Cesare Beccaria: differenze tra le versioni

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Citazione prima della biografia
 
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{{Aristocratico
| nome = Cesare Beccaria
| immagine = Cesare Beccaria.jpg
| legenda =
| stemma = Arms of the house of Beccaria Bonesana.svg
| titolo = [[Marchese]] di [[Gualdrasco]] e di [[Villareggio]]
| inizio reggenza = [[1782]]
| fine reggenza = [[1794]]
| investitura =
| predecessore = [[Giovanni Saverio Beccaria]]
| successore = [[Giulio III Beccaria]]
| titolo1 =
| titolo2 =
| titolo3 =
| titolo4 =
| titolo5 =
| titolo6 =
| nome completo =
| prefisso onorifico =
| altrititoli =
| data di nascita = 15 marzo [[1738]]
| luogo di nascita = [[Milano]]
| data di morte = {{Calcola età3|1794|11|28|1738|3|15}}
| luogo di morte = [[Milano]]
| sepoltura = [[Cimitero della Mojazza]]
| dinastia = [[Beccaria]]-[[Bonesana]]
| padre = [[Giovanni Saverio Beccaria]]
| madre = [[Maria Visconti di Saliceto]]
| consorte =
| consortedi =
| coniuge 1 = [[Teresa Blasco]]
| coniuge 2 = [[Anna Barbò]]
| coniuge 3 =
| coniuge 4 =
| coniuge 5 =
| figli = [[Giulia Beccaria|Giulia]]<br/>Maria<br/>[[Giovanni Annibale Beccaria|Giovanni Annibale]]<br/>Margherita<br/>[[Giulio III Beccaria|Giulio]]
| religione = [[Cattolicesimo]]
| firma =
| motto reale =
}}
{{Bio
|Nome = Cesare
|Cognome = Beccaria Bonesana, marchese di Beccaria
|PostCognomeVirgola = '''[[marchese]] di [[Gualdrasco]] e di [[Villareggio]]'''<ref>Il nome di «marchese di Beccaria», usato talvolta nella corrispondenza, si trova in molte fonti (tra cui l'Enciclopedia Britannica) ma è errato: il titolo esatto era «marchese di Gualdrasco e di Villareggio» (cfr. {{cita libro|autore=Maria G. Vitali|titolo=Cesare Beccaria, 1738-1794. Progresso e discorsi di economia politica|città=Paris|anno=2005|p=9}} {{cita libro|autore-capitolo=Philippe Audegean|capitolo=Introduzione|titolo=Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene|città=Lione|anno=2009|p=9}})</ref>
|ForzaOrdinamento = Beccaria, Cesare
|Sesso = M
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|AnnoMorte = 1794
|Epoca = 1700
|PreAttività =
|Attività = giurista
|Attività2 = filosofo
|Attività3 = economista
|AttivitàAltre ={{sp}} e [[letterato]]
|Nazionalità = italiano
|PostNazionalità = ,considerato figuratra dii spiccomassimi esponenti dell'[[Illuminismo in Italia|illuminismo italiano]], legatofigura aglidi ambientispicco intellettualidella milanesi[[Illuminismo in Italia#L'illuminismo lombardo|scuola illuministica milanese]]
|Immagine = Cesare Beccaria 1738-1794.jpg
|Didascalia = Cesare Beccaria
}}
 
La sua opera principale, il trattato ''[[Dei delitti e delle pene]]'', in cui viene condotta un'analisi politica e giuridica contro la [[pena di morte]] e la [[tortura]] sulla base della ragione e del [[pragmatismo]] di stampo [[utilitarismo|utilitarista]], è tra i testi più influenti della storia del [[diritto penale]] ed ispirò tra gli altri il [[codice leopoldino|codice penale]] voluto dal [[Granducato di Toscana|granduca]] [[Leopoldo II d'Asburgo-Lorena|Pietro Leopoldo di Toscana]]. Il suo pensiero fu fortemente influenzato dal Circolo dei fratelli Verri, soprattutto dal conte [[Pietro Verri]], che nella Milano illuminista dettero vita alla rivista [[Il Caffè (1764-1766)|Il Caffè]].
 
Nonno materno di [[Alessandro Manzoni]], nonché prozio dello storico [[Napoleone Bertoglio Pisani]], Cesare Beccaria è considerato inoltre come uno dei padri fondatori della teoria classica del [[diritto penale]] e della [[criminologia]] di scuola [[liberalismo|liberale]]<ref>{{Cita libro|cognome=Hostettler|nome= John|titolo=Cesare Beccaria: The Genius of 'On Crimes and Punishments' |anno=2010|url=https://archive.org/details/cesarebeccariage0000host|data=2011|editore=Waterside Press|città=Hampshire|isbn=978-1-904380-63-4|p=[https://archive.org/details/cesarebeccariage0000host/page/n161 160]}}</ref>.
 
== Biografia ==
===Origini familiari e matrimonio===
Cesare Beccaria nacque a Milano, figlio di Giovanni Saverio di Francesco, e di Maria Visconti di Saliceto, il 15 marzo 1738. Studiò a [[Parma]], poi a [[Pavia]] dove si laureò nel [[1758]].<br />
Cesare Beccaria nacque a Milano, figlio di Giovanni Saverio di Francesco, discendente da una ramo dell'importante famiglia pavese dei [[Beccaria]]<ref>{{Cita web|url=https://museoperlastoria.unipv.it/cesare-beccaria/|titolo=Cesare Beccaria}}</ref>, e di Maria<ref>Indicata come "Ortensia" in {{cita libro|autore-capitolo=Pompeo Litta|wkautore-capitolo=Pompeo Litta Biumi|capitolo=Visconti|titolo=Famiglie celebri italiane|url=http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b8452267x/f10.image}}</ref> [[Visconti]] di Saliceto, il 15 marzo 1738. Il padre aveva sposato la Visconti in seconde nozze nel 1736, dopo essere rimasto vedovo nel 1730 di Cecilia Baldroni.
Nel [[1760]], contro la volontà del padre, rinunciando ai suoi diritti di [[primogenitura]], sposò l'allora sedicenne Teresa Blasco (originariamente De Blasio) nata a [[Rho]] nel [[1744]], dalla quale ebbe quattro figli: [[Giulia Beccaria]] (1762-1841), Maria Beccaria (1766 - 1788), Giovanni Annibale nato e morto nel [[1767]] e Margherita anch'essa nata e morta nel [[1772]].<br />
 
Teresa morì il [[14 marzo]] [[1774]]. Beccaria, dopo appena 40 giorni di vedovanza, firmò il contratto di matrimonio con Anna dei Conti Barnaba Barbò, che sposò in seconde nozze il 4 giugno 1774, ad appena 82 giorni dalla morte della prima moglie, suscitando grande scalpore. Da Anna Barbò ebbe un altro figlio, Giulio Beccaria.<br />
Fu educato a [[Parma]] dai [[gesuiti]] e si laureò in [[Giurisprudenza]] il 13 settembre 1758 all'[[Università degli Studi di Pavia]].
Il suo avvicinamento all'[[Illuminismo]] avvenne dopo la lettura delle ''[[Lettere persiane]]'' di [[Montesquieu]]<ref>C.e M. Sambugar, D. Ermini, G. Salà - ''Percorsi modulari di lettura e di lavoro: Dall'Illuminismo al Realismo'', ed. La Nuova Italia</ref>.<br />
 
Fece parte del cenacolo dei fratelli [[Pietro Verri|Pietro]] e [[Alessandro Verri]], collaborò alla rivista ''[[Il Caffè]]'' e contribuì a creare l'[[Accademia dei fratelli ]] nel [[1762]], fondata secondo un suo concetto della educazione dei giovani mirante a rispettare i suoi concetti di legalità. Cesare Beccaria pensava che l'uomo acculturato fosse meno incline a commettere delitti.<br />
Il 22 febbraio [[1761]] Cesare sposò la nobildonna spagnola Teresa de Blasco contro la volontà del padre, che lo costrinse a rinunciare ai diritti di [[primogenitura]] (mantenne però il titolo di marchese<ref>{{cita libro|autore=Renzo Zorzi|titolo=Cesare Beccaria. Dramma della Giustizia|città=Milano|anno=1995|p=53}}</ref>); da questo matrimonio ebbe quattro figli: [[Giulia Beccaria|Giulia]] (1762-1841), Maria (1766-1788), nata con gravi problemi neurologici e morta giovane, Giovanni Annibale nato e morto nel [[1767]] e Margherita anch'essa nata e morta nel [[1772]].
Dalle discussioni con gli amici Verri gli venne l'impulso di scrivere un libro che spingesse a una riforma in favore dell'umanità più sofferente<ref>C. e M. Sambugar, D. Ermini, G. Salà, ''Percorsi modulari di lettura e di lavoro: Dall'Illuminismo al Realismo'', Firenze, ed. La Nuova Italia</ref>.<br />
 
Fu stimolato in particolare da Alessandro Verri, protettore dei carcerati, a interessarsi alla situazione della giustizia<ref>Gianmarco Gasparri (a cura di), ''Viaggio a Parigi e Londra (1766-1767) - Carteggio di Pietro ed Alessandro Verri'', Milano, [[Adelphi]], 1980</ref>.
Il padre lo cacciò anche da casa dopo il matrimonio, così dovette essere ospitato da [[Pietro Verri]], che lo mantenne anche economicamente per un periodo.
 
Teresa morì il 14 marzo [[1774]], a causa della [[sifilide]] o della [[tubercolosi]]. Beccaria, dopo appena 40 giorni di vedovanza, firmò il contratto di matrimonio con Anna dei Conti Barnaba Barbò, che sposò in seconde nozze il 4 giugno 1774, ad appena 82 giorni dalla morte della prima moglie. Da Anna Barbò ebbe un altro figlio, Giulio.<ref name="Pirrotta">Pirrotta, ''art. cit''</ref>
 
===I suoi primi lavori===
Il suo avvicinamento all'[[Illuminismo]] avvenne dopo la lettura delle ''[[Lettere persiane]]'' di [[Montesquieu]] e del “Contratto sociale” di Rousseau, grazie ai quali si entusiasmò per i problemi filosofici e sociali ed entrò nel cenacolo di casa Verri, dove aveva sede anche la redazione del Caffè, il più celebre giornale politico-letterario del tempo, per il quale scrisse sporadicamente.
 
[[File:Beccaria - Dei delitti e delle pene, 1780.djvu|thumb|upright=0.7|page=13|left|Frontespizio dall'edizione del 1780. La copia nella fotografia era proprietà di [[John Adams]], futuro [[Presidente degli Stati Uniti]], di cui si legge il nome scritto a mano, con la data del 1780.]]
 
===La pubblicazione di ''Dei delitti e delle pene''===
Dopo la pubblicazione di alcuni [[Articolo (giornalismo)|articoli]] di economia, nel [[1764]] diede alle stampe ''[[Dei delitti e delle pene]]'', capolavoro ispirato dalle discussioni in casa Verri del problema dello stato deplorevole della giustizia penale. Inizialmente anonimo è un breve scritto contro la [[tortura]] e la [[pena di morte]] che ebbe enorme fortuna in tutta [[Europa]] e nel mondo e in particolare in [[Francia]].
 
Contro le posizioni di Beccaria uscì, nel [[1765]] il testo ''Note ed osservazioni sul libro intitolato Dei delitti e delle pene'' di [[Ferdinando Facchinei]]. Le polemiche che ne seguirono contribuirono alla decisione di mettere il trattato di Beccaria all'[[Indice dei libri proibiti]] nel [[1766]], a causa della distinzione tra peccato e reato.[[File:Dei delitti e delle pene.tif|miniatura|upright|''Dei delitti e delle pene'', 1765.]]
 
===Il viaggio in Francia e gli ultimi anni===
Dopo la pubblicazione di alcuni articoli di economia, nel [[1764]] diede alle stampe ''[[Dei delitti e delle pene]]'', inizialmente anonimo, breve scritto contro la [[tortura]] e la [[pena di morte]] che ebbe enorme fortuna in tutta [[Europa]] e nel mondo ([[Thomas Jefferson]] e i padri fondatori degli [[Stati Uniti]], che la lessero direttamente in [[Lingua italiana|italiano]], presero spunto per le nuove leggi americane) e in particolare in [[Francia]], dove incontrò l'apprezzamento entusiastico dei filosofi dell'[[Encyclopédie]], di [[Voltaire]] e dei ''philosophes'' più prestigiosi che lo tradussero (la versione francese è opera dell'[[abate]] [[filosofo]] [[André Morellet]], con le note di [[Denis Diderot]]) e lo considerarono come un vero e proprio capolavoro<ref>vedi, ad esempio, [[Voltaire]], ''Commento al libro "Dei delitti e delle pene"'', in ''Grande antologia filosofica'', vol. XIV, pp. 570-71</ref>. L'opera fu messa all'[[Indice dei libri proibiti]] nel [[1766]], a causa della distinzione tra peccato e reato.<br /> Per molti l'opera fu scritta in realtà da Pietro Verri, che riprese temi simili nelle ''Osservazioni sulla tortura'' e pubblicata anonima a [[Livorno]] per non incorrere nelle ire del governo austriaco. Lo stile appare diverso da quello del Verri e non vi sono prove certe a proposito: in realtà si può dire che il trattato germinò dal dibattito che animava la rivista ''Il Caffè'', di cui i fratelli Verri erano gli intellettuali di primo piano.
Nel 1766 Beccaria viaggiò poi controvoglia fino a [[Parigi]], e solo dietro l'insistenza dei fratelli Verri e dei filosofi francesi desiderosi di conoscerlo. Fu accolto per breve tempo nel circolo del [[barone d'Holbach]]. La sua giustificata gelosia per la moglie lontana e il suo carattere ombroso e scostante, fecero sì che appena possibile tornasse a Milano, lasciando solo il suo accompagnatore Alessandro Verri a proseguire il viaggio verso l'[[Inghilterra]].<ref name="Pirrotta" /> Il carattere riservato e riluttante di Beccaria, tanto nelle vicende private quanto nelle pubbliche, ebbe nei fratelli Verri, e soprattutto in Pietro, un fondamentale punto di appoggio e di stimolo soprattutto quando iniziò ad interessarsi allo studio dell'economia. Come [[Jean-Jacques Rousseau|Rousseau]], Beccaria era a tratti [[paranoia|paranoico]] e aveva spesso [[disturbi dell'umore|sbalzi d'umore]], la sua personalità era abbastanza indolente e il carattere debole, poco brillante e non portato alla vita sociale; ciò non gli impediva però di esprimere molto bene i concetti che aveva in mente, soprattutto nei suoi scritti.<ref name="Pirrotta" />
 
Tornato a Milano nel 1768 ottenne la cattedra di Scienze Camerali ([[economia politica]]), creata per lui nelle scuole palatine di Milano e cominciò a progettare una grande opera sulla convivenza umana, mai completata.
Beccaria viaggiò poi controvoglia fino a [[Parigi]], e solo dietro l'insistenza dei fratelli Verri e dei filosofi francesi desiderosi di conoscerlo. Fu accolto per breve tempo nella circolo del [[barone d'Holbach]]. La sua giustificata gelosia per la moglie lontana e il suo carattere ombroso e scostante, fecero sì che appena possibile tornò a Milano, lasciando solo il suo accompagnatore Alessandro Verri a proseguire il viaggio verso l'[[Inghilterra]].
[[File:Accademia dei Pugni.jpg|thumb|left|[[Antonio Perego (pittore)|Antonio Perego]], ''L'Accademia dei Pugni''. Da sinistra a destra: [[Alfonso Longo]] (di spalle), [[Alessandro Verri]], [[Giambattista Biffi]], Cesare Beccaria, [[Luigi Stefano Lambertenghi]], [[Pietro Verri]], [[Giuseppe Visconti di Saliceto]]]]
Tornato a Milano non si mosse più, divenne professore di Scienze Camerali ([[economia politica]]) e cominciò a progettare una grande opera sulla convivenza umana, mai completata.<br />
Entrato nell'amministrazione austriaca nel [[1771]], fu nominato membro del Supremo Consiglio dell'Economia, contribuendo alle riforme asburgiche sotto [[Maria Teresa d'Austria|Maria Teresa]] e [[Giuseppe II d'Asburgo-Lorena|Giuseppe II]]. Fu criticato per questo dagli amici (tra cui Pietro Verri), che gli rimproveravano di essere diventato un burocrate<ref>C. e M. Sambugar, D. Ermini, G. Salà, ''op, cit.''.</ref>. Gli studiosi, però, considerano questi giudizi ingiusti dal momento che Cesare Beccaria si dedicò ad importanti riforme, che richiedevano una notevole preparazione intellettuale, non solo amministrativa. Fra queste ci fu la riforma delle misure dello stato milanese, intrapresa prima di quella del [[sistema metrico decimale]] francese, e a cui Beccaria, insieme al fratello [[Annibale Beccaria|Annibale]], dedicò quasi vent'anni della sua vita. (La riforma, notevolmente complessa, coinvolse alla fine solo il braccio milanese. La successiva riforma dei pesi non fu mai realizzata).<ref>{{Cita pubblicazione|titolo = Emanuele Lugli, 'Cesare Beccaria e la riduzione delle misure lineari a Milano,' Nuova Informazione Bibliografica 3/2015, 579-602.|accesso = 11 dicembre 2015|doi = 10.1448/80865|url = http://www.rivisteweb.it/doi/10.1448/80865}}</ref>
 
Il suo rapporto con la figlia [[Giulia Beccaria|Giulia]], futura madre di [[Alessandro Manzoni]], fu conflittuale per gran parte della sua vita; ella era stata messa in collegio (nonostante Beccaria avesse spesso deprecato i collegi religiosi) subito dopo la morte della madre e lì dimenticata per quasi sei anni: suo padre non volle più sapere niente di lei per molto tempo e non la considerò mai sua figlia, bensì il frutto di una relazione extraconiugale delle numerose che la moglie aveva avuto. Beccaria non si sentiva adeguato al ruolo di padre, inoltre negò l'eredità materna alla figlia, avendo contratto dei debiti: ciò gli diede la fama di irriducibile avarizia.<ref name="Pirrotta" /> Giulia uscì dal collegio nel [[1780]], frequentando poi gli ambienti illuministi e libertini. Nel [[1782]] la diede in sposa al conte [[Pietro Manzoni]], più vecchio di vent'anni di lei: il nipote Alessandro nacque nel [[1785]], ma pare fosse in realtà il figlio di [[Giovanni Verri]], fratello minore di Pietro e Alessandro, e amante di Giulia. Prima della morte del padre, Giulia abbandonò il marito, nel 1792, per andare a vivere a Parigi insieme al conte [[Carlo Imbonati]], rompendo i rapporti definitivamente col padre,<ref name="Pirrotta" /> e temporaneamente anche con il figlio.
Entrato nell'amministrazione austriaca nel [[1771]], fu nominato membro del Supremo Consiglio dell'Economia, carica che ricoprì per oltre vent'anni, contribuendo alle riforme asburgiche. Fu criticato per questo dagli amici (tra cui Pietro Verri), che gli rimproveravano di essere diventato un burocrate<ref>C. e M. Sambugar, D. Ermini, G. Salà, ''op, cit.''.</ref>.
Morì a Milano il 28 novembre [[1794]], a causa di un [[ictus]], all'età di 56 anni, e fu sepolto nel cimitero di San Gregorio.
Pietro Verri, con una riflessione valida ancora oggi, deplorò nei suoi scritti il fatto che i milanesi, non avessero onorato abbastanza il nome di Cesare Beccaria, né da vivo né da morto, che tanta gloria aveva portato alla città,
 
Beccaria morì a Milano il 28 novembre [[1794]], a causa di un [[ictus]], all'età di 56 anni, e trovò sepoltura nel [[Cimitero della Mojazza]], fuori [[Porta Garibaldi (Milano)|Porta Comasina]], in una sepoltura popolare (dove fu sepolto anche [[Giuseppe Parini]]) anziché nella tomba di famiglia. Quando tutti i resti vennero traslati nel [[cimitero monumentale di Milano]], un secolo dopo, si perse traccia della tomba del grande giurista. Pietro Verri, con una riflessione valida ancora oggi, deplorò nei suoi scritti il fatto che i milanesi non avessero onorato abbastanza il nome di Cesare Beccaria, né da vivo né da morto, che tanta gloria aveva portato alla città. Ai funerali di Beccaria era presente anche il giovane nipote [[Alessandro Manzoni]] (che riprenderà molte delle riflessioni del nonno e di Verri nella ''[[Storia della colonna infame]]'' e nel suo capolavoro, ''[[I promessi sposi]]''), nonché il figlio superstite ed erede, Giulio.<ref>{{cita web|url=http://www.corrierecomo.it/?option=com_content&view=article&id=40112%3Abeccaria-non-riposa-sul-lario&catid=29%3Acultura&Itemid=30|titolo=Beccaria non riposa sul Lario|lingua=|data=|accesso=|dataarchivio=13 novembre 2014|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20141113081543/http://www.corrierecomo.it/?option=com_content&view=article&id=40112%3Abeccaria-non-riposa-sul-lario&catid=29%3Acultura&Itemid=30|urlmorto=sì}}</ref>
La figlia [[Giulia Beccaria|Giulia]], futura madre di [[Alessandro Manzoni]], era stata messa in collegio subito dopo la morte della madre e dimenticata: suo padre non volle più sapere niente di lei per molto tempo e non la considerò mai sua figlia, bensì il frutto di una relazione extraconiugale. Nel [[1782]] la diede in sposa al conte [[Pietro Manzoni]]: il nipote Alessandro nacque nel [[1785]], ma pare fosse in realtà il figlio di [[Giovanni Verri]], fratello minore di Pietro e Alessandro. Prima della morte di Cesare, Giulia lasciò il conte Manzoni e Milano, andando a vivere a Parigi con il conte [[Carlo Imbonati]], rompendo definitivamente i rapporti col padre.
 
== Il pensiero ==
Beccaria fu influenzato dalla lettura di [[John Locke|Locke]], [[Claude-Adrien HelvetiusHelvétius|HelvetiusHelvétius]], [[Jean Jacques Rousseau|Rousseau]] (di cui condivideva l'orientamento [[deista]], sebbene professasse sempre il cattolicesimo per tutta la sua vita) e, come gran parte degli illuministi milanesi, dal [[sensismo]] di [[Étienne Bonnot de Condillac|Condillac]].<br />Fu influenzato anche dagli enciclopedisti, in particolare da [[Voltaire]] e [[Diderot]].
Partendo dalla classica [[contratto sociale|teoria contrattualistica]] del diritto, derivata dain quellaparte didalla formulazione datane da Rousseau, che sostanzialmente fonda la società su un [[Contratto sociale (saggio)|contratto sociale (nell'omonima opera)]] teso a salvaguardare i diritti degli individui e a garantire in questo modo l'ordine, Beccaria definì in pratica il delitto in maniera laica come una violazione del contratto, e non come offesa alla legge divina, che appartiene alla coscienza della persona e non alla sfera pubblica<ref>F. Venturi, ''Settecento riformatore'', Einaudi, Torino, 1969)</ref>. La società nel suo complesso godeva pertanto di un diritto di autodifesa, da esercitare in misura proporzionata al delitto commesso (principio del proporzionalismo della pena) e secondo il principio contrattualistico per cui nessun uomo può disporre della vita di un altro (Rousseau non considerava moralmente lecito nemmeno il suicidio, in quanto non l'uomo, ma la natura, nella visione del ginevrino, aveva potere sulla propria vita, e quindi tale diritto non poteva certamente andare allo Stato, che comunque avrebbe violato un diritto individuale).
 
=== La battaglianatura controutilitaristica l'del ''"inutile prodigalitàpensiero di supplizi"''Beccaria ===
Il punto di vista illuministico del Beccaria si concentra in frasi come «Non vi è libertà ogni qual volta le leggi permettono che in alcuni eventi l'uomo cessi di essere persona e diventi cosa». Ribadisce come è necessario neutralizzare l'«inutile prodigalità di supplizi» ampiamente diffusi nella società del suo tempo.
Beccaria sosteneva quindi l'abolizione della [[pena di morte]], perché a suo avviso non impediva i crimini e non era efficace come deterrente, nonché della [[tortura]], perché era una punizione preventiva ingiusta e crudele e non serviva a scoprire nulla, giacché forniva dubbie confessioni. Si occupò inoltre della prevenzione dei delitti, favorita a suo avviso dalla certezza piuttosto che dalla severità della pena (principio elaborato per la prima volta dall'inglese [[Robert Peel]]).<br />
La tesi [[umanitarismo|umanitaria]], messa in risalto da Voltaire, è parzialmente da lui accantonata, in quanto Beccaria vuole dimostrare pragmaticamente l'inutilità della tortura e della pena di morte, più che la loro ingiustizia.
Egli è infatti consapevole che i legislatori sono mossi più dall'utile pratico di una legge, che da principi assoluti, di ordine religioso o filosofico<ref>Sambugar, Salà, Letteratura modulare, vol. I</ref>.
Beccaria afferma infatti che «se dimostrerò non essere la morte né utile né necessaria, avrò vinto la causa dell'umanità».
Beccaria quindi si inserisce nel filone [[utilitarismo|utilitaristico]]: considera l'utile come movente e metro di valutazione di ogni azione umana.
 
[[File:DSC02897 - Milano - Piazza Beccaria - Monumento a Cesare Beccaria - Foto di Giovanni Dall'Orto - 29-1-2007.jpg|thumb|upright|Monumento a Cesare Beccaria, [[Giuseppe Grandi]], Milano]]
Beccaria sosteneva che per un qualunque criminale, una vita da trascorrere in carcere con l'[[ergastolo]] privativo della libertà, è peggiore di una condanna a morte, mentre l'esecuzione non vale come monito e deterrente al crimine in quanto le persone tendono a dimenticare e rimuovere completamente un fatto traumatico e pieno di sangue, anche perché nella [[memoria collettiva]] l'esecuzione non è collegata ad un ricordo di colpevolezza (non essendo stato seguito il processo). Il vero freno della criminalità non è, secondo Beccaria, la crudeltà delle pene, ma la sicurezza che il colpevole sarà punito, anche con una pena più mite ma certa ed inevitabile.
Nel trattato si riprende anche il principio del valore rieducativo della pena, secondo un filone tipicamente italiano iniziato da [[Tommaso Campanella]]<ref>[http://www.ristretti.it/areestudio/territorio/brescia/rieducazione.htm Link]</ref>, che del carcere aveva avuto esperienza personale: {{cn|viene rilevato come la piccola delinquenza trovi in questa realtà vitto e alloggio assicurati e abbia un "interesse" a commettere crimini pur di entrarvi}}. Comunque è "l'estensione e non l'intensione della pena" che spinge a non commettere crimini: dunque occorrerebbero pene certe ed estese nel tempo. Invece, la pena di morte resta ammissibile soltanto nei casi in cui una fuga dal carcere del condannato potesse mettere in pericolo la sicurezza della società, specialmente nel caso di individui la cui sola esistenza è un pericolo per lo Stato. Tale motivazione fu usata da [[Robespierre]] per chiedere la condanna di [[Luigi XVI]], che invece diede il via al [[Regime del Terrore|Terrore]], certamente non ammissibile nel pensiero di Beccaria.
 
L'ambito della sua dottrina è quello general-preventivo, nel quale si suppone che l'uomo sia condizionabile in base alla promessa di un premio o di un castigo e, nel contempo, si ritiene che sussista fra ogni cittadino e le istituzioni una conflittualità più o meno latente.
Il punto di vista illuministico del Beccaria si concentra in frasi come la seguente: "''Non vi è libertà ogni qual volta le leggi permettono che in alcuni eventi l'uomo cessi di essere persona e diventi cosa''".
Sostiene la [[laicità]] dello Stato.
Adotta come metodo d'indagine quello analitico-deduttivo (tipico della matematica) e per lui l'esperienza è da intendersi in termini fenomenici (approccio sensista).
 
La natura umana si svolge in una dimensione edonistico-pulsionistica, ovvero sia i singoli, sia la moltitudine, agiscono seguendo i loro sensi.
=== Il rifiuto della ===
In poche parole l'uomo è caratterizzato dall'edonismo.
Gli individui possono essere paragonati a dei «fluidi» messi in movimento dalla costante ricerca del piacere, intesa come fuga dal dolore.
L'uomo però è una macchina intelligente capace di razionalizzare le pulsioni, in modo da consentire la vita in società; infatti certamente ogni uomo pretende di essere autonomo e insindacabile nelle sue decisioni, ma si rende conto della convenienza della vita sociale.
Ma la conflittualità rimane e quindi bisogna impedire che il cittadino venga sedotto dall'idea di infrangere la legge al fine di perseguire il proprio utile a tutti i costi, pertanto il legislatore, da «abile architetto», deve predisporre sanzioni e premi in funzione preventiva; è necessario tenere sotto controllo i «fluidi», inibendo le pulsioni antisociali.
 
Tuttavia Beccaria sostiene che la sanzione deve essere sì idonea e sicura, a garantire la difesa sociale, ma al contempo mitigata e rispettosa della persona umana.
La pena di morte, “''una guerra della nazione contro un cittadino''”, è inaccettabile perché il bene della vita è indisponibile, quindi sottratto alla volontà del singolo e dello Stato. <br />
{{citazione|Il fine delle pene non è di tormentare ed affliggere un essere sensibile, né di disfare un delitto già commesso. Può egli in un corpo politico, che, ben lungi di agire per passione, è il tranquillo moderatore delle passioni particolari, può egli albergare questa inutile crudeltà stromento del furore e del fanatismo o dei deboli tiranni? Le strida di un infelice richiamano forse dal tempo che non ritorna le azioni già consumate? Il fine dunque non è altro che d'impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi cittadini e di rimuovere gli altri dal farne uguali. Quelle pene dunque e quel metodo d'infliggerle deve esser prescelto che, serbata la proporzione, farà una impressione più efficace e più durevole sugli animi degli uomini, e la meno tormentosa sul corpo del reo.<ref>Dei delitti e delle pene, capitolo XII</ref>}}
Essa sarebbe necessaria solo quando l’eliminazione del singolo fosse il vero ed unico freno per distogliere gli altri dal commettere delitti, come nel caso di chi fomenta tumulti.<br />
Essa non svolge una adeguata azione intimidatoria poiché lo stesso criminale teme meno la morte di un ergastolo perpetuo o di una miserabile schiavitù, si tratta di una sofferenza definitiva contro una sofferenza reiterata.<br />
Nei soggetti osservanti, essa può poi apparire come uno spettacolo o suscitare compassione. Nel primo caso, essa indurisce gli animi, rendendoli più inclini al delitto; nel secondo, non rafforza il senso di obbligatorietà della legge e il senso di fiducia nelle istituzioni, anzi lo diminuisce. Anche se la pena assumesse un aspetto deterrente, essa apparirebbe uno strumento troppo dispendioso in quanto dovrebbe essere irrogata spesso per esercitare la dovuta impressione sugli uomini.<br />
Suggerisce invece di sostituirla con i lavori forzati, in modo che il reo, ridotto a “''bestia di servigio''”, fornirà esempio duraturo ed incisivo dell’efficacia della legge, risarcendo la società dai danni provocati; e, così facendo, nel contempo si salvaguarda il valore della vita. <br />
Questa condizione è assai più potente dell’idea della morte e spaventa più chi la vede che chi la soffre; è quindi efficace ed intimidatoria, benché tenue. In realtà così facendo viene sostituita alla morte del corpo la morte dell’anima, il condannato viene annichilito interiormente.<br />
E comunque Beccaria in tema di pena di morte fa prevalere le ragioni della difesa sociale su quelle di carattere umanitario.
 
=== Il rifiuto della pena di morte ===
{{Citazione|Parmi un assurdo che le leggi, che sono l'espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l'omicidio, ne commettono uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall'assassinio, ordinino un pubblico assassinio|Dei delitti e delle pene, cap. XXVIII}}
[[File:Beccaria - Dei delitti e delle pene - 6043967 A.jpg|thumb|left|upright=0.8|Illustrazione allegorica da ''Dei delitti e delle pene'': la [[Giustizia]] personificata respinge il [[boia]], con in mano tre teste, e una spada.]]
La [[pena di morte]], “''una guerra della nazione contro un cittadino''”, è inaccettabile perché il bene della vita è indisponibile, quindi sottratto alla volontà del singolo e dello Stato.<br />
Inoltre essa:
* non è un vero deterrente
* non è assolutamente necessaria in tempo di pace
 
Essa non svolge un'adeguata azione intimidatoria poiché lo stesso criminale teme meno la morte di un ergastolo perpetuo o di una miserabile schiavitù: si tratta di una sofferenza definitiva contro una sofferenza ripetuta. Ai soggetti che assistono alla sua esecuzione, inoltre, essa può apparire come uno spettacolo o suscitare compassione. Nel primo caso, essa indurisce gli animi, rendendoli più inclini al delitto; nel secondo, non rafforza il senso di obbligatorietà della legge e il senso di fiducia nelle istituzioni.
=== A proposito delle sanzioni ===
Beccaria indica come la [[sanzione]] deve possedere cinque requisiti:
# la ''prontezza'' ovvero la vicinanza temporale della pena al delitto
# l’''infallibilità'' ovvero vi deve essere la certezza della risposta sanzionatoria da parte delle autorità
# la ''proporzionalità'' con il reato (difficile da realizzare ma auspicabile)
# la ''durata'', che dev’essere adeguata
# la ''pubblica esemplarità'', infatti la destinataria della sanzione è la collettività, che constata la non convenienza all’infrazione
 
Questa condizione è assai più potente dell'idea della morte e spaventa più chi la vede che chi la soffre; è quindi efficace ed intimidatoria, benché tenue. In realtà così facendo viene sostituita alla morte del corpo la morte dell'anima, il condannato viene annichilito interiormente. Tuttavia non è la punizione fine a sé stessa l'obiettivo di Beccaria, ma egli utilizza questo argomento dell'afflittività penale per convincere i governanti e i giudici, in quanto il suo fine resta eminentemente rieducativo e risarcitivo (il condannato non deve essere afflitto o torturato, ma deve riparare il danno in maniera economico-politica, come previsto da una concezione puramente utilitaristica e di giustizia anti-retributiva).<ref>''Cesare Beccaria, la scoperta della libertà'', con [[Lucio Villari]], [[Il tempo e la storia]], Rai Tre</ref>
Pertanto il fine della sanzione non è quello di affliggere, ma quello di impedire al reo di compiere altri delitti e di intimidire gli altri dal compierne altri. <br />
 
Beccaria ammette che il ricorso alla pena capitale sia necessario solo quando l'eliminazione del singolo fosse il vero ed unico freno per distogliere gli altri dal commettere delitti, come nel caso di chi fomenta tumulti e tensioni sociali: ma questo caso non sarebbe applicabile se non verso un individuo molto potente e solo in caso di una [[guerra civile]].<br />
Secondo Beccaria, per ottenere una approssimativa proporzionalità pena-delitto, bisogna tener conto:<br />
Tale motivazione fu usata, per chiedere la condanna di [[Luigi XVI]], da [[Maximilien de Robespierre]], il quale era inizialmente avverso alla pena capitale ma in seguito diede il via ad un uso spropositato della pena di morte e poi al [[Regime del Terrore|Terrore]]; comportamenti del tutto inammissibili nel pensiero di Beccaria, che infatti prese le distanze, come molti illuministi moderati, dalla [[Rivoluzione francese]] dopo il [[1793]].
- del danno subito dalla collettività<br />
- del vantaggio che comporta la commissione di tale reato<br />
- della tendenza dei cittadini a commettere tale reato<br />
Non dev’essere quindi una violenza gratuita, ma dev’essere invece essenzialmente pubblica, pronta, necessaria, la minima delle possibili nelle date circostanze, proporzionata ai delitti, dettata dalle leggi. <br />
La pena è oltretutto una ''extrema ratio'', infatti si dovrebbe evitare di ricorrere ad essa quando si hanno efficaci strumenti di controllo sociale. Per questo è importante attuare degli espedienti di “prevenzione indiretta”, come ad esempio: un sistema ordinato della magistratura, la diffusione dell’istruzione nella società, il diritto premiale, una riforma economico-sociale che migliori le condizioni di vita delle classi sociali disagiate.
 
===Sul portoL'avversione dellealla armitortura da fuoco===
La [[tortura]], “''l'infame crociuolo della verità''”, viene confutata da Beccaria con varie argomentazioni:
Il pensiero di Beccaria sul porto delle [[armi da fuoco]], che egli riteneva un utile strumento di [[deterrenza]] del crimine, si riassume nelle seguenti citazioni'':"Falsa idea di utilità è quella che sacrifica mille vantaggi reali per un inconveniente o immaginario o di poca conseguenza, che toglierebbe agli uomini il fuoco perché incendia e l’acqua perché annega, che non ripara ai mali che col distruggere.
 
''Le leggi che proibiscono di portare armi sono leggi di tal natura; esse non disarmano che i non inclinati né determinati ai delitti, mentre coloro che hanno il coraggio di poter violare le leggi più sacre della umanità e le più importanti del codice, come rispetteranno le minori e le puramente arbitrarie, e delle quali tanto facili ed impuni debbon essere le contravvenzioni, e l’esecuzione esatta delle quali toglie la libertà personale, carissima all'uomo, carissima all’illuminato legislatore, e sottopone gl’innocenti a tutte le vessazioni dovute ai rei?
* essa viola la presunzione di innocenza, dato che «un uomo non può chiamarsi reo fino alla sentenza del giudice».
''Queste peggiorano la condizione degli assaliti, migliorando quella degli assalitori, non iscemano gli omicidii, ma gli accrescono, perché è maggiore la confidenza nell’assalire i disarmati che gli armati.''
* consiste in un'afflizione e pertanto è inaccettabile; se il delitto è certo porta alla pena stabilita dalle leggi, se è incerto non si deve tormentare un possibile innocente.
''Queste si chiamano leggi non prevenitrici ma paurose dei delitti, che nascono dalla tumultuosa impressione di alcuni fatti particolari, non dalla ragionata meditazione degl’inconvenienti ed avantaggi di un decreto universale''
* non è operativa in quanto induce a false confessioni, poiché l'uomo, stremato dal dolore, arriverà ad affermare falsità al fine di porre termine alla sofferenza.
* è da rifiutarsi anche per motivi di umanità: l'innocente è posto in condizioni peggiori del colpevole.
* non porta all'emenda del soggetto, né lo purifica agli occhi della collettività.
 
Beccaria ammette razionalmente l'afflizione della tortura nel caso di testimone reticente, cioè a chi durante il processo si ostini a non rispondere alle domande; in questo caso la tortura trova una sua giustificazione, ma egli preferisce comunque chiederne la totale abolizione, in quanto l'argomento utilitario viene in questo caso sopraffatto comunque da quello razionale (il fatto che è ingiusto applicare una pena preventiva, sproporzionata e comunque violenta).
 
===Il carcere preventivo===
Beccaria mostra dubbi e raccomanda cautela nella [[custodia cautelare]] in attesa di processo, attuata negli ordinamenti penali solitamente in casi di pericolo di fuga, reiterazione o inquinamento delle prove, e alla sua epoca assolutamente discrezionale e ingiusta. {{citazione|Un errore non meno comune che contrario al fine sociale, che è l'opinione della propria sicurezza, è il lasciare arbitro il magistrato esecutore delle leggi, d'imprigionare un cittadino, di togliere la libertà ad un nemico per frivoli pretesti, e il lasciare impunito un amico ad onta degl'indizi più forti di reità. La prigionia è una pena che per necessità deve, a differenza di ogni altra, precedere la dichiarazione del delitto; ma questo carattere distintivo non le toglie l'altro essenziale, cioè che la sola legge determini i casi, nei quali un uomo è degno di pena. La legge dunque accennerà gli indizi di un delitto che meritano la custodia del reo, che lo assoggettano ad un esame e ad una pena.<ref name=sesto>Dei delitti e delle pene, capitolo VI</ref>}}
 
Può essere necessaria, ma essendo comunque una pena contro un presunto innocente, come la tortura (concezione [[garantismo|garantista]] della giustizia), non deve essere attuata tramite arbitrio di un magistrato o di un ufficiale di polizia. La carcerazione dopo cattura e prima del processo è ammessibile solo quando ci sia, oltre ogni dubbio la prova della pericolosità dell'imputato: ''«pubblica fama, la fuga, la stragiudiciale confessione, quella d'un compagno del delitto, le minacce e la costante inimicizia con l'offeso, il corpo del delitto, e simili indizi, sono prove bastanti per catturare un cittadino. Ma queste prove devono stabilirsi dalla legge e non dai giudici, i decreti de' quali sono sempre opposti alla libertà politica, quando non sieno proposizioni particolari di una massima generale esistente nel pubblico codice»''.<ref name=sesto/>
 
Le prove dovranno essere quanto più solide quanto la prigionia rischi di essere lunga o pesante: ''«A misura che le pene saranno moderate, che sarà tolto lo squallore e la fame dalle carceri, che la compassione e l'umanità penetreranno le porte ferrate e comanderanno agli inesorabili ed induriti ministri della giustizia, le leggi potranno contentarsi d'indizi sempre più deboli per catturare»''.<ref name=sesto/>
 
Egli raccomanda inoltre la piena riabilitazione per la carcerazione ingiusta: ''«Un uomo accusato di un delitto, carcerato ed assoluto, non dovrebbe portar seco nota alcuna d'infamia. Quanti romani accusati di gravissimi delitti, trovati poi innocenti, furono dal popolo riveriti e di magistrature onorati! Ma per qual ragione è così diverso ai tempi nostri l'esito di un innocente? perché sembra che nel presente sistema criminale, secondo l'opinione degli uomini, prevalga l'idea della forza e della prepotenza a quella della giustizia; si gettano confusi nella stessa caverna gli accusati e i convinti; perché la prigione è piuttosto un supplizio, che una custodia del reo, e perché la forza interna tutrice delle leggi è separata dalla esterna difenditrice del trono e della nazione, quando unite dovrebbono essere»''.<ref name=sesto/>
 
=== Il carattere della sanzione ===
[[File:Beccaria - Scritti e lettere inediti, 1910.djvu|page=7|upright=0.8|thumb|Frontespizio di ''Scritti e lettere inediti'' del 1910]]
[[File:Cesare Beccaria in Dei delitti crop.jpg|thumb|upright=0.8|Cesare Beccaria, incisione da ''Dei delitti e delle pene'']]
Beccaria indica come la [[sanzione]] deve possedere alcuni requisiti:
* la ''prontezza'' ovvero la vicinanza temporale della pena al delitto
* l{{'}}''infallibilità'' ovvero vi deve essere la certezza della risposta sanzionatoria da parte delle autorità
* la ''proporzionalità'' con il reato (difficile da realizzare ma auspicabile)
* la ''durata'', che dev'essere adeguata
* la ''pubblica esemplarità'', infatti la destinataria della sanzione è la collettività, che constata la non convenienza all'infrazione
* essere la ''«minima delle possibili nelle date circostanze»''<ref>''Dei delitti e delle pene'', Capitolo XLVII</ref>
 
Secondo Beccaria, per ottenere un'approssimativa proporzionalità pena-delitto, bisogna tener conto:
* del danno subito dalla collettività
* del vantaggio che comporta la commissione di tale reato
* della tendenza dei cittadini a commettere tale reato
Non dev'essere comunque una violenza gratuita, ma dev'essere dettata dalle leggi, oltre a possedere tutti i caratteri razionali citati, e sprovvista di personalismi e sentimenti irrazionali di [[vendetta]].
 
La pena è oltretutto una ''extrema ratio'', infatti si dovrebbe evitare di ricorrere ad essa quando si hanno efficaci strumenti di controllo sociale (non deve inoltre colpire le intenzioni in maniera analoga al fatto compiuto: ad esempio, l'attentato fallito non è paragonabile a uno riuscito). Per questi motivi è importante attuare degli espedienti di “prevenzione indiretta”, come ad esempio: un sistema ordinato della magistratura, la diffusione dell'istruzione nella società, il diritto premiale (premiare la virtù del cittadino, anziché punire solo la colpa), una riforma economico-sociale che migliori le condizioni di vita delle classi sociali disagiate. Beccaria si dichiara inoltre sospettoso verso il sistema delatorio (cosiddetta ''[[pentitismo|collaborazione di giustizia]]''), da usare solo per prevenire delitti importanti, in quanto incoraggia il tradimento e favorisce dei criminali rei confessi dando loro l'impunità.<ref>Dei delitti e delle pene, Capitoli 38 e seguenti</ref>
 
Per quanto riguarda l'istituto premiale nella pena già comminata, cioè le amnistie e la [[grazia (diritto)|grazia]], essi possono essere usati ma con cautela: al condannato che si comporta in maniera esemplare durante l'esecuzione della pena o in casi specifici, ma solo in caso di pene pesanti, esse possono essere concesse; suggerisce però di limitare la discrezionalità del governante e del giudice, poiché egli teme che lo strumento della clemenza venga usato per favoritismi, come nell'[[Ancien Régime|Antico Regime]], eliminando anche pene lievi a persone che siano potenti o vicini politicamente o umanamente al sovrano: «La clemenza è la virtú del legislatore e non dell'esecutor delle leggi», scrive infatti.<ref>Dei delitti e delle pene, capitolo 46, Delle grazie</ref>
 
Pertanto il fine della sanzione non è quello di affliggere, ma quello di impedire al reo di compiere altri delitti e di intimidire gli altri dal compierne altri, fino a parlare di "dolcezza della pena", in contrasto alla pena violenta:
{{citazione|Uno dei più gran freni dei delitti non è la crudeltà delle pene, ma l'infallibilità di esse. La certezza di un castigo, benché moderato farà sempre una maggiore impressione che non il timore di un altro più terribile, unito con la speranza dell'impunità; perché i mali, anche minimi, quando son certi, spaventano sempre gli animi umani, e la speranza, dono celeste, che sovente ci tien luogo di tutto, ne allontana sempre l'idea dei maggiori, massimamente quando l'impunità, che l'avarizia e la debolezza spesso accordano, ne aumenti la forza. L'atrocità stessa della pena fa sì che si ardisca tanto più per schivarla, quanto è grande il male a cui si va incontro; fa sì che si commettano più delitti, per fuggir la pena di uno solo.
 
I paesi e i tempi dei più atroci supplicii furon sempre quelli delle più sanguinose ed inumane azioni, poiché il medesimo spirito di ferocia che guidava la mano del legislatore, reggeva quella del parricida e del sicario. (...) Perché una pena ottenga il suo effetto basta che il male della pena ecceda il bene che nasce dal delitto, e in questo eccesso di male deve essere calcolata l'infallibilità della pena e la perdita del bene che il delitto produrrebbe. Tutto il di più è dunque superfluo e perciò tirannico.<ref>Dei delitti e delle pene, capitolo 27</ref>}}
 
===Il diritto all'autodifesa: sul porto di armi===
Il pensiero di Beccaria sul porto di armi, che egli riteneva un utile strumento di [[deterrenza]] del crimine, si riassume nelle seguenti citazioni:
{{citazione|Falsa idea di utilità è quella che sacrifica mille vantaggi reali per un inconveniente o immaginario o di troppa conseguenza, che toglierebbe agli uomini il fuoco perché incendia e l'acqua perché annega, che non ripara ai mali che col distruggere.
Le leggi che proibiscono di portare armi sono leggi di tal natura; esse non disarmano che i non inclinati né determinati ai delitti, mentre coloro che hanno il coraggio di poter violare le leggi più sacre della umanità e le più importanti del codice, come rispetteranno le minori e le puramente arbitrarie, e delle quali tanto facili ed impuni debbon essere le contravvenzioni, e l'esecuzione esatta delle quali toglie la libertà personale, carissima all'uomo, carissima all'illuminato legislatore, e sottopone gl'innocenti a tutte le vessazioni dovute ai rei?
Queste peggiorano la condizione degli assaliti, migliorando quella degli assalitori, non iscemano gli omicidii, ma gli accrescono, perché è maggiore la confidenza nell'assalire i disarmati che gli armati.
Queste si chiamano leggi non prevenitrici ma paurose dei delitti, che nascono dalla tumultuosa impressione di alcuni fatti particolari, non dalla ragionata meditazione degl'inconvenienti ed avantaggi di un decreto universale}}
 
== Influenza ==
Anche il poeta [[Ugo Foscolo]] rileverà nelle ''[[Ultime lettere di Jacopo Ortis]]'' che "''le pene crescono coi supplizi''".
 
Inoltre, Beccaria fu affine e simpatizzante degli ideali della Massoneria<ref>{{cita web|url=https://www.corriere.it/politica/cards/da-garibaldi-john-wayne-iscrittiillustri-massoneria/ugo-foscolo.shtml|titolo=Da Garibaldi a John Wayne: gli iscritti illustri alla massoneria|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20180220161117/http://www.corriere.it/politica/cards/da-garibaldi-john-wayne-iscritti-illustri-massoneria/massoneria_principale.shtml|data=29 febbraio 2018|urlmorto=no|accesso=21 febbraio 2023|dataarchivio=20 febbraio 2018}}</ref><ref>{{cita web|url=https://www.iltirreno.it/cecina/cronaca/2016/10/14/news/massoneria-al-palacongressi-da-beccaria-all-illuminismo-1.14250705|titolo=Massoneria al Palacongressi da Beccaria all’illuminismo}} (organizzato da Gran loggia d’Italia regione Toscana provincia di Cecina della Massoneria)</ref>, ma negò la propria affiliazione massonica (così come fecero i fratelli Verri), malgrado gli ideali della rivista ''[[Il Caffè (1764-1766)|Il Caffè]]''<ref>{{cita web|url=https://books.google.it/books?id=9PiNDAAAQBAJ&pg=PT58|pagina=58|titolo=La massoneria nell'età moderna|autore=Antonio Trampus|anno=2011|editore=Editori Laterza|ISBN=9788858100486}}</ref> nella quale scriveva il massone [[Giambattista Biffi]]. L'opera e il pensiero di Beccaria e di [[Gaetano Filangieri]] furono continuati da [[Francesco Mario Pagano]]<ref>Con la trilogia giuridica, dedicata a [[Luigi de' Medici di Ottajano|Luigi de' Medici de' principi di Ottaiano]], ''Considerazioni sul processo criminale'', ''Principi del codice penale'', ''Logica dei probabili o teoria delle prove''. Citati in {{cita libro|url=https://books.google.it/books?id=nh6EBAAAQBAJ&pg=PA414|pagina=414|titolo=La Massoneria nelle due Sicilie Vol. II e i fratelli meridionali del '700 - Città di Napoli|autore=[[Ruggiero Di Castiglione]]|anno=2014|editore=Gangemi Editore|ISBN=9788849263794}}</ref>
 
Il lavoro di Beccaria influenzò la codificazione del [[Granducato di Toscana]], concretizzata nella Riforma della legislazione criminale toscana, promulgata da [[Pietro Leopoldo d'Asburgo]] il 30 novembre [[1786]], meglio conosciuta come "[[Codice leopoldino]]" col quale la Toscana divenne il primo stato in Europa ad eliminare integralmente la pena di morte e la tortura dal proprio sistema penale. Precedentemente era stata la [[Francia nell'età moderna|Francia]] ad abolire la sola tortura, con una legge emanata da [[Luigi XVI]] nel [[1780]].<ref>Maria Rosa Di Simone, Le riforme del Settecento, in Dani-Di Simone-Diurni-Fioravanti-Semeraro, op. cit., p. 60.</ref>
 
Il filosofo utilitarista [[Jeremy Bentham]] ne riprenderà alcune idee.
 
Le idee del Beccaria stimolarono un dibattito (si pensi alle critiche che [[Immanuel Kant|Kant]] gli mosse nella sua ''[[La metafisica dei costumi|Metafisica dei costumi]]''<ref>{{cita libro|autore=I. Kant|titolo=La metafisica dei costumi|altri=traduzione e note di G. Vidari, revisione di N. Merker|editore=Laterza|città=Roma-Bari|anno=2009|ed=10|annooriginale=1797|isbn=978-88-420-2261-9|pp=168-169|citazione=Il marchese Beccaria, per un affettato sentimento umanitario, sostiene [...] la illegalità di ogni pena di morte: essa infatti non potrebbe essere contenuta nel contratto civile originario, perché allora ogni individuo del popolo avrebbe dovuto acconsentire a perdere la vita nel caso ch'egli avesse a uccidere un altro (nel popolo); ora questo consenso sarebbe impossibile perché nessuno può disporre della propria vita. Tutto ciò però non è che sofisma e snaturamento del diritto}}</ref>) ancora vivo e attuale oggi.
Le idee del Beccaria stimolarono un dibattito ancora vivo e attuale oggi.
 
== AltroCitazioni e riferimenti ==
[[File:Cesare Beccaria statue Pinacoteca Brera.jpg|thumb|Monumento a Cesare Beccaria, Milano]]
* Nel [[1837]] venne realizzato un [[Monumento a Cesare Beccaria (1837)|monumento a Cesare Beccaria]], opera dello scultore [[Pompeo Marchesi]], posto sulla scalinata richiniana del [[palazzo di Brera]].
* Nel [[1871]] venne inaugurato un [[Monumento a Cesare Beccaria (1871)|secondo monumento in marmo]] a Milano (oggi piazza Beccaria); a causa del deterioramento, nel 1913 il monumento fu sostituito da una copia in bronzo.
* Gli è stato dedicato un [[asteroide]]: ''[[8935 Beccaria]]''.
* Il carcere minorile di Milano è a lui intitolato.
* Il padre sposò la Visconti in seconde nozze nel 1736, dopo essere rimasto vedovo nel 1730 di Cecilia Baldroni.
* A lui è intitolato un prestigioso Liceo Classico milanese, il [http://www.liceobeccaria.it/ Ginnasio Liceo Statale Cesare Beccaria].
* A lui è dedicato uno dei 3 dipartimenti della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Milano.
 
== Opere principali ==
* ''[[Del disordine e de' rimedi delle monete nello stato di Milano nel 1762|Del disordine e de' rimedi delle monete nello Stato di Milano nell'anno 1762]]'' ([[1762]])
* ''[[Dei delitti e delle pene]]'' ([[1763]])
* {{Cita libro|titolo=Dei delitti e delle pene|editore=|città=München|anno=1764|url=https://gutenberg.beic.it/webclient/DeliveryManager?pid=13753033}}
* ''[[Ricerche intorno alla natura dello stile]]'' ([[1770]])
** {{Cita libro|titolo=Dei delitti e delle pene|editore=Marco Cortellini|città=Livorno|anno=1765|url=https://gutenberg.beic.it/webclient/DeliveryManager?pid=9662013}}
* ''[[Elementi di economia pubblica]]'' ([[1804]])
** {{Cita libro|titolo=Dei delitti e delle pene|città=Harlem [i.e. Parigi?]|editore=[s.n.]|anno=1766|url=https://gutenberg.beic.it/webclient/DeliveryManager?pid=6043967}}
** {{Cita libro|titolo=Dei delitti e delle pene|editore=Giovanni Claudio Molini|città=Harlem|anno=1780|url=https://gutenberg.beic.it/webclient/DeliveryManager?pid=2540345}}
* ''Ricerche intorno alla natura dello stile'' ([[1770]])
* ''Elementi di economia pubblica'' ([[1804]])
 
===Raccolte di articoli===
Gli articoli di Beccaria per ''Il caffè'' sono in: Gianni Francioni, Sergio Romagnoli (a cura di) ''«Il Caffè» dal 1764 al 1766'', Collana «Pantheon», Bollati Boringhieri Editore, 2005 Due volumi,
 
== Edizione nazionale delle opere di Cesare Beccaria ==
L'Edizione nazionale delle opere di Cesare Beccaria è stata curata da [[Mediobanca]].
 
Fu avviata nel 1978 con il sostegno di [[Franco Venturi]], [[Leo Valiani]] e [[Luigi Firpo]] al fine di onorare memoria di [[Adolfo Tino]], presidente di Mediobanca dal 1958 al 1977.
 
L'Edizione Nazionale è stata [https://archiviostorico.mediobanca.com/pubblicazione/omaggio-a-cesare-beccaria/ conclusa nel 2015] e [https://archiviostorico.mediobanca.com/pubblicazione/edizione-nazionale-delle-opere-di-cesare-beccaria/ tutti i volumi sono scaricabili in pdf] dal [https://archiviostorico.mediobanca.com/patrimonio/home.html sito dell'Archivio Storico Mediobanca "Vincenzo Maranghi"].
 
== Genealogia ==
Dati tratti da genealogia settecentesca della famiglia Beccaria<ref>{{cita web|titolo=Teatro genealogico delle famiglie nobili milanesi|url=http://bdh-rd.bne.es/viewer.vm?id=0000192117&page=1|sito=Hispanic Digital Library}}</ref> con indicazione della discendenza di Cesare Beccaria.
 
{{Discendenza|tipo=v
| 1|-1|Simone|«attese a negozi con prosperità gli anni 1557».
| 2| 1|Gerolamo|«tesoriere di vari luoghi pii, uomo di molti trafici gli anni 1596». Sposò Isabella Busnata di Giovanni Stefano.
| 3| 2|Galeazzo|«I.C. causidico nel civile».
| 4| 2|Francesco|«cassiere generale del Banco Sant'Ambrogio sino a morte ed agente del luogo Pio della Carità». Sposò Anna Cremasca.
| 5| 2|Angiola|Sposò Alberto Priorino nel 1619
| 6| 4|Filippo|«Successe al padre nel posto di cassiere suddetto, che poscia rinunciò e si fece sacerdote».
| 7| 4|Anastasia|«Monaca in Vigevano»
| 8| 4|Giovanni|«Alla morte di suo padre ebbe un'entrata di scuti 5000 con che la trattò alla cavalleresca». Sposò Maddalena Bonesana figlia di Francesco («rimaritata nel conte Isidoro del Careto»).
| 9| 4|Anna Maria|Sposò un Cattaneo «fisico»
|10| 4|Gerolamo|«Canonico ordinario del [[Duomo di Milano|Duomo]]»
|11| 8|'''Francesco'''|«Fece aquisto de sudetti feudi di Gualdrasco e Villareggio nel vicariato di Settimo per istrumento 3 marzo 1705 rogato dal notaio Benag.a. Creato marchese nel 1711 per cesareo diploma». Sposò Francesca Paribelli di Nicolò «da [[Sondrio]] nella [[Valtellina]]».
|12|11|'''Giovanni Saverio''' (1697-1782)|Secondo marchese di Gualdrasco e di Villareggio. Ereditò il cognome Bonesana del prozio Cesare Bonesana. Con decreto 21 dicembre 1759 entrò a far parte del patriziato milanese.<ref>{{cita libro|autore=Felice Calvi|wkautore=Felice Calvi (storico)|titolo=Il patriziato milanese|città=Milano|anno=1875|pp=52-53}}</ref> Sposò (1) nel 1730 Cecilia Baldironi (1706-1731) (2) nel 1736 Maria Visconti di Saliceto (1709-1773)
|13|11|Filippo Maria|abate
|14|11|Carlo|
|15|11|Teresa|monaca
|16|11|Chiara|monaca
|17|11|Nicola Francesco<ref>Nella genealogia settecentesca è indicato un ''Nicolò abbate''.</ref> (1702-1765)|Laureato in legge, membro del collegio dei giurisperiti dal 1738, fu anche giudice a Milano e a Pavia.<ref>{{cita libro|autore=Pietro Verri|titolo=Scritti di argomento familiare e autobiografico|curatore=G. Barbarisi|città=Roma|anno=2003|p=118}}</ref><ref>{{cita pubblicazione|autore=Franco Arese|titolo=Il Collegio dei nobili Giureconsulti di Milano|rivista=Archivio Storico Lombardo|anno=1977|p=162}}</ref>
|18|11|Giuseppe|
|19|11|Marianna|
|20|11|Ignazio|
|21|12|(2) '''Cesare'''|Terzo marchese di Gualdrasco e di Villareggio. Sposò (1) nel 1761 Teresa de Blasco (1745-1774) (2) nel 1774 Anna Barbò (1752-1803).
|22|12|(2) Francesca Cecilia (1739-1742)|
|23|12|(2) Cesare Antonio (1740-1742)|
|24|12|(2) Maddalena (n. 1747)|Sposò (1) nel 1766 Giulio Cesare Isimbardi (1742 -1778) (2) nel 1778 ... Tozzi.
|25|12|(2) Annibale (1748-1805)|Sposò nel 1776 Marianna Vaccani (1756-1803).
|26|12|(2) Francesco (1749-1856)|Sposò nel 1775 Rosa Conti (vedova Fè).
|27|21|(1) [[Giulia Beccaria|Giulia]] (1762-1841)|Sposò nel 1782 [[Pietro Manzoni]].
|28|21|(1) Anna Maria Aloisia (1766-1788)|
|29|21|(1) Giovanni Annibale (1767-...)|
|30|21|(2) Margherita Teresa (1775-...)|
|31|21|(2) '''Giulio''' (1775-1858)|Quarto marchese di Gualdrasco e di Villareggio. Sposò nel 1821 Antonietta Curioni de Civati (1805-1866).
|32|26|Carlo (1778-1835)|Sposò nel 1827 Rosa Tronconi (1800-1867)
|33|26|Giacomo (1779-1854)|
|34|31|''Due figlie''|
}}
 
== Note ==
{{<references}} />
 
==Bibliografia==
*{{Cita libro |autore = Cesare Beccaria |titolo = Ricerche intorno alla natura dello stile |url = https://gutenberg.beic.it/webclient/DeliveryManager?pid=5921453&custom_att_2=simple_viewer&search_terms=DTL6&pds_handle= |editore = Società tipografica de' classici italiani |città = Milano |anno = 1822 }}
*{{Cita libro |autore = Cesare Beccaria |titolo = Scritti e lettere inediti |url = https://gutenberg.beic.it/webclient/DeliveryManager?pid=3946208&custom_att_2=simple_viewer&search_terms=DTL7&pds_handle= |editore = Hoepli |città = Milano |anno = 1910 }}
*F. Scaduto, ''C. Beccaria. Saggio di storia nel diritto penale,'' Sandron, 1913. https://www.byterfly.eu/islandora/object/librib%3A1126665#page/218/mode/2up
*{{Cita libro |autore = Cesare Beccaria |titolo = Opere |url =https://gutenberg.beic.it/ |editore = Sansoni |città = Firenze |volume = I |anno = 1958 }}
*{{Cita libro |autore = Cesare Beccaria |titolo = Opere |url =https://gutenberg.beic.it/ |editore = Sansoni |città = Firenze |volume = II |anno = 1958 }}
* Introduzione a Beccaria, Enza Biagini, Roma-Bari, Laterza, 1992
*Antoine-Marie Graziani, ''Fortune de Beccaria'', Commentaire 2009/3 (Numéro 127).
*Philippe Audegean, ''Violenza e giustizia. Beccaria e la questione penale'', Bologna, Il Mulino, 2023. https://www.mulino.it/isbn/9788815383037
 
== Voci correlate ==
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* [[Diritti umani]]
* [[Ergastolo]]
* [[Tortura]]
* [[Pena capitale]]
*[[Del disordine e de' rimedi delle monete nello stato di Milano nel 1762]]
 
== Altri progetti ==
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== Collegamenti esterni ==
* ''[https://www.sie-asee.it/autore.php?id_autore=70 Beccaria, Cesare]'', su [https://www.sie-asee.it/ sie-asee.it], ''Archivio Storico delle Economiste e degli Economisti.''{{Collegamenti esterni}}
*[http://www.zam.it/biografia_Cesare_Beccaria Vita di C.Beccaria]
* {{cita web|http://www.zam.it/biografia_Cesare_Beccaria|Vita di C.Beccaria}}
*[http://www.treccani.it/enciclopedia/cesare-beccaria_(Dizionario_Biografico)/ Dizionario biografico Treccani]
 
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