cicliche del capitalismo avrebbero manifestato.<ref>{{Cita|Amendola|pp. 41-43}}.</ref>
Il [[12 febbraio]] [[1924]] uscì a [[Milano]] il primo numero del nuovo quotidiano comunista [[L'Unità (quotidiano)|l'Unità]] e dal primo marzo la nuova serie del quindicinale l'''Ordine nuovo''. Il titolo del giornale, da lui scelto, venne giustificato dalla necessità dell'«unità di tutta la classe operaia intorno al partito, unità degli operai e dei contadini, unità del Nord e del Mezzogiorno, unità di tutto il popolo italiano nella lotta contro il fascismo».
 
[[File:Ordine nuovo 1921 pcdi.jpg|thumb|upright=1.5|left|La prima pagina de ''[[L'Ordine Nuovo]]'' del 22 gennaio 1921]]
=== Deputato al Parlamento ===
Alle [[Elezioni politiche italiane del 1924|elezioni del 6 aprile]] venne eletto deputato al parlamento, potendo così rientrare a [[Roma]], protetto dall'immunità parlamentare, il [[12 maggio]] [[1924]]. Quello stesso mese, nei dintorni di [[Como]], si tenne un convegno illegale dei dirigenti delle Federazioni comuniste italiane: pubblicamente, si fingevano dipendenti di un'azienda milanese in gita turistica, con tanto di pubblici discorsi fascisti e inni a Mussolini,<ref>Lettera di Gramsci a Giulia Schucht, 21 luglio 1924</ref> mentre, a parte, discutevano dei problemi del partito.
 
Entro questo contesto maturò la costituzione del [[Partito Comunista d'Italia]]. La nascita viene fatta risalire al 21 gennaio 1921, giorno in cui la corrente rivoluzionaria del PSI al [[XVII Congresso del Partito Socialista Italiano|Congresso di Livorno]] abbandonò i lavori dell'assise e si scisse dai socialisti per formare un partito a sé stante.<ref>{{Cita| Spriano, 1976 (1)|p. 115}}.</ref> Ma già alla fine dell'anno precedente, il 28 e 29 novembre, le frazioni rivoluzionarie si erano radunate a Imola decidendo di unificarsi e di dare vita alla rottura;<ref>{{Cita|Terracini|p. 33}}.</ref> essenziale era stato il ruolo di Antonio Gramsci che aveva lavorato per la ricucitura delle varie anime comuniste e che a questo fine aveva scelto di farsi da parte lasciando la guida ad Amadeo Bordiga,<ref>{{Cita| Spriano, 1976 (1)|pp. 101-103}}.</ref> così come sarebbe rimasto defilato durante il [[I Congresso del Partito Comunista d'Italia|Congresso fondativo del PCd'I]] al teatro San Marco di Livorno, eletto non senza qualche riserva nel Comitato Centrale del nuovo Partito con l'altro ordinovista Terracini<ref>{{Cita|Spriano, 1976 (1)|pp. 117-118}}.</ref> ma rimanendo escluso dal ristretto Comitato Esecutivo.<ref>{{Cita|Galli|p. 40}}.</ref> Il Comitato Centrale risultò composto in larga parte da uomini di tendenze bordighiane; risultava evidente l'assenza dei quadri operai provenienti dalle esperienze torinesi dei Consigli di fabbrica, la cui mancanza nel futuro avrebbe avuto conseguenze negative.<ref>{{Cita|Togliatti, 1974|p. 14}}.</ref>
[[File:Matteotti.jpg|thumb|left|160px|Giacomo Matteotti]]
Nel convegno si affrontò il «caso Bordiga», il quale aveva rifiutato la candidatura al Parlamento, era in rotta con la maggioranza dell'Internazionale e rifiutava ogni azione politica comune con le altre forze politiche di sinistra, considerandosi all'opposizione nel suo stesso partito. Delle tre mozioni presentate, che rispecchiavano le tre correnti in seno al Partito, la corrente di destra di Tasca, di centro di Gramsci e Togliatti, e di sinistra di Bordiga, questa raccolse l'adesione della grande maggioranza dei delegati, confermando il notevole prestigio di cui il politico napoletano godeva ancora nel Partito.
 
Il PCd'I non aveva ancora un'elaborazione compiuta e si basava sulla speranza di approfittare di un'occasione storica per costruire uno Stato socialista; per questo motivo si schierava apertamente con la [[Rivoluzione d'ottobre]], differenziandosi dalle titubanze di Serrati.<ref>{{Cita|Terracini|p. 49}}.</ref> L'organizzazione del partito era di carattere militare e non di natura politica; era strutturata secondo un ordine gerarchico che implicava l'obbedienza al capo o a una ristretta cerchia dirigente, comportava nei militanti e nei quadri intermedi fedeltà e non capacità critiche ed evoluzione culturale, prevedeva criteri di selezione del personale politico basati sull'osservanza degli ordini e non sulla qualità e sull'autonomia di movimento. Gramsci formulò queste critiche talvolta anche aspre in alcune sue lettere.<ref>{{Cita|Togliatti, 1974|p. 21}}.</ref> Inoltre il dirigente sardo rilevò la preparazione approssimativa della frazione comunista in vista del congresso di Livorno, e tre anni più tardi addebitò a questa superficialità organizzativa e culturale e all'esiguità delle forze rivoluzionarie l'incapacità di far traghettare il PSI all'interno dell'Internazionale Comunista, contribuendo indirettamente all'affermazione del fascismo. A queste riflessioni Gramsci affiancò l'orgogliosa rivendicazione di un partito giovanissimo divenuto una «falange d'acciaio» perché costretto da uno stato di necessità a misurarsi con la guerra civile in corso.<ref>{{Cita|Spriano, 1976 (1)|pp. 120-121}}.</ref><ref>{{Cita web|lingua=|url=https://www.resistenze.org/sito/ma/di/cg/mdcg7d23-001425.htm|titolo=Contro il pessimismo|editore=''resistenze''|data=23 aprile 2007|accesso=17 dicembre 2021|autore=Antonio Gramsci}}</ref>
Il [[10 giugno]] un gruppo di fascisti rapì e uccise il deputato socialista [[Giacomo Matteotti]]; sembrò allora che il [[fascismo]] stesse per crollare per l'indignazione morale che in quei giorni percorse il Paese, ma non fu così; l'opposizione parlamentare scelse la linea sterile di abbandonare il [[Parlamento]], dando luogo alla cosiddetta [[Secessione dell'Aventino]]: i [[liberalismo|liberali]] speravano in un appoggio della [[Monarchia|Corona]], che non venne, i [[cattolicesimo|cattolici]] erano ostili tanto ai fascisti che ai [[socialismo|socialisti]] e questi ultimi erano ostili a tutti, [[comunismo|comunisti]] compresi. Gramsci avanzò al «Comitato dei sedici» - il nucleo dirigente dei gruppi aventiniani - la proposta di proclamare lo sciopero generale che però fu respinta; i comunisti uscirono allora dal «Comitato delle opposizioni» aventiniane il quale, secondo Gramsci, non aveva alcuna volontà di agire: ha una «paura incredibile che noi prendessimo la mano e quindi manovra per costringerci ad abbandonare la riunione».<ref>Lettera a Giulia Schucht, 22 giugno 1924</ref>
 
=== Gramsci in Europa ===
Malgrado le divisioni dell'opposizione [[antifascismo|antifascista]], Gramsci credeva che la caduta del regime fosse imminente: «Il regime fascista muore perché non solo non è riuscito ad arrestare, ma anzi ha contribuito ad accelerare la crisi delle classi medie iniziatasi dopo la guerra. L'aspetto economico di questa crisi consiste nella rovina della piccola e media azienda [...] il monopolio del credito, il regime fiscale, la legislazione sugli affitti hanno stritolato la piccola impresa commerciale e industriale: un vero e proprio passaggio di ricchezza si è verificato dalla piccola e media alla grande borghesia [...] L'apparato industriale ristretto ha potuto salvarsi dal completo sfacelo solo per un abbassamento del livello di vita della classe operaia premuta dalla diminuzione dei salari, dall'aumento della giornata di lavoro [...] La disgregazione sociale e politica del regime fascista ha avuto la sua piena manifestazione di massa nelle elezioni del 6 aprile. Il fascismo è stato messo nettamente in minoranza nella zona industriale [...] Le elezioni del 6 aprile [...] segnarono l'inizio di quella ondata democratica che culminò nei giorni immediatamente successivi all'assassinio dell'on. Matteotti [...] le opposizioni avevano acquistato dopo le elezioni un'importanza politica enorme; l'agitazione da esse condotta nei giornali e nel Parlamento per discutere e negare la legittimità del governo fascista [...] si ripercuoteva nel seno dello stesso Partito nazionale fascista, incrinava la maggioranza parlamentare. Di qui l'inaudita campagna di minacce contro le opposizioni e l'assassinio del deputato unitario [...]».
«Il delitto Matteotti dette la prova provata che il Partito fascista non riuscirà mai a diventare un normale partito di governo, che [[Benito Mussolini|Mussolini]] non possiede dello statista e del [[dittatura|dittatore]] altro che alcune pittoresche pose esteriori; egli non è un elemento della vita nazionale, è un fenomeno di folklore paesano, destinato a passare alla storia nell'ordine delle diverse maschere provinciali italiane, più che nell'ordine dei [[Oliver Cromwell|Cromwell]], dei [[Simón Bolívar|Bolivar]], dei [[Giuseppe Garibaldi|Garibaldi]]».<ref>Ordine Nuovo, 1 settembre 1924</ref>
 
Nel biennio 1921-22 Gramsci si trovava isolato nel suo partito; conduceva un'analisi articolata della realtà ma senza esplicitare un dissenso sulla linea ufficiale che escludeva la possibilità dell'avvento di un regime totalitario.<ref>{{Cita|Fiori|p. 176}}.</ref> Anzi, fu proprio Gramsci che sostenne i motivi della polemica con il PSI, in opposizione alla politica unitaria con i socialisti sancita nell'estate 1921 dal [[III Congresso dell'Internazionale Comunista]]<ref name="cita-Amendola-pp56-58">{{Cita|Amendola|pp. 56-58}}.</ref> nel quale Lenin criticò Terracini per le posizioni "estremiste" del Partito italiano, richiedendo un ripensamento delle ragioni che avevano motivato la scissione di Livorno.<ref>{{Cita|Pons|p. 18}}.</ref><ref>{{Cita|Terracini|pp. 55-58}}.</ref> Le Tesi di Roma, base del [[II Congresso del Partito Comunista d'Italia|II Congresso del PCd'I]], e le sue conclusioni risultarono schematiche e settarie con un atteggiamento di rigetto dell'esperienza degli [[Arditi del Popolo]] e un approccio intollerante nei confronti dell'[[Alleanza del Lavoro]], due organizzazioni che mostravano come le esigenze unitarie partissero dal basso ed evidenziavano che il PCd'I perdeva di vista le esigenze delle masse.<ref name="cita-Amendola-pp56-58"/> In conclusione del congresso fu deciso che Gramsci sarebbe stato distaccato a Mosca in qualità di rappresentante del partito italiano nell'Esecutivo dell'Internazionale Comunista, risoluzione sollecitata dai due rappresentanti del Comintern presenti all'assise comunista e segnale di stima nei confronti del dirigente sardo.<ref>{{Cita|Spriano, 1976 (1)|p. 190}}.</ref>{{#tag:ref|Togliatti adombra invece il sospetto che sia stata una manovra per allontanare Gramsci dalle questioni italiane,<ref>{{Cita|Togliatti, 1974|p. 22}}.</ref> ma per Spriano sembrerebbe un'ipotesi smentita proprio dall'invito dei due inviati del Comintern che forse preferivano essere in rapporti con un interlocutore intellettualmente più duttile di quanto non fosse Bordiga.<ref>{{Cita|Spriano, 1976 (1)|p. 190, nota 3}}.</ref><ref>''V''. anche {{Cita|D'Orsi|p. 192}}.</ref>|group=E}}
S'ingannava, perché l'inerzia dell'opposizione non riuscì a dare alternative del blocco sociale in cui la piccola borghesia teme il «salto nel buio» della caduta del regime e i fascisti riprendono coraggio e ricominciano le violenze squadriste: in una delle tante viene aggredito anche Gobetti. E dopo il [[12 settembre]], quando il militante comunista Giovanni Corvi uccide in un tram il deputato fascista [[Armando Casalini]], per vendicare la morte di Matteotti, la repressione s'inasprisce. Il [[20 ottobre]] Gramsci propose vanamente che l'opposizione aventiniana si costituisca in «Antiparlamento», in modo da segnare nettamente la distanza e svuotare di significato un Parlamento di soli fascisti; il 26 partì per la Sardegna, per intervenire al Congresso regionale del partito e per rivedere i famigliari. Il [[6 novembre]] si congedò dalla madre, che non avrebbe più rivisto.
 
[[File:Ben.Giulia MussoliniSchucht 1932.jpg|thumb|180pxupright=0.75|Benitoleft|[[Giulia Schucht]] nel Mussolini1932]]
Il [[12 novembre]] 1924 il deputato comunista Luigi Repossi rientrò in [[Parlamento]], dove sedevano solo i deputati fascisti e i loro alleati, per commemorare Matteotti a nome di tutto il suo partito; il 26 vi rientrò anche tutto il gruppo parlamentare comunista, a segnare l'inutilità dell'esperienza aventiniana. Il [[27 dicembre]] 1924 il quotidiano di [[Giovanni Amendola]] "[[Il Mondo (quotidiano)|Il Mondo]]" pubblicò le dichiarazioni di [[Cesare Rossi]], già capo ufficio stampa di Mussolini, a proposito del delitto Matteotti: «Tutto quanto è successo è avvenuto sempre per la volontà diretta o per l'approvazione o per la complicità del duce» e il [[3 gennaio]] [[1925]] Mussolini, in un discorso rimasto famoso, a confermare quella testimonianza, dichiara alla Camera dei deputati di assumersi «la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto», dando il via a una nuova azione repressiva.
 
L'esperienza di Gramsci a Mosca fu di fondamentale importanza per la sua formazione politica. Conobbe gran parte dei capi dei partiti comunisti mondiali, partecipò con Bordiga al [[IV Congresso dell'Internazionale Comunista|IV Congresso del Comintern]], ma soprattutto venne a contatto con i dirigenti bolscevichi protagonisti della Rivoluzione d'ottobre. In particolare, il suo incontro con Lenin avvenuto il 25 ottobre del 1922 gli dette modo di ripensare le politiche di alleanze, la via al socialismo da seguire attraverso le guerre di posizione, le responsabilità del settarismo del PCd'I e quelle del gruppo dirigente russo.<ref>{{Cita|Pons|pp. 19-22}}.</ref> Dovette anche far fronte alle proprie condizioni di salute sempre più precarie; [[Grigorij Evseevič Zinov'ev|Zinov'ev]] a inizio estate volle che Gramsci si ricoverasse in un sanatorio della periferia moscovita. Lì il dirigente italiano rimase per sei mesi durante i quali incontrò Eugenia Schucht, anche lei ricoverata, e poi conobbe la sorella [[Giulia Schucht|Giulia]] con la quale instaurò una relazione sentimentale. A Mosca ricevette le notizie degli arresti di Bordiga e di Grieco e gli fu comunicato che era stato spiccato un mandato d'arresto anche nei propri confronti, ricevendo il consiglio di non rimpatriare. Lo smantellamento del gruppo dirigente del PCd'I diede l'opportunità all'Esecutivo del Comintern di sciogliere l'Esecutivo del Partito italiano sostituendolo con un nuovo gruppo dirigente che a sua volta fu ben presto arrestato. Questa situazione estremamente delicata suggerì ai russi di trasferire Gramsci a Vienna, dove egli poteva seguire più da vicino la situazione italiana. Con la dirigenza smantellata dalla polizia fascista, il dirigente sardo poteva essere considerato la figura di vertice del PCd'I.<ref>{{Cita|Fiori|pp. 180-191}}.</ref>
In febbraio Gramsci andò a Mosca, per stare con la moglie e conoscere finalmente il figlio Delio. Tornato in Italia a maggio, il [[26 maggio|26]] tenne il suo primo - e unico - discorso in Parlamento, davanti all'ex compagno di partito Mussolini, ora Primo ministro, che aveva descritto l'anno prima come un capo «divinizzato, dichiarato infallibile, preconizzato organizzatore e ispiratore di un rinato [[Impero Romano]] [...] conosciamo quel viso: conosciamo quel roteare degli occhi nelle orbite che nel passato dovevano, con la loro ferocia meccanica, far venire i vermi alla borghesia e oggi al proletariato. Conosciamo quel pugno sempre chiuso alla minaccia [...] Mussolini [...] è il tipo concentrato del piccolo-borghese italiano, rabbioso, feroce impasto di tutti i detriti lasciati sul suolo nazionale da vari secoli di dominazione degli stranieri e dei preti: non poteva essere il capo del proletariato; divenne il dittatore della borghesia, che ama le facce feroci quando ridiventa borbonica».<ref>Ordine Nuovo, 15 marzo 1924</ref>
 
[[File:Лев Давидович Троцкий.jpg|thumb|upright=0.8|Lev Trockij, primi anni venti]]
Con il pretesto di colpire la [[Massoneria]], il governo aveva predisposto un [[disegno di legge]] per disciplinare l'attività di associazioni, enti e istituti: continuamente interrotto, Gramsci respinse il pretesto che il governo si era dato, «perché la Massoneria passerà in massa al Partito fascista e ne costituirà una tendenza, è chiaro che con questa legge voi sperate di impedire lo sviluppo di grandi organizzazioni operaie e contadine».
 
Agevolato da [[Angelica Balabanoff]] nella permanenza a Vienna, vi giunse alla fine del 1923, con la sua salute malferma, il peso della responsabilità affidatagli e con il rammarico e lo struggimento per avere lasciato a Mosca Giulia che già manifestava i primi sintomi di un esaurimento nervoso ed era in attesa di un figlio. In una stanza fredda e inospitale della capitale austriaca visse giorni monotoni; seppe dell'aggravamento delle condizioni mediche di Lenin ed ebbe notizia della lotta interna ai bolscevichi,<ref>{{Cita|Fiori|pp. 191-192}}.</ref> raccomandando a Terracini – che a Mosca lo avrebbe sostituito nell'incarico – di non sottovalutare il dissidio fra Trockij e il resto del gruppo dirigente rivoluzionario; e poi apprese della morte del massimo dirigente comunista. Pur seguendo da vicino le vicende russe, quelle italiane e il lavoro del Comintern, ebbe modo di riflettere sulla sconfitta del movimento operaio in Italia, sulla complessità sociale dei Paesi dell'Occidente che imponeva soluzioni diverse da quelle messe in atto in Russia, sulla differenza fra dominio bolscevico ed egemonia in Europa. Acquisì in tal modo una visione strategica del percorso al socialismo assai differente da quanto era stato realizzato in Russia<ref>{{Cita|Pons|pp. 22-24}}.</ref> che sarebbe stata alla base della successiva elaborazione e che avrebbe permesso di superare il settarismo e l'intransigenza del PCd'I; in ultima istanza, Gramsci si trovò ad affrontare il nodo Amadeo Bordiga – che nel frattempo era stato scarcerato. Alcuni suoi scritti manifestavano l'insofferenza per una politica miope e la disponibilità a rompere con Bordiga e il suo nucleo intransigente creando un gruppo autonomo.<ref>{{Cita|Spriano, 1976 (1)|pp. 302-306}}.</ref>
E ironizzando: «Qualche fascista ricorda ancora nebulosamente gli insegnamenti dei suoi vecchi maestri, di quando era rivoluzionario e socialista, e crede che una classe non possa rimanere tale permanentemente e svilupparsi fino alla conquista del potere, senza che essa abbia un partito e un'organizzazione che ne riassuma la parte migliore e più cosciente. C'è qualcosa di vero, in questa torbida perversione degli insegnamenti marxisti».
 
===Il rientro in Italia===
Concluse: «Voi potete conquistare lo Stato, potete modificare i codici, potete cercar di impedire alle organizzazioni di esistere nella forma in cui sono esistite fino adesso ma non potete prevalere sulle condizioni obbiettive in cui siete costretti a muovervi. Voi non farete che costringere il proletariato a ricercare un indirizzo diverso da quello fin oggi più diffuso nel campo dell'organizzazione di massa. Ciò noi vogliamo dire al proletariato e alle masse contadine italiane, da questa tribuna: che le forze rivoluzionarie italiane non si lasceranno schiantare, il vostro torbido sogno non riuscirà a realizzarsi».
 
Durante la permanenza di Gramsci all'estero, in Italia si era svolta la [[Marcia su Roma]] e si era alzato il livello delle violenze fasciste e della persecuzione giudiziaria nei confronti dei gruppi dirigenti del PCd'I. Il Vaticano mostrava simpatie per il regime, la politica economica era pagata dalle classi lavoratrici, erano state smantellate le leghe dei lavoratori e contrastata qualsiasi struttura cooperativa. Fra le aggressioni squadristiche si era andati alle elezioni politiche con una legge maggioritaria che favoriva sfacciatamente il partito fascista, e a dispetto delle illusioni delle formazioni operaie, incapaci di formare un solido blocco unitario, il partito del fascio littorio si era affermato nettamente conquistando il voto di due terzi degli elettori. Il PCd'I conquistò diciannove eletti al Parlamento<ref>{{Cita|Spriano, 1976 (1)|pp. 322-340}}.</ref> e fra di loro figurava Antonio Gramsci, eletto nel [[Circoscrizione elettorale Veneto (Regno d'Italia)|Collegio del Veneto]];<ref>{{Cita|D'Orsi|p. 216}}.</ref> rimanevano invece esclusi elementi di primo piano e vicini al dirigente sardo, quali Togliatti, Tasca e Scoccimarro.<ref>{{Cita|Galli|p. 89}}.</ref>
=== Il Congresso di Lione ===
Dal 20 al [[26 gennaio]] [[1926]] si svolse clandestinamente a [[Lione]] il III Congresso del Partito.<ref>Anche alle autorità francesi fu nascosto lo svolgimento del Congresso. Sul III Congresso, P. Spriano, ''Storia del Partito comunista italiano'', I, capp. 29-30</ref> Vi parteciparono 70 delegati, con tutti i maggiori responsabili, Gramsci, [[Amadeo Bordiga|Bordiga]], [[Angelo Tasca|Tasca]], [[Palmiro Togliatti|Togliatti]], [[Ruggero Grieco|Grieco]], [[Alfonso Leonetti|Leonetti]], [[Mauro Scoccimarro|Scoccimarro]]: vi era anche [[Giacinto Menotti Serrati|Serrati]], che aveva lasciato da poco il Partito socialista di cui era stato a lungo dirigente di primo piano. Assisteva, a nome dell'Internazionale, [[Jules Humbert-Droz]]. Gramsci presentò, a nome della maggioranza, le ''Tesi'' congressuali, elaborate insieme con [[Palmiro Togliatti|Togliatti]].
 
[[File:L'Unità 1924.jpg|thumb|upright=1.2|Logo de ''l'Unità'', 1924]]
Con un capitalismo debole e l'agricoltura base dell'economia nazionale, in Italia si assiste al compromesso fra industriali del Nord e proprietari fondiari del Sud, ai danni degli interessi generali della maggioranza della popolazione. Il proletariato, in quanto forza sociale omogenea e organizzata rispetto alla piccola borghesia urbana e rurale, che ha interessi differenziati, viene visto, nelle ''Tesi'', come l'unico elemento che abbia una funzione unificatrice di tutta la società.
 
Rientrato in Italia nel mese di maggio del 1924, Gramsci si trovò di fronte a un quadro molto delicato con il quale, da massimo dirigente, dovette fare i conti.<ref>{{Cita|Pons|p. 24}}.</ref> Il Partito era in difficoltà, non solo per la repressione da parte del regime fascista ma anche per il calo verticale di iscritti. A fronte dell'ostinazione di Bordiga che controllava buona parte dei quadri intermedi, Gramsci fece tesoro della propria maturazione politica e delle proprie elaborazioni per sconfiggere l'ipotesi bordighiana di un partito settario che avesse solo una prospettiva insurrezionale, e spostò il baricentro ideale e di iniziativa verso un nuovo terreno unitario con altre formazioni socialiste per realizzare un'aggregazione di forze in grado di contrastare il fascismo. Per questa ragione volle che il nuovo quotidiano si chiamasse «''[[l'Unità]]''».<ref>{{Cita|Amendola|pp. 76-79}}.</ref><ref>{{Cita|Terracini|pp. 83-84}}.</ref>{{#tag:ref|Il giornale aveva come sottotitolo «Quotidiano degli operai e dei contadini». Con il direttore [[Ottavio Pastore]] lavoravano Alfonso Leonetti, Felice Platone, Giuseppe Amoretti e [[Girolamo Li Causi]].<ref>{{Cita|Galli|pp. 88-89}}.</ref>|group=E}}
Secondo Gramsci il fascismo non è, come ritiene Bordiga, l'espressione di tutta la classe dominante, ma è il prodotto politico della piccola borghesia urbana e agraria che ha consegnato il potere alla grande borghesia, e la sua tendenza imperialistica è l'espressione della necessità, da parte delle classi industriali e agrarie, «di trovare fuori del campo nazionale gli elementi per la risoluzione della crisi della società italiana» che tuttavia permette, per la sua natura oppressiva e reazionaria, una soluzione rivoluzionaria delle contraddizioni sociali e politiche; le due forze sociali idonee a dar luogo a questa soluzione sono il proletariato del Nord e i contadini del Mezzogiorno. A questo scopo, il Partito andrà bolscevizzato, ossia organizzato per cellule di fabbrica e disciplinato negando al suo interno la possibilità dell'esistenza delle frazioni.
 
Dopo l'assassinio di [[Giacomo Matteotti]] trucidato da sicari fascisti, nonostante le minacce fu Gramsci a richiedere che il giornale recasse un titolo forte ("Abbasso il governo degli assassini")<ref>{{Cita|Fiori|p. 202}}.</ref> e fu dovuta in gran parte a Gramsci la decisione di interrompere l'esperienza dell'[[Secessione aventiniana|Aventino]] e riportare il PCd'I sui banchi del Parlamento per denunciare le malefatte del regime. Il dirigente comunista si impegnò a creare nel Partito un nuovo vertice: la pattuglia ordinovista – Terracini, Togliatti e Tasca – con [[Mauro Scoccimarro]], [[Ruggero Grieco]], [[Luigi Longo]], [[Pietro Secchia]] ed [[Edoardo D'Onofrio]], questi ultimi provenienti da posizioni intransigenti ma che, a differenza di Bordiga, rifiutavano di entrare in contrasto con il Comintern. Questo gruppo dirigente accompagnò il Partito al suo III Congresso a Lione.<ref>{{Cita|Terracini|pp. 90-91}}.</ref> In quei mesi giungeva a maturazione un processo delle forze socialiste e laiche tendente a un fronte unitario; di questo sviluppo si fece grande tessitore Antonio Gramsci che favorì il dialogo con Piero Gobetti, con [[Emilio Lussu]] e con [[Guido Miglioli]].<ref>{{Cita|Amendola|pp. 96-99}}.</ref>
Il Congresso approvò le ''Tesi'' a grande maggioranza (90%) ed elesse il Comitato centrale con Gramsci segretario del Partito. Da allora, la sinistra comunista di Bordiga non ebbe più alcun ruolo influente nel Partito.
 
{{vedi=== anche|TesiIl congresso di Lione}} ===
 
Preceduto da tre anni di iniziative politiche e di attività organizzative<ref>{{Cita|Amendola|p. 103}}.</ref> e dall'elaborazione del documento congressuale nei mesi di ottobre e novembre del 1925,<ref name="cita-Spriano-1976-1-p490">{{Cita|Spriano, 1976 (1)|p. 490}}.</ref> dal 20 al 26 gennaio del 1926 si svolse clandestinamente a Lione il [[III Congresso del Partito Comunista d'Italia|III Congresso del PCd'I]]. La sede – originariamente era stata individuata Vienna – fu scelta in considerazione del fatto che nella città francese vivevano molti operai italiani emigrati, possibili punti d'appoggio per i delegati. La pratica cospirativa era indotta dal fatto che la polizia italiana teneva sotto sorveglianza i dirigenti comunisti che non erano espatriati, e tuttavia i delegati riuscirono a beffare la polizia fascista, spesso grazie all'uso di passaporti falsi, e a varcare il confine con la Francia attraverso undici differenti valichi alpini.<ref>{{Cita|Spriano, 1976 (1)|p. 498}}.</ref> Vi parteciparono settanta delegati, con tutti i maggiori responsabili, Bordiga, Gramsci, Tasca, Togliatti, Grieco, Leonetti, Scoccimarro: era anche presente Serrati, da poco fuoriuscito dal Partito socialista di cui era stato a lungo dirigente di primo piano.<ref>{{Cita|Spriano, 1976 (1)|cap. 29, passim}}.</ref> Assisteva, a nome dell'Internazionale, [[Jules Humbert-Droz]].<ref>{{Cita|Spriano, 1976 (1)|pp. 498-500}}.</ref> Gramsci presentò le [[Tesi di Lione|Tesi]] congressuali elaborate insieme con Togliatti.<ref name="cita-Spriano-1976-1-p490"/>
=== La questione meridionale ===
Tornato a [[Roma]] - da via Vesalio si era trasferito in via Morgagni - ebbe il tempo di passare alcuni mesi con la famiglia - la moglie Giulia e il piccolo Delio, oltre alle cognate Eugenia e Tatiana - che abitano tuttavia in un altro appartamento, in via Trapani: le squadre fasciste, superato da tempo lo smarrimento provocato dal delitto Matteotti, avevano piena libertà d'azione e non era prudente coinvolgere i familiari in loro possibili aggressioni; lo scorso [[4 ottobre]], a [[Firenze]], era stato ucciso l'ex-deputato socialista Gaetano Pilato, la stessa casa di Gramsci era stata messa a soqquadro dalla polizia il [[20 ottobre]]. Mentre gli esponenti dell'opposizione antifascista prendevano la via dell'emigrazione - Gobetti, che muore il [[6 febbraio]] [[1926]], venticinquenne, a [[Parigi]], in conseguenza delle bastonate squadriste, [[Giovanni Amendola|Amendola]], [[Gaetano Salvemini|Salvemini]] - un [[processo (diritto)|processo]] [[farsa]] condannava a una pena simbolica gli assassini di Matteotti, difesi dal capo-squadrista [[Roberto Farinacci]].
 
[[File:HumbertDroz Jules.jpg|thumb|Jules Humbert-Droz]]
La moglie Giulia, che aspettava il secondo figlio Giuliano, lasciò l'Italia il [[7 agosto]] e il mese dopo fu la volta della cognata Eugenia a tornare a Mosca con il figlio Delio: Gramsci non l'avrebbe più rivisto.
 
Le Tesi evidenziavano che, con un capitalismo debole e l'agricoltura base dell'economia nazionale, in Italia si assisteva al compromesso fra industriali del Nord e proprietari fondiari del Sud, ai danni degli interessi generali della maggioranza della popolazione. Il proletariato, in quanto forza sociale omogenea e organizzata rispetto alla piccola borghesia urbana e rurale, assumeva un ruolo di unificazione dell'intera società.<ref>{{Cita|Spriano, 1976 (1)|pp. 491-492}}.</ref>
[[File:Giustino Fortunato.jpg|thumb|right|180px|Giustino Fortunato (1848&nbsp;– 1932)|Giustino Fortunato]]
Elaborando temi già affrontati nelle ''Tesi'' di Lione, in settembre Gramsci iniziò a scrivere un saggio sulla [[questione meridionale]], intitolato ''Alcuni temi sulla quistione meridionale'', in cui analizzò il periodo dello sviluppo politico italiano dal [[1894]], anno dei moti dei contadini [[sicilia]]ni, seguito nel [[1898]] dall'insurrezione di [[Milano]] repressa a cannonate dal governo Di Rudinì. Secondo Gramsci, la borghesia italiana, impersonata politicamente da [[Giovanni Giolitti]], di fronte all'insofferenza delle classi emarginate dei contadini meridionali e degli operai del Nord, piuttosto che allearsi con le forze agrarie, cosa che avrebbe dovuto comportare una politica di [[libero scambio]] e di bassi prezzi industriali, scelse di favorire il blocco industriale-operaio, con la conseguente scelta del [[protezionismo]] doganale, unita a concessione di libertà sindacali.
 
Secondo l'analisi svolta nelle Tesi, il fascismo non era – come invece riteneva Bordiga – l'espressione di tutta la classe dominante, ma era il frutto politico della piccola borghesia urbana e della reazione agraria; prodotto della politica rovinosa del riformismo di Nitti e Giolitti e del fallimento di uno sbocco rivoluzionario; ma la natura oppressiva e reazionaria del fenomeno avrebbe offerto una soluzione rivoluzionaria delle contraddizioni sociali e politiche, esito che avrebbe visto come protagonisti il proletariato del Nord e i contadini del Mezzogiorno. Per questa soluzione sarebbe stata necessaria la costruzione di un partito bolscevico organizzato nelle cellule di fabbrica e dotato di ferrea disciplina rivoluzionaria.<ref>{{Cita|Spriano, 1976 (1)|pp. 496-497}}.</ref>
Di fronte alla persistenza dell'opposizione operaia, manifestatasi anche contro i dirigenti socialisti riformisti, [[Giovanni Giolitti|Giolitti]] cercò un accordo con i contadini cattolici del Centro-Nord. Il problema è allora, per Gramsci, di perseguire una politica di opposizione che rompa l'alleanza borghesia-contadini, facendo convergere questi ultimi in un'alleanza con la classe operaia.
 
Il Congresso approvò le Tesi a grande maggioranza (oltre il 90%) ed elesse il Comitato centrale con Gramsci segretario del Partito.<ref>{{Cita|Spriano, 1976 (1)|p. 511}}.</ref> Da allora, la sinistra comunista di Bordiga non ebbe più un ruolo influente nel Partito. Le Tesi di Lione ribadirono con una certa durezza le posizioni del PCd'I sulla socialdemocrazia da considerarsi non come la destra del movimento operaio ma come la sinistra della borghesia. In questa relazione venne sviluppata la cosiddetta bolscevizzazione del partito che consisteva nella creazione di un'organizzazione centralizzata, diretta dal Comitato centrale non solo a parole, con una ferrea disciplina e con l'esclusione al proprio interno di gruppi frazionistici, così da differenziarsi dai partiti socialdemocratici.<ref>{{Cita libro|autore=Antonio Gramsci|titolo=Tesi di Lione|anno=1925|editore=Lione|città=}}</ref>
La società meridionale, secondo Gramsci, è costituita da tre classi fondamentali: braccianti e contadini poveri, politicamente inconsapevoli; piccoli e medi contadini, che non lavorano la terra ma dalla quale ricavano un reddito che permette loro di vivere in città, spesso come impiegati statali: costoro disprezzano e temono il lavoratore della terra, e fanno da intermediari al consenso fra i contadini poveri e la terza classe, costituita dai grandi proprietari terrieri, i quali a loro volta contribuiscono alla formazione dell'intellettualità nazionale, con personalità del valore di [[Benedetto Croce]] e di [[Giustino Fortunato (1848-1932)|Giustino Fortunato]] e sono, con quelli, i principali e più raffinati sostenitori della conservazione di questo blocco agrario.
 
In relazione a quanto stava avvenendo in URSS, il delegato del Comintern Humbert-Droz minacciò Bordiga di espulsione. Il dirigente napoletano fu in quell'occasione difeso da Gramsci, che nonostante la diversa linea di pensiero ne apprezzava il valore, riteneva importante l'unità del Partito e giudicava feconda la convivenza di idee purché non si irrigidissero in posizioni di frazionismo; così Bordiga fu convinto a entrare nel Comitato Centrale;<ref>{{Cita|Terracini|p. 91}}.</ref> nell'organismo furono eletti fra gli altri anche Togliatti, Terracini, Scoccimarro, Tasca, Grieco, Camilla Ravera, oltre ad Antonio Gramsci, con un profondo rinnovamento del gruppo dirigente e marcando una discontinuità con il passato.<ref>{{Cita|Amendola|pp. 102-103}}.</ref>
Per poter spezzare questo blocco occorrerebbe la formazione di un ceto di intellettuali medi che interrompa il flusso del consenso fra le due classi estreme, favorendo così l'alleanza dei contadini poveri con il proletariato urbano.
 
===Lo L'arrestoscontro edi ilpotere processoin URSS===
In [[Unione Sovietica]] è in corso la lotta fra la maggioranza di [[Stalin]] e [[Bucharin]] e la minoranza di sinistra del Partito comunista, guidata da [[Trotskij]], [[Grigorij Zinov'ev|Zinov'ev]] e [[Lev Kamenev|Kamenev]], che critica la politica della [[Nuova politica economica|NEP]], la quale favorisce i contadini ricchi a svantaggio degli operai, e la rinuncia alla rivoluzione socialista mondiale attraverso la costruzione del «socialismo in un solo paese» che porterebbe all'involuzione del movimento rivoluzionario. Il dissidio, che porta all'esclusione di Zinov'ev dall'Ufficio politico del Partito sovietico, si era fatto sempre più aspro con la costituzione in frazione della minoranza e si era esteso anche all'interno del Partito comunista tedesco, provocando una scissione. Il [[18 ottobre]] il «[[New York Times]]», forse su ispirazione di [[Lev Trotsky]], pubblicava il testamento di [[Lenin]], con i suoi noti rilievi sul carattere di Stalin e sul pericolo rappresentato dal troppo potere che la carica di segretario del Partito gli concedeva.
 
[[File:Л. Д. Троцкий, Л. Б. Каменев и Г. Е. Зиновьев. Середина 1920-х годов.jpg|thumb|left|upright=1.1|Da sinistra Trockij, Kamenev e Zinov'ev, 1920]]
Su incarico dell'Ufficio politico, Gramsci scrisse a metà ottobre una lettera al Comitato centrale del Partito sovietico.<ref>La lettera, non datata, si ritiene scritta il 14 ottobre: fu pubblicata per la prima volta in [[Francia]] da Tasca nel [[1938]]. Su tutta la questione della lotta interna nel partito comunista sovietico di questo periodo, P. Spriano, cit., II, capp. 3 e 5</ref> Egli si mostra preoccupato per «l'acutezza delle polemiche» che potrebbero portare a una scissione che «può avere le più gravi ripercussioni, non solo se la minoranza di opposizione non accetta con la massima lealtà i principi fondamentali della disciplina rivoluzionaria di Partito, ma anche se essa, nel condurre la sua lotta, oltrepassa certi limiti che sono superiori a tutte le democrazie formali». Riconosciuto ai dirigenti sovietici il merito di essere stati «l'elemento organizzatore e propulsore delle forze rivoluzionarie di tutti i paesi», li rimprovera di star «distruggendo l'opera vostra, voi degradate e correte il rischio di annullare la funzione dirigente che il Partito comunista dell'URSS aveva conquistato per l'impulso di Lenin: ci pare che la passione violenta delle quistioni russe vi faccia perdere di vista gli aspetti internazionali delle quistioni russe stesse, vi faccia dimenticare che i vostri doveri di militanti russi possono e debbono essere adempiuti solo nel quadro degli interessi del proletariato internazionale».
 
Il conflitto in URSS all'interno della vecchia guardia bolscevica per la successione a Lenin vedeva la maggioranza guidata da [[Iosif Stalin|Stalin]] e [[Nikolaj Ivanovič Bucharin|Bucharin]] contrapposta all'opposizione di Trockij alleato con [[Grigorij Evseevič Zinov'ev|Zinov'ev]].<ref>{{Cita|Pons|p. 29}}.</ref> Gramsci era convinto dell'estrema importanza della compattezza nei gruppi dirigenti dei partiti comunisti; fino dal 1923 aveva sollevato pesanti obiezioni nei confronti della posizione critica di Trockij all'interno della dirigenza del partito comunista russo, paragonandola a quanto avveniva con Bordiga nel PCd'I. Perciò il dirigente sardo non poté non rimanere colpito e preoccupato dall'inasprirsi dello scontro all'interno del gruppo dirigente russo, e nel luglio 1926 apparve su ''l'Unità'' un articolo non firmato – ma di ispirazione gramsciana – nel quale la responsabilità per gli accadimenti in URSS veniva fatta ricadere con forza su Trockij. Dopo diverse settimane nelle quali la questione russa era stata discussa dal gruppo dirigente del partito italiano, l'Ufficio politico dette mandato a Gramsci di stilare e spedire ai dirigenti russi una lettera di sostegno alla politica finora perseguita.{{#tag:ref|L'articolo non firmato del luglio 1926 è nel suo passaggio fondamentale riportato da Spriano;<ref>{{Cita|Spriano, 1976 (2)|pp. 45-46}}.</ref> la lettera al Partito russo, dal titolo ''Lettera al Comitato centrale del Partito comunista sovietico'', si trova alle pp. 713-719 del volume ''Gramsci – scritti politici'', Editori Riuniti, Roma, 1971. Venne resa pubblica per la prima volta da Tasca nel 1938.<ref>{{Cita|Spriano, 1976 (2)|p. 52, nota 1}}.</ref>|group=E}} La missiva, senza data, secondo la ricostruzione di Togliatti – che era allora a Mosca in rappresentanza del PCd'I e a cui venne indirizzata come tramite – fu probabilmente redatta il 14 ottobre. Essa nasceva dal dovere che i partiti fratelli intervenissero a salvaguardia della coesione del partito sovietico e delle conquiste rivoluzionarie; ma assieme alle esaltazioni dei risultati raggiunti non taceva l'esigenza di coesione in ogni gruppo dirigente rivoluzionario, e in quel momento in URSS emergevano le colpe della minoranza – capeggiata da Trockij, Zinov'ev e [[Lev Borisovič Kamenev|Kamenev]] – ma anche le responsabilità della maggioranza, si appellava agli obblighi del partito sovietico verso l'internazionalismo proletario avanzando l'esortazione a che si evitassero misure eccessive contro i dissenzienti e che si respingesse la tendenza a "stravincere" sugli oppositori;<ref>{{Cita|Spriano, 1976 (2)|pp. 45-55}}.</ref> e sottolineava la preoccupazione per una possibile scissione in seno al Partito comunista russo.<ref>{{Cita|Canfora, 2025|p. 63}}.</ref>
[[File:Il giovane Togliatti.jpg|thumb|left|200px|Palmiro Togliatti]]
Nel merito del fondamento del contrasto - la contraddizione di un proletariato formalmente «dominante» in [[URSS]], ma in condizioni economiche molto inferiori alla classe «dominata» - Gramsci appoggia la posizione della maggioranza, rilevando che «è facile fare della demagogia su questo terreno ed è difficile non farla quando la quistione è stata messa nei termini dello spirito corporativo e non in quelli del leninismo, della dottrina dell'egemonia del proletariato [...] è in questo elemento la radice degli errori del blocco delle opposizioni e l'origine dei pericoli latenti che nella sua attività sono contenuti. Nella ideologia e nella pratica del blocco delle opposizioni rinasce in pieno tutta la tradizione della socialdemocrazia e del sindacalismo che ha impedito finora al proletariato occidentale di organizzarsi in classe dirigente».
 
[[File:Il giovane Togliatti.jpg|thumb|upright=0.9|Palmiro Togliatti negli anni venti]]
Gramsci concludeva esortando all'unità: «I compagni Zinov'ev, Trotskij, Kamenev hanno contribuito potentemente a educarci per la rivoluzione [...] sono stati i nostri maestri. A loro specialmente ci rivolgiamo come ai maggiori responsabili dell'attuale situazione perché vogliamo essere sicuri che la maggioranza del CC dell'URSS non intenda stravincere nella lotta e sia disposta a evitare le misure eccessive [...] l'unità e la disciplina in questo caso non possono essere meccaniche e coatte, devono essere leali e di convinzione e non quelle di un reparto nemico imprigionato e assediato che pensa all'evasione o alla sortita di sorpresa».
 
Nel contenuto e nei toni della comunicazione di Gramsci al Comitato centrale russo giocava un ruolo fondamentale il cosiddetto [[testamento di Lenin]]: si trattava di una lettera redatta dal leader russo e diretta al Congresso sovietico nella quale si raccomandava prudenza nell'affidare una concentrazione di poteri nelle mani di Stalin, da Lenin giudicato rozzo e inadatto a ricoprire il ruolo di segretario.<ref>{{Cita|Canfora, 2025|p. 25}}.</ref> Il lascito leniniano, rimasto custodito negli archivi del massimo dirigente bolscevico fino alla morte avvenuta nel 1924, fu portato a conoscenza di un ristretto numero di delegati al [[XIII Congresso del Partito Comunista Russo (bolscevico)|XIII Congresso del Partito Comunista Russo]] e già qualche settimana dopo era stato fatto filtrare su diversi giornali occidentali in versioni manipolate a fini di lotta politica interna.<ref>{{Cita|Canfora, 2025|pp. 19, 26 e 31-44}}</ref>{{#tag:ref|Il 15 giugno 1924 il ''[[The New York Times|New York Times]]'' fu il primo giornale che pubblicò una versione del "testamento", copia ricevuta dal giornalista franco-polacco Henry de Korab.<ref>{{Cita|Canfora, 2025|pp. 31-32}}.</ref>|group=E}} Togliatti contestò nell'analisi di Gramsci la prevalenza dell'unità dei dirigenti sulla giustezza della linea politica dettata da Stalin e dissentì su un nesso fra ruolo storico dei dirigenti sovietici e le forze rivoluzionarie nel mondo.<ref>{{Cita|Pons|pp. 33-35}}.</ref> Nel duro confronto definito dalla storiografia "la polemica dell'ottobre '26",<ref>{{Cita|Canfora, 2025|p. 64}}.</ref> i due dirigenti comunisti italiani si scontravano politicamente sul piano della lettura e della prospettiva: Togliatti era concentrato sul presente, sulla linea politica al momento adottata, mentre Gramsci ragionava guardando lontano;<ref>{{Cita|Spriano, 1976 (2)|pp. 55-58}}.</ref> il primo, appiattito sulle posizioni staliniste, chiedeva obbedienza, l'interlocutore respinse seccamente le argomentazioni togliattiane.<ref>{{Cita|Fiori|pp. 250-251}}.</ref>
[[Palmiro Togliatti|Togliatti]], allora a Mosca quale rappresentante italiano all'Internazionale, criticò le ultime considerazioni che ripartivano, seppure in modo diseguale, le responsabilità delle due fazioni, credendo ancora nella illusoria possibilità di una compattezza del gruppo dirigente sovietico: a suo avviso, invece, «d'ora in poi l'unità della vecchia guardia leninista non sarà più o sarà assai difficilmente realizzata in modo continuo».<ref>Lettera di Togliatti a Gramsci, 18 ottobre 1926</ref>
 
La dirigenza sovietica mandò un emissario nella persona di Jules Humbert-Droz affinché spiegasse ai compagni italiani lo stato del partito in URSS. La riunione, fissata in [[Val Polcevera]], a causa delle restrizioni imposte dal regime in seguito all'attentato a Mussolini ebbe luogo con un numero esiguo di partecipanti; Gramsci arrivò a Milano per proseguire poi verso il luogo dell'incontro ma, visto lo spiegamento di forze e i controlli alla stazione milanese, tornò subito a Roma anche per non compromettere l'incolumità dei partecipanti al raduno.<ref>{{Cita|Fiori|pp. 252-253}}.</ref>
Non ci sarà tempo e occasione per approfondire la questione: lo stesso giorno in cui il Comitato centrale comunista doveva riunirsi clandestinamente a [[Genova]], il [[31 ottobre]] [[1926]], Mussolini subì a [[Bologna]] un attentato senza conseguenze personali, che provoca una tale pressione poliziesca da far fallire il convegno. L'attentato [[Anteo Zamboni|Zamboni]] costituì il pretesto per l'eliminazione degli ultimi, minimi residui di [[democrazia]]: il [[5 novembre]] il governo sciolse i partiti politici di opposizione e soppresse la libertà di stampa. L'[[8 novembre]], in violazione dell'immunità parlamentare, Gramsci venne arrestato nella sua casa e rinchiuso nel carcere di Regina Coeli. Dopo un periodo di confino a [[Ustica]], dove ritrovò, tra gli altri, Bordiga, il [[7 febbraio]] [[1927]] fu detenuto nel carcere milanese di San Vittore. Qui ricevette, in agosto, la visita del fratello Mario, le cui scelte politiche erano state opposte a quelle del fratello - già federale di [[Varese]], ora si occupava di commercio - e, soprattutto, quella della cognata Tatiana, la persona che si manterrà sempre, per quanto possibile, in contatto con lui. L'istruttoria andò per le lunghe, perché vi erano difficoltà a montare su di lui accuse credibili: fu anche fatto avvicinare da due agenti provocatori - prima un tale Dante Romani e poi un certo Corrado Melani - ma senza successo.<ref>G. Fiori, cit., cap. 23</ref>
 
=== L'arresto e la prigionia ===
Il processo a ventidue imputati comunisti, fra i quali [[Umberto Terracini]], [[Mauro Scoccimarro]] e [[Giovanni Roveda]], iniziò finalmente a Roma il [[28 maggio]] [[1928]]; Mussolini aveva istituito il [[1º febbraio]] [[1927]] il [[Tribunale Speciale Fascista]]. Presidente è un generale, Alessandro Saporiti, giurati sono cinque consoli della milizia fascista, relatore l'avvocato Giacomo Buccafurri e accusatore l'avvocato Michele Isgrò, tutti in uniforme; intorno all'aula, «un doppio cordone di militi in elmetto nero, il pugnale sul fianco ed i moschetti con la baionetta in canna».<ref>In G. Fiori, cit., cap. 24</ref> Gramsci è accusato di attività cospirativa, istigazione alla guerra civile, [[apologia]] di [[reato]] e incitamento all'odio di classe.
 
[[File:Umberto Terracini 1.jpg|thumb|left|Umberto Terracini]]
Il pubblico ministero Isgrò concluse la sua requisitoria con una frase rimasta famosa: «Per vent'anni dobbiamo impedire a questo [[cervello]] di funzionare»; e infatti Gramsci, il [[4 giugno]], venne condannato a venti anni, quattro mesi e cinque giorni di reclusione; il [[19 luglio]] raggiunse il carcere di [[Turi]], in provincia di [[Bari]].
 
A fine agosto 1926 l'organizzazione semiclandestina del PCd'I cominciò a cadere sotto i colpi della polizia. Due corrieri vennero catturati a Pisa, e dai documenti sequestrati si ricostruì la rete illegale che portò all'arresto di Terracini il 12 settembre. Seguì la cattura di altre figure di spicco fra i quali Scoccimarro.<ref>{{Cita|Galli|pp. 132-133}}.</ref> In quel mese l'Ufficio politico dell'organizzazione, allarmato dalla repressione poliziesca, aveva concepito l'idea di dislocare il centro del Partito in Svizzera coordinato da Antonio Gramsci e Camilla Ravera, ed erano state messe in opera tutte le misure organizzative per questa operazione. Ma solo a fine ottobre il deputato sardo, dopo un'incursione della polizia che aveva perquisito la sua casa, pur senza grande convinzione si rassegnò all'idea di trasferirsi presto oltralpe.<ref>{{Cita|Amendola|pp. 114-115}}.</ref>
=== Il carcere ===
Fin da quando si trovava in carcere a [[Milano]], Gramsci era intenzionato a occuparsi «intensamente e sistematicamente di qualche soggetto» che lo «assorbisse e centralizzasse la ''sua'' vita interiore».<ref>Lettera a Tatiana Schlucht del 19 marzo 1927</ref> L'[[8 febbraio]] [[1929]], nel carcere di Turi, il detenuto 7.047 ottenne finalmente l'occorrente per scrivere e iniziò la stesura dei suoi «Quaderni del carcere».
[[File:Cella di Gramsci a Turi.JPG|thumb|left|200px|La cella di Gramsci a [[Turi]]]]
Il primo quaderno si apre proprio con una bozza di 16 argomenti, alcuni dei quali saranno abbandonati, altri inseriti e altri ancora svolti solo in parte. Caratteristico era il suo modo di lavorare: quasi tutti i giorni, per alcune ore, camminando all'interno della cella, rifletteva sulle frasi da scrivere e poi si chinava sul tavolino, scrivendo senza sedersi, un ginocchio appoggiato sullo sgabello, per riprendere a camminare e a pensare.<ref>G. Fiori, cit., cap. 26</ref>
 
La sera dell'8 novembre, a Roma, dopo avere partecipato a una riunione con altri deputati, Antonio Gramsci venne fermato e arrestato, insieme a tutti gli altri parlamentari del gruppo comunista.<ref>{{Cita|Fiori|p. 254}}.</ref> Sottovalutò la spregiudicatezza del regime che non esitò a calpestare l'immunità di cui godeva in qualità di deputato, e fu recluso a [[Carcere di Regina Coeli|Regina Coeli]] rimanendovi per più di due settimane;<ref>{{Cita|D'Orsi|pp. 264-265}}.</ref> poi venne trasferito a Ustica dove restò detenuto per quarantaquattro giorni.<ref>{{Cita|Fiori|pp. 257-258}}.</ref> Nell'isola ritrovò antifascisti lì relegati fra i quali Bordiga, che impartiva lezioni di francese ai confinati, ed [[Emilio Lussu]] con cui si intrattenne in lunghe passeggiate;<ref>{{Cita|Fiori, 1985|p. 190}}.</ref> gli venne in soccorso un amico del periodo torinese, Piero Sraffa, che aprì per Gramsci una linea di credito illimitata per l'acquisto di libri presso un negozio milanese, e la lettura alleviò lo stato del prigioniero.<ref>{{Cita|Fiori|p. 258}}.</ref> A gennaio del 1927 fu ordinato il suo trasferimento a Milano nel [[carcere di San Vittore]]. Il viaggio verso la nuova destinazione durò diciannove giorni e fu un incubo per le condizioni in cui si trovò a vivere il dirigente comunista, tenuto febbricitante in catene e al freddo; e questi maltrattamenti concorsero a deteriorare la già precaria salute di Gramsci che per il resto della vita sarebbe stato perseguitato dal ricordo di quel tormento.<ref>{{Cita|Giacomini|pp. 23-25}}.</ref> Nella prigione del capoluogo lombardo fu raggiunto dalla cognata [[Tatiana Schucht]]; dopo una degenza in clinica, la donna cominciò a visitare periodicamente il detenuto che viveva incarcerato in condizioni rigide, dovendosi anche guardare da provocatori al soldo della [[OVRA|polizia fascista]].<ref>{{Cita|Fiori|pp. 260-265}}.</ref>
A fare da tramite tra Gramsci ed il mondo esterno, ed in particolare con [[Piero Sraffa]] e tramite questi col Pcus ed il PCdI, fu la cognata [[Tatiana Schucht]], essendo la moglie di Gramsci tornata in Urss.
 
Nel tardo 1927 intercorsero fra il governo dell'URSS e il Vaticano dei contatti che, oltre a riguardare il rapporto fra regime bolscevico e libertà di culto, vertevano sulla proposta sovietica della liberazione di Gramsci e di Terracini attraverso lo scambio dei due dirigenti comunisti con altrettanti sacerdoti cattolici rinchiusi nelle prigioni russe. Le trattative furono condotte dai rappresentanti sovietici con Mons. Eugenio Pacelli, primo nunzio della Santa Sede a Berlino e futuro Papa Pio XII,<ref>{{Cita|Fabre|pp. 20-115}}.</ref> ma gli sforzi si arenarono a causa di omissioni, diffidenze e ostruzionismi da parte di certi ambienti vaticani che, forti anche della contrarietà di Mussolini all’operazione, sabotarono i negoziati interrompendone la prosecuzione.<ref>{{Cita|Fabre|pp. 105-116 e 151}}.</ref> Tale chiusura provocò da parte dell'URSS irrigidimento e prevedibili ritorsioni,<ref>{{Cita|Fabre|pp. 118-120}}.</ref> oltre a stupore per la decisione, anche alla luce di altri scambi avvenuti segretamente nel recente passato e che si erano conclusi con il rilascio di italiani detenuti nelle carceri sovietiche.<ref>{{Cita|Fabre|pp. 105 e 126-133}}.</ref> Sul fallimento pesarono anche responsabilità del PCd'I: l'Esecutivo del Partito italiano faticava a riconoscere Gramsci come "capo", e per superficialità fornì a Mosca informazioni approssimative e talora fuorvianti sul dirigente sardo. Secondo qualche ricostruzione storica, nella vicenda Gramsci commise lo sbaglio di ricorrere alla mediazione vaticana invece di affidare ai sovietici il compito di interloquire con Mussolini.<ref>{{Cita|Fabre|pp. 153-156}}.</ref> Nonostante le divergenze politiche fra Gramsci e Togliatti, toccò a quest’ultimo tratteggiare la figura di primissimo piano del compagno incarcerato, sottolineandone la qualifica di “capo”; Togliatti lo rimarcò sulla rivista ''Lo Stato operaio'' in un articolo intitolato ''Antonio Gramsci, un capo della classe operaia''.<ref>{{Cita|D'Orsi|p. 278}}.</ref>
Intanto, il VI Congresso dell'[[Internazionale comunista]], tenutosi a Mosca dal luglio al settembre [[1928]], aveva stabilito l'impossibilità di accordi con la socialdemocrazia, che veniva anzi assimilata allo stesso fascismo. Era la tesi di [[Stalin]] il quale, liquidata l'opposizione di [[Trotskij]], eliminava anche l'influenza di [[Bucharin]] che, già suo alleato contro la sinistra di Trotskij, era rimasto il suo principale oppositore da destra. Al nuovo orientamento dell'Internazionale, riaffermato nel X Plenum del Comitato esecutivo nel luglio 1929, dovevano adeguarsi i Partiti nazionali, espellendo, se necessario, i dissidenti. Il Partito comunista d'Italia si adeguò alle scelte dell'Internazionale, espellendo [[Angelo Tasca]] in settembre e in successione, ma con l'accusa di trotskismo, prima [[Bordiga]], poi, nell'aprile del [[1930]], [[Alfonso Leonetti]], [[Pietro Tresso]] e [[Paolo Ravazzoli]].
 
[[File:Tribunal (2035190333).jpg|thumb|upright=1.1|Palazzo un tempo sede del Tribunale Speciale]]
Gramsci teneva, durante l'ora d'aria, dei "colloqui-lezioni" con i compagni di partito: non esistono dirette testimonianze delle opinioni espresse da Gramsci riguardo alla «svolta» politica del movimento comunista, ma può costituire un indiretto riferimento un rapporto che un suo compagno di carcere, Athos Lisa, amnistiato nel [[1933]], inviò subito al Centro estero comunista.<ref>Pubblicato in «Rinascita», 12 dicembre 1964</ref> Secondo quella relazione, Gramsci riferì la teoria della necessità dell'alleanza fra operai del Nord e contadini meridionali che già stava elaborando nei suoi ''Quaderni'': «L'azione per la conquista degli alleati diviene per il proletariato cosa estremamente delicata e difficile. D'altra parte, senza la conquista di questi alleati, è precluso al proletariato ogni serio movimento rivoluzionario». Qui s'intende che il proletariato - la classe operaia - debba allearsi con i contadini e la piccola borghesia: «Se si tiene conto delle particolari condizioni nei limiti delle quali va visto il grado di sviluppo politico degli strati contadini e piccoli borghesi in Italia, è facile comprendere come la conquista di questi strati sociali comporti per il partito una particolare azione [...]»
 
Il processo si svolse a Roma il 28 maggio 1928; il [[Tribunale speciale per la difesa dello Stato (1926-1943)|Tribunale speciale]], da poco istituito, agì in spregio alle norme del diritto applicando la legge speciale con effetto retroattivo, e il 4 giugno emise una sentenza di colpevolezza nei confronti dei tre principali esponenti del PCd'I, Gramsci, Terracini e Scoccimarro, condannando i tre dirigenti a pesanti pene detentive.<ref>{{Cita|Amendola|p. 141}}.</ref> Insieme a loro, subirono condanne altri diciannove oppositori del fascismo: fra di loro [[Giovanni Roveda]], oltre a [[Enrico Ferrari]], [[Ezio Riboldi]], [[Igino Borin]], e [[Luigi Alfani]], parlamentari eletti democraticamente ma per rappresaglia fatti decadere dal regime.<ref>{{Cita|Fiori|p. 266}}.</ref>
«La lotta per la conquista diretta del [[potere]] è un passo al quale questi strati sociali potranno solo accedere per gradi [...] il primo passo attraverso il quale bisogna condurre questi strati sociali è quello che li porti a pronunciarsi sul problema istituzionale e costituzionale. L'inutilità della [[Monarchia|Corona]] è ormai compresa da tutti i lavoratori [...] a questo obiettivo deve improntarsi la tattica del partito senza tema di apparire poco rivoluzionario. Deve fare sua prima degli altri partiti in lotta contro il fascismo la parola d'ordine della [[Costituente]]». Ma l'azione del partito «deve essere intesa a svalutare tutti i programmi di riforma pacifica dimostrando alla classe lavoratrice come la sola soluzione possibile in Italia risieda nella rivoluzione proletaria».
 
La prima destinazione del condannato era [[Porto Azzurro|Portolongone]], sull'isola d'Elba, ma una visita medica accertò le sue precarie condizioni e perciò venne assegnato alle prigioni di [[Turi]] dove cominciò a scontare la condanna a oltre venti anni di prigionia che gli era stata inflitta; durante i primi anni di detenzione elaborò mentalmente uno schema di lavoro che riguardasse lo studio e l'esposizione sugli intellettuali italiani, la linguistica comparata, Pirandello e infine i romanzi d'appendice. All'inizio di febbraio del 1929 a Gramsci fu concesso di scrivere, e questo poté impegnarlo in un'attività sistematica di elaborazione concettuale secondo quel piano già preordinato; il prigioniero ricevette il materiale per cominciare a stendere quelli che poi sarebbero diventati i ''[[Quaderni del carcere]]''.<ref>{{Cita|Fiori|pp. 270-272}}.</ref> Ma col tempo le sue condizioni, pur alleviate dalla presenza premurosa della cognata Tatiana, si fecero sempre più dure dal punto di vista clinico, personale, familiare e politico. La sua salute cagionevole era peggiorata dalla depressione dovuta alle lettere rade e saltuarie che gli pervenivano dalla moglie Giulia;<ref>{{Cita|Fiori|pp. 285-287}}.</ref> e le comunicazioni con il centro del Partito erano problematiche, talvolta rese ancora più confuse da informazioni contraddittorie.<ref>{{Cita|Spriano, 1977|pp. 48-49}}.</ref>
La richiesta di una Costituente, e dunque di un'iniziativa politica che si ponesse obiettivi intermedi, avrebbe comportato necessariamente una convergenza, per quanto temporanea, con altre forze antifasciste, e se è difficile considerare tale linea politica come «socialdemocratica», durante le discussioni nel cortile del carcere qualche suo compagno arrivò a sostenere che egli era ormai fuori del Partito comunista: probabilmente le reazioni di alcuni «erano esasperate dal clima di detenzione» ma certo le posizioni di Gramsci dovevano apparire «in contrasto con la linea politica indicata in quegli anni dal Partito comunista».<ref>In «Rinascita», cit.</ref>
 
===La solitudine del carcerato===
Dal [[1931]] Gramsci, oltre al [[morbo di Pott]] di cui soffriva fin dall'infanzia, fu colpito da [[arteriosclerosi]] e poté così ottenere una cella individuale; cercò di reagire alla detenzione studiando ed elaborando le proprie riflessioni politiche, filosofiche e storiche, tuttavia le condizioni di [[salute]] continuarono a peggiorare e in agosto ebbe un'improvvisa e grave [[emorragia]].
 
[[File:AntonioCella di Gramsci Gravea in Rome01Turi.jpgJPG|thumb|left|210px|La tombacella di Gramsci a Turi]]
Anche la moglie Giulia, in [[Russia]], era sofferente di una seria forma di depressione e rare erano le sue lettere al marito che, all'oscuro dei motivi dei suoi lunghi silenzi, sentiva crescere intorno a sé il senso di un opprimente isolamento. Scriveva alla cognata: «Non credere che il sentimento di essere personalmente isolato mi getti nella disperazione [...] io non ho mai sentito il bisogno di un apporto esteriore di forze morali per vivere fortemente la mia vita [...] tanto meno oggi, quando sento che le mie forze volitive hanno acquistato un più alto grado di concretezza e di validità. Ma mentre nel passato mi sentivo quasi [[orgoglio]]so di sentirmi isolato, ora invece sento tutta la meschinità, l'aridità, la grettezza di una vita che sia esclusivamente volontà».<ref>Lettera a Tatiana Schucht, 3 agosto 1931</ref>
 
Gramsci, detenuto a San Vittore in attesa del processo, nel marzo del 1928 aveva ricevuto una lettera da parte di Ruggero Grieco, missiva che violava la regola interna al PCd'I clandestino di non interagire "in chiaro" su questioni politiche con i prigionieri e il cui contenuto ha generato nel tempo fra gli storici diverse ipotesi di differente natura, fino a congetturare la mano dalla polizia fascista.<ref>{{Cita|Canfora|pp. 48-51}}.</ref> Comunque si interpreti la genesi, lo scritto di Grieco faceva emergere il ruolo di Gramsci quale leader del Partito e pertanto nei fatti trasformava il capo di accusa da "sedizione" e istigazione alla "guerra civile" in "cospirazione contro i poteri dello Stato", imputazione che aggravava la natura del reato e che quindi aumentava la pena.<ref>{{Cita|Fabre|p. 167}}.</ref> Il dirigente comunista per anni si arrovellò sulle motivazioni di questa strana, irrituale comunicazione che, anche a parere del giudice istruttore, lo metteva in cattiva luce; e arrivò a supporre che si potesse anche trattare di un tradimento da parte di qualche suo compagno di partito, forse a causa delle critiche che egli aveva rivolto alla dirigenza sovietica nel 1926.<ref>{{Cita|Spriano, 1977|pp. 27-37}}.</ref>
Quando la madre morì, il [[30 dicembre]] [[1932]], i famigliari preferirono non informarlo; il [[7 marzo]] [[1933]] ebbe una seconda grave crisi, con allucinazioni e deliri. Si riprese a fatica, senza farsi illusioni sul suo immediato futuro: «Fino a qualche tempo fa io ero, per così dire, [[pessimismo|pessimista]] con l'[[intelligenza]] e [[ottimismo|ottimista]] con la [[volontà]] [...] Oggi non penso più così. Ciò non vuol dire che abbia deciso di arrendermi, per così dire. Ma significa che non vedo più nessuna uscita concreta e non posso più contare su nessuna riserva di forze».<ref>Lettera a Tatiana Schucht, 29 maggio 1933</ref>
 
Dal 3 al 19 luglio 1928 si era tenuto a Mosca il [[VI Congresso dell'Internazionale Comunista]]. La relazione iniziale sanciva la "fascistizzazione" della socialdemocrazia e pertanto veniva introdotta la parola d'ordine del "[[socialfascismo]]", riaffermato nel X Plenum del Comitato esecutivo nel luglio 1929,<ref>{{Cita|Spriano, 1976 (2)|pp. 212-213}}.</ref> con ripercussioni negative in quei Partiti Comunisti non pienamente ortodossi.{{#tag:ref|Nei giorni in cui si teneva il Congresso, Togliatti aveva tentato senza successo una strada per la liberazione di Gramsci, proponendo a Bucharin la richiesta all'Italia della scarcerazione. Tale richiesta avrebbe dovuto provenire dall'equipaggio del Krassin, il rompighiaccio sovietico che aveva tratto in salvo dal Polo Nord una parte dei membri appartenenti alla spedizione [[Umberto Nobile|Nobile]].<ref>{{Cita|Spriano, 1977|p. 42}}.</ref> La lettera a Bucharin, redatta in francese, è riportata a p. 145 della stessa fonte.|group=E}} Nel 1930 il PCd'I fu scosso dall'espulsione di Bordiga e poi, in obbedienza alla "svolta", vennero cacciati dapprima Tasca e successivamente Alfonso Leonetti, [[Pietro Tresso]] e [[Paolo Ravazzoli]]<ref>{{Cita|Spriano, 1976 (2)|pp. 227, 256, 258-260}}.</ref> e insieme a loro [[Ignazio Silone]].<ref>{{Cita|Pons|p. 51}}.</ref> Queste misure disciplinari contrastavano in maniera stridente con quei rapporti umani e politici che Gramsci aveva contribuito grandemente a instaurare nelle relazioni fra compagni di lotta, seppure dissenzienti;<ref>{{Cita|Terracini, 1978|p. 88}}.</ref> e il dirigente sardo dalla prigionia rigettò le interpretazioni meccaniche delle vicende interne al partito russo che si volevano applicare a partiti di altre nazioni,<ref>{{Cita|Spriano, 1976 (2)|p. 191}}.</ref> dichiarandosi in netto dissenso rispetto alla svolta sancita dal VI Congresso,<ref>{{Cita|Spriano, 1977|p. 60}}.</ref> e richiamandosi invece all'ipotesi tattica elaborata dal Comintern nel 1921 che prevedeva l'unità di tutti i partiti della classe operaia in lotta contro il capitalismo – posizione che lo stesso Gramsci, in una fase precedente, non aveva condiviso.<ref>{{Cita|Anderson|pp. 15-16}}.</ref> Ma in un periodo di acritica accettazione delle teorizzazioni staliniane le sue chiare posizioni (così come quelle di Terracini) contro la dottrina del socialfascismo gli costarono freddezza e distacco politico e umano da parte delle nuove leve allineate alla dirigenza sovietica, e all'interno della prigione con i compagni di partito.<ref>{{Cita|Pons|pp. 51-52}}.</ref>{{#tag:ref|Secondo quanto scrive [[Elio Vittorini]], in un'occasione il dirigente sardo fu tacciato di "intellettualismo" dai suoi compagni di partito.<ref>In {{Cita|Ajello|p. 104}}.</ref> Una testimonianza riporta che a volte, per denigrarlo, «gli davano perfino del gobbo».<ref>In {{Cita|Fabre|p. 278}}.</ref>|group=E}} Fra i motivi di contrasto con i comunisti incarcerati risiedeva l'idea gramsciana secondo la quale era velleitario pensare – come faceva il PCd'I in quel passaggio storico – che al collasso del fascismo avrebbe fatto seguito la rivoluzione; secondo il leader sardo, invece, si sarebbe dovuto procedere attraverso lo stadio intermedio di una "fase Costituente" da portare avanti insieme alle formazioni non comuniste.<ref>{{Cita|Fabre|pp. 260-263}}.</ref>{{#tag:ref|Lo stesso Gramsci si rendeva conto del carattere eterodosso della sua proposta, tanto da definirla un “cazzotto nell'occhio” per tutti quelli che aderivano alle correnti dottrine staliniane.<ref>{{Cita|Rossi|pp. 17-18}}.</ref>|group=E}}
Eppure lo stesso [[codice penale]] dell'epoca, all'art. 176, prevedeva la concessione della libertà condizionata ai carcerati in gravi condizioni di salute. A [[Parigi]] si costituì un comitato, di cui fecero parte, fra gli altri, [[Romain Rolland]] e [[Henri Barbusse]], per ottenere la liberazione sua e di altri detenuti politici, ma solo il [[19 novembre]] Gramsci venne trasferito nell'infermeria del carcere di [[Civitavecchia]] e poi, il [[7 dicembre]], nella clinica del dottor Cusumano a [[Formia]], sorvegliato in camera e all'esterno. Il [[25 ottobre]] [[1934]] Mussolini accolse finalmente la richiesta di libertà condizionata, ma Gramsci non rimase libero nei suoi movimenti, tanto che gli fu impedito di andare a curarsi altrove, perché il governo temeva una sua fuga all'estero; solo il [[24 agosto]] [[1935]] poté essere trasferito nella clinica "Quisisana" di [[Roma]]. Vi giunse in gravi condizioni: oltre al morbo di Pott e all'arteriosclerosi, soffriva di [[ipertensione]] e di [[gotta]].
 
[[File:Gramsci foto segnaletica.jpg|thumb|upright=1.3|Foto segnaletica di Gramsci del 1933]]
Il [[21 aprile]] [[1937]] Gramsci passò dalla libertà condizionata alla piena libertà, ma era ormai in gravissime condizioni: morì all'alba del [[27 aprile]], a quarantasei anni, di [[emorragia cerebrale]], nella stessa clinica Quisisana. [[Cremazione|Cremato]], il giorno seguente si svolsero i funerali, cui parteciparono soltanto il fratello Carlo e la cognata Tatiana: le ceneri, inumate nel [[cimitero del Verano]], furono trasferite, dopo la [[Resistenza italiana|Liberazione]], nel [[Cimitero acattolico di Roma]].<ref>Una suora sostenne, senza ricevere credito, che Gramsci si sarebbe convertito al cattolicesimo in punto di morte: [http://www.corriere.it/politica/08_novembre_25/gramsci_vaticano_f0d29082-bb07-11dd-9330-00144f02aabc.shtml]</ref>
 
Nonostante il suo stato emotivo, al fine di concorrere alla formazione di quadri dirigenti immuni da posizioni settarie, verso la fine del 1930 Gramsci prese la decisione di iniziare una serie di lezioni di educazione politica rivolta ai compagni di prigionia da tenersi nell'ora d'aria, ma ne ricavò delusione e amarezza: non solo si trovò a fronteggiare posizioni di meccanicismo astratto, ma in taluni casi fu anche oggetto di forte dissenso politico e persino di scherno personale e dell'accusa di godere di immotivati privilegi. Perciò dopo un paio di settimane il dirigente comunista concluse il corso, e l'accoramento per l'occasione sprecata lo indusse a isolarsi.<ref>{{Cita|Fiori|pp. 292-298}}.</ref> A seguito delle sue posizioni contrarie alle conclusioni del VI Congresso, Gramsci venne emarginato dal collettivo del carcere di Turi, e quantunque nei suoi confronti non furono mai presi provvedimenti di espulsione dal Partito la sua figura era vista con sospetto e considerata ai margini, se non ormai al di fuori dell'organizzazione; in obbedienza allo stalinismo, il settarismo e il dogmatismo erano subentrati al dibattito, al ragionamento e al pensiero critico.<ref>{{Cita|Terracini, 1978|pp. 99-108}}.</ref> Nel suo isolamento, per qualche mese fu confortato dalla solidarietà di un altro detenuto, il socialista [[Sandro Pertini]]: dopo un primo scambio polemico, si instaurò fra i due antifascisti un rapporto di empatia che fece ingelosire i detenuti comunisti convincendoli dell'eresia e del tradimento di cui era colpevole il carcerato sardo.<ref>{{Cita|D'Orsi|pp. 373-375}}.</ref><ref>{{Cita web|url=http://www.centropertini.org/biografia.htm|titolo=La vita di Sandro Pertini|editore=''Centro Culturale Sandro Pertini''|data=|accesso=25 gennaio 2022|autore=Mario Oppedisano|dataarchivio=30 settembre 2007|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20070930103728/http://www.centropertini.org/biografia.htm|urlmorto=sì}}</ref> Per affermare all'intero Partito l’autorevolezza del dirigente imprigionato e per difenderlo da critiche aspre e talvolta malevole dovette di nuovo intervenire con il suo prestigio Togliatti che nel 1931 impose il nome di Antonio Gramsci alla presidenza del [[IV Congresso del Partito Comunista d'Italia|IV Congresso del PCd'I]].<ref>{{Cita|Fabre|pp. 264 e 283}}.</ref>
== Opere ==
[[File:Tatiana Schucht.jpg|thumb|right|180px|Tatiana Schucht]]
I 33 ''Quaderni del carcere'', non destinati da Gramsci alla pubblicazione, contengono riflessioni e appunti elaborati durante la reclusione; iniziati l'[[8 febbraio]] [[1929]], furono definitivamente interrotti nell'[[agosto]] [[1935]] a causa della gravità delle sue condizioni di salute. Furono numerati, senza tener conto della loro [[cronologia]], dalla cognata Tatiana Schucht, che li affidò all'Ambasciata sovieticaa Roma da dove furono inviati a [[Mosca]] e, successivamente, consegnati a [[Palmiro Togliatti]].<ref>C. Daniele (a cura di), ''Togliatti editore di Gramsci'', Carocci, 2005, pp. 14-29</ref>.
 
Oltre alla precarietà della salute fisica e all'emarginazione politica, Gramsci era tormentato anche dalla lontananza di Giulia e dei loro due figli, rimasti in Russia. Le uniche consolazioni erano le lettere che intrecciava con la cognata Tatiana e quelle che mandava a Giulia o alla famiglia in Sardegna,<ref>{{Cita|Fiori|pp. 299-308}}.</ref> ma lo sbocco di sangue nella notte del 3 agosto 1931 fu un segnale preoccupante che allarmò Tatiana; Carlo Gramsci andò a trovare il fratello detenuto e così avrebbe voluto fare anche Sraffa a cui però le autorità opposero un rifiuto.<ref>{{Cita|Spriano, 1977|pp. 62-63}}.</ref> Gramsci viveva il proprio isolamento familiare e quello politico, la sua salute si aggravava ma la coerenza gli impediva di considerare qualsiasi ipotesi di domanda di grazia; il fermo rifiuto di presentare una supplica al Duce sottomettendosi al Fascismo e rinnegando i propri ideali costituirono un esempio di dignità e un incoraggiamento per i prigionieri politici del regime.<ref>{{Cita|Giacomini|pp. 147-160}}.</ref> Mentre le forze democratiche europee si battevano per la liberazione del dirigente comunista, la salute peggiorò seriamente; a seguito di una preoccupante relazione medica del prof. Arcangeli, chiamato da Tatiana Schucht per visitare il cognato, Gramsci lasciò Turi il 17 novembre 1933 e, sempre in stato di detenzione, il 7 dicembre fu ricoverato alla clinica Cusumano di [[Formia]],<ref>{{Cita|Spriano, 1977|pp. 62-75}}.</ref> sistemazione imposta da Mussolini che si rivelò inadeguata a curare i malanni del prigioniero.<ref>{{Cita|Giacomini|p. 183}}.</ref>
Dopo la fine della guerra i ''Quaderni'', curati dal dirigente comunista Felice Platone, furono pubblicati dall'editore Einaudi - unitamente alle sue ''Lettere dal carcere'' indirizzate ai famigliari - in sei volumi, ordinati per argomenti omogenei, con i titoli:
* Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, nel [[1948]]
* Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura, nel [[1949]]
* Il Risorgimento, nel [[1949]]
* Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo Stato moderno, nel [[1949]]
* Letteratura e vita nazionale, nel [[1950]]
* Passato e presente, nel [[1951]]
 
===Gli ultimi anni===
Nel [[1975]] i ''Quaderni'' furono pubblicati a cura di [[Valentino Gerratana]] secondo l'ordine cronologico della loro elaborazione. Sono stati raccolti in volume anche tutti gli articoli scritti da Gramsci nell'''[[Avanti!]]'', nel ''[[Grido del popolo]]'' e ne ''[[L'Ordine nuovo]]''.
 
Un nuovo tentativo per la scarcerazione di Gramsci ebbe luogo nel 1934. Questa volta l'operazione sottotraccia coinvolse le diplomazie italiana e sovietica, e i colloqui avvennero fra gli ambasciatori italiani a Mosca e i diplomatici russi. La richiesta sovietica si basava sul fatto che il detenuto era sposato con Giulia Schucht e aveva due figli, Delio e Giuliano, tutti e tre di nazionalità sovietica.<ref>{{Cita|Spriano, 1988|pp. 26-31}}.</ref> Come contropartita, il governo dell'URSS avrebbe mostrato disponibilità a far espatriare Antoinette Urusova, una principessa russa al momento relegata in Siberia a cui si interessava il Ministero degli Affari Esteri del governo italiano; successivamente, dalla Urusova l'interesse di Roma si spostò verso la liberazione dell'anarchico Alfonso Petrini, che aveva operato all'ambasciata di Mosca come delatore per conto della milizia fascista sugli emigrati italiani in Unione Sovietica e per questo condannato e mandato al confino. Nonostante l'impegno dei negoziatori italiani e sovietici, neppure questa richiesta andò a buon fine a causa del veto posto da Mussolini sul rilascio di Gramsci.<ref>{{Cita|Fabre|pp. 318-326}}.</ref>{{#tag:ref|Quando Petrini venne liberato dalle autorità sovietiche, trovò rifugio a Roma ottenendo qualche beneficio economico e una retribuzione in qualità di informatore della polizia.<ref>{{Cita|Fabre|p. 333}}.</ref>|group=E}} Alla sua liberazione non giovarono la campagna di stampa in suo favore condotta nel maggio del 1933 e ancor meno le iniziative pubbliche dell'inverno del 1934; quella che Sraffa definì una «pubblicità intempestiva dei dirigenti [''del PCd'I''] di Parigi» irritò Mussolini che inasprì i controlli polizieschi sul detenuto ricoverato a Formia temendone la sua fuga.<ref>{{Cita|Fabre|pp. 286 e 338-367}}.</ref>
Nel [[1977]] i Quaderni vengono citati anche da [[Leonardo Sciascia]] nel romanzo ''[[Candido, ovvero un sogno fatto in Sicilia]]''.
 
[[File:Antonio Gramsci Grave in Rome01.jpg|thumb|upright=0.9|La tomba di Gramsci]]
== Il pensiero di Gramsci ==
=== L'egemonia ===
{{Vedi anche|Egemonia culturale}}
Conquistare la maggioranza politica di un Paese vuol dire che le forze sociali, che di tale maggioranza sono espressione, ''dirigono'' la politica di quel determinato paese e ''dominano'' le forze sociali che a tale politica si oppongono: significa ottenere l'[[egemonia]].
 
In data 25 ottobre 1934 il leader comunista ottenne la libertà condizionale, rimanendo ricoverato nella clinica di Formia fino al 24 agosto 1935, quando fu trasferito alla clinica Quisisana di Roma. Per quanto le condizioni di spirito e il deperimento dell'organismo lo permettessero, leggeva libri, giornali e riviste e cercava di tenersi aggiornato sulle questioni sovietiche, ma le energie per scrivere erano assai ridotte.{{#tag:ref|Vittorio Puccinelli, il dottore che lo aiutò al trasferimento alla Quisisana, così lo ricorda: «Gramsci amava intrattenersi con noi medici su argomenti di carattere scientifico e dimostrava una profonda e vasta cultura. Possedeva un morale altissimo, pur sapendo benissimo d'esser quasi incurabile. Leggeva continuamente, stava quasi tutto il giorno sulla veranda della sua stanza e non scese mai in giardino dove gli era permesso sostare».<ref>Riportato in {{Cita|Fabre|p. 389}}.</ref>|group=E}} Era confortato dall'assistenza di Tatiana Schucht e da qualche visita di Sraffa; nel colloquio avuto con l'amico il 25 marzo 1937 emerse in Gramsci la decisione di espatriare in URSS una volta uscito dallo stato di prigionia, libertà prevista per il successivo 20 aprile.<ref>{{Cita|Spriano, 1977|pp. 81-93}}.</ref>
Vi è distinzione fra ''direzione'' - egemonia intellettuale e morale - e ''dominio'' - esercizio della forza repressiva: «Un gruppo sociale è dominante dei gruppi avversari che tende a liquidare o a sottomettere anche con la forza armata, ed è dirigente dei gruppi affini e alleati. Un gruppo sociale può e anzi deve essere dirigente già prima di conquistare il potere governativo (è questa una delle condizioni principali per la stessa conquista del potere); dopo, quando esercita il potere ed anche se lo tiene fortemente in pugno, diventa dominante ma deve continuare ad essere anche dirigente».<ref>Quaderni del carcere, ''Il Risorgimento'', p. 70</ref>
 
Il 25 aprile 1937, proprio nel giorno in cui sarebbero state sospese le misure di detenzione nei suoi confronti, Gramsci venne colpito da un'emorragia cerebrale, rimanendo semiparalizzato. La situazione apparve disperata ai medici che lo visitarono subito; un prete e alcune suore accorsero al capezzale del malato in fin di vita ma Tatiana fermò risolutamente l'intrusione affinché la tranquillità del moribondo non venisse turbata.{{#tag:ref|Alla fine degli anni settanta cominciò a circolare la voce secondo la quale Gramsci in punto di morte si sarebbe convertito alla fede cattolica. Tale affermazione venne però ritrattata dallo stesso religioso che l'aveva inavvertitamente messa in circolazione, chiamando a supporto della smentita l'allora cappellano della clinica Quisisana. Nonostante le chiare argomentazioni della rettifica, trent'anni dopo la medesima tesi fu riproposta da un altro sacerdote. Essendo priva di riscontri documentali e di prove testimoniali, la teoria della conversione di Gramsci non è mai stata avvalorata dagli storici.<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/11/27/antonio-gramsci-il-sacerdote-pentito.html|titolo=Antonio Gramsci e il sacerdote pentito|editore=''La Repubblica''|data=27 novembre 2008|accesso=17 giugno 2019|autore=S.Fio.}}</ref><ref>{{Cita web|url=https://www.corriere.it/politica/08_novembre_25/gramsci_vaticano_f0d29082-bb07-11dd-9330-00144f02aabc.shtml|titolo=Il Vaticano: «Gramsci trovò la fede»|editore=''Il Corriere della Sera''|data=25 novembre 2008|accesso=17 giugno 2019|autore=}}</ref><ref>{{Cita|Spriano, 1977|pp. 97-98, nota 1}}.</ref>|group=E}} Antonio Gramsci morì alle 4:10 del 27 aprile, assistito dalla cognata, che ebbe la lucidità di mettere in salvo i ''[[Quaderni del carcere|Quaderni]]'' portandoli all'ambasciata sovietica.<ref>{{Cita|Giacomini|pp. 264-265}}.</ref> Il funerale ebbe luogo il giorno successivo; sotto il temporale, la bara fu seguita da una carrozza con il fratello Carlo e la cognata Tatiana Schucht.<ref>{{Cita|Fiori|pp. 336-337}}.</ref> Il corpo fu cremato al [[Cimitero del Verano]],<ref>{{Cita|Amendola|p. 320}}.</ref> dove l'urna con le ceneri venne dapprima custodita per essere poi, nell'estate del 1938, trasferita a cura della cognata presso il [[Cimitero acattolico di Roma]].<ref>{{Cita|Giacomini|p. 274}}.</ref>{{#tag:ref|Sulla scorta delle dichiarazioni di Tatiana Schucht («[dopo l'ictus] parlava benissimo»), di quelle di Togliatti («La morte di lui rimane avvolta in un’ombra che la rende inspiegabile... soprattutto per il momento in cui è avvenuta») e di alcuni parenti stretti di Gramsci, e delle pratiche omicide del fascismo (Matteotti, Gobetti, [[Don Minzoni]], [[Nello Rosselli|Nello]] e [[Carlo Rosselli]] furono le vittime illustri, assassinate insieme a migliaia di antifascisti meno noti), lo storico Ruggero Giacomini propende per l’avvelenamento del dirigente comunista e non già per una morte dovuta a malattia.<ref>{{Cita|Giacomini|pp. 266-269}}.</ref>|group=E}}
La crisi dell'egemonia si manifesta quando, anche mantenendo il proprio ''dominio'', le classi sociali politicamente dominanti non riescono più a essere ''dirigenti'' di tutte le classi sociali, non riuscendo più a risolvere i problemi di tutta la collettività e a imporre la propria concezione del mondo. A quel punto, la classe sociale subalterna, se riesce a indicare concrete soluzioni ai problemi lasciati irrisolti dalla classe dominante, può diventare ''dirigente'' e, allargando la propria concezione del mondo anche ad altri strati sociali, può creare un nuovo «blocco sociale», cioè una nuova alleanza di forze sociali, divenendo egemone. Il cambiamento dell'esercizio dell'egemonia è un momento rivoluzionario che inizialmente avviene a livello della [[sovrastruttura]] - in senso marxiano, ossia politico, culturale, ideale, morale - ma poi trapassa nella società nel suo complesso, investendo anche la [[struttura]] economica, e dunque tutto il «blocco storico», termine che in Gramsci indica l'insieme della struttura e della sovrastruttura, ossia i rapporti sociali di produzione e i loro riflessi ideologici.
 
== Il pensiero ==
==== L'egemonia nella storia italiana ====
{{vedi anche|Pensiero di Antonio Gramsci}}
Analizzando la storia italiana e il [[Risorgimento]] in particolare, Gramsci rileva che l'azione della borghesia avrebbe potuto assumere un carattere rivoluzionario se avesse acquisito l'appoggio di vaste masse popolari, in particolare dei contadini, che costituivano la maggioranza della popolazione. Il limite della rivoluzione borghese in Italia consistette nel non essere capeggiata da un partito [[giacobino]], come in [[Francia]], dove le campagne, appoggiando la [[Rivoluzione francese|Rivoluzione]], furono decisive per la sconfitta delle forze della reazione aristocratica.
 
Il pensiero di Gramsci si distingue per la sua notevole originalità e autonomia, anche nell'interpretazione dei testi marxisti.<ref>{{Cita|Cerroni|pp. 88-89}}.</ref> Esse derivano anche dal divario di ordine storico e geografico del tempo che caratterizzava l'Italia e che Gramsci ebbe modo di conoscere: da un lato la Sardegna, in rappresenta della parte arretrata del Paese, dall'altro Torino, centro di un moderno capitalismo industriale, già allora abitata da una massa di immigrati di origine contadina che si erano trasformati in operai; e per effetto di ciò, il movimento dei lavoratori era composto sia da operai che da contadini. Di conseguenza, diversamente dai marxisti provenienti o dall'una realtà o dall'altra, il pensatore sardo dispone di un contesto originale che gli permette di penetrare gli aspetti di entrambi i quadri politici e culturali, e di cogliere i termini nei quali interagiscono reciprocamente.<ref>{{Cita|Hobsbawm|pp. 317-318}}.</ref>
[[File:Camillo Benso conte di Cavour.jpg|thumb|left|190px|[[Camillo Benso conte di Cavour|Cavour]]]]
Il partito politico italiano allora più avanzato fu il [[Partito d'Azione]] di [[Giuseppe Mazzini|Mazzini]] e [[Garibaldi]], che non seppe impostare il problema dell'alleanza delle forze borghesi progressive con la classe contadina: Garibaldi in [[Sicilia]] distribuì le terre demaniali ai contadini, ma gli stessi garibaldini repressero le rivolte contadine contro i baroni latifondisti. Per conquistare l'egemonia contro i moderati guidati da [[Camillo Benso conte di Cavour|Cavour]], il Partito d'Azione avrebbe dovuto «legarsi alle masse rurali, specialmente meridionali, essere giacobino [...] specialmente per il contenuto economico-sociale: il collegamento delle diverse classi rurali che si realizzava in un blocco reazionario attraverso i diversi ceti intellettuali legittimisti-clericali poteva essere dissolto per addivenire ad una nuova formazione liberale-nazionale solo se si faceva forza in due direzioni: sui contadini di base, accettandone le rivendicazione di base [...] e sugli intellettuali degli strati medi e inferiori».<ref>Quaderni del carcere, cit., p. 81</ref>
 
Si tratta di un'elaborazione che si è evoluta nel tempo, frutto dell'esperienza giovanile e delle letture e delle riflessioni del dirigente durante gli anni della sua lunga carcerazione nelle prigioni fasciste. Uno dei cardini risiede nello sviluppo del concetto di egemonia che si avvicina all'idea leniniana della dittatura del proletariato; con la differenza che Gramsci considera l'egemonia come preminenza della società civile su quella politica, mentre nella Russia di Lenin la società civile era debole e primitiva, perciò il primato viene dato alla società politica.<ref>{{Cita|Portelli|pp. 73-74}}.</ref> Nell'analisi gramsciana dovrà dunque essere un gruppo sociale in grado di influenzare e trasformare le coscienze e il modo di pensare dell'intera società,<ref>{{Cita|Gruppi|p. 13}}.</ref> e la lotta per l'egemonia ai fini del passaggio della classe operaia da subalterna in dominante dovrà precedere la presa del potere, e dovrà essere condotta anche durante e oltre quel determinato evento.<ref>{{Cita|Hobsbawm|pp. 327-328}}.</ref> Il processo sarà costituito attraverso una molteplicità di attività di carattere ideale e culturale tese a organizzare il più ampio consenso attorno ai propri valori, attività che vedono in posizione di direzione gli intellettuali<ref>{{Cita|Tortorella (1)|p. 92}}.</ref> – altro tema che si ritrova negli scritti gramsciani e che individua le figure che a vari livelli hanno assicurato il consenso degli strati subalterni alle classi dominanti.<ref>{{Cita|Gruppi|pp. 80-81}}.</ref> In prospettiva, entro questo quadro si dovrà muovere un partito – il moderno Principe che richiama il pensiero di [[Niccolò Machiavelli|Machiavelli]], fondatore della scienza politica moderna – che, come intellettuale collettivo, sappia realizzare una riforma morale e intellettuale,<ref>{{Cita|Tortorella (2)|pp. 117-118}}.</ref> sia strumento di direzione e di attuazione di un programma concreto, si colleghi con altri strati sociali nella consapevolezza della complessità della struttura sociale dei Paesi occidentali<ref>{{Cita|Natta|pp. 143-146}}.</ref> e sia politicamente attrezzato per passare da una battaglia di movimento a guerre di posizione che costituiscono la differenza fra il processo condotto in Russia e quello in Occidente nel raggiungere l'obiettivo rivoluzionario.<ref>{{Cita| Gruppi, 1977|p. 38}}.</ref>
Al contrario, i cavourriani seppero mettersi alla testa della rivoluzione borghese, assorbendo tanto i radicali che una parte dei loro stessi avversari. Questo avvenne perché i moderati cavourriani ebbero un rapporto organico con i loro intellettuali che erano proprietari terrieri e dirigenti industriali come i politici che essi rappresentavano. Le masse popolari restarono passive nel raggiunto compromesso fra i capitalisti del Nord e i latifondisti del Sud.
 
Gramsci indaga con acume la storia italiana passata e il suo presente, dedicando tempo all'analisi del Risorgimento ritenuto fattore storico positivo di modernizzazione dell'Italia e di allineamento alle culture europee, pur egemonizzato da forze moderate alle quali le forze di azione non hanno saputo contrapporre un'organizzazione di massa né coagulare e mobilitare le forze contadine del Mezzogiorno.<ref>{{Cita|Galasso|pp. 125-128}}.</ref> E, ancor prima della detenzione, analizza il regime fascista ritenendolo un fenomeno articolato, un'organizzazione reazionaria di massa su base nazionale che permette la direzione dei ceti medi pur nella complessità delle relazioni fra il regime repressivo e le forze della borghesia;<ref>{{Cita|Santarelli|pp. 28-31}}.</ref> con le contraddizioni derivanti dal fatto che se da un lato borghesia agraria e grande latifondo si alleano contro operai e contadini, tale saldatura taglia fuori la piccola borghesia urbana – fascia sociale su cui si basa inizialmente il fenomeno fascista.<ref>{{Cita|Togliatti, 1974|p. 38}}.</ref> Ma inizialmente sfugge a Gramsci – come a tutto il quadro dirigente del PCd'I appena formatosi – il carattere duraturo del fenomeno fascista che, mescolando nazionalismo e tratti di socialismo, sarà in grado di creare attorno ai suoi valori un consenso di massa.<ref>{{Cita|Pons|p. 20}}.</ref>
Il [[Piemonte]] assunse la funzione di classe dirigente, anche se esistevano altri nuclei di classe dirigente favorevoli all'unificazione: ma «questi nuclei non volevano ''dirigere'' nessuno, cioè non volevano accordare i loro interessi e aspirazioni con gli interessi e aspirazioni di altri gruppi. Volevano ''dominare'', non ''dirigere'' e ancora: volevano che dominassero i loro interessi, non le loro persone, cioè volevano che una forza nuova, indipendente da ogni compromesso e condizione, divenisse arbitra della Nazione: questa forza fu il Piemonte», che ebbe una funzione paragonabile a quella di un partito.
 
È condiviso l'influsso su Gramsci di [[Giovanni Gentile]] da parte di studiosi di vari orientamenti, tratto evidenziato fra gli altri da [[Diego Fusaro]],<ref>[[Diego Fusaro]], [https://books.google.it/books?id=IdgWEAAAQBAJ&pg=PT93#v=onepage&q&f=false ''Bentornato Gramsci''], La Nave di Teseo, 2021.</ref> da [[Antimo Negri]],<ref>[[Antimo Negri]], [https://books.google.it/books?newbks=1&newbks_redir=0&hl=it&id=GeE8AAAAYAAJ&dq=Sviluppi+e+incidenza+dell%E2%80%99attualismo&focus=searchwithinvolume&q=gramsci+gentilianesimo ''Giovanni Gentile: sviluppi e incidenza dell'attualismo'', pag. 20 e segg.], La Nuova Italia, 1975.</ref> e da [[Augusto Del Noce]]; secondo quest'ultimo, il pensatore sardo riprende l'impostazione [[immanenza|immanentistica]] gentiliana, ma scindendo la religione dalla filosofia.<ref>{{cita web|url=https://www.edu.lascuola.it/riviste/NS/NsRicerca/15-16/1605-09/Ghirmai.pdf|titolo=Giovanni Gentile e Antonio Gramsci|autore=Iohannes Ghirmai|rivista="Nuova Secondaria"|numero=9|data=maggio 2016|altri=anno XXXIII}}</ref>
«Questo fatto è della massima importanza per il concetto di ''rivoluzione passiva'', che cioè non un gruppo sociale sia il dirigente di altri gruppi, ma che uno Stato, sia pure limitato come potenza, sia il ''dirigente'' del gruppo che esso dovrebbe essere dirigente e possa porre a disposizione di questo un esercito e una forza politica-diplomatica». Che uno Stato si sostituisca ai gruppi sociali locali nel dirigere la lotta di rinnovamento «è uno dei casi in cui si ha la funzione di ''dominio'' e non di ''dirigenza'' di questi gruppi: [[dittatura]] senza [[egemonia]]».<ref>Quaderni del carcere, cit., pp. 106-107</ref> E dunque per Gramsci il concetto di egemonia si distingue da quello di dittatura: questa è solo dominio, quella è capacità di direzione.
 
Alla raccolta dei suoi scritti e del suo pensiero sono dedicati istituti a [[Fondazione Gramsci|Roma]], [[Istituto Gramsci Torino|Torino]], [[Fondazione Gramsci Emilia-Romagna|Bologna]], Palermo e Firenze.
==== Le classi subalterne ====
[[File:Gustave Courbet 040.jpg|thumb|right|230px|[[Gustave Courbet]], ''Lo spaccapietre'']]
Le classi subalterne - [[sottoproletariato]], [[proletariato]] urbano, rurale e anche parte della piccola borghesia - non sono unificate e la loro unificazione avviene solo quando giungono a dirigere lo Stato, altrimenti svolgono una funzione discontinua e disgregata nella storia della società civile dei singoli Stati, subendo l'iniziativa dei gruppi dominanti anche quando ad essi si ribellano.
 
== Opere ==
Il «blocco sociale», l'alleanza politica di classi sociali diverse, formato, in Italia, da industriali, proprietari terrieri, classi medie, parte della piccola borghesia, non è omogeneo, essendo attraversato da interessi divergenti, ma una politica opportuna, una cultura e un'ideologia o un sistema di ideologie impediscono che quei contrasti di interessi, permanenti anche quando siano latenti, esplodano provocando la crisi dell'ideologia dominante e la conseguente crisi politica dell'intero sistema di potere.
[[File:Antonio Gramsci - Quaderni 04 - "Nesso di problemi".jpg|thumb|La pagina di un quaderno di Gramsci]]
 
=== Opere scritte durante la prigionia ===
In Italia, l'esercizio dell'egemonia delle classi dominanti è ed è stata parziale: tra le forze che contribuiscono alla conservazione di tale blocco sociale è la [[Chiesa cattolica]], che si batte per mantenere l'unione dottrinale tra fedeli colti e incolti, tra ''intellettuali'' e ''semplici'', tra dominanti e dominati, in modo da evitare fratture irrimediabili che tuttavia esistono e che essa non è in realtà in grado di sanare, ma solo di controllare: «la Chiesa romana è sempre stata la più tenace nella lotta per impedire che ufficialmente si formino due religioni, quella degli intellettuali e quella delle ''anime semplici''», una lotta che ha fatto risaltare «la capacità organizzatrice nella sfera della cultura del clero» che ha dato «certe soddisfazioni alle esigenze della [[scienza]] e della [[filosofia]], ma con un ritmo così lento e metodico che le mutazioni non sono percepite dalla massa dei semplici, sebbene esse appaiano "rivoluzionarie" e [[demagogia|demagogiche]] agli "integralisti"».<ref>Quaderni del carcere, ''Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce'', p. 7-8</ref>
 
Le due opere più importanti di Gramsci sono:
Anche la dominante cultura d'impronta idealistica, esercitata dalle scuole filosofiche crociane e gentiliane, non ha «saputo creare una unità ideologica tra il basso e l'alto, tra i semplici e gli intellettuali», tanto che essa, anche se ha sempre considerato la religione una [[mitologia]], non ha nemmeno «tentato di costruire una concezione che potesse sostituire la religione nell'educazione infantile», e questi [[pedagogia|pedagogisti]], pur essendo non religiosi, non confessionali e [[ateismo|atei]], «concedono l'insegnamento della religione perché la religione è la filosofia dell'infanzia dell'umanità, che si rinnova in ogni infanzia non metaforica».<ref name=autogenerato1>Quaderni del carcere, cit., p. 8</ref> La cultura laica dominante utilizza la religione proprio perché non si pone il problema di elevare le classi popolari al livello di quelle dominanti ma, al contrario, intende mantenerle in una posizione di subalternità.
 
* ''[[Lettere dal carcere]]'' – 1926-1937. La prima edizione parziale, del 1947, conteneva 218 lettere. Edizioni sempre più ampie si susseguirono fino all'edizione critica del 2020, contenente 511 testi: {{Cita libro|titolo=Lettere dal carcere|altri=a cura di Francesco Giasi, con la collaborazione e i contributi di Maria Luisa Righi, Eleonora Lattanzi e Delia Miceli|edizione=Collezione [[i millenni|I Millenni]]|editore=Einaudi|città=Torino|anno=2020|isbn=978-88-062-4540-5|cid = Gramsci 2020}}
=== La coscienza di classe ===
* ''[[Quaderni del carcere]]'' – iniziati l'8 febbraio 1929, definitivamente interrotti nell'agosto 1935. La prima pubblicazione ebbe luogo nel dopoguerra a cura di Palmiro Togliatti e [[Felice Platone (1899)|Felice Platone]], nell'ambito di una complessiva edizione delle ''Opere di Antonio Gramsci'' per l'editore [[Giulio Einaudi Editore|Einaudi]]. I curatori ordinarono tematicamente le note di cui è composto il testo dei quaderni, raggruppandole in sei volumi:
[[File:Karl Marx.jpg|thumb|180px|[[Karl Marx]] ]]
** ''Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce'', pubblicato nel 1948
La frattura tra gli intellettuali e i semplici può essere sanata da quella politica che «non tende a mantenere i ''semplici'' nella loro filosofia primitiva del [[senso comune]], ma invece a condurli a una concezione superiore della vita». L'azione politica realizzata dalla «filosofia della prassi» - così Gramsci chiama il [[marxismo]], non solo per l'esigenza di celare quanto scrive alla repressiva censura carceraria - opponendosi alle culture dominanti della Chiesa e dell'idealismo, può condurre i subalterni a una «superiore concezione della vita. Se afferma l'esigenza del contatto tra intellettuali e semplici non è per limitare l'attività scientifica e per mantenere una unità al basso livello delle masse, ma appunto per costruire un blocco intellettuale-morale che renda politicamente possibile un progresso intellettuale di massa e non solo di scarsi gruppi intellettuali».<ref name=autogenerato4>Quaderni del carcere, cit., p. 11</ref> La via che conduce all'egemonia del proletariato passa dunque per una riforma culturale e morale della società.
** ''Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura'' (1949)
** ''Il Risorgimento'' (1949)
** ''Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo Stato moderno'' (1949)
** ''Letteratura e vita nazionale'' (1950)
** ''Passato e presente'' (1951)
 
Nel 1975, per [[Giulio Einaudi Editore|Einaudi]], i ''Quaderni'' sono stati ripubblicati in edizione critica, «ordinati secondo l'ordine cronologico di stesura ricostruito sulla base di riscontri oggettivi». Composta di tre volumi di testo più un quarto volume di apparato critico, è l'edizione di riferimento per gli studiosi.<ref>{{Cita|Gerratana|p. XXXV (Prefazione del curatore)}}.</ref>
Tuttavia ''l'uomo attivo di massa'' - cioè la classe operaia, - non è, in generale, consapevole né della funzione che può svolgere né della sua condizione reale di subordinazione, Il proletariato, scrive Gramsci, «non ha una chiara coscienza teorica di questo suo operare che pure è un conoscere il mondo in quanto lo trasforma. La sua coscienza teorica anzi può essere in contrasto col suo operare»; esso opera praticamente e nello stesso tempo ha una coscienza teorica ereditata dal passato, accolta per lo più in modo acritico. La reale comprensione critica di sé avviene «attraverso una lotta di ''egemonie'' politiche, di direzioni contrastanti, prima nel campo dell'[[etica]], poi della [[politica]] per giungere a una elaborazione superiore della propria concezione del reale». La coscienza politica, cioè l'essere parte di una determinata forza egemonica, «è la prima fase per una ulteriore e progressiva autocoscienza dove [[teoria]] e pratica finalmente si unificano».<ref name=autogenerato4 />
 
===Scritti precarcerari===
Ma autocoscienza critica significa creazione di un gruppo di intellettuali,organici alla classe, perché per distinguersi e rendersi indipendenti occorre organizzarsi, e non esiste organizzazione senza intellettuali, «uno strato di persone specializzate nell'elaborazione concettuale e filosofica».<ref name=autogenerato2>Quaderni del carcere, cit., p. 12</ref>
 
Gli scritti di Gramsci precedenti il suo arresto constano principalmente di articoli pubblicati su l{{'}}''[[Avanti!]]'', ''[[Il Grido del Popolo]]'', ''[[L'Ordine Nuovo]]'' e ''[[l'Unità]]'', raccolti in volume nel dopoguerra in varie edizioni.
=== Il partito politico ===
Già [[Niccolò Machiavelli|Machiavelli]] indicava nei moderni Stati unitari europei l'esperienza che l'Italia avrebbe dovuto far propria per superare la drammatica crisi emersa nelle guerre che devastarono la penisola dalla fine del [[XV secolo|Quattrocento]]. ''[[Il Principe]]'' di Machiavelli «non esisteva nella realtà storica, non si presentava al popolo italiano con caratteri di immediatezza obiettiva, ma era una pura astrazione dottrinaria, il simbolo del capo, del condottiero ideale; ma gli elementi passionali, mitici [...] si riassumono e diventano vivi nella conclusione, nell'invocazione di un principe ''realmente esistente''».<ref>Quaderni del carcere, ''Note sul Machiavelli'', pp. 3-4</ref>
 
Nell'ambito della sopra citata edizione delle ''Opere di Antonio Gramsci'', per Einaudi, videro la luce i seguenti volumi, a cura di [[Elsa Fubini]]:
[[File:Santi di Tito - Niccolo Machiavelli's portrait headcrop.jpg|thumb|right|210px|''Niccolò Machiavelli'']]
* {{cita libro|autore=|titolo=Scritti giovanili. 1914-1918|edizione=|anno=1958|editore=Einaudi|città=Torino|cid=Gramsci}}
In Italia non si ebbe una monarchia assoluta che unificasse la nazione perché dalla dissoluzione della borghesia comunale si creò una situazione interna ''economico-corporativa'', politicamente «la peggiore delle forme di società feudale, la forma meno progressiva e più stagnante: mancò sempre, e non poteva costituirsi, una forza ''giacobina'' efficiente, la forza appunto che nelle altre nazioni ha suscitato e organizzato la volontà collettiva nazional-popolare e ha fondato gli Stati moderni».<ref name=autogenerato3>Quaderni del carcere, cit., p. 7</ref>
* ''Sotto la Mole 1916-1920'', Torino, Einaudi, 1960
* ''L'Ordine Nuovo 1919-1920'', Torino, Einaudi, 1954
* ''Socialismo e fascismo. L'Ordine Nuovo 1921-1922'', Torino, Einaudi, 1966
* ''La costruzione del partito comunista 1923-1926'', Torino, Einaudi, 1971.
 
Una nuova edizione cronologica delle opere precarcerarie fu iniziata nel 1980, sempre per l'editore Einaudi; essa ricomprese molti scritti di nuova attribuzione e altri che erano usciti dopo il 1945 solo in antologie. Numerosi passi degli articoli di Gramsci, che erano stati oscurati dalla censura quando uscirono su periodici durante la prima guerra mondiale e nel primo dopoguerra, furono per la prima volta resi noti in questa edizione, la quale non fu però portata a termine, fermandosi (per quanto riguarda gli articoli) agli scritti del 1920<ref>{{Cita|Liguori-Meta 2005|pp. 44-45}}.</ref>. Fu anche pubblicata, nel 1992, una raccolta di tutte le lettere di Gramsci precedenti l'arresto note fino ad allora.
A questa forza progressiva si oppose in Italia la «''borghesia rurale'', eredità di parassitismo lasciata ai tempi moderni dallo sfacelo, come classe, della borghesia comunale». Forze progressive sono i gruppi sociali urbani con un determinato livello di cultura politica, ma non sarà possibile la formazione di una volontà collettiva nazionale-popolare, «se le grandi masse dei contadini lavoratori non irrompono simultaneamente nella vita politica. Ciò intendeva il Machiavelli attraverso la riforma della milizia, ciò fecero i giacobini nella [[Rivoluzione francese]]; in questa comprensione è da identificare un [[giacobinismo]] precoce del Machiavelli, il germe, più o meno fecondo, della sua concezione della rivoluzione nazionale».<ref name=autogenerato3 />
* ''Cronache torinesi 1913-1917'', premessa e cura di Sergio Caprioglio, pubblicato nel 1980
* ''La città futura 1917-1918'', a cura di Sergio Caprioglio (1982)
* ''Il nostro Marx 1918-1919'', a cura di Sergio Caprioglio (1984)
* ''L'Ordine nuovo 1919-1920'', avvertenza e cura di Valentino Gerratana e Antonio A. Santucci (1987)
*''Lettere 1908-1926'', avvertenza e cura di Antonio A. Santucci (1992).
 
===Antologie===
Modernamente, il ''Principe'' invocato dal Machiavelli non può essere un individuo reale, concreto, ma un organismo e «questo organismo è già dato dallo sviluppo storico ed è il partito politico: la prima cellula in cui si riassumono dei germi di volontà collettiva che tendono a divenire universali e totali»; il partito è l'organizzatore di una riforma intellettuale e morale, che concretamente si manifesta con un programma di riforma economica, divenendo così «la base di un [[laicismo]] moderno e di una completa laicizzazione di tutta la vita e di tutti i rapporti di costume».<ref name=autogenerato1 />
* {{Cita libro|autore=Antonio Gramsci|titolo=2000 pagine di Gramsci (Vol.I: Nel tempo della lotta; Vol.II: Lettere edite e inedite, 1912-1937)|altri=a cura di [[Niccolò Gallo]] e Giansiro Ferrata (supervisione di Mario Alicata)|editore=Il Saggiatore|città=Milano|anno=1964|cid = Gramsci 1964|ISBN=no}}
* {{cita libro|autore=Antonio Gramsci|titolo=La questione meridionale|anno=1966|curatore=[[Franco De Felice]] e [[Valentino Parlato]]|editore=Editori Riuniti|città=Roma|cid=|ISBN=no}}
* {{cita libro|autore=Antonio Gramsci|titolo=Scritti politici|anno=1967|curatore=[[Paolo Spriano]]|editore=Editori Riuniti|città=Roma|cid=|ISBN=no}}
* {{cita libro|autore=Antonio Gramsci|titolo=Sul fascismo|anno=1974|curatore=[[Enzo Santarelli]]|editore=Editori Riuniti|città=Roma|cid=Santarelli|ISBN=no}}
* {{cita libro|autore=Antonio Gramsci|titolo=Filosofia e politica. Antologia dei "Quaderni del carcere"|anno=1997|curatore=Franco Consiglio e Fabio Frosini|editore=La Nuova Italia|città=Firenze|cid=|ISBN=8822118618}}
 
Fra le antologie dei suoi scritti pubblicate postume, si annoverano alcune raccolte di fiabe e racconti che Gramsci scrisse o tradusse in carcere per i suoi figli:
Perché un partito esista, e diventi storicamente necessario, devono confluire in esso tre elementi fondamentali:<br />
* {{cita libro|autore=Antonio Gramsci|titolo=L'albero del riccio|anno=1966|curatore=|editore=Editori Riuniti|città=Roma|cid=|ISBN=no}}
1 - «Un elemento diffuso, di uomini comuni, medi, la cui partecipazione è offerta dalla disciplina e dalla fedeltà, non dallo spirito creativo ed altamente organizzativo [...] essi sono una forza in quanto c'è chi li centralizza, organizza, disciplina, ma in assenza di questa forza coesiva si sparpaglierebbero e si annullerebbero in un pulviscolo impotente»<br />
* {{cita libro|autore=Antonio Gramsci|titolo=Favole di libertà. Le fiabe dei fratelli Grimm tradotte in carcere|anno=2008|curatore=|editore=Robin|città=Roma|cid=|ISBN=9788873714095}}
2 - «L'elemento coesivo principale [...] dotato di forza altamente coesiva, centralizzatrice e disciplinatrice e anche, anzi forse per questo, ''inventiva'' [...] da solo questo elemento non formerebbe un partito, tuttavia lo formerebbe più che il primo elemento considerato. Si parla di capitani senza esercito, ma in realtà è più facile formare un esercito che formare dei capitani»<br />
3 - «Un elemento medio, che articoli il primo col secondo elemento, che li metta a contatto, non solo fisico, ma ''morale'' e ''intellettuale''».<ref>Quaderni del carcere, cit., pp. 23-24</ref>
 
===Edizione Gli intellettuali nazionale===
Posta sotto il patronato della Presidenza della Repubblica, è stata istituita nel 1996 l{{'}}''Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci'', ripartita in tre sezioni: ''Scritti 1910-1926''; ''Quaderni del carcere 1929-1935''; ''Epistolario 1906-1937''. L’editore dell’opera, in corso di pubblicazione, è l’[[Istituto dell'Enciclopedia italiana]]<ref>{{cita web|lingua=it|autore=|url=https://www.fondazionegramsci.org/edizione-nazionale-scritti-antonio-gramsci/|titolo=Edizione nazionale scritti Antonio Gramsci|data=|accesso=22 maggio 2023|dataarchivio=2 giugno 2023|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20230602131129/https://www.fondazionegramsci.org/edizione-nazionale-scritti-antonio-gramsci/|urlmorto=sì}}</ref>. A tutto il 2023 sono stati pubblicati i seguenti otto volumi<ref>{{cita web|lingua=it|autore=|url=https://www.fondazionegramsci.org/categoria/edizionenazionale/|titolo=Elenco volumi pubblicati|data=|accesso=22 maggio 2023|dataarchivio=22 maggio 2023|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20230522195840/https://www.fondazionegramsci.org/categoria/edizionenazionale/|urlmorto=sì}}</ref><ref>{{cita web|lingua=it|url=https://fondazionegramsci.org/in-evidenza/scritti-1918/|titolo=SCRITTI 1918|sito=fondazionegramsci.org|data=|accesso=20 settembre 2025}}</ref>:
Per Gramsci, tutti gli uomini sono intellettuali, dal momento che «non c'è attività umana da cui si possa escludere ogni intervento intellettuale, non si può separare l<nowiki>'</nowiki>''homo faber'' dall<nowiki>'</nowiki>''homo sapiens''»,<ref>Quaderni del carcere, ''Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura'', p.6</ref> in quanto, indipendentemente della sua professione specifica, ognuno è a suo modo «un filosofo, un artista, un uomo di gusto, partecipa di una concezione del mondo, ha una consapevole linea di condotta morale», ma non tutti gli uomini hanno nella società la funzione di intellettuali.
 
* {{Cita libro|titolo = Quaderni del carcere 1. Quaderni di traduzioni (1929-1932)|autore = Antonio Gramsci|curatore = Giuseppe Cospito e Gianni Francioni|altri=|editore = Istituto della Enciclopedia Italiana|città = Roma|anno = 2007|ISBN = |ignoraisbn=}}
Storicamente si formano particolari categorie di intellettuali, «specialmente in connessione coi gruppi sociali più importanti e subiscono elaborazioni più estese e complesse in connessione col gruppo sociale dominante». Un gruppo sociale che tende all'egemonia lotta «per l'assimilazione e la conquista ''ideologica'' degli intellettuali tradizionali [...] tanto più rapida ed efficace quanto più il gruppo dato elabora simultaneamente i propri intellettuali organici».<ref name=autogenerato3 />
* {{Cita libro|titolo = Epistolario 1. Gennaio 1906-Dicembre 1922|autore = Antonio Gramsci|curatore = David Bidussa, Francesco Giasi, Gadi Luzzatto Voghera e Maria Luisa Righi|altri=con la collaborazione di Leonardo Pompeo D'Alessandro, Benedetta Garzarelli, Eleonora Lattanzi, Luigi Manias e Francesco Ursini|editore = Istituto della Enciclopedia Italiana|città = Roma|anno = 2009|ISBN = |ignoraisbn=}}
* {{Cita libro|titolo = Epistolario 2. Gennaio-Novembre 1923|autore = Antonio Gramsci|curatore = David Bidussa, Francesco Giasi e Maria Luisa Righi|altri=con la collaborazione di Leonardo Pompeo D'Alessandro, Eleonora Lattanzi e Francesco Ursini|editore = Istituto della Enciclopedia Italiana|città = Roma|anno = 2011|ISBN = 8812000258|ignoraisbn=sì}}
* {{Cita libro|titolo = Scritti (1910-1926) 2. 1917|autore = Antonio Gramsci|curatore = Leonardo Rapone|altri=con la collaborazione di Maria Luisa Righi e il contributo di Benedetta Garzarelli|editore = Istituto della Enciclopedia Italiana|città = Roma|anno = 2015|ISBN = 8812005802|ignoraisbn=sì}}
* {{Cita libro|titolo = Documenti 1. Appunti di glottologia 1912-1913: un corso universitario di Matteo Bartoli redatto da Antonio Gramsci|autore = Antonio Gramsci|curatore = Giancarlo Schirru|editore = Istituto della Enciclopedia Italiana|città = Roma|anno = 2016|ISBN = 978-88-12-00597-0|ignoraisbn=sì}}
* {{Cita libro|titolo = Quaderni del carcere 2. Quaderni miscellanei (1929-1935)|autore = Antonio Gramsci|curatore = Giuseppe Cospito, Gianni Francioni e Fabio Frosini|editore = Istituto della Enciclopedia Italiana|città = Roma|anno = 2017|ISBN = 9788812006472|ignoraisbn=sì}}
* {{Cita libro|titolo = Scritti (1910-1926) 1. 1910-1916|autore = Antonio Gramsci|curatore = Giuseppe Guida e Maria Luisa Righi|editore = Istituto della Enciclopedia Italiana|città = Roma|anno = 2019|ISBN = 9788812008391}}
* {{Cita libro|titolo = Scritti (1910-1926) 3. 1918|autore = Antonio Gramsci|curatore = Leonardo Rapone e Maria Luisa Righi|editore = Istituto della Enciclopedia Italiana|città = Roma|anno = 2023|ISBN = 9788812011544}}
 
== Nella cultura di massa ==
L'intellettuale tradizionale è il letterato, il filosofo, l'artista e perciò, nota Gramsci, «i giornalisti, che ritengono di essere letterati, filosofi, artisti, ritengono anche di essere i ''veri'' intellettuali», mentre modernamente è la formazione tecnica a formare la base del nuovo tipo di intellettuale, un costruttore, organizzatore, persuasore - ma non assolutamente il vecchio oratore, formatosi sullo studio dell'eloquenza «motrice esteriore e momentanea degli affetti e delle passioni» - il quale deve giungere «dalla tecnica-lavoro alla tecnica-scienza e alla concezione umanistica storica, senza la quale si rimane ''specialista'' e non si diventa ''dirigente''».<ref>Quaderni del carcere, cit., p.7</ref>
 
Il cinema si è interessato ad Antonio Gramsci dedicandogli film in forma storica o documentaristica. Nel 1973 il filosofo sardo è stato fra i protagonisti de ''[[Il delitto Matteotti (film 1973)|Il delitto Matteotti]]'', per la regia di [[Florestano Vancini]].<ref>{{Cita web|lingua=|url=https://www.cinematografo.it/film/il-delitto-matteotti-cw7zucui|titolo=Il delitto Matteotti|sito=Cinematografo|data=|accesso=12 febbraio 2025|autore=}}</ref> Quattro anni dopo è uscito nelle sale ''[[Antonio Gramsci - I giorni del carcere]]'', diretto da [[Lino Del Fra]].<ref>{{Cita web|lingua=en|url=https://www.filmaffinity.com/en/film699003.html|titolo=Antonio Gramsci: The Days of Prison|sito=filmaffinity|data=|accesso=12 febbraio 2025|autore=}}</ref> [[Raffaele Maiello (regista)|Raffaele Maiello]] ha girato per la TV nel 1981 lo sceneggiato biografico ''[[Vita di Antonio Gramsci]]''.<ref>{{Cita web|lingua=|url=https://www.raiplay.it/programmi/vitadiantoniogramsci|titolo=Vita di Antonio Gramsci|sito=RAI|data=|accesso=12 febbraio 2025|autore=}}</ref> Nel 2005 è stato realizzato da Gabriele Morleo un cortometraggio con i prigionieri del carcere di Turi intitolato ''Gramsci, film in forma di rosa''.<ref>{{Cita web|lingua=|url=https://gabrielemorleo.weebly.com/cinema.html|titolo=Gabriele Morleo|sito=Gabriele Morleo - Cinema|data=|accesso=12 febbraio 2025|autore=}}</ref> I giorni della detenzione trascorsi a Ustica dal dirigente comunista sono rievocati nel film documentario del 2016 ''[[Gramsci 44]]'', del regista Emiliano Barbucci.<ref>{{Cita web|lingua=|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2016/01/23/gramsci-a-ustica-una-rivoluzione-lunga-44-giorni-che-segno-lisolaPalermo07.html|titolo=Gramsci a Ustica una rivoluzione lunga 44 giorni che segnò l’isola|sito=La Repubblica|data=23 gennaio 2016|accesso=12 febbraio 2025|autore=Amelia Crisantino}}</ref> Nel 2017, [[Daniele Maggioni]], Maria Grazia Perria e Laura Perini hanno diretto ''[[Nel mondo grande e terribile]]''. Il film, prodotto in collaborazione con l'Istituto Gramsci della Sardegna e con la [[Fondazione Gramsci]], è imperniato sulle ''[[Lettere dal carcere]]'' e sui ''[[Quaderni del carcere]]'' e ripercorre alcuni periodi dell’esistenza di Antonio Gramsci assieme alle sue riflessioni storiche, politiche e culturali.<ref>{{Cita web|lingua=|url=https://fondazionegramsci.org/mostre-e-spettacoli/nel-mondo-grande-e-terribile/|titolo=Nel mondo grande e terribile|sito=Fondazione Gramsci|data=|accesso=12 febbraio 2025|autore=}}</ref>
Il gruppo sociale emergente, che lotta per conquistare l'egemonia politica, tende a conquistare alla propria ideologia l'intellettuale tradizionale mentre, nello stesso tempo, forma i propri intellettuali organici. L'organicità degli intellettuali si misura con la maggiore o minore connessione con il gruppo sociale cui essi fanno riferimento: essi operano tanto nella società civile - l'insieme degli organismi privati in cui si dibattono e si diffondono le ideologie necessarie all'acquisizione del consenso, apparentemente dato spontaneamente dalle grandi masse della popolazione alle scelte del gruppo sociale dominante - quanto nella società politica, dove si esercita il «''dominio diretto'' o di comando che si esprime nello Stato e nel governo ''giuridico''». Gli intellettuali sono così «i ''commessi'' del gruppo dominante per l'esercizio delle funzioni subalterne dell'egemonia sociale e del governo politico, cioè: 1) del consenso ''spontaneo'' dato dalle grandi masse della popolazione all'indirizzo impresso alla vita sociale dal gruppo fondamentale dominante [...] 2) dell'apparato di coercizione statale che assicura ''legalmente'' la disciplina di quei gruppi che non ''consentono''».<ref>Quaderni del carcere, cit., p. 9</ref>
 
Il teatro ha preceduto il cinema nell'attenzione mostrata per Gramsci. Già nella stagione 1971-1972, è stato messo in scena ''Compagno Gramsci'', lavoro teatrale tratto dal testo di [[Maricla Boggio]] e [[Franco Cuomo]], per la regia di Maricla Boggio.<ref>{{Cita web|lingua=|url=http://www.mariclaboggio.it/pagine/schede/compagno_gramsci.html|titolo=Maricla Boggio – Compagno Gramsci|sito=Maricla Boggio|data=|accesso=12 febbraio 2025|autore=}}</ref> Nel 1975 è stato rappresentato ''Nonostante Gramsci'', ensemble di parole e musica, su testo di [[Adele Cambria]], che rilegge in chiave femminista i rapporti tenuti da Gramsci con Giulia, Eugenia e [[Tatiana Schucht]].<ref>{{Cita libro|titolo=Amore come rivoluzione|autore=Adele Cambria|editore=SugarCo|città=Milano|anno=1976|capitolo=Nonostante Gramsci|pp=207-269|ISBN=no}}</ref> L'opera ha avuto un allestimento anche a New York.<ref>{{Cita pubblicazione|titolo=Intervista a Adele Cambria|autore=Valentina Dolciotti|rivista=Divercity|numero=12|editore=Sestante Editore Srl.|città=Bergamo|data=1 settembre 2021|url=https://divercitymag.it/intervista-a-adele-cambria/|accesso=12 febbraio 2025}}</ref> Recentemente, nel 2022, [[Gad Lerner]] è venuto in possesso di tre inediti scolastici del liceale Gramsci e, in collaborazione con la collega Silvia Truzzi, ha portato sul palco l'anno seguente ''Il sogno di Gramsci'', spettacolo che esplora gli anni giovanili del futuro leader comunista.<ref>{{Cita web|url=https://www.teatro.it/spettacoli/gad-lerner-silvia-truzzi-il-sogno-di-gramsci|titolo=Il sogno di Gramsci|sito=teatro.it|accesso=12 febbraio 2025|autore=}}</ref>
Come lo Stato, nella società politica, tende a unificare gli intellettuali tradizionali con quelli organici, così nella società civile il partito politico, ancor più compiutamente e organicamente dello Stato, elabora «i propri componenti, elementi di un gruppo sociale nato e sviluppatosi come ''economico'', fino a farli diventare intellettuali politici qualificati, dirigenti, organizzatori di tutte le attività e le funzioni inerenti all'organico sviluppo di una società integrale, civile e politica».<ref name=autogenerato2 /> Il compito della “riforma intellettuale e morale” non potrà che essere ancora degli intellettuali organici, non cristallizzati, che la determineranno e organizzeranno, adeguando la cultura anche alle sue funzioni pratiche, addivenendo a una nuova organizzazione della cultura. Il partito comunista si pone, per Gramsci, come sintesi attiva di questo processo: intellettuale collettivo di avanguardia, la direzione politica di classe lotterà per l’egemonia. Il partito comunista, per Gramsci, è intellettuale collettivo; e l’intellettuale comunista è organico alla classe e dunque a questo collettivo perché fa parte del blocco storico-sociale che deve costruire il nuovo mondo.
 
Il dirigente sardo è anche rievocato in due brani musicali: ''Quello lì (compagno Gramsci)'', canzone di [[Claudio Lolli]] del 1973 contenuta nell'album ''[[Un uomo in crisi. Canzoni di morte. Canzoni di vita]]'',<ref>{{Cita web|lingua=|url=https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?id=35149&lang=it|titolo=Quello lì (compagno Gramsci)|sito=Canzoni contro la guerra|data=|accesso=12 febbraio 2025|autore=}}</ref> e ''Nino'', pezzo dei [[Gang (gruppo musicale)|Gang]] che fa parte dell'album ''[[Sangue e cenere]]''.<ref>{{Cita web|url=https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?lang=it&id=49154|titolo=Nino - Gang|sito=''canzoni contro la guerra''|data=|accesso=19 marzo 2025|autore=}}</ref>
=== La letteratura nazionale-popolare ===
Pur essendo sempre stati legati alle classi dominanti, ottenendone spesso onori e prestigio, gli intellettuali italiani non si sono mai sentiti organici, hanno sempre rifiutato, in nome di un loro astratto [[cosmopolitismo]], ogni legame con il [[popolo]], del quale non hanno mai voluto riconoscere le esigenze né interpretare i bisogni culturali.
 
In molte lingue - in russo, in tedesco, in francese - il significato dei termini «nazionale» e «popolare» coincidono: «in Italia, il termine ''nazionale'' ha un significato molto ristretto ideologicamente e in ogni caso non coincide con ''popolare'', perché in Italia gli intellettuali sono lontani dal popolo, cioè dalla ''nazione'' e sono invece legati a una tradizione di [[casta]], che non è mai stata rotta da un forte movimento popolare o nazionale dal basso: la tradizione è libresca e astratta e l'intellettuale tipico moderno si sente più legato ad [[Annibal Caro]] o a [[Ippolito Pindemonte]] che a un contadino pugliese o siciliano».<ref>Quaderni del carcere, ''Letteratura e vita nazionale'', p. 127</ref>
 
Dall'[[XIX secolo|Ottocento]], in [[Europa]], si è assistito a un fiorire della letteratura popolare, dai romanzi di appendice del [[Eugène Sue|Sue]] o di [[Pierre Alexis Ponson du Terrail|Ponson du Terrail]], ad [[Alexandre Dumas (padre)|Alexandre Dumas]], ai racconti polizieschi inglesi e americani; con maggior dignità artistica, alle opere del [[G. K. Chesterton|Chesterton]] e di [[Charles Dickens|Dickens]], a quelle di [[Victor Hugo]], di [[Émile Zola]] e di [[Honoré de Balzac]], fino ai capolavori di [[Fëdor Michailovič Dostoevskij]] e di [[Lev Tolstoj]]. Nulla di tutto questo in Italia: qui la letteratura non si è diffusa e non è stata popolare, per la mancanza di un blocco nazionale intellettuale e morale tanto che l'elemento intellettuale italiano è avvertito come più straniero degli stranieri stessi. Fa eccezione, per Gramsci, il melodramma, che ha tenuto in qualche modo in Italia il ruolo nazionale-popolare sostenuto altrove dalla letteratura.
 
[[File:Francesco Hayez 040.jpg|thumb|right|180px|Alessandro Manzoni ritratto da [[Francesco Hayez]]]]
Il pubblico italiano cerca la sua letteratura all'estero perché la sente più ''sua'' di quella nazionale: è questa la dimostrazione del distacco, in Italia, fra pubblico e scrittori: «Ogni popolo ha la sua letteratura, ma essa può venirgli da un altro popolo [...] può essere subordinato all'egemonia intellettuale e morale di altri popoli. È questo spesso il paradosso più stridente per molte tendenze monopolistiche di carattere nazionalistico e repressivo: che mentre si costruiscono piani grandiosi di egemonia, non ci si accorge di essere oggetto di egemonie straniere; così come, mentre si fanno piani imperialistici, in realtà si è oggetto di altri imperialismi». Hanno fallito nel compito di elaborare la coscienza morale del popolo, non diffondendo in esso un moderno umanesimo, tanto gli intellettuali laici quanto i cattolici: la loro insufficienza è «uno degli indizi più espressivi dell'intima rottura che esiste tra la [[religione]] e il [[popolo]]: questo si trova in uno stato miserrimo di indifferentismo e di assenza di una vivace vita spirituale; la religione è rimasta allo stato di [[superstizione]] [...] l'Italia popolare è ancora nelle condizioni create immediatamente dalla [[Controriforma]]: la religione, tutt'al più, si è combinata col [[folclore]] [[pagano]] ed è rimasta in questo stadio».<ref>Quaderni del carcere, cit., p. 131</ref>
 
Sono rimaste famose le note di Gramsci sul [[Alessandro Manzoni|Manzoni]]: lo scrittore più autorevole, più studiato nelle scuole e probabilmente il più popolare, è una dimostrazione del carattere non nazionale-popolare della letteratura italiana: «Il carattere aristocratico del cattolicismo manzoniano appare dal compatimento scherzoso verso le figure di uomini del popolo (ciò che non appare in Tolstoi), come fra Galdino (in confronto di frate Cristoforo), il sarto, Renzo, Agnese, Perpetua, la stessa Lucia [...] i popolani, per il Manzoni, non hanno vita interiore, non hanno personalità morale profonda; essi sono ''animali'' e il Manzoni è ''benevolo'' verso di loro proprio della benevolenza di una cattolica società di protezione di animali [...] niente dello spirito ''popolare'' di Tolstoi, cioè dello spirito evangelico del cristianesimo primitivo. L'atteggiamento del Manzoni verso i suoi popolani è l'atteggiamento della Chiesa Cattolica verso il popolo: di condiscendente benevolenza, non di immediatezza umana [...] vede con ''occhio severo'' tutto il popolo, mentre vede con occhio severo ''i più di coloro che non sono popolo''; egli trova ''magnanimità'', ''alti pensieri'', ''grandi sentimenti'', solo in alcuni della classe alta, in nessuno del popolo [...] non c'è popolano che non venga preso in giro e canzonato [...] Vita interiore hanno solo i signori: fra Cristoforo, il Borromeo, l'Innominato, lo stesso don Rodrigo [...] il suo atteggiamento verso il popolo non è ''popolare-nazionale'' ma aristocratico».<ref>Quaderni del carcere, cit., p. 86 e segg.</ref>
 
Una classe che muova alla conquista dell'egemonia non può non creare una nuova cultura, che è essa stessa espressione di una nuova vita morale, un nuovo modo di vedere e rappresentare la realtà; naturalmente, non si possono creare artificialmente artisti che interpretino questo nuovo mondo culturale, ma «un nuovo gruppo sociale che entra nella vita storica con atteggiamento egemonico, con una sicurezza di sé che prima non aveva, non può non suscitare dal suo seno personalità che prima non avrebbero trovato una forza sufficiente per esprimersi compiutamente». Intanto, nella creazione di una nuova cultura, è parte la critica della civiltà letteraria presente, e Gramsci vede nella critica svolta da [[Francesco De Sanctis]] un esempio privilegiato:
 
[[File:Francesco De Sanctis ritratto.jpg|thumb|left|180px|Francesco De Sanctis ritratto da Saverio Altamura]]
«La critica del De Sanctis è militante, non ''frigidamente'' estetica, è la critica di un periodo di lotte culturali, di contrasti tra concezioni della vita antagonistiche. Le analisi del contenuto, la critica della ''struttura'' delle opere, cioè della coerenza logica e storica-attuale delle masse di sentimenti rappresentati artisticamente, sono legate a questa lotta culturale: proprio in ciò pare consista la profonda umanità e l'umanesimo del De Sanctis [...] Piace sentire in lui il fervore appassionato dell'uomo di parte che ha saldi convincimenti morali e politici e non li nasconde». Il De Sanctis opera nel periodo risorgimentale, in cui si lotta per creare una nuova cultura: di qui la differenza con il Croce, che vive sì gli stessi motivi culturali, ma nel periodo della loro affermazione, per cui «la passione e il fervore romantico si sono composti nella serenità superiore e nell'indulgenza piena di bonomia». Quando poi quei valori culturali, così affermatisi, sono messi in discussione, allora in Croce «subentra una fase in cui la serenità e l'indulgenza s'incrinano e affiora l'acrimonia e la collera a stento repressa: fase difensiva non aggressiva e fervida, e pertanto non confrontabile con quella del De Sanctis».<ref>Quaderni del carcere, cit., pp. 5-6</ref>
 
Per Gramsci, una critica letteraria marxistica può avere nel critico campano un esempio, dal momento che essa deve fondere, come De Sanctis fece, la critica estetica con la lotta per una cultura nuova, criticando il costume, i sentimenti e le ideologie espresse nella storia della letteratura, individuandone le radici nella società in cui quegli scrittori si trovavano a operare.
 
Non a caso, Gramsci progettava nei suoi ''Quaderni'' un saggio che intendeva intitolare «I nipotini di padre Bresciani», dal nome del gesuita [[Antonio Bresciani]] ([[1798]] - [[1862]]), tra i fondatori e direttore della rivista ''[[La Civiltà Cattolica]]'' e scrittore di romanzi popolari d'impronta reazionaria; uno di essi, ''L'ebreo di Verona'', fu stroncato in un famoso saggio del De Sanctis. ''I nipotini di padre Bresciani'' sono, per Gramsci, gli intellettuali e i letterati contemporanei portatori di una ideologia reazionaria, sia essa cattolica che laica, con un «carattere tendenzioso e propagandistico apertamente confessato».<ref>Quaderni del carcere, cit., p. 179</ref>
 
Fra i «nipotini» Gramsci individua, oltre a molti scrittori ormai dimenticati, [[Antonio Beltramelli]], [[Ugo Ojetti]] - «la codardia intellettuale dell'uomo supera ogni misura normale» - [[Alfredo Panzini]], [[Goffredo Bellonci]], [[Massimo Bontempelli]], [[Umberto Fracchia]], [[Adelchi Baratono]] - «l'agnosticismo del Baratono non è altro che vigliaccheria morale e civile [...] Baratono teorizza solo la propria impotenza estetica e filosofica e la propria coniglieria» - [[Riccardo Bacchelli]] - «nel Bacchelli c'è molto brescianesimo, non solo politico-sociale, ma anche letterario: la [[Ronda]] fu una manifestazione di gesuitismo artistico» - [[Salvator Gotta]], «di Salvator Gotta si può dire ciò che il [[Giosuè Carducci|Carducci]] scrisse del [[Mario Rapisardi|Rapisardi]]: ''Oremus sull'altare e flatulenze in sagrestia''; tutta la sua produzione letteraria è brescianesca», [[Giuseppe Ungaretti]].
 
Secondo Gramsci «la vecchia generazione degli intellettuali è fallita ([[Giovanni Papini|Papini]], [[Giuseppe Prezzolini|Prezzolini]], [[Ardengo Soffici|Soffici]], ecc.) ma ha avuto una giovinezza. La generazione attuale non ha neanche questa età delle brillanti promesse, [[Giovanni Titta Rosa|Titta Rosa]], [[Giovanni Battista Angioletti|Angioletti]], [[Curzio Malaparte|Malaparte]], ecc.). Asini brutti anche da piccoletti».<ref>Quaderni del carcere, cit., p. 185</ref>
 
=== La critica a Benedetto Croce ===
[[Benedetto Croce]], il più autorevole intellettuale dell'epoca, secondo Gramsci aveva dato alla borghesia italiana gli strumenti culturali più raffinati per delimitare i confini fra gli intellettuali e la cultura italiana, da una parte, e il movimento operaio e socialista dall'altra; è allora necessario mostrare e combattere la sua funzione di maggior rappresentante dell'egemonia culturale che il blocco sociale dominante esercita nei confronti del movimento operaio italiano. Come tale, il Croce combatte il marxismo, cercando di negarne validità nell'elemento che egli individua come decisivo: quello dell'economia; ''Il Capitale'' di [[Marx]] sarebbe per lui un'opera di morale e non di scienza, un tentativo di dimostrare che la società capitalistica è immorale, diversamente dalla comunista, in cui si realizzerebbe la piena moralità umana e sociale. La non scientificità dell'opera maggiore di Marx sarebbe dimostrata dal concetto del [[plusvalore]]: per Croce, solo da un punto di vista morale si può parlare di plusvalore, rispetto al [[valore]], legittimo concetto economico.
 
[[File:Benedetto Croce.jpg|thumb|right|180px|Benedetto Croce]]
Questa critica del Croce è in realtà un semplice [[Sofisti|sofisma]]: il [[plusvalore]] è esso stesso valore, è la differenza tra il [[valore]] delle [[merce|merci]] prodotte dal lavoratore e il valore della forza-lavoro del lavoratore stesso. Del resto, la teoria del valore di Marx deriva direttamente da quella dell'economista liberale inglese [[David Ricardo]] la cui teoria del valore-lavoro «non sollevò nessuno scandalo quando fu espressa, perché allora non rappresentava nessun pericolo, appariva solo, come era, una constatazione puramente oggettiva e scientifica. Il valore polemico e di educazione morale e politica, pur senza perdere la sua oggettività, doveva acquistarla solo con la Economia critica [''Il Capitale'' di Marx]».<ref>Quaderni del carcere, ''Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce'', p. 210</ref>
 
La filosofia crociana si qualifica come [[storicismo]], ossia, seguendo il [[Giambattista Vico|Vico]], la realtà è storia e tutto ciò che esiste è necessariamente storico ma, conformemente alla natura idealistica della sua filosofia, la storia è storia dello Spirito, dunque storia speculativa, di astrazioni - storia della libertà, della cultura, del progresso - non è la storia concreta delle nazioni e delle classi: «La storia speculativa può essere considerata come un ritorno, in forme letterarie rese più scaltre e meno ingenue dallo sviluppo della capacità critica, a modi di storia già caduti in discredito come vuoti e retorici e registrati in diversi libri dello stesso Croce. La storia etico-politica, in quanto prescinde dal concetto di blocco storico, in cui contenuto economico-sociale e forma etico-politica si identificano concretamente nella ricostruzione dei vari periodi storici, è niente altro che una presentazione polemica di filosofemi più o meno interessanti, ma non è storia [...] la storia del Croce rappresenta ''figure'' disossate, senza scheletro, dalle carni flaccide e cascanti anche sotto il belletto delle veneri letterarie dello scrittore».<ref>Quaderni del carcere, cit., p. 204</ref>
 
L'operazione conservatrice del Croce storico fa il paio con quella del Croce filosofo: se la dialettica dell'idealista [[Hegel]] era una dialettica dei ''contrari'' - uno svolgimento della storia che procede per contraddizioni - la [[dialettica crociana]] è una dialettica dei ''distinti'': commutare la ''contraddizione'' in ''distinzione'' significa operare un'attenuazione, se non un annullamento dei contrasti che nella storia, e dunque nelle società, si presentano. Tale operazione si manifesta nelle opere storiche del Croce: la sua ''Storia d'Europa'', iniziando dal [[1815]] e tagliando fuori il periodo della [[Rivoluzione francese]] e quello napoleonico, «non è altro che un frammento di storia, l'aspetto ''passivo'' della grande rivoluzione che si iniziò in [[Francia]] nel [[1789]], traboccò nel resto d' [[Europa]] con le armate repubblicane e napoleoniche, dando una potente spallata ai vecchi regimi e determinandone non il crollo immediato come in Francia, ma la corrosione riformistica che durò fino al [[1870]]».<ref>Quaderni del carcere, cit., p. 192-193</ref> Analoga è l'operazione operata dal Croce nella sua ''Storia d'Italia dal [[1871]] al [[1915]]'' la quale affronta unicamente il periodo del consolidamento del regime dell'Italia unita e si «prescinde dal momento della lotta, dal momento in cui si elaborano e radunano e schierano le forze in contrasto [...] in cui un sistema etico-politico si dissolve e un altro si elabora [...] in cui un sistema di rapporti sociali si sconnette e decade e un altro sistema sorge e si afferma, e invece [''Croce''] assume placidamente come storia il momento dell'espansione culturale o etico-politico».
 
=== Il materialismo storico ===
Gramsci, fin dagli anni universitari, fu un deciso oppositore di quella concezione fatalistica e positivistica del marxismo, presente nel vecchio partito socialista, per la quale il capitalismo necessariamente era destinato a crollare da sé, facendo posto a una società socialista. Questa concezione mascherava l'impotenza politica del partito della classe subalterna, incapace di prendere l'iniziativa per la conquista dell'egemonia.
 
[[File:Nikolai Bujarin.jpeg|thumb|left|200px|Nikolai Bucharin]]
Anche il manuale del bolscevico russo [[Nikolai Bucharin]], edito nel [[1921]], ''La teoria del [[materialismo storico]] manuale popolare di sociologia'', si colloca nel filone positivistico: «la [[sociologia]] è stata un tentativo di creare un metodo della scienza storico-politica, in dipendenza di un sistema filosofico già elaborato, il [[positivismo]] evoluzionistico [...] è diventata la filosofia dei non filosofi, un tentativo di descrivere e classificare schematicamente i fatti storici, secondo criteri costruiti sul modello delle scienze naturali. La sociologia è dunque un tentativo di ricavare ''sperimentalmente'' le leggi di [[evoluzione]] della società umana in modo da prevedere l'avvenire con la stessa certezza con cui si prevede che da una ghianda si svilupperà una quercia. L'[[evoluzionismo]] volgare è alla base della sociologia che non può conoscere il principio dialettico col passaggio dalla [[quantità]] alla [[qualità]], passaggio che turba ogni evoluzione e ogni legge di uniformità intesa in senso volgarmente evoluzionistico».<ref>Quaderni del carcere, cit., p. 125</ref>
 
La comprensione della realtà come sviluppo della storia umana è solo possibile utilizzando la [[dialettica]] marxiana - della quale non vi è traccia nel ''Manuale'' del Bucharin - perché essa coglie tanto il senso delle vicende umane quanto la loro provvisorietà, la loro storicità determinata dalla prassi, dall'azione politica che trasforma le società.
 
Le società non si trasformano da sé: già Marx aveva rilevato come nessuna società si ponga compiti per la cui soluzione non esistano già le condizioni almeno in via di apparizione né essa si dissolve, se prima non ha svolto tutte le forme di vita che le sono implicite. Il rivoluzionario si pone il problema di individuare esattamente i rapporti tra struttura e sovrastruttura per giungere a una corretta analisi delle forze che operano nella storia di un determinato periodo. L'azione politica rivoluzionaria, la prassi, per Gramsci è anche [[catarsi]] che segna «il passaggio dal momento meramente economico (o egoistico-passionale) al momento etico-politico cioè l'elaborazione superiore della struttura in superstruttura nella coscienza degli uomini. Ciò significa anche il passaggio dall'''oggettivo al soggettivo'' e dalla ''necessità alla libertà''. La struttura, da forza esteriore che schiaccia l'uomo, lo assimila a sé, lo rende passivo, si trasforma in mezzo di libertà, in strumento per creare una nuova forma etico-politica, in origine di nuove iniziative. La fissazione del momento ''catartico'' diventa così, mi pare, il punto di partenza di tutta la filosofia della passi; il processo catartico coincide con la catena di sintesi che sono risultate dallo svolgimento dialettico».
 
La [[dialettica]] è dunque strumento di indagine storica, che supera la visione naturalistica e meccanicistica della realtà, è unione di teoria e prassi, di conoscenza e azione. La dialettica è «dottrina della conoscenza e sostanza midollare della storiografia e della scienza della politica» e può essere compresa solo concependo il marxismo «come una filosofia integrale e originale che inizia una nuova fase nella storia e nello sviluppo mondiale in quanto supera (e superando ne include in sé gli elementi vitali) sia l'idealismo che il materialismo tradizionali espressione delle vecchie società. Se la filosofia della prassi [''il marxismo''] non è pensata che subordinatamente a un'altra filosofia, non si può concepire la nuova dialettica, nella quale appunto quel superamento si effettua e si esprime».<ref>Quaderno del carcere, cit., p. 132</ref>
 
[[File:Engels.jpg|thumb|right|170px|Friedrich Engels]]
Il vecchio materialismo è [[metafisica]]; per il senso comune la realtà oggettiva, esistente indipendentemente dall'uomo, è un ovvio [[assioma]], confortato dall'affermazione della religione per la quale il mondo, creato da Dio, si trova già dato di fronte a noi. Ma per Gramsci va rifiutata «la concezione della realtà oggettiva del mondo esterno nella sua forma più triviale e acritica» dal momento che «a questa può essere mossa l'obbiezione di [[misticismo]]».<ref>Quaderni del carcere, cit., pp. 141-142</ref> Se noi conosciamo la realtà in quanto uomini, ed essendo noi stessi un divenire storico, anche la conoscenza e la realtà stessa sono un divenire.
 
Come potrebbe esistere un'oggettività extrastorica ed extraumana e chi giudicherà di tale oggettività? «La formulazione di [[Friedrich Engels|Engels]] che ''l'unità del mondo consiste nella sua materialità dimostrata dal lungo e laborioso sviluppo della filosofia e delle scienze naturali'' contiene appunto il germe della concezione giusta, perché si ricorre alla storia e all'uomo per dimostrare la realtà oggettiva. Oggettivo significa sempre ''umanamente oggettivo'', ciò che può corrispondere esattamente a ''storicamente soggettivo'' [...] . L'uomo conosce oggettivamente in quanto la conoscenza è reale per tutto il genere umano ''storicamente'' unificato in un sistema culturale unitario; ma questo processo di unificazione storica avviene con la sparizione delle contraddizioni interne che dilaniano la società umana, contraddizioni che sono la condizione della formazione dei gruppi e della nascita delle ideologie [...]. C'è dunque una lotta per l'oggettività (per liberarsi dalle ideologie parziali e fallaci) e questa lotta è la stessa lotta per l'unificazione culturale del genere umano. Ciò che gli idealisti chiamano ''spirito'' non è un punto di partenza ma di arrivo, l'insieme delle soprastrutture in divenire verso l'unificazione concreta e oggettivamente universale e non già un presupposto unitario».<ref>Quaderni del carcere, cit., p. 142</ref>
 
== Influenze sul pensiero di Gramsci ==
* [[Niccolò Machiavelli]] — influenzò fortemente la teoria dello stato di Gramsci.
* [[Karl Marx]] — filosofo, storico, critico dell'economia politica e fondatore del [[materialismo storico]]
* [[Friedrich Engels]]
* [[Lenin]]
* [[Antonio Labriola]] — primo notevole teorico marxista italiano, credeva che la principale caratteristica del marxismo fosse quello di aver creato uno stretto nesso fra la storia e la filosofia
* [[Georges Sorel]] — sindacalista francese e scrittore che ha respinto il principio dell'inevitabilità del progresso storico.
* [[Vilfredo Pareto]] — economista e sociologo italiano, noto per la sua teoria sull'interazione fra masse ed élite.
* [[Benedetto Croce]] — liberale italiano, filosofo anti-marxista e idealista il cui pensiero fu sottoposto da Gramsci a critica attenta e approfondita.
 
== Pensatori influenzati da Gramsci ==
[[Zackie Achmat]]{{·}}[[Eqbal Ahmad]]{{·}}[[Jalal Al-e-Ahmad]]{{·}}[[Louis Althusser]]{{·}}[[Perry Anderson]]{{·}}[[Michael Apple]]{{·}}[[Giovanni Arrighi]]{{·}}[[Zygmunt Bauman]]{{·}}[[Homi K. Bhabha]]{{·}}[[Gordon Brown]]{{·}}[[Judith Butler]]{{·}}[[Alex Callinicos]]{{·}}[[Partha Chatterjee]]• [[Marilena Chauí]]{{·}}[[Noam Chomsky]]{{·}}[[Hugo Costa]]{{·}}[[Robert W. Cox]]{{·}}[[Alain de Benoist]]{{·}}[[Umberto Eco]]{{·}}[[John Fiske]]{{·}}[[Michel Foucault]]{{·}}[[Paulo Freire]]{{·}}[[Eugenio Garin]]{{·}}[[Eugene D. Genovese]]{{·}}[[Stephen Gill]]{{·}}[[Paul Gottfried]]{{·}}[[Stuart Hall]]{{·}}[[Michael Hardt]]{{·}}[[Chris Harman]]{{·}}[[David Harvey]]{{·}}[[Hamish Henderson]]{{·}}[[Eric Hobsbawm]]{{·}}[[Samuel P. Huntington]]{{·}}[[Alfredo Jaar]]{{·}}[[Bob Jessop]]{{·}}[[Ernesto Laclau]]{{·}}[[Subcomandante Marcos]]{{·}}[[Chantal Mouffe]]{{·}}[[Antonio Negri]]{{·}}[[Luigi Nono (compositore)|Luigi Nono]]{{·}}[[Michael Omi]]{{·}}[[Pier Paolo Pasolini]]{{·}}[[Antonio Pigliaru]]{{·}}[[Juan Carlos Portantiero]]{{·}}[[Nicos Poulantzas]]{{·}}[[Gyan Prakash]]• [[William I. Robinson]]{{·}}[[Edward Said]]{{·}}[[Ato Sekyi-Otu]]{{·}}[[Gayatri Chakravorty Spivak]]
• [[Edward Palmer Thompson]]{{·}}[[Cornel West]]{{·}}[[Howard Winant]]{{·}}[[Raymond Williams]]{{·}}[[Eric Wolf]]{{·}}[[Howard Zinn]]
• [[Michelangelo Pira]]
 
== Influenza di Gramsci nella cultura popolare ==
* [[Gramsci Melodic]] – Band synthpop americana di [[Pittsburgh]]
* [[Scritti Politti]] – Band di [[Alternative rock]] scozzese
* [[Billy Bragg]] – musicista [[folk]] inglese
 
== Note ==
;Annotazioni
{{references|2}}
<references group=E />
 
;Fonti
== Filmografia ==
{{note strette}}
* Lino del Fra, ''I Giorni del Carcere'', 1977.
 
== Bibliografia ==
;Biografie
=== Edizioni degli scritti di Antonio Gramsci ===
* {{Cita libro|autore=[[Luciano Canfora]]|titolo=Gramsci in carcere e il fascismo|editore=Salerno|città=Roma|anno=2012|ISBN=978-88-8402-758-0|cid=Canfora}}
* ''Alcuni temi della quistione meridionale'', s.l. 1935.
*{{cita libro|autore=[[Angelo D'Orsi]]|titolo=Gramsci. Una nuova biografia|anno=2019|annooriginale=2017|editore=Feltrinelli|edizione=2|città=Milano|cid=D'Orsi |ISBN=978-88-07-89134-2}}
* ''Opere di Antonio Gramsci'' (12 voll.)
* {{Cita libro|autore=Giorgio Fabre|titolo=Lo scambio – Come Gramsci non fu liberato|editore=Sellerio|città=Palermo|anno=2015|ISBN=978-88-389-3384-4|cid=Fabre}}
:''Lettere dal carcere'', Einaudi, Torino 1947.
*{{cita libro|autore=[[Giuseppe Fiori]]|titolo=Vita di Antonio Gramsci|annooriginale=1966|anno=1995|editore=Laterza|edizione=1|città=Bari|cid=Fiori|ISBN=88-420-4766-X}}
:''I quaderni dal carcere''
*{{cita libro|autore=Giuseppe Fiori|titolo=Il cavaliere dei Rossomori|anno=1985|editore=Einaudi|città=Torino|cid=Fiori, 1985|ISBN=9788806584467}}
::''Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce'', Einaudi, Torino 1948.
*{{Cita libro|autore=[[Ruggero Giacomini]]|titolo=Il giudice e il prigioniero|editore=Castelvecchi|città=Roma|anno=2014|isbn=9788868262181|cid=Giacomini}}
::''Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura'', Einaudi, Torino 1948.
*{{cita libro|autore=[[James Joll]]|titolo=Gramsci|anno=1992|editore=Mondadori|edizione=1|città=Milano|cid=Joll|ISBN=88-04-35072-5}}
::''Il Risorgimento'', Einaudi, Torino 1949.
*{{cita libro|autore=[[Aurelio Lepre]]|titolo=Il prigioniero. Vita di Antonio Gramsci|anno=1998| editore=Laterza|edizione=1|città=Bari|cid=Lepre |ISBN=88-420-5578-6}}
::''Note sul Machiavelli sulla politica e sullo stato moderno'', Einaudi, Torino 1949.
*{{Cita libro|autore=[[Paolo Spriano]]|titolo= Gramsci in carcere e il partito|editore=Editori Riuniti|città=Roma|anno=1977|cid=Spriano, 1977|isbn=}}
::''Letteratura e vita nazionale'', Einaudi, Torino 1950.
;Storia
::''Passato e presente'', Einaudi, Torino 1951.
* {{Cita libro|autore=[[Nello Ajello]]|titolo=Intellettuali e PCI 1944/1958|editore=Laterza|città=Roma-Bari|anno=1997|annooriginale= 1979|ISBN=978-88-420-1518-5|cid=Ajello}}
:''[[L'Ordine Nuovo (rivista)|L'Ordine Nuovo]]. 1919-1920'', Einaudi, Torino 1954.
* {{Cita libro|autore=[[Giorgio Amendola]]|titolo=Storia del Partito comunista italiano 1921-1943|editore=Editori Riuniti|città=Roma|anno=1978|isbn=|cid=Amendola}}
:''Scritti giovanili. 1914-1918'', Einaudi, Torino 1958.
* {{Cita libro|autore=Luciano Canfora|titolo=Il testamento di Lenin|editore=Fuoriscena|città=Milano|anno=2025|ISBN=979-12-225-0068-3|cid=Canfora, 2025}}
:''Sotto la mole. 1916-1920'', Einaudi, Torino 1960.
* {{Cita libro|autore=[[Giorgio Galli]]|titolo=Storia del PCI|editore=Bompiani|città=Milano|anno=1977|isbn=|cid=Galli}}
:''Socialismo e fascismo. L'Ordine Nuovo 1921-1922'', Einaudi, Torino 1966.
* {{Cita libro|autore=Giorgio Galli|titolo=Storia del socialismo italiano|editore=Baldini Castoldi Dalai|città=Milano|anno=2007|annooriginale=1980|isbn=978-88-6073-082-4|cid=Galli, 2007}} (ed. originale Laterza)
:''La costruzione del Partito comunista. 1923-1926'', Einaudi, Torino 1971.
* {{cita libro|autore=|titolo=Umberto Terracini – Intervista sul comunismo difficile|curatore=Arturo Gismondi|anno=1978|editore=Laterza|città=Bari|cid=Terracini, 1978|ISBN=no}}
* ''L'albero del riccio'', Milano-sera, Milano 1948.
* {{cita libro|autore=|titolo=Umberto Terracini – Quando diventammo comunisti|curatore=Mario Pendinelli|anno=1981|editore=Rizzoli|città=Milano|cid=Terracini|ISBN=no}}
* ''Americanismo e fordismo'', Ed. cooperativa Libro popolare, Milano 1949.
* {{cita libro|autore=[[Silvio Pons]]|titolo=I comunisti italiani e gli altri|anno=2021|editore=Einaudi|città=Torino|cid=Pons|ISBN=978-88-0624739-3}}
* ''Ultimo discorso alla Camera. 16 maggio 1925'', R. Guerrini, Padova 195?.
* {{cita libro|autore=Michal Reiman|titolo=La rivoluzione russa dal 23 febbraio al 25 ottobre|anno=1969|editore=Laterza|città=Bari|cid=Reiman|ISBN=no}}
* ''Antologia popolare degli scritti e delle lettere di Antonio Gramsci'', Editori Riuniti, Roma 1957.
*{{Cita libro|autore=Paolo Spriano|titolo=Storia di Torino operaia e socialista|editore=Einaudi|città=Torino|anno=1972|isbn=|cid=Spriano, 1972}}
* ''Il Vaticano e l'Italia'', Editori Riuniti, Roma 1961.
*{{Cita libro|autore=Paolo Spriano|titolo=Storia del Partito comunista italiano, I|editore=Einaudi|città=Torino|anno=1976|annooriginale=1967|isbn=|cid=Spriano, 1976 (1)}}
* ''Note sulla situazione italiana 1922-1924'', Rivista storica del socialismo, Milano 1962.
*{{Cita libro|autore=Paolo Spriano|titolo=Storia del Partito comunista italiano, II|editore=Einaudi|città=Torino|anno=1976|annooriginale=1969|isbn=|cid=Spriano, 1976 (2)}}
* ''2000 pagine di Gramsci''
* {{Cita libro|autore=Paolo Spriano|titolo=Sulla rivoluzione italiana - Socialisti e comunisti nella storia d'Italia|editore=Einaudi|città=Torino|anno=1978|cid=Spriano, 1978|isbn=}}
:''Nel tempo della lotta. 1914-1926'', Il Saggiatore, Milano 1964.
* {{cita libro|autore=Paolo Spriano, Valentino Gerratana|titolo=L'ultima ricerca|anno=1988|editore=l'Unità|città=|cid=Spriano, 1988|ISBN=no}}
:''Lettere edite e inedite. 1912-1937'', Il Saggiatore, Milano 1964.
* {{Cita libro|autore=[[Palmiro Togliatti]]|titolo=La formazione del gruppo dirigente del Partito comunista italiano nel 1923-1924|editore=Editori Riuniti|città=Roma|anno=1974|isbn=|cid=Togliatti, 1974}}
* ''Elementi di politica'', Editori Riuniti, Roma 1964.
*{{Cita libro|autore=Palmiro Togliatti|titolo=Gramsci e il leninismo|anno=2001|editore=Robin Edizioni|città=Torino|url=https://books.google.it/books?id=YFKs4psm8QwC&pg=PA56&redir_esc=y#v=onepage&q&f=false|cid=Togliatti, 2001|ISBN=88-86312-68-7}}
* ''La formazione dell'uomo. Scritti di pedagogia'', Editori Riuniti, Roma 1967.
* {{cita libro|autore=[[Lev Trockij|Lev Trotsky]]|titolo=Storia della Rivoluzione russa|anno=2017|editore=Alegre|città=Roma|cid=Trockij|ISBN=9788898841684}}
* ''Scritti politici''
;Pensiero
:''La guerra, la rivoluzione russa e i nuovi problemi del socialismo italiano, 1916-1919'', Editori Riuniti, Roma 1967.
* {{Cita libro|autore=Perry Anderson|titolo=Ambiguità di Gramsci|editore=Laterza|città=Bari|anno=1978|isbn=no|cid=Anderson}} (''The Antinomies of Antonio Gramsci'')
:''Il Biennio rosso, la crisi del socialismo e la nascita del Partito comunista, 1919-1921'', Editori Riuniti, Roma 1967.
* {{cita libro|autore=[[Umberto Cerroni]]|titolo=Lessico gramsciano|anno=1978|editore=Editori Riuniti|città=Roma|cid=Cerroni|ISBN=}}
:''Il nuovo partito della classe operaia e il suo programma. La lotta contro il fascismo, 1921-1926'', Editori Riuniti, Roma 1973.
*{{cita libro|autore=[[Guido Davico Bonino]]|titolo=Gramsci e il teatro|anno=1972|editore=Einaudi|edizione=1|città=Torino|cid=Davico Bonino|ISBN=no}}
* ''Scritti 1915-1921'', I quaderni de Il corpo, Milano 1968.
* {{Cita libro|autore=Erminio Fonzo|titolo=Il mondo antico negli scritti di Antonio Gramsci|editore=Paguro|città=Mercato S. Severino (SA)|anno=2019|ISBN=978-88-99509-62-0|cid=Fonzo}}
* ''Dibattito sui Consigli di fabbrica'', La nuova sinistra, Roma 1971.
* {{cita libro|autore=[[Giuseppe Galasso]]|capitolo=Risorgimento|titolo=Gramsci – Le idee nel nostro tempo|curatore=Carlo Ricchini, Eugenio Manca e Luisa Melograni|anno=1987|editore=Editrice L'Unità|città=Roma|cid=Galasso|ISBN=no}}
* ''L'alternativa pedagogica'', La nuova Italia, Firenze 1972.
* {{Cita libro|autore=Antonio Gramsci|curatore=[[Valentino Gerratana]]|titolo= Quaderni del carcere. Edizione critica dell'Istituto Gramsci|editore=Einaudi|città=Torino|anno=1975|ISBN=no|cid=Gerratana}}
* ''I consigli e la critica operaia alla produzione'', Servire il popolo, Milano 1972.
* {{cita libro|autore=[[Luciano Gruppi]]|titolo=Il concetto di egemonia in Gramsci|anno=1977|annooriginale=1972|editore=Editori Riuniti|città=Roma|cid=Gruppi|ISBN=no}}
* ''La lotta per l'edificazione del Partito comunista'', Servire il popolo, Milano 1972.
* {{cita libro|autore=Luciano Gruppi|capitolo=Guerra di movimento e guerra di posizione|titolo=Attualità di Gramsci|anno=1977|editore=Il Saggiatore|città=Milano|cid=Gruppi, 1977|ISBN=no}}
* ''Il pensiero di Gramsci'', Editori Riuniti, Roma 1972.
* {{Cita libro|autore=[[Eric Hobsbawm]]|titolo=Come cambiare il mondo – Perché riscoprire l'eredità del marxismo|capitolo=cap. 12 - Gramsci|editore=Rizzoli|città=Milano|anno=2011|ISBN=978-88-17-04970-2|cid=Hobsbawm }} ''(How to Change the World)''
* ''Il pensiero filosofico e storiografico di Antonio Gramsci'', Palumbo, Palermo 1972.
* {{Cita libro|titolo = Gramsci. Guida alla lettura|autore = Guido Liguori, Chiara Meta|editore = Unicopli|città = Milano|anno = 2005|lingua = it|ISBN = 88-400-1045-9|cid = Liguori-Meta 2005}}
* ''Resoconto dei lavori del III congresso del P.C.D'I.. (Lione, 26 gennaio 1926)'', Cooperativa editrice distributrice proletaria, Milano 1972.
* {{cita libro|autore=[[Alessandro Natta]]|capitolo=Il partito nei «Quaderni»|titolo=Attualità di Gramsci|anno=1977|editore=Il Saggiatore|città=Roma|cid=Natta|ISBN=no}}
* ''Scritti sul sindacato'', Sapere, Milano 1972.
*{{cita libro|autore=Leonardo Paggi|titolo=Antonio Gramsci e il moderno principe|edizione=1|anno=1970|editore=Editori Riuniti|città=Roma|cid=Paggi|ISBN=no}}
* ''Sul fascismo'', Editori Riuniti, Roma 1973.
* {{Cita libro|autore=Hugues Portelli|titolo=Gramsci e il blocco storico|editore=Laterza|città=Bari|anno=1976|isbn=|cid=Portelli}} (''Gramsci et le bloc historique'')
* ''Quaderni del carcere''
* {{Cita libro|autore=[[Angelo Rossi (1933)|Angelo Rossi]]|titolo=Gramsci da eretico a icona – storia di un “cazzotto nell’occhio”|editore=Guida|città=Napoli|anno=2010|ISBN=978-88-6042-725-0|cid=Rossi}}
:''Quaderni 1-5. (1929-1932)'', Einaudi, Torino 1975.
* {{cita libro|autore=[[Edoardo Sanguineti]]|capitolo=Cronista teatrale: Pirandello lancia bombe nei cervelli|titolo=Gramsci – Le idee nel nostro tempo|curatore=Carlo Ricchini, Eugenio Manca e Luisa Melograni|anno=1987|editore=Editrice L'Unità|città=Roma|cid=Sanguineti|ISBN=no}}
:''Quaderni 6-11. (1930-1933)'', Einaudi, Torino 1975.
* {{cita libro|autore=[[Aldo Tortorella]]|capitolo=Egemonia|titolo=Gramsci – Le idee nel nostro tempo|curatore=Carlo Ricchini, Eugenio Manca e Luisa Melograni|anno=1987|editore=Editrice L'Unità|città=Roma|cid=Tortorella (1)|ISBN=no}}
:''Quaderni 12-29. (1932-1935)'', Einaudi, Torino 1975.
* {{cita libro|autore=Aldo Tortorella|capitolo= Partito come «moderno Principe»|titolo=Gramsci – Le idee nel nostro tempo|curatore=Carlo Ricchini, Eugenio Manca e Luisa Melograni|anno=1987|editore=Editrice L'Unità|città=Roma|cid=Tortorella (2)|ISBN=no}}
:''Apparato critico'', Einaudi, Torino 1975.
;Testi di approfondimento
* ''La rivoluzione italiana'', Newton Compton, Roma 1976.
* [[Giulio Angioni]], ''Gramsci e il folklore come cosa seria'', in ''Fare, dire, sentire. L'identico e il diverso nelle culture'', Il Maestrale, 2011. ISBN 978-88-6429-020-1
* ''Arte e folclore'', Newton Compton, Roma 1976.
* Francesco Aqueci, ''[https://www.duemilaventi.net/wp-content/uploads/2019/03/Il-Gramsci-di-un-nuovo-inizio-Quaderno-Agon.pdf Il Gramsci di un nuovo inizio]'', Quaderno 12, Supplemento al n. 19 (settembre-dicembre 2018) di «[http://agon.unime.it/ AGON]», Rivista Internazionale di Studi Culturali, Linguistici e Letterari.
* ''Scritti 1915-1921. Inediti dal Grido del popolo e dall'Avanti. Con una antologia dal Grido del Popolo'', Moizzi, Milano 1976.
* Francesco Aqueci, ''Ancora Gramsci'', Roma, Aracne, 2020.
* ''Ricordi politici e civili'', Pavia 1977.
* Nicola Auciello, ''Socialismo ed egemonia in Gramsci e Togliatti'', Bari, De Donato, 1974.
* ''Scritti nella lotta. Dai consigli di fabbrica, alla fondazione del partito, al Congresso di Lione'', Edizioni Gramsci, Livorno 1977.
* Nicola Badaloni ''et al'', ''Attualità di Gramsci'', Milano, Il Saggiatore, 1977.
* ''Scritti sul sindacato'', Nuove edizioni operaie, Roma 1977.
* Giorgio Baratta, ''Antonio Gramsci in contrappunto. Dialoghi col presente'', Roma, Carocci, 2008. ISBN 88-430-4384-6
* ''A Delio e Giuliano'', N. Milano, Milano 1978.
* {{cita libro|autore=David Bidussa|capitolo=Il conciliarismo come pratica di governo|titolo=Gramsci nel movimento comunista internazionale|curatore=Paolo Capuzzo e Silvio Pons|anno=2019|editore=Carocci|città=Roma|cid=Bidussa|isbn=9788843094912}}
* ''I consigli di fabbrica'', Amici della casa Gramsci di Ghilarza, Centro milanese, Milano 1978.
* [[Norberto Bobbio]], ''Saggi su Gramsci'', Milano, Feltrinelli, 1990. ISBN 978-88-07-10135-9
* ''Favole di libertà'', Vallecchi, Firenze 1980.
*{{cita libro|autore=[[Mauro Canali]]|titolo=Il tradimento. Gramsci, Togliatti e la verità negata|anno=2013|editore=Marsilio|città=Venezia|cid=Canali|ISBN=978-88-317-1676-5}}
* ''Scritti 1913-1926''
*{{cita libro|titolo=Gramsci nel movimento comunista internazionale|curatore1=Paolo Capuzzo|curatore2=Silvio Pons|anno=2019|editore=Carocci|città=Roma|cid=Capuzzo-Pons|ISBN=978-88-430-9491-2}}
:''Cronache torinesi. 1913-1917'', Einaudi, Torino 1980.
*{{Cita libro|url=http://www.regione.sardegna.it/documenti/17_151_20160114141658.pdf|curatore=Rita Cecaro|titolo=I giornali sardi dell'Ottocento|editore=Regione autonoma della Sardegna|anno=2015|città=Cagliari|cid=Cecaro}}
:''La città futura. 1917-1918'', Einaudi, Torino 1982.
* [[Alberto Mario Cirese]], ''Intellettuali, folklore, istinto di classe'', Torino, Einaudi, 1976.
:''Il nostro Marx. 1918-1919'', Einaudi, Torino 1984.
* Angelo d'Orsi, ''Il nostro Gramsci. Antonio Gramsci a colloquio con i protagonisti della storia d’Italia'', Roma, Viella, 2011.
:''L'Ordine nuovo, 1919-1920'', Einaudi, Torino 1987.
* Angelo D'Orsi (a cura), ''Inchiesta su Gramsci'', Torino, Accademia University press, 2014. ISBN 978-88-97523-79-6
* ''Nuove lettere di Antonio Gramsci. Con altre lettere di Piero Sraffa'', Editori Riuniti, Roma 1986.
*{{cita libro|autore=Chiara Daniele|titolo=Togliatti editore di Gramsci|anno=2005|editore=Carocci| città=Roma|cid=Daniele|ISBN=9788843036325}}
* ''Forse rimarrai lontana.... Lettere a Iulca, 1922-1937'', Editori Riuniti, Roma 1987.
* ''GramsciDe alGiovanni, confinoGerratana die Ustica. Nelle lettere di GramsciPaggi, di''Egemonia BertiStato epartito diin BordigaGramsci'', Roma, Editori Riuniti, Roma 1987.1977
* Ferdinando Dubla, Massimo Giusto (a cura), ''Il Gramsci di Turi - Testimonianze dal carcere'', Chimienti editore, 2008. ISBN 978-88-6115-010-2
* ''Le sue idee nel nostro tempo'', Editrice l'Unita, Milano 1987.
* Michele Filippini, ''Gramsci globale. Guida pratica agli usi di Gramsci nel mondo'', Bologna, Odoya, 2011. ISBN 978-88-6288-085-5
* ''Il rivoluzionario qualificato. Scritti 1916-1925'', Delotti, Roma 1988.
* {{cita libro|autore=Giuseppe Fiori|capitolo=Chi era il carcerato matricola 7047|titolo=Gramsci – Le idee nel nostro tempo|curatore=Carlo Ricchini, Eugenio Manca e Luisa Melograni|anno=1987|editore=Editrice L'Unità|città=Roma|cid=Fiori, 1987|ISBN=no}}
* ''Il giornalismo'', Editori Riuniti, Roma 1991.
* Giuseppe Fiori, ''Gramsci Togliatti Stalin'', Roma-Bari, Laterza, 1991. ISBN 88-420-3713-3
* ''Lettere, 1908-1926'', Einaudi, Torino 1992.
*{{cita libro|titolo=Un nuovo Gramsci. Biografia, temi, interpretazioni|curatore1=Gianni Francioni|curatore2=Francesco Giasi|anno=2020|editore=Viella|città=Roma|cid=Francioni-Giasi|ISBN=9788833133300}}
* ''Per una preparazione ideologica di massa: introduzione al primo corso della scuola interna di partito, aprile-maggio 1925'', Laboratorio politico, Napoli 1994.
* [[Eugenio Garin]], ''Con Gramsci'', Roma, Editori Riuniti, 1997. ISBN 88-359-4337-X
* ''Scritti di economia politica'', Bollati Boringhieri, Torino 1994.
* [[Valentino Gerratana]], ''Gramsci. Problemi di metodo'', Roma, Editori Riuniti, 1997. ISBN 88-359-4189-X
* ''Vita attraverso le lettere, 1908-1937'', Einaudi, Torino 1994.
* Noemi Ghetti, ''Gramsci nel cieco carcere degli eretici'', Roma, L'Asino d'Oro Edizioni, 2014. ISBN 978-88-6443-264-9
* ''Disgregazione sociale e rivoluzione. Scritti sul Mezzogiorno'', Liguori, Napoli 1996.
* {{cita libro | autore = [[Ruggero Giacomini]] | titolo = Antonio Gramsci | altri = numero monografico de [[Il Calendario del Popolo]] | anno = 1997 | editore = [[Nicola Teti Editore]] | città = Milano}}
* ''Piove, Governo ladro. Satire e polemiche sul costume degli italiani'', Editori Riuniti, Roma 1996.
* {{cita libro|autore=Francesco Giasi|capitolo=La bolscevizzazione tradotta in «linguaggio storico italiano» (1923-1926)|titolo=Gramsci nel movimento comunista internazionale|curatore=Paolo Capuzzo e Silvio Pons|anno=2019|editore=Carocci|città=Roma|cid=Giasi|isbn=9788843094912}}
* ''Contro la legge sulle associazioni segrete'', Manifestolibri, Roma 1997.
* [[Antonio Gramsci (musicista)|Antonio Gramsci jr.]], ''La storia di una famiglia rivoluzionaria'', Roma, Editori Riuniti-University Press, 2014. ISBN 978-88-6473-127-8
* ''Lettere, 1926-1935'', Einaudi, Torino 1997.
* [[Eric Hobsbawm]], ''Gramsci in Europa e in America'', Roma-Bari, Laterza, 1995. ISBN 88-420-4585-3
* ''Le opere'', Editori Riuniti, Roma 1997.
* {{cita libro|curatore=Guido Liguori|curatore2=Pasquale Voza|titolo=Dizionario Gramsciano 1926-1937|città=Roma|editore=Carocci|anno=2009| ISBN= 978-88-430-5143-4}}
* ''Critica letteraria e linguistica'', Lithos, Roma 1998.
* ''IlFranco lettoreLo inPiparo, catene.''I Ladue criticacarceri letterariadi nei QuaderniGramsci'', CarocciDonzelli, Roma, 2004.2012
* [[Domenico Losurdo]], ''Antonio Gramsci. Dal liberalismo al comunismo critico'', Roma, Gamberetti editrice, 1997. ISBN 978-88-7990-023-2
* ''La nostra città futura. Scritti torinesi, 1911-1922'', Carocci, Roma 2004.
* [[Mario Alighiero Manacorda]], ''Il principio educativo in Gramsci. Americanismo e conformismo'', Roma, Editori Riuniti, 1970.
* ''Pensare l'Italia'', Nuova iniziativa editoriale, Roma 2004.
* [[Michele Martelli]], ''Gramsci filosofo della politica'', Milano, Unicopli, 1996. ISBN 88-400-0418-1
* ''Scritti sulla Sardegna. La memoria familiare, l'analisi della questione sarda'', Ilisso, Nuoro 2008.
* [[Rodolfo Mondolfo]], ''Da Ardigò a Gramsci'', Milano, Nuova Accademia, 1962.
* ''Quaderni del carcere. Edizione anastatica dei manoscritti'', 18 voll., Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana-Cagliari, L'Unione Sarda, 2009.
* Raul Mordenti, ''Gramsci e la rivoluzione necessaria'', Roma, Editori Riuniti University Press, 2011. ISBN 978-88-6473-052-3.
* ''Epistolario 1906-1922'', Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma 2009.
* Gerardo Pastore, ''Antonio Gramsci. Questione sociale e questione sociologica'', Livorno, Belforte, 2011. ISBN 978-88-7467-059-8
 
* Leonardo Rapone, ''Cinque anni che paiono secoli. Antonio Gramsci dal socialismo al comunismo (1914-1919)'', Carocci, Roma, 2011.
=== Opere su Antonio Gramsci ===
* {{cita pubblicazione|autore=Maria Luisa Righi|titolo=Gli esordi di Gramsci al «Grido del popolo» e all'«Avanti!»|rivista=Studi Storici|editore=Fondazione Istituto Gramsci|città=|numero=3 |anno=|mese=luglio-settembre|p=727 |id= |pmid=|url=|lingua=|accesso=|cid=Righi}}
* E. Alessandroni, "La rivoluzione estetica di Antonio Gramsci e György Lukács", Il Prato, Padova 2011.
* [[Angelo Rossi (1933)|Angelo Rossi]], Giuseppe Vacca, ''Gramsci tra Mussolini e Stalin'', Roma, Fazi editore, 2007. ISBN 978-88-8112-822-8
* F. Battistrada, ''Per un umanesimo rivisitato. Da [[Heidegger]] a Gramsci, a [[Jonas]], all'etica di liberazione'', [[Milano]], [[1999]], ISBN 88-16-40505-8
* Angelo Rossi, ''Gramsci in carcere. L'itinerario dei Quaderni (1929-1933)'', Napoli, Guida editore, 2014.
* [[Norberto Bobbio|N. Bobbio]], ''Saggi su Gramsci'', Milano, [[1990]]
* Carlo Salinari, Mario Spinella, ''Il pensiero di Gramsci'', Roma, L'Unità-Editori Riuniti, 1977.
* R. Bordoli, ''Vitae meditatio. Gramsci e [[Spinoza]] a confronto'', Urbino, [[1990]], ISBN 88-392-0153-X
* A.Battista BroccoliSanthià, ''Con Gramsci e lall'educazioneOrdine come egemoniaNuovo'', FirenzeRoma, 1972Editori Riuniti, ISBN 88-221-2168-61956.
*{{cita libro|titolo=Antonio Gramsci - Lettere. 1908-1926|curatore=[[Antonio Santucci]]|anno=1992|editore=Einaudi|edizione=1|città=Torino|cid=Santucci, 1992|ISBN=88-06-12288-6}}
* A. Burgio, ''Gramsci storico. Una lettura dei "Quaderni dal carcere",'' [[Bari]], [[2003]], ISBN 88-420-6854-3
* [[Antonio Santucci (filosofo)|Antonio Santucci]], ''Antonio Gramsci. 1891-1937'', Palermo, Sellerio, 2005. ISBN 88-389-2062-1
* L. Canfora, ''Su Gramsci'', Datanews, Roma 2007.
*{{cita libro|titolo=Antonio Gramsci - Lettere dal carcere. 1926-1937<small> Prima versione integrale</small>|curatore=Antonio Santucci|annooriginale=1996|anno=2015|editore=Sellerio|edizione=3|città=Palermo|cid=Santucci, 2015|ISBN=88-389-1176-2}}
* A. Carrannante, ''Antonio Gramsci e i problemi della lingua italiana'', in "Belfagor", 30 settembre 1973, pp.&nbsp;544–556
* C.Giovanni CerardiSomai, ''Gramsci ea laVienna. costruzioneRicerche dell'egemoniae documenti 1922-1924'', MilanoUrbino, 2001Argalia Editore, 1979. ISBN 88-87897-12-39788194077862
* Paolo Spriano, ''Gramsci e Gobetti. Introduzione alla vita e alle opere'', Torino, Einaudi, 1977. ISBN 88-06-46243-1
* F. Chiarotto, ''Operazione Gramsci. Alla conquista degli intellettuali nell'Italia del dopoguerra'', Bruno Mondadori, Milano, 2011, ISBN 9788861595125
* [[Giuseppe Tamburrano]], ''Gramsci: la vita, il pensiero e l'azione'', Bari-Perugia, Lacaita, 1963.
* F. De Felice, ''Serrati, Bordiga, Gramsci e il problema della rivoluzione in Italia (1919-1920)'', Bari, [[1971]]
* {{Cita libro|autore=Palmiro Togliatti|titolo=Scritti su Gramsci|editore=Editori Riuniti|città=Roma|anno=2001|isbn=88-359-5018-X}}
* F. Dubla, ''Gramsci e la fabbrica. Produzione, tecnica e organizzazione del lavoro nel pensiero gramsciano (1913/1934)'', presentazione di Carmelo D'Amato, Lacaita, [[1986]]
* [[Giuseppe Vacca (1939)|Giuseppe Vacca]], ''Gramsci e Togliatti'', Roma, Editori Riuniti, 1991. ISBN 9788835934950
* F. Dubla, M.Giusto (a cura di), ''Il Gramsci di Turi. Testimonianze dal carcere'', Chimienti, [[2008]], ISBN 978-88-6115-010-2
* [[Giuseppe Fiori|G. Fiori]], ''Gramsci Togliatti Stalin'', Bari, [[1991]], ISBN 88-420-3713-3
* G. Fiori, ''Vita di Antonio Gramsci'', Bari, [[1989]] ISBN 88-87825-59-9
* G. Fresu, ''Il diavolo e nell'ampolla. Antonio Gramsci, gli intellettuali e il partito'', Napoli, 2005
* F. Frosini, G. Liguori, ''Le parole di Gramsci. Per un lessico dei Quaderni del carcere'', Milano, [[2004]], ISBN 88-430-2853-7
* F. Frosini, ''Gramsci e la filosofia. Saggio sui quaderni dal carcere'', Milano, 2003, ISBN 88-430-2470-1
* [[Eugenio Garin|E. Garin]], ''Con Gramsci'', Editori Riuniti, Roma 1997, ISBN 88-359-4337-X
* V. Gerratana, ''Gramsci. Problemi di metodo'', Roma, [[1997]], ISBN 88-359-4189-X
* F. Giasi (a cura di), ''Gramsci nel suo tempo'' - atti del convegno tenuto a Bari e a Turi dal 13 al 15 dicembre 2007, Carocci, Roma, 2008, ISBN 9788843050871
* L. Gruppi, ''Il concetto di egemonia in Gramsci'', Roma, [[1972]]
* [[Eric Hobsbawm|E. J. Hobsbawm]], ''Gramsci in Europa e in America'', Roma-Bari, 1995, ISBN 88 420 4585 3
* T. La Rocca, ''Gramsci e la religione'', Brescia, 1991, ISBN 88-399-0631-2
* G. Lehner, ''La Famiglia Gramsci in Russia'', Mondadori - Collana: Le Scie / Saggistica, 2008, ISBN 978-88-04-58424-7
* G. Lentini, ''Croce e Gramsci'', Palermo - Roma, [[1967]]
* A. Lepre, ''Il prigioniero. Vita di Antonio Gramsci'', Bari, [[2000]], ISBN 88-420-6035-6
* Guido Liguori, ''Gramsci conteso. Storia di un dibattito 1922-1996'', Editori Riuniti, Roma, 1996, ISBN 88-359-41490
* Guido Liguori - Pasquale Voza (a cura di), ''Dizionario gramsciano'' 1926-1937, Carocci, 2009, ISBN 978-88-430-5143-4
* [[Domenico Losurdo|D. Losurdo]], ''Antonio Gramsci. Dal liberalismo al comunismo critico'', Gamberetti Editore 1997
* [[Mario Alighiero Manacorda|M. A. Manacorda]], ''Il principio educativo in Gramsci "Americanismo e conformismo"'', Roma, 1970
* [[Michele Martelli|M. Martelli]], ''Gramsci filosofo della politica'', Milano, [[1996]], ISBN 88-400-0418-1
* [[Rodolfo Mondolfo|R. Mondolfo]], ''Da [[Roberto Ardigò|Ardigò]] a Gramsci'', Milano, [[1962]]
* R. Orfei, ''Antonio Gramsci coscienza critica del marxismo'', Milano, 1965
* L. Paggi, ''Gramsci e il moderno principe'', Roma, 1970
* G. Pastore, ''Antonio Gramsci. Questione sociale e questione sociologica'', Belforte, Livorno, 2011, ISBN 978-88-7467-059-8
* G. Petronio, “Gramsci critico”, in AA.VV., ''Letteratura italiana. I critici'', vol. V, Milano, Marzorati, 1987, pp.&nbsp;3253&nbsp;– 3277.
* M. Musitelli Paladini, ''Introduzione a Gramsci'', Bari, [[1996]], ISBN 88-420-4830-5
* [[Pier Paolo Pasolini|P. P. Pasolini]], ''[[Le ceneri di Gramsci]]'', Milano, 1957, ISBN 88-11-67606-1
* C. Riechers, ''Gramsci e le ideologie del suo tempo'', Genova, [[1993]].
* S. F. Romano, ''Antonio Gramsci'', Torino, [[1965]]
* [[Angelo Rossi|A. Rossi]], G. Vacca, ''Gramsci tra Mussolini e Stalin'', Roma, [[2007]]
* M. L. Salvadori, ''Gramsci e il problema storico della democrazia'', Torino, [[1970]], ISBN 88-06-35840-5
* F. Scalambrino, ''Un uomo sotto la mole. Biografia di Antonio Gramsci'', Torino [[1997]] ISBN 88-86425-56-2
* G. Schirru (a cura di), ''Gramsci le culture e il mondo''- Atti del Convegno omonimo-aprile 2007, Roma, [[2009]], ISBN 978-88-8334-419-0
* [[Paolo Spriano|P. Spriano]], ''Gramsci e Gobetti. Introduzione alla vita e alle opere'', Torino, [[1977]], ISBN 88-06-46243-1
* N. Stipčević, ''Gramsci e i problemi letterari'', Milano, 1968
* [[Giuseppe Tamburrano|G. Tamburrano]], ''Gramsci: la vita, il pensiero e l'azione'', Bari - Perugia, [[1963]]
* [[Felice Todde]], "Antonio Gramsci e la musica", in "Nuova Rivista Musicale Italiana", Nuova ERI, n. 3,Roma 1995.
* [[Felice Todde]], "L'opera lirica nel pensiero di Antonio Gramsci", in "Nuova Rivista Musicale Italiana", RAI-ERI, n. 3, Roma 2009.
* [[Palmiro Togliatti|P. Togliatti]], ''La formazione del gruppo dirigente del Partito comunista italiano nel 1923-1924'', Roma 1984
* P. Togliatti, ''Scritti su Gramsci'', Roma, [[2001]], ISBN 88-359-5018-X
* G. Vacca, ''Appuntamenti con Gramsci. Introduzione allo studio dei Quaderni dal carcere'', Bari, 1999, ISBN 88-430-1280-0
* E. Paolozzi, ''Croce e la scoperta di Gramsci'', in ''Il liberalismo come metodo'', "Fondazione L. Einaudi", Roma, 1995
* A. Pigliaru, ''Gramsci e la cultura sarda'', Roma, 1969 (ora Nuoro, 2008 con prefazione di Paolo Carta)
*[[Franco Lo Piparo|F. Lo Piparo]], ''Comunista? La chiave linguistica dell'originalità di Gramsci'', Palermo, 2008 ISBN 8895860047
* [[Iain Chambers|I. Chambers]], ''Esercizi di potere'' Gramsci, Said e il postcoloniale, Meltemi, 2006, ISBN 8883534706
* Aldo Accardo, Gianni Fresu, ''Oltre la parentesi'' - Fascismo e storia d'Italia nell'interpretazione gramsciana, Roma, 2009.
* {{en}} [[Richard J.F. Day]], ''Gramsci is Dead: Anarchist Currents in the Newest Social Movements'' Toronto/London, 2005) in italiano ''Gramsci è morto. Dall'egemonia all'affinità'', Milano, 2008
* {{en}} [[James Joll|J. Joll]], ''Antonio Gramsci'', New York, 1977
* {{en}} [[Franco Lo Piparo|F. Lo Piparo]], ''Gramsci and Wittgenstein: an intriguing connection'', in "Perspective on Language Use and Pragmatics", Lincom Europa-Academic Publication, 2010
* C. Basile, D. Benedetto, E. Caglioti, M. degli Esposti, ''L'attribuzione dei testi gramsciani: metodi e modelli matematici'', in "La Matematica nella Società e nella Cultura", Ser. I, Vol. III, Agosto 2010, pp.&nbsp;235–309
 
== Voci correlate ==
* [[ArditiCasa delmuseo PopoloAntonio Gramsci]]
* [[Casellario Politico Centrale]]
* [[Comunismo]]
* [[Benedetto CroceFascismo]]
* [[Francesco De SanctisGramscianesimo]]
* [[FriedrichGiulia EngelsSchucht]]
* [[AntonioTatiana LabriolaSchucht]]
* [[Egemonia culturale]]
* [[Lenin]]
* [[KarlLettere Marxdal carcere]]
* [[Partito Comunista Italiano]]
* [[Marxismo]]
* [[Partito comunista italiano]]
* [[Quaderni del carcere]]
* [[Tesi di Lione]]
* [[Palmiro Togliatti]]
* [[Unione Sovietica]]
* [[L'Unità (quotidiano)]]
* [[Riformismo]]
* [[Risorgimento]]
* [[Teologia della liberazione]]
* [[Abahlali baseMjondolo]]
 
== Altri progetti ==
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== Collegamenti esterni ==
* {{Collegamenti esterni}}
* [http://www.gramsci2007.it/ www.gramsci2007.it]
*{{cita web|http://www.casamuseogramsci.it/|Casa museo Antonio Gramsci a Ghilarza}}
* [http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=420 Antonio Gramsci: un intellettuale fra due totalitarismi] - La Storia siamo noi di [[Giovanni Minoli]] - Rai Educational
* {{cita web | url = http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntate/antonio-gramsci/698/default.aspx | titolo = Antonio Gramsci: un intellettuale fra due totalitarismi | accesso = 16 ottobre 2012 | urlarchivio = https://web.archive.org/web/20121221024544/http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntate/antonio-gramsci/698/default.aspx | urlmorto = sì }}
* [http://www.antoniogramsci.com/ www.antoniogramsci.com]
* [https://www.gramscitorino.it/ Fondazione Istituto piemontese Antonio Gramsci] gramscitorino.it.
* [http://www.italnet.nd.edu/gramsci/ International Gramsci Society]
* [{{cita web|http://www.fondazionegramsci.org/ |Fondazione Istituto Gramsci - Roma]}}
* {{cita web|https://www.marxists.org/italiano/gramsci/index.htm|Opere di Gramsci}}
* [http://www.antoniogramsci.org/ www.antoniogramsci.org]
* {{cita web|http://www.letteratura.rai.it/articoli/luciano-canfora-la-lezione-di-libertà-di-antonio-gramsci/16125/default.aspx|L. Canfora, La lezione di libertà di Antonio Gramsci}}
* [http://www.antoniogramsci.net/ www.antoniogramsci.net]
* [https://www.nilalienum.com/gramsci/ "I Quaderni del carcere" con link intertestuali ai nomi, agli eventi, ai movimenti culturali e politici e note di lettura] a cura di Luigi Anepeta e di Lisa Cecchi.
* [http://www.marxists.org/italiano/gramsci/index.htm Opere di Gramsci]
* {{cita web|https://archive.org/stream/AntonioGramsciLaQuestioneMeridionale/Antonio%20Gramsci%20-%20La%20questione%20meridionale#page/n1/mode/2up|Gramsci, ''La questione meridionale''}}
* [http://www.casagramscighilarza.org/ Sito del museo/centro di documentazione allestito nella casa dove visse Gramsci a Ghilarza]
* ''[https://www.duemilaventi.net/gramsci/ Gramsci]'', pagina web di note e articoli di argomento gramsciano a cura di Francesco Aqueci
* [http://www.istitutoonoratodamen.it/joomla/onorato-damen-scritti/raccoltascritti/56-gramsci-tra-marxismo "Gramsci tra marxismo e idealismo"] di [[Onorato Damen]]
* {{SEP|gramsci|Antonio Gramsci|James Martin}}
 
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|tipologia = incarico di partito
|carica = [[Partito Comunista d'Italia#Il vertice del Pcd'I|Segretario del PCD'I]]
|carica = Segretario del [[Partito Comunista d'Italia]]
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|periodo = [[1924]] - [[1926]]
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