Gaio Giulio Cesare: differenze tra le versioni

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{{nota disambigua}}
{{nota disambigua|descrizione=altri significati per il nome '''Giulio Cesare'''|titolo=[[Giulio Cesare]]}}
{{nota disambigua||Cesare (disambigua)|Cesare}}
{{nota disambigua||Giulio Cesare (disambigua)|Giulio Cesare}}
{{Magistrato romano
|nome = Gaio Giulio Cesare
|titolo = [[Dittatore (storia romana)|Dittatore]] della [[Repubblica romana]]
|immagine = Gaius Iulius Caesar (Vatican Museum).jpg
|legenda = Busto di Cesare appartenente alla collezione Chiaramonti, esposto nei [[Musei Vaticani]]
|altrititoli = ''[[Pater Patriae]]'', ''[[Imperator]]'', ''Dictator Perpetuus'', ''Divus Iulius'' (dopo la morte)
|nome completo = ''Gaius Iulius Caesar''
|data di nascita = 13 luglio [[101 a.C.]]<ref name="n_101" /> o 12 luglio [[100 a.C.]]<ref name="n_100" />
|luogo di nascita = [[Roma (città antica)|Roma]]
|data di morte = 15 marzo [[44 a.C.]]
|luogo di morte = [[Roma (città antica)|Roma]]
|sepoltura = [[Tempio del Divo Giulio]]
|figli = [[Giulia (figlia di Cesare)|Giulia]] (da [[Cornelia (moglie di Cesare)|Cornelia]]);<br />[[Tolomeo XV|Cesarione]] (da [[Cleopatra]]);<br />[[Augusto|Ottaviano]] (pronipote [[adozione nell'antica Roma|adottato]])
|Gens = [[Gens Iulia|''Iulia'']]
|padre = [[Gaio Giulio Cesare (padre di Cesare)|Gaio Giulio Cesare]]
|madre = [[Aurelia Cotta]]
|questura = [[69 a.C.]]
|edilità = [[65 a.C.]]
|pretura = [[62 a.C.]]
|propretura = [[61 a.C.]] - [[60 a.C.]] nella [[Spagna romana|Spagna ulteriore]]
|consolato = [[59 a.C.]]<br>[[48 a.C.]]<br>[[46 a.C.]]<br>[[45 a.C.]]<br>[[44 a.C.]]
|proconsolato = [[58 a.C.]] - [[50 a.C.]] nelle [[Gallia|Gallie]]
|dittatura = [[49 a.C.]] - [[44 a.C.]]
|pontificato massimo = [[63 a.C.]] - [[44 a.C.]]
|coniuge 1 = [[Cossuzia]] ([[86 a.C.|86]]-[[84 a.C.]])?<ref group="N">La storiografia al riguardo non ha del tutto chiarito se il legame tra Cossuzia e Cesare fosse il matrimonio o solamente una sorta di fidanzamento.</ref>
|coniuge 2 = [[Cornelia (moglie di Cesare)|Cornelia]] ([[83 a.C.|83]]-[[68 a.C.]])
|coniuge 3 = [[Pompea Silla]] ([[68 a.C.|68]]-[[62 a.C.]])
|coniuge 4 = [[Calpurnia]] ([[59 a.C.|59]]-[[44 a.C.]])
}}
{{Bio
|Nome = Gaio Giulio
|Cognome = Cesare
|PreData = {{latino|Gaius Iulius Caesar}}, <small> pronuncia restaurata o classica; [[Alfabeto fonetico internazionale|AFI]]</small>: {{IPA|[ˈɡäːjʊs ˈjuː.li.ʊs ˈkɐ̯ɛ̯.säːr]}};<ref group="N">Il ''praenomen'' "Gaio" è forma corretta rispetto al pur comune "Caio". La forma "Caio", infatti, si è diffusa a seguito di una errata interpretazione dell'abbreviazione epigrafica "C." (cfr., tra gli altri, Conte, Pianezzola, Ranucci, ''Dizionario della lingua latina'', ''sub voce'' Gaius: «il fraintendimento dell'abbr., in cui la G si scriveva, per conservazione di grafia arcaica, C., ha generato la forma "Caio"»).</ref><ref>{{Treccani|gaio-giulio-cesare|Césare, Gaio Giulio|accesso=27 ottobre 2017}}</ref> nelle epigrafi <small>C·IVLIVS·C·F·CAESAR</small> e <small>DIVVS IVLIVS</small>;<ref name="Testo epigrafe2">Dal [[42 a.C.]], anno in cui il ''dictator'' defunto fu [[Apoteosi|divinizzato]] come ''Divus Iulius''.</ref> {{lang-grc|Γάϊος Ἰούλιος Καῖσαρ|Gáïos Iúlios Kaîsar|}}
|Sesso = M
|LuogoNascita = Roma
|LuogoNascitaLink = Roma (città antica)
|GiornoMeseNascita = 13 luglio
|AnnoNascita = 101 a.C.
|NoteNascita = <ref name="n_101" /> o [[12 luglio]] [[100 a.C.]]<ref name="n_100" />
|LuogoMorte = Roma
|LuogoMorteLink = Roma (città antica)
|GiornoMeseMorte = 15 marzo
|AnnoMorte = 44 a.C.
|Epoca = I a.C.
|Attività = politico
|Attività2 = militare
|Attività3 = scrittore
|AttivitàAltre = e [[Oratoria|oratore]]
|Nazionalità = romano
|PostNazionalità = , considerato una delle figure più importanti e influenti della [[storia]]<ref>{{cita|Brizzi 1997|pp. 416-417}}; {{cita|Carcopino 1981|pp. 601-609}}; [[Napoleone III]], ''Histoire de Jules César'', Paris, 1865-1866, vol. I, p. V.</ref>
}}
 
Ebbe un ruolo fondamentale nella transizione del sistema di governo dalla forma [[Repubblica romana|repubblicana]] a quella [[Impero romano|imperiale]]. Fu ''dictator'' di Roma alla fine del [[49 a.C.]], nel [[47 a.C.]], nel [[46 a.C.]] con carica decennale e dal [[44 a.C.]] come dittatore perpetuo, e per questo ritenuto da [[Gaio Svetonio Tranquillo]] il primo dei ''[[Vite dei Cesari|dodici Cesari]]'', in seguito sinonimo di [[imperatore romano]].<ref>{{cita|Svetonio|''Vite dei dodici Cesari'', ''Cesare''}}.</ref> Con la [[conquista della Gallia]] estese il dominio della ''Res Publica Romana'' fino al [[Mare del Nord]] e al [[Reno]] e portò gli [[Esercito romano|eserciti romani]] a invadere per la prima volta la [[Britannia (provincia romana)|Britannia]] e la [[Germania (provincia romana)|Germania]], nonché a combattere in [[Spagna romana|Spagna]], [[Grecia romana|Grecia]], [[Egitto (provincia romana)|Egitto]], [[Ponto]] (attuale Anatolia nord-orientale) e [[Africa (provincia romana)|Africa]].
[[Image:Hw-caesar.jpg|thumb|right|155px|Gaio Giulio Cesare]]
 
'''Gaio Giulio Cesare''' (Latino:Gaius Julius Caesar,IPA: 'gai.us 'jul.ius 'kai.sar;[1]), ([[12 luglio]], [[100 a.C.]] - [[15 marzo]], [[44 a.C.]]) [[Generale (storia romana)|generale]] e uomo politico romano. Le sue conquiste militari in [[Gallia Transalpina]] estesero l'[[Impero Romano]] fino all'[[Oceano Atlantico]] e al [[Reno]]. La spartizione di potere con [[Gneo Pompeo Magno]] e [[Marco Licinio Crasso]] in quello che è noto come [[Primo Triumvirato]] (si veda appresso) diede il colpo di grazia all'agonizzante [[Repubblica Romana]]. Alla morte di Crasso ([[Battaglia di Carre|Carre]] [[53 a.C.]]) Cesare si scontrerà con Pompeo e la fazione degli Optimates per il controllo dello stato; sconfisse Pompeo a [[battaglia di Farsalo|Farsalo]] ([[48 a.C.]]) e altri Optimates, tra cui Catone l'Uticense, in Africa e in Spagna. Divenuto [[dittatore romano|dittatore]] a vita iniziò molte riforme nella società e nel governo di Roma, lavoro interrotto prematuramente dal suo assassinio. Molte di quelle riforme furono successivamente realizzate da [[Augusto (imperatore romano)|Augusto]]. Le azioni militari di Cesare ci sono note in dettaglio dai ''Commentarii'' scritti da lui.
Il [[primo triumvirato]], l'accordo privato per la spartizione del potere con [[Gneo Pompeo Magno]] e [[Marco Licinio Crasso|Marco Licinio Crasso Dive]], segnò l'inizio della sua ascesa. In base all'accordo, Cesare sarebbe stato eletto [[Console (storia romana)|console]] con l'appoggio politico di [[Gneo Pompeo Magno|Pompeo]] e finanziario di [[Marco Licinio Crasso|Crasso]]; in cambio, una volta [[Console (storia romana)|console]], avrebbe ratificato i provvedimenti presi in [[Oriente (regione geografica)|Oriente]] da [[Gneo Pompeo Magno|Pompeo]], avrebbe concesso le terre ai suoi veterani, e avrebbe avviato delle riforme a favore del [[Ordine equestre|ceto equestre]] per [[Marco Licinio Crasso|Crasso]]. Con il rinnovo del triumvirato, a [[Lucca]] nel [[56 a.C.]], fu riconfermato [[proconsole]] in [[Gallia Cisalpina]] (e [[Illyricum|Illirico settentrionale]]), [[Gallia Narbonense]] e [[Gallia Comata]]. Dopo la morte di Crasso, caduto contro i [[Impero partico|Parti]] ([[Battaglia di Carre|Carre]], [[53 a.C.]]), Cesare si scontrò con Pompeo e la fazione degli ''[[Ottimati|optimates]]'' per il controllo dello Stato. Nel [[49 a.C.]], di ritorno dalla Gallia, guidò le sue legioni attraverso il [[Rubicone]] (sulla cui linea, nell'81 a.C., [[Lucio Cornelio Silla|Lucio Cornelio Silla Fortunato]] aveva spostato il confine del [[pomerio]] della città) e scatenò una [[Guerra civile romana (49-45 a.C.)|guerra civile]] (pronunciando le celebri parole ''«[[Alea iacta est]]»''). Sconfisse Pompeo a [[battaglia di Farsalo|Farsalo]] ([[48 a.C.]]) e successivamente gli altri ''optimates'', tra cui [[Marco Porcio Catone Uticense|Marco Porcio Catone]] poi detto [[Utica (città antica)|Uticense]], divenendo padrone indiscusso di Roma.
 
Con l'assunzione della dittatura a vita diede inizio a un processo di radicale riforma della società e della politica romana, assicurandosi potere assoluto sulla Repubblica. Il suo operato provocò la reazione dei conservatori, finché un gruppo di senatori, capeggiati da [[Marco Giunio Bruto|Quinto Servilio Cepione Bruto]], [[Gaio Cassio Longino]] e [[Decimo Giunio Bruto Albino]], cospirò contro di lui, uccidendolo alle [[Cesaricidio|idi di marzo]] del [[44 a.C.]] (15 marzo 44). Nel [[42 a.C.]], appena due anni dopo il suo assassinio, il [[Senato romano|Senato]] lo [[Apoteosi|deificò]] ufficialmente, elevandolo a [[Religione romana|divinità]]. L'eredità riformatrice e storica di Cesare fu quindi raccolta da [[Augusto|Gaio Ottavio Turino]], suo pronipote e [[Adozione nell'antica Roma|figlio adottivo]]<ref>{{cita|Nardi 2009|pp. 59-60}}; {{cita|Southern 2001|pp. 22-44}}
{{Citazione|L'uomo che compì questa [[principato (storia romana)|grandiosa costruzione politico-costituzionale]], era [Ottaviano Augusto] il figlio (adottivo) di Cesare; si muoveva nel segno e nel solco di Cesare, ma con fredda tenacia, che Cesare non aveva.|{{cita|Mazzarino 1976|vol.1, p. 37}}.}}
{{Citazione|Però sussistono elementi cesariani che si continuano in Ottaviano Augusto […] Per non parlare del fatto, non certo trascurabile, che si era proclamato ''[[divi filius]]'' […], Ottaviano rivestiva la ''[[tribunicia potestas]]'', i cui elementi erano già, uno per uno, presenti nei poteri di Cesare, e assumeva, a suo tempo e in modo regolare, quel [[Pontefice massimo (storia romana)|pontificato massimo]] che era stato uno dei punti di forza di Cesare.|{{cita|Levi 1994|pp. 270-271}}.}}</ref> con il nome di Gaio Giulio Cesare Ottaviano.
 
Le campagne militari e le azioni politiche di Cesare sono da lui stesso dettagliatamente raccontate in terza persona nei ''[[Commentarii de bello Gallico]]'' e nei ''[[Commentarii de bello civili]]''. Numerose notizie sulla sua vita sono presenti negli scritti di [[Appiano di Alessandria]], il già citato [[Gaio Svetonio Tranquillo|Svetonio]], [[Plutarco|Lucio Mestrio Plutarco]], [[Cassio Dione|Lucio Cassio Dione Cocceiano]] e [[Strabone]]. Altre informazioni possono essere rintracciate nelle opere di autori suoi contemporanei, come nelle lettere e nelle orazioni del suo rivale politico [[Marco Tullio Cicerone]], nelle poesie di [[Gaio Valerio Catullo]] e negli scritti storici di [[Gaio Sallustio Crispo]].
 
==L'aspetto fisico==
[[File:Julius Caesar Coustou Louvre MR1798.jpg|thumb|Statua del ''dictator perpetuus'' realizzata nel 1696 dallo [[scultura|scultore]] [[Francia|francese]] [[Nicolas Coustou]], oggi esposta al [[Museo del Louvre]].]]
 
Una dettagliata descrizione dell'aspetto fisico di Cesare fu scritta all'interno del ''[[De vita Caesarum]]'':
{{citazione|Cesare era di alta statura e ben formato, aveva una carnagione chiara, il viso pieno e gli occhi neri e vispi. Godeva di florida salute, ma negli ultimi tempi era solito rimanere vittima di svenimenti e incubi notturni; nell'esercizio delle sue funzioni, fu anche colto due volte da un attacco di epilessia. Nella cura del corpo fu alquanto meticoloso al punto che non solo si tagliava i capelli e si radeva con diligenza, ma addirittura si depilava, cosa che alcuni gli rimproveravano. Sopportava malissimo il difetto della calvizie per la quale spesso fu offeso e deriso, e per questo si era abituato a tirare giù dalla cima del capo i pochi capelli. Tra tutti gli onori che il popolo e il senato gli decretarono, infatti, non ne ricevette o abusò mai nessuno più volentieri che il diritto di portare sempre una corona di alloro. Dicono che fosse ricercato anche nel vestire: usava infatti un laticlavio frangiato fino alle mani e si cingeva sempre al di sopra di esso con una cintura assai lenta. [...] Molti lo descrissero come estremamente desideroso di lusso ed eleganza.|[[Gaio Svetonio Tranquillo|Svetonio]], ''Cesare'', 45-46}}
 
== Fonti e storiografia ==
{{Vedi anche|Fonti e storiografia su Giulio Cesare}}
 
Le principali fonti per la vita e il ruolo di Gaio Giulio Cesare sono rappresentate dalle biografie:
* [[Gaio Svetonio Tranquillo|Svetonio]] (''[[Vite dei Cesari|Vite dei dodici Cesari]]''),
* [[Plutarco]] (''[[Vite parallele]]''),
* [[Appiano di Alessandria|Appiano]] (''[[Storia romana (Appiano)|Historia Romana]]''),
* [[Cassio Dione]] (''[[Storia romana (Cassio Dione)|Historia Romana]]''),
* [[Velleio Patercolo]] (''[[Historiae Romanae ad M. Vinicium consulem libri duo]]'').
È nominato in:
* [[Marco Tullio Cicerone|Cicerone]] (''[[Filippiche (Cicerone)|Orationes Philippicae]]'', ''[[Catilinarie|Orationes in Catilinam]]'', ''[[Epistulae ad Atticum]]'', ''Orationes: [[pro Marcello]], [[Pro Quinto Ligario|pro Ligario]], [[Pro rege Deiotaro|pro Deiotaro]]'', ''[[De provinciis consularibus]]''),
* [[Gaio Valerio Catullo|Catullo]] ([[Liber (Catullo)|''Liber'']])
* [[Marco Anneo Lucano]] (''[[Pharsalia]]'')
 
Cesare stesso poi scrisse due opere storiografiche sulle proprie imprese, narrando di sé in terza persona: il ''[[Commentarii de bello Gallico|Commentarii de bello gallico]]'' e il ''[[Commentarii de bello civili]]''.
 
== Biografia ==
=== Origini familiari ===
Giulio Cesare nacque a [[Roma]] da un'antichissima e nota famiglia [[patrizio|patrizia]], la [[Gens Giulia |Gens Julia o Iulia]] ( che si diceva discendente da [[Iulo]] più noto come ''Ascanio'', figlio del principe [[Ilio|troiano]] [[Enea]], che secondo il mito era figlio di [[Venere (divinità)|Venere]]). Al culmine del suo potere, nel [[45 a.C.]] Cesare, per sottolineare il suo legame con la dea, dedicò a Venere Genitrice il tempio che sorgeva nel nuovo [[Foro di Cesare]].
{{Coin image box 1 double
| header = Cesare: [[denario]]<ref>Crawford 443/1; CRI 9; Sydenham 1006; RSC 49.</ref>
| hbkg = #abcdef
| image = File:CaesarElephant.jpg
| caption_left = CAESAR, un elefante (simbolo di Cesare) avanza verso destra e calpesta un serpente
| caption_right = Sono rappresentati alcuni oggetti come un ''simpulum'' (attingitoio), un ''aspergillum'' (rametto di alloro o ulivo), una ''securis'' (scure) e un ''apex'' (copricapo)
| width = 250
| footer = Argento, 17 mm, 4,01 g; coniato nel [[49 a.C.|49]]-[[48 a.C.]]
| position = left
| margin = 0
| background =
}}
 
Cesare nacque il 13 luglio del [[101 a.C.|101]]<ref name="n_101">[[Jérôme Carcopino]], ''Profils de conquérants'', pp. 241-284.</ref> o il 12 luglio del [[100 a.C.]]<ref name="n_100">{{cita|Canfora 1999|p. 449}}.</ref> nella [[Suburra]], un quartiere di [[Roma]], da un'antica e nota [[gens|famiglia]] [[patrizio (storia romana)|patrizia]], la [[Gens Iulia|''gens'' Iulia]], che, secondo il mito, annoverava tra gli antenati anche il primo e grande re romano, [[Romolo]], e discendeva da [[Iulo]] (o ''Ascanio''), figlio del principe [[troia]]no [[Enea]], figlio a sua volta della dea [[Venere (divinità)|Venere]].<ref>[[Velleio Patercolo]], ''Storia Romana'', II 41,2;<br />[[Plutarco]], ''Cesare'', 69,1;<br />{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 88}};<br />[[Cassio Dione]], ''Storia Romana'', XLVII, 18,6;<br />[[Appiano di Alessandria|Appiano]], ''Le guerre civili'', II,106,149.</ref><ref>Nel [[46 a.C.]], al culmine del suo potere, Cesare per sottolineare la sua discendenza dalla dea dedicò, infatti, a Venere Genitrice un tempio nel nuovo [[Foro di Cesare|Foro]] da lui fatto restaurare.</ref>
 
Il ramo della ''gens'' Iulia che portava il ''[[cognomen]]'' "Caesar" discendeva, secondo il racconto di [[Plinio il Vecchio]], da un uomo venuto alla luce in seguito a un [[taglio cesareo|parto cesareo]] (dal verbo [[Lingua latina|latino]] 'tagliare', ''caedo, -ĕre, caesus sum'', pron. {{IPA|'kae-do, 'kae-sus sum}}).<ref>[[Plinio il Vecchio]], ''Historia naturalis'', VII {{citazione|I bambini le cui madri morivano dando loro la luce nascevano con i migliori auspici: è così che nacquero Scipione l'Africano Maggiore e il primo dei Cesari, che prese questo nome per l'operazione di parto cesareo a cui fu sottoposta a madre.}}</ref> La [[Historia Augusta|Storia Augusta]]<ref>''Historia Augusta'', ''Aelius'', II,3.</ref> suggerisce invece altre tre possibili spiegazioni sull'origine del nome: che il primo Cesare avesse ucciso un elefante (''caesai'' in [[Berberi|berbero]]) in battaglia durante la [[prima guerra punica]],<ref>Quest'ipotesi sarebbe avvalorata dalla scoperta di alcune monete emesse da Cesare all'inizio della guerra civile, che rappresentano un elefante che calpesta un serpente. Il primo dei Cesari di cui si hanno notizie certe è, però, [[Sesto Giulio Cesare (pretore 208 a.C.)|Sesto Giulio Cesare]], che fu [[pretore (storia romana)|pretore]] nel [[208 a.C.]], e che quindi non aveva potuto partecipare alla prima guerra punica.</ref> che fosse nato con una folta capigliatura (dal latino ''caesaries''), oppure con occhi di colore celeste particolarmente vivo (dal latino ''oculis caesiis'').
 
{{citazione|Le congetture cui ha dato luogo il nome di Cesare, l'unico di cui il principe del quale racconto la vita si sia mai fregiato, mi sembrano degne di essere riferite. Secondo l'opinione dei più dotti e informati, la parola deriva dal fatto che il primo dei Cesari fu chiamato così per aver ucciso in combattimento un elefante, animale chiamato ''kaesa'' dai Mauri; altra opinione è che il termine derivi dal fatto che, per darlo a luce, fu necessario sottoporre la madre, che era morta prima di partorire, a un'operazione di parto cesareo. Si crede anche che la parola possa derivare dal fatto che il primo dei Cesari nacque con i capelli lunghi o dal fatto che aveva degli occhi celesti incredibilmente vispi. Bisogna comunque considerare felice la circostanza, quale che fu, che diede origine a un nome tanto famoso, che durerà in eterno.|[[Elio Sparziano]], ''[[Historia Augusta]]'', II,3}}
 
Nonostante le origini aristocratiche, la famiglia di Cesare non era ricca per gli standard della nobiltà romana, né particolarmente influente. Ciò rappresentò inizialmente un grande ostacolo alla sua carriera politica e militare, e Cesare dovette contrarre ingenti debiti per ottenere le sue prime cariche politiche. Inoltre, negli anni della giovinezza dello stesso Cesare, lo zio [[Gaio Mario]] si era attirato le antipatie della ''[[nobilitas]]'' repubblicana (anche se successivamente Cesare riuscì a riabilitarne il nome) e questo metteva anche lo stesso Cesare in cattiva luce agli occhi degli ''[[optimates]]''.
 
Il padre, [[Gaio Giulio Cesare (padre di Cesare)|suo omonimo]], era stato [[pretore (storia romana)|pretore]] nel [[92 a.C.]] e aveva probabilmente un fratello, [[Sesto Giulio Cesare (console 91 a.C.)|Sesto Giulio Cesare]], che era stato console nel [[91 a.C.]], e una sorella, [[Giulia (moglie di Mario)|Giulia]], che aveva sposato [[Gaio Mario]] intorno al [[110 a.C.]] La madre era [[Aurelia Cotta]], proveniente da una [[Gens Aurelia|famiglia]] che aveva dato a Roma numerosi [[Console (storia romana)|consoli]]. Il futuro dittatore ebbe due sorelle, entrambe di nome Giulia: [[Giulia maggiore (sorella di Cesare)|Giulia maggiore]], probabilmente madre di due dei nipoti di Cesare, [[Lucio Pinario]] e [[Quinto Pedio]], menzionati insieme a Ottaviano nel suo testamento,<ref>{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 83}} ("''tres instituit heredes sororum nepotes, Gaium Octauium ex dodrante, et Lucium Pinarium et Quintum Pedium ex quadrante reliquo[s]''"). Friedrich Münzer, "Aus dem Verwandtenkreise Caesars und Octavians", in ''Hermes'', 71, 1936, pp. 222–230: in particolare alle pp. 227–230 si sostiene che essendo stato il figlio di Quinto Pedio questore nel [[41 a.C.]] (nato quindi 20/25 anni prima), il padre non poteva essere un pronipote di Cesare.</ref> e [[Giulia minore (sorella di Cesare)|Giulia minore]], sposata con [[Marco Azio Balbo]], madre di [[Azia minore]] e di [[Azia maggiore]], a sua volta madre di [[Augusto|Ottaviano]].
 
La famiglia diviveva in una modesta casa della popolare e malfamata Suburra, dove il giovane Giulio Cesare nonfu eraeducato riccada [[Marco Antonio Gnifone]], secondoun gliillustre standardgrammatico nativo della [[nobiltà romanaGallia]]. (eranoCesare nobilitrascorse decaduti),il esuo questoperiodo avrebbedi potutoformazione rappresentarein un'epoca seriotormentata ostacoloda allagravi carrieradisordini. di[[Mitridate GiulioVI]], Cesarere del [[Ponto]], cheminacciava contrassele enormiprovince debitiorientali; percontemporaneamente, ottenereera lein suecorso primein caricheItalia politiche;la inoltre[[guerra neglisociale]] annie dellala giovinezzacittà di Cesare,Roma suoera ziodivisa in due fazioni contrapposte: gli ''[[Gaio MarioOttimati|optimates]]'', erafavorevoli statoal dichiaratopotere nemicoaristocratico, dellae Repubblica,i anche''[[populares]]'' seo successivamentedemocratici, Cesareche riuscìsostenevano ala riabilitarnepossibilità ildi nomerivolgersi direttamente all'elettorato. Pur essendose di originenobili nobileorigini, fin dall'inizio della sua brillantissima carriera politica Cesare si schierò dalla parte dei ''populares'', o democratici; questa sua scelta fu sicuramente condizionata dalladalle parentelaconvinzioni condello zio Gaio Mario, suo zio. Questi, infatti, era stato ai tempi della guerra civile il capo deldei partito''populares'' democratico,e avversatorivale dadi [[Lucio Cornelio Silla]], il quale invece era sostenuto da aristocrazia e Senato.<ref>{{cita|Canfora 1999|cap. III, ''Ascesa di un capoparte''}}.</ref>
 
=== La gioventù ===
[[File:Marius Chiaramonti Inv1488.jpg|thumb|upright=0.8|Busto di [[Gaio Mario]] in età avanzata ([[Museo Chiaramonti]]), zio di Cesare]]
Nell' [[86 a.C.]] morì il padre e nell' [[84 a.C.]] Cesare ripudiò la moglie Cossuzia per poter sposare nello stesso anno Cornelia, figlia di [[Lucio Cornelio Cinna]]. Il nuovo legame con una famiglia notoriamente schierata con i popolari , oltre che la sua parentela con [[Gaio Mario]], erano causa di gravi problemi per il giovane Cesare negli anni della dittatura di [[Lucio Cornelio Silla]] che cercava in tutti i modi di ostacolare le ambizioni del giovane Cesare bloccandone l'entrata in carica come ''[[flamen dialis]]''; la situazione si aggravò quando il dittatore nell' [[82 a.C.]] gli ordinò di divorziare da Cornelia perché questa non era patrizia; Cesare rifiutò e, temendo che Silla desse l'ordine di ucciderlo, come pare avesse effettivamente fatto, lasciò Roma, prima girando nella [[Sabina]], poi, raggiunta la giusta età, partendo per il servizio militare in [[Asia]] come [[legato]] di [[Marco Minucio Termo]].
 
Nell'[[86 a.C.]] lo zio [[Gaio Mario]] morì, e nell'[[85 a.C.]], quando Cesare aveva solo quindici anni, morì il padre [[Gaio Giulio Cesare il Vecchio]].<ref>{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 1}}.</ref> L'anno seguente Cesare ripudiò la sua promessa sposa [[Cossuzia]] per sposare [[Cornelia (moglie di Cesare)|Cornelia minore]], figlia di [[Lucio Cornelio Cinna (console 87 a.C.)|Lucio Cornelio Cinna]], alleato di Gaio Mario nella guerra civile.<ref>[[Plutarco]], ''Cesare'', I, 1.</ref> Il nuovo legame con una famiglia notoriamente schierata con i popolari, oltre alla parentela con Mario, causarono problemi non indifferenti al giovane Cesare negli anni della dittatura di [[Lucio Cornelio Silla|Silla]]. Questi cercò di ostacolarne in tutti i modi le ambizioni, bloccando la sua nomina a ''[[Flamine diale|Flamen Dialis]]''; la situazione poi si aggravò quando il [[dittatore romano|dittatore]], avuta la meglio su Mitridate VI, nell'82 a.C. rientrò in Italia, sconfisse i seguaci di Mario nella [[battaglia di Porta Collina]], si autoproclamò ''dittatore perpetuo per la riforma delle leggi e la restaurazione della repubblica'' e cominciò a eliminare i suoi avversari politici; ordinò a Cesare di [[Divorzio romano|divorziare]] da Cornelia poiché non era patrizia, ma Cesare rifiutò. Silla meditò allora di farlo uccidere,<ref>[[Plutarco]], ''Cesare'', I, 4.</ref> ma dovette poi desistere dopo i numerosi appelli rivoltigli dalle [[Vestale|Vestali]] e da [[Gaio Aurelio Cotta]]. In quell'occasione esclamò:
Fu Minucio ad ordinare al giovane legato di recarsi presso la corte di [[Nicomede]], sovrano del piccolo stato della [[Bitinia]]. Di questa missione si parlò a lungo a Roma, dove si diceva che Cesare avesse avuto una relazione con il sovrano, e anche molto tempo dopo, i suoi soldati celebrando il trionfo della spedizione gallica cantavano "Cesare sottomise la Gallia, Nicomede sottomise Cesare". Come legato di Minucio durante l'assedio di [[Mitilene]] Cesare partecipò per la prima volta ad uno scontro armato, distinguendosi per il suo coraggio tanto che gli fu assegnata la corona civica.
{{citazione|Abbiatela pure vinta, e tenetevelo pure! Un giorno vi accorgerete che colui che volete salvo a tutti i costi sarà fatale alla fazione degli Ottimati, che pure tutti insieme abbiamo difeso. In Cesare ci sono, infatti, molti Gaio Mario!|{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 1}}|Vincerent ac sibi haberent, dum modo scirent eum, quem incolumem tanto opere cuperent, quandoque optimatium partibus, quas secum simul defendissent, exitio futurum; nam Caesari multos Marios inesse!|lingua=la}}
Cesare, temendo per la sua vita, lasciò comunque Roma, prima ritirandosi in [[Sabina]] (dove fu costretto a cambiare alloggio ogni giorno)<ref>[[Plutarco]], ''Cesare'', 1,6.</ref> e poi, raggiunta la giusta età, partendo per il servizio militare in [[Asia (provincia romana)|Asia]], come [[legatus|legato]] del [[pretore (storia romana)|pretore]] [[Marco Minucio Termo]].<ref>{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 2}}; {{cita|Canfora 1999|p. 4}}.</ref> Fu Minucio a ordinare al giovane legato di recarsi presso la corte di [[Nicomede IV]], sovrano del piccolo Stato della [[Bitinia]]. Di questa missione si parlò a lungo a Roma, ove si diffuse la voce che Cesare aveva avuto una relazione amorosa con il sovrano, più vecchio di lui di oltre 30 anni, come testimoniano i canti intonati dai legionari dello stesso Cesare oltre trentacinque anni dopo.<ref>{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 49}}.</ref> In ogni modo, come legato di Minucio durante l'[[assedio di Mitilene]], Cesare partecipò per la prima volta a uno scontro armato, distinguendosi per il suo coraggio, tanto che gli fu conferita la [[corona civica]], che veniva concessa a chi, in combattimento, avesse salvato la vita a un cittadino.<ref>{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 2}}.</ref> In seguito alle riforme promulgate da Silla, a chi fosse stata conferita una corona militare sarebbe stato garantito l'accesso al Senato.
 
Rientrato a Roma Minucio, Cesare rimase comunque in [[Asia MinoreCilicia]], partecipando a vario titolo, in virtù del fatto di essere uncome patrizio romano, a diverse operazioni militari romane che si svolgevanosvolsero in quella zona, come quellal'[[Guerra piratica di Pompeo|azione contro i pirati]] (che proprio in Cilicia avevano il loro punto di forza) sotto il comando di [[Publio Servilio Vatia Isaurico (console 79 a.C.)|Publio Servilio Vatia]]. In quanto di famiglia patrizia, lì fu associato con alcuni incarichi a vari comandanti romani.<ref>{{cita|Canfora 1999|p. 5}}.</ref>
 
===Prime Il ritorno a Roma e le prime esperienze politiche (78-69 a.C.) ===
[[File:Sulla Glyptothek Munich 309 white bkg.jpg|thumb|left|upright=0.8|Busto di [[Lucio Cornelio Silla]]]]
Rientrò a Roma solo quando ebbe notizia della morte di Silla ([[78 a.C.]]), e cominciò la sua carriera forense come pubblico accusatore e quella politica come esponente dei popolari (facilitato in ciò dall'essere nipote di Gaio Mario), nemico dichiarato degli ottimati.
 
Dopo due anni di potere assoluto, Silla si dimise dalla carica di dittatore, ristabilendo il normale governo consolare. Cesare rientrò a Roma solo quando ebbe notizia della morte di Silla ([[78 a.C.]]),<ref>[[Plutarco]], ''Cesare'', 4,1<br />{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 3}}.</ref> e il suo ritorno coincise con il tentativo di ribellione anti-sillana capeggiato da [[Marco Emilio Lepido (console 78 a.C.)|Marco Emilio Lepido]] e bloccato da [[Gneo Pompeo Magno|Gneo Pompeo]]. Cesare, non fidandosi delle capacità di Lepido, che pure lo aveva contattato,<ref>{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 3}}.</ref> non partecipò alla ribellione, e cominciò invece a dedicarsi alla carriera forense come pubblico accusatore e a quella politica come esponente dei popolari e nemico dichiarato degli ottimati. In questa fase, benché ancora giovanissimo, egli dimostrò già una grandissima intelligenza politica, evitando di rimanere implicato in un'insurrezione male organizzata e destinata a naufragare nell'insuccesso.<ref>{{cita|Canfora 1999|p. 6}}.</ref>
Cesare sostenne l'accusa contro [[Gneo Cornelio Dolabella]] per concussione e contro [[Gaio Antonio Ibrida]] per estorsione nei confronti dei Greci; entrambi gli accusati erano membri influenti del partito degli ottimati e in entrambi i casi, anche se l'accusa fu portata con dovizia, perse; Cesare in questo modo si accreditò come importante rappresentante tra i popolari, anche se l'esito per lui negativo dei processi lo convinse a lasciare Roma una seconda volta.
 
Cesare, che non si era apertamente schierato contro la politica sillana, evitando di partecipare all'insurrezione di Lepido, decise di sostenere l'accusa di [[concussione]] contro [[Gneo Cornelio Dolabella (console 81 a.C.)|Gneo Cornelio Dolabella]], per atti durante il suo mandato di governatore in [[Macedonia (provincia romana)|Macedonia]] e quella di estorsione contro [[Gaio Antonio Ibrida]].<ref>[[Velleio Patercolo]], ''Storia Romana'', II,43,3.</ref><ref name="Canfora7-8">{{cita|Canfora 1999|pp. 7-8}}.</ref> Entrambi gli accusati erano membri influenti del partito degli ottimati e in entrambi i casi, anche se l'accusa fu pronunciata con perizia, perse le cause: Dolabella, che probabilmente si era macchiato anche di vari crimini durante le [[proscrizione|proscrizioni sillane]], fu assolto dall'accusa di concussione grazie all'abilità oratoria dei suoi avvocati [[Lucio Aurelio Cotta]] e [[Quinto Ortensio Ortalo]].<ref>[[Valerio Massimo]], ''Factorum et dictorum memorabilium libri'', VIII,9,3.</ref> Il discorso di Cesare, che non si è conservato, dovette però essere di ottima fattura, come testimonia il fatto che fosse ancora oggetto di studio nel II secolo.<ref>[[Aulo Gellio]], ''Noctes Atticae'', IV,16,8.</ref> Anche nel processo ad Antonio Ibrida, Cesare pronunciò un discorso particolarmente efficace, tanto da costringere lo stesso Ibrida, per ottenere l'assoluzione, ad appellarsi ai [[Tribuno della plebe|tribuni della plebe]] tramite ''[[provocatio ad populum]]'', sostenendo che non gli erano garantite delle eque condizioni processualistiche.<ref>[[Plutarco]], ''Cesare'', 4,1-3.</ref> Benché l'esito del processo non compaia nell'opera di nessuno storico, è probabile che anche Ibrida riuscì a evitare la condanna.
Mentre si recava a [[Rodi]] per i suoi studi di [[filosofia]] fu rapito dai [[pirateria|pirati]]. Egli convinse i rapitori a chiedere un [[riscatto]] molto alto, aumentando così il suo prestigio in [[Roma]]. Dopo la sua liberazione organizzò una [[flotta]], catturò i pirati e li fece condannare a morte per [[crocifissione]].
Cesare, che sapeva fin dal principio che le sue azioni legali non avevano alcuna possibilità di riuscita, attraverso l'esordio nel mondo forense si accreditò come importante rappresentante della fazione dei ''populares'',<ref name="Canfora7-8"/> anche se l'esito negativo dei processi lo convinse a lasciare Roma una seconda volta per evitare le vendette della ''nobilitas'' sillana.<ref>{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 4.1}}.</ref>
 
Cesare decise allora, nel 74 a.C., di recarsi a [[Rodi]], vera e propria meta di pellegrinaggio per i giovani romani delle classi più alte, desiderosi di apprendere la cultura e la filosofia greca.<ref>{{cita|Canfora 1999|p. 8}}.</ref> Durante il viaggio fu però rapito dai [[pirateria|pirati]], che lo portarono sull'isola di [[Farmacussa]], una delle [[Sporadi meridionali]] a sud di [[Mileto (Asia Minore)|Mileto]].<ref>[[Velleio Patercolo]], ''Storia Romana'', II,42.</ref> Quando questi gli chiesero di pagare venti [[talento (peso)|talenti]], Cesare rispose che ne avrebbe consegnati cinquanta e mandò i suoi compagni a Mileto perché ottenessero la somma di denaro con cui pagare il riscatto, mentre lui sarebbe rimasto a Farmacussa con due schiavi e il medico personale.<ref>{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 4.1}}<br />[[Plutarco]], ''Cesare'', 2,1.</ref> Durante la permanenza sull'isola, che si protrasse per trentotto giorni,<ref>{{cita|Canfora 1999|p. 9}}.</ref> Cesare compose numerose poesie e le sottopose poi al giudizio dei suoi carcerieri; più in generale, mantenne un comportamento piuttosto particolare con i pirati, trattandoli sempre come se fosse lui ad avere in mano le loro vite e promettendo più volte che una volta tornato libero li avrebbe fatti uccidere tutti.<ref>[[Plutarco]], ''Cesare'', 2,4.</ref> Quando i suoi compagni ritornarono, portando con sé il denaro che le città avevano offerto loro per pagare il riscatto,<ref>[[Velleio Patercolo]], ''Storia Romana'', II,42,2<br />Polieno, VIII,23,1.</ref> Cesare si rifugiò nella [[Asia (provincia romana)|provincia d'Asia]], governata dal [[propretore]] [[Marco Iunco]].<ref>[[Velleio Patercolo]], ''Storia Romana'', II,42,3<br />[[Plutarco]], ''Cesare'', 2,6.</ref> Giunto a Mileto, Cesare armò delle navi e tornò in tutta fretta a Farmacussa, dove catturò senza difficoltà i pirati; poi si recò con i prigionieri al seguito in [[Bitinia]], dove Iunco stava sovrintendendo all'attuazione delle volontà espresse da Nicomede IV nel suo testamento. Qui chiese al propretore di provvedere alla punizione dei pirati, ma questi si rifiutò, tentando invece di impadronirsi del denaro sottratto ai pirati stessi,<ref>[[Plutarco]], ''Cesare'', 4,7.</ref> e decise poi di rivendere i prigionieri.<ref>[[Velleio Patercolo]], II,42,3.</ref> Cesare allora, prima che Iunco potesse mettere in atto i suoi progetti, si rimise in mare lasciando la Bitinia e procedette egli stesso all'esecuzione dei prigionieri: li fece crocifiggere dopo averli strangolati, in modo da evitare loro una lunga e atroce agonia.<ref>{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 74.1}}.</ref> In questo modo, secondo le fonti filocesariane, egli non fece altro che adempiere ciò che aveva promesso ai pirati durante la prigionia,<ref>[[Plutarco]], ''Cesare'', 2,7.</ref> e poté anzi restituire i soldi che i suoi compagni avevano dovuto richiedere per il riscatto.<ref>Polieno, VIII,23,1.</ref>
Dopo aver retto la carica di [[questore (storia romana)|questore]] in [[Iberia (storia romana)|Spagna]] ([[69 a.C.]]), Cesare fu eletto [[edile]] curule nel [[65 a.C.]], [[pontefice massimo (storia romana)|pontefice massimo]] nel [[63 a.C.]] e [[pretore (storia romana)|pretore]] nel [[62 a.C.]] Se è vero che fu implicato nella cospirazione di [[Catilina]], non ne rimase danneggiato.
 
Terminata la vicenda dei pirati, Cesare prese parte alla guerra contro [[Mitridate VI del Ponto]] ([[terza guerra mitridatica]]), combattendo nella provincia d'Asia e arruolando navi e milizie ausiliarie.<ref>{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 4.2}}.</ref> Nel [[73 a.C.]], mentre ancora si trovava in Asia, fu eletto nel collegio dei [[pontefice (storia romana)|pontefici]], per compensare il fatto che avesse perso la carica del flaminato per fuggire da Silla.<ref>[[Velleio Patercolo]], II,43,1.</ref>
Cesare era stato anche al servizio del [[Generale (storia romana)|generale]] [[Gneo Pompeo Magno|Pompeo]], con il quale avrebbe più tardi diviso il potere. Dopo la morte della moglie Cornelia [[68 a.C.]], sposò Pompea, nipote di [[Lucio Cornelio Silla|Silla]], solo per divorziare da lei nel [[62 a.C.]] dopo uno scandalo. Nel [[61 a.C.]] Cesare fu [[proconsole|governatore]] della [[provincia romana|provincia]] della [[Spagna ulteriore]], e nel [[60 a.C.]] fu eletto [[console (storia romana)|console]].
 
Tornato a Roma,<ref>[[Velleio Patercolo]], II,43,2.</ref> fu eletto [[tribuno militare]] alle elezioni del [[72 a.C.]] per l'anno seguente,<ref>{{cita|Canfora 1999|p. 15}}.</ref> risultando addirittura il primo degli eletti.<ref>[[Plutarco]], ''Cesare'', 5,1.</ref> Si impegnò dunque nelle battaglie politiche sostenute dai ''populares'', ovvero l'approvazione della ''Lex Plautia'' (che avrebbe permesso il rientro in patria di coloro che erano stati esiliati dopo aver partecipato all'insurrezione di Lepido)<ref>{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 5}}<br />[[Cassio Dione]], ''Storia Romana'', XLIV,47,4.</ref> e il ripristino dei poteri dei tribuni della plebe, il cui diritto di [[veto]] era stato notevolmente ridimensionato da Silla, per evitare colpi di mano da parte dei ''populares''. Il ripristino della ''[[tribunicia potestas]]'' fu però ottenuto soltanto nel [[70 a.C.]], l'anno del consolato di [[Gneo Pompeo Magno]] e [[Marco Licinio Crasso]]. Entrambi avevano acquisito un grande prestigio portando a termine, rispettivamente, la [[guerra sertoriana]] contro [[Quinto Sertorio]] in Spagna e la [[terza guerra servile]] contro gli schiavi guidati da [[Spartaco]]. Crasso in particolare era in stretti rapporti con Cesare<ref>[[Plutarco]], ''Crasso'', 7,5.</ref> (lo aiutò infatti più volte finanziandone le campagne elettorali) ma, per quanto incredibilmente ricco grazie alle proscrizioni sillane, dovette far appoggio durante la sua campagna elettorale sul carisma del nascente ''leader'' popolare.
=== ''[[Cursus honorum]]'' ===
Nel [[59 a.C.]], l'anno del suo [[console (storia romana)|consolato]], Cesare formò una alleanza strategica con due altri capi politici, [[Marco Licinio Crasso|Crasso]] e [[Gneo Pompeo Magno|Pompeo]]. Crasso era l'uomo più ricco di Roma; Pompeo era il [[Generale (storia romana)|generale]] con più successi. Cesare portò nella alleanza la sua popolarità politica e la sua guida. Pompeo sposò Giulia, la figlia di Cesare. Questa alleanza non ufficiale dagli storici fu chiamata Primo Triumvirato.
 
=== Ascesa politica: dalla questura al consolato (69-59 a.C.) ===
===Guerra in Gallia===
==== Dalla questura al pontificato (69-63 a.C.) ====
[[File:Julius Caesar.jpg|thumb|upright=0.8|Un giovane Cesare (busto ritrovato a [[Pantelleria]]), il cui mito era [[Alessandro Magno]]]]
 
Cesare fu eletto [[questore (storia romana)|questore]] per il [[69 a.C.]]<ref>{{cita|Canfora 1999|p. 17}}.</ref> Dopo il consolato di Pompeo e Crasso, il clima politico romano si stava avviando al cambiamento, grazie al quasi totale smantellamento della costituzione sillana che i due consoli avevano operato. Nel [[69 a.C.]] Cesare pronunciò dai Rostri del Foro,<ref>I Rostri erano la tribuna degli oratori, e prendevano il loro nome dai trofei navali, costituiti dai [[Rostro (arma)|rostri]] delle navi nemiche, con cui erano ornati.</ref> secondo l'antico costume,<ref>{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 6.1}}.</ref> gli elogi funebri per la zia Giulia, vedova di [[Gaio Mario]], e per la moglie Cornelia, figlia di [[Lucio Cornelio Cinna (console 87 a.C.)|Lucio Cornelio Cinna]]. Nel farlo, mostrò per la prima volta in pubblico dal periodo sillano le immagini di Gaio Mario e del figlio [[Gaio Mario il giovane]],<ref>[[Plutarco]], ''Cesare'', 5,2.</ref> e il popolo le accolse plaudente.<ref>[[Plutarco]], ''Cesare'', 5,3.</ref> Nell'elogio per Giulia,<ref>{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 6}}.</ref> Cesare esaltava la discendenza della zia per parte di madre da [[Anco Marzio]], evidenziando come negli esponenti della ''gens'' Iulia scorresse ora anche il sangue regale accanto a quello divino.
Nel [[59 a.C.]] fu anche [[proconsole|governatore]] della [[Gallia Narbonese]], della [[Gallia Cisalpina]] e dell' [[Illiria]]. Come Proconsole in Gallia ([[58 a.C.]] - [[49 a.C.]]) ingaggiò la guerra contro vari popoli, sconfiggendo gli [[Elvezi]] nel [[58 a.C.]], i [[confederazione dei Belgi|Belgi]] ed i [[Nervii]] nel [[57 a.C.]] ed i [[Veneti (celti)|Veneti]] nel [[56 a.C.]] Nel [[55 a.C.]] tentò una invasione della [[Britannia]]. Nel [[52 a.C.]] sconfisse una coalizione di [[Galli]] guidati da [[Vercingetorige]]. Il Comandante gallico si trovava assediato ad [[Alesia]], capitale del suo popolo, mentre [[Gaio Giulio Cesare|Cesare]] lo attaccava cingendo la città di una robusta palizzata. Ma nel frattempo un immenso esercito gallico si era radunato e marciava su Alesia per rompere l'assedio e [[Gaio Giulio Cesare|Cesare]], avendolo saputo, eresse una seconda palizzata per coprirsi le spalle. I Galli attaccanti furono in questo modo duramente sconfitti e [[Gaio Giulio Cesare|Cesare]] assicuro' a Roma il dominio sulle Gallie.
{{citazione|Da parte di madre mia zia Giulia discende dai re; da parte di padre si ricollega con gli dei immortali. Infatti i Marzii Re, alla cui famiglia apparteneva sua madre, discendono da Anco Marzio, ma i Giuli discendono da Venere, e la mia famiglia è un ramo di quella gente. Confluiscono, quindi, nella nostra stirpe, il carattere sacro dei re, che hanno il potere supremo tra gli uomini, e la santità degli dei, da cui gli stessi re dipendono.|{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 6}}, traduzione di Felice Dessì}}
I suoi commentari di questa campagne sono raccolti nel ''[[De bello gallico]]'' (La guerra Gallica).
L'elogio di Cornelia parve invece piuttosto insolito, perché non era uso pronunciare discorsi in memoria di donne morte giovani,<ref>[[Plutarco]], ''Cesare'', 5,4.</ref> ma fu fortemente apprezzato dal popolo,<ref>[[Plutarco]], ''Cesare'', 5,5.</ref> in quanto celebrava una figura femminile ben lontana da quella della classica matrona romana.<ref>{{cita|Canfora 1999|p. 18}}.</ref>
 
Sempre nel corso del 69 a.C., Cesare si recò nella [[Spagna romana|Spagna ulteriore]], governata dal propretore Antistio Vetere. Lì si dedicò a un'intensa attività giudiziaria<ref name="Svetonio, Cesare, 7,1">{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 7.1}}.</ref> e grazie al suo grande impegno<ref>[[Velleio Patercolo]], ''Storia Romana'', II,43,4.</ref> poté anche accattivarsi le simpatie della popolazione, che liberò dai pesi fiscali che Metello aveva imposto.<ref>''Bellum Hispaniense'', 42,1.</ref>
===Guerra civile===
 
Prima della fine dell'anno, Cesare tornò a Roma, a seguito di due episodi probabilmente leggendari ma particolarmente significativi: durante la notte sognò di avere un rapporto incestuoso con la madre.<ref>[[Artemidoro di Daldi|Artemidoro]], ''Onirocritica'', I,79<br />[[Cassio Dione]], ''Storia Romana'', XXXVII,52,2<br />{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 7}}.</ref> Il sogno indicava infatti la necessità di ritornare in patria ed era allo stesso tempo un presagio di dominio del mondo. Mentre osservava poi la statua di [[Alessandro Magno]] a [[Cadice]] (''Gades''), Cesare fu folgorato e scoppiò in lacrime,<ref name="Svetonio, Cesare, 7,1"/> commentando: "Non vi sembra che ci sia motivo di addolorarsi se alla mia età Alessandro regnava già su tante persone, mentre io non ho fatto ancora nulla di notevole?"<ref>[[Plutarco]], ''Cesare'', 11,6. Nelle ''Vite parallele'' dell'autore di [[Cheronea]], l'episodio è però collocato nel [[62 a.C.]], al tempo della pretura di Cesare in Spagna.</ref>
Dopo la morte di Crasso ucciso nel [[53 a.C.]] durante la guerra contro i [[Parti]], si aprì una spaccatura fra Cesare e Pompeo, ingigantita anche dalla morte di Giulia in seguito al parto, figlia di Cesare nonché moglie di Pompeo. Invitato nel [[50 a.C.]] dal [[Senato (storia romana)|Senato]] a sciogliere il suo esercito, Cesare rifiutò e scoppiò la [[guerra civile]]. Un indovino allertò Cesare circa la sua conquista. Gli fu raccomandata prudenza sul [[Rubicone]], il fiume, nell'attuale provincia di [[Forlì]], che allora segnava il confine che un generale non poteva passare in armi. Cesare lo traversò il [[10 gennaio]] del [[49 a.C.]] (''[[Alea iacta est]]'') ed inseguì Pompeo a [[Brindisi]] sperando di poter rimettere in piedi il loro accordo di dieci anni prima. Tuttavia Pompeo lo eludeva e Cesare compì una sorprendente marcia di 27 giorni fino in [[Spagna]] per incontrarvi il [[luogotenente]] di Pompeo. Poi si recò in oriente per sfidare Pompeo in [[Grecia]] dove il [[10 luglio]] del [[48 a.C.]] Cesare mancò di poco una catastrofica sconfitta di Pompeo. Avendolo finalmente sconfitto nella [[battaglia di Farsalo]], in [[Grecia]], il [[9 agosto]] [[48 a.C.]], fu nominato [[console (storia romana)|console]] per 5 anni, mentre Pompeo fuggiva in [[Egitto]], dove fu assassinato da un sicario del re [[Tolomeo XIII]].
 
Cesare, dopo aver votato per l'approvazione della ''[[Lex Gabinia]]''<ref>[[Plutarco]], ''Pompeo'', 25,8.</ref> e della ''[[Lex Manilia]]'',<ref>[[Cassio Dione]], ''Storia Romana'', XXXVI,43,2-4.</ref> fu eletto [[Edile (storia romana)|edile curule]] (''aedilis curulis'') nel 65 a.C. Grazie al suo comportamento poté consacrarsi definitivamente come nuovo ''leader'' del movimento popolare, conquistandosi le simpatie di tutta la popolazione romana.<ref>{{cita|Canfora 1999|p. 21}}.</ref> Egli fece esporre le sue personali collezioni d'arte nel Foro e sul [[Campidoglio]],<ref>{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 10.1}}.</ref> e organizzò dei giochi di gladiatori in memoria di suo padre.<ref>[[Plinio il Vecchio]], ''Storia naturale'', XXXIII,53.</ref><ref>[[Cassio Dione]], XXXVII,8,1.</ref> Per la loro magnificenza (vi presero parte oltre trecentoventi coppie di gladiatori),<ref>[[Plutarco]], ''Cesare'', 5,9.</ref> i giochi suscitarono le preoccupazioni degli ''optimates'', che non vedevano di buon occhio l'affermazione di Cesare; essi promulgarono una legge che prevedeva che non si potesse avere alle proprie dipendenze più di un certo numero (a noi sconosciuto) di gladiatori.<ref>{{cita|Canfora 1999|p. 23}}.</ref> Cesare si propose come continuatore della politica antisillana: fece infatti rimettere in piedi i trofei ottenuti da Mario per le vittorie contro i [[Cimbri]] e i [[Teutoni]],<ref>[[Velleio Patercolo]], ''Storia romana'', II,43,4.</ref> e decise, quando fu a capo del tribunale, di considerare come omicidi le uccisioni dei proscritti sotto Silla.<ref>{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 9.2}}.</ref><ref>{{cita|Canfora 1999|p. 24}}.</ref>
Non contento del vantaggio guadagnato, Cesare andò in Egitto, qui si impegnò nel sostenere il ruolo di [[Cleopatra VII|Cleopatra]], che divenne sua moglie anche se solo per la legge egiziana e da cui ebbe un figlio, [[Cesarione]] (poi fatto uccidere da Ottaviano Augusto). Sconfisse poi gli ultimi sostenitori di Pompeo a [[Battaglia di Tapso|Tapso]] ([[46 a.C.]]) e [[Battaglia di Munda|Munda]] ([[45 a.C.]]).
 
Altro grandissimo successo per Cesare fu l'elezione nel 63 a.C. a [[Pontefice massimo (storia romana)|pontefice massimo]], dopo la morte di [[Quinto Cecilio Metello Pio]], che era stato nominato da Silla. Cesare, per quanto scettico,<ref>C.Castner, ''Prosopography of Roman Epicureans'', Frankfurt/M. 1988, pp. 83-86.</ref> si era battuto perché il pontificato tornasse a essere, dopo la riforma sillana, una carica elettiva,<ref>[[Cassio Dione]], ''Storia Romana'', XXXVII,37,1.</ref> e comprendeva perfettamente quale aspetto avrebbe avuto la sua figura se insignita della carica di tutore del diritto e del culto romano. A sfidarlo c'erano però rappresentanti della fazione degli ''optimates'' molto più anziani e già da tempo giunti al culmine del ''[[cursus honorum]]'', quali [[Quinto Lutazio Catulo (console 78 a.C.)|Quinto Lutazio Catulo]] e [[Publio Servilio Vatia Isaurico (console 79 a.C.)|Publio Servilio Vatia Isaurico]].<ref>{{cita|Canfora 1999|p. 27}}.</ref> Cesare allora, aiutato anche da [[Marco Licinio Crasso]], si procurò grandi somme di denaro che usò per corrompere l'elettorato,<ref name="Svetonio, Cesare, 13,1">{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 13.1}}.</ref> e fu dunque costretto a pagare un prezzo altissimo per la sua elezione: il giorno del voto, uscendo di casa, promise infatti alla madre che ella lo avrebbe rivisto pontefice oppure esule.<ref>[[Plutarco]], ''Cesare'', 7,4.</ref> La nettissima vittoria di Cesare<ref name="Svetonio, Cesare, 13,1"/> gettò nel panico gli ''optimates'', mentre costituì per il neoeletto pontefice una nuova acquisizione di prestigio, in grado di assicurargli la nomina a [[pretore (storia romana)|pretore]] per l'anno seguente. Nel frattempo, per evidenziare l'importanza della sua carica, lasciò la casa natale nella [[Suburra]] per trasferirsi sulla [[via Sacra]],<ref>{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 46}}.</ref> cominciando ad attuare una politica volta ad accattivarsi anche le simpatie di [[Pompeo Magno]].
===La dittatura===
[[Immagine:Giulio_cesare.jpg|thumb|right|150px|Il c.d. ''busto di [[Acireale]]'', attribuito a Giulio Cesare]]
Dopo esser stato nominato Dittatore per 10 anni nel [[46 a.C.]], l'anno seguente fu fatto dittatore e [[Console (storia romana)|Console]] a vita e chiamato [[Padre della Patria]] ''(Pater Patriae)''. Al mese di [[Calendario romano|quintilis]] fu cambiato nome in suo onore ed ancora oggi si chiama "luglio". Furono poste sue statue a fianco di quelle degli antichi re ed ebbe un trono d'oro in [[Senato (storia romana)|Senato]] ed in [[Tribunato]].
 
==== Dalla congiura di Catilina alla propretura in Spagna (63-61 a.C.) ====
Nella ''Vita di Augusto'' Nicolao Damasceno racconta che una mattina su una di queste statue venne posto un [[diadema]], ritenuto simbolo di regalità e di schiavitù. Due [[tribuno della plebe|tribuni della plebe]], Lucio e Gaio, sconcertati, fecero togliere il diadema e accusarono Cesare di volersi proclamare [[re di Roma]]. Quest'ultimo convocò immediatamente il Senato e accusò i tribuni di averlo apposto loro per screditarlo. I due tribuni vennero cacciati e sostituiti.
{{vedi anche|Lucio Sergio Catilina}}
[[File:Cicero Denounces Catiline in the Roman Senate by Cesare Maccari.png|thumb|left|upright=1.4|''[[Cicerone denuncia Catilina|Cicerone denuncia Catilina in Senato]]'', 1880, affresco di [[Cesare Maccari]], [[Roma]], [[Palazzo Madama (Roma)|Palazzo Madama]], Sala Maccari]]
 
Nel [[63 a.C.]] irruppe sulla scena politica [[Lucio Sergio Catilina]]. Nobile decaduto, egli tentò più volte di impadronirsi del potere: organizzò una prima congiura nel [[66 a.C.|66]] o nel [[65 a.C.]], a cui Cesare prese probabilmente parte.<ref>La partecipazione di Cesare alla prima congiura di Catilina è omessa da [[Sallustio]], filocesariano, nel ''[[De Catilinae coniuratione]]'', ma è invece testimoniata da {{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 9}}.</ref> La congiura, che avrebbe portato all'elezione di Crasso come [[dittatore romano|dittatore]] e dello stesso Cesare come suo ''[[magister equitum]]'', fallì per l'improvviso abbandono del progetto da parte di Crasso, o forse perché Cesare si rifiutò di dare il segnale convenuto che avrebbe dovuto dare inizio al programmato assalto al Senato.
Ma ancora più importante è l'episodio dei '''[[Lupercalia|Lupercali]]''', una festività romana in cui Marco Antonio pose un diadema sulla testa di Cesare. Questi lo rifiutò e lo gettò via, ma Antonio glielo ripose per una seconda volta, e in questo momento il popolo applaudì e lo salutò dicendo "Salve, re!". La risposta di Cesare fu l'ordine di mettere il diadema sulla testa di [[Giove (divinità)|Giove Ottimo Massimo]], la maggiore divinità romana.
 
Quando nel 63 la seconda congiura di Catilina fu scoperta da [[Marco Tullio Cicerone]] (pur non avendo prove certe), [[Lucio Vezio]], amico di Catilina,<ref>[[Cassio Dione]], ''Storia romana'', XXXVII,41,2.</ref> fece i nomi di alcuni congiurati, includendo tra essi anche Cesare. Questi fu scagionato dalle accuse grazie al tempestivo intervento di Cicerone, ma resta assai probabile che avesse partecipato, almeno inizialmente, anche a questa seconda congiura.<ref>{{cita|Canfora 1999|cap. VII, ''Nella congiura, oltre la congiura''}}.</ref> Ad avvalorare l'ipotesi è il discorso che lo stesso Cesare pronunciò in Senato in difesa dei congiurati [[Publio Cornelio Lentulo Sura|Lentulo]] e [[Gaio Cornelio Cetego (congiurato)|Cetego]]: dopo la sua fuga, Catilina aveva lasciato a loro le redini della congiura, ma i due erano stati scoperti grazie a un abile piano congegnato da Cicerone, principale accusatore di Catilina e responsabile del fallimento della congiura. Discutendo sulla pena cui condannare Lentulo e Cetego, molti senatori avevano proposto la condanna a morte; Cesare, invitando tutti a non prendere decisioni avventate e dettate dalla paura, propose invece di confinare i congiurati e di confiscare loro i beni.<ref>[[Sallustio]], ''De Catilinae coniuratione'', 51.</ref> Il discorso di Cesare, che aveva convinto molti senatori, fu però seguito da altri: uno, molto acceso, pronunciato da [[Marco Porcio Catone Uticense]]<ref>[[Sallustio]], ''[[De Catilinae coniuratione]]'', 52.</ref> e un altro di [[Quinto Lutazio Catulo (console 78 a.C.)|Quinto Lutazio Catulo]] riuscirono a reindirizzare il Senato verso la condanna a morte dei congiurati. Lentulo e Cetego furono quindi condannati a morte senza che fosse concessa loro la ''[[provocatio ad populum]]''. Il discorso di Cesare, grazie al quale egli si presentò come un uomo saggio e poco vendicativo, fu molto gradito al popolo, che sperava nei benefici che Catilina gli avrebbe concesso; è però probabile che con le sue parole il futuro dittatore tentasse anche di salvare dalla morte degli amici e compagni politici con i quali aveva probabilmente collaborato,<ref>{{cita|Canfora 1999|cap. VIII, ''Il discorso in Senato riscritto da Sallustio''}}.</ref> o anche di tenerli come capri espiatori di problemi di cui in futuro lui stesso avrebbe potuto essere artefice.<ref>{{Cita libro |autore=[[Andrea Frediani]] |titolo=[[Il cospiratore. La congiura di Catilina]] |annooriginale=2018}}</ref>
Una vexata quaestio è costituita dall'interpretazione delle volontà dell'ultimo Cesare: non è chiaro, cioè, se la dittatura perpetua dovesse essere nelle intenzioni del dittatore "l'ultimo stadio" del suo potere o se invece fossero nutrite anche ambizioni monarchiche. A partire dalla tesi classica di E. Mayer, il quale intravedeva nelle mire cesariane la volontà di istituire una monarchia di tipo greco-ellenistico, gli studiosi si sono fondamentalmente divisi tra coloro che sostengono questa teoria, quelli che invece pensano ad un modello monarchico di tipo romuleo e vetero-romano (Voigt), e quelli che, infine, negano recisamente qualsiasi progetto regale (si vedano, di recente, gli studi di G. Zecchini e A. Fraschetti). La questione è difficilmente interpretabile, anche se alcuni dati fanno pensare seriamente ad un Cesare assai affascinato dai modelli monarchici orientali: si pensi al prolungato soggiorno alessandrino e al rapporto con Cleopatra (alla quale tra l'altro aveva dedicato un'immagine d'oro nel suo Foro), o alla politica edilizia di chiaro stampo dinastico, o infine, al progetto, di chiara matrice alessandrina (ma anche sul modello pergameno), di apertura di una biblioteca pubblica a Roma. Del resto, al centro del foro di Cesare, troneggiava una statua equestre di Alessandro Magno cui era stata sostituito il ritratto del dittatore. Inoltre le fonti narrano che, prima della spedizione nel mediterraneo orientale contro il popolo dei Parti(la pertenza era fissata per il 18 Marzo), venne fatto circolare un oracolo in base al quale quel popolo poteva essere sconfitto solo da un re.
 
Dopo la morte della moglie Cornelia nel [[68 a.C.]], Cesare aveva sposato Pompea, nipote di [[Lucio Cornelio Silla|Silla]].<ref>[[Plutarco]], ''Cesare'', 5,7;<br />{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 6.2}}.</ref> Ma nel [[62 a.C.]] [[Publio Clodio Pulcro]], amante di Pompea, s'introdusse in casa di Cesare, dove la stessa Pompea stava preparando le celebrazioni per la festa di [[Bona Dea]]. Scoperto mentre era travestito da ancella, Clodio venne processato per lo scandalo, e Cesare ripudiò Pompea, pur rifiutando di testimoniare contro Clodio al processo.<ref>[[Marco Tullio Cicerone|Cicerone]], ''Lettere ad Attico'', I,12,3; 13,3;<br />[[Plutarco]], ''Cesare'', 10;<br />{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 6.2}}.</ref>
===La morte===
 
Nel 62 a.C. fu [[Pretore (storia romana)|pretore]]<ref>[[Marco Tullio Cicerone|Cicerone]], ''Lettere ad Attico'', II,24,3;<br />[[Velleio Patercolo]], ''Storia Romana'', II,43,4;<br />[[Cassio Dione]], ''Storia Romana'', XXXVII,44.</ref> e un avvenimento particolare durante quell'anno fu la proposta di legge, da parte del tribuno della plebe [[Quinto Cecilio Metello Nepote minore|Metello Nepote]], di far tornare Pompeo dall'Oriente per ristabilire l'ordine nell'Urbe. Cesare supportava questa proposta di legge, mentre Catone si era apertamente opposto. Metello espose comunque la proposta ai [[Concili della plebe]], ma l'arrivo di Catone alla seduta fece scoppiare disordini in merito alla questione e, dopo che anche il Senato appoggiò e giustificò legalmente Catone, Metello si dimise e si recò da Pompeo. Anche Cesare rinunciò alla propria carica per solidarietà; il giorno seguente una folla inferocita si recò davanti a casa sua, invitandolo a marciare contro il Senato, ma egli riuscì a calmarla. Il Senato, a seguito di quest'episodio, lo riabilitò nella carica di pretore.<ref>{{Cita web|url=https://www.youtube.com/watch?v=kOiyt63_1_U|titolo=His Year: Cato (62 B.C.E.) - YouTube|accesso=2020-12-27}}</ref>
Cesare fu assassinato in Campo Marzio nei pressi del [[Teatro di Pompeo]],(dove si riuniva il [[Senato (storia romana)|Senato]] dopo che la sua sede era andata distrutta in un incendio), alle [[Idi]] di [[marzo]] ([[15 marzo]]) del [[44 a.C.]]. Fu accoltellato da un gruppo di cospiratori nostalgici della res Publica, a causa delle sue presunte ambizioni monarchiche e del suo potere assoluto. Fra i cospiratori c'era [[Marco Giunio Bruto|Bruto]], forse suo figlio naturale. Altro attentatore eccellente fu [[Gaio Cassio Longino]] un altro repubblicano che aveva ottenuto la grazia da Cesare come Marco Giunio Bruto. Cesare cadde ai piedi della statua di Pompeo e le sue ultime parole sono riportate in vario modo:
 
Nel [[61 a.C.]] fu poi [[proconsole|governatore]] con l{{'}}''[[imperium]]'' di [[propretore]] della [[provincia romana|provincia]] della [[Spagna romana|Spagna ulteriore]], dove condusse operazioni contro i [[Lusitani]]; acclamato ''[[imperator]]'', gli fu tributato il [[trionfo]] una volta tornato a Roma.<ref>[[Velleio Patercolo]], ''Storia Romana'', II,43,3;<br />[[Plutarco]], ''Cesare'', 12;<br />{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 18.1}};<br />[[Cassio Dione]], ''Storia Romana'', XXXVII,52-53;<br />[[Appiano di Alessandria|Appiano]], ''Le guerre civili'', II,8.</ref> Cesare fu tuttavia costretto a rinunciarvi, in quanto per celebrare il trionfo avrebbe dovuto mantenere le sue vesti di militare e restare fuori dalla città di Roma: il propretore chiese dunque al Senato il permesso di candidarsi al consolato ''in absentia'', attraverso i suoi legati, ma, anche se il Senato non osteggiava del tutto la proposta, Catone l'Uticense fece in modo che la richiesta fosse respinta, parlando a lungo e temporeggiando. Cesare, posto di fronte a una scelta particolarmente importante per la sua carriera futura, preferì dunque salire il gradino successivo del ''cursus honorum'' e candidatosi nel [[60 a.C.]] fu eletto [[console (storia romana)|console]] per l'anno [[59 a.C.]]<ref>[[Plutarco]], ''Cesare'', 13.</ref><ref>{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 18.2}}.</ref>
* "Καὶ σὺ, τέκνον;" (''Kai su, teknon?'' (in greco, "Anche tu, figlio?")
* ''Tu quoque, Brute, fili mi!'' (in latino, "Anche tu Bruto, figlio mio!")
* ''Et tu, Brute?'' (latino, "Anche tu, Bruto?" e questa è la versione riportata da [[William Shakespeare]] nella tragedia [[Giulio Cesare (tragedia)|Giulio Cesare]].
 
==== Il triumvirato e il consolato (60-59 a.C.) ====
Narra una leggenda che la moglie Calpurnia (che aveva sposato nel [[49 a.C.]]) lo aveva messo in guardia per una premonizione, appena la notte precedente, ma Cesare aveva risposto: "Non dobbiamo aver paura che della paura".
{{vedi anche|Primo triumvirato}}
{{Doppia immagine|destra|Pompejus modified.png|210|Crassus Kopenhagen.jpg|200|[[Gneo Pompeo Magno]]|[[Marco Licinio Crasso]]}}
 
Nel [[60 a.C.]], Cesare stipulò un'alleanza strategica con due tra i maggiori capi politici dell'epoca: [[Marco Licinio Crasso|Crasso]] e [[Gneo Pompeo Magno|Pompeo]].<ref>[[Cicerone]], ''Lettere ad Attico'', II,3,3;<br />[[Velleio Patercolo]], ''Storia Romana'', II,44,1-3;<br />[[Plutarco]], ''Cesare'', 14,1-2;<br />{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 19.2}};<br />[[Appiano di Alessandria|Appiano]], ''Le guerre civili'', II,8;<br />[[Cassio Dione]], ''Storia Romana'', XXXVII,55-57.</ref> Questo accordo privato fu successivamente chiamato dagli storici [[primo triumvirato]]; non si trattava di una vera magistratura, ma di un accordo tra privati che, data l'influenza dei firmatari, ebbe poi notevolissime ripercussioni sulla vita politica, dettandone gli sviluppi per quasi dieci anni.<ref name="Primo_Triumvirato">{{cita|Canfora 1999|cap. IX, ''Il "mostro a tre teste"''}}.</ref>
 
Crasso era l'uomo più ricco di Roma (aveva infatti finanziato la campagna elettorale di Cesare per il consolato) ed era un esponente di spicco della classe dei [[Ordine equestre|cavalieri]]. Pompeo, dopo aver brillantemente risolto la guerra in Oriente contro Mitridate e i suoi alleati, era il [[Generale (storia romana)|generale]] con più successi alle spalle. Il rapporto tra Crasso e Pompeo non era dei più idilliaci, ma Cesare con la sua fine abilità diplomatica seppe riappacificarli, vedendo in un'alleanza tra i due l'unico modo in cui egli stesso avrebbe potuto raggiungere i vertici del potere. Crasso serbava infatti verso Pompeo un certo rancore, da quando quegli aveva celebrato il trionfo per la guerra contro Sertorio in Spagna e per la vittoria contro gli schiavi ribelli, che soffocata la rivolta di Spartaco cercavano di fuggire dall'Italia per attraversare l'arco alpino: ogni merito era andato a Pompeo, mentre Crasso, vero artefice della sofferta vittoria su Spartaco, aveva potuto celebrare soltanto un'[[ovazione]].<ref name="Primo_Triumvirato"/>
Dopo la sua morte, scoppiò una lotta di potere fra i suoi nipoti, il figlio adottivo Ottaviano, il suo luogotenente [[Marco Antonio]] ed i suoi assassini [[Marco Giunio Bruto|Bruto]] e [[Cassio]]. Ottaviano prevalse e divenne il primo [[Imperatori Romani|Imperatore Romano]], con il nome di [[Augusto (imperatore romano)|Cesare Augusto]].
 
[[Gneo Pompeo Magno|Pompeo]] avrebbe dovuto sostenere la candidatura al [[console (storia romana)|consolato]] di Cesare, mentre [[Marco Licinio Crasso|Crasso]] l'avrebbe dovuta finanziare. In cambio di quest'appoggio, Cesare avrebbe fatto in modo che ai veterani di Pompeo venissero distribuite delle terre, e che il [[Senato (storia romana)|Senato]] ratificasse i provvedimenti presi da Pompeo in Oriente; al contempo, com'era desiderio di Crasso e dei cavalieri, fu ridotto di un terzo il canone d'appalto delle imposte della provincia d'Asia. A rinsaldare ulteriormente quanto previsto dal [[primo triumvirato|triumvirato]], Pompeo sposò Giulia, la figlia di Cesare.
== Cesare come persona ==
[[Immagine:Julius caesar.jpg|right|125px|Un'altra immagine di Giulio Cesare]]
Tra gli innumerevoli ritratti che di lui ci sono stati conservati, particolarmente significativi sono due, quello del suo aspetto fisico, tracciato da [[Gaio Svetonio Tranquillo|Svetonio]] nelle sue ''Vite dei Cesari'', e quello morale, tracciato dal suo grande avversario [[Marco Tullio Cicerone|Cicerone]] in un passo della seconda ''[[Filippiche|Filippica]]''.
 
Nel [[59 a.C.]], l'anno del suo [[console (storia romana)|consolato]], Cesare portò al servizio dell'alleanza la sua popolarità politica e il suo prestigio, e si adoperò per portare avanti le riforme concordate con gli altri [[triumviri]].<ref name="Consolato">{{cita|Canfora 1999|cap. XI ''Il primo consolato (59 a.C.)''}}.</ref> Nonostante la forte opposizione del collega [[Marco Calpurnio Bibulo]], che tentò in ogni modo di ostacolare le sue iniziative, Cesare ottenne comunque la ridistribuzione degli appezzamenti di ''ager publicus'' per i veterani di Pompeo, ma anche per alcuni dei cittadini meno abbienti.<ref>[[Francesco De Martino]], ''Storia della costituzione romana'', vol. III.</ref> Bibulo, una volta accortosi del fallimento della sua sterile politica volta esclusivamente alla conservazione dei privilegi da parte della ''nobilitas'' senatoriale, si ritirò dalla vita politica: in questo modo pensava di frenare l'attività del collega, che invece poté attuare in tutta tranquillità il suo rivoluzionario programma.<ref name="Consolato" /> Cesare infatti programmò la fondazione di nuove colonie in Italia e per tutelare i provinciali riformò le leggi sui reati di [[concussione]] (''lex Iulia de repetundis''),<ref>''[[Digesto]]'', XLVIII,11.</ref> facendo approvare allo stesso tempo delle leggi che favorissero l{{'}}''ordo equestris'': con la ''lex de publicanis'' egli ridusse di un terzo la somma di denaro che i cavalieri dovevano pagare allo Stato, favorendo così le loro attività. Fece infine promulgare una legge che imponeva al Senato di stilare le relazioni di ogni seduta (gli ''[[Acta Senatus]]'').<ref>{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 20.1}}.</ref> In questo modo Cesare si assicurava l'appoggio di tutta la popolazione romana, ponendo le basi per il suo futuro successo.<ref name="Consolato" />
Ecco quello di [[Gaio Svetonio Tranquillo|Svetonio]]:
:'' "Cesare era di alta statura, aveva una carnagione chiara, florida salute[...] Nella cura del corpo fu alquanto meticoloso al punto che non solo si tagliava i capelli e si radeva con diligenza, ma addirittura si depilava, cosa che alcuni gli rimproveravano. Sopportava malissimo il difetto della calvizie per la quale spesso fu offeso e deriso. Per questo si era abituato a tirare giù dalla cima del capo i pochi capelli[...] Dicono che fosse ricercato anche nel vestire: usava infatti un laticlavio frangiato fino alle mani e si cingeva sempre al di sopra di esso con una cintura assai lenta".''
 
=== Guerra in Gallia (58-50 a.C.) ===
Non meno incisivo quello di [[Marco Tullio Cicerone|Cicerone]]:
{{vedi anche|Conquista della Gallia}}
:'' "Egli ebbe ingegno, equilibrio, memoria, cultura, attività, prontezza, diligenza. In guerra aveva compiuto gesta grandi, anche se fatali per lo stato. Non aveva avuto per molti anni altra ambizione che il potere, e con grandi fatiche e pericoli l'aveva realizzata. La moltitudine ignorante se l'era conquistata coi doni, le costruzioni, le elargizioni di viveri e banchetti. I suoi li aveva acquistati con premi, gli avversari con manifestazioni di clemenza, insomma aveva dato ad una città, ch'era stata libera, l'abitudine di servire, in parte per timore, in parte per rassegnazione".''
[[File:Mondo romano nel 56 aC al tempo del primo triumvirato.png|thumb|left|upright=2.0|Il mondo romano all'epoca del primo triumvirato e degli accordi di Lucca tra Cesare, Crasso e Pompeo nel 56 a.C.]]
 
Durante il [[console (storia romana)|consolato]], grazie all'appoggio dei [[Primo triumvirato|triumviri]], Cesare ottenne con la ''[[lex Vatinia]]'' del 1º marzo<ref>Proposta dal [[tribuno della plebe]] [[Publio Vatinio]], che poi sarà [[luogotenente]] di Cesare in [[Gallia]].</ref> il [[proconsole|proconsolato]] delle [[provincia romana|province]] della [[Gallia Cisalpina]]<ref>Corrispondeva ai territori della [[pianura padana]], compresi tra il [[fiume]] [[Oglio]] e le [[Alpi]] piemontesi.</ref> e dell'[[Illyricum|Illirico]] per cinque anni,<ref name="CesareIlliricoGallie">{{cita|Cesare, ''De bello gallico''|II, 35.2, III, 7.1 e V, 1.5}}; {{cita|Plutarco|''Cesare'', 14.10}}: {{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 23 e 29}}.</ref> con un [[esercito romano|esercito]] composto da tre [[legione romana|legioni]] ([[Legio VII (Cesare)|VII]], [[Legio VIII (Cesare)|VIII]] e [[Legio VIIII (Cesare)|VIIII]]). Poco dopo un [[senatoconsulto]] gli affidò anche la vicina provincia della [[Gallia Narbonense|Narbonense]],<ref>Provincia costituita nel [[121 a.C.]] che comprendeva tutta la fascia costiera e la valle del [[Rodano]], nelle attuali [[Provenza]] e [[Linguadoca-Rossiglione|Linguadoca]].</ref> il cui proconsole, [[Quinto Cecilio Metello Celere]], era morto all'improvviso, e la [[Legio X (Cesare)|X legione]].<ref>Lawrence Keppie (in ''The making of the roman army, from Republic to Empire'', [[Oklahoma]] 1998, pp. 80-81) suppone che la [[Legio X (Cesare)|legio X]] fosse posizionata nella capitale della Gallia Narbonense: [[Narbona]].</ref>
I suoi gusti nella sfera sessuale furono spesso motivo di pettegolezzo e canzonatura da parte sia dei suoi detrattori che dei suoi stessi soldati. La sua fama di rubacuori a tutto campo veniva sintetizzata da Cicerone secondo cui egli era ''"il marito di tutte le mogli e la moglie di tutti i mariti"''.
 
Il fatto che a Cesare fosse stata attribuita inizialmente la provincia dell'Illirico nel suo ''[[imperium]]'', con la dislocazione all'inizio del [[58 a.C.]] di ben tre legioni ad [[Aquileia]], potrebbe significare che egli intendeva recarvisi in cerca di gloria e ricchezze, con cui accrescere il suo potere, la sua influenza militare e [[politica]] con campagne oltre le [[Alpi Carniche]] fin sul [[Danubio]], sfruttando la crescente minaccia delle [[tribù]] della [[Dacia (regione storica)|Dacia]] che si erano riunite sotto il loro re [[Burebista]].
== Cesare come storico e scrittore ==
[[Immagine:Cesare_Bracciano.jpg|thumb|right|250px|Busto nel Castello Odescalchi di [[Bracciano]]]]
La sua opera di scrittore pone Giulio Cesare tra i più grandi maestri di stile della prosa latina, considerando anche i suoi commentari della guerra in Gallia ''([[De bello gallico]])'' e della [[guerra civile]] contro [[Gneo Pompeo Magno|Pompeo]] e il [[Senato (storia romana)|Senato]] ''([[De bello civili]])''.
 
Burebista aveva infatti guidato il suo popolo alla conquista dei territori a occidente del fiume [[Tibisco|Tisza]], oltrepassando il [[Danubio]] e sottomettendo l'intera area dove si estende l'attuale [[Grande Pianura Ungherese|pianura ungherese]], ma soprattutto avvicinandosi pericolosamente all'Illirico e alla stessa Italia. La sua avanzata si arrestò improvvisamente, forse per il timore di un possibile intervento diretto romano nell'area [[Penisola balcanica|balcano]]-[[Carpazi|carpatica]]. E così, invece di continuare nella sua marcia verso Occidente, Burebista tornò nelle sue basi in [[Transilvania]]. Il cessato allarme sul fronte orientale, indusse Cesare a rivolgere le proprie attenzioni verso la Gallia.
Queste narrazioni, apparentemente semplici ed in stile diretto, sono di fatto un annuncio molto sofisticato del suo programma politico, in modo particolare per i lettori di media cultura e la piccola aristocrazia in [[Italia]] e nelle [[provincia (storia romana)|province]] dell'Impero.
 
Il Senato sperava con le sue mosse di allontanare il più possibile Cesare da Roma, proprio mentre egli stava acquisendo una sempre maggiore popolarità. Quando lo stesso Cesare promise di fronte al Senato di compiere grandi azioni e riportare splendidi trionfi in Gallia, uno dei suoi detrattori, per insultarlo, urlò che ciò non sarebbe stato facile per una donna, alludendo ai costumi sessuali dell'avversario; il proconsole designato rispose allora ridendo che l'essere donna non aveva impedito a [[Semiramide]] di regnare sulla Siria e alle [[Amazzoni]] di dominare l'Asia.<ref>{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 22}}.</ref> Cesare seppe comprendere le potenzialità che l'incarico affidatogli presentava: in Gallia egli avrebbe potuto conquistare immensi bottini di guerra (con i quali saldare i debiti contratti nelle campagne elettorali), e avrebbe acquisito il prestigio necessario per attuare la sua riforma della ''res publica''.<ref name="Semiramide_in_Gallia">{{cita|Canfora 1999|cap. XIII, ''Semiramide in Gallia''}}.</ref>
Le altre sue principali opere letterarie sopravvissute sono:
 
Prima di lasciare Roma, nel marzo del [[58 a.C.]],<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', I,7,1<br />[[Plutarco]], ''Cesare'', 17,5.</ref> Cesare incaricò il suo alleato politico [[Publio Clodio Pulcro]], [[tribuno della plebe]], di fare in modo che Cicerone fosse costretto a lasciare Roma. Clodio fece allora approvare una legge con valore retroattivo che puniva tutti coloro che avevano condannato a morte dei cittadini romani senza concedere loro la ''[[provocatio ad populum]]'': Cicerone fu quindi condannato per il suo comportamento in occasione della congiura di Catilina, venne esiliato, e dovette lasciare Roma e la vita politica.<ref>[[Plutarco]], ''Cicerone'', 30,5.</ref> In questo modo Cesare cercava di assicurarsi che, in sua assenza, il Senato non prendesse decisioni che compromettessero la realizzazione dei suoi piani.<ref name="Semiramide_in_Gallia"/> Allo stesso scopo, Cesare si liberò anche di un altro esponente dell'aristocrazia senatoriale, [[Marco Porcio Catone Uticense|Marco Porcio Catone]], che venne allontanato da Roma inviandolo [[propretore]] a [[Cipro (provincia romana)|Cipro]].<ref>''L'eredità antica e medievale'', ISBN 88-286-0800-5.</ref> Per evitare inoltre di divenire oggetto delle accuse legali dei suoi avversari, si appellò alla ''[[Lex Memmia de absentibus|lex Memmia]]'', secondo la quale nessun uomo che si trovava fuori dall'Italia a servizio della ''res publica'' poteva subire un processo giuridico.<ref>[[Valerio Massimo]], ''Factorum et dictorum memorabilium libri IX'', III,8,9.</ref> Infine, affidò la gestione dei suoi affari a [[Lucio Cornelio Balbo (maggiore)|Lucio Cornelio Balbo]], un ''eques'' di origine spagnola; per evitare che i messaggi che gli spediva cadessero nelle mani dei suoi nemici Cesare adoperò un codice cifrato, che prese il nome di [[cifrario di Cesare]].
* I [[Commentarius (Giulio Cesare)|Commentari]] delle [[guerra|campagne]] per sottomettere i [[Galli]], il [[De bello gallico|Guerra gallica]]: "La guerra in Gallia" (relativo al ''De bello gallico'', [[58 a.C.]] - [[52 a.C.]])) consta di sette libri, più un libro ottavo, composto probabilmente dal luogotenente di Cesare, [[Aulo Irzio]], per completare il resoconto della campagna gallica;
* I commentari sulla [[De bello civile|Guerra civile]] contro le forze di [[Gneo Pompeo Magno|Pompeo]] e del [[Senato (storia romana)|Senato]]: in tre libri Giulio Cesare ''spiega'' la guerra civile del [[49 a.C.]] ed il suo rifiuto di ubbidire al Senato (''De bello civili'');
* un epigramma in versi su [[Publio Terenzio Afro|Terenzio]] (frammento)
 
==== Le questioni interne dei Galli: gli Elvezi e i Germani di Ariovisto (58 a.C.) ====
Le opere perdute riguardano diverse orazioni (in una di esse - l'elogio funebre della zia Giulia - si affermava la discendenza della ''gens Iulia'' da Iulo-Ascanio e quindi da [[Enea]] e [[Venere (divinità)|Venere]]), un trattato su problemi di lingua e stile (''De analogia''), terminato nell'estate del 54, vari componimenti poetici giovanili, una raccolta di detti memorabili e un poema sulla spedizione in Spagna nel 45; un pamphlet in due libri, intitolato ''Anticato'' o ''Anticatones'', contro la memoria di [[Catone Uticense]], scritto in polemica con l'elogio di Catone composto da [[Marco Tullio Cicerone|Cicerone]].
{{vedi anche|Battaglia di Bibracte|Battaglia in Alsazia}}
[[File:Gallia Cesare 58 aC.png|thumb|La campagna di Cesare del 58 a.C.]]
 
Mentre si trovava ancora a Roma, Cesare venne a sapere che gli [[Elvezi]], stanziati tra il [[lago di Costanza]], il [[Rodano]], il [[Massiccio del Giura|Giura]], il [[Reno]] e le [[Alpi retiche]], si accingevano ad attraversare il territorio della Gallia Narbonense. C'era dunque il pericolo che essi, al loro passaggio sul territorio romano, compissero razzie e incitassero alla rivolta il popolo che ivi risiedeva, gli [[Allobrogi]]; i territori che si sarebbero svuotati, potevano poi divenire meta delle migrazioni di altri popoli germanici, che si sarebbero trovati a vivere al confine con lo Stato romano, dando origine a un pericolo da non sottovalutare.<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', I,6.</ref>
Infine, opere spurie sono, oltre al libro ottavo del ''De bello gallico'', le ultime tre opere del cosiddetto ''Corpus Caesarianum'', ossia
* ''De Bello Hispaniensis'' Sulla guerra in [[Spagna]]
* ''De Bello Africo'' Sulla guerra in [[Africa]]
* ''De Bello Alexandrino'' Sulla guerra in [[Medio Oriente]] ed [[Egitto]]
e i resoconti degli ultimi avvenimenti della guerra civile, composti da ufficiali di Cesare. Pare che gli autori di queste opere spurie siano dei luogotenenti molto fedeli a Cesare. In particolare, si crede che l'autore dell'VIII libro del ''De Bello Gallico'' abbia avuto l'intento di coprire con la sua opera il lasso di tempo storico che intercorre fra il ''De bello Gallico'' e il ''De bello civili''.
 
Il 28 marzo Cesare, avuta notizia che gli Elvezi, bruciate le loro città, erano giunti sulle rive del Rodano, fu costretto a precipitarsi in Gallia, dove giunse il 2 aprile, dopo pochissimi giorni di viaggio.<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', I,6,4.</ref> Disponendo solo della decima legione, insufficiente a contrastare un popolo di 368&nbsp;000 individui (tra cui si contavano 92&nbsp;000 uomini in armi),<ref>Queste cifre sono fornite dallo stesso Cesare, che le avrebbe desunto da tabelle trovate nel campo elvetico dopo la vittoria (Cesare, ''De bello Gallico'', I,29,1-3). Secondo alcuni studiosi però, il numero delle forze nemiche sarebbe stato appositamente gonfiato dal generale romano e andrebbe dimezzato (cfr. Eberhard Horst, ''Giulio Cesare'', p. 138). Quest'esagerazione andrebbe spiegata per ragioni propagandistiche; secondo altri invece, tra cui Camille Jullian (in ''Histoire de la Gaule'', III p. 194), la cifra sarebbe stata riportata correttamente.</ref> fece distruggere il ponte sul Rodano per impedire che gli Elvezi lo attraversassero,<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', I,7.</ref> e cominciò a reclutare in tutta la provincia forze ausiliarie, disponendo, inoltre, la creazione di due nuove legioni nella Gallia Cisalpina<ref>Cesare riferisce di aver ordinato la formazione di due nuove legioni, solo successivamente al primo scontro con gli Elvezi. È probabile, al contrario, che egli ne avesse già ordinato l'arruolamento, non appena apprese della migrazione degli Elvezi. Non voleva farsi trovare impreparato, allo stesso tempo doveva giustificare questa sua decisione in senato. Doveva trovare il pretesto per questa sua azione, che altrimenti sarebbe risultata, agli occhi dei senatori più ottusi, come un fatto premeditato per aggredire i popoli della Gallia (Cesare, ''De bello Gallico'', I,10).</ref> e ordinando a quelle stanziate ad [[Aquileia]] di raggiungerlo al più presto.
== Cronologia ==
{{Timeline Gaio Giulio Cesare}}
 
Gli Elvezi inviarono a Cesare dei messaggeri che chiesero l'autorizzazione ad attraversare pacificamente la Gallia Narbonense; Cesare, però, temendo che una volta in territorio romano quelli si abbandonassero a razzie, gliela rifiutò, dopo aver fatto fortificare la riva del Rodano. Gli Elvezi, allora, decisero di attraversare il territorio dei [[Sequani]]; Cesare tuttavia, non si disinteressò della questione e, adducendo tra i vari pretesti le devastazioni compiute dagli Elvezi stessi ai danni degli [[Edui]], alleati dei Romani, si decise ad affrontarli, e li sconfisse irreparabilmente nella [[battaglia di Bibracte]].
== Il nome Cesare ==
Il nome "Cesare" rimane in molte lingue come sinonimo di Comandante, leader; il [[Germania|tedesco]] [[Kaiser]] ed il [[Russia|russo]] [[Zar]] derivano dal nome di Cesare, e ci furono molti successivi Imperatori con quel nome. Infatti, la pronuncia latina del nome era ''Cáesar'', il cui dittongo si è mantenuto in tedesco.
 
Una volta sconfitti, agli Elvezi fu dato ordine di tornare nel loro territorio d'origine, in modo da evitare che questo venisse occupato da popoli germanici provenienti dalle zone del Reno e del Danubio.<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', I,2-29<br />[[Plutarco]], ''Cesare'', 18<br />[[Cassio Dione]], ''[[Storia romana (Cassio Dione)|Storia romana]]'', XXXVIII,31-33.</ref>
La radice stessa potrebbe non essere di origine latina: nella [[stele di Rosetta]] si trova un [[geroglifico]] [[Egitto|egiziano]] che è stato trascritto come ''k-e-s-r-s'' e si suppone correlato al senso latino. Più interessante, è stato detto che il latino Cesare potrebbe essere di derivazione [[Persia|persiana]] ''Kasrá=Chosroës'' e della sua forma plurale ''Akásirah'' (titolo di quattro grandi [[dinastia|dinastie]] di re Persiani), fra cui ''Ahasuerus'' o ''Khshayarsha'' ([[Serse I]], nipote di [[Ciro il Grande]]); eventuali relazioni con ''kisri'' e ''kasra'' sono state considerate come meno significative, anche perché più riferite ad epoche posteriori ([[Sassanidi]]).
 
[[File:Gallia Cesare 57 aC.png|left|thumb|La campagna di Cesare del [[57 a.C.]]]]
:'''Nota:''' il praenomen "Gaio" è forma corretta rispetto al pur comune "Caio". La forma "Caio", infatti, si è diffusa a seguito di una errata interpretazione dell'abbreviazione epigrafica "C." (cfr., tra gli altri, Conte, Pianezzola, Ranucci, ''Dizionario della lingua latina'', ''sub voce'' Gaius: «il fraintendimento dell'abbr., in cui la G si scriveva, per conservazione di grafia arcaica, C., ha generato la forma '''Caio'''»).
I Galli chiesero allora a Cesare la possibilità di riunirsi in un'assemblea generale per fronteggiare il problema dell'invasione dei [[Germani]] guidati da [[Ariovisto]].<ref>Una simile richiesta fu di fatto un implicito riconoscimento dei Galli all'autorità di Cesare (cfr. {{cita|Carcopino 1981|p. 275}}).</ref> Questi aveva già invaso la Gallia in precedenza ma, pur avendo ottenuto la vittoria, era stato convinto dal Senato a rientrare entro i propri confini, ottenendo il titolo di ''rex atque amicus populi Romani''. Quando i Galli, al termine dell'assemblea, chiesero a Cesare di aiutarli a ricacciare l'invasore oltre il Reno, lo stesso Cesare propose ad Ariovisto di stipulare un accordo. Il re germano rifiutò, e Cesare decise di affrontarlo. Le legioni, però, intimorite dalla fama di imbattibilità che i Germani avevano guadagnato, sembravano sul punto di rifiutare il combattimento e ammutinarsi; Cesare, allora, disse che avrebbe sfidato Ariovisto portando con sé solo la fedelissima decima legione, e le altre, per dimostrare il loro valore, accettarono allora di seguirlo.<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', I,39-40. Si tratta dell'unico caso di ammutinamento verificatosi durante la campagna di Gallia.</ref>
 
Il generale romano avanzò verso Ariovisto, che aveva attraversato il Reno e l'[[Ill (Francia)|Ill]] e, dopo un ultimo fallimentare negoziato, si decise a dare battaglia, presso l'odierna [[Mulhouse]], ai piedi dei [[Vosgi]]. I Germani furono duramente sconfitti e massacrati dalla cavalleria romana mentre tentavano di salvarsi attraversando il fiume.
== La memoria di Cesare ==
[[Image:010218 foro ara di Cesare.JPG|thumb|<center><small>[[Foro Romano]], omaggi al tempio del Divo Giulio]]
 
Con la vittoria su Ariovisto, Cesare, fermate le invasioni germaniche e posto il Reno come confine tra la Gallia e la Germania stessa, salvò le popolazioni galliche dal pericolo dell'invasione, stabilendo così una propria egemonia sul territorio.<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', I,30-54<br />[[Plutarco]], ''Cesare'', 19<br />[[Cassio Dione]], ''[[Storia romana (Cassio Dione)|Storia romana]]'', XXXVIII,34-50.</ref>
L'[[Umanesimo]] e il [[Rinascimento]] costruirono, nella cultura classica europea, un'immagine assai forte della storia romana e dei suoi personaggi, che per secoli furono vissuti come modello, esempio e paradigma di sentimenti sia privati che politici (basti pensare a [[William Shakespeare|Shakespeare]]), e che perdurò fino al periodo romantico.
 
==== La sottomissione dei Belgi e dei popoli della costa atlantica (57-56 a.C.) ====
Questo è particolarmente vero per Cesare, come si vede nella foto: unico tra i romani antichi, ai resti della sua ara nel [[Foro romano]] vengono presentati ancor oggi piccoli omaggi floreali.
{{vedi anche|Battaglia del fiume Sabis}}
 
Dopo aver svernato nella Gallia Cisalpina,<ref>[[Plutarco]], ''Cesare'', 20,1-3<br />Cesare, ''De bello Gallico'', I,54,2-3.</ref> nel [[57 a.C.]], avvalendosi dell'aiuto degli alleati Edui e delle due nuove legioni che aveva fatto arruolare,<ref>{{cita|Canfora 1999|p. 116}}.</ref> Cesare decise di portare la guerra nel nord della Gallia. Qui i Belgi erano da tempo pronti all'attacco, consci del fatto che se Cesare si fosse completamente impossessato della Gallia avrebbero perso la loro autonomia.
== Collegamenti esterni ==
{{interprogetto|commons=Julius Caesar}}
 
Il generale, radunate le forze, marciò allora verso il nord, dove i Belgi si erano radunati in un unico esercito di oltre 300&nbsp;000 uomini. Raggiuntili, diede battaglia e li sconfisse una prima volta vicino a [[Laon|Bibrax]] presso il fiume [[Aisne|Axona]], provocando loro molte perdite.
{{interprogetto|q|s=la:Gaius Iulius Caesar|etichetta=Gaius Iulius Caesar}}
* [http://digilander.libero.it/jackdanielspl/Cesare/english.html Julius Caesar], sito con molti link in diverse lingue verso i seguenti testi:
 
Cesare avanzò ancora, quando altri Belgi, in massima parte [[Nervi (popolo)|Nervi]], decisero di unirsi nuovamente per combattere l'esercito romano. Essi attaccarono di sorpresa l'esercito romano, ma Cesare seppure con grandi difficoltà riuscì a respingerli e a contrattaccare, capovolgendo le sorti della battaglia: ottenne infatti la vittoria, riuscendo a uccidere moltissimi nemici.<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', II,18-28.</ref> Portate a termine altre brevi operazioni, Cesare poté dirsi padrone dell'intera Gallia Belgica,<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', II<br />[[Plutarco]], ''Cesare'', 20,4-10<br />[[Cassio Dione]], ''[[Storia romana (Cassio Dione)|Storia romana]]'', XXXIX,1-5.</ref> e all'arrivo dell'inverno tornò nuovamente nella Gallia Cisalpina.<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', II,35,4<br />[[Plutarco]], ''Cesare'', 21,3-5<br />[[Cassio Dione]], XXXIX,5,1.</ref>
** [http://latine.studentville.it/mondolatino/letteratura/et%E0_cesariana-2/cesare-19/cesare-19.htm Caio Giulio Cesare]Biografia, opere, stile e lessico di Caio Giulio Cesare
** [http://digilander.iol.it/jackdanielspl/Cesare/bellocivili.html ''De Bello Civili'']
** [http://digilander.iol.it/jackdanielspl/Cesare/bellohis.html ''De Bello Hispaniensis'']
** [http://digilander.iol.it/jackdanielspl/Cesare/belloafr.htm ''De Bello Africo'']
** [http://digilander.iol.it/jackdanielspl/Cesare/belloale.htm ''De Bello Alexandrino'']
** [http://digilander.libero.it/jackdanielspl/Cesare/bellogallico.html ''De Bello Gallico'']
** [http://www.intratext.com/Catalogo/Autori/AUT54.HTM Opere di Giulio Cesare]: testi con concordanze e liste di frequenza
** [http://latine.studentville.it/versioni/latino/cesare-1/de_bello_gallico-1/ De bello gallico]Traduzione letterale del De bello gallico di Cesare.
** [http://latine.studentville.it/versioni/latino/cesare-1/de_bello_civili-2/ De bello civili]Traduzione letterale del De bello civili di Cesare.
 
Nel [[56 a.C.]] a insorgere furono i popoli della costa atlantica, dopo che Cesare aveva mandato il giovane [[Publio Licinio Crasso]]<ref>Si tratta del figlio del triumviro [[Marco Licinio Crasso]].</ref> a esplorare le coste della [[Britannia]], lasciando così intuire il suo progetto di espansione verso nord-ovest. Per contrastare gli insorti, Cesare fece allestire una flotta di navi da guerra sulla [[Loira]]<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', III,9.</ref> e dopo aver inviato i propri uomini nei punti nevralgici della Gallia per evitare ulteriori ribellioni si diresse verso la Bretagna, per combattere i [[Veneti (Celti)|Veneti]].<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', III,10-11.</ref> Dopo aver espugnato alcune città nemiche, egli decise di attendere la flotta appena costruita, che giunse al comando di [[Decimo Giunio Bruto Albino]]. Con essa poté facilmente avere la meglio sui Veneti presso [[Quiberon]],<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', III,13.</ref> e, dopo averli sconfitti, li fece uccidere o ridurre in schiavitù, per punire la condotta incresciosa che avevano tenuto nei riguardi degli ambasciatori romani.<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', 12-16.</ref>
 
==== Le spedizioni in Germania e in Britannia e i primi segnali di rivolta (55-53 a.C.) ====
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{{Doppia immagine|destra|Jules cesar modified.png|197|Il ponte di Cesare sul Reno.jpg|400|[[Busto di Arles|Busto di Cesare]] realizzato quando il dittatore era ancora in vita (Museo di [[Arles]])|Il [[ponte di Cesare sul Reno]] in un dipinto di [[John Soane]] ([[1814]])}}
{{Box successione|title=[[Console (storia romana)|Console]] della [[Repubblica Romana]] <br>con [[Marco Calpurnio Bibulo]]|before=[[Lucio Afranio]] <br> [[Quinto Cecilio Metello Celere]]||after=[[Lucio Calpurnio Pisone Cesonino]] <br> [[Aulo Gabinio]] |years=[[59 a.C.]] ('''I''')}}
{{Box successione|title=[[Console (storia romana)|Console]] della [[Repubblica Romana]] <br>con [[Publio Servilio Isaurico]]|before=[[Lucio Cornelio Lentulo Crure]] <br> [[Gaio Claudio Marcello il Vecchio]]||after=[[Quinto Fufio Caleno]] <br> [[Publio Vatinio]] |years=[[48 a.C.]] ('''II''')}}
{{Box successione|title=[[Console (storia romana)|Console]] della [[Repubblica Romana]] <br>con [[Marco Emilio Lepido]]|before=[[Quinto Fufio Caleno]] <br> [[Publio Vatinio]]||after=Gaio Giulio Cesare |years=[[46 a.C.]] ('''III''')}}
{{Box successione|title=[[Console (storia romana)|Console]] della [[Repubblica Romana]]|before=Gaio Giulio Cesare <br> [[Marco Emilio Lepido]]||after=Gaio Giulio Cesare <br> [[Marco Antonio]] |years=[[45 a.C.]] ('''IV''')}}
{{Box successione|title=[[Console (storia romana)|Console]] della [[Repubblica Romana]] <br>con [[Marco Antonio]]|before=Gaio Giulio Cesare||after=[[Aulo Irzio]] <br> [[Gaio Vibio Pansa]] |years=[[44 a.C.]] ('''V''')}}
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{{Box successione|title=[[Dittatore romano|Dittatore]] della [[Repubblica Romana]]|before=[[Lucio Cornelio Silla]]||after=nessuno |years=[[46 a.C.]]-[[44 a.C.]]}}
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{{Storia}}
{{scrittori}}
{{letteratura}}
 
Nel [[55 a.C.]] i popoli germanici degli [[Usipeti]] e dei [[Tencteri]], che assieme costituivano una massa di 430&nbsp;000 uomini,<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', IV,15,3.</ref> si spinsero fino al Reno e occuparono le terre dei [[Menapi]]. Cesare, allertato dalla possibilità di un'avanzata germanica in Gallia, si affrettò a raggiungere la [[Gallia Belgica|Belgica]], e impose loro di tornare oltre il Reno.<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', IV,8.</ref> Quando questi si ribellarono agli accordi, Cesare ne fece imprigionare a tradimento gli ambasciatori e ne assaltò a sorpresa gli accampamenti, uccidendo quasi 200&nbsp;000 tra uomini, donne e bambini.<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', IV,14,5.</ref> L'azione, particolarmente cruenta, suscitò la sdegnata reazione di [[Marco Porcio Catone Uticense|Catone]], che propose al Senato di consegnare Cesare ai Galli, in quanto colpevole di aver violato i diritti degli ambasciatori.<ref>[[Plutarco]], ''Cesare'', 22; ''Catone Minore'', 51.</ref> Il Senato, invece, proclamò una lunghissima ''[[supplicatio]]'' di ringraziamento di ben quindici giorni.<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', IV,38,5.</ref><ref>{{cita|Canfora 1999|p. 120}}.</ref> Subito Cesare, costruito in gran fretta un [[ponte di Cesare sul Reno|ponte di legno sul Reno]], condusse una breve spedizione in Germania per intimidire gli abitanti del luogo e scoraggiare altri eventuali tentativi di invasione.
[[categoria:biografie|Giulio Cesare]]
 
[[categoria:condottieri|Giulio Cesare]]
Nell'estate del 55 a.C., Cesare decise di invadere la ricca e misteriosa Britannia. Dopo alcune operazioni preventive, salpò con ottanta navi e due legioni per sbarcare nei pressi di [[Dover]], poco lontano da dove lo attendeva l'esercito nemico. Dopo un duro combattimento, i Britanni furono sconfitti e decisero di sottomettersi a Cesare, ma tornarono quasi subito alla ribellione, non appena appresero che parte della flotta romana era stata danneggiata dalle tempeste, che impedivano l'arrivo di rinforzi.<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', IV, 22,3-26.</ref> Attaccati di nuovo i Romani, i Britanni risultarono, però, nuovamente sconfitti, e furono costretti a chiedere la pace e a consegnare numerosi ostaggi. Cesare tornò allora in Gallia, dove dislocò le legioni negli accampamenti invernali; intanto, però, molti dei Britanni si rifiutarono di inviare gli ostaggi promessi, e Cesare cominciò a programmare una nuova campagna.
[[Categoria:Consoli romani|Giulio Cesare]]
 
[[Categoria:Dittatori romani|Giulio Cesare]]
Nel [[54 a.C.]], assicuratosi la fedeltà della Gallia,<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', V,3-7.</ref> il generale salpò nuovamente verso la Britannia con ottocento navi e cinque legioni.<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', V,8.</ref> Sbarcò senza incontrare nessuna resistenza, ma, non appena si fu accampato, venne attaccato dai Britanni guidati da [[Cassivellauno]], che sconfisse in due diverse battaglie. Cesare decise allora di portare la guerra nelle terre dello stesso Cassivellauno, oltre il [[Tamigi]], e attaccò fulmineamente i nemici: dopo che ebbe riportato delle facili vittorie, molte tribù gli si sottomisero e Cassivellauno, sconfitto, fu costretto ad avviare le trattative di pace, che stabilirono che egli avrebbe offerto ogni anno un tributo e degli ostaggi a Roma. Cesare si ritirò allora dalla Britannia stabilendo numerosi rapporti di clientela che posero la base per la [[Conquista della Britannia|conquista dell'isola]] nel [[43 d.C.]]
[[categoria:persone morte assassinate|Giulio Cesare]]
 
[[Categoria:Storici latini|Giulio Cesare]]
Il proconsole dislocò le sue legioni negli ''hiberna'', quando già in più zone si respirava aria di rivolta. Il capo degli [[Eburoni]], [[Ambiorige]], in particolare, decise di prendere d'assedio un accampamento e, convinti con l'inganno i soldati a uscire allo scoperto, li aggredì, massacrando quindici [[Coorte|coorti]]. Spinto dal successo, attaccò un altro accampamento, retto da [[Quinto Cicerone]]; questi si comportò in modo prudente, e attese l'arrivo di Cesare, che mise in fuga l'esercito nemico di 60&nbsp;000 uomini.<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', V,38-45.</ref> Contemporaneamente, anche il luogotenente di Cesare, [[Tito Labieno]], fu attaccato dai Treviri, guidati da [[Induziomaro]]<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', V,54-56.</ref> ma, sebbene in svantaggio numerico, li sconfisse, uccidendo anche lo stesso capo Induziomaro.<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', pp. 57-58.</ref>
 
All'inizio del [[53 a.C.]], Cesare portò il numero delle sue legioni a dieci, arruolandone una ''ex novo'' e ricevendone un'altra da Pompeo. Fermata una rivolta nella Belgica, marciò contro [[Treviri]], [[Menapi]] ed [[Eburoni]], affidando parte delle truppe al luogotenente [[Tito Labieno]]. Lo stesso Cesare sottopose a crudeli razzie le terre dei Menapi, che furono costretti a sottometterglisi,<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', VI,5-6.</ref> mentre Labieno, mediante vari stratagemmi, poté avere facilmente la meglio sui Treviri e sugli Eburoni.<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', VI,7-8.</ref> Venuto a conoscenza delle vittorie del suo luogotenente, Cesare decise di passare di nuovo il Reno, costruendovi un [[ponte di Cesare sul Reno|nuovo ponte]], per punire i Germani che avevano appoggiato la rivolta gallica ed evitare che dessero ospitalità ai promotori della rivolta stessa.<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', VI,9.</ref> Accortosi del rischio che avrebbe corso inoltrandosi in territori a lui sconosciuti, decise di tornare indietro lasciando in piedi il ponte (con l'eccezione della parte terminale) come monito della potenza romana.<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', VI,29.</ref> Decise dunque di condurre l'intero esercito contro gli Eburoni e il loro capo [[Ambiorige]]; i popoli limitrofi, impauriti dall'entità delle forze dei Romani, accettarono di sottomettersi a Cesare, e Ambiorige si ritrovò così isolato. Molti Galli, anzi, si unirono ai Romani e cominciarono a combattere gli Eburoni; questi, non senza reagire, furono gradualmente sconfitti e massacrati, così che alla fine dell'estate Cesare poté ritenere vendicate le sue quindici coorti.<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', VI,36-41.</ref>
 
[[File:Busto Cesare Napoli.jpg|thumb|right|upright=0.8|Busto di Giulio Cesare del 50 a.C. ([[Museo archeologico nazionale di Napoli]])]]
==== Dalla rivolta di Vercingetorige alla definitiva sottomissione della Gallia (52-50 a.C.) ====
{{vedi anche|Battaglia di Avarico|Battaglia di Gergovia|Battaglia di Alesia}}
[[File:Fortificazioni alesia png.png|thumb|upright=1.4|left|Le opere di fortificazione costruite da Cesare ad [[Battaglia di Alesia|Alesia]]]]
 
Ultimo atto della guerra di Gallia fu la rivolta guidata dal capo degli [[Arverni]] [[Vercingetorige]], attorno al quale si strinsero tutti i popoli celti, inclusi gli "storici" alleati dei Romani, gli Edui.
 
La rivolta ebbe inizio dalle azioni dei [[Carnuti]], ma ben presto a prenderne il comando fu Vercingetorige che, eletto re degli Arverni, si guadagnò l'alleanza di tutti i popoli limitrofi.<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', VII,2-4.</ref> Cesare, allertato, si affrettò a tornare in Gallia, lasciando la Pianura Padana dove si trovava a svernare. Vercingetorige decise di marciargli contro, ma il proconsole in risposta cinse d'assedio la città di [[Bourges|Avarico]]: riuscì a espugnarla dopo quasi un mese con l'ausilio di imponenti opere di ingegneria militare, mentre il re degli Arverni, benché potesse contare su un esercito ben più numeroso di quello di Cesare, si sottrasse allo scontro. Fu quindi costretto ad assistere impotente al massacro di tutta la popolazione della città (oltre 40&nbsp;000 Galli tranne 800 persone che riuscirono a fuggire),<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', VII,27-28.</ref> ma riuscì a ottenere l'appoggio di altre popolazioni galliche.
 
[[File:Siege-alesia-vercingetorix-jules-cesar.jpg|thumb|upright=1.4|La resa di [[Vercingetorige]] secondo [[Lionel-Noël Royer]] ([[Le Puy-en-Velay]], Museo Crozatier, [[1899]])]]
Affidato ai luogotenenti l'incarico di occuparsi del resto della Gallia, Cesare puntò su [[Gergovia]], capitale degli Arverni, dove Vercingetorige si era asserragliato. Sconfitto, anche se di misura, in uno scontro, Cesare fu costretto a togliere l'assedio, preoccupato dalle voci che gli annunciavano una defezione degli Edui, suoi storici alleati.<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', VII,37-43.</ref> Intanto Vercingetorige, che si vide confermare il comando della guerra dall'assemblea pangallica, evitò nuovamente una vera battaglia in campo aperto, e decise di rinchiudersi nella città di [[Alesia]].
 
Lì Cesare lo raggiunse e fece costruire una doppia linea di fortificazione che si estendeva per oltre 17 chilometri: egli, infatti, si aspettava l'arrivo di un esercito di rinforzo, e temeva che i suoi 50&nbsp;000 legionari potessero rimanere schiacciati tra le forze nemiche. Difatti, dopo oltre un mese, a sostegno dei 60&nbsp;000 assediati giunsero altri 240&nbsp;000 armati, che attaccarono le dieci legioni di Cesare: egli, guidando l'esercito in prima persona assieme a Labieno, ottenne una decisiva vittoria e costrinse Vercingetorige a consegnarsi.<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', VII,89.</ref>
 
Finiva così la ribellione gallica, e Roma poteva dirsi ormai padrona di una nuova immensa estensione territoriale. Tra il [[51 a.C.|51]] e il [[50 a.C.]], Cesare non ebbe infatti che da sedare alcune rivolte locali, e poté riconciliarsi con le tribù che aveva combattuto: nel 50, infine, dichiarò la Gallia, ormai totalmente in suo possesso, [[provincia romana]], e nel [[49 a.C.]] le sue legioni poterono finalmente tornare in Italia.
 
=== La guerra civile (49-45 a.C.) ===
{{vedi anche|Guerra civile tra Cesare e Pompeo}}
{{citazione|Ecco l'uomo che dobbiamo combattere. Ha tutto, gli manca solo la buona causa|Affermazione di [[Marco Tullio Cicerone]] su Giulio Cesare alla vigilia della guerra civile<ref>{{cita|Spinosa 1986|p. 252}}.</ref>.}}
Dopo aspri dissensi con il Senato, Cesare varcò in armi il fiume [[Rubicone]], che segnava il confine politico dell'Italia; il Senato, di contro, si strinse attorno a Pompeo e, nel tentativo di difendere le istituzioni repubblicane, decise di dichiarare guerra a Cesare (49 a.C.). Dopo alterne vicende, i due contendenti si affrontarono a [[Farsalo]], dove Cesare sconfisse irreparabilmente il rivale. Pompeo cercò quindi rifugio in Egitto, ma lì fu ucciso (48 a.C.). Anche Cesare si recò perciò in Egitto, e lì rimase coinvolto nella contesa dinastica scoppiata tra [[Cleopatra VII]] e il fratello [[Tolomeo XIII]]: risolta la situazione, riprese la guerra, e sconfisse il re del [[Ponto]] [[Farnace II del Ponto|Farnace II]] a [[Battaglia di Zela (47 a.C.)|Zela]] (47 a.C.). Partì dunque per l'[[Africa (provincia romana)|Africa]], dove i pompeiani si erano riorganizzati sotto il comando di Catone, e li sconfisse a [[Battaglia di Tapso|Tapso]] (46 a.C.). I superstiti trovarono rifugio in Spagna, dove Cesare li raggiunse e li sconfisse, questa volta definitivamente, a [[Battaglia di Munda (45 a.C.)|Munda]] (45 a.C.).
 
==== Dal Rubicone a Farsalo (49-48 a.C.) ====
{{vedi anche|Campagna di Lerida|Battaglia di Dyrrhachium|Battaglia di Farsalo}}
[[File:Mondo romano nel 49 aC allo scoppio della guerra civile.png|thumb|left|upright=2.0|Il mondo romano allo scoppio della guerra civile (1º gennaio 49 a.C.). Sono inoltre evidenziate le legioni distribuite per provincia]]
 
Il patto triumvirale, che aveva legato Cesare a Pompeo e Crasso, era ormai del tutto inesistente, da quando Crasso, come era stato deciso nel [[55 a.C.]] in un incontro tra i tre triumviri a [[Lucca]] (dove Cesare si era visto prorogare per un altro quinquennio il proconsolato nelle Gallie), si era recato in [[Siria (provincia romana)|Siria]] a combattere i [[Parti]] ed era morto a [[Battaglia di Carre|Carre]] (53 a.C.).
 
Il Senato, intimorito dai successi di Cesare, aveva dunque deciso di favorire Pompeo, nominandolo ''consul sine collega'' nel 52 a.C., perché frenasse le ambizioni del suo vecchio alleato. Anche negli anni seguenti il Senato aveva fatto in modo che i consoli eletti fossero sempre appartenenti alla ''factio'' dei pompeiani e che osteggiassero dunque le mosse del proconsole di Gallia; Cesare, di contro, aveva in mente di ottenere il consolato per il 49 a.C., in modo da poter tornare a Roma senza divenire oggetto di procedure penali e, una volta rientrato nell'Urbe, impadronirsi del potere. Per questo, nel 50 a.C., gestendo le sue scelte politiche dalla Gallia Cisalpina, richiese al Senato la possibilità di candidarsi al consolato ''in absentia'', ma se la vide nuovamente negare, come già era successo nel [[61 a.C.]] Comprese le intenzioni del Senato, Cesare "neutralizzò" il console pompeiano [[Lucio Emilio Paolo (console 50 a.C.)|Lucio Emilio Paolo]], e fece avanzare ai suoi tribuni della plebe [[Marco Antonio]] e [[Gaio Scribonio Curione]] (che aveva attirato a sé saldandone i debiti) una proposta che prevedeva che tanto lui quanto Pompeo avrebbero sciolto le loro legioni entro la fine dell'anno. Il Senato, invece, ingiunse a entrambi i generali di inviare una legione per la progettata spedizione contro i Parti, mentre elesse consoli per il [[49 a.C.]] [[Lucio Cornelio Lentulo Crure]] e [[Gaio Claudio Marcello (maggiore)|Gaio Claudio Marcello]], feroci avversari di Cesare. Questi fu dunque costretto a lasciare andare una delle sue legioni, che si radunò con quella offerta da Pompeo nel Sud dell'Italia; gli uomini di Cesare, tuttavia, svolsero un importante lavoro di disinformazione, convincendo Pompeo che il loro amato generale era in realtà odiato dai suoi soldati per il suo comportamento dispotico. Cesare, intanto, ordinò ad Antonio e Curione di avanzare una nuova proposta in Senato, chiedendo di poter restare proconsole delle Gallie conservando solo due legioni e candidandosi ''in absentia'' al consolato. Sebbene Cicerone fosse favorevole alla ricerca di un compromesso, il Senato, spinto da Catone, rifiutò la proposta di Cesare, ordinando anzi che sciogliesse le sue legioni entro la fine del [[50 a.C.]] e tornasse a Roma da privato cittadino per evitare di divenire ''hostis publicus''. Cesare ordinò allora ai tribuni della plebe di osteggiare, tramite il diritto di veto, il Senato, ma questi, al principio del 49 a.C., furono costretti a scappare da Roma.<ref>Cesare, ''De bello civili'', I,5,3-5<br />[[Velleio Patercolo]], ''Storia romana'', II,49. Velleio Patercolo, come anche Appiano, accusa gli stessi tribuni della plebe di essere la causa della rottura di Cesare con il senato. Plutarco, invece, sottolinea come violare i sacri diritti dei difensori della plebe fu, per il senato, un atto del tutto controproducente, in quanto fornì a Cesare il migliore dei pretesti per dichiarare guerra alla ''res publica''.</ref> Cesare allora decise di varcare con le sue legioni il confine politico della penisola italiana, il fiume [[Rubicone]]. Il 9 gennaio ordinò a cinque coorti di marciare fino alla riva del fiume, e il giorno successivo lo attraversò, pronunciando la storica frase ''"[[Alea iacta est]]"''.<ref>{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 32}}<br />[[Plutarco]], ''Cesare'', 32,4-8<br />[[Velleio Patercolo]], ''Storia romana'', II,49,4<br />[[Appiano di Alessandria|Appiano]], ''Le guerre civili'', II,35<br />[[Cassio Dione]], ''Storia romana'', XLI,4,1.</ref>
 
[[File:M Antonius.jpg|thumb|upright=0.9|Il tribuno della plebe alleato di Cesare, [[Marco Antonio]]]]
 
Con quest'atto Cesare dichiarò ufficialmente guerra al Senato e alla ''res publica'', divenendo nemico dello Stato romano.<ref group="N">Il fidato luogotenente [[Tito Labieno]], sdegnato dalla scelta di Cesare di dichiarare guerra allo stato romano, abbandonò il suo generale per unirsi alla causa dei pompeiani. Morì qualche anno dopo combattendo a [[Battaglia di Munda (45 a.C.)|Munda]] contro lo stesso Cesare.</ref> Si diresse verso sud spostandosi lungo la costa adriatica, nella speranza di poter raggiungere Pompeo prima che lasciasse l'Italia, per tentare di riconciliarsi con lui; Pompeo, al contrario, allarmato anche dalla caduta di numerose città, tra cui [[Corfinium|Corfinio]], che si erano opposte a Cesare, si rifugiò in [[Apulia]], con l'obiettivo di raggiungere assieme alla sua flotta la penisola balcanica.<ref>Cesare, ''De bello civili'', I,8-23.</ref> L'inseguimento da parte dello stesso Cesare fu inutile, in quanto Pompeo riuscì a scappare assieme ai consoli in carica e a gran parte dei senatori a lui fedeli, e a mettersi in salvo a [[Durazzo]].<ref>Cesare, ''De bello civili'', I,25-28.</ref> Cesare allora, rientrato il 1º aprile a Roma dopo anni di assenza,<ref>[[Plutarco]], ''Cesare'', 35,3<br />[[Appiano di Alessandria|Appiano]], ''Le guerre civili'', II,41<br />[[Cassio Dione]], ''Storia romana'', XLI,15,1.</ref> s'impossessò delle ricchezze contenute nell'[[erario]] e, a una sola settimana dal ritorno, decise poi di marciare contro la Spagna (che gli accordi di Lucca avevano assegnato a Pompeo);<ref>Cesare, ''De bello Gallico'', I,33,4.</ref> giunto in [[Provenza]], lasciò tre legioni al comando di [[Decimo Bruto]] e [[Gaio Trebonio]] con l'incarico di assediare [[Marsiglia]], che cadde in mano ai cesariani solo dopo mesi di assedio. Egli invece proseguì verso la penisola iberica, dove [[Campagna di Lerida|combatté]] contro i tre legati di Pompeo che amministravano la regione: dopo mesi di scontri riuscì ad avere la meglio e poté tornare in Italia.<ref>Cesare, ''De bello civili'', I,52-87.</ref>
 
Retta per soli undici giorni, all'inizio di dicembre, la [[dittatore romano|dittatura]] e ottenuta l'elezione al consolato per il [[48 a.C.]],<ref>Cesare, ''De bello civili'', III,2,1<br />[[Plutarco]], ''Cesare'', 37,1-2<br />[[Appiano di Alessandria|Appiano]], ''Le guerre civili'', II,48.</ref> Cesare decise di attaccare Pompeo nella penisola balcanica, salpando da Brindisi nel gennaio del [[48 a.C.]] assieme al suo luogotenente [[Marco Antonio]].<ref>Cesare, ''De bello civili'', III,6,3.</ref> Il primo scontro con i pompeiani si ebbe a [[Battaglia di Dyrrhachium (48 a.C.)|Durazzo]], dove Cesare subì una pericolosa sconfitta di cui Pompeo non seppe approfittare.<ref>Cesare, ''De bello civili'', III,51-69<br />{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 68}}<br />[[Plutarco]], ''Cesare'', 39.</ref> Si arrivò allo scontro in campo aperto, però, solo il 9 agosto, presso [[Battaglia di Farsalo|Farsalo]]: qui le forze di Pompeo, ben più numerose, furono sconfitte, e i pompeiani furono costretti a consegnarsi a Cesare, sperando nella sua clemenza, o a fuggire.<ref>Cesare, ''De bello civili'', III,88-89<br />[[Plutarco]], ''Cesare'', 44-45<br />[[Appiano di Alessandria|Appiano]], ''Le guerre civili'', II,76-81<br />[[Cassio Dione]], ''Storia romana'', XLI,58-60.</ref>
 
Pompeo cercò rifugio in Egitto, presso il faraone [[Tolomeo XIII]], suo vassallo, ma il 28 settembre, per ordine dello stesso faraone, fu ucciso.<ref>Cesare, ''De bello civili'', III,104,3<br />[[Plutarco]], ''Pompeo'', 79.</ref> Cesare, che si era lanciato all'inseguimento del rivale, se ne vide presentare pochi giorni dopo la testa imbalsamata.<ref>Cesare, ''De bello civili'', III, 106, 1.</ref><ref>La tradizione vuole che Cesare, vista la testa imbalsamata di Pompeo, scoppiò in lacrime. Di questo parla anche [[Petrarca]] nel sonetto 102 del suo ''[[Canzoniere (Petrarca)|Canzoniere]]'':{{citazione|Cesare, poi che'l traditor d'Egitto<br />li fece il don de l'onorata testa,<br />celando l'allegrezza manifesta<br />pianse per gli occhi fuor sì come è scritto;<br />[...]}}</ref>
 
==== Dal ''Bellum Alexandrinum'' a Munda (48-45 a.C.) ====
{{vedi anche|Guerra civile alessandrina|Campagna pontica di Giulio Cesare|Battaglia di Tapso|Battaglia di Munda (45 a.C.)}}
 
In Egitto era in corso una [[Guerra civile alessandrina|contesa dinastica]] tra lo stesso [[Tolomeo XIII]] e la sorella [[Cleopatra VII]]. Cesare, nell'intento di punire il faraone per l'uccisione di Pompeo, decise di riconoscere come sovrana del Paese Cleopatra, con la quale intrattenne una relazione amorosa e generò un figlio, [[Tolomeo XV]], meglio noto come Cesarione.<ref group="N">Il nome {{greco|Καισαρίων}}, con cui il bambino fu chiamato dagli abitanti di Alessandria, è in realtà il diminutivo, in greco, del nome Καῖσαρ, e andrebbe tradotto come ''Cesaretto''. Cfr. {{cita|Canfora 1999|p. 229}}.</ref> La scelta di Cesare non fu ben accolta dalla popolazione di Alessandria d'Egitto, che lo costrinse a rinchiudersi con Cleopatra nel palazzo reale;<ref>Cesare, ''De bello civili'', III,111<br />[[Plutarco]], ''Cesare'', 39,5.</ref> qui il generale romano, disponendo di pochissimi soldati, fu costretto a costruire opere di fortificazione, e a rimanere bloccato nel palazzo fino all'arrivo dei rinforzi. Tentò più volte di rompere l'assedio usando le poche navi che aveva a disposizione, ma fu sempre respinto e durante uno di questi combattimenti, addirittura, saltato giù dalla sua nave distrutta, fu costretto a mettersi in salvo a nuoto, tenendo un braccio, in cui reggeva i suoi ''Commentari'', fuori dall'acqua.<ref>[[Plutarco]], ''Cesare'', 49,8{{citazione|Fu costretto a buttarsi in acqua e a stento si poté salvare a nuoto. Si dice che in quell'occasione egli avesse in mano molte carte, e per quanto venisse preso di mira e dovesse immergersi, non le lasciò, ma con una mano teneva quei fogli fuor d'acqua, e con l'altra nuotava.}}{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 64}} {{citazione|Si gettò in mare, e nuotando per duecento passi si salvò a bordo della nave più vicina, tenendo la mano sinistra alzata per non bagnare alcune carte, e trascinandosi dietro il mantello stretto tra i denti, per non lasciarlo come un trofeo in mano ai nemici.}}[[Cassio Dione]], ''Storia romana'', XLII, 40,8.</ref> Per evitare che [[Achilla]] (generale alessandrino) si potesse impossessare delle poche navi rimaste le fece incendiare, nell'incendio venne probabilmente danneggiata la famosa [[Biblioteca di Alessandria#La conquista di Giulio Cesare|biblioteca di Alessandria]], che conteneva testi unici e d'inestimabile valore. Dopo mesi di assedio, Cesare fu liberato e poté riprendere attivamente la guerra contro i pompeiani, che si erano ormai riorganizzati: il re del Ponto [[Farnace II del Ponto|Farnace II]], a suo tempo alleato di Pompeo, aveva attaccato i possedimenti romani, mentre molti esponenti della ''nobilitas'' senatoriale si erano rifugiati, sotto il comando di Catone l'Uticense, in Africa.
 
{{Doppia immagine|sinistra|Kleopatra-VII.-Altes-Museum-Berlin1.jpg|145|Juba i.jpg|162|La regina d'Egitto [[Cleopatra VII|Cleopatra]] in una statua del [[I secolo a.C.]] ([[Berlino]], Altes Museum)|Statua del re di Numidia [[Giuba I]] realizzata nel [[1882]] da [[Victor Waille]], e oggi conservata al [[Museo del Louvre]]}}
 
Cesare decise di recarsi nel [[Regno del Ponto|Ponto]] per combattere [[Farnace II]], che aveva sconfitto le scarne guarnigioni romane: dopo alcuni fallimentari tentativi di trattativa, Cesare mosse contro Farnace a [[Battaglia di Zela (47 a.C.)|Zela]], dove lo sconfisse senza nessuna fatica, costringendolo a ritirarsi verso nord. Qui Farnace tentò di riorganizzarsi reclutando nuove truppe, ma fu sconfitto e ucciso da un suo ex collaboratore.<ref>''Bellum Alexandrinum'', 74-76<br />[[Plutarco]], ''Cesare'', 50,2<br />[[Appiano di Alessandria|Appiano]], ''Le guerre civili'', II,91<br />[[Cassio Dione]], ''[[Storia romana (Cassio Dione)|Storia romana]]'', XLII,47.</ref>
 
Ristabilita la pace in Oriente, nell'ottobre del [[47 a.C.]] Cesare tornò a Roma,<ref>[[Plutarco]], ''Cesare'', 51,1.</ref> dove alcune legioni al comando di Marco Antonio si stavano ribellando, in attesa della somma di denaro che lo stesso Cesare aveva promesso loro prima della battaglia di Farsalo. Con un'abile mossa, Cesare fece leva sull'orgoglio dei legionari e sull'attaccamento che provavano verso di lui per convincerli a rimanere al suo servizio, e con essi partì per l'Africa<ref>''Bellum Africanum'', 2,4<br />[[Plutarco]], ''Cesare'', 52,2<br />[[Appiano di Alessandria|Appiano]], ''Le guerre civili'', II,95.</ref> dove giunse il 28 dicembre.
 
Qui i pompeiani, che erano sotto la guida di Catone, avevano radunato un grande esercito, affidato a Tito Labieno e [[Quinto Cecilio Metello Pio Scipione Nasica]], e avevano stretto alleanza con il re di Numidia [[Giuba I]]. Dopo alcune scaramucce, Cesare diede battaglia presso [[Battaglia di Tapso|Tapso]], dove il 6 aprile [[46 a.C.]] sconfisse l'esercito avversario.<ref>''Bellum Africanum'', 83<br />[[Plutarco]], ''Cesare'', 53,4<br />[[Appiano di Alessandria|Appiano]], ''Le guerre civili'', II,96-97<br />[[Cassio Dione]], ''[[Storia romana (Cassio Dione)|Storia romana]]'', XLIII,7-8.</ref> Catone, venuto a sapere della sconfitta, si suicidò a [[Utica (Tunisia)|Utica]].<ref>''Bellum Africanum'', 88,3-5<br />[[Plutarco]], ''Cesare'', 54,2; ''Catone Minore'', 70<br />[[Appiano di Alessandria|Appiano]], ''Le guerre civili'', II,98-99<br />[[Cassio Dione]], ''[[Storia romana (Cassio Dione)|Storia romana]]'', XLIII,11.</ref> Labieno e i due giovani figli di Pompeo, [[Gneo Pompeo il Giovane|Gneo]] e [[Sesto Pompeo|Sesto]], riuscirono invece a evitare la cattura e a rifugiarsi in Spagna.
 
Pacificata l'Africa, Cesare poté tornare a Roma il 25 luglio del [[46 a.C.]], dove fu gioiosamente accolto dalla popolazione: la pace sembrava essere tornata, e l'Italia non aveva dovuto essere il teatro di nuove violenze, come lo era stata durante le precedenti guerre civili. Di Cesare, anzi, si lodava la clemenza, che lo aveva spinto a risparmiare e accogliere presso di sé tutti i pompeiani che gli si erano presentati dopo Farsalo, e a evitare nuovi eccidi come le proscrizioni sillane, di cui aveva rischiato di rimanere vittima nella giovinezza.<ref>Oltre agli storici che trattano la vita di Cesare, anche il filosofo [[Seneca]] esaltò la sua clemenza, e pose infatti Cesare come modello da imitare nel suo ''De clementia''.</ref> Giunto a Roma, inoltre, poté annunciare l'annessione delle Gallie e della Numidia e la conferma del protettorato sull'Egitto, assicurando così all'Urbe un migliore rifornimento di generi alimentari (tra cui il grano e l'olio), che allontanava il pericolo di carestie e altri eventuali problemi di approvvigionamento.<ref>''Bellum Africanum, ''98,2<br />[[Plutarco]], ''Cesare'', 55,1<br />[[Cassio Dione]], ''[[Storia romana (Cassio Dione)|Storia romana]]'', XLIII,14,2.</ref>
 
[[File:Cleopatra and Caesar by Jean-Leon-Gerome.jpg|thumb|Cesare e [[Cleopatra VII|Cleopatra]] durante il soggiorno [[Alessandria d'Egitto|alessandrino]], da un dipinto di [[Jean-Léon Gérôme]]]]
 
Tra l'agosto e il settembre del [[46 a.C.]], celebrò quattro trionfi, uno per ciascuna campagna militare che aveva con successo portato a termine: quella di Gallia, quella in Egitto, quella nel [[Regno del Ponto|Ponto]] contro [[Farnace II]] e quella in Africa. In ciascuna occasione Cesare, vestito di abiti di porpora, percorse sul carro trionfale la [[via Sacra]], mentre dietro di lui scorrevano i legionari, il bottino e i prigionieri. I soldati, in particolare, durante la processione, declamavano versi di lode e scherno nei confronti del generale, prendendone ora in giro i costumi sessuali e celebrandone ora le vittorie: sono un esempio il ''carmen triumphale'' di cui sotto o il cartello che recava la scritta ''Veni, vidi, vici'' (Venni, vidi, vinsi), e che descriveva la fulminea vittoria nel [[Regno del Ponto|Ponto]]. Particolarmente suggestiva fu la celebrazione del trionfo sulle Gallie, durante la quale Cesare salì sul [[Campidoglio]] sfilando tra quaranta elefanti che reggevano dei candelabri. A ornare il corteo, in quell'occasione, ci fu Vercingetorige che, catturato da Cesare ad Alesia, era da cinque anni rinchiuso in prigione; terminata la celebrazione fu subito strangolato.<ref>[[Plutarco]], ''Cesare'', 55,2<br />{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 37.1}}.</ref>
 
In occasione dei trionfi, Cesare offrì agli abitanti di Roma rappresentazioni teatrali, corse, giochi di atletica, lotte tra gladiatori e ricostruzioni di combattimenti terrestri e navali (si trattò delle prime [[naumachia|naumachie]] mai rappresentate a Roma), e organizzò dei banchetti ai quali presero parte oltre duecentomila persone. Utilizzando i bottini delle varie campagne, che ammontavano a oltre seicento milioni di [[sesterzio|sesterzi]],<ref>[[Velleio Patercolo]], ''Storia romana'', II,56.</ref> poté finalmente elargire le somme di denaro che aveva da tempo promesso al popolo e ai legionari: ogni abitante dell'Urbe beneficiò di 75 [[denario|denari]], a cui se ne aggiunsero altri 25 come indennizzo per il ritardo nella consegna dei denari stessi; ogni legionario, invece, ricevette 24&nbsp;000 sesterzi e un lotto di terra. Cesare, infine, annullò le pigioni che ammontavano, a Roma, a meno di 1&nbsp;000 sesterzi, e quelle che ammontavano, in tutto il resto dell'Italia, a meno di 500.<ref>{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 38}}.</ref>
 
Contemporaneamente, Cesare poté soddisfare le rivendicazioni dei ''populares'', avviando la riorganizzazione del mondo romano (vedi [[#La dittatura|La dittatura]]). Ordinò un censimento degli abitanti di Roma in modo da poter migliorare la gestione cittadina, e fondò nuove colonie nelle province dove fece insediare oltre 80&nbsp;000 tra esponenti del sottoproletariato urbano di Roma e soldati in congedo: in questo modo poté rifondare città come Cartagine e Corinto, distrutte in guerra un secolo prima.<ref>Cassio Dione Cocceiano, XLIII, 50.4.</ref>
 
La pace ristabilita dopo Tapso si rivelò quanto mai precaria, e già sul finire del [[46 a.C.]] Cesare fu costretto a recarsi in Spagna, dove i pompeiani si erano ancora una volta riorganizzati sotto il comando dei superstiti della guerra d'Africa, i due figli di Pompeo e Tito Labieno. Si trattò della più difficile e sanguinosa di tutte le campagne della lunga guerra civile, dove l'abituale clemenza lasciò il passo a efferate crudeltà da ambo le parti. La guerra si concluse con la [[Battaglia di Munda (45 a.C.)|battaglia di Munda]], nell'aprile del [[45 a.C.]], dove Cesare affrontò finalmente i suoi avversari sul campo, e li sconfisse irreparabilmente. Si trattò, comunque, della più pericolosa delle battaglie combattute da Cesare, che arrivò persino a disperare della vittoria e a pensare di darsi la morte.<ref>{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 36}}.</ref> Tito Labieno cadde sul campo, mentre Gneo Pompeo fu ucciso poco tempo dopo; solo Sesto riuscì a salvarsi, rifugiandosi in Sicilia. Alla vittoria contribuì, seppure in minima parte, il giovane pronipote dello stesso Cesare, [[Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto|Ottavio]], che, giunto in Spagna dopo un lungo periodo di malattia, diede prova del suo valore, spingendo lo zio ad adottarlo nel testamento.<ref>{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Augusto'', 8}}.</ref><ref>{{cita|Canfora 1999|cap. XXVII, ''Il rampollo di palma: si fa avanti il giovane Ottavio''}}.</ref>
 
Tornato a Roma nell'ottobre, Cesare, eliminato finalmente ogni oppositore, celebrò il trionfo sui figli di Pompeo che aveva appena sconfitto nella campagna ispanica: si trattava di un qualcosa che non era affatto contemplato dalla tradizione romana, che permetteva la celebrazione di un trionfo solo su genti esterne e non su cittadini romani. Anche Silla, che pure aveva riformato la ''res publica'' secondo il suo volere, non aveva celebrato alcun trionfo per le vittorie nella guerra civile contro i ''populares''. Cesare, inoltre, decise di concedere il trionfo anche al nipote [[Quinto Pedio]], infrangendo così anche la tradizione che prevedeva che a ottenere il sommo riconoscimento delle proprie azioni belliche fossero esclusivamente i generali, e non i loro luogotenenti.<ref>[[Plutarco]], ''Cesare'', 56<br />{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 37.1}}<br />[[Cassio Dione]], ''[[Storia romana (Cassio Dione)|Storia romana]]'', XLIII,42.</ref> Il comportamento di Cesare, che apparve anche ai suoi contemporanei come un pericoloso errore politico, turbò profondamente il popolo romano, che vide così festeggiare le distruzione della stirpe ''del più forte e più sventurato tra i Romani''.<ref>[[Plutarco]], ''Cesare'', 56,7-9.</ref>
 
=== La dittatura ===
Alla fine della prima campagna di Spagna, nel 49 a.C., Cesare prese il potere a Roma come ''[[Dittatore romano|dictator]]'', titolo che mantenne fino alla morte nel [[44 a.C.]], e ottenne il consolato per l'anno successivo.
Dopo esser stato nominato ''[[Dittatore romano|dictator]]'' con carica decennale nel [[47 a.C.]], e detenendo anche il titolo di ''[[imperator]]'', fu ripetutamente eletto console nel [[46 a.C.|46]], nel [[45 a.C.|45]] e nel 44 a.C., quando, il 14 febbraio, ottenne anche la carica di dittatore a vita,<ref group="N">Per quell'anno scelse come suo ''magister equitum'' il futuro [[Secondo triumvirato|triumviro]] [[Marco Emilio Lepido (triumviro)|Marco Emilio Lepido]].</ref> che sancì definitivamente il suo totale controllo su Roma.
 
[[File:Statue of Julius Caesar in Via dei Fori Imperiali (Roma).jpg|thumb|left|upright=1.0|Statua di Giulio Cesare (copia in bronzo in [[Via dei Fori Imperiali]] a [[Roma]]; l'originale è conservato all'interno del [[Palazzo Senatorio]], nella sala consiliare del Comune di Roma)]]
 
Furono erette sue statue a fianco di quelle degli antichi re ed ebbe un trono d'oro in Senato e in [[Tribuno della plebe|Tribunato]]. Una mattina su una sua statua d'oro collocata presso i rostri venne posto un [[diadema]], ritenuto simbolo di regalità e di schiavitù. Due tribuni della plebe, Lucio e Gaio, sconcertati, fecero togliere il diadema e accusarono Cesare di volersi proclamare [[rex (storia romana)|re di Roma]], ma questi convocò immediatamente il Senato e accusò a sua volta i tribuni di aver posto il diadema per screditarlo e renderlo odioso agli occhi del popolo, che lo avrebbe percepito come il detentore di un potere illegale: i due tribuni vennero dunque destituiti e sostituiti. Ancora più importante fu l'episodio dei ''[[Lupercalia|Lupercali]]'', un'antica festa durante la quale uomini di ogni età, in vesti succinte, percorrevano le strade dell'Urbe muniti di strisce di pelle di capra con cui colpire chi si trovavano di fronte. Mentre Antonio guidava la processione per il Foro, Cesare vi assisteva dai rostri: gli si avvicinò dunque Licinio, che depose ai suoi piedi un diadema d'oro; il popolo, allora, esortò il ''magister equitum'' [[Marco Emilio Lepido|Lepido]] a incoronare Cesare, ma questi esitava. Allora, [[Gaio Cassio Longino]], che era a capo della congiura che si andava tessendo contro lo stesso Cesare, fingendosi benevolo, glielo pose sulle ginocchia assieme a [[Publio Servilio Casca Longo]]. Al gesto di rifiuto di Cesare, accorse infine Antonio, che gli pose il diadema sul capo e lo salutò come re; Cesare lo rifiutò e lo gettò via, dicendo di chiamarsi ''Cesare'' e non ''re'', ricevendo così gli applausi del popolo, ma Antonio lo ripose per una seconda volta. Visto il turbamento che si era nuovamente diffuso nel popolo tutto, Cesare ordinò di mettere il diadema sul capo della statua di [[Giove (divinità)|Giove Ottimo Massimo]], la maggiore divinità romana.<ref>[[Plutarco]], ''Cesare'', 60-61,1-6<br />[[Nicola di Damasco]], ''Vita di Augusto'', 20-21.</ref>
 
Una ''vexata quaestio'' è costituita dall'interpretazione delle volontà e delle aspirazioni politiche di Cesare degli ultimi anni di vita: non è chiaro se la dittatura perpetua dovesse essere nelle sue intenzioni la "fase suprema" del suo potere o se invece fossero da lui nutrite anche ambizioni monarchiche. A partire dalla tesi classica di [[Eduard Meyer]], il quale intravedeva nelle mire cesariane la volontà di istituire una monarchia di tipo ellenistico, ovvero una [[Assolutismo monarchico|monarchia assoluta]] di [[Diritto divino dei re|diritto divino]], gli studiosi si sono divisi tra i sostenitori di questa teoria, coloro che invece pensano a un modello monarchico di tipo romuleo e vetero-romano,<ref>[[Andreas Alföldi]] e [[Joseph Vogt]].</ref> e quelli che, infine, negano decisamente qualsiasi progetto regale.<ref>cfr. gli studi di [[Giuseppe Zecchini]] e [[Augusto Fraschetti]].</ref> La questione è difficilmente risolvibile, anche se alcuni elementi fanno pensare a un Cesare affascinato dai modelli monarchici orientali; si pensi al prolungato soggiorno alessandrino e al rapporto con [[Cleopatra]] (alla quale aveva fra l'altro dedicato un'immagine d'oro nel suo Foro), o alla politica edilizia di chiaro stampo dinastico o, infine, al progetto di matrice alessandrina (e anche pergamena) di apertura di una biblioteca pubblica a Roma. Va anche considerato che al centro del foro di Cesare troneggiava una statua equestre di [[Alessandro Magno]] con il volto del dittatore romano e che prima della spedizione contro i [[Parti]] nel Mediterraneo orientale, venne fatto circolare un oracolo secondo il quale quel popolo avrebbe potuto essere sconfitto solo da un re.
 
==== Nuovo corso amministrativo ====
Assunta la dittatura, Cesare continuò l'attuazione di alcune di quelle riforme che erano state portate avanti da Silla quasi cinquant'anni prima. Decise di estendere la [[cittadinanza romana]] agli abitanti della Gallia Transpadana, e portò a novecento il numero dei senatori, inserendo nell'assemblea degli uomini a lui fedeli. Intese, inoltre, rafforzare le [[assemblee romane|assemblee popolari]] a detrimento del Senato stesso, che avrebbe dovuto gradualmente perdere la propria autonomia decisionale.<ref>[[Theodor Mommsen]], ''Storia di Roma antica'', p. 1123.</ref> Fu il primo, poi, a tentare di adattare la burocrazia della ''res publica'' alle nuove esigenze che essa mostrava di avere: dopo la conquista della Gallia e l'espansione a Oriente c'era bisogno di una migliore gestione del potere e di un apparato statale più efficiente. Egli, perciò, con il duplice obiettivo di risolvere i neonati problemi e di offrire cariche ai suoi sostenitori politici:
* aumentò il numero dei magistrati: i questori passarono da venti a quaranta, i pretori da otto a sedici, gli edili furono sei. I consoli rimasero due, con l'aggiunta di altri due magistrati che, seppure privi di qualsiasi ''imperium'' consolare, potevano poi svolgere le funzioni dei proconsoli;
* si fece attribuire il diritto di nominare metà dei magistrati, e poteva comunque raccomandarne altri e fare in modo che venissero eletti ugualmente;
* mise mano alla composizione del Senato: per supplire alle numerose perdite dovute alla guerra civile, immise nel Senato molti nuovi membri a lui fedeli, portando fino a ottocento o novecento il numero dei membri dell'assemblea, fissato in precedenza da Silla a seicento, e ammettendovi anche uomini originari delle province spagnole e galliche.
 
Rinnovò l'organizzazione dei municipi italiani e, per quanto riguarda l'amministrazione provinciale, decise di limitare la durata degli incarichi dei governatori (che, per i [[proconsole|proconsoli]], poteva raggiungere i cinque anni) a un anno per i [[propretore|propretori]] e due anni per i proconsoli. Tutti questi provvedimenti rimasero in vigore anche dopo la morte di Cesare grazie a un accordo tra il leader del Senato Cicerone e quello cesariano [[Marco Antonio|Antonio]] che, in cambio, dovette accettare la concessione di un'[[amnistia]] ai [[cesaricidi]].
 
==== Realizzazioni architettoniche ====
{{Doppia immagine|destra|Plan forum cesar.png|200|The Forum of Caesar (built near the Forum Romanum in Rome in 46 BC) and the Temple of Venus Genetrix, Imperial Forums, Rome (21101482544).jpg|240|Mappa ricostruttiva del Foro di Cesare|I resti del [[foro di Cesare]] e del [[Tempio di Venere Genitrice]]}}
 
Più volte nel corso della sua lunga carriera politica Cesare favorì la nascita di nuove opere architettoniche, sempre con l'obiettivo di stupire la plebe e acquisire così una popolarità sempre maggiore. Al termine della guerra di Gallia ([[51 a.C.]]), Cesare cominciò una campagna elettorale con l'obiettivo di ottenere il consolato; poco tempo prima, Pompeo aveva donato a Roma il primo [[Teatro di Pompeo|teatro stabile]], costruito in pietra, e aveva fatto edificare una nuova [[curia (storia romana)|curia]] per il Senato. A sua volta, dunque, Cesare lanciò un vasto programma di opere pubbliche che prevedeva la costruzione di un nuovo [[foro di Cesare|foro]] presso l'[[Argileto]]. L'opera doveva essere finanziata con il bottino ricavato durante la guerra in Gallia, e solo l'acquisto dei terreni necessari comportò la spesa di oltre cento milioni di sesterzi.<ref>{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 81}}.</ref> Questo foro Giulio aveva una forte somiglianza con quello della città di [[Pompei (città antica)|Pompei]], realizzato nello stesso periodo: era costituito, infatti, da una lunga spianata di forma rettangolare chiusa sui lati da una serie di portici, alla cui fine si ergeva il [[tempio di Venere Genitrice]]. Secondo Appiano,<ref>''Le guerre civili'', II,68.</ref> questo tempio sarebbe stato una sorta di ringraziamento rivolto alla dea da parte di Cesare per avergli consentito di uscire vincitore dallo scontro di Farsalo. Davanti a questo tempio, Cesare stesso si fece rappresentare in una statua equestre, a cavallo del suo destriero personale, per il quale aveva una grande predilezione.<ref>{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 61}}.</ref>
 
La costruzione di questo foro diede vita a una nuova e originale tipologia architettonica, che univa lo schema greco ed ellenistico dell'[[agorà]] alla classica struttura romana del tempio su ''podium''. È in questo stile che furono poi realizzati tutti i successivi [[fori imperiali]].
 
Con la dittatura, raggiunto il culmine del potere, Cesare poté adoperare ogni mezzo per la costruzione di opere sempre più grandiose: con il pretesto della celebrazione dei giochi per il suo trionfo, fece ingrandire il circo costruendovi nuovi settori di scalinate, in modo che vi potessero prendere posto più persone; ordinò la realizzazione di uno stadio per i lottatori nel [[Campo Marzio (antichità)|Campo Marzio]] e fece scavare sulla riva del [[Tevere]] un bacino che ospitasse [[naumachia|naumachie]].
 
Cercò anche di rinnovare il vecchio [[foro romano|foro]], programmando la costruzione di una nuova curia, in quanto la ''[[Curia Hostilia]]'' era stata distrutta nel [[52 a.C.]] da un incendio appiccato durante i funerali di [[Publio Clodio Pulcro]] dai sostenitori del defunto, fortemente ostili all'aristocrazia senatoria. Cesare diede il via alla costruzione di una nuova struttura, la ''Curia Iulia'', la cui realizzazione si interruppe durante il lungo periodo delle guerre civili per essere poi ripresa da Augusto e completata nel [[29 a.C.]] Quando fu portato a termine il grande bacino per le naumachie, Cesare progettò anche la costruzione di un tempio di Marte, che doveva essere più grande di qualsiasi altro, di una nuova [[Basilica (architettura civile)|basilica]] che doveva sorgere nell'area della vecchia [[basilica Sempronia]], e di un nuovo immenso teatro stabile in pietra, ai piedi del monte Tarpeo. Cesare non poté vedere realizzati i suoi progetti a causa della sua prematura morte, ma essi furono portati a termine da Augusto, che costruì, infatti, il [[tempio di Marte Ultore]], la [[basilica Giulia]] e il [[teatro di Marcello]]. Non fu invece mai realizzata la biblioteca che Cesare intendeva costruire per raccogliervi le opere in lingua latina e greca, per la cui realizzazione si stava già adoperando, prima della morte del dittatore, [[Marco Terenzio Varrone]].<ref>{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 44}}.</ref>
 
==== La riorganizzazione di Roma ====
Per decongestionare la città di Roma, che con il continuo arrivo di nuovi abitanti che andavano a ingrossare le file del sottoproletariato urbano era ormai decisamente sovrappopolata, Cesare decise di modificarne i confini amministrativi, allargando il perimetro del ''[[pomerium]]'' a un [[miglio (unità di misura)|miglio]] romano (1.480 metri) dalle antiche mura.<ref name="Carcopino_vita">[[Jérôme Carcopino]], ''La vita quotidiana a Roma''.</ref> Questa misura fu appena sufficiente, tanto che Augusto, pochi anni più tardi, dovette rimettere mano all'organizzazione dell'Urbe allargandone il perimetro e stabilendone la suddivisione in quattordici [[Rioni di Roma#Le Regiones romane|rioni]].
 
Per migliorare la gestione cittadina, Cesare decise di censirne la popolazione, escogitando per questo un metodo innovativo, che soppiantasse il vecchio procedimento che prevedeva il passaggio dei cittadini, divisi per tribù, presso gli "uffici" di coloro che si occupavano del censimento. Cesare dispose che il censimento fosse organizzato nei singoli quartieri, e che se ne dovessero occupare i proprietari degli immobili che ospitavano le case. Il metodo dovette essere efficace, perché anche Augusto lo adottò per censire la popolazione, una volta preso il potere.<ref>{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Augusto'', 40}}.</ref> Svetonio, senza riferire il risultato di questo censimento, dice che esso permise di abbassare da 320&nbsp;000 a 150&nbsp;000 il numero di coloro che, in quanto nullatenenti, beneficiavano delle assegnazioni di grano da parte dello stato. Inoltre, per evitare che si creasse occasione di malcontento, Cesare decise che, anno per anno, i pretori avrebbero tirato a sorte i nomi di coloro che, morto un beneficiario delle assegnazioni, ne avrebbero preso il posto.<ref>{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 41}}.</ref>
 
Un ultimo progetto, che Cesare attuò con l'obiettivo di migliorare quanto più possibile la circolazione in una città dalle strade strette e spesso ingombre, fu quello di vietare durante il giorno la circolazione a tutti i veicoli a ruote, a eccezione dei carri per le processioni e di quelli adoperati per il trasporto di [[materiali da costruzione]] nei cantieri. Questa legge fu votata e approvata soltanto dopo la morte di Cesare, ma restò in vigore per molti secoli, dimostrando quindi che la necessità di migliorare la circolazione per le vie di Roma continuò a lungo a farsi sentire.<ref name="Carcopino_vita"/> A partire da Cesare, dunque, il trasporto delle merci avvenne durante la notte, e il rumore che esso causava, fonte di grande disturbo per tutti coloro che dormivano, fu oggetto delle recriminazioni di [[Marziale]]<ref>Marziale IV,64.</ref> e [[Giovenale]].<ref>Giovenale, III,256.</ref>
 
==== Politica economica ====
[[File:RSC 0022 - transparent background.png|thumb|Un [[denario]] emesso da Cesare nel 44 a.C. Sulle due facce sono rappresentati Cesare e [[Venere (divinità)|Venere]] che tiene in mano la [[Vittoria (divinità)|Vittoria]]]]
Le guerre civili che Cesare condusse suscitarono forti difficoltà economiche: c'era, per esempio, il bisogno di stipendiare tutti i legionari che seguivano il loro generale in giro per il mondo. A partire dal [[49 a.C.]], allora, Cesare si dotò di una propria zecca personale, che lo seguiva sul teatro di ogni sua operazione e coniava le monete di cui c'era un bisogno sempre crescente. Non si trattava di una pratica nuova: il Senato, infatti, l'aveva autorizzata già in precedenza per i grandi corpi di spedizione di [[Lucio Licinio Lucullo]] o di Pompeo Magno in Oriente,<ref>Georges Depeyrot, ''La Monnaie romaine: 211 av. J.-C. - 476 apr. J.-C.''.</ref> ma Cesare prese l'iniziativa spontaneamente, impossessandosi, senza alcuna autorizzazione, delle riserve auree contenute nell'[[erario]].<ref group="N">Secondo [[Plinio il Vecchio]] (''Naturalis Historia'', XXXIII,17), le riserve ammontavano a 15&nbsp;000 libbre d'oro in lingotti, 35&nbsp;000 d'argento, anch'esse in lingotti, e quaranta milioni di sesterzi.</ref> Egli apportò, comunque, due grandi innovazioni alla monetazione, che furono poi riprese da Ottaviano e Marco Antonio per divenire d'uso comune in tutta l'epoca imperiale. Cesare per primo, infatti:
* ordinò la coniazione di monete in oro;
* fece imprimere il proprio ritratto sulle monete.
 
A Roma non erano mai state emesse monete in oro se non temporaneamente e in momenti di grandissimo pericolo (come le fasi cruciali della [[seconda guerra punica]]) dietro la decisione del Senato.<ref group="N">Il numismatico Henry Coen segnala l'esistenza di una moneta in oro che rappresenta Pompeo Magno mentre celebra il trionfo nel 67 a.C. Si trattava probabilmente di un caso isolato, che non aveva precedenti e non doveva avere seguito.</ref> L'emissione dell{{'}}''[[aureo|aureus]]'', dunque, si ricollegava all'idea di attingere alle riserve d'oro per salvare la ''res publica'' in pericolo; inoltre, l'elevato valore della moneta (un ''aureus'' valeva 25 [[denario|denari]] o 100 [[sesterzio|sesterzi]]) facilitava l'assegnazione di gratifiche ai soldati.
 
I soggetti rappresentati sulle facce delle monete, infine, avevano un forte valore propagandistico: oltre al ritratto di Cesare accompagnato dal suo nome, apparivano principalmente le seguenti figure:<ref>Henry Cohen, ''Description historique des monnaies frappées sous l'Empire romain, monnaies de César'', Parigi, 1892.</ref>
* Venere, rappresentata di profilo o in piedi, è il soggetto più frequente,<ref group="N">Secondo Georges Depeyrot appare in circa il 10% delle emissioni.</ref> in quanto Cesare faceva risalire proprio a lei l'origine della ''gens'' Iulia;
* alcuni oggetti utilizzati nel culto, che ricordavano la ''pietas'' di Cesare e la sua dignità di augure e pontefice massimo;
* delle [[Vittoria (divinità)|Vittorie]], delle insegne militari e dei trofei delle vittorie ottenute sui Galli.
 
==== Politica estera ====
{{vedi anche|Guerre romano-persiane#Cesare programma la conquista della Partia (44 a.C.)}}
 
Cesare, una volta divenuto unico padrone di Roma, sebbene avesse ormai raggiunto un'età venerabile, era deciso ad attuare nuove campagne di espansione, sempre sull'esempio dell'uomo che ne aveva ispirato le imprese militari, [[Alessandro Magno]], creatore di un vero impero universale. Intendeva quindi vendicare la sconfitta di Crasso a [[Battaglia di Carre|Carre]]<ref>E.Horst, Cesare, Milano 1982, p. 269.</ref> contro i [[Parti]] e sottomettere l'intera Europa continentale, attuando una campagna nella zona danubiana contro i [[Daci]] di [[Burebista]], una in [[Dalmazia (provincia romana)|Dalmazia]] e un'altra contro le popolazioni della [[Germani]]a libera, che troppo spesso avevano interferito nel corso della difficile [[conquista della Gallia]].<ref>[[Cassio Dione]], ''[[Storia romana (Cassio Dione)|Storia romana]]'', XLIII,51<br />[[Plutarco]], ''Cesare'', 58<br />[[Appiano di Alessandria|Appiano]], ''Le guerre civili'', II,110.</ref><ref group="N">Sul potenziale pericolo costituito dai popoli contro i quali Cesare stava organizzando le sue spedizioni si vedano:<br />[[Marco Tullio Cicerone]], ''Lettere ad Attico'', 14,9,3<br />[[Cassio Dione]], ''[[Storia romana (Cassio Dione)|Storia romana]]'', XLVII,27,2-5.</ref>
 
A causa della sua morte violenta e prematura, Cesare non poté attuare nessuna delle campagne che aveva programmato. Benché fossero già stati nominati coloro che avrebbero condotto la [[Guerre romano-partiche#Cesare programma la conquista della Partia (44 a.C.)|campagna contro i Parti]], della cui organizzazione si stava occupando anche il giovane Ottaviano, e fossero già stati incaricati i magistrati che avrebbero retto lo stato durante l'assenza di Cesare,<ref>[[Cassio Dione]], ''[[Storia romana (Cassio Dione)|Storia Romana]]'', XLIII,47 e 49.</ref> essa non fu mai realmente portata a termine, tanto che la zona orientale dell'impero rimase sempre una delle più instabili. Tuttavia, più tardi, nel [[20 a.C.]], Augusto si accordò con i Parti e ottenne la restituzione delle insegne sottratte a Crasso a [[Battaglia di Carre|Carre]].
 
Le altre imprese che Cesare preparava furono invece portate a termine in tempi successivi: la [[Dalmazia (provincia romana)|Dalmazia]] fu completamente assoggettata da Augusto dopo la [[rivolta dalmato-pannonica del 6-9]]; la [[Germania (provincia romana)|Germania]] fu [[occupazione romana della Germania sotto Augusto|occupata solo per un ventennio]] sotto [[Augusto]], e i [[limes romano|confini romani]] rimasero dove li aveva lasciati Cesare, sul [[Reno (Germania)|Reno]]; la [[Dacia (regione storica)|Dacia]], infine, fu conquistata da [[Traiano]] nel [[106]], dopo [[Conquista della Dacia|due campagne militari]].
 
A Cesare va comunque il merito di aver sottomesso il mondo celtico, che costituiva uno dei principali pericoli per l'espansione romana in Europa: sebbene si trattasse di civiltà meno complesse di quella di Roma, la loro forza militare, riposta soprattutto nella cavalleria, era notevole, e la loro presenza ai confini dell'Italia causava una situazione di costante pericolo. Per contro i Galli, una volta entrati a far parte dello stato romano, furono tra le prime popolazioni provinciali a ricevere la cittadinanza, accettando di buon grado il processo di romanizzazione.
 
==== La riorganizzazione dell'esercito ====
{{vedi anche|Esercito romano|Dislocazione delle legioni romane}}
[[File:Caesar.jpg|left|thumb|upright=1.0|Busto di Cesare in uniforme militare]]
 
Giulio Cesare è considerato, tanto dagli autori moderni quanto dai suoi contemporanei, il più grande genio militare della storia romana.<ref>{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 55}}.</ref> Egli seppe stabilire con i suoi soldati un rapporto tale di stima e devozione appassionata, da poter mantenere la disciplina evitando sempre il ricorso alla violenza contro i suoi stessi uomini. Nel corso della campagna di Gallia, Cesare non vietò mai ai suoi soldati di far bottino, ma il legionario doveva aver sempre ben chiaro l'obiettivo finale, e le sue azioni non dovevano in nessun modo condizionare i piani operativi della campagna del suo comandante. Conscio della situazione disagiata dei soldati, che venivano di solito ricompensati al congedo con una concessione di ''ager publicus'' ma che fino a quel momento erano costretti a vivere con poco, di sua iniziativa, tra il [[51 a.C.|51]] e il [[50 a.C.]] decise di raddoppiarne la paga, che passò da 5 a 10 assi al giorno (pari a 225 denarii annui). La riforma fu così ben accolta che la paga del legionario rimase invariata fino a quando l'imperatore [[Domiziano]] ([[81]]-[[96]]) prese nuovi provvedimenti.
 
Egli fu, inoltre, il primo a comprendere che una dislocazione di parte delle forze militari repubblicane ([[legione romana|legioni]] e [[Truppe ausiliarie dell'esercito romano|truppe ausiliarie]]) doveva costituire la base per un nuovo sistema strategico di difesa globale lungo tutti i confini, e in particolare in quelle aree "a rischio". Durante la campagna di Gallia, infatti, negli inverni posizionava le sue legioni in aree strategiche, in modo che la situazione rimanesse tranquilla nei momenti in cui non ci fosse la possibilità di intervenire prontamente in caso di necessità.
 
Creò un ''cursus honorum'' per il centurionato, che si basava sui meriti del singolo individuo, tanto che a seguito di gesti particolari di eroismo, alcuni soldati potevano essere promossi ai ''primi ordines'', dove al vertice si trovava il ''[[primus pilus]]'' o ''primipilare'' di legione. Inoltre, poteva anche avvenire che un ''primus pilus'' venisse promosso a ''[[Tribuno militare|tribunus militum]]''. Si andava indebolendo, pertanto, la discriminazione tra ufficiali e sottufficiali, e si rafforzava lo spirito di gruppo e la professionalità delle unità.
 
Egli, contrariamente a quanto avevano fatto molti dei suoi predecessori, che fornivano alle truppe donativi occasionali, reputò fosse necessario dare continuità al servizio che i soldati prestavano, e istituì il diritto a un premio per il congedo: era da tempo in uso la consuetudine di donare appezzamenti di terreno ai veterani, ma si trattava di qualcosa che, almeno fino ad allora, era sempre avvenuto a discrezione dei generali e del Senato.<ref group="N">È un esempio la situazione in cui si trovarono i legionari di [[Gneo Pompeo Magno]]: tornati dalle guerre in Oriente, si videro negare le assegnazioni di ''ager publicus'' in quanto il senato, nel tentativo di danneggiare lo stesso Pompeo, cercò di intaccare la fedeltà che i soldati avevano verso lui. La situazione si risolse quando Cesare, asceso al consolato, fece approvare al senato la concessione degli appezzamenti di ''ager publicus'' ai veterani di Pompeo.</ref>
 
A proposito del rapporto personale di Cesare con i suoi legionari, Svetonio scrive:
 
{{citazione|[65] Non giudicava i soldati dai costumi o dall'aspetto, ma solo dalle loro forze, e li trattava con pari severità e indulgenza. Non li costringeva, infatti, all'ordine sempre e ovunque, ma solo di fronte al nemico: soprattutto allora esigeva una disciplina inflessibile, non preannunciando mai il momento di mettersi in marcia né quello di combattere, ma voleva che i suoi uomini fossero sempre vigili e pronti a seguirlo in qualsiasi momento ovunque li avesse condotti. Si comportava così anche senza un motivo, e specialmente nei giorni piovosi o festivi. Talvolta, dopo aver ordinato ai soldati che non lo perdessero di vista, si metteva in marcia all'improvviso, di giorno come di notte, e forzava il passo per stancare chi avesse tardato a seguirlo.<br />[66] Quando i suoi erano atterriti dalle voci sulle forze dei nemici, non li incoraggiava negandole o sminuendole, ma anzi le esagerava e raccontava anche frottole. Così, quando tutti erano terrorizzati nell'attesa dell'esercito di Giuba, riuniti i soldati in assemblea disse: "Sappiate che tra pochissimi giorni arriverà il re con dieci legioni, trentamila cavalieri, centomila armati alla leggera e trecento elefanti. Quindi, la smettano certuni di chiedere e fare congetture, e diano retta a me, che sono ben informato. Altrimenti li farò imbarcare sulla più vecchia delle navi e li farò abbandonare senza meta in balìa dei venti.<br />[67] Non teneva conto di tutte le mancanze, e non le puniva tutte con la stessa severità. Mentre si accaniva, infatti, nel perseguitare disertori e sediziosi, era molto indulgente con gli altri. Dopo grandi vittorie, a volte dispensava le truppe da tutti i loro doveri, e permetteva che si abbandonassero a una sfrenata licenza. Era solito, infatti, vantarsi dicendo: "I miei soldati sanno combattere bene anche se si profumano". Nei suoi discorsi, inoltre, non li chiamava soldati ma commilitoni, termine ben più lusinghiero. Voleva anche che fossero ben equipaggiati, e dava loro delle armi decorate con oro e argento tanto per aumentare il loro prestigio quanto perché in combattimento fossero ancora più tenaci, spinti dal timore di perdere armi tanto preziose. Era tanto affezionato ai suoi soldati che, venuto a sapere della disfatta di [[Quinto Titurio Sabino|Titurio]], si lasciò crescere la barba e i capelli senza tagliarli se non dopo aver compiuto la sua vendetta.|{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 65-67}}.}}
 
=== La congiura e la morte ===
{{Coin image box 1 double
| header = Cesare: [[denario]]<ref>Crawford 480/10; Alföldi Type VIII, 24-6 (A12/R3); CRI 107a; Sydenham 1073; Kestner -; BMCRR Rome 4169-71; RSC 38.</ref>
| hbkg = #abcdef
| image = File:Iulius Caesar denarius 44 BC 851830.jpg
| caption_left = CAESAR [[dittatore (storia romana)|DICT PERPETVO]] e il volto laureato di Cesare verso destra
| caption_right = [[Venere (divinità)|Venere]] vincitrice in piedi, che tiene in una mano la [[Vittoria (divinità)|Vittoria]] e nell'altra uno scettro, ai piedi uno [[Scudo (esercito romano)|scudo]] e la scritta MACER
| width = 250
| footer = Argento, 19 mm, 3,80 g; coniato nel [[44 a.C.]]
| position = left
| margin = 0
| background =
}}
 
Cesare nominò consoli per il [[44 a.C.]] sé stesso e il fidato Marco Antonio, e attribuì invece la pretura a [[Marco Giunio Bruto]] e [[Gaio Cassio Longino]].<ref>[[Plutarco]], ''Cesare'', 56,1.</ref> Quest'ultimo si fece interprete dell'insofferenza di ampia parte della ''nobilitas'', e incominciò a organizzare una congiura anticesariana. Trovò l'appoggio di molti uomini, tra cui molti dei pompeiani passati dalla parte di Cesare, e anche alcuni tra coloro che erano sempre stati al fianco dello stesso Cesare a partire dalla guerra di Gallia, come [[Gaio Trebonio]], [[Decimo Giunio Bruto Albino]], [[Lucio Minucio Basilo]] e [[Servio Sulpicio Galba (pretore 54 a.C.)|Servio Sulpicio Galba]].<ref name="Congiura">{{cita|Canfora 1999|cap. XXXIV, ''L'"eteria" di Cassio e l'arruolamento di Bruto''}}.</ref>
 
I congiurati, e primo tra loro lo stesso Cassio,<ref>{{cita|Canfora 1999|cap. XXXV, ''Realismo di un congiurato: Cassio si mette in seconda fila''}}.</ref> decisero di cercare l'appoggio di Marco Bruto: egli era infatti un lontanissimo discendente di quel [[Lucio Giunio Bruto]] che nel [[509 a.C.]] aveva scacciato il re [[Tarquinio il Superbo]] e istituito la repubblica, e poteva rappresentare il capo ideale per una congiura che si proponeva di uccidere un nuovo tiranno. Bruto era inoltre nipote e grande ammiratore di Catone Uticense, e poteva infine trovare nella propria filosofia, a metà tra lo [[stoicismo]] e la [[Accademia di Atene|dottrina accademica]], le convinzioni per combattere Cesare, al quale era comunque legato.<ref name="Congiura"/>
 
Il più influente tra i personaggi romani a non aderire alla congiura fu Cicerone, che, pur essendo amico di Bruto e sperando nell'eliminazione del tiranno Cesare, decise di tenersi fuori dal complotto; egli tuttavia, auspicò che assieme a Cesare fosse ucciso anche Marco Antonio che, non a torto, vedeva come un possibile successore del dittatore.<ref>{{cita|Canfora 1999|cap. XXXVII, ''Cicerone promotore della congiura?''}}.</ref>
 
==== Le Idi di marzo ====
{{vedi anche|Cesaricidio}}
[[File:PompeoMagno.jpg|thumb|upright=0.9|Statua romana del "[[Pompeo Arconati]]" (identificato poi con [[Tiberio]]) presente a [[Villa Arconati]], a [[Bollate]]. Acquistata a [[Roma]] da [[Galeazzo Arconati]], la scultura venne portata al Castellazzo nel [[1627]]. In passato era tradizionalmente interpretata come la statua di [[Pompeo Magno]] ai piedi della quale morì, trafitto dalle pugnalate dei congiurati, Gaio Giulio Cesare nel [[44 a.C.]]]]
 
Secondo la [[tradizione]], la morte di Cesare fu preceduta da un incredibile numero di [[presagio|presagi]]: da più parti si videro bruciare fuochi celesti, uccelli solitari giunsero nel foro, e si udirono strani rumori notturni. Pochi giorni prima del suo [[omicidio]], Cesare, mentre compiva un [[sacrificio]], non riuscì a trovare il [[cuore]] della vittima, il che costituiva un presagio di [[sfortuna|malaugurio]]. Nello stesso periodo fu scoperta la sepoltura del fondatore di [[Capua (antica)|Capua]], [[Capi (mitologia greca)|Capi]], e sulla lapide tombale fu trovata la scritta: ''Quando verranno scoperte le ossa di Capi, un discendente di Iulo verrà assassinato per mano dei suoi consanguinei, e subito sarà vendicato con grandi stragi e lutti per l'Italia''. Le [[Branco|mandrie]] di [[cavallo|cavalli]] che Cesare aveva fatto liberare al momento del passaggio del Rubicone cominciarono a piangere a dirotto, e uno [[Troglodytidae|scricciolo]] (che è anche chiamato ''uccellino regale''), che era entrato nella [[Curia di Pompeo]] (dove il Senato si riuniva dopo che la Curia Hostilia era andata distrutta nell'incendio di cui sopra) portando un ramoscello d'alloro, fu subito attaccato e ucciso da parecchi uccelli che sopraggiunsero all'istante. Alla vigilia dell'omicidio, [[Calpurnia]], la moglie di Cesare, donna del tutto priva di superstizioni religiose, fu sconvolta da sogni in cui la casa le crollava addosso, e lei stessa teneva tra le braccia il marito ucciso. Lo stesso Cesare sognò di librarsi nell'etere, volando sopra le nubi e stringendo la mano a [[Giove (divinità)|Giove]]. Il giorno successivo, quello delle [[Idi di marzo]], il 15 del mese, Calpurnia pregò dunque Cesare di restare in casa, ma egli, che la sera prima a casa di Lepido aveva detto che avrebbe preferito una morte improvvisa allo sfinimento della vecchiaia, sebbene si sentisse poco bene, fu convinto dal congiurato Decimo Bruto Albino a recarsi comunque in Senato, in quanto sarebbe sembrato sconveniente che non salutasse neppure tutti i senatori che si erano riuniti per nominarlo, proprio quel giorno, re. Cesare, che poco più di un mese prima aveva imprudentemente deciso di congedare la scorta che sempre lo accompagnava, uscì dunque in strada, e qui fu avvicinato da un indovino, [[Artemidoro di Cnido]], che gli consegnò un libello in cui lo ammoniva del pericolo che stava per rischiare. L'indovino si sincerò che Cesare lo leggesse quanto prima, ma il dittatore, che più volte si apprestò a farlo, non vi riuscì per colpa della folla che lo circondava. Giunto alla Curia di Pompeo, Cesare fu avvicinato da un [[aruspicina|aruspice]] di nome [[Spurinna]], che lo aveva avvisato di guardarsi dalle Idi di marzo: a questi il dittatore disse, con aria beffarda, che le Idi erano arrivate, ma l'indovino gli rispose che non erano ancora passate.<ref>[[Plutarco]], ''Cesare'', 63-65<br />{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 81}}.</ref>
 
[[File:Cesar-sa mort.jpg|thumb|left|upright=1.4|[[Vincenzo Camuccini]], ''[[Morte di Giulio Cesare]]'', 1798, [[Napoli]], [[Museo di Capodimonte]]]]
 
Entrato in Senato, si andò a sedere ignaro al suo seggio, dove fu subito attorniato dai congiurati che finsero di dovergli chiedere grazie e favori. Mentre Decimo Bruto intratteneva il possente Antonio fuori dalla Curia, per evitare che prestasse soccorso, al segnale convenuto, [[Publio Servilio Casca Longo]] sfoderò il pugnale e colpì Cesare al collo, causandogli una ferita superficiale e non mortale. Cesare invece, per nulla indebolito, cercò di difendersi con lo stilo che aveva in mano, e apostrofò il suo feritore dicendo ''"Scelleratissimo Casca, che fai?"'' o gridando ''"Ma questa è violenza!"''. Casca, allora, chiese aiuto al fratello "''Aiutami fratello"'' (''ἀδελφέ, βοήθει'')<ref>{{Cita web|lingua=it-IT|url=https://studiahumanitatispaideia.wordpress.com//2015/03/15/le-idi-di-marzo-plut-caes-62-67/|titolo=Studia Humanitatis - παιδεία|sito=Studia Humanitatis - παιδεία|data=2025-06-27|accesso=2025-07-07}}</ref>, e tutti i congiurati che si erano fatti attorno a Cesare si scagliarono con i pugnali contro il loro obiettivo.
 
Svetonio racconta: «Quando si accorse che lo aggredivano da tutte le parti con i pugnali nelle mani, si avvolse la toga attorno al capo e con la sinistra ne fece scivolare l’orlo fino alle ginocchia, per morire più decorosamente, con anche la parte inferiore del corpo coperta. Così fu trafitto da ventitré pugnalate, con un solo gemito, emesso sussurrando dopo il primo colpo; secondo alcuni avrebbe gridato a Marco Bruto, che si precipitava contro di lui: "Anche tu, Bruto, figlio mio!". Rimase lì per un po’ di tempo, privo di vita, mentre tutti fuggivano, finché, caricato su una lettiga, con il braccio che pendeva fuori, fu portato a casa da tre schiavi.» Cadde ai piedi della statua di Pompeo.<ref>La statua ai piedi della quale morì Cesare è, secondo la tradizione, quella attualmente visibile presso [[Villa Arconati]], a [[Castellazzo di Bollate]].</ref>
 
Le ultime parole di Cesare sono state riferite in vario modo:
 
* ''{{Polytonic|Καὶ σὺ, τέκνον;}}'' (''Kai su, teknon?'', in greco, "Anche tu, figlio?")<ref name="Morte Svetonio">{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 82}}; [[Cassio Dione]], [[Storia romana (Cassio Dione)|Storia Romana]], 44,19,5.</ref>
* ''[[Tu quoque, Brute, fili mi!]]'' (in latino, "Anche tu, Bruto, figlio mio!")<ref>Si tratta della versione più diffusa.</ref>
* ''Et tu, Brute?'' (in latino, "Anche tu, Bruto?"), che è la versione riportata da [[William Shakespeare]] nella tragedia ''[[Giulio Cesare (Shakespeare)|Giulio Cesare]]''.<ref>[[William Shakespeare]], ''Giulio Cesare'', atto III, scena I.</ref>
 
Svetonio riferisce che, secondo il medico Antistio, nessuna delle ferite subite da Cesare fu mortale, con l'eccezione della seconda, in pieno petto.<ref name="Morte Svetonio"/>
 
==== La successione ====
{{vedi anche|Secondo triumvirato|Guerra civile tra Ottaviano e Marco Antonio}}
[[File:S0484.4.jpg|thumb|Moneta di Augusto recante al rovescio una cometa a otto raggi e la legenda DIVVS IVLIV[S]]]
 
Come erede principale a cui spettavano i tre quarti delle sue ricchezze, Cesare lasciò il giovane pronipote diciottenne [[Augusto|Ottaviano]], che si trovava nell'[[Dalmazia (provincia romana)|Illirico]], ad [[Apollonia (Albania)|Apollonia]], poiché doveva sovraintendere all'organizzazione dei preparativi per le due grandi spedizioni che Cesare aveva intenzione di intraprendere: quella contro i [[Daci]] di [[Burebista]] e l'altra contro i [[Parti]], in Oriente. Ottavio, una volta informato dell'uccisione del prozio, decise di tornare a Roma per reclamare i suoi diritti di [[adozione nell'antica Roma|figlio adottivo]] e di erede di Cesare. Assieme a lui erano stati nominati eredi [[Lucio Pinario]] e Quinto Pedio, a cui spettò il restante quarto del patrimonio di Cesare; solo Ottavio, però, poté prendere, in quanto suo figlio adottivo, il nome del defunto, divenendo così Gaio Giulio Cesare Ottaviano. Cesare lasciò inoltre agli abitanti di Roma trecento [[sesterzio|sesterzi]] ciascuno e i suoi giardini sulle rive del [[Tevere]].<ref>[[Plutarco]], ''Cesare'', 68<br />{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 83}}.</ref>
 
[[File:Augustus Statue.JPG|thumb|left|upright=0.8|[[Ritratto di Ottaviano]] ai tempi della [[battaglia di Azio]]]]
 
Il 20 marzo il corpo di Cesare fu cremato nel foro: i [[cesaricidi]] avevano inizialmente pensato di buttarlo nel Tevere subito dopo l'assassinio, ma il proposito era rimasto incompiuto in quanto molti senatori, spaventati da quanto era successo, avevano subito lasciato il Senato. Marco Antonio, che era divenuto il nuovo leader cesariano (Ottaviano era ancora in Illirico), fece costruire la [[Pira funeraria|pira]] nel campo Marzio, in prossimità della tomba della figlia di Cesare, Giulia, e fece collocare nel foro, vicino ai Rostri, un'edicola dove fece esporre la toga insanguinata che Cesare indossava al momento della morte. Innumerevoli persone sfilarono nel campo Marzio per portare doni e si celebrarono dei ''ludi'' in memoria del defunto, dove si recitarono alcuni toccanti versi di [[Pacuvio]]. Antonio, lesse poi, come ''laudatio funebris'', il decreto con cui il Senato aveva conferito a Cesare tutti gli onori umani e divini e con cui gli stessi senatori si erano impegnati a proteggere Cesare. Decise, poi, di far trasportare il corpo del defunto per il foro, portato a braccio da magistrati su un lenzuolo, in modo che fossero ben visibili le pugnalate che egli aveva ricevuto: mentre alcuni cominciarono a chiedere che il corpo fosse cremato nella curia di Pompeo o nella cella di Giove Capitolino, alcuni uomini diedero fuoco al cataletto, e le fiamme furono subito alimentate dalla folla degli astanti, che cominciarono a buttarvi fascine, oggetti di legno e gli stessi doni che portavano. I veterani di Cesare, anzi, arrivarono a buttare nel rogo armi e gioielli, e a rendere omaggio giunsero anche gli stranieri, tra cui gli Ebrei, che erano grati a Cesare perché aveva sconfitto Pompeo, colpevole di aver violato il [[Tempio di Gerusalemme]], entrando nel [[Sancta sanctorum]].<ref>[[Plutarco]], ''Cesare'', 68<br />{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 84}}.</ref> Nel luogo della cremazione fu eretto in seguito il [[Tempio del Divo Giulio]].
 
Nessun diritto di successione poté mai reclamare [[Cesarione]], figlio naturale di Cesare, concepito con la regina d'[[Antico Egitto|Egitto]], [[Cleopatra VII]], durante il suo soggiorno del [[48 a.C.]] La regina egiziana rimase famosa per essere stata non solo l'amante di [[Marco Antonio]] dopo la morte del dittatore, ma soprattutto per aver collaborato con lui al fine di creare un nuovo impero in Oriente che potesse contrastare il crescente potere di Ottaviano in Occidente. Il dissenso nato così tra Antonio e Ottaviano determinò una [[Guerra civile tra Ottaviano e Marco Antonio|nuova guerra civile]] che culminò con la morte degli stessi Antonio e Cleopatra nel [[30 a.C.]] e la trasformazione, attuata da Ottaviano, della [[Repubblica romana]] in [[impero romano|impero]].
 
Nel [[42 a.C.]], quando gli eserciti di Marco Antonio e Ottaviano si apprestavano ad attaccare quelli dei [[cesaricidi]] Bruto e Cassio a [[Battaglia di Filippi|Filippi]], la leggenda racconta che la figura di un uomo di incredibile grandezza e d'aspetto spaventoso apparve nella tenda di Bruto. Questi, riconosciuta la figura di Cesare, chiese all'ombra chi fosse. Essa rispose: "Il tuo cattivo demone, Bruto. Mi rivedrai a Filippi", e Bruto coraggiosamente rispose a sua volta: "Ti vedrò". Pochi giorni dopo, a Filippi, quando la vittoria dei cesariani era ormai certa, Cassio si suicidò con il pugnale con cui aveva trafitto Cesare, e poco dopo anche lo stesso Bruto, per non cadere in mano nemica, si diede la morte. Così, a due anni dall'assassinio di Cesare, tutti coloro che avevano preso parte alla congiura avevano perso la vita, e la vendetta del ''divus'' era compiuta.<ref>[[Plutarco]], ''Cesare'', 69.</ref>
 
== Cesare storico, scrittore, oratore ==
[[File:Julii Caesaris quae exstant.tif|thumb|''Julii Caesaris quae exstant'', 1678]]
[[File:Commentarii de Bello Gallico.jpg|miniatura|Frontespizio di un'edizione del ''De bello Gallico'' e del ''De bello civili'']]
 
La sua opera di scrittore - racchiusa principalmente nei suoi commentari sulla guerra in [[Gallia]] ''([[De bello Gallico]])'' e sulla [[Guerra civile tra Cesare e Pompeo|guerra civile]] contro [[Gneo Pompeo Magno|Pompeo]] e il [[Senato (storia romana)|Senato]] ''([[De bello civili]])'' - pone Giulio Cesare tra i più grandi maestri di stile della prosa latina.
 
Le narrazioni, apparentemente semplici e in stile diretto, sono di fatto un annuncio molto sofisticato del suo programma politico, in modo particolare per i lettori di media cultura e per la piccola aristocrazia sia d'Italia sia delle [[provincia (storia romana)|province]].
 
;Lista delle opere
Le sue principali opere letterarie giunte sino a noi sono:
* i [[Commentarius (Giulio Cesare)|commentari]] sulle [[guerra|campagne]] per sottomettere i [[Galli]], fra il [[58 a.C.|58]] e il [[52 a.C.]] (''[[De bello Gallico|Commentarii de bello Gallico]]''). L'opera consta di sette libri, più un libro ottavo, composto probabilmente dal luogotenente di Cesare, [[Aulo Irzio]], per completare il resoconto della campagna e coprire il lasso di tempo che separa la guerra di Gallia da quella civile: si tratta di un'opera dallo stile lineare ma piacevole, con interessanti riferimenti etnografici sulle popolazioni incontrate durante il viaggio. Cesare, per aumentare l'obiettività dell'opera, usa la terza persona, anche se si tratta chiaramente di un metodo per esaltare la sua figura personale e per metterla in rilievo nella narrazione e nelle vicende descritte.<ref>L'uso della terza persona da parte di Cesare è anche oggetto di ironia: cfr. ''Asterix e Obelix'' di [[René Goscinny]] e [[Albert Uderzo]], ''Asterix e il regno degli dei'', tavola 2A e prima metà della tavola 2B
{{citazione|(Gaio Giulio Cesare, alla presenza di alcuni uomini illustri di Roma, fa luce sulla situazione sociopolitica della Gallia)<br />''Cesare'': Vi farò alcuni brevi commentari: in Gallia, dopo che Vercingetorige fu sconfitto, egli depose le sue armi ai piedi del glorioso capo... che occupò tutta la Gallia. Tutta? No! Un piccolo villaggio d'irriducibili Galli osò, e osa tuttora, resistere a lui!<br />''Cittadino 1'' rivolto a ''Cittadino 2'': Ma di chi sta parlando?<br />''Cittadino 2'' risponde a ''Cittadino 1'': Di lui. Parla sempre di sé stesso in terza persona.<br />''Cittadino 1'' rivolto a ''Cesare'': È formidabile!<br />''Cesare'': Chi?<br />''Cittadino 1'': Beh... voi!<br />''Cesare'': Ah!... Lui!}}</ref> Le descrizioni sono comunque fredde e asettiche, prive di enfasi retorica e partecipazione emotiva: anche le scelte più terribili, come quelle di sterminare migliaia di persone, appaiono così non solo necessarie, ma addirittura prive di un'alternativa. Il ''De bello Gallico'' risulta così essere un'apologetica opera di propaganda della campagna di Gallia;<ref>Cesare, ''La guerra gallica'', a cura di Giovanni Cipriani e Grazia Maria Masselli, Barbera Editore, 2006, ISBN 88-7899-071-X.</ref>
* i commentari sulla [[Guerra civile tra Cesare e Pompeo|guerra civile]] contro le forze di [[Gneo Pompeo Magno|Pompeo]] e del [[Senato (storia romana)|Senato]] (''[[Commentarii de bello civili]]''). In tre libri Cesare spiega e racconta la guerra civile del [[49 a.C.]] e il suo rifiuto di ubbidire al Senato;
* un epigramma in versi su [[Publio Terenzio Afro|Terenzio]], del quale sono giunti a noi solo alcuni frammenti.
 
Le opere perdute includono: diverse orazioni (in una di esse, l'elogio funebre della zia Giulia, si affermava la discendenza della ''gens'' Iulia da Iulo e quindi da [[Enea]] e [[Venere (divinità)|Venere]]); un trattato in due libri su problemi di lingua e stile (''[[De analogia]]''), terminato nell'estate del 54; vari componimenti poetici giovanili; una raccolta di detti memorabili; un poema sulla spedizione in Spagna nel 45; un pamphlet in due libri, intitolato ''[[Anticato]]'' o ''Anticatones'', contro la memoria di [[Catone Uticense]], scritto in polemica con l'elogio di Catone composto da [[Marco Tullio Cicerone|Cicerone]] su richiesta di Bruto.
 
Infine, opere spurie sono, oltre al libro ottavo del ''De bello Gallico'', tre opere del cosiddetto ''Corpus Caesarianum'':
* ''[[Bellum Hispaniense]]'', sulla guerra in [[Spagna]]
* ''[[Bellum Africum]]'', sulla guerra in [[Africa]]
* ''[[Bellum Alexandrinum]]'', sulla guerra nel [[Vicino Oriente]] ed [[Egitto]]
e i resoconti degli ultimi avvenimenti della guerra civile, composti da ufficiali di Cesare. In queste tre ultime opere risulta evidente il diverso stile della prosa, evidentemente meno limpido ed entusiasmante di quello utilizzato da Cesare nelle sue due opere.
 
Gli autori di queste opere spurie erano probabilmente dei luogotenenti molto fedeli a Cesare, tra i quali figurano [[Gaio Oppio]] e, forse nella redazione del ''Bellum Alexandrinum'', lo stesso Aulo Irzio.
 
Sulla figura di Cesare come scrittore, significativo è il seguente passo di Svetonio:<ref>{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 55-56}}.</ref><ref>Per {{cita|Canfora 1999|p. 389}} è "il più bel capitolo di storia letteraria su Cesare".</ref>
{{citazione|[55] Eguagliò o superò la gloria dei migliori, tanto nell'eloquenza quanto nell'arte militare. Dopo la sua accusa contro Dolabella, fu, senza ombra di dubbio, annoverato tra gli avvocati principi. Sta di fatto che Cicerone, nel ''Bruto'', elencando gli oratori, dice: "Non vedo a chi Cesare debba cedere il passo: ha un'esposizione elegante, chiara e, in un certo senso, anche magnifica e generosa".<ref>[[Cicerone]], ''Bruto'', 261: ''"Caesar (...) non video cui debeat cedere. Splendidam quandam minimeque veteratoriam rationem dicendi tenet, voce motu forma etiam magnificam et generosam quodam modo."'' Svetonio riporta più succintamente: ''"certe Cicero ad Brutum oratores enumerans negat se videre cui debeat Caesar cedere, aitque'' eum elegantem, splendidam quoque atque etiam magnificam et generosam quodam modo rationem dicendi tenere." Il ''minime veteratoriam'' ("per nulla scaltra, ingannevole") di Cicerone viene reso da Svetonio con ''splendidam'', che andrebbe quindi inteso nel senso di "chiara, diretta" (cf. John C. Rolfe, "Notes on Suetonius", ''Transactions and Proceedings of the American Philological Association'', Vol. 45, 1914 [pp. 35-47], p. 47).</ref> In una lettera a [[Cornelio Nepote]] ne parla così: "Chi, dimmi, gli vorresti anteporre, anche cercando tra quegli oratori che non si siano mai dedicati ad altro? Chi più di lui è arguto o ricco nei concetti? Chi è più ornato o più elegante nelle espressioni?"<ref>[[Cicerone]], ''Fragmenta Epistularum'', a cura di W.S. Watt, Oxford 1965, pp. 152-153.</ref> Da giovane aveva preso a modello, a quanto pare, Strabone Cesare, e nella sua ''Divinazione'' ne riportò letteralmente alcuni brani, tolti dall'orazione ''Per i Sardi''. Pronunciava i discorsi, dicono, con voce alta e acuta, e il suo gestire era concitato e ardente, ma non privo di eleganza. Ci rimangono alcune sue orazioni, ma in alcuni casi l'attribuzione non è sicura. Augusto stima con ragione che quelle intitolata ''Per Quinto Metello'' non sia stata pubblicata da lui ma raccolta da qualche stenografo che non riusciva perfettamente a tenergli dietro mentre parlava; e infatti su alcune copie trovò l'indicazione ''scritta per Metello'' invece del titolo ''Per Quinto Metello'', benché il discorso sia in persona di Cesare e in difesa propria e di Metello contro gli accusatori di entrambi. Lo stesso Augusto reputa molto azzardato attribuirgli anche le orazioni ''Ai soldati in Ispagna'', tramandate in numero di due: una sarebbe stata pronunciata in occasione del primo combattimento, e l'altra per il successivo, nel quale però Asinio Pollione sostiene che non ebbe neppure il tempo di arringare le truppe per l'improvviso attacco del nemico.<br />[56] Lasciò anche dei ''Commentari'' sulle sue gesta nella guerra gallica e in quella civile contro Pompeo. È però incerto che sia l'autore anche di quelli sulla guerra alessandrina, su quella africana e su quella spagnola. Alcuni li attribuiscono a Oppio e altri a Irzio, che terminò anche l'ultimo libro del ''De bello Gallico'', altrimenti rimasto incompiuto. Parlando dei ''Commentari'' di Cesare, Cicerone così si esprime nello stesso ''Bruto'': "Scrisse anche dei ''Commentari'' che si devono assolutamente ammirare: sono nudi, scarni e belli, spogliati di qualsiasi ornamento oratorio come un corpo della sua veste. Ma, mentre volle offrire agli altri il materiale per scrivere la storia, forse fece opera grata agli inetti che vorranno agghindarlo con riccioli artificiosi, ma distolse i sani di mente dallo scriverne".<ref>[[Cicerone]], ''Bruto'', 262.</ref> Così scrive Irzio, riferendosi agli stessi ''Commentari'': "Sono tanto universalmente lodati che sembrano voler togliere e non offrire ad altri l'occasione di scrivere sullo stesso argomento. Per quanto mi riguarda, la mia ammirazione è ancora maggiore; tutti infatti ne conoscono la purezza e l'eleganza dello stile, ma io so anche con quanta facilità e rapidità furono scritti". Asinio Pollione, invece, li reputa scritti con scarsa cura e con poco rispetto della verità. "Infatti" dice "in molti casi Cesare prestò fede con leggerezza alle imprese riferite da altri, e in quanto alle proprie le riportò in modo inesatto, sia per deliberato proposito sia per errore di memoria, e credo li avrebbe voluti riscrivere e correggere". Cesare lasciò anche due libri ''Sull'analogia'' e altrettanti di un ''Anticatone'', e inoltre un poemetto ''Il viaggio''. Scrisse la prima di queste due opere durante il passaggio delle Alpi, mentre dalla Gallia Citeriore tornava al comando dell'esercito, dopo aver tenuto le assise come pubblico magistrato. La seconda fu scritta su per giù all'epoca della battaglia di Munda; l'ultima quando da Roma raggiunse la Spagna Ulteriore in ventitré giorni. Ci rimangono anche le lettere da lui indirizzate al senato, lettere che egli per primo piegò in pagine, come fossero libretti di annotazioni, mentre fino ad allora i consoli e i magistrati mandavano i fogli scritti per intero, su tutta la loro larghezza. Ci resta anche qualche lettera a Cicerone, e ai familiari su questioni domestiche. In queste ultime, quando voleva scrivere qualcosa di segreto o di riservato, lo metteva in cifra, mutando cioè l'ordine delle lettere, in modo da togliere ogni significato alle parole. Chi vuole esaminarle e decifrarle non ha che da cambiare la quarta lettera dell'alfabeto, la ''d'', in ''a'', e seguitare così con le altre. Si ricorda che [...] da giovane scrisse alcune operette, quali un poemetto ''In lode di Ercole'', una tragedia, ''Edipo'', e anche una ''Raccolta di sentenze''. Augusto vietò la pubblicazione di queste operette con una brevissima e semplice lettera a Pompeo Macro, che aveva l'incarico di riordinare le biblioteche.|{{cita|Svetonio, ''Vite dei Cesari''|''Cesare'', 55-56}}, adattamento della traduzione di Felice Dessì}}
 
Cesare fu, oltre che grande protagonista politico delle vicende del suo tempo, anche importante [[oratore]]. Le sue orazioni sono andate perdute: esiste un rifacimento [[Sallustio|sallustiano]] di quella pronunziata il 5 dicembre del [[63]] e anche due orazioni funebri una per la zia Giulia (moglie di [[Gaio Mario]]) e un'altra per la moglie [[Cornelia]], mentre di altre orazioni è rimasta solo notizia (''In Dolabellam'', ''Pro rogatione Plautia'', ''Pro Bithinis'', ''Pro Decio Samnite''). I giudizi degli antichi sull'eloquenza di Cesare erano concordemente positivi.<ref>[[Virgilio Lavore]], ''Latinità'', Principato, Milano, 1989 (11a ristampa della 2ª ed.), p. 348.</ref>
 
== Il mito di Cesare ==
{{vedi anche|Giulio Cesare nell'eredità storica culturale}}
 
== Cronologia ==
{{vedi anche|Cronologia di Gaio Giulio Cesare}}
 
== Note ==
'''Annotazioni'''
<references group="N"/>
 
'''Fonti'''
{{note strette}}
 
== Bibliografia ==
;Fonti antiche
* {{cita libro |autore=[[Appiano di Alessandria]]|titolo=[[Storia romana (Appiano)|Historia Romana (Ῥωμαϊκά)]]|volume=vol. II, ''Le guerre civili''|cid=Appiano|lingua=grc}} ([http://www.livius.org/ap-ark/appian/appian_0.html traduzione inglese] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20151120053128/http://www.livius.org/ap-ark/appian/appian_0.html |data=20 novembre 2015 }}).
* {{cita libro|autore=[[Cassio Dione Cocceiano|Dione Cassio]]|titolo=[[Storia romana (Cassio Dione)|Storia romana]]|volume=libri XXXVI-LIV|cid=Cassio Dione|lingua=grc}} ([[Wikisource:el:Ρωμαϊκή Ιστορία|testo greco]] {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}} e [http://penelope.uchicago.edu/Thayer/E/Roman/Texts/Cassius_Dio/home.html traduzione inglese]).
* {{cita libro|autore=Cesare|titolo=[[Commentarii de bello Gallico]]|cid=Cesare, ''De bello gallico''|lingua=latino}} ([[Wikisource:la:Commentarii de bello Gallico|testo latino]] {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}} e [http://www.progettovidio.it/cesareopere.asp versione italiana] del Progetto Ovidio oppure [http://ebookgratis.biz/Generi-ebook/Classici-latini/De%20bello%20gallico%20Caio%20Giulio%20Cesare.pdf qui]).
* {{cita libro|autore=Cesare|titolo=[[Commentarii de bello civili]]|cid=Cesare, ''De bello civili''|lingua=latino}} ([[Wikisource:la:Commentarii de bello civili|testo latino]] {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}} e [http://www.progettovidio.it/cesareopere.asp versione italiana] del Progetto Ovidio).
* {{cita libro|autore=Pseudo-Cesare|titolo=[[Bellum Africum]]|cid=Bellum Africum|lingua=latino}} ([[Wikisource:la:De Bello Africo|testo latino]] {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}} e [[Wikisource:en:The African War|traduzione inglese]] {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}}).
* {{cita libro|autore=Pseudo-Cesare|titolo=[[Bellum Alexandrinum]]|cid=Bellum Alexandrinum|lingua=latino}} ([[Wikisource:la:Commentarii de bello Alexandrino|testo latino]] {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}} e [[Wikisource:en:The Alexandrian War|traduzione inglese]] {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}}).
* {{cita libro|autore=Pseudo-Cesare|titolo=[[Bellum Hispaniense]]|cid=Bellum Hispaniense|lingua=latino}} ([[Wikisource:la:De Bello Hispaniensi|testo latino]] {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}} e [[Wikisource:en:The Spanish War|traduzione inglese]] {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}}).
* {{Cita libro|autore=[[Marco Tullio Cicerone|Cicerone]]|titolo=[[Filippiche (Cicerone)|Orationes Philippicae]]|cid=Cicerone, ''Orationes Philippicae''|lingua=latino}} ([[Wikisource:la:In M. Antonium Philippicae|testo latino]] {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}}).
* {{Cita libro|autore=Cicerone|titolo=[[Catilinarie|Orationes in Catilinam]]|cid=Cicerone, ''Orationes in Catilinam''|lingua=latino}} ([[Wikisource:la:In L. Catilinam orationes|testo latino]] {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}} e [http://www.progettovidio.it/ciceroneopere.asp traduzione italiana]).
* {{Cita libro|autore=Cicerone|titolo=[[Epistulae ad Atticum]]|cid=Cicerone, ''Epistulae ad Atticum''|lingua=latino}} ([[Wikisource:la:Epistulae ad Atticum|testo latino]] {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}} e [[Wikisource:en:Letters to Atticus|traduzione inglese]] {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}}).
* {{Cita libro|autore=Cicerone|titolo=[[Pro Marcello]]|cid=Cicerone, ''Pro Marcello''|lingua=latino}} ([[Wikisource:la:Pro Marcello|testo latino]] {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}} e [[Wikisource:en:Pro Marcello|traduzione inglese]] {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}}).
* {{Cita libro|autore=Cicerone|titolo=[[Pro Quinto Ligario]]|cid=Cicerone, ''Pro Ligario''|lingua=latino}} ([[Wikisource:la:Pro Ligario|testo latino]] {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}} e [[Wikisource:en:Pro Ligario|traduzione inglese]] {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}}).
* {{Cita libro|autore=Cicerone|titolo=[[Pro rege Deiotaro]]|cid=Cicerone, ''Pro Deiotaro''|lingua=latino}} ([[Wikisource:la:Pro Deiotaro|testo latino]] {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}} e [[Wikisource:en:Pro Deiotaro|traduzione inglese]] {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}}).
* {{Cita libro|autore=Cicerone|titolo=[[De provinciis consularibus]]|cid=Cicerone, ''De provinciis consularibus''|lingua=latino}} ([[Wikisource:la:De provinciis consularibus|testo latino]] {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}}).
* {{Cita libro|autore=[[Marco Anneo Lucano|Lucano]]|titolo=[[Pharsalia]]|cid=Lucano|lingua=latino}} ([http://www.thelatinlibrary.com/lucan.html testo latino]).
* {{Cita libro|autore=[[Plutarco]]|titolo=[[Vite parallele]]|volume=''Cesare''|cid=Plutarco|lingua=grc}} ([[Wikisource:el:Βίοι Παράλληλοι|testo greco]] {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}} e [http://penelope.uchicago.edu/Thayer/E/Roman/Texts/Plutarch/Lives/home.html traduzione inglese]).
* {{cita libro|autore=[[Gaio Svetonio Tranquillo|Svetonio]]|titolo=[[Vite dei Cesari|De vita Caesarum libri VIII]]|volume=libro I, ''Cesare''|cid=Svetonio, ''Vite dei Cesari''|lingua=latino}} ([[Wikisource:la:De vita Caesarum libri VIII|testo latino]] {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}} e [http://www.progettovidio.it/svetonioopere.asp traduzione italiana]).
* {{cita libro|autore=[[Velleio Patercolo]]|titolo=[[Historiae Romanae ad M. Vinicium consulem libri duo]]|volume=libro II, 41-58|cid=Velleio Patercolo|lingua=latino}} ([[Wikisource:la:Historiae Romanae Ad M. Vinicium Libri Duo|testo latino]] {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}} e [http://penelope.uchicago.edu/Thayer/E/Roman/Texts/Velleius_Paterculus/home.html traduzione inglese qui] e [[Wikisource:en:Compendium of the History of Rome|qui]] {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}}).
 
;Fonti storiografiche moderne
* {{Cita libro|autore=Giovanni Brizzi|wkautore=Giovanni Brizzi|titolo=Storia di Roma. 1. Dalle origini ad Azio|anno=1997|editore=Patron|città=Bologna|ISBN=978-88-555-2419-3|cid=Brizzi 1997}}
* {{Cita libro|autore=Luciano Canfora|titolo=Giulio Cesare. Il dittatore democratico|url=https://archive.org/details/giuliocesareildi0000canf|editore=Laterza|anno=1999|cid=Canfora 1999|isbn=88-420-5739-8}}
* {{Cita libro|autore=J. Carcopino|titolo=Giulio Cesare|traduttore=Anna Rosso Cattabiani|editore=Rusconi Libri|anno=1981|cid=Carcopino 1981|isbn=88-18-18195-5}}
* {{Cita libro|autore=E. Horst|titolo=Cesare|edizione italiana a cura di Augusto Guida|editore=Rcs Libri|anno=1982|cid=Horst 1982}}
* {{Cita libro|autore=Lawrence Keppie|titolo=The making of the roman army, cap. 3|url=https://archive.org/details/makingofromanarm0000kepp_a7q6|anno=1998|città=Oklahoma|editore=University of Oklahoma Press|isbn=0-8061-3014-8}}
* {{Cita libro|autore=[[Mario Attilio Levi]]|titolo=Augusto e il suo tempo|editore=Rusconi Libri|anno=1994|città=Milano|cid=Levi 1994|ISBN=88-18-70041-3}}
* {{Cita libro|autore=Santo Mazzarino|titolo=L'impero romano, vol.1|città=Roma-Bari|editore=Laterza|anno=1976|cid=Mazzarino 1976|isbn=88-420-2401-5}}
* {{Cita libro|autore=[[Theodor Mommsen]]|titolo=Storia di Roma antica|anno=1973|editore=Sansoni|città=Firenze|cid=Mommsen 1973}}
* {{Cita libro|autore=Carlo Nardi|titolo=Cesare Augusto|anno=2009|editore=Liberamente|città=Siena|cid=Nardi 2009|ISBN=978-88-6311-064-7}}
* {{Cita libro|autore=Pat Southern|titolo=Augustus|url=https://archive.org/details/augustusromanimp00pats|città=Londra-New York|editore=Routledge|anno=2001|cid=Southern 2001|isbn=0-415-25855-3}}
* {{Cita libro|autore=Antonio Spinosa|titolo=Cesare il grande giocatore|città=Milano|editore=Mondadori|anno=1986|isbn=978-88-04-42928-9|cid=Spinosa 1986}}
* {{Cita libro|autore=[[Joseph Vogt|J. Vogt]]|titolo=La repubblica romana|editore=Laterza|città=Bari| anno=1975}}
* {{Cita libro|autore=AAVV|titolo=Gli imperatori romani|città=Torino|anno=1994|isbn=88-7819-224-4}}
* {{Cita libro|autore=AAVV|titolo=Giulio Cesare. L'uomo. Le imprese. Il mito|città=Milano|anno=2008|editore=Silvana Editoriale|isbn=88-366-1132-X}}
 
== Voci correlate ==
{{div col}}
;Contemporanei
* [[Ambiorige]]
* [[Aulo Irzio]]
* [[Aurelia Cotta]]
* [[Burebista]]
* [[Cesarione]]
* [[Cleopatra VII]]
* [[Decimo Giunio Bruto Albino]]
* [[Farnace II del Ponto]]
* [[Gaio Cassio Longino]]
* [[Gaio Giulio Cesare il Vecchio]]
* [[Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto]]
* [[Gaio Sallustio Crispo]]
* [[Gaio Trebazio Testa]]
* [[Gaio Trebonio]]
* [[Gaio Valerio Catullo]]
* [[Giuba I]]
* [[Giulia Cesarea Maggiore]]
* [[Giulia Cesarea Minore]]
* [[Gneo Pompeo Magno]]
* [[Gneo Pompeo il Giovane]]
* [[Lucio Cornelio Cinna (pretore 44 a.C.)|Lucio Cornelio Cinna]]
* [[Lucio Cornelio Silla]]
* [[Lucio Licinio Lucullo]]
* [[Lucio Minucio Basilo]]
* [[Lucio Sergio Catilina]]
* [[Marco Antonio]]
* [[Marco Emilio Lepido (triumviro)|Marco Emilio Lepido]]
* [[Marco Giunio Bruto]]
* [[Marco Licinio Crasso]]
* [[Marco Porcio Catone Uticense]]
* [[Marco Tullio Cicerone]]
* [[Quinto Cecilio Metello Pio Scipione Nasica]]
* [[Quinto Pedio]]
* [[Servilia (madre di Marco Giunio Bruto)|Servilia]]
* [[Servio Sulpicio Galba (pretore 54 a.C.)]]
* [[Sesto Pompeo]]
* [[Tito Labieno]]
* [[Tolomeo XIII]]
* [[Tolomeo XV]]
* [[Vercingetorige]]
 
;Letteratura
* [[Artemidoro di Daldi]]
* [[Aulo Gellio]]
* [[Aulo Irzio]]
* [[Appiano di Alessandria]]
* [[Cassio Dione Cocceiano]]
* ''[[Commentarius (Giulio Cesare)]]''
* ''[[De bello civili]]''
* ''[[De bello Gallico]]''
* ''[[De Catilinae coniuratione]]''
* [[Gaio Sallustio Crispo]]
* [[Gaio Svetonio Tranquillo]]
* [[Gaio Valerio Catullo]]
* ''[[Giulio Cesare (Shakespeare)]]''
* [[Marco Tullio Cicerone]]
* [[Plinio il Vecchio]]
* [[Plutarco]]
* ''[[Storia romana (Cassio Dione)]]''
* [[Valerio Massimo]]
* [[Velleio Patercolo]]
* ''[[Vite dei Cesari]]''
* ''[[Vite parallele]]''
 
;Altro
* [[Albero genealogico giulio-claudio]]
* ''[[Alea iacta est]]''
* [[Battaglia del fiume Sabis]]
* [[Battaglia di Alesia]]
* [[Battaglia di Avarico]]
* [[Battaglia di Bibracte]]
* [[Battaglia di Dyrrhachium (48 a.C.)]]
* [[Battaglia di Farsalo]]
* [[Battaglia di Gergovia]]
* [[Battaglia di Munda (45 a.C.)|Battaglia di Munda]]
* [[Battaglia di Tapso]]
* [[Battaglia di Zela (47 a.C.)]]
* [[Campagna di Lerida]]
* [[Cesare (titolo)]]
* [[Conquista della Gallia]]
* [[Cronologia di Gaio Giulio Cesare]]
* [[Dinastia giulio-claudia]]
* [[Dittatore romano]]
* [[Esercito romano]]
* [[Galli]]
* [[Gallia]]
* [[Guerra civile tra Cesare e Pompeo]]
* [[Guerra civile tra Ottaviano e Marco Antonio]]
* [[Idi di marzo]]
* ''[[Imperator]]''
* [[Imperatori romani]]
* [[Impero romano]]
* [[Ponte di Cesare sul Reno]]
* [[Primo triumvirato]]
* [[Rappresentazioni di Giulio Cesare nell'arte]]
* [[Repubblica romana]]
* [[Secondo triumvirato]]
* [[Storia romana]]
* ''[[Tu quoque Brute fili mi]]''
* ''[[Veni, vidi, vici]]''
* [[Andrea Mantegna]], ''[[Trionfi di Cesare in Gallia]]'' (1485-1506)
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== Collegamenti esterni ==
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* {{cita web|url=http://www.intratext.com/Catalogo/Autori/AUT54.HTM|titolo=Opere di Giulio Cesare con concordanze e liste di frequenza|accesso=14 novembre 2018}}
 
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{{Box successione
|tipologia = magistrato romano
|carica = [[Pontefice massimo|<span style="color:#FFA257;">Pontefice massimo</span>]]
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|precedente = [[Quinto Cecilio Metello Pio]]
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{{vetrina|1|aprile|2008|Wikipedia:Vetrina/Segnalazioni/Gaio_Giulio_Cesare|arg=sovrani}}
 
[[Categoria:Consoli repubblicani romani|Cesare, Gaio Giulio]]
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