Lucio Anneo Seneca: differenze tra le versioni

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{{notaNota disambigua|il|Seneca padre di Lucio Anneo Seneca(disambigua)|'''[[Seneca il Vecchio]]'''}}
{{Magistrato romano
[[Image:Seneca.JPG|thumb|140px|Busto di Seneca]]
|nome = Lucio Anneo Seneca
[[Image:Seneca2.JPG|185px|thumb|[[Museo archeologico di Napoli]]]]
|titolo = [[Questore (storia romana)|Questore]] dell'[[Impero romano]]
'''Lucius Annaeus Seneca''' (spesso conosciuto semplicemente come '''Seneca''', o '''Seneca il giovane''') ([[4 a.C.]] circa - [[65]]) fu [[filosofi celebri|filosofo]], [[politica|politico]] e [[teatro (rappresentazione)|drammaturgo]] dell'antica [[Roma]].
|immagine = Seneca-berlinantikensammlung-2 copy.jpg
|legenda = ''Seneca'', particolare della ''Doppia erma di Seneca e Socrate''
|altrititoli =
|nome completo = ''Lucius Annaeus Seneca''
|coniuge 1 = Prima moglie (nome sconosciuto)
|coniuge 2 = [[Pompea Paolina]]
|coniuge 3 =
|coniuge 4 =
|figli = 1 figlio, morto in giovane età
|padre = [[Lucio Anneo Seneca il Vecchio]]
|madre = Elvia
|Gens = [[Gens Annaea|Annaea]]
|data di nascita = [[4 a.C.]]
|luogo di nascita = [[Cordova]]
|data di morte = aprile [[65]]
|luogo di morte = [[Roma]]
|questura = [[31]]
|edilità =
|pretura =
|propretura =
|consolato =
|proconsolato =
|dittatura = |
}}
{{Bio
|Nome = Lucio Anneo Seneca
|Cognome =
|ForzaOrdinamento = Seneca, Lucio Anneo
|PreData = {{latino|Lucius Annaeus Seneca}}
|Sesso = M
|LuogoNascita = Corduba
|LuogoNascitaLink = Cordova
|GiornoMeseNascita =
|AnnoNascita = 4 a.C.
|LuogoMorte = Roma
|GiornoMeseMorte = aprile
|AnnoMorte = 65
|Epoca = 0
|Attività = filosofo
|Attività2 = drammaturgo
|Attività3 = politico
|Nazionalità = romano
}}
Noto anche come '''Seneca il Giovane''' (per distinguerlo dal padre, [[Lucio Anneo Seneca il Vecchio|Seneca il Vecchio]]) o semplicemente come '''Seneca''', fu tra i massimi esponenti dello [[stoicismo]] [[Eclettismo|eclettico]] di [[Impero romano|età imperiale]] ("nuova Stoà"). Attivo in molti campi, compresa la vita pubblica, fu [[senato romano|senatore]] e [[questore (storia romana)|questore]] durante l'[[età giulio-claudia]].
 
Condannato a morte da [[Caligola]], fu graziato dall'intervento di un'amante dello stesso imperatore. Venne più tardi condannato alla ''[[relegatio in insulam]]'' dal successore [[Claudio]], che poi però lo richiamò a Roma, dove divenne tutore e precettore del futuro [[imperatore romano|imperatore]] [[Nerone]] su incarico della madre [[Agrippina minore|Giulia Agrippina Augusta]]. Dopo il cosiddetto "quinquennio di buon governo" o "quinquennio felice" ([[54]]-[[59]]), in cui Nerone governò saggiamente sotto la tutela di Seneca, l'ex allievo e il maestro si allontanarono sempre di più, portando il filosofo al ritiro a vita privata che aveva a lungo agognato. Tuttavia Seneca, forse implicato in una [[Congiura di Pisone|congiura contro Nerone]], cadde vittima della repressione dell'imperatore, scegliendo il [[suicidio nell'antica Roma|suicidio]].
 
Seneca influenzò profondamente lo stoicismo romano di epoca successiva: suoi allievi furono [[Gaio Musonio Rufo]] (maestro di [[Epitteto]]) e [[Aruleno Rustico]], nonno di [[Quinto Giunio Rustico]], che fu uno dei maestri dell'imperatore filosofo [[Marco Aurelio]].
 
== Biografia ==
{{Vedi anche|Storia della letteratura latina (14 - 68)}}
===Le origini===
=== Le origini ===
Lucio Annéo Seneca, figlio di [[Lucio Anneo Seneca il vecchio|Seneca il Vecchio]], nacque a [[Cordova|Cordoba]], capitale della Spagna Betica, una delle più antiche colonie romane fuori del territorio italico, in un anno di non certa determinazione; le possibili date attribuite dagli studiosi sono in genere tre: l'[[8 a.C.]], tra il [[6 a.C.|6]] e il [[4 a.C.]], l'[[1 a.C.]]: sono tutte ipotesi possibili che si fondano su vaghi accenni presenti in alcuni passi delle sue opere (in ''particolare De tranquillitate animi'' e ''Epistulae ad Lucilium'').
Lucio Anneo Seneca, figlio di [[Lucio Anneo Seneca il Vecchio|Seneca il Vecchio]], nacque a [[Cordova]], capitale della [[Betica|Spagna Betica]], una delle più antiche colonie romane fuori dal territorio italico, in un anno di non certa determinazione; le possibili date attribuite dagli studiosi sono in genere tre: il [[4 a.C.]], il [[3 a.C.]] o l'[[1 a.C.]]; sono tutte ipotesi possibili che si fondano su vaghi accenni presenti in alcuni passi delle sue opere, in particolare nel ''[[De tranquillitate animi]]'' e nelle ''[[Epistulae morales ad Lucilium]]''. I suoi fratelli erano [[Lucio Giunio Anneo Gallione|Novato]] e Mela, padre del futuro poeta [[Marco Anneo Lucano|Lucano]]. La famiglia di Seneca, gli ''Annaei'', era parte dell'élite economica e intellettuale, discendenva da immigrati italici trasferitisi nella ''[[Spagna romana|Hispania Romana]]'' nel [[II secolo a.C.]], durante la fase iniziale della colonizzazione della nuova provincia. La città di ''[[Cordova|Corduba]]'', la più famosa e grande di tutta la provincia, aveva intensi rapporti con [[Roma]] e con la cultura latina.
La famiglia di Seneca, gli ''Annei'', ha origini antiche ed è ''Hispaniensis'', cioè non originaria della [[Spagna]], ma discendente da immigrati italici, trasferitisi nella [[Hispania Romana]] nel [[II secolo a.C.]], durante la fase iniziale della colonizzazione della nuova provincia.
 
La città di ''Cordoba'', la più famosa e grande di tutta la provincia, aveva assimilato fin dalle origini l'''élite'' economica e intellettuale della popolazione italica; intensi erano i suoi rapporti con [[Roma]] e la cultura latina.
=== La figura paterna ===
Non si hanno notizie di esponenti della famiglia degli Annaei coinvolti in attività pubbliche prima di Seneca. Il padre del filosofo, Seneca il Vecchio, era di rango [[Ordine equestre|equestre]], come attesta [[Publio Cornelio Tacito|Tacito]] negli ''[[Annales di Tacito|Annales]]'', e autore di alcuni libri di ''Controversiae'' e di ''[[Suasoriae]]''; scrisse anche un'opera storica andata però perduta. A Roma egli trovò il luogo ideale per realizzare le proprie ambizioni. Al fine di rendere più agile l'inserimento dei figli nella vita sociale e politica, negli anni del principato di [[Augusto]] si trasferì a Roma, dove si appassionò all'insegnamento dei [[retorica|retori]] e divenne assiduo frequentatore delle sale di declamazione.
 
===La figura paterna===
Non si hanno notizie di esponenti della famiglia degli ''Annei'' coinvolti in attività pubbliche prima di Seneca
Il padre del filosofo, Seneca il Vecchio, era di rango equestre come attesta [[Publio Cornelio Tacito|Tacito]] negli ''[[Annales_(Tacito)|Annales]]'' e autore di alcuni libri di ''Controversiae'' e di ''Suasoriae''; scrisse anche un'opera storica che però è andata perduta. A Roma egli costituì il luogo ideale per realizzare le proprie ambizioni.
Al fine di rendere più agile l'inserimento alla vita sociale e politica dei figli, si trasferì a Roma negli anni del principato di [[Augusto]], dove si appassionò all'insegnamento dei [[retorica|retori]] e diventò assiduo delle sale di declamazione.
Sposò in età abbastanza giovane una donna di nome Elvia da cui ebbe tre figli:
* il primogenito ''[[Lucio JunioGiunio Anneo GallioGallione|Lucio Anneo Novato]]'', che prese il nome di ''Lucio Giunio Gallio Anneano'' dopo l'adozione da parte dell'oratore [[Giunio Gallio]]; intraprese la carriera senatoria e diventò proconsole sotto [[Claudio_(imperatore_romano)|Claudio]].
* ilIl secondogenito ''Lucio Anneo Seneca'' (precettore di Nerone).
* ilIl terzogenito ''LucioMarco Anneo Mela'' (padre del poeta [[Marco Anneo Lucano|Lucano]]), che si dedicò agli affari.
Lo stesso Seneca parla dei suoi fratelli:
{{quotecitazione|Volgiti ai miei fratelli, vivendo i quali non ti è lecito accusare la fortuna. In entrambi hai quanto può allietarti per qualità opposte: uno, con il suo impegno, ha raggiunto alte cariche, l'altro, con saggezza, non se ne è preso cura; trai sollievo dall'alta posizione dell'uno, dalla vita quieta dell'altro, dall'affetto di entrambi. Conosco i sentimenti intimi dei miei fratelli: uno ha cura della sua posizione sociale per esserti di ornamento, l'altro si è raccolto in una vita tranquilla e quieta per aver tempo di dedicarsi a te.|''Consolatio ad Helviam'', 18, 2}}
[[File:0 Sénèque - Musée du Prado - Cat. 144 - (2).JPG|thumb|upright=0.8|Busto in marmo di Seneca, scultura anonima del XVII secolo, Madrid, [[Museo del Prado]]]]
 
===La salute cagionevole===
Seneca, fin dalla giovinezza, ebbe alcuni problemi di salute; era soggetto a svenimenti e attacchi d'asma che lo tormentarono per diversi anni e lo portarono a vivere momenti di disperazione, ricordandolo persino in una lettera:
{{quote|La mia giovinezza sopportava agevolmente e quasi con spavalderia gli accessi della malattia. Ma poi dovetti soccombere e giunsi al punto di ridurmi in un'estrema magrezza. Spesso ebbi l'impulso di togliermi la vita, ma mi trattenne la tarda età del mio ottimo padre. Pensai non come io potessi morire da forte, ma come egli non avrebbe avuto la forza di sopportare la mia morte. Perciò mi imposi di vivere; talvolta ci vuole coraggio anche a vivere.|''Epistulae ad Lucilium'', 78, 1-2}}
 
=== La salute cagionevole ===
Seneca, fin dalla giovinezza, ebbe alcuni problemi di salute: era soggetto a svenimenti e [[asma|attacchi d'asma]] che lo tormentarono per diversi anni e lo portarono a vivere momenti di disperazione, come egli ricorda in una lettera:
{{citazione|La mia giovinezza sopportava agevolmente e quasi con spavalderia gli accessi della malattia. Ma poi dovetti soccombere e giunsi al punto di ridurmi in un'estrema magrezza. Spesso ebbi l'impulso di togliermi la vita, ma mi trattenne la tarda età del mio ottimo padre. Pensai non come io potessi morire da forte, ma come egli non avrebbe avuto la forza di sopportare la mia morte. Perciò mi imposi di vivere; talvolta ci vuole coraggio anche a vivere.|''Epistulae ad Lucilium'', 78, 1-2}}
E ancora:
{{quotecitazione|L'assalto del male è di breve durata; simile ad un temporale, passa, di solito, dopo un'ora. Chi, infatti, potrebbe sopportare a lungo quest'agonia? Ormai ho provato tutti i malanni e tutti i pericoli, ma nessuno per me è più penoso. E perché no? In ogni altro caso si è ammalati; in questo ci si sente morire. Perciò i medici chiamano questo male "meditazione della morte": talvolta, infatti, tale mancanza di respiro provoca lail soffocazionesoffocamento. Pensi che ti scriva queste cose per la gioia di essere sfuggito al pericolo? Se mi rallegrassi di questa cessazione del male, come se avessi riacquistato la perfetta salute, sarei ridicolo come chi credesse di aver vinto la causa solo perché è riuscito a rinviare il processo.|''Epistulae ad Lucilium'', 54, 1-4}}
 
=== La formazione presso la scuola del ''grammaticus'' ===
Seneca ricevette a Roma un'accurata istruzione [[retorica]] e [[letteratura|letteraria]], come voleva il padre, anche sebenché egli si interessavainteressasse più che altro di [[filosofia]]. Seguì quindi gli insegnamenti di un ''grammaticus'' e in seguito ricorderàavrebbe ricordato del tempo perduto presso di lui (''Epistulae ad Lucilium'', 58,5). Egli non ebbemostrò dunque interesse per la retorica, anche se questo tipo di formazione gli serviràsarebbe stato utile per la sua esperienza futura di scrittore. Fondamentale per lo sviluppo del suo pensiero fu la frequentazione della scuola cinica dei ''Sestii'': il maestro [[Quinto Sestio]] rappresentò per Seneca il modello dell'asceta immanente che cerca il continuo miglioramento attraverso la nuova pratica dell'esame di coscienza.
 
=== I maestri di filosofia e l'influenza del pensiero medico ===
[[File:Seneca-Cordoba.jpg|thumb|Statua di Seneca a Cordova]]
Ebbe come maestri di filosofia [[Sozione]], [[Attalo]] e [[Papirio Fabiano]], appartenenti rispettivamente al [[neopitagorismo]], allo [[stoicismo]] e al [[cinismo]].
Sozione era legato alla setta dei Sestii, fondata da [[Quinto Sestio]] in età cesariana e diretta poi dal figlio Sestio, che raccogli elementi di varia provenienza, in particolare stoica e pitagorica, e raccomanda ai suoi adepti una vita semplice e morigerata, lontana dalla politica; Attalo fu seguace dello stoicismo con influenze ascetiche; Papirio Fabiano fu un oratore e un filosofo, appartenente alla setta dei Sestii, con influenze ciniche.
Seneca seguì molto intensamente gli insegnamenti dei maestri, che esercitarono su di lui un profondo influsso sia con la parola che con la coerenza di una vita vissuta in coerenza degli ideali professati.
Da Attalo impara i principi dello stoicismo e l'abitudine alle pratiche ascetiche. Da Sozione, oltre ad apprendere i principi delle dottrine di [[Pitagora]], è avviato per qualche tempo verso la pratica vegetariana; venne distolto però dal padre che era preoccupato per la cagionevole salute del figlio e anche perché l'[[Tiberio (imperatore romano)|imperatore Tiberio]] non amava che fossero seguite pratiche di vita non romane:
{{quote|Sozione mi spiegò per quali motivi quel filosofo si era astenuto dalle carni di animali, e per quali motivi se ne era astenuto Sestio [...]. Mi sentivo l'anima più agile e oggi non oserei affermare se fosse realtà o illusione. Vuoi sapere come vi ho rinunciato? L'epoca della mia giovinezza coincideva con l'inizio del principato di Tiberio: allora i culti stranieri erano condannati e l'astinenza dalle carni di certi animali era considerata come segno di adesione a questi culti. Mio padre, per avversione verso la filosofia più che per paura di qualche delatore, mi pregoà di tornare agli antichi usi: e, senza difficoltà, ottenne che io ricominciassi a mangiare un po' meglio.|''Epistulae ad Lucilium'', 108, 22}}
 
Ebbe come maestri di filosofia [[Sozione di Alessandria]], [[Attalo (filosofo)|Attalo]] e [[Papirio Fabiano]], appartenenti rispettivamente al [[neopitagorismo]] il primo, e allo [[stoicismo]] i secondi, il terzo influenzato anche dal [[cinismo]].
===Il soggiorno in Egitto===
Negli anni [[19]] e [[20|20 d.C.]] andò in [[Egitto]], dove stette per diverso tempo, anche se non è possibile stabilire esattamente quanto a lungo. Vi andò per curare le crisi di asma e la bronchite ormai cronica da cui era afflitto. Fu ospite del procuratore [[Gaio Galerio]], marito della sorella di sua madre Elvia.
Qui approfondì la consoscenza del luogo sia nelle sue componenti geografiche che in quelle religiose, come racconta nel ''Naturales quaestiones'' (IV, 2, 1-8). Il contatto con la cultura egizia gli permise di confrontarsi con una diversa concezione della realtà politica (in Egitto il principe era ritenuto un dio) e gli offrì una più ampia e complessa visione religiosa.
 
Sozione era legato alla setta dei ''Sestii'', fondata da [[Quinto Sextio]] in età cesariana e diretta poi dal figlio Sestio; essa raccoglieva elementi di varia provenienza, in particolare stoica e pitagorica, e raccomandava ai suoi adepti una vita semplice e morigerata, lontana dalla politica; Attalo fu seguace dello stoicismo con influenze ascetiche; Papirio Fabiano fu un oratore e un filosofo, anch'egli appartenente alla setta dei ''Sestii'', con influenze ciniche.
===Il ''cursus honorum''===
 
Seneca seguì molto intensamente gli insegnamenti dei maestri, che esercitarono su di lui un profondo influsso sia con la parola sia con l'esempio di una vita vissuta in coerenza con gli ideali professati. Da Attalo imparò i principi dello stoicismo e l'abitudine alle pratiche ascetiche. Da Sozione, oltre ad apprendere i principi delle dottrine di [[Pitagora]], fu avviato per qualche tempo verso la pratica [[vegetarismo|vegetariana]]; venne distolto però dal padre che non amava la filosofia e dal fatto che l'imperatore [[Tiberio]] proibisse di seguire consuetudini di vita non romane:
{{citazione|Sozione spiegava perché Pitagora si era astenuto dal mangiare carne di animali e perché in seguito se ne era astenuto Sestio. Le loro motivazioni erano diverse, ma entrambe nobili. [...] Spinto da questi discorsi, cominciai ad astenermi dalle carni, e dopo un anno questa abitudine non solo mi riusciva facile, ma anche piacevole. Mi sentivo l'anima più agile e oggi non oserei affermare se fosse realtà o illusione. Vuoi sapere come vi ho rinunciato? L'epoca della mia giovinezza coincideva con l'inizio del principato di Tiberio: allora i culti stranieri erano condannati e l'astinenza dalle carni di certi animali era considerata come segno di adesione a questi culti. Mio padre, per avversione verso la filosofia più che per paura di qualche delatore, mi pregò di tornare agli antichi usi: e, senza difficoltà, ottenne che io ricominciassi a mangiare un po' meglio.|''Epistulae ad Lucilium'', 108, 17-22}}
 
Se è nota la salute cagionevole di Seneca, ed è stato dimostrato che la cultura del filosofo comprendeva anche un vasto orizzonte di conoscenze mediche,<ref>Paola Migliorini, Scienza e terminologia nella letteratura latina di età neroniana, Frankfurt am Main, 1997, pp. 21 e sgg.</ref> solo recentemente si sono approfonditi i rapporti tra il pensiero filosofico senechiano e le dottrine di una scuola medica di ispirazione stoica denominata dalle fonti [[scuola pneumatica]].<ref>Giuseppe Bocchi, ''Philosophia medica e medicina rhetorica in Seneca. La scuola pneumatica, l'ira, la melancolia'', Milano, Vita e Pensiero, 2011, ISBN 978-88-343-2062-4</ref> Tale scuola, fondata presumibilmente nel I secolo a.C. da Ateneo di Attalia, un allievo del filosofo stoico [[Posidonio di Apamea]], basava le proprie teorie sull'azione all'interno del nostro corpo dello ''pneuma'', che Seneca traduce con ''spiritus''. In sostanza, la nostra salute deriva dall'equilibrio delle quattro qualità elementari (caldo, freddo, secco, umido) da cui siamo costituiti e tale equilibrio deriva a sua volta dall'azione dello ''spiritus'' coibente che scorre ovunque nel nostro corpo. Se per qualche alterazione esterna (es. un colpo di caldo) o interna (es. l'infiammazione di un organo) lo ''spiritus'' si altera, viene messo in pericolo l'equilibrio delle qualità elementari e noi ci ammaliamo. Si veda ad esempio questo passo delle ''Naturales quaestiones'' (6, 18, 6-7):
{{citazione|Anche il nostro corpo non trema di per sé, a meno che una qualche causa non faccia tremare l'aria (spiritus) che vi circola. Quest'aria, la paura la contrae; la vecchiaia l'illanguidisce; le vene, irrigidendosi, la indeboliscono; il freddo la paralizza, oppure un accesso di febbre le fa perdere la regolarità del suo corso. Infatti, fintanto che l'aria scorre senza ostacoli e normalmente, il corpo non presenta tremore. Ma qualora si presenti qualcosa che impedisce la sua funzione,allora, incapace di mantenere ciò che con la sua energia teneva teso, scuote, indebolendosi, tutto quello che aveva potuto sostenere quando era integra.}}
 
Dal testo emerge che lo ''spiritus'' deve mantenere una certa temperatura ed una certa tensione per funzionare correttamente: si tratta di concetti direttamente derivati dalla filosofia stoica ed applicati alla fisiologia medica.<ref>H. Von Arnim, ''Stoicorum Veterum Fragmenta'', traduzione italiana di Roberto Radice, Milano, Bompiani, 2002, ISBN 978-88-452-9056-5: nel frammento A 127 leggiamo che per Zenone, fondatore della scuola stoica, calore e pneuma coincidono e così dal frammento B 405 veniamo a sapere che per gli stoici il caldo è la qualità è più incisiva a cui segue il freddo; inoltre il frammento II, 451 recita: {{citazione|[Gli stoici dicono] che esiste un certo movimento tonale nei corpi che si attua contemporaneamente verso l'interno e verso l'esterno|}}
</ref> C'è però un'altra conseguenza derivante da una tale impostazione: dato che per la filosofia stoica il corpo e l'anima non sono sostanzialmente differenti, poiché entrambi sono costituiti dalla materia di cui è fatto l'universo intero (il fuoco - ''pneuma''), è facile per un medico stoico postulare che i mali dell'anima si trasmettano immediatamente al corpo e viceversa; non c'è quindi alcuna difficoltà nel giustificare i disturbi somato-psichici e quelli psicosomatici. Così pure Seneca può affermare quanto segue:
{{citazione|Non vedi? Se lo spirito langue, si trascinano le membra e si cammina a fatica. Se è effeminato, la sua rilassatezza si vede già nell'incedere. Se è fiero e animoso, il passo è concitato. Se è pazzo o preda all'ira, passione simile alla pazzia, i movimenti del corpo sono alterati: non avanza, ma è come trascinato|''Epistulae ad Lucilium'', 114, 3}}
 
o ancora
{{citazione|Ma come la natura certuni fa proclivi all'ira, così molte cause capitano che hanno la stessa facoltà della natura: alcuni la malattia o l'ingiuria fatta ai loro corpi li ha portati a ciò, altri la fatica e la continua veglia e le notti affannose e i rimpianti e gli amori; tutto quanto d'altro ha nuociuto al corpo o all'animo dispone la malata volontà alle lamentele|''De ira'', 2, 20, 1}}
 
=== Il pensiero filosofico ===
{{Vedi anche|Filosofia latina}}
 
I precetti di tutti i maestri che ne influenzarono il pensiero e la caratteristica vocazione eclettica della filosofia romana, portarono Seneca a maturare una posizione filosofica prevalentemente stoica, seppur contenente elementi epicurei (distacco del ''sapiens'' dal volgo per l'elevazione spirituale), cinici (stile diatribico, più che dialogico e il tema della libertà dalle passioni), medioplatonici (idea spirituale della divinità), socratici (libertà perseguibile attraverso la conoscenza) e aristotelici (importanza delle scienze). Trova anche particolare risalto nel pensiero senechiano il tema pitagorico dell'esame di coscienza, caro ai Sesti, di cui leggiamo largamente nel suo epistolario.
 
L'asistematicità del pensiero senechiano e la proclamata indipendenza dalle fonti, non si configurano tuttavia come un banale eclettismo. Emerge dal corpus delle sue opere una reinterpretazione personale delle conoscenze trasmesse al filosofo dai maestri che convive con il chiaro prevalere dello stoicismo. Proprio dallo stoicismo sono desunti i due principi di base della filosofia senechiana: natura e ragione. L'uomo, secondo Seneca, deve innanzitutto conformarsi alla natura e, parimenti, obbedire alla ragione, vista come ''ratio'', ''lògos'' greco, divino principio che regge il mondo.
 
Una nota di particolare distacco rispetto alla dottrina stoica sta alla base della figura del ''sapiens'', il saggio. Lo spirito latino pragmatico di Seneca lo porta a eliminare i tratti disumani attribuiti al sapiente. La saggezza si configura così come dominazione ragionevole delle passioni e non come apatia e immunità dai sentimenti. L'ascesi spirituale del saggio si compone di cinque tappe fondamentali:
# Trionfo sulle passioni: innanzitutto paura, dolore e superstizione.
# Esame di coscienza: pratica comune nella dottrina pitagorica.
# Consapevolezza di essere parte del ''lògos'': rendersi conto di essere creature ragionevoli, parte del progetto provvidenziale della ragione.
# Accettazione e riconoscimento: il sapiente riconosce ciò che è parte della ratio e cosa no, rendendosi conto di farne parte.
# Raggiungimento della ''libertas'' interiore: attraverso la ragione l'uomo può vivere felice.
 
La sapienza si configura così come un mezzo e non come un fine. Viene ad essere il mezzo attraverso il quale l'uomo raggiunge la libertà interiore e non una conoscenza fine a sé stessa.
 
Nella prospettiva filosofica di Seneca, come abbiamo visto, trova spazio anche la concezione filosofica delle scienze ispirata da Aristotele. Lo studio dei fenomeni della natura infatti consente all'uomo di conoscere la ''ratio'' cui tutti fanno capo, e attraverso questi, assimilarsi in essa.
[[File:Seneca.JPG|thumb|left|upright=0.8|Busto noto come ''[[Pseudo Seneca]]'' ([[Museo archeologico di Napoli]]), in realtà parte di una serie di ritratti immaginari, a volte identificati anche con [[Lucrezio]], raffiguranti [[Esiodo]].]]
 
=== Il soggiorno in Egitto ===
Attorno al [[20]] Seneca si recò in [[Egitto]], dove rimase per un certo periodo, per curare le crisi di asma e la bronchite ormai cronica da cui era afflitto. Fu ospite del procuratore [[Gaio Galerio]], marito della sorella di sua madre Elvia.
 
Qui approfondì la conoscenza del luogo sia nelle sue componenti geografiche sia in quelle religiose, come racconta nelle ''Naturales quaestiones'' (IV, 2, 1-8). Il contatto con la cultura egizia gli permise di confrontarsi con una diversa concezione della realtà politica (in Egitto il principe era ritenuto un dio) e gli offrì una più ampia e complessa visione religiosa.
 
Probabilmente il suo allontanamento da Roma fu dovuto anche a ragioni di prudenza politica, conseguente allo scioglimento da parte di Tiberio della setta dei ''Sestii'' di cui facevano parte due dei maestri di Seneca.
<!-- ===Il ''cursus honorum''===
===Carriera politica e forense===
===Il coinvolgimento negli intrighi di corte===
 
===La ''relegatio'' in Corsica===
===Il coinvolgimento con il principato di Nerone===
====Il ritorno a Roma====
====Seneca precettore di Nerone====
====L'allontanamento dalla politica imperiale====
-->
====Gli ultimi anni====
 
=== La vita pubblica ===
Nel [[31]], iniziò l'attività forense e la carriera politica, nel [[41]], l'imperatore [[Claudio (imperatore romano)|Claudio]] lo condannò alla relegazione in [[Corsica]] con l'accusa di coinvolgimento nell'adulterio di Giulia Livilla, figlia minore di [[Germanico]] e sorella di [[Caligola]] (in realtà si voleva colpire l'opposizione politica).
==== La carriera politica, la prima condanna a morte e l'esilio in Corsica ====
{{vedi anche|Posizione politica di Seneca}}
 
Dopo essere tornato da un viaggio in Egitto, nel [[31]] iniziò l'attività forense e la carriera politica (divenne dapprima [[Questore (storia romana)|questore]] ed entrò a far parte del Senato) godendo di una notevole fama come oratore, al punto di far ingelosire l'imperatore [[Caligola]], che nel [[39]] lo voleva eliminare, soprattutto per la sua concezione politica rispettosa delle libertà civili. Si salvò grazie ai buoni uffici di un'amante del ''princeps'', la quale affermava che comunque sarebbe morto presto a causa della sua salute.
In Corsica Seneca restò fino al [[49]], quando [[Agrippina minore|Agrippina]], moglie di Claudio, riuscì a ottenere il suo ritorno dall'esilio e lo scelse come tutore del figlio di primo letto, il futuro imperatore [[Nerone]]. Affiancato da Afranio Burro, [[prefetto del pretorio]], Seneca accompagnò l'ascesa al trono del giovane Nerone ([[54]] - [[68]]) e lo guidò durante il cosiddetto periodo del buon governo di Nerone, il ''quinquennio felice'', ispirato a principi di equilibrio e di conciliazione fra i poteri del principe e del senato.
 
Due anni dopo, nel [[41]], il successore di [[Caligola]], [[Claudio]], istigato dalla moglie [[Valeria Messalina]], lo condannò alla [[Relegatio in insulam|relegazione]] in [[Corsica]] con l'accusa di adulterio con la giovane [[Giulia Livilla (figlia di Germanico)|Giulia Livilla]], sorella di [[Caligola]].
Progressivamente tale rapporto si deteriorò e, verso il [[62]], dopo la morte di Burro, con Nerone ormai avviato alla fase conclusiva del suo regno, Seneca, vista venir meno la sua influenza di consigliere politico, si ritirò gradualmente alla vita privata, dedicandosi ai suoi studi.
[[File:Nero 1.JPG|thumb|upright=0.8|Busto dell'imperatore Nerone]]
In Corsica Seneca restò fino al [[49]], quando [[Agrippina minore]], nipote e moglie di Claudio dopo l'esecuzione di Messalina, riuscì ad ottenere il suo ritorno dall'esilio e lo scelse come tutore del figlio [[Nerone]]. Secondo [[Tacito]] sarebbero tre i motivi che spinsero Agrippina a questo: l'educazione di suo figlio, attirarsi le simpatie dell'opinione pubblica (Seneca era considerato uomo di grande cultura) e avere stretti rapporti con lui per riuscire ad impadronirsi del potere.
 
Seneca accompagnò l'ascesa al trono del giovane [[Nerone]] ([[54]] - [[68]]) e lo guidò durante il suo cosiddetto "periodo del buon governo", il primo quinquennio del principato. Assunse un grande potere politico, che gli consentì di divenire estremamente ricco. Si narra che avesse una collezione di cento tavoli di cedro. Progressivamente, a causa delle intemperanze del giovane imperatore, tale rapporto si deteriorò. Giustificò come il "male minore" l'esecuzione della madre di Nerone, [[Agrippina minore|Agrippina]], nel [[59]], e se ne assunse tutto il peso morale. In seguito il rapporto con l'imperatore peggiorò e, temendo per la propria vita, nel [[62]], Seneca si ritirò a vita privata, donando a Nerone tutti i suoi averi e dedicandosi interamente ai suoi studi e insegnamenti. Nonostante ciò Seneca si era ormai guadagnato l'avversione di Nerone e l'odio di Poppea Sabina, la nuova moglie dell'imperatore.
Inviso ormai e sospetto a Nerone e a [[Tigellino]], nuovo prefetto del pretorio, Seneca fu coinvolto nella congiura di Pisone (aprile [[65]]), di cui era forse solo al corrente, senza esserne partecipe e, nella repressione che la seguì, fu condannato a morte da Nerone e si tolse la vita. Si tagliò le vene, ma poichè il sangue, lento per la vecchiaia e il denutrimento, non defluiva, dovette ricorrere al veleno usato anche dal filosofo Socrate, la cicuta. Tuttavia la lenta [[emorragia]] non gli permise di deglutire; così, secondo la testimonianza di Tacito, si immerse in una vasca di acqua calda per favorire la perdita di sangue e raggiungere una morte lenta e straziante.
 
Verso la fine degli anni 50 si collocherebbe il suo incontro con [[Paolo di Tarso]], da taluni ipotizzato sulla base di [[carteggio apocrifo di Seneca e Paolo|epistole tra i due]], generalmente ritenute apocrife. Di questo periodo è famoso il suo epistolario con [[Lucilio Iuniore]], di origine pompeiana, al tempo governatore della Sicilia. Finalmente adottò quindi quello stile di vita che andava insegnando, dimostrando di essere un amministratore dei suoi beni e non un amministrato.
Centro della riflessione di Seneca è l'uomo e la sua possibilità di raggiungere la serenità e la libertà interiore attraverso il dominio della razionalità sulle passioni. L'elaborazione di un nuovo linguaggio dell'interiorità da lui compiuta fu fondamentale per il pensiero cristiano.
 
==== La congiura di Pisone, la seconda condanna a morte e il suicidio ====
== Le testimonianze ==
{{vedi anche|Congiura di Pisone}}
[[File:Sylvestre La Mort de Seneque 1875.jpg|thumb|upright=1.2|''La morte di Seneca'', olio su tela di [[Noël Sylvestre]], [[Béziers]], Musée des Beaux-Arts.]]
[[File:La mort de seneque.jpg|thumb|upright=1.2|''[[Morte di Seneca (Luca Giordano)|Morte di Seneca]]'', 1684, olio su tela di [[Luca Giordano]], 155x188, Parigi, Museo del Louvre.]]
{{Citazione|Morire bene significa sfuggire al pericolo di vivere male. (...) La ragione stessa ci esorta a morire in un modo, se è possibile, che ci piace.|Seneca, ''Lettere a Lucilio'', libro VIII, 70, 6 e 28|Bene autem mori est effugere male vivendi periculum. (...) Eadem illa ratio monet, ut, si licet, moriaris quemadmodum placet.|lingua=la}}
Nerone, tuttavia, continuava a nutrire una crescente insofferenza verso Seneca e [[Sesto Afranio Burro]], Prefetto del Pretorio, morto nel [[62]], forse di malattia. Egli non aspettava che un pretesto per eliminarlo. L'occasione venne col fallimento della [[Congiura di Pisone|congiura dei Pisoni]] (aprile [[65]]) contro la sua persona, della quale Seneca forse era solamente informato, ma di cui non si sa se sia stato partecipe. Ricevette quindi l'ordine di togliersi la vita, o meglio gli venne fatto capire che se non lo avesse fatto, morendo "onorevolmente" secondo i principi del ''[[mos maiorum]]'', sarebbe stato giustiziato comunque poiché Nerone gli contestava la partecipazione alla congiura pisoniana. Non potendo e non volendo sottrarsi, Seneca optò per il suicidio.<ref name=trombetti>Anna Laura Trombetti Budriesi, ''Un gallo ad Asclepio. Morte, morti e società tra antichità e prima età moderna'', pp. 393-397</ref><ref>{{Cita TV|lingua=it|autore=Bettany Hughes|wkautore=Bettany Hughes|trasmissione=Gli otto giorni che fecero Roma|titolo=La caduta di Nerone|canale=Focus|wkcanale=Focus (rete televisiva)|url=https://www.mediasetplay.mediaset.it/video/gliottogiornichefeceroroma/la-caduta-di-nerone_F309129101000604|accesso=|data=13 maggio 2020|minuto=29|secondo=30|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20201204174859/https://www.mediasetplay.mediaset.it/video/gliottogiornichefeceroroma/la-caduta-di-nerone_F309129101000604|urlmorto=sì}}</ref> La morte di Seneca è narrata da Tacito, il quale la descrive prendendo spunto da quella di [[Socrate]] nel ''[[Fedone]]'' e nel ''[[Critone]]'' di [[Platone]], con toni molto simili; Seneca si rivolge agli allievi e alla moglie [[Pompea Paolina]], che vorrebbe suicidarsi con lui: il filosofo la spinge a non farlo, ma lei insiste.<ref name=tac>Tacito, ''Annales'', XV, 62-63</ref> [[Cassio Dione]] scrive invece che Seneca stesso la spinse a suicidarsi con lui.
[[File:Manuel Domínguez Sánchez - El suicidio de Séneca.jpg|upright=1.2|thumb|[[Manuel Domínguez Sánchez]], ''Il suicidio di Seneca'', 1871, ''Museo Nacional del Prado'', Madrid]]
 
Il togliersi la vita, d'altronde, fu in perfetta armonia con i principi professati dallo stoicismo, anche quello "[[Eclettismo|eclettico]]" di età imperiale, di cui Seneca fu uno dei maggiori esponenti: il saggio deve giovare allo Stato, ''res publica minor'', ma, piuttosto che compromettere la propria integrità morale, deve essere pronto all'''extrema ratio'' del suicidio.
==Lo stile ==
{{Citazione|Chiedi quale sia la via alla libertà? Qualsiasi vena del tuo corpo.|Seneca, ''De ira'', V, 15}}
Il filosofo deve badare alla sostanza, non alle parole ricercate ed elaborate, che sono giustificate solo se, in virtù della loro efficacia espressiva, contribuiscono a fissare nella memoria e nello spirito un precetto o una norma morale. La prosa filosofica di Seneca è elaborata e complessa, caratterizzata dalla ricerca dell'effetto e dell'espressione concisamente epigrammatica. Seneca rifiuta la compatta architettura classica del periodo ciceroniano, che, nella sua disposizione ipotattica, organizza anche la gerarchia logica interna, e sviluppa uno stile eminentemente paratattico, che, nell'intento di riprodurre la lingua parlata, frantuma l'impianto del pensiero in un susseguirsi di frasi penetranti e sentenziose, il cui collegamento è affidato soprattutto all'antitesi e alla ripetizione.
La vita non è, infatti, uno di quei beni di cui nessuno ci può privare, rientrando quindi nella categoria degli indifferenti, quelli sono solo la saggezza e la virtù; la vita è piuttosto come la ricchezza, gli onori, gli affetti: uno di quei beni, dunque, che il saggio deve essere pronto a restituire quando la sorte li chiede indietro o quando egli lo decida, in piena ragione.<ref name=trombetti/>
{{Citazione|...alla schiavitù più pulita è preferibile la morte più sozza. [...] L'uomo coraggioso e saggio non deve fuggire dalla vita ma uscirne. Si eviti anzitutto quel sentimento che si è impadronito di molti: il desiderio anelante di morire.|Epistole a Lucilio}}
Tacito, che lo critica per la sua connivenza col governo di Nerone, alla fine ne elogia la coerenza di vita:
{{citazione|Se avessero di questa conservato ricordo, avrebbero conseguito la gloria della virtù come compenso di amicizia fedele. Frenava, intanto, le lacrime dei presenti, ora col semplice ragionamento, ora parlando con maggiore energia e, richiamando gli amici alla fortezza dell'animo, chiedeva loro dove fossero i precetti della saggezza, e dove quelle meditazioni che la ragione aveva dettato per tanti anni contro le fatalità della sorte. A chi mai, infatti, era stata ignota la ferocia di Nerone? Non gli rimaneva ormai più, dopo aver ucciso [[Agrippina minore|madre]] e [[Tiberio Claudio Cesare Britannico|fratello]], che aggiungere l'assassinio del suo educatore e maestro.|Tacito, ''Annales'', XV, 62}}
 
Seneca affrontò l'ora fatale con la serena consapevolezza del filosofo: egli, come racconta Tacito,<ref>Tacito, ''Annales'', XV, 62</ref> non potendo fare testamento dei restanti beni (requisiti anch'essi da Nerone, che mandò un centurione a sequestrargli le tavolette dei lasciti), lasciò in eredità ai discepoli l'immagine della sua vita, richiamandoli alla fermezza per le loro lacrime, dato che esse erano in contrasto con gli insegnamenti che lui aveva sempre dato loro. Il vero saggio deve raggiungere infatti l’''apatheia'', [[apatia (filosofia)|apatia]], ovvero l'imperturbabilità che lo rende impassibile di fronte ai casi della sorte.<ref name=tac/> Dopo il discorso ai discepoli, Seneca compie l'atto estremo:
Tale prosa antitetica all'armonioso periodare ciceroniano, rivoluzionaria sul piano del gusto e destinata a esercitare grande influsso sulla prosa d'arte europea, affonda le sue radici nella retorica asiana procedendo con un ricercato gioco di parallelismi, opposizioni, ripetizioni, in un succedersi di brevi frasi nervose e staccate, realizzando uno stile penetrante, drammatico, ma che non sa evitare una certa teatralità.
 
{{citazione|Dopo queste parole, tagliano le vene del braccio in un solo colpo. Seneca, poiché il suo corpo vecchio ed indebolito dal vitto frugale procurava una lenta fuoriuscita al sangue, si recisero anche le vene delle gambe e delle ginocchia.
==Opere ==
|[[Publio Cornelio Tacito]], ''Annales'', XV, 63
===I ''Dialogi''===
|Post quae eodem ictu brachia ferro exsolvunt. Seneca, quoniam senile corpus et parco victu tenuatum lenta effugia sanguini praebebat, crurum quoque et poplitum venas abrumpi.
|lingua=la}}
 
Con l'aiuto del suo medico e dei servi, si tagliò quindi le vene, prima dei polsi, poi - poiché il sangue, lento per la vecchiaia e lo scarso cibo che assumeva, non defluiva - per accelerare la morte si tagliò anche le vene delle gambe e delle ginocchia, fece trasferire la moglie in un'altra stanza e ricorse anche ad una bevanda a base di [[Conium maculatum|cicuta]], veleno usato anche da [[Socrate]]. Tuttavia nemmeno quello ebbe effetto: la lenta [[emorragia]] non permise al veleno di entrare rapidamente in circolo. Così, memore del suicidio di un amico, Marcellino, Seneca si immerse in una vasca d'acqua bollente per favorire la perdita di sangue «spruzzandone i servi più vicini e dicendo di fare con quel liquido libazioni a [[Giove (divinità)|Giove]] Liberatore».<ref>[[Giorgio Montefoschi]], «Ogni virtù è dominio di sé. La lezione di Seneca», Corriere della Sera, 13 agosto 2001, p.25</ref> Ma alla fine raggiunse una morte lenta e straziante, che arrivò, secondo lo storico, per [[Asfissia|soffocamento]] causato dai vapori caldi (e forse anche per gli effetti della cicuta<ref>Il veleno che l'erba contiene si chiama [[coniina]], un alcaloide tossico che provoca la paralisi del sistema nervoso che comincia dalla gola con grandi difficoltà a inghiottire, poi si estende ai muscoli delle gambe e sale fino al torace paralizzando i movimenti respiratori provocando la morte per asfissia. Cfr. [https://pubchem.ncbi.nlm.nih.gov/summary/summary.cgi?sid=8754 ''Scheda della coniina su Pubchem'']</ref>), dopo che Seneca fu portato, quando fu entrato nella tinozza, in una stanza adibita a bagno e quindi molto calda, dove non poteva respirare (ed essendo lui sofferente da sempre di problemi respiratori).<ref name=trombetti/> I soldati e i domestici invece impedirono a Paolina, priva ormai di sensi, di suicidarsi, proprio mentre Seneca stava assumendo il veleno:
{{citazione|Nerone però, non avendo motivi di odio personale contro Paolina, e per non rendere ancora più impopolare la propria crudeltà, ordina di impedirne la morte. Così, sollecitati dai soldati, schiavi e liberti le legano le braccia e le tamponano il sangue; e, se ne avesse coscienza, è incerto. Non mancarono, infatti, perché il volgo inclina sempre alle versioni deteriori, persone convinte che Paolina abbia ricercato la gloria di morire insieme al marito, finché ebbe a temere l'implacabilità di Nerone, ma che poi, al dischiudersi di una speranza migliore, sia stata vinta dalla lusinga della vita. Dopo il marito, visse ancora pochi anni, conservandone memoria degnissima e con impressi sul volto bianco e nelle membra i segni di un pallore attestante che molto del suo spirito vitale se n'era andato con lui. Seneca intanto, protraendosi la vita in un lento avvicinarsi della morte, prega Anneo Stazio, da tempo suo amico provato e competente nell'arte medica, di somministrargli quel veleno, già pronto da molto, con cui si facevano morire ad Atene le persone condannate da sentenza popolare. Avutolo, lo bevve, ma senza effetto, per essere già fredde le membra e insensibile il corpo all'azione del veleno. Da ultimo, entrò in una vasca d'acqua calda, ne asperse gli schiavi più vicini e aggiunse che, con quel liquido, libava a Giove liberatore. Portato poi in un bagno caldissimo, spirò a causa del vapore e venne cremato senza cerimonia alcuna. Così aveva già indicato nel suo testamento, quando, nel pieno della ricchezza e del potere, volgeva il pensiero al momento della fine.|Tacito, ''Annales'', XV, 64}}
[[File:David La morte di Seneca.jpg|thumb|upright=1.2|left|[[Jacques-Louis David]], ''[[Morte di Seneca (David)|La morte di Seneca]]'', [[1773]], [[Parigi]], Petit-Palais]]
Vista la lunga serie di metodi di suicidio messi in atto da Seneca (anziché un solo metodo diretto ed immediatamente efficace, come quelli scelti da [[Marco Giunio Bruto|Bruto]] e Nerone stesso: ad esempio pugnalarsi alla gola o al cuore, dalla clavicola, mentre un servo o un amico reggeva la spada<ref>Plutarco, Bruto 52, 3-8; Appiano, Le guerre civili 4, 131, 551-552; Cassio Dione 47, 49, 2; Velleio Patercolo 2, 70, 4; Livio, Perioche 124, 3; De vir. ill. 82, 6; Floro 2, 17, 14-15.</ref>; questa era in effetti la [[Suicidio nell'antica Roma|consuetudine più diffusa tra i romani]] nobili e i militari) e la somiglianza evidente in certi particolari (il discorso, la cicuta, poi la libagione alla divinità) con la morte di Socrate, è stato anche ipotizzato<ref>Arturo De Vivo, Elio Lo Cascio (a cura di), ''Seneca uomo politico e l'età di Claudio e di Nerone: atti del Convegno internazionale: Capri 25-27 marzo 1999'', pp. 201 e segg.</ref> che Tacito abbia costruito lui stesso il racconto ad imitazione del testo platonico<ref name=trombetti/> e della tradizione degli ''exitus'' (narrazioni delle morti dei filosofi)<ref name=trombetti/>, e che la morte di Seneca sia stata più rapida; tanto più che lo storico descrive in termini affini quasi tutte le morti dei filosofi e dei sapienti ([[Trasea Peto]], [[Catone Uticense]], per contrasto anche [[Petronio Arbitro]]) e quella di [[Marco Anneo Lucano]], nipote di Seneca e anch'egli coinvolto nella congiura.<ref name=trombetti/>
 
La morte di Seneca, comunque, così eccelsa nella sua esemplarità, lo accomunò nell'immaginario collettivo ad altri filosofi che hanno segnato la classicità: principalmente quella del citato Socrate (in cui il pensatore è costretto a bere il veleno dai suoi persecutori), ma anche quella di [[Trasea Peto]] (un membro della famiglia di [[Arria]] e [[Aulo Cecina Peto|Cecina Peto]], suicidi sotto il precedente regno di [[Claudio]], nonché politico amico dello stoico [[Aruleno Rustico]], una delle vittime della persecuzione [[Domiziano|domizianea]] contro i filosofi), morto proprio per il taglio delle vene, dopo la condanna sollecitata da Nerone da parte del senato. Altri stoici che già avevano scelto il suicidio furono [[Catone Uticense]] e il suo genero [[Marco Giunio Bruto]], uno dei [[Cesaricidio|cesaricidi]], oltre al fondatore dello stoicismo, [[Zenone di Cizio]].
 
A Seneca sono dedicate vie e monumenti in molte città d'[[Italia]] e del mondo.
 
== Lo stile ==
[[File:Seneca.jpg|thumb|upright=0.7|Seneca ritratto da [[Rubens]]]]
Lo stile di Seneca fu definito, dal malevolo Caligola, «''arena sine calce''» (sabbia senza calce). Il filosofo deve badare alla sostanza, non alle parole ricercate ed elaborate, che sono giustificate solo se, in virtù della loro efficacia espressiva, contribuiscono a fissare nella memoria e nello spirito un precetto o una norma morale. La prosa filosofica di Seneca è elaborata e complessa ma in particolare nei dialoghi l'autore si serve di un linguaggio colloquiale, caratterizzato dalla ricerca dell'effetto e dell'espressione concisamente epigrammatica. Seneca rifiuta la compatta architettura classica del periodo ciceroniano, che, nella sua disposizione ipotattica, organizza anche la gerarchia logica interna, e sviluppa uno stile eminentemente [[paratassi|paratattico]], che, nell'intento di riprodurre la lingua parlata, frantuma l'impianto del pensiero in un susseguirsi di frasi penetranti e sentenziose, il cui collegamento è affidato soprattutto all'[[antitesi]] e alla [[anafora (figura retorica)|ripetizione]].
 
Tale prosa antitetica all'armonioso periodare ciceroniano, rivoluzionaria sul piano del gusto e destinata ad esercitare grande influsso sulla prosa d'arte europea, affonda le sue radici nella [[asianesimo|retorica asiana]] procedendo con un ricercato gioco di parallelismi, opposizioni, ripetizioni, in un succedersi di brevi frasi nervose e staccate, realizzando uno stile penetrante, irregolare e drammatico, ma che non sa evitare una certa teatralità. Egli prende molti spunti dalla corrente filosofica dell'epicureismo moderato e da quella dello stoicismo.
 
== Opere ==
=== I ''Dialoghi'' ===
{{vedi anche|Dialoghi (Seneca)}}
I ''Dialoghi'' di Seneca sono dieci, distribuiti in dodici libri:
# ''[[De providentia|Ad Lucilium de providentia]]'';
# ''[[De constantia sapientis|Ad Serenum de constantia sapientis]]'';
# ''[[De ira|Ad Novatum de ira]]'' in tre libri;
# ''[[Consolatio ad Marciam|Ad Marciam de consolatione]]'';
# ''[[De vita beata|Ad Gallionem de vita beata]]'';
# ''[[De otio|Ad Serenum de otio]]'';
# ''[[De tranquillitate animi|Ad Serenum de tranquillitate animi]]'';
# ''[[De brevitate vitae|Ad Paulinum de brevitate vitae]]'';
# ''[[Ad Polybium de consolatione]]'';
# ''[[Ad Helviam matrem de consolatione]]''.
 
=== I trattati ===
Il ''[[De beneficiis]]'', il ''[[De clementia]]'' e le ''[[Naturales quaestiones]]'' sono tre trattati. I primi due sono di carattere etico-politico e si riferiscono al momento dell'impegno di Seneca a fianco di Nerone; il terzo è di argomento scientifico.
 
==== Il ''De beneficiis'' ====
{{vedi anche|De beneficiis}}
Il ''[[De beneficiis]]'' risale al periodo [[54]]-[[64]] ed è scandito in sette libri. Sviluppa il concetto di "beneficenza" come principio coesivo di una società fondata su una monarchia illuminata. Sembra che sia stato composto quando Seneca si era reso conto del fallimento dell'educazione morale di Nerone. Concetto fondamentale dell'opera è che il ''beneficium'' è un atto di generosità consapevole. Il ''De beneficiis'' è rivolto ad Ebuzio Liberale, un amico che Seneca frequentò soprattutto durante gli anni successivi al ritiro a vita privata.
 
Seneca analizza il dare ed il ricevere, la gratitudine e l'ingratitudine; mette in luce i forti limiti connessi all'istituto tipicamente romano dei favori reciproci, determinati dai diffusi rapporti clientelari tra i cittadini, ed elabora una nuova concezione di ''beneficium'' - favore disinteressato, che possa basarsi su un sentimento di giustizia e non sulla speranza di essere ricambiati. Egli ricorda inoltre come il desiderio di vendetta debba essere estirpato dal proprio animo, poiché il vero ''sapiens'' è consapevole del fatto che sia bene restituire al prossimo ciò che da lui riceviamo tranne quando egli ci fa un torto. In tal caso, la ''patientia'', sopportazione stoica derivante dalla propria superiorità alle questioni terrene, è la virtù da coltivare.
 
In un passo di quest'opera egli paragona gli uomini ad un popolo di mattoni, che messi in coesione l'uno sull'altro si sostengono a vicenda e reggono la volta dell'edificio della società.
===Il ''De clementia''===
Il ''De clementia'' ("La clemenza") fu composto tra il 55 e il 56 e ci è giunto incompleto (non è chiaro se incompiuto o mutilo).
 
==== Il ''De clementia'' ====
L'opera è indirizzata a [[Nerone]], da poco divenuto imperatore, di cui Seneca elogia la moderazione e la clemenza, definita come la "moderazione d'animo di chi può vendicarsi o l'indulgenza nella scelta delle pene da parte di un superiore verso un suo sottoposto (''temperantia animi in potestate ulciscendi vel lenitas superioris adversus inferiorem in constituendis poenis'' [3, 1]).
{{vedi anche|De clementia}}
{{Citazione|Clemenza è tenere a freno la [[Passione (filosofia)|passione]] quando si ha il potere di punire.|Lucio Anneo Seneca, ''De clementia''}}
Il ''[[De clementia]]'' ("Sulla clemenza") fu composto tra il [[55]] e il [[56]]; originariamente composto di tre libri, a noi è giunto solo il primo e l'inizio del secondo.<ref>Cfr. {{Cita libro|titolo=Letteratura latina, vol. II. L'età imperiale|autore=[[Gian Biagio Conte]]|anno=2012|editore=Mondadori Education|p=61}}</ref>
 
IlL'opera sovranoè clementeindirizzata a [[Nerone]], diceda poco divenuto imperatore, di cui Seneca elogia la moderazione e la clemenza, definita come la ''«moderazione d'animo di chi può vendicarsi»'', o l'autore"indulgenza", dovrebbee che invita a comportarsi con i suoi sudditi come un padre con i figli. Seneca non mette in discussione il potere assoluto dell'imperatore, ed anzi lo legittima come un potere di origine divina. A Nerone il destino ha assegnato il compito di governaredominio sui suoi sudditi, ed egli deve svolgere questo compito senza far sentire su di loro il peso del potere. Alcuni pensano che avendo intuito gli istinti tirannici del giovane ''princeps'', Seneca abbia tentato di tenerli a freno tramite questi insegnamenti.
 
Questa tesi trova il supporto filosofico nella dottrina politica stoica, secondo cui la monarchia è la forma di governo migliore, all'unica condizione che il sovrano sia sapiente, e trattenendo i suoi sentimenti più violenti, sappia esercitare con temperanza il suo potere. Queste considerazioni influenzarono l'imperatore stoico [[Marco Aurelio]] e il suo [[Pensiero di Marco Aurelio#Influenza sulla concezione politica di Marco Aurelio|pensiero politico]]. Seneca, anticipando di molti secoli la concezione [[illuminista]] di [[Cesare Beccaria]], vede nell'eccessività della pena anche il contrario della [[deterrenza]].
{{Citazione|Ma i costumi dei cittadini si correggono maggiormente con la moderazione nelle punizioni: il gran numero di delinquenti, infatti, crea l’abitudine di delinquere, e il marchio della pena risulta meno grave quando è attenuato dalla moltitudine delle condanne, e il rigore, quando è troppo frequente, perde la sua principale virtù curativa, che è quella di ispirare rispetto.|''De clementia'', III, 20, 2}}
{{Citazione|Nello Stato in cui gli uomini vengono puniti raramente, si instaura una sorta di cospirazione a favore della moralità, della quale ci si prende cura come per un bene pubblico. I cittadini si considerino privi di colpe e lo saranno; e si adireranno maggiormente con quelli che si allontaneranno dalla rettitudine comune, se vedranno che sono pochi. È pericoloso, credimi, mostrare ai cittadini quanto più numerosi siano i cattivi.|''De clementia'', III 21, 2}}
 
==== Le ''Naturales quaestiones'' ====
{{vedi anche|Naturales quaestiones}}
{{sectstub}}
[[File:Seneca, Lucius Annaeus – Naturales quaestiones, 1522 – BEIC 4698971.jpg|miniatura|''Naturales quaestiones'', 1522]]
L'interesse scientifico coltivato da Seneca fin dall'età giovanile emerge chiaramente in quest'opera compilativa, risulato di un lungo lavoro di ricerca su fonti letterarie precedenti. L'approccio allo studio della natura viene d'altronde inteso dall'autore non nel più moderno punto di vista "sperimentale", bensì come una serie di dati già acquisiti e compendiati grazie ai quali il saggio può ricavare, dalla contemplazione dell'armonia [[Panteismo|panteistica]] dell'Universo, una riflessione morale finalizzata al distacco dalle passioni che agitano la moltitudine.
Sviluppate in sette libri, le ''[[Naturales quaestiones]]'' furono composte nell'ultima parte della vita di Seneca. L'edizione a noi giunta non è integrale e differisce quasi sicuramente dall'edizione originale per ordine e composizione. Interessante è il fatto che, per molti versi, Seneca appare ben poco [[stoico]] e più vicino a considerazioni di tipo platonico, anche se egli non rinnegherà il suo stoicismo. Principi "platonici" possono essere ritrovati soprattutto nella prefazione al primo libro, nella quale si avverte un forte contrasto tra anima e corpo (visto come prigione dell'anima) e dalla caratterizzazione trascendentale di Dio privo di corporeità e non immanente. Questi, principalmente, sono gli argomenti su cui Seneca si sofferma:
Il proemio generale dell'opera si apre con un elogio alla pura conoscenza, non finalizzata alla morale pratica.
* 1. libro: I fuochi - Gli specchi
Nell'enciclopedia scientifica delle ''Naturales Questiones'' la disposizione della materia segue i [[quattro elementi]] della fisica classica: Il fuoco e le sue manifestazioni nei libri I e II, l'acqua nel libro III e nella prima parte del libro IV, l'aria nella seconda parte del libro IV e nel libro V e la terra nel libro VI; il libro VII è, infine, dedicato alle [[Cometa|comete]].
* 2. libro: Lampi e folgori
* 3. libro: Le acque terrestri (completo)
* 4. libro: il [[Nilo]] - [[Neve]], [[pioggia]], [[grandine]]
* 5. libro: I venti
* 6. libro: I [[terremoti]]
* 7. libro: Le [[comete]]
 
Innanzitutto per comprendere appieno il testo è necessario capire che lo scopo che Seneca si prefigge, non è quello di raccogliere ordinatamente ogni conoscenza dell'epoca (cosa che invece possiamo intendere almeno in parte nella ''[[Naturalis historia]]'' di [[Plinio il Vecchio]]), bensì quello di liberare l'uomo dalla paura e dalla superstizione intorno ai fenomeni naturali, compiendo così un'operazione simile a quella di [[Lucrezio]] nel suo ''[[De rerum natura]]'' (seppur con le dovute differenze ed eccezioni).
==Le Epistole a Lucilio: la lettera filosofica come genere letterario==
Seneca, nella produzione successiva al ritiro dalla scena politica (62), volse la sua attenzione alla coscienza individuale. L'opera principale della sua produzione più tarda, e la più celebre in assoluto, sono le ''Epistulae morales ad Lucilium'', una raccolta di lettere di differente estensione (fino alle dimensioni di un trattato) e di vario argomento indirizzate all'amico Lucilio (personaggio di origini modeste, proveniente dalla [[Campania]], assurto al rango equestre e a varie cariche politico-amministrative, di buona cultura, poeta e scrittore).
 
Affrontando il testo, troviamo fin dal primo libro una chiara presa di posizione di Seneca nella quale si scopre l'intento primo dell'opera: permettere all'uomo, una volta scevro dalle false credenze che avvolgono la natura, di ascendere ad una dimensione più divina. Di particolare importanza sono il paragrafo 8-9: «''Hoc est illud punctum quod tot gentes ferro et igne dividitur? O quam ridiculi sunt mortalium termini!''» («È tutto qui quel punto [la Terra, ndt] che viene diviso col ferro e col fuoco fra tante popolazioni? Oh quanto ridicoli sono i confini posti dagli uomini!»), nel quale l'anima libera oramai dalla sua fisicità, comprende l'inutilità degli affanni, dell'avidità e delle guerre.
Verosimilmente si tratta di un epistolario reale (varie lettere richiamano quelle di Lucilio in risposta), integrato da lettere fittizie (quelle più ampie e sistematiche), inserite nella raccolta al momento della pubblicazione. L'opera, che è giunta incompleta e risale al periodo del disimpegno politico (62-63), costituisce un unicum nel panorama letterario e filosofico antico. L'idea di comporre lettere di carattere filosofico indirizzate ad amici viene da [[Platone]] e da [[Epicuro]], ma Seneca è perfettamente consapevole di introdurre un nuovo genere nella cultura letteraria latina. Il filosofo distingue le lettere filosofiche dalla comune pratica epistolare, anche da quella di tradizione più illustre, rappresentata da [[Marco Tullio Cicerone|Cicerone]]. Seneca prende come esempio Epicuro, il quale, nelle lettere agli amici, ha saputo realizzare quel rapporto di formazione e di educazione spirituale che Seneca istituisce con Lucilio.
 
Spesso quest'opera viene tacciata di poca scientificità, tuttavia viene da domandarsi se di scientificità si possa propriamente parlare: anche se per certi versi Seneca mostra alcuni atteggiamenti "scientifici", quali l'osservazione diretta, la riflessione razionale posteriore ad essa e la discussione di eventuali altre teorie, per Seneca la conoscenza è solo un mezzo per elevarsi sino a Dio; molto spesso, inoltre, l'autore divaga in argomentazioni e questioni di tipo morale o religioso e non sono rare le parti propriamente "filosofiche".
Le lettere di Seneca vogliono essere uno strumento di crescita morale. Riprendendo un topos dell'epistolografia antica, Seneca sostiene che lo scambio epistolare permette di istituire un ''colloquium'' con l'amico, fornendo un esempio di vita che, sul piano pedagogico, è più efficace dell'insegnamento dottrinale. Seneca, proponendo ogni volta un nuovo tema, semplice e di apprendimento immediato, alla meditazione dell'amico discepolo, lo guida al perfezionamento interiore (per lo stesso motivo, nei primi tre libri, Seneca conclude ogni lettera con una sentenza che offre uno spunto di meditazione).
 
=== Le Epistole a Lucilio: la lettera filosofica come genere letterario ===
Lo scrittore ritiene l'epistola lo strumento più adatto per la prima fase dell'educazione spirituale, fondata sull'acquisizione di alcuni principi basilari, più tardi, con l'accrescimento delle capacità analitiche del discente e del suo patrimonio dottrinale, sono necessari strumenti di conoscenza più impegnativi e complessi. La forma letteraria si adegua, quindi, ai diversi momenti del processo di formazione e le singole lettere, col procedere dell'epistolario, divengono sempre più simili al trattato filosofico.
{{vedi anche|Epistulae morales ad Lucilium}}
Seneca, nella produzione successiva al ritiro dalla scena politica ([[62]]), volse la sua attenzione alla coscienza individuale. L'opera principale della sua produzione più tarda, e forse la più celebre in assoluto, sono le ''[[Epistulae morales ad Lucilium]]'', una raccolta di 124 lettere divise in 20 libri di differente estensione (fino alle dimensioni di un trattato) e di vario argomento, indirizzate all'amico [[Lucilio Iuniore]] (personaggio di origini modeste, proveniente dalla [[Campania antica|Campania]], assurto al rango equestre e a varie cariche politico-amministrative, di buona cultura, poeta e scrittore).
 
C'è discussione se siano vere e proprie lettere inviate da Seneca a Lucilio o una finzione letteraria. Verosimilmente si tratta di un epistolario reale (varie lettere richiamano quelle di Lucilio in risposta), integrato da lettere fittizie (quelle più ampie e sistematiche), inserite nella raccolta al momento della pubblicazione. L'opera, che è giunta incompleta e risale al periodo del disimpegno politico ([[62]]-[[65]]), sebbene l'idea di comporre lettere di carattere filosofico indirizzate ad amici venga da [[Platone]] e da [[Epicuro]], costituisce sostanzialmente un ''unicum'' nel panorama letterario e filosofico antico, e Seneca è perfettamente consapevole d'introdurre un nuovo genere nella cultura letteraria latina. L'autore distingue le lettere filosofiche dalla comune pratica epistolare, anche da quella di tradizione più illustre rappresentata da [[Marco Tullio Cicerone|Cicerone]]. Seneca prende come esempio Epicuro, il quale, nelle lettere agli amici, ha saputo realizzare quel rapporto di formazione e di educazione spirituale che Seneca istituisce con Lucilio.
Non meno importante dell'aspetto teorico è l'intento esortativo: Seneca vuole non solo dimostrare una verità, ma anche invitare al bene. Il genere epistolare si rivela appropriato ad accogliere un tipo di filosofia priva di sistematicità e incline alla trattazione di aspetti parziali o singoli temi etici. Gli argomenti delle lettere, suggeriti per lo più dall'esperienza quotidiana, sono svariati, e nella varietà, nell'occasionalità e nel collegamento fra vita vissuta e riflessione morale, sono evidenti le affinità con la satira, soprattutto oraziana. Seneca parla delle norme cui il saggio si deve attenere, della sua indipendenza e autosufficienza, della sua indifferenza alle seduzioni mondane e del suo disprezzo per le opinioni correnti e propone l'ideale di una vita indirizzata al raccoglimento e alla meditazione, al perfezionamento interiore mediante un'attenta riflessione sulle debolezze e i vizi propri e altrui.
 
Le lettere di Seneca vogliono essere uno strumento di crescita morale. Riprendendo un ''topos'' dell'epistolografia antica, Seneca sostiene che lo scambio epistolare permette di istituire un ''colloquium'' con l'amico, fornendo un esempio di vita che, sul piano pedagogico, è più efficace dell'insegnamento dottrinale. Seneca, proponendo ogni volta un nuovo tema, semplice e di apprendimento immediato, alla meditazione dell'amico discepolo, lo guida al perfezionamento interiore; per lo stesso motivo, nei primi tre libri, Seneca conclude ogni lettera con una sentenza che offre uno spunto di meditazione. Le sentenze sono tratte da [[Epicuro]], anche se Seneca non si dichiara suo seguace. Egli sostiene, infatti, che ogni massima moralmente valida è utile, da qualsiasi fonte provenga.
La considerazione della condizione umana che accomuna tutti i viventi lo porta ad esprimere una condanna del trattamento comunemente riservato agli schiavi, con accenti di intensa pietà che hanno fatto pensare al sentimento della carità cristiana: in realtà l'etica senecana resta profondamente aristocratica, e lo stoico che esprime pietà per gli schiavi maltrattati manifesta apertamente anche il suo irrevocabile disprezzo per le masse popolari abbrutite dagli spettacoli del circo. Nelle Epistole, l'otium è costante ricerca del bene, nella convinzione che le conquiste dello spirito possano giovare non solo agli amici impegnati nella ricerca della sapienza, ma anche agli altri, e che le Epistole possano esercitare il loro benefico influsso sulla posterità.
 
Lo scrittore ritiene l'epistola lo strumento più adatto per la prima fase dell'educazione spirituale, fondata sull'acquisizione di alcuni principi basilari; più tardi, con l'accrescimento delle capacità analitiche del discente e del suo patrimonio dottrinale, sono necessari strumenti di conoscenza più impegnativi e complessi. La forma letteraria si adegua, quindi, ai diversi momenti del processo di formazione e le singole lettere, col procedere dell'epistolario, divengono sempre più simili al trattato filosofico.
 
A tal proposito all'interno delle lettere a Lucilio si può ricavare una vera e propria istruzione sulla [[lettura]]. Seneca insegna al suo corrispondente una modalità di lettura attenta («''lectio certa''», ''Ad Luc.'', 45,1), che non bada al numero delle pagine lette, che approfondisce i contenuti interrompendosi spesso. Egli non vuole un lettore di molti libri, non ama le biblioteche immense, come quella di Alessandria. In conformità con la sua morale, la lettura in Seneca diventa un esercizio di virtù, da fare senza fretta (cfr ''Ad Luc.'', 2,2) e non per alimentare la curiosità (''Ad Luc.'', 2,4), evitando di disperdersi nella moltitudine dei libri ma piuttosto cercando di cogliere la verità di sé (cfr ''Ad Luc.'' 45,4) nel controluce della verità di chi scrive.<ref>Per un'analisi della lettura in Seneca, cfr Seneca, ''Sulla lettura'', a cura di [[Lucio Coco]], Edizioni San Paolo, 2012; nel libro si analizza anche il modo con cui le tesi senechiane sulla lettura siano state recepite negli scrittori cristiani di opere spirituali.</ref>
 
Non meno importante dell'aspetto teorico è l'intento esortativo: Seneca vuole non solo dimostrare una verità, ma anche invitare al bene. Il genere epistolare si rivela appropriato ad accogliere un tipo di filosofia priva di sistematicità e incline alla trattazione di aspetti parziali o singoli temi etici. Gli argomenti delle lettere, suggeriti per lo più dall'esperienza quotidiana, sono svariati, e nella varietà, nell'occasionalità e nel collegamento fra vita vissuta e riflessione morale, sono evidenti le affinità con la satira, soprattutto oraziana. Seneca parla delle norme cui il saggio si deve attenere, della sua indipendenza e autosufficienza, della sua indifferenza alle seduzioni mondane e del suo disprezzo per le opinioni correnti e propone l'ideale di una vita indirizzata al raccoglimento e alla meditazione, al perfezionamento interiore mediante un'attenta riflessione sulle debolezze e i vizi propri e altrui.
==Le tragedie==
Le tragedie ritenute autentiche sono nove (qualche dubbio sussiste per l' ''Hercules Oetaeus''), tutte di soggetto mitologico greco.
* L<nowiki>'</nowiki>''Hercules furens'' è costruito sul modello dell'Eracle euripideo: [[Giunone]] provoca la follia di [[Ercole]], uccide moglie e figli. Una volta rinsavito, determinato a suicidarsi, egli si lascia distogliere dal suo proposito e si reca infine ad [[Atene]] a purificarsi.
* Le ''[[Troades]]'' è la contaminazione dei soggetti di due drammi euripidei, [[le Troiane]] e l'Ecuba. La tragedia rappresenta la sorte delle donne troiane prigioniere e impotenti dì fronte al sacrificio di [[Polissena]], figlia di [[Priamo]] e del piccolo Astianatte, figlio di [[Ettore]] e [[Andromaca (mitologia)|Andromaca]].
* Le ''Phoenissae'' è l'unica tragedia senecana incompleta, improntata sulle Fenicie di Euripide e sull'Edipo a Colono di [[Sofocle]]. La vicenda ruota attorno al tragico destino di [[Edipo]] e all'odio che divide i suoi figli Etèocle e Polinice.
* La [[Medea (Seneca)|''Medea'']] naturalmente si rifà a [[Euripide]] e forse anche a un'omonima, e fortunata, tragedia perduta di [[Publio Ovidio Nasone|Ovidio]]. La tragedia narra la cupa vicenda della principessa della Colchide abbandonata da [[Giasone (mitologia)|Giasone]] e assassina, per vendetta, dei figli avuti da lui.
* La ''Phaedra'' presuppone il celebre modello euripideo dell'Ippolito, di una tragedia perduta di Sofocle e della quarta delle ''Heroides'' ovidiane: tratta dell'incestuoso amore di [[Fedra]] per il figliastro Ippolito e del drammatico destino che si abbatte sul giovane, restio alle seduzioni della matrigna, la quale, per vendetta, ne provoca la morte denunciandolo al marito [[Teseo]], padre di Ippolito.
* L'[[Edipo (Seneca)|''Oedipus'']], ispirato all'Edipo Re sofocleo, narra il mito tebano di [[Edipo]], inconsapevole uccisore del padre [[Laio]] e sposo della madre [[Giocasta]]. Alla scoperta della tremenda verità egli reagisce accecandosi.
* L' ''Agamemnon'', si ispira, assai liberamente, all'omonimo dramma di [[Eschilo]]. La tragedia rievoca l'assassinio del re, al ritorno da [[Troia (Asia Minore)|Troia]], per mano della moglie [[Clitennestra]] e dell'amante [[Egisto]].
* Il ''Thyestes'' rappresenta una vicenda mitica già trattata in opere perdute di Sofocle e di Euripide. Atreo animato da odio mortale per il fratello Tieste, che gli ha sedotto la sposa, si vendica con un finto banchetto di riconciliazione in cui imbandisce al fratello ignaro le carni dei figli.
* Nell' ''Hercules Oetaeus'' (Ercole sull'Eta, il monte su cui si svolge l'evento culminante del dramma) modellato sulle Trachinie di Sofocle, è trattato il mito della gelosia di [[Deianira]], che per riconquistare l'amore di Ercole innamoratosi di [[Iole]], gli invia una tunica intrisa del sangue del centauro Nesso, creduto un filtro d'amore e in realtà dorato di potere mortale: tra dolori atroci Ercole si uccide ed è assunto fra gli dei.
 
La considerazione della condizione umana che accomuna tutti i viventi lo porta ad esprimere una condanna del trattamento comunemente riservato agli schiavi, con accenti di intensa pietà che hanno fatto pensare al sentimento della carità cristiana: in realtà l'etica senechiana resta profondamente aristocratica, e lo stoico che esprime pietà per gli schiavi maltrattati manifesta anche il suo irrevocabile disprezzo per le masse popolari abbrutite dagli spettacoli del circo. Nelle Epistole, l'''otium'' è costante ricerca del bene, nella convinzione che le conquiste dello spirito possano giovare non solo agli amici impegnati nella ricerca della sapienza, ma anche agli altri, e che le Epistole possano esercitare il loro benefico influsso sulla posterità.
Le tragedie di Seneca sono le sole opere tragiche latine pervenute in forma non frammentaria, costituiscono quindi una testimonianza preziosa sia di un intero genere letterario, sia della ripresa del teatro latino tragico, dopo i vani tentativi attuati dalla politica culturale augustea per promuovere una rinascita dell'attività teatrale. In età giulio-claudia ([[27 a.C.]]–[[68]] d.C.) e nella prima età flavia ([[69]]–[[96]]) l'élite intellettuale senatoria ricorse al teatro tragico per esprimere la propria opposizione al regime (la tragedia latina riprende ed esalta un aspetto fondamentale in quella greca classica, ossia l'ispirazione repubblicana e l'esecrazione della tirannide). Non a caso, i tragediografi di età giulio-claudia e flaviana furono tutti personaggi di rilievo nella vita pubblica romana.
 
L'opera senechiana, e soprattutto le ''Epistulae ad Lucillium'', si inserisce in quel momento storico durante il quale il principato con gli ultimi esponenti della [[Dinastia giulio-claudia|famiglia Giulia]] stava soffocando le libertà civili e riducendo il senato, un tempo garante del diritto, a semplice strumento sottoposto alla volontà del ''princeps''. Si capisce perciò il desiderio di Seneca di scrutare entro la propria coscienza e in essa ricercare i motivi fondamentali delle virtù, e quindi della libertà interiore, attingendo al pensiero di Platone e di Aristotele, ma soprattutto di Epicuro e della scuola stoica. Un Seneca alla ricerca del superamento delle remore negative del suo tempo per proiettarsi in un'area universale, ridiventando così padrone di sé stesso. Forse un pessimismo celato e rivolto all'inerzia? I critici, almeno in un primo momento, se lo sono chiesto; tuttavia non si può escludere che egli abbia operato negli anni della sua maturità per evitare gli equivoci, le contraddizioni e ogni forma di egoismo, proiettando nel contempo la persona, data la ricchezza dello spirito, oltre il tempo. Quasi un porsi nella dimensione divina, per cui i beni terreni, fonte di egoismi e di ingiustizie, vengono annullati. E al loro posto ecco la persona conscia della sua dignità. Di qui le tante lettere al suo discepolo e amico, Lucilio, quasi proiezione di sé stesso, o almeno di come avrebbe voluto essere. A sostegno di tutto ciò la filosofia, vista come regola di vita.
Le tragedie di Seneca erano, forse, destinate soprattutto alla lettura, il che poteva non escludere talora la rappresentazione scenica. La macchinosità o la truce spettacolarità di alcune scene sembrerebbero presupporre una rappresentazione scenica, mentre una semplice lettura avrebbe limitato, se non annullato, gli effetti ricercati dal testo drammatico. Le varie vicende tragiche si configurano come scontri di forze contrastanti e conflitto fra ragione e passione. Anche se nelle tragedie sono ripresi temi e motivi delle opere filosofiche, il teatro senecano non è solo un'illustrazione, sotto forma di ''exempla'' forniti dal mito, della dottrina stoica, sia perché resta forte la matrice specificamente letteraria, sia perché, nell'universo tragico, il ''logos'', il principio razionale cui la dottrina stoica affida il governo del mondo, si rivela incapace di frenare le passioni e arginare il dilagare del male.
 
Molti i critici e gli studiosi che vedono negli ultimi scritti di Seneca un allineamento, inconsapevole, alle tesi fondamentali della [[dottrina paolina]]; e più tardi quasi ispiratori delle ''[[Confessioni (Sant'Agostino)|Confessioni]]'' di [[Sant'Agostino]]. Ed è significativo che il pensiero di Seneca nel tempo attuale attragga molte persone e non pochi studiosi alla ricerca di più vasti valori inerenti all'esistenza umana, così da sfuggire alle molteplici sollecitazioni che, tramite i media, cercano di spingere verso un superficiale edonismo.<!-- Mancanza di fonti, e conclusione soggettiva -->
Alle diverse vicende tragiche fa da sfondo una realtà dai toni cupi e atroci, conferendo al conflitto fra bene e male una dimensione cosmica e una portata universale. Un rilievo particolare ha la figura del tiranno sanguinario e bramoso di potere, chiuso alla moderazione e alla clemenza, tormentato dalla paura e dall'angoscia. Il despota offre lo spunto al dibattito etico sul potere, che è importantissimo nella riflessione di Seneca. Di quasi tutte le tragedie senecane, restano i modelli greci, nei confronti dei quali Seneca ha una grande autonomia che però presuppone un rapporto continuo col modello, sul quale l'autore opera interventi di contaminazione, di ristrutturazione, di razionalizzazione nell'impianto drammatico.
 
=== Le tragedie ===
Il linguaggio poetico delle tragedie ha origine nella poesia augustea (cospicua la presenza di Ovidio), dalla quale Seneca mutua anche le raffinate forme metriche, come il particolare tipo di senario, già adottato dal teatro tragico augusteo. Le tracce della tragedia latina arcaica si avvertono soprattutto nel gusto del pathos esasperato, nella tendenza alla frase sentenziosa, isolata, in netto rilievo, alimentata soprattutto dal gusto retorico del tempo.
{{Vedi anche|Tragedie (Seneca)}}
Le tragedie di Seneca sono le sole opere tragiche latine pervenute in forma non frammentaria, e costituiscono quindi una testimonianza preziosa sia di un intero genere letterario, sia della ripresa del [[teatro latino]] tragico, dopo i vani tentativi attuati dalla politica culturale augustea per promuovere una rinascita dell'attività teatrale. In [[età giulio-claudia]] ([[27 a.C.]]–[[68]] d.C.) e nella prima [[età flavia]] ([[69]]–[[96]]) l'''élite'' intellettuale senatoria ricorse al teatro tragico per esprimere la propria opposizione al regime (la tragedia latina riprende ed esalta un aspetto fondamentale in quella greca classica, ossia l'ispirazione repubblicana e l'esecrazione della [[tirannide]]). Non a caso, i tragediografi di età giulio-claudia e flaviana furono tutti personaggi di rilievo nella vita pubblica romana.
 
Le tragedie ritenute autentiche sono nove (più una decima, l{{'}}''[[Ottavia (Pseudo-Seneca)|Octavia]]'', ritenuta spuria), tutte di soggetto [[mitologia greca|mitologico greco]] (a Roma tale genere veniva definito ''[[cothurnata]]'', dal ''[[coturno]]'', calzatura tipica degli attori tragici):
La stessa tendenza si manifesta anche nella frammentazione dei dialoghi (un verso per ogni personaggio) ed in una costante influenza della retorica asiana, percepibile nella continua tensione, nell'enfasi declamatoria, nello sfoggio di greve erudizione nelle tinte fosche e macabre. Spesso l'esasperazione della tensione drammatica è ottenuta mediante l'introduzione di lunghe digressioni, che alterano i tempi dello sviluppo scenico isolando singole scene come quadri autonomi, estraniati dal contesto della dinamica teatrale (forse "pezzi di bravura" destinati ad esser letti nelle sale di recitazione). Uno stile che costituisce un documento tra i più rappresentativi del gusto letterario contemporaneo.
* ''[[Hercules furens]]'';
* ''[[Troades]]'';
* ''[[Fenicie (Seneca)|Phoenissae]]'';
* ''[[Medea (Seneca)|Medea]]'';
* ''[[Phaedra (Seneca)|Phaedra]]'';
* ''[[Edipo (Seneca)|Oedipus]]'';
* ''[[Agamennone (Seneca)|Agamemnon]]'';
* ''[[Thyestes]]'';
* ''[[Hercules Oetaeus]]'';
* ''[[Ottavia (Pseudo-Seneca)|Octavia]]'' (spuria; databile pochi anni dopo la sua morte ([[70]]-[[80]] d.C.).
 
Le tragedie di Seneca erano, forse, destinate soprattutto alla lettura, il che poteva non escludere talora la [[rappresentazione teatrale|rappresentazione scenica]]. La macchinosità o la truce spettacolarità di alcune scene sembrerebbero presupporre una rappresentazione scenica, mentre una semplice lettura avrebbe limitato gli effetti ricercati dal testo drammatico. Le varie vicende tragiche si configurano come scontri di forze contrastanti e conflitto fra ragione e passione. Anche se nelle tragedie sono ripresi temi e motivi delle opere filosofiche, il teatro senechiano non è solo un'illustrazione, sotto forma di ''exempla'' forniti dal mito, della [[stoicismo|dottrina stoica]], sia perché resta forte la matrice specificamente letteraria, sia perché, nell'universo tragico, il ''logos'', il principio razionale cui la dottrina stoica affida il governo del mondo, si rivela incapace di frenare le passioni e arginare il dilagare del male.
Una decima tragedia, l<nowiki>'</nowiki>''Octavia'', rappresenta la sorte di Ottavia, la prima moglie di Nerone da lui ripudiata, perché innamorato di [[Poppea]], e fatta uccidere. Sì tratta quindi di una tragedia di argomento romano, ossia una praetexta (l'unica rimasta), ma è certamente spuria, sia perché lo stesso Seneca vi compare come personaggio del dramma, sia perché la descrizione della morte di Nerone (avvenuta nel [[68]], tre anni dopo quella di Seneca), preannunciata dall'ombra di Agrippina, è troppo corrispondente alla realtà storica, inoltre l'autore, che mostra grande familiarità con l'intera produzione di Seneca, trasferire nella tragedia brani versificati tratti dalle opere filosofiche. L<nowiki>'</nowiki>''Octavia quindi'', fu scritta in un ambiente vicino a Seneca e pochi anni dopo la sua morte ([[70]]-[[80]] d.C.).
 
Alle diverse vicende tragiche fa da sfondo una realtà dai toni cupi e atroci, conferendo al conflitto fra bene e male una dimensione cosmica e una portata universale. Un rilievo particolare ha la figura del tiranno sanguinario e bramoso di potere, chiuso alla moderazione e alla clemenza, tormentato dalla paura e dall'angoscia. Il despota offre lo spunto al dibattito etico sul potere, che è importantissimo nella riflessione di Seneca. Di quasi tutte le tragedie senechiane, restano i modelli greci, nei confronti dei quali Seneca ha una grande autonomia che però presuppone un rapporto continuo col modello, sul quale l'autore opera interventi di contaminazione, di ristrutturazione, di razionalizzazione nell'impianto drammatico.
=== Analisi e rappresentazione delle tragedie ===
Seneca mostra nelle sue tragedie il lato forse più sconosciuto della sua personalità, l’altra faccia di quel ''vir sapiens et bonus'' suicidatosi per la giusta causa della libertà, di quel saggio stoico che andava predicando l’imperturbabilità, la giustizia e il Bene.
 
Seneca mostra nelle sue tragedie il lato forse più sconosciuto della sua personalità, l'altra faccia "[[Dioniso|dionisiaca]]" di quel ''vir sapiens et bonus'' suicidatosi per la giusta causa della libertà, di quel saggio stoico che andava predicando l'imperturbabilità, la giustizia e il Bene. Le tragedie senechiane, spesso a sfondo mitico e con personaggi presi in prestito dalla tradizione mitica e tragica greca, si configurano come uno studio oculato e preciso dei comportamenti umani, soprattutto per quanto riguarda le esperienze del Male e della [[morte]]. In esse Seneca parla infatti di uccisioni (anche all'interno del gruppo familiare o a danno di amici), di [[incesto|incesti]] e di [[parricidio|parricidi]], di rituali di [[magia nera]], di cerimonie sacrificali e di atrocità d'ogni genere, di crisi d'ira e di gesti incontrollabili, di atti di [[cannibalismo]] e di azioni nefaste, di insane passioni e di un uso folle e spregiudicato della [[violenza]]. Nelle tragedie senechiane dominano insomma incontrastati l'irrazionale e il Male.
La tragedia è un tipo di rappresentazione teatrale molto antico; l’etimologia del termine, ''trághos'' (‘capro’) e ''odé'' (‘canto’), rimanda al canto dei capri, ovvero al coro composto dai seguaci di [[Dioniso]] mascherati da capri. Si sappia che le fattezze caprine, ma soprattutto quelle dei [[satiro|satiri]] e dei [[fauno|fauni]], vennero prese in prestito dall’iconografia paleocristiana per la rappresentazione del [[demonio]].
 
=== ''L'Apokolokyntosis'' ===
Ritornando sui nostri passi, le tragedie senecane, spesso a sfondo mitico e con personaggi presi in prestito dalla tradizione mitica e tragediografa greca, si configurano infatti come uno studio oculato e preciso dei comportamenti umani, soprattutto per quanto riguarda le esperienze del Male e della [[morte]]. In esse Seneca parla infatti uccisioni (anche all’interno del gruppo familiare o a danno di amici), di incesti e di parricidi, di rituali di [[magia nera]], di maledizioni e di predizioni quanto mai macabre, di cerimonie di sacrificio e di atrocità d’ogni genere, di crisi d’ira e di gesti incontrollabili, di atti di [[cannibalismo]] e di azioni nefaste, di insane passioni e di un uso folle e spregiudicato della [[violenza]]. Nelle tragedie senecane domina insomma incontrastato l’irrazionale e il Male.
{{vedi anche|Apokolokyntosis}}
[[File:Pensieri e giudizi 2.jpg|thumb|upright=0.9|di [[Mario Rapisardi]] - Aforismi di L. A. Seneca e P. Siro - ed. postuma a cura di A. Tomaselli - P. Lauriel, 1915 - [[s:Aforismi di Lucio Anneo Seneca e Publio Siro|qui]] ]]
 
Il ''Ludus de morte Claudii'' (o ''Divi Claudii apotheosis per saturam''), generalmente noto col nome di ''[[Apokolokyntosis]],'' (parola che implicherebbe un riferimento a ''kolokýnte'', cioè la zucca, forse come emblema di stupidità) indica la parodia della divinizzazione di [[Claudio]] decretata dal [[senato romano]] alla sua morte. Nel testo di Seneca non si parla di zucche e l'apoteosi non ha luogo; il termine andrebbe dunque inteso non come "trasformazione in zucca", ma come "deificazione di una zucca, di uno zuccone". [[Publio Cornelio Tacito|Tacito]] (''[[Annales (Tacito)|Annales]], XIII 3'') afferma che Seneca aveva scritto la ''[[laudatio funebris]]'' dell'imperatore morto (pronunciata da [[Nerone]]), però, in occasione della divinizzazione di Claudio, che aveva suscitato le ironie degli stessi ambienti di corte e dell'opinione pubblica, potrebbe aver dato sarcastico sfogo al risentimento contro l'imperatore che lo aveva condannato all'esilio (l'opera sarebbe del [[54]]).
A testimonianza di ciò si nota che Seneca non ricorre all’uso del ''deus ex machina'' (ovvero dell’entrata in scena, soprattutto sul finire dello spettacolo, di un dio ‘volante’, sostenuto per mezzo di una fune da un complesso sistema di carrucole: da qui appunto ex machina) per mezzo del quale solitamente si aveva la risoluzione pacifica del dramma (il lieto fine) oltre che la giustificazione del Male compiuto nell’azione. Questo perché le sue tragedie ci offrono uno spaccato di vita (chiamarla quotidiana sarebbe un po’ troppo azzardato) nella quale non c’è né rimedio né soluzione alle atrocità commesse. I personaggi sono, in questo senso, comunque condannati: ad esempio ''Fedra'' è inevitabilmente destinata al suicidio, in preda al rimorso per l’incesto col figliastro ''Ippolito''. Prototipo maligno per eccellenza è però ''Medea'', colei che invoca rabbiosa e vendicatrice le forze del Male per abbattere e distruggere ogni cosa in modo da rendersi giustizia, dopo essere stata ripudiata da ''Giasone'' che in cambio sposa ''Creusa''.
 
Il componimento narra la morte di Claudio e la sua ascesa all'Olimpo nella vana pretesa di essere assunto fra gli dèi. Qui egli incontra Augusto che inizia a raccontare tutti i misfatti del suo impero; gli dèi lo condannano quindi a discendere, come tutti i mortali, agli inferi, dove egli finisce schiavo di Caligola e da ultimo viene assegnato da [[Minosse]] al liberto Menandro: una condanna di [[contrappasso]] per chi aveva fama di esser vissuto in mano dei suoi potenti schiavi. Allo scherno per l'imperatore defunto Seneca contrappone, all'inizio dell'opera, parole di elogio per il suo successore, preconizzando nel nuovo principato un'età di splendore e di rinnovamento.
Nelle tragedie di Seneca si assiste quindi ad un completo rovesciamento dei punti di vista, secondo cui ciò che apparirebbe naturalmente privo di senso, anomalo e degenerato, finisce per apparire del tutto normale, oltre che lecito. Le anime malate che egli rappresenta sembrano inoltre aver perduto una volta per sempre il senno, ovvero la ragione, senza la quale il mondo sembra essere diventato preda di ombre e di mostri in completa balìa del Male e delle forze dell’[[inferno]].
 
Claudio viene rappresentato come violento, claudicante e gobbo: Seneca calca la mano sui suoi difetti fisici, ribaltando l'attitudine celebrativa di certi scritti con una forma profondamente irriverente.
==L'''Apokolokyntosis''==
Il ''Ludus de morte Claudii'' (o ''Divi Claudii apotheosis per saturam'') è generalmente noto col nome di ''Apokolokyntosis'', (parola che implicherebbe un riferimento a ''kolòkynta'', cioè la zucca, forse come emblema di stupidità) parodia della divinizzazione di Claudio decretata dal senato alla sua morte. Nel testo senecano non si parla di zucche e l'apoteosi non ha luogo, il termine va inteso non come "trasformazione in zucca", ma come "deificazione di una zucca, di uno zuccone". [[Publio Cornelio Tacito|Tacito]] (''Annales XIII 3'') afferma che Seneca aveva scritto la ''laudatio funebris'' dell'imperatore morto (pronunciata da Nerone), però, in occasione della divinizzazione di Claudio, che aveva suscitato le ironie degli stessi ambienti di corte e dell'opinione pubblica, potrebbe aver dato sarcastico sfogo al risentimento contro l'imperatore che lo aveva condannato all'esilio (l'opera sarebbe del [[54]]).
 
=== Gli epigrammi ===
Il componimento narra la morte di Claudio e la sua ascesa all'[[Olimpo (mitologia)|Olimpo]] nella vana pretesa di essere assunto fra gli dei, i quali lo condannano invece a discendere, come tutti i mortali, agli inferi, dove egli finisce schiavo del nipote Caligola e da ultimo viene assegnato al liberto [[Menandro]]: una condanna di contrappasso per chi aveva fama di esser vissuto in mano dei suoi potenti liberti. Allo scherno per l'imperatore defunto Seneca contrappone, all'inizio dell'opera, parole di elogio per il suo successore, preconizzando nel nuovo principato un'età di splendore e di rinnovamento. L'opera rientra nel genere della satira menippea (così detta da [[Menippo di Gàdara]], vissuto nel [[III secolo a.C.]], l'iniziatore di questa forma, carica di valenze polemiche), e alterna perciò prosa e versi di vario tipo, in un impasto linguistico e stilistico che accosta i toni piani delle parti prosastiche a quelli spesso parodicamente solenni delle parti metriche, con beffarde incursioni nel lessico volgare.
Sotto il nome di Seneca sono state trasmesse anche alcune decine di [[epigrammi]] in distici, quasi certamente spuri.
 
==Gli= epigrammiOpere perdute ===
{{F|filosofi latini|arg2=drammaturghi|maggio 2016}}
Sotto il nome di Seneca, sono state trasmesse anche alcune decine di epigrammi in distici, quasi certamente spuri.
Numerose sono le opere perdute: orazioni (restano 12 tra testimonianze e frammenti); ''De situ et sacris Aegyptiorum'', ''De situ Indiae'' (scritti tra il 17 e il 19); ''De matrimonio'' (composto nel 39); ''De motu terrarum'' e ''De forma mundi'' (iniziati in esilio); ''De officiis'' (del 60); ''De amicitia'', ''De immatura morte'', ''De superstitione'', ''Exhortationes'' (anni 62-64); ''Moralis philosophiae libri'', cui accenna più volte egli stesso, composte nell'ultimo semestre di vita.<ref>D. Vottero, in Seneca, ''La Clemenza, Apocolocyntosis, Epigrammi e Frammenti'', Torino, UTET, 2013, p. 670.</ref>
 
L'opera perduta che possiamo meglio ricostruire, in quanto ampiamente citata da san Girolamo,<ref>''Adversus Iovinianum'', I, 41-49.</ref> è il ''De matrimonio'', di posizione stoica non ortodossa, sulle nozze come fondate sulla comunanza di intenti più che sul piacere carnale.
==Opere perdute==
Numerose sono le opere perdute: una biografia del padre, numerose orazioni, trattati di carattere fisico, geografico, etnografico, opere filosofiche (fra cui i ''Moralis philosophiae libri'', cui accenna più volte egli stesso), altre opere sono di dubbia attribuzione o sicuramente spurie: fra queste il caso più noto è quello della corrispondenza fra Seneca e [[Paolo di Tarso|San Paolo]], leggenda che contribuì ad alimentare la fortuna di Seneca nel [[Medioevo]].
 
=== Opere pseudepigrafe ===
==Bibliografia==
{{vedi anche|Carteggio apocrifo di Seneca e Paolo}}
Per una guida esaustiva della bibliografia senecana, si rimanda semplicemente alla recente e ricca rassegna (6006 titoli) contenuta in
Altre opere sono di dubbia attribuzione o sicuramente spurie: fra queste il caso più noto è quello della corrispondenza fra Seneca e [[Paolo di Tarso]], leggenda che però contribuì ad alimentare la fortuna di Seneca nel [[Medioevo]]. Fu anche grazie a tale ''falso storico'' infatti che le altre opere di Seneca ci sono giunte in gran parte complete.
*''Bibliografia senecana del XX secolo'', a cura di Ermanno Malaspina, Bologna, Pàtron, 2005.
 
Sul finire del XX secolo la studiosa [[Ilaria Ramelli]] ha condotto un'attenta analisi delle lettere in questione e ha cercato di dimostrare che, a parte due su un totale di quattordici, le missive potrebbero essere autentiche.
 
===Edizioni===
* {{Cita libro|titolo=Naturales quaestiones|editore=eredi Aldo Manuzio (1.) & Andrea Torresano (1.)|città=Venezia|anno=1522|lingua=la|url=https://gutenberg.beic.it/webclient/DeliveryManager?pid=4698971}}
 
== Note ==
<references/>
 
== Bibliografia ==
Per una guida esaustiva della bibliografia senecana, si rimanda semplicemente alla ricca rassegna (6006 titoli) contenuta in
* ''Bibliografia senecana del XX secolo'', a cura di Ermanno Malaspina, Bologna, Pàtron, 2005.
 
Nell'apportare alcune modifiche si è consultato il testo:
* ''Litterarum voces'' a cura di Giuseppe Casillo e Raffaele Urraro, ed. Bulgarini, 2003.
* ''Il mondo latino 4'' a cura di Paolo di Sacco & Mauro Serio, Milano, ed. scolastiche Bruno Mondadori, 2001.
De Caria Francesco "Il problema della vecchiaia in Cicerone e in Seneca", Roma, Armando, 1975
* Antologia tematica da tutte le opere, ''La condizione umana; ''traduzione, saggio introduttivo e commento di [[Matteo Perrini]]; IPOC, Milano 2012
 
Per l'intera opera senecana:
* {{la}}''L. Annaei Senecae opera quae supersunt'', [[Friedrich Haase]] (a cura di), 3 voll., Lipsiae, in aedibus B. G. Teubneri: [https://archive.org/details/lannaeisenecaeo05senegoog vol. 1] (1898), [https://archive.org/details/lannaeisenecaeo01senegoog vol. 2] (1877), [https://archive.org/details/lannaeisenecaeo06senegoog vol. 3] (1878, vedi anche le edizioni del [https://archive.org/details/bub_gb_cS8TAAAAQAAJ 1853] e del [https://archive.org/details/lannaeisenecaeo00haasgoog 1886]).
* {{lingue|la|fr}}''L. Annaei Senecae pars tertia sive opera tragica'', J. Pierrot (a cura di), 3 voll., Parisiis, colliebat Nicolaus Eligius Lemaire, 1829-32: [https://archive.org/details/lannsenecparste02piergoog vol. 1], [https://archive.org/details/lannsenecparste01piergoog vol. 2], [https://archive.org/details/lannsenecparste00piergoog vol. 3].
 
=== Studi ===
* {{cita web|url=https://www.academia.edu/25584969/_Connections_between_Seneca_and_Platonism_in_Epistulae_ad_Lucilium_58_in_P._Hanna_An_anthology_of_philosophical_studies_volume_10_Athens_Institute_for_Education_and_Research_Athens_2016_pp._15-25|autore=Omar Di Paola|anno=2015|titolo=Connections between Seneca and Platonism in Epistulae ad Lucilium 58|altri= Athens: ATINER'S ConferencePaper Series, No: PHI2015-1445}}
* Inwood, B. (2008), ''Reading Seneca. Stoic Philosophy at Rome'', Oxford: Oxford University Press.
* Degand, M. (2015), ''Sénèque au risque du don. Une éthique oblative à la croisée des disciplines'', Turnhout: Brepols.
* Landeschi, D. (2019), ''Seneca. Un filosofo al potere'', Edizioni Saecula. ISBN 9788898291-70-0.
*A. F. Mele, ''Seneca, "filosofo di strada": luoghi, personaggi, messaggi,'' in ''Scienza, cultura, morale in Seneca'', Atti del Convegno di Monte S. Angelo (27-30 settembre 1999), Edipuglia, Bari 2001, pp.&nbsp;231–267
 
== Voci correlate ==
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* [[Dialoghi (Seneca)]]
* [[Edipo (Seneca)]]
* [[Martino di Bracara]]
* [[Medea (Seneca)]]
* [[Posizione politica di Seneca]]
* [[Carteggio apocrifo di Seneca e Paolo]]
 
== Altri progetti ==
==Collegamenti esterni==
{{interprogetto}}
|commons=Lucius Annaeus Seneca
|q=Lucio Anneo Seneca
|q_lingua=italiano
|q2=la:Lucius Annaeus Seneca
|q2_lingua=latino}}
 
* [http://www.forumromanum.org/literature/seneca_youngerx.html Opere in latino]
* Edizioni su Seneca del [[Progetto Gutenberg]], vedi: http://www.gutenberg.org/browse/authors/s#a1308
*[http://www.archive.org/details/MichelangeloChasseurLetragediediSeneca Saggio sulle tragedie di Seneca]
* [http://www.intratext.com/Catalogo/Autori/AUT343.HTM Opere Di Lucio Anneo Seneca], testi con concordanze, lista delle parole e lista di frequenza
 
== Collegamenti esterni ==
{{filosofia}}
* {{Collegamenti esterni}}
{{letteratura}}
* {{en}}[http://www.intratext.com/Catalogo/Autori/AUT343.HTM Opere Di Lucio Anneo Seneca]: testi con concordanze, lista delle parole e lista di frequenza.
* {{SEP|seneca|Seneca|Katja Voigt}}
* {{cita web|url=https://www.archive.org/details/MichelangeloChasseurLetragediediSeneca|titolo=Saggio sulle tragedie di Seneca}}
* {{cita web|url=http://www.senecana.it|titolo=Bibliografia senecana online}}
* [http://www.jpsychopathol.it/issues/2004/vol10-4/editoriale.htm R. Rossi: 'Seneca o Nerone? Philosophe, cura te ipsum], 2004
* {{la}}''Opera quae supersunt'', Fridericus Haase (a cura di), 3 voll., Lipsiae sumptibus et typis B. G. Teubneri, 1852-53: [https://archive.org/details/operaquaesupersu01seneuoft voll. 1-2], [https://archive.org/details/operaquaesupers03sene vol. 3].
 
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